Weekly Enjoy #025

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Pubblicazione settimanale gratuita #025 - 09 Dicembre 2023

Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito.


WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

Carlo Carnevale Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso

RISTORANTE MATER Via di Camaldoli, 52 Moggiona (AR) Tel. +39 3665035127 ristorantemater.it

VIP: VERY IMPORTANT POSTO di Alberto Cauzzi

RISTORANTE MATER

guideespresso.it

Materie prime locali, servizio di sala impeccabile e il risultato non può che essere uno: la cucina identitaria dello chef Filippo Baroni Filippo Baroni e Marta Bidi, coppia nel lavoro e nella vita, hanno concepito Mater, un ristorante che sembra ripescato dalle visioni oniriche di legno e vetro di Lloyd Wright. Il resort troneggia nella bucolicità della foresta a due passi dall’Eremo di Camandoli: un invito a perdersi e lasciare lo sterrato in nome di un’avventura mangereccia che incomincia chiudendosi la porta di casa alle spalle. Baroni, self made chef, mette il sigillo al concetto di territorialità tessendo un’intricata rete gastronomica fatta di materie prime locali, biodiversità e prodotti qualitativamente ineccepibili. Qui ferve una cucina pulita, precisa, dove i sapori trovano la loro esatta collocazione nelle preparazioni. Nell’ormai segnature Radicchio, cervo e whisky torbato, la spiccata nota palatale, che abitualmente domina i piatti di selvaggina, è ammaestrata aggiungendo torba e l’amaro del radicchio. Nel menu Il Cannellone di Raviggiolo e funghi allo straccio, pesto di erbe alla brace e fiori di topinambur, sfodera un mordente innovativo, strutturato su più consistenze e intrecci gustativi che tuttavia, si agganciano ancora a territorio e tradizione. Continua a leggere sul sito CHEF FILIPPO BARONI

MENU DEGUSTAZIONE € 85 - 95

VIP: VERY IMPORTANT PIATTO di Leonardo Casaleno

LA “SCARPETTA” PERFETTA Antonio Biafora celebra il territorio calabrese con le sue “Erbe alla cacciatora”: grandissimo lavoro sulle salse e precisa ricerca sul vegetale locale. Hyle è uno dei fiori all’occhiello del panorama gastronomico calabrese. Immerso nel cuore della Sila, questo laboratorio di alta cucina è una bomboniera con poco meno di una ventina di coperti in cui lo chef Antonio Biafora, con una sua fidatissima brigata, esprime tutto il suo talento e la sua profonda personalità. Il suo percorso, formatosi ad Alma e poi una breve ma illuminante esperienza in Giappone, si traduce in piatti che aspirano a rappresentare il territorio con sensibilità contemporanea, evidenziando una cucina sottile e raffinata, dal carattere moderno, con sapori intensi e persistenti. Il VIP di oggi, “Erbe alla cacciatora”, incarna quello che per gli italiani è, per antonomasia, un gesto tra i più naturali a tavola: la scarpetta. Continua a leggere sul sito RISTORANTE HYLE

CHEF ANTONIO BIAFORA

HYLE Località Torre Garga San Giovanni in Fiore (CS) Tel. +39 0984970722 hyleristorante.it

BUONI PROPOSITI Come già accaduto in passato su questa colonna, è tempo di un appello alla cultura della convivialità, adesso che ci si approccia al periodo festivo in questo fine settimana dell’Immacolata. Si tratta di uno dei momenti più frenetici e totalizzanti dell’anno per le attività di ristorazione, se non addirittura il più pesante in assoluto: quando tutto il mondo è in vacanza (per settimane o per un paio d’ore dopo lavoro), osti, cuochi e bartender sono nel pieno delle proprie fatiche. Ogni prenotazione mancata o non rispettata (se si riserva per tre non ci si presenti in sei), ogni supplemento di preoccupazione non comunicata (allergie, presenza di bambini), ogni comportamento non consono arreca un danno a bar e ristoranti, in generale e a maggior ragione in questo mese, in cui questi si giocano una fetta più che rilevante del fatturato annuo. Che lo si tenga presente per gli eventi aziendali e le cene familiari, occasioni senza dubbio lucrative per le insegne ma troppo spesso fotografie del momento non certo eccellente dell’educazione al consumo in cui viviamo: avere il diritto di sedere a tavoli e banconi non autorizza a fare dei luoghi che ci ospitano teatri di malcostume, arroganza e ignoranza, ancora all’insegna del vergognoso “il cliente ha sempre ragione”. La ragione, come si dice, è degli stolti, e per rimanere in tema di proverbi, a Natale siamo tutti più buoni. Dimostriamolo, questo mese e sempre. Carlo Carnevale


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CIOCCOLANDIA

di Antonio Franchi

LA CIOCCOLATERIA BANCHINI DI PARMA La Cioccolateria Banchini (cioccolatobanchini.com) è una delle storiche insegne di Parma, già insignita della medaglia d’oro alla Esposizione Internazionale di Parigi nel 1908 per la “Cioccolata del Monastero”, fondente al 60%, con cannella, zenzero, vaniglia, nocciola e amaretto. Nata nel 1879 ad opera di Gian Battista Banchini, la cioccolateria è stata “rifondata” dai fratelli Giacomo e Alberto Banchini nel 2012 (dopo un periodo di chiusura dal 1969), allo scopo di perpetuare un’importante tradizione di famiglia. La produzione è realizzata mediante il recupero delle antiche preparazioni del trisavolo, oggi rivisitate con creatività in molteplici declinazioni: tra queste le tavolette (di cioccolato fondente, al latte, bianco e con nocciole), i Bon Bon, il “Principino” (lo snack identitario di Banchini, formato da un guscio di cioccolato contenente gustosi fourré, alcuni dai gusti originali, come l’Erba Luigia o la Violetta di Parma) e i Biscotti della Duchessa (sablé al cioccolato fondente con sale dell’Himalaya, anche nelle versioni arancia e grué, violetta di Parma e nocciola e cioccolato bianco). Tra i prodotti di grande attrattiva spiccano i Bon Bon, una selezione di raffinate praline dalle golose farciture; tra queste: gelée al mandarino, mousse al cocco, cremino al caffè, croccante di caramello salato e arachidi tostate, ganache al cioccolato fondente. Non mancano, poi, appetitosi prodotti di pasticceria, realizzati da Chiara Ricci, esperta pasticciera, già responsabile per sette anni del reparto torte della pasticceria di Ernst Knam a Milano. Senza dimenticare il ruolo da protagonista di Banchini anche nel settore della gelateria, con Alessia Palmitessa, selezionata quest’anno tra 200 maestri gelatieri provenienti da tutto il mondo per la partecipazione a Sherbeth - Festival Internazionale del Gelato Artigianale, tenutosi a Palermo dal 27 al 29 ottobre scorso. Il gusto presentato: “Scendi dal pero” (crema cotta in un caramello leggero, guarnita con miele di castagno, estratto di finocchio e noci caramellate), un omaggio al territorio, realizzato con soli ingredienti di aziende agricole di Parma e dintorni.

CURIOSITÀ ARTIFICIALI Abbiamo chiesto all’AI...

Quale sarà il prodotto legato al cibo più regalato il prossimo natale?

Secondo le ricerche che ho fatto sul web, il prodotto legato al cibo più regalato il prossimo Natale sarà probabilmente il panettone artigianale, in diverse varianti di gusto e confezione. Questo dolce tipico della tradizione natalizia italiana è infatti molto apprezzato sia dai grandi che dai piccini, e si presta a essere personalizzato con ingredienti di qualità e originali, come il pistacchio, il cioccolato, le fragoline di bosco o le ciliegie. Inoltre, il panettone può anche avere uno scopo benefico, come nel caso del panettone classico artigianale dell’Associazione Bianca Garaviglia, a sostegno della ricerca sui tumori pediatrici. Altri prodotti enogastronomici che saranno molto regalati sono le cioccolate miste, i liquori particolari, i cesti di prodotti tipici regionali o internazionali e i cofanetti food con degustazioni o corsi di cucina.

PERSONAGGI

FRANCO COLOMBANI Il destino da ingegnere di Franco Colombani deraglia presto nella bassa lodigiana quando eredita Il Sole di Maleo, la placida locanda di famiglia. Con Colombani junior e l’adoratissima moglie Silvana al timone, presto viene adottato un modus cucinandi opulento e culturale. La spina dorsale del locale diventano le preparazioni antropologiche, trattati culinari ripescati da antichi ricettari rinascimentali servendosi di ingredienti popolari ma goduriosi. Il minestrone di pesto entra nella leggenda così come la zuppa di cipolle e la ribollita. Ricette dall’accento lombardo queste in uno scenario gastronomico italiano ormai tutto un béchamel e foie gras. In cui il cuciniere lancia un guanto di sfida alla Nouvelle Cuisine che di Nuovo non ha nulla poiché sono sempre gli stessi ingredienti serviti in maniera arabeggiante. Nei fecondi anni ’80 dà vita a Linea Italia in Cucina, un inneggio alla gastronomia “zonale”, inventando il chilometro zero ancor prima che divenisse mainstream. Alla sua tavola rotonda partecipano i giganti del tempo quali i Santini e i Cantarelli, per citarne alcuni. Nell’ 82 attirano l’attenzione della rivista La Gola che celebra questa fertile rivoluzione culinaria a cui però le Toque Blanche più conservatrici guardano di sottecchi fino alla decisione di sottrargli i blasonatissimi riconoscimenti d’Oltralpe. Per Colombani inizia la discesa verso il gorgo da cui non sarà in grado di uscirne. Un pomeriggio del ’96, infila la testa in un sacchetto di plastica togliendosi la vita. Personaggio che sembra essere condannato alla damnatio memorie culinaria eppure grazie al suo contributo, prima di uomo di cultura e poi di cuoco, ha permesso alla gastronomia italiana di fondare i suoi pilastri. É essenziale, dunque, per le generazioni passate conservarne il ricordo e quelle future conoscerne la leggenda.



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COM’È DOLCE L’IMMACOLATA LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI L’esperto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.

Buccellato, cuddrurieddri, bisciola. Ogni regione ha la sua ricetta per festeggiare l’8 dicembre. Tra devozione e convivialità pagana

L’8 dicembre, la giornata dedicata all’Immacolata Concezione, rappresenta una tra le più sentite festività per i fedeli cattolici nonché un momento in cui religiosità, convivialità e antichi usi di origine rurale e pagana si fondono insieme, inaugurando ufficialmente il periodo natalizio. Ovunque in Italia la devozione alla Vergine Santissima si esprime anche attraverso la “ritualità gastronomica” tipica di ogni regione e i dolci ne sono indiscussi protagonisti, specialmente al Sud. Tra i più simbolici, il Buccellato rievoca la corona di stelle, “u stellariu”, dell’Immacolata. La ricetta di questa sontuosa ciambella di pasta frolla farcita con frutta secca, mandorle e scorze d’arancia, si tramanda da tempi immemori nella tradizione culinaria palermitana, affiancandosi all’altro dolce regionale storicamente preparato l’8 dicembre, la Nipitiddata messinese, dolcetti dal guscio di pasta frolla con un morbido ripieno di fichi secchi, spezie e mandorle a cui si aggiunge marmellata o cioccolato (oppure entrambi). A concludere il pranzo partenopeo

dell’Immacolata, invece, è il Roccocò: si narra che furono le monache del Real Convento della Maddalena a preparare per prime, nel 1320, questi croccanti biscotti a base di mandorle e pisto, il sapiente mix di spezie tipico napoletano realizzato con cannella, noce moscata, chiodi di garofano e coriandolo. Immancabili a Napoli restano anche le Zeppole dell’Immacolata, dorate frittelle di pasta cresciuta su cui colare il miele e cospargere variopinti zuccherini. In Calabria si preparano i Cuddrurieddri, soffici ciambelline di patate lesse, farina e lievito che dopo la frittura in olio di semi vengono spolverizzate di zucchero o ricoperte di miele mentre le Pettole pugliesi, pallotte d’impasto di pane fritto, si impreziosiscono con pinoli e uva passa, non mancando chi le inzuppa nel cioccolato fuso, nel miele o nel vincotto. A Nord, spicca tra tutti i dolci tipici dell’Immacolata la valtellinese Bisciola (o Pan de fich), un lievitato a base di grano saraceno, miele, fichi secchi, castagne e uvetta, spesso arricchito da una crema allo zabaione.


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PETROLO SOCIETÀ AGRICOLA S.S.

Loc. Petrolo N° 30 Mercatale Valdarno 52021 Bucine (AR) Tel 055 9911322 petrolo@petrolo.it

IL BUON VINO… di LUCA GARDINI Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes.com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.

TOSCANA IGT TORRIONE 2021 PUNTEGGIO 97/100

prezzo € 30 Avvincente blend a base Sangiovese, con piccolo saldo di Cabernet Sauvignon e Merlot, vinificato con parziale uso del cemento vetrificato. Fortemente voluto da Lucia Bazzocchi Sanjust, che lo realizzò con l’aiuto di un ‘mago’ del Sangiovese come Giulio Gambelli, uscì in prima release nel 1988. Si apre all’olfazione con note di corniolo, successivamente evidenzia sfumature di menta selvatica e rabarbaro, poi zest di clementina, la beva è salmastro-sapida, con richiami delle sensazioni officinali e dei tocchi di sottobosco. Chiude su leggeri ricordi agrumati. Irresistibile con un classicone territoriale intramontabile come il pollo del Valdarno in porchetta.

STREGATI DAL SANGIOVESE Parlare di Petrolo, ovverosia l’iconica creatura di Luca Sanjust di Teulada, alla guida della cantina fondata dal nonno - l’ing. Gastone Bazzocchi, imprenditore che tanta parte ebbe nella ricostruzione dell’Italia post-bellica - nel 1947, su impianto originariamente settecentesco, significa parlare della ricerca della perfezione. Del resto l’assunto era già cristallino nel lavoro di mamma Lucia, purtroppo recentemente scomparsa, obiettivo finale la qualità sì, ma soprattutto una visione responsabile dell’attività vitivinicola. Luca, umanista convinto, sostiene che l’uomo, nell’assecondare la natura, debba accompagnare, nella maniera meno invasiva possibile, e a questo si attiene. Un territorio ameno, certo, quello della Val d’Arno di Sopra (ora anche DOC), collocato tra la piana di Arezzo e i colli fiorentini, dove preservare l’equilibrio è compito primario, trasformando con mano leggera, quasi invisibile. L’uva è raccolta a mano, vendemmiata in cassette, con grande selezione effettuata in vigna. L’azienda poi, che può contare su 270 ettari complessivi, di cui circa 31 vitati, rende giustizia ai propri intenti lavorando in regime bio fin dal 2004 (dagli anni ’90 nella produzione dello - straordinario - extravergine di oliva aziendale, mentre la certificazione delle vigne è del 2015) ed immettendo sul mercato prodotti mirabili, ripetutamente votati fra i migliori al mondo. L’apoteosi del lavoro profetico svolto a Petrolo è per l’appunto il Vigna Galatrona, un vino metamorfico, travolgente, capace di emozionare ad ogni nuova uscita, con la sua olfazione di ribes rosso, con finale di scorza di sanguinella e alloro, bocca croccante-salmastra, con ritorno agrumato e finale persistente, mentolato. Un’etichetta-icona, esattamente come la cantina che lo produce.


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NEWS

di Alberto Cauzzi

LA NUOVA GUIDA DEI RISTORANTI DE

L’ESPRESSO ON THE ROAD

La nuova guida dei “100 ristoranti d’Italia de L’Espresso 2024” è stata presentata il 21 Novembre al Teatro Nazionale CheBanca! di Milano. Molte le novità, a partire dal nuovo direttore Andrea Grignaffini, classe 1963, che si è contornato di una squadra ridotta, circa 30 ispettori, ed una struttura piatta e non piramidale, privilegiando la responsabilità e l’importanza dei singoli ispettori, guidati direttamente da una mano unica. Un gruppo di persone che ha girato il lungo e in largo lo stivale per selezionare i migliori 1.000 ristoranti d’Italia, con l’obbligo di dover visitare almeno il 50% dei ristoranti fuori dalla propria regione di residenza. Una selezione molto elitaria, di alto livello e decisamente improntata sulla qualità. I mille ristoranti sono suddivisi in due grandi gruppi: i primi 500, che riceveranno la valutazione in cappelli – da 1 a 5 – accompagnati dall’introduzione del punteggio in 20imi a fianco. Una novità che si affianca alla modulazione di una scala di voto ben più rigida e stringente degli anni passati – si pensi che i 4 e 5 cappelli passeranno da un numero di 52 complessivi della scorsa edizione a un numero di 35 di quest’anno (il 30% in meno). Il o i cappelli conquistati quest’anno definiscono quindi una élite composta da 500 ristoranti di elevata qualità. Una scala di valutazione più severa che rende i ristoranti premiati con i cappelli ancora più esclusivi, la punta di diamante della ristorazione italiana. L’anno 2022 si era chiuso con la guida espresso che aveva premiato più di 1.000 ristoranti con l’assegnazione dal cappello sino a salire ai 5 cappelli, quest’anno il numero si è ridotto a 500. Essere un cappello L’Espresso quest’anno è sicuramente più gratificante, per via della selezione estrema ed accurata effettuata. E così a salire. A fianco di questi 500 ristoranti d’élite altri 500 ristoranti, non punteggiati e senza cappello, che rappresentano il meglio della qualità espressa, a più livelli, della ristorazione italiana. Un mondo eterogeneo fatto di vecchie glorie e grandi ristoranti storici ancora in auge, giovani rampanti che stanno proponendo una cucina nuova e fresca e che entrano nell’anticamera dei grandi, le grandi trattorie italiane e i ristoranti materici (specializzati in carne, pesce, vegetali e chi più ne ha più ne metta) che esprimono l’eccellenza

della qualità ristorativa italiana. Un pout pourri variegato che punta a rendere visibile la qualità a tutto tondo della ristorazione italiana. E le novità non finiscono qui: a fianco dei cappelli ricompare il cappello d’oro per quei ristoranti che hanno fatto la storia dell’alta cucina italiana. Come per i senatori a vita della Repubblica italiana i nominabili tra i cappelli d’oro saranno massimo 10 e non di più. Quest’anno ne avremo 5 che continueranno ad essere valutati, con voto e cappelli, come tutti gli altri ristoranti ma saranno investiti di questo ulteriore fregio e merito. E poi c’è il cappello di platino, che suggella il pranzo dell’anno, e che quindi può cambiare ogni anno ed essere assegnato anche a ristoranti non necessariamente al vertice. Un riconoscimento, della durata di un anno e variabile, che può decretare un vincitore diverso per ogni uscita della guida. La guida ha un indirizzo improntato alla valorizzazione dei giovani, vero futuro della ristorazione contemporanea, e alla particolare attenzione verso le grandi cucine d’avanguardia italiane, forse ancora non sufficientemente considerate, ma che, ricordando la celeberrima frase di Oscar Wilde “La tradizione è una innovazione particolarmente riuscita” con le loro sperimentazioni aprono le porte alla cucina e alle strutture del futuro. La guida dei ristoranti de L’Espresso è una guida Gastronomica, indirizzata a tutti i food lover e appassionati gourmet d’Italia e non solo che vogliono scoprire le realtà interessanti della nostra bellissima Nazione ed assaporare cucine originali, intriganti e particolari. Siamo orgogliosamente una guida Gourmet e continueremo ad esserlo. Nei prossimi appuntamenti approfondiremo, regione per regione, i risultati della classifica e le novità in guida. A presto!


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THE ITALIAN TRAVELLER

di Chiara Buzzi

FUGA CARAIBICA IN FAMIGLIA A GUADALUPA, FIRMATA

CLUB MED

Con l’arrivo della pausa natalizia pensare a mete calde, lontane e possibilmente tropicali capita a tutti, come se ognuno di noi incappasse in quel momento di debolezza e nostalgia dei mesi estivi. C’è chi riesce a tradurre questo semplice pensiero in azione, organizzando un viaggio che coinvolga tutta la famiglia, compresi i più piccoli. Per quanto viaggiare con i bambini non sia mai banale, ci sono sicuramente dei contesti protetti in cui essere facilitati e allo stesso tempo sentirsi in vacanza (per davvero!). Il circuito dei Club Med è storicamente uno di quegli organismi che, un po’ in tutto il mondo, è riuscito a creare degli standard di ospitalità piuttosto omogenei, offrendo un’incredibile varietà di attività ad un buon rapporto qualità prezzo. Il livello medio delle strutture non è mai stato proiettato verso il lusso, piuttosto si è focalizzato sul fornire altri modelli di comfort e servizi. Ampi spazi esterni, ottime palestre e campi indoor per attività sportive, gare e competizioni per i più dinamici, attività motorie, ludiche, intrattenimenti serali per tutte le età e serate a tema. Il criterio utilizzato a livello globale per valutare le strutture è da sempre il tridente del logo. Negli ultimi anni – a riprova che anche in queste tipologie di strutture la richiesta si è spostata verso comfort maggiori – una serie di strutture è stata concepita con quattro punte nello stemma del tridente, ad indicare il livello di categoria superiore. Un caso esemplare in questo senso è il Club Med La Caravelle di Guadalupa, nelle Antille francesi. Facilmente raggiungibile con un volo diretto da Parigi (e con un breve collegamento con l’Italia per chi parte da qui), questo resort offre l’impareggiabile opportunità di ritrovarsi a passeggiare su spiagge bianche e mare cristallino con figli intrattenuti e felici. Oltre al classico kids club che accoglie i ragazzi dal quinto o sesto anno di età, qui è possibile affidarsi al baby club, pensato per i più piccoli. Concettualmente vi ritroverete nella condizione di avere vostro figlio iscritto a un nido bilingue per i giorni previsti dalla vacanza, impegnato in attività indoor e outdoor (compresa la piscina) e voi genitori liberi di godere delle opportunità del posto. Sogno o son desta? Escursioni in barca, sessioni di diving, visite culturali, gite nelle città limitrofe oppure, semplicemente, un po’ di meritato riposo. Per esempio, qualora sceglieste una giornata in catamarano, che prevede una partenza piuttosto repentina la mattina, il nido sarà avvisato per poter essere presente extra-orario e tenere la vostra bimba o il vostro bimbo fino alla sera, quando ritornerete. Non è obbligatorio iscrivere i ragazzi, ma è fondamentale per un genitore sapere di avere questa possibilità in una delle poche finestre di ferie che si hanno durante l’anno. A differenza di alcune delle isole minori dei Caraibi, le dimensioni significative di Guadalupa vi daranno la possibilità – sempre tramite il resort – di affittare una macchina e fare escursioni di giornata verso alcune note distillerie di rum. Questa è infatti la patria per la produzione di rum agricolo, derivante dalla fermentazione del puro succo di canna da zucchero, dove ancora è possibile vedere operative, distillerie centenarie, piuttosto rudimentali ma ancora conservano il fascino (e la qualità!) di produzioni artigianali e fuori dalla nostra immaginazione. Continua a leggere sul sito


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(ALMENO) UNA VOLTA NELLA VITA di Penelope Vaglini

