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I Dem vanno in frantumi colloquio con Luigi Zanda di Susanna Turco

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Noi e voi

Noi e voi

sione tra Ds e Margherita si sia persa la forma partito, da sempre un elemento di forza di tutti i partiti di sinistra». In che modo si è persa? «C’è stata una tendenza a trasformare un partito organizzato in un partito liquido: di conseguenza si è determinata una struttura che ha reso molto labili i rapporti tra territori e vertice. Sono stati creati organismi pletorici, come la direzione nazionale e l’assemblea nazionale che, proprio per la loro composizione, solo di rado hanno affrontato grandi nodi politici. E il più delle volte hanno finito col deliberare all’unanimità o quasi. È venuta meno la dialettica interna, che è stata lasciata alle interviste sui giornali e alle dichiarazioni alle agenzie di stampa». Assistiamo ad affascinanti discussioni, in questi giorni, circa il grado di critica al liberismo nella Carta dei valori del 2008. Un dibattito attualissimo!

Luigi Zanda ha da poco compiuto ottanta anni. È stato senatore dal 2003 al 2022, e non si è ricandidato alle ultime elezioni. Dal 2013 al 2018 è stato capogruppo del Pd al Senato «A me non è mai piaciuto attribuire le responsabilità a quelli che c’erano prima di noi. Dobbiamo spostare l'attenzione a ciò che ci serve ora. Un nuovo manifesto che disegni i cambiamenti necessari per il Pd. La Carta dei valori del 2008 a me piaceva. Farci polemica oggi non serve a niente». Però se si rileggono le cronache di quei giorni in cui ci si accapigliava se scrivere “famiglia” o “famiglie” e magari si dimenticava di “antifascismo”, si capiscono già un sacco di cose sul Pd. «I problemi della sinistra nelle democrazie occidentali sono l’effetto di fenomeni di lungo periodo. Penso al crollo del muro di Berlino, al fallimento del comunismo in Urss, ai colpi di maglio inferti dalle dottrine thatcheriane e reaganiane. Poi, sì, c'è la cronaca, ma è un’altra cosa». Voliamo molto più basso. L’offerta politica dell’opposizione è questa: i Cinque Stelle, il Pd, il Terzo polo. Non il muro di Berlino, la Thatcher e Reagan. Cosa può fare l’elettore di centrosinistra? «Capisco che sia difficile da accettare, ma se non ricostruiamo una base di cultura politica, per il Pd il futuro diventa molto, molto difficile. Perché la sua natura è profondamente diversa da quella degli altri partiti d’opposizione. Il M5S nasce dal populismo, e Conte vi sta iniettando una robusta dose di demagogia. Calenda e Renzi sono due campioni di pragmatismo e abili interpreti della tattica politica. Il Pd, anche se non dovesse rendersene conto, è erede di importanti culture politiche che gli consentono di crescere solo sulla base di un pensiero, di un orizzonte di lungo periodo, di una visione strategica». Abbiamo la controprova? «Quando il Pd tradisce la sua vocazione e si mette a inseguire il populismo, e lo ha fatto, perde consensi» Ad esempio? «Non si modifica frettolosamente il Titolo V della Costituzione per parare i colpi della Lega». Questo era il governo Amato. «Non si vota la riduzione del numero dei parlamentari per far felice Conte». Questo è Zingaretti. «Non si abolisce il finanziamento pubblico dei partiti perché il populismo incalza». E questo è l'Enrico Letta ante-Renzi. Calenda che dialoga con Meloni insegue

il populismo? Finirà col sostenerla? «Calenda è un personaggio notevole, dico davvero. Ha una vivacità di movimento politico molto elevata. Così elevata che è difficile persino prevedere dove sarà domani mattina». C'è chi dice che il Comitato costituente del Pd dovrebbe prendere esempio dalla Costituente del 1946: senza una guida, non si andrà da nessuna parte. «Non facciamo paragoni fuori luogo. Sono due cose talmente diverse che usare il termine “costituente” per un semplice comitato del Pd mi mette a disagio. Nella mia testa, di Costituente ce ne è stata una sola: era formata da grandi personalità elette, che hanno avuto il tempo necessario per lavorare, delle regole, erano supportate dal pensiero di forze politiche culturalmente molto attrezzate. In ogni caso, penso che i lavori su natura e linea politica del Pd dureranno molto più di quanto il mio partito “CONTE CHE DÀ DEL GUERRAFONDAIO A CHI VOTA GLI AIUTI ALL’UCRAINA NON FA UN’OPPOSIZIONE SERIA. CALENDA? HA UNA VIVACITÀ ELEVATA. È DIFFICILE PERSINO DIRE DOVE SARÀ DOMANI”

abbia previsto. Non basterà certamente un mese, a cavallo delle vacanze di Natale». Non le sembra tuttavia che servirebbe qualcuno che guidi il percorso? «Non dovrebbe fare a me questa domanda, io ero del parere che al Pd servisse un segretario di transizione che avesse come prima responsabilità quella di guidare un cammino di ridefinizione del partito. Un processo che non può durare meno di un anno. Solo alla fine sarebbe diventato possibile eleggere un vero segretario». È finita con una corsa tra Schlein, Bonaccini, Ricci, De Micheli. Una corsa all’ombra di Renzi, ha scritto Lucia Annunziata. «Non sono mai stato renziano, ma non mi piace questo modo di catalogare dirigenti attribuendo loro continuità con fasi superate della storia del partito. E non mi sembra che nel Pd ci sia un fantasma da esorcizzare. Renzi ha iniziato una nuova strada: smetterei di tirarlo in ballo per vicende del Pd che non lo riguardano più». Quando governava Renzi lei, capogruppo al Senato, fu tra i pochi a non essere né tra i fan né tra i detrattori. Come si fa l’opposizione al governo più a destra della storia repubblicana? «Serve una opposizione seria. Non lo è quella di Conte che dà del guerrafondaio a chi vota aiuti all’Ucraina. Non sarebbe serio fare guerra alla legge di bilancio con l’ostruzionismo, rischiando l’esercizio provvisorio. E non mi è nemmeno piaciuto l'approccio con cui Calenda è andato a casa di Giorgia Meloni. Opposizione seria significa presentare emendamenti che abbiano le necessarie coperture, argomentare perché ci faccia molto male incrinare i rapporti diplomatici con la Francia, illustrare quali siano i danni prodotti dall’innalzamento del contante. E poi ogni tanto sarebbe utile qualche novità: una vecchia regola insegna che quando si è in difficoltà bisogna sempre cercare di sparigliare. Capisco bene che possano essere più visibili gli strilli di Conte, ma non credo che convenga al Pd seguirlo su questo nuovo stile». Una vittoria di Schlein significherebbe rottamare l’attuale classe dirigente? «Sulla corsa alla segreteria sospendo il giudizio. Credo che le questioni da valutare siano in che modo i candidati pensano di continuare la riflessione su natura e linea politica del Pd; quale è la loro idea sulla forma partito; quale è la loro posizione sulle grandi questioni di politica estera che toccano l’Italia; infine, quali siano le alleanze da stringere. E spero, a proposito, di non sentire più affermazioni generiche del tipo “dobbiamo privilegiare ciò che ci unisce rispetto a ciò che ci divide”». Schlein, alla domanda su cosa pensi del comunismo, ha risposto che è nata negli anni Ottanta. Anche Giorgia Meloni talvolta ha dato una risposta simile. C’è un momento in cui un giovane politico può dire “non è più un problema mio”? «Bisogna sapere esprimere opinioni anche su avvenimenti passati: non solo sul comunismo, ma anche sulla rivoluzione francese e americana. O su Romolo e Remo». Il Pd è sull'orlo del baratro o del declino? «Non mi può fare questa domanda perché io sono inguaribilmente un ottimista».

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