6 minute read

La nuova frattura occidentale Federica Bianchi

Next Article
Noi e voi

Noi e voi

L A NUOVA FR ATTU R

LA CRISI ENERGETICA METTE A DURA PROVA ALLEANZE. USA E EUROPA, COMPLICE IL PERICOLO CINESE, SI ALLONTANANO E ALL’INTERNO DELL’UE LE SCELTE DI FRANCIA E GERMANIA DIVIDONO L’UNIONE DI FEDERICA BIANCHI

l rischio è la Grande Frattura pro-

Iprio nel momento di massima compattezza contro l’Invasore. Quella tra Stati Uniti e Unione Europea sarebbe una Frattura Madre che finirebbe per allargare le latenti fratture interne al Vecchio Continente. Con il risultato di indebolirlo definitivamente, disintegrando ogni ambizione di autonomia strategica.

Ad avere infilato il cuneo nel terreno arido, come fosse la ghianda dello scoiattolino di “Ice Age”, è il Green Deal in versione americana nato in risposta all’inflazione fuori controllo che, dopo decenni di assenza, con la pandemia e la guerra russa, è tornata ad erodere l’economia occidentale. Degli oltre 700 miliardi in dieci anni previsti dal programma del presidente Joe Biden per combattere l’inflazione, 369 sono sotto forma di sussidi all’acquisto di pompe di calore, pannelli fotovoltaici e veicoli elettrici. Ma - punto dolente - solo se l’assemblaggio finale è fatto negli Usa. Risultato: il made in Usa potrebbe mettere fuori gioco non solo il made in China ma anche il made in Europe: «Una vera e propria violazione del libero commercio», ha accusato immediatamente la Commissione europea. «Il rischio è che il Piano Usa di riduzione dell’inflazione porti ad una competizione ingiusta, chiuda i mercati e spezzi le stesse catene di rifornimento cruciali che già sono state messe alla prova durante il Covid», ha detto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Una mossa, quella americana, che, nata per compattare un Congresso diviso, è stata ricevuta come un insulto da una Bruxelles alle prese con gli altissimi prezzi dell’energia conseguenza della guerra in Ucraina, combattuta al fianco degli Stati Uniti. «L’Europa tassa le emissioni da anni e ha una serie di incentivi del valore di 40 miliardi l’anno da tempo», spiega David Leimann del think-tank Bruegel: «Ma non vuole entrare in una gara con gli Usa a chi spende di più per sostenere il proprio mercato». Il presidente francese Emmanuel Macron, nonostante lo schiaffo americano ricevuto con la vendita di sottomarini all’Australia, è stato il primo leader europeo a volare a Washington, e a essere ricevuto con tutti gli onori, per farsi portavoce delle rimostranze e delle richieste comuni. Pochi giorni prima il leader tedesco Olaf Scholz era volato a Pechino con al seguito uno stuolo di imprenditori tedeschi per ricordare che, al di là di ogni proclama, la Germania, e l’Europa, hanno ancora bisogno della Cina. Ma sarà difficile per l’Europa essere equidistante: Washington chiede

Federica di scegliere tra lei e Pechino.

Bianchi Le fratture sono il marchio

Giornalista di questa nuova epoca.

Il presidente francese Emanuel Macron con il collega americano Joe Biden a Washington

TTU R A OCCIDENTALE

Foto: Doug Mills / POOL / AFP / Getty Images

Fino ad oggi era soltanto la Cina a finanziare le sue aziende con massicci aiuti di Stato. Adesso gli Usa, che per anni hanno delocalizzato in Cina, hanno ripreso non solo a produrre in America ma anche a rifinanziare direttamente la propria industria. L’obiettivo è quello di non farsi mettere fuori gioco dalla Cina: non tanto per vincere quanto per non perdere. Ovvero, per non diventare dipendenti, soprattutto in settori chiave come quello della sicurezza energetica, dalla seconda economia mondiale, sua rivale diretta. «L’ultimo dei moicani», come l’ha definita il commissario francese Thierry Breton, è rimasta l’Europa ma il ritornello del libero commercio in libere democrazie appartiene a un’altra epoca. Adesso il Vecchio Continente rischia di rimanere intrappolato tra i due nuovi giganti del neo-protezionismo, alla mercé di entrambi se non sceglie e non investe a 27.