LA RESERVE

LUSSO DISCRETO NELLE VILLE PRIVATE DI LANZAROTE Sull’isola più affascinante delle Canarie nasce un concetto di villeggiatura unico al mondo, che privilegia contatto con la natura, privacy e relax. Con il servizio esclusivo di un destination concierge a disposizione degli ospiti VIP de La Reserve Con il suo paesaggio lunare e le spiagge a perdita d’occhio che si stagliano su uno sfondo costellato di crateri vulcanici, l’isola di Lanzarote è tra le destinazioni più ambite delle Canarie, oggi protagonista di uno sviluppo dell’ospitalità che punta sul segmento del lusso. Esempio emblematico è La Reserve, inedito concetto di villeggiatura legato a servizi esclusivi e ambienti di privacy, localizzato in una porzione dedicata ai clienti più esigenti del Paradisus by Melià, hotel destination inclusive cinque stelle di Melià Hotels International. La differenza rispetto ad altre strutture è quella di poter soggiornare in ville con piscine private o in suite con vista mare e vasche idromassaggio sulla terrazza, contando su un pacchetto che include visite guidate ai punti più affascinanti dell’isola, un’area pool e una lounge dedicata dove rilassarsi e godere di snack tutto il giorno, a partire dalla prima colazione. Oasi di pace, La Reserve è ospitata all’interno di uno degli edifici più celebrati dell’architettura internazionale, dichiarato patrimonio artistico e culturale dell’isola e da poco ristrutturato. Progettato negli anni ’70 dall’architetto spagnolo Fernando Higueras, il complesso di Paradisus by Melià a Salinas porta anche il segno di César Manrique, eclettico artista e architetto di fama internazionale, originario di Lanzarote. Gli accessi alle camere sono distribuiti su una porzione di verde interno dove scorre a ritmo continuo un fiume d’acqua, mentre le aree esterne sono costellate di piante tropicali, per un totale di oltre 300 specie differenti. La piscina principale è un’opera d’arte che riprende lo stile di Manrique, declinato in 1800 metri quadri di fondale bianco e rocce vulcaniche nere a contrasto. Ma è la Presidential Villa de La Reserve a rappresentare al meglio il lusso discreto che gli ospiti VIP del resort adults only di Lanzarote si possono concedere. Collocata all’interno del giardino tropicale del Paradisus, nell’area più silenziosa del resort a pochi passi dalla spiaggia, si sviluppa su una superficie di 180 metri quadri. Come un rifugio immerso nella natura, è composta da due edifici separati da un giardino dalla terra nera vulcanica e una piscina di acqua salata da cui si può ammirare l’Atlantico increspato dai venti che lambiscono le coste dell’isola tutto l’anno. Un’area sopraelevata e coperta consente di pranzare con vista mare e cenare al lume di candela godendosi una fresca brezza serale, mentre la zona solarium a bordo piscina consente agli ospiti VIP di rilassarsi al sole in totale privacy. Continua a leggere sul sito


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COCKTAILS & DREAMS di Carlo Carnevale

ORGOGLIO SCOZZESE Pochi altri prodotti sono assurti a simbolo di una cultura come lo scotch whisky. Più o meno torbato, scegliete il vostro preferito e non dimenticate di provarlo in miscelazione Se il bourbon, cugino statunitense, rappresenta l’ideale di bevuta morbida e avvolgente, lo scotch whisky è l’ideale di fierezza, spessore e perché no ruvidità tipiche del popolo da cui prende il nome, e che permettono quindi un’esperienza di degustazione insolita e mai banale. A seconda della morfologia del luogo in cui le distillerie poggiano, variano i sentori del prodotto, testimone di una tradizione secolare e di tecniche che ancora oggi, nella loro classicità, rimangono ineguagliate. L’orzo maltato rimane il principe, nelle etichette più pregiate: i cosiddetti single malt sono quei whisky prodotti da una singola distilleria con null’altro che acqua e malto. Differiscono dai single grain, che pur derivando da una singola distilleria accettano l’aggiunta di altri cereali. Una miscela delle due tipologie dà vita ai blended whisky. Enormi le variazioni di stile a seconda delle latitudini: la salinità potente delle distillerie di Islay, a Sud della Scozia; le note più tenui dello Speyside, dal lato opposto a Nord, ciascuna regione con le proprie peculiarità. Nessuna più distintiva della leggendaria torba: l’ammasso di residui naturali e organici che le acqua scozzesi restituiscono, pregne d’acqua e di acidità, alle spiagge, e che i distillatori raccolgono e incendiano. Il fumo che deriva dai falò viene diretto verso il malto, prima della fase distillazione, conferendo così al liquido finale i suoi distintivi sentori di sale, torrefazione, cioccolato. Protetto da un disciplinare che ne impone la produzione entro i confini scozzesi, lo scotch whisky (ricordate l’assenza della e, a differenza dei distillati parenti) ha ampiamente travalicato la sua nazionalità, collezionando amatori ovunque nel mondo: solo a inizio settimana si è peraltro conclusa la diciottesima edizione del Milano Whisky Festival, una rassegna contenuta e di alto profilo, presso l’ex orfanotrofio del Palazzo delle Stelline, che mette in mostra il meglio delle etichette disponibili sul mercato nazionale, grazie agli sforzi degli importatori che vi si dedicano. Continua a leggere sul sito


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GASTROCKNOMIA

di Giovanni Aragona

L’INNO VEGGIE DEI BEACH BOYS LUNGO 56 ANNI In questo numero di GastROCKnomia vi raccontiamo di Vegetables, canzone pubblicata sul loro album del 1967 intitolato