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Russia, il grande errore tedesco Angelo Bolaffi

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Noi e voi

Noi e voi

R U S S I A , I L G R A N D E E

DI ANGELO BOLAFFI

lcune profezie si avverano quando sembra-

Ava fossero state dimenticate: Nikita Chruscev oltre sessant’anni fa, allora segretario generale del Pcus, aveva affermato che la frontiera fra le due Germanie di cui il Muro di Berlino era il simbolo «è una frontiera che è stata tracciata da una guerra e solo un’altra guerra potrebbe cambiarla». La guerra di aggressione all’Ucraina della Russia di Putin è quella guerra minacciata da Chruscev che, saggiamente, l’Urss d Gorbaciov aveva scelto di non dichiarare la notte del 9 novembre del 1989. Certo Putin non pensa di poter cancellare l’unificazione tedesca. Ma ritiene che la fine del dominio russo sull’Europa dell’Est e del Sud-est, divenuto irreversibile a seguito della caduta del Muro di Berlino, è all’origine della «più grande catastrofe geopolitica del XX secolo», come nell’aprile del 2005 aveva definito la fine dell’Unione Sovietica. Per questo la “nuova Jalta” di Putin , l’occupazione manu militari della Crimea nel 2014, non fu come molti, soprattutto in Germania, giudicarono un transitorio re-imbarbarimento della politica russa. Ma l’inizio di una politica revisionista volta a stravolgere con la forza l’ordine geopolitico europeo. Una decisione da grande potenza tipica del XIX secolo in piena continuità con la tradizionale politica espansionista degli zar ( e di Stalin) con l’obiettivo di edificare in contrapposizione all’Occidente e all’Unione europea una sfera di influenza a egemonia russa nel Vecchio Continente.

Per questo, se la data del 9 novembre 1989 era stata interpretata come “la fine della storia”, quella del 24 febbraio 2022 ha indubbiamente segnato “la fine della fine della storia”. Una Zeitenwende (svolta epocale), secondo l’espressione usata il 27 febbraio nel suo discorso al Bundestag dal Cancelliere tedesco Olaf Scholz, che impone all’Europa e in primo luogo alla Germania di «pensare l’impensabile». Di prendere atto che non è più possibile fare affidamento su vecchie certezze geopolitiche ed è inevitabile una radicale riconversione strategica, politica ed economica. Con onestà e coraggio l’intera classe dirigente tedesca, con l’eccezione della ex Cancelliera Angela Merkel che salvo un paio di reticenti e criptiche dichiarazioni si è chiusa in uno sdegnato si Angelo lenzio, ha ammesso di aver dato prova di

Bolaffi cecità geopolitica commettendo un grave

Germanista errore di valutazione strategica: la fine della

Angela Merkel con Olaf Scholz

guerra fredda sul Vecchio Continente non è stata l’inizio della “pace perpetua”. Una vera e propria collettiva autocritica da parte della Germania, dunque, per aver colpevolmente sottovalutato gli avvertimenti e le parole di allarme provenienti dai paesi dell’est europeo. Nell’illusione che la strategia del Wandel durch Handel, mutamento mediante rapporti commerciali, con la Russia di Putin consentisse alla Germania di salvaguardare i vantaggi economici della globalizzazione grazie al gas russo a basso prezzo, e al tempo stesso garantire la sicurezza europea: «il mondo è diventato un altro il 24 febbraio (..) lo scoppio della guerra in Europa è anche il fallimento di decennali sforzi politici, compresi quelli fatti da me, proprio per (…) integrare più saldamente la Russia nella architettura della sicurezza europea. (…) il 24 febbraio ha segnato la fine di un’epoca». Questa l’impegnativa affermazione fatta dal presidente Frank-Walter Steinmeier lo scorso 16 novembre a New York quando è stato insignito del premio intitolato a Henry Kissinger.

Ma se è vero che la gran parte della classe politica tedesca, con eccezione dei “soliti noti” della Linke e della Afd, è impegnata in questa radicale revisione del rapporto della Germania con la Russia e con i paesi dell’est europeo, questo vale soprattutto per la Spd. E non solo perché oggi esponenti del partito socialdemocratico occupano i ruoli

Prima Pagina N D E E R R O R E T E DE S C O

apicali del paese ma perché storicamente, dopo la seconda guerra mondiale e dopo la catastrofe tedesca, è stata la Spd a sviluppare una politica di dialogo con la Russia anche quando era ancora Unione Sovietica. È dunque lecito, come qualcuno ha sostenuto, ricercare nella Ostpolitik lanciata da Willy Brandt nel segno del Wandel durch Annährung, del mutamento attraverso l’avvicinamento, l’origine di quello che si è oggi rivelata una tragica illusione o addirittura un imperdonabile errore? E perché una azione politica che ha funzionato con l’Unione Sovietica di Breznev ha fatto totalmente fallimento con la Russia di Putin?

Attorno a questi interrogativi è in corso in Germania una accesa discussione. Secondo Heinrich Winkler, il più autorevole storico tedesco (per altro molto vicino alla Spd), tra la Ostpolitik lanciata nel 1963 dall’ex Borgomastro di Berlino (Ovest) e quella seguita poi negli anni successivi dalla stessa Spd c’è stata una radicale soluzione di continuità. Con la fine della Cancelleria di Brandt e l’arrivo di Helmut Schmidt alla guida della Germania, la Ostpolitik ha subito una crescente torsione in senso realpolitisch sotto l’influenza di Egon Bahr, il più kissingeriano degli esponenti social-

democratici, trasformandosi in un “partenariato per la sicurezza” tra Germania e Unione Sovietica. Una alleanza che in nome delle ragioni dell’equilibrio europeo (e di quelle della Russia) ha progressivamente perso di vista l’impegno per la difesa dei diritti civili nei paesi dell’est europeo che della fase brandtiana della Ostpolitik era una componente essenziale. Clamorosamente rivelatore in questo senso l’aperto sostegno del governo tedesco allo stato d’emergenza proclamato in Polonia nel 1981 dal generale Jaruzelski contro il movimento di Solidarnosc. Ancora nel maggio del 2014 poco prima di morire in una intervista al settimanale Die Zeit l’ex cancelliere Schmidt, a conferma del lato oscuro di quel Russian-Komplex della Germania di cui parla lo studioso Gerd Koenen, definiva legittima l’occupazione della Crimea e negava l’esistenza dell’Ucraina come stato-nazione. Ma c’è un ulteriore aspetto solitamente ignorato dal dibattito italiano che invece è ritornato nel corso di questa faticosa rilettura da parte della Spd della propria politica verso l’est: e cioè il momento dell’interesse nazionale tedesco. Mentre la Cdu si è sempre mostrata molto attenta al primato in politica estera delle ragioni dell’atlantismo (Konrad Adenauer) e dell’europeismo(Helmut Kohl) la È FINITA L’ILLUSIONE DI COSTRUIRE LA PACE SULL’ECONOMIA. L’AUTOCRITICA PER NON AVER VISTO IL PERICOLO PUTIN RIGUARDA LA POLITICA DELLA MERKEL. MA SOPRATTUTTO QUELLA DELLA SPD Spd sin dai primissimi anni del secondo dopoguerra ha sostenuto l’obiettivo della riunificazione nazionale del paese opponendosi alla adesione della Germania Ovest alla Nato e appoggiando, come fece il suo primo presidente Kurt Schumacher, lo scambio proposto da Stalin tra riunificazione e neutralizzazione della Germania. Per questo, ha sostenuto lo storico Andreas Wirschig, se il momento centrale della politica della Ostpolitik di Brandt era quello di arrivare al superamento della divisione della Germania, allora dopo la riunificazione del paese nel 1990 essa aveva perso il proprio senso. E quindi non può in alcun modo essere ritenuta corresponsabile degli errori successivamente commessi in suo nome.

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