Così von der Leyen ha annunciato domenica scorsa che è ora di consentire agli Stati europei di avere accesso agli aiuti di Stato. Anatemi assoluti fino all’altro ieri sono stati il bersaglio contro cui la commissaria danese Margrete Vestager si è scagliata nel costruire la sua carriera in Europa. Non più. Ma nessuno Stato europeo potrà fare da solo. I più ricchi, quelli con maggiore spazio per indebitarsi come la Germania, nell’accaparrarsi le risorse distorcerebbero il mercato unico, mettendo fuori gioco, ad esempio, un Paese come l’Italia, seconda potenza manifatturiera del Continente. Il risultato finale sarebbe il collasso del mercato comune.

La soluzione messa sul piatto da von der Leyen si chiama, ancora una volta, «fondo comune»: «La politica industriale comune richiede un fondo comune. L’obiettivo è quello di essere leader nella transazione ecologica e questo vuol dire che nel medio termine dobbiamo aumentare le risorse europee per la ricerca, l’innovazione e i progetti strategici comuni». Non tutti

sono d’accordo. Non la Germania che, dall’inizio dell’autunno, ha allargato la crepa latente che da sempre la separa dalla Francia. Insieme ai soliti frugali del Nord chiede di aspettare e di utilizzare invece le risorse già mobilitate con i Recovery plan e con Repower Eu. Se potesse, direbbe «prima la Germania».

Con la chiusura dei rubinetti del gas russo da cui dipendeva la sua economia, Berlino è andata in panico: lo scopo principale del governo è ora garantire l’energia ai cittadini e, soprattutto, alle imprese perché continuino ad alimentare la produzione. «Non c’è nulla che spaventa più il governo tedesco dello spettro della deindustrializzazione», sottolinea la studiosa tedesca Liana Fix, fellow presso il “Council of foreign relations”. La Germania si sta giocando senza remore il jolly fiscale costruito in vent’anni di parsimonia: ha dato vita a un massiccio piano di sussidi del costo dell’energia, che è disposta a comprare senza guardare il cartellino del prezzo, e, al contempo, ha imposto ai cittadini un taglio dei consumi di almeno il 20 per cento. Per le imprese la riduzione è più complessa. Secondo un recente rapporto dell’Ifo, l’Istituto di statistica tedesco, un’azienda su 5 ha dovuto chiudere a causa dell’eccesivo prezzo dell’energia e altrettante chiuderanno se verrà loro chiesto di ridurre ulteriormente i consumi. «In Germania manca l’infrastruttura per fare arrivare gas aggiuntivo, a differenza che in Italia», spiega Karen Pittel, direttrice del Centro per l’energia e il clima dell’Ifo e professoressa all’università di Monaco: «Non possiamo permetterci di dire di no a nessun venditore, a nessun prezzo».

Ma così le fratture si approfondiscono e lambiscono gli alleati. Da una parte c’è la Francia (e la maggioranza dei Paesi europei) e dall’altra la Germania (con la fida Olanda). Impegnate da mesi in un braccio di ferro sul tetto al prezzo del gas, la soluzione a lungo annunciata non è ancora all’orizzonte. La Germania, con un’economia in rallentamento, non vuole mettere a rischio i suoi approvvigionamenti e non accetta soluzioni comuni che comportino il finanziamento dei consumi energetici dei cittadini di altri stati europei a scapito dei propri. La Francia, dal canto suo, non vuole perdere le vendite di energia nucleare permettendo all’infinita energia rinnovabile prodotta dalla penisola iberica di attraversare il suo territorio e arrivare in Germania. Il ricatto è reciproco. Non solo. La lotta per l’accaparramento dell’energia rischia di allargare le faglie tra le due potenze europee anche su altri fronti: dall’idea di Europa comune (e quindi di chi fare entrare a Est) a quella della Difesa, con Parigi in prima linea per promuovere acquisti di armamenti europei e Berlino ottimo cliente degli americani presso cui si fa garante della sicurezza dei Paesi dell’Est Europa.

«Biden vorrebbe aiutare l’Europa ma non potrà modificare il suo programma di aiuti contro l’inflazione», sentenzia pessimista l’ europarlamentare tedesco esperto di geopolitica Reinard Butikofer : «Il Congresso non lo permetterà».

Washington ha tempo fino al 31 dicembre per interpretare creativamente il testo, come ha promesso a Macron e come sta ora negoziando con i tecnici della Commissione. Una soluzione sul finanziamento delle nuove tecnologie rinnovabili sarebbe nell’interesse di tutto l’Occidente. Anche perché nemmeno a Washington conviene infilare troppe ghiande nel terreno arido, creando lunghe fratture: il rischio, prima o poi, è quello di finirci intrappolati dentro.

La stazione di compressione Gazprom Pjsc Slavyanskaya, il punto di partenza del gasdotto Nord Stream 2, a Ust-Luga, in Russia

This article is from: