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Curiamo noi stessi ma non il pianeta Giuliano Battiston

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Noi e voi

Noi e voi

helia McCarley nasce nei din-

Storni di Muscle Shoals, in Alabama, «su una terra che fu un tempo dei Cherokee». Cresce bevendo l’acqua del pozzo di casa sua e mangiando «i pesci gatto pescati con le sue stesse mani», in acque contaminate dal mercurio e da altre sostanze chimiche. Si trasferisce in California. Con la mezza età, la sua salute inizia a peggiorare. Sempre di più. Fino alla morte. Che rimane «un mistero per le centinaia di sanitari che la seguirono in uno dei più prestigiosi ospedali al mondo», a San Francisco.

È con la storia – non ascoltata – di Shelia McCarley che inizia e finisce “Infiammazione. Medicina, conflitto e disuguaglianza”, (Feltrinelli, 2022), l’ultimo libro di Raj Patel, scritto a quattro mani con Rupa Marya, medico e attivista. Economista politico indo-britannico, esperto di politiche alimentari, docente alla Lyndon B. Johnson school of public affairs dell’Università del Texas, autore di testi tradotti in tutto il mondo come “I padroni del cibo”, (Feltrinelli, 2008), con “Infiammazione” Patel torna a interrogarsi sulle grandi questioni del potere e dell’ingiustizia. Alla ricerca dei parallelismi tra sistemi biologici, economia politica, organizzazione sociale. A partire proprio dall’infiammazione del pianeta: la pandemia è stata solo la punta dell’iceberg. Ma non è solo il nostro corpo a bruciare: è tutta la società coinvolta, è l’intero pianeta Terra colpito da devastante infiammazione. In una interconnessione globale. E contro una crisi multipla, la soluzione non può che essere collettiva. La storia di Shelia McCarley è molto particolare e insolita, ma lei e Rupa Marya la usate per mostrare il legame causale tra ciò che è individuale e ciò che è sistemico nella salute. Ci spiega meglio? «Il suo è un caso che riflette non tanto l’incapacità dei medici di diagnosticare precisamente le cause della morte, ma quella di riconoscere la lunga esposizione ai fattori legati alla presenza di un’industria chimica che ha oltrag-

Giuliano giato la salute dei residenti

Battiston e reso il suo corpo talmente

Giornalista debole da non riuscire più a reagire a ciò che ne stava causando la morte. Non è dunque solo la storia di un corpo che viene avvelenato e nessuno sa perché, ma anche di come la medicina fallisca nel riconoscere l’importanza del racconto e dell’ascolto delle storie. Il mondo emerge attraverso il nostro corpo, ma per essere compreso va narrato in modo sociale e storico, non solo individuale». Alla medicina occidentale convenzionale e alle diagnosi «in medias res», che disconnettono sintomo e contesto, voi opponete l’idea che «ogni diagnosi è una storia». Cosa non va nella diagnosi tradizionale? «Che è così concentrata sull’individuo da farlo apparire colpevole di malattie fuori dal controllo individuale. Un esempio: vivi

L’ECONOMISTA RAJ PATEL E RUPA MARYA, MEDICO E ATTIVISTA, RIFLETTONO SU MALATTIE E RIMEDI NEL LIBRO “INFIAMMAZIONE”. E METTONO IN CRISI LA MEDICINA INDIVIDUALISTA

in un’area in cui non c’è cibo sano a prezzi ragionevoli, guadagni poco, sei abituato a mangiare cibi grassi. Vai dal dottore, gli dici che non ti senti bene. Lui ti diagnosticherà un diabete di tipo 2. Non dirà che occorre affrontare le ingiustizie di base. Dirà che è colpa tua e che devi mangiare meglio. Ti darà una medicina e “arrivederci”. Noi siamo contro l’individualizzazione di fenomeni sistemici, ma siamo per la scienza. Il nostro è un libro fortemente scientifico. È il sistema occidentale di diagnosi a essere non-scientifico, ignorando i dati di cui dispone». Sostenete che le ideologie coloniali siano vive e vegete e che il colonialismo non abbia soltanto a che fare con l’occupazione delle terre, ma anche con le dinamiche di potere attraverso le quali le «cosmologie» non capitalistiche vengono «uccise, sostituite». Cosa intendete? «Il colonialismo moderno si associa all’idea della missione civilizzatrice: gli individui sono separati dalla natura e possono farne ciò che vogliono. Per la maggior parte delle altre civiltà sulla terra, è un’idea as-

L’economista Raj Patel, sotto il medico e attivista Rupa Marya. A sinistra, la cerimonia del Burning Man nel deserto del Nevada

L'ingresso di emergenza del Linda university medical center dopo la sparatoria di San Bernardino in California il 2 dicembre 2015: un attacco di matrice jihadista che causò la morte di 16 persone e il ferimento di altre 24

surda. Ecco perché vanno sostituite, negate. Se la tua visione del mondo si basa sulla moderazione del consumo del mondo naturale, o su idee di reciprocità e rispetto, non si possono fare soldi: quelle idee vanno eliminate. La cosmologia che vede gli umani come l’apice della piramide è molto moderna e unicamente capitalistica. In realtà, siamo un piccolo nodo in un circolo molto più ampio, parte di altri sistemi, di altre reti vitali e di più ampi sistemi sociali». Il nostro corpo è in fiamme, la società è in fiamme, il pianeta è in fiamme: «il mondo è organizzato per andare in fiamme». Ma la medicina è radicata nella stessa cosmologia coloniale che causa l’infiammazione. Tanto che «la storia della medicina moderna è la storia del colonialismo». Una tesi forte... «Siamo abituati a considerare i medici soltanto come coloro che aiutano, ma fanno parte della stessa relazione di potere del resto della società. La medicina non è fuori dalla società, ne è un prodotto. Se la società è coloniale, patriarcale e razzista, lo sarà anche la medicina. Un sondaggio rivela che, negli Usa, per il 40 per cento degli studenti del primo anno delle facoltà mediche i neri hanno la pelle più dura e resistente. Non è vero, ma consente al razzismo di perpetuarsi. Dopo 4 anni di studi, continua a pensarlo il 20 per cento degli studenti bianchi. Il razzismo e il patriarcato non si fermano all’ingresso dei college: la medicina è sempre stata parte della storia del colonialismo». C’è però una medicina attiva «nella resistenza contro la cosmologia coloniale», la medicina profonda (deep medicine). Di cosa si tratta? «La medicina profonda è un processo e un progetto. L’idea di base è che non siamo individui, ma sistemi dentro altri sistemi, e che la rivoluzione del pensiero medico passa attraverso lo studio dei modi nei quali i sistemi interagiscono creando benessere o malattie. La medicina profonda espande la pratica della diagnosi, facendo in modo che una storia venga raccontata da più voci. Negli Usa, un medico impiega 20 secondi prima di zittirti, se provi a raccontare come ti senti. In realtà, non esiste una sola storia, ma una comunità di voci che generano malattia e guarigione. Hanno a che fare con la comunità in cui si vive, interrogano le nostre relazioni con aria, terra, acqua. Il nostro corpo va ricollocato dentro una rete di cosmologie e reti vitali. Ma sia chiaro: si tratta di una scienza rigorosa, non di folclore». Suggerite di riconnettere ciò che è stato separato, parlate di comunità di cura e attenzione, di immaginazione radicale, con enfasi sulle pratiche collettive. La tendenza però è opposta: trovare soluzioni individuali a problemi sistemici, come mostra il mercato del “benessere”…. «Oggi vengono offerte terapie individualizzate per “decolonizzarsi”. Ma il self-care, la cura di sé individualistica, non è medicina profonda, la quale rimanda a cambiamenti sistemici, tramite azioni necessariamente collettive. Per una trasformazione radicale occorre avere cura con gli altri, farlo insieme, non solo trovare tempo per lo yoga. La nostra società è costruita per rendere infiammato il nostro corpo. Se non ci occupiamo delle cause profonde dell’infiammazione, non c’è yoga che tenga. La buona notizia è che – che si tratti di organizzazioni locali di contadini, di sindacati o gruppi di mutualismo – sempre più c’è una sovrapposizione di battaglie e rivendicazioni. Sempre più si riconosce che viviamo dentro una “policrisi”, una crisi multipla, che è climatica, economica, della salute. Viviamo tempi bui: senza la gioia che viene dallo stare con gli altri, non riusciremmo ad affrontare una sfida così lunga e impegnativa».

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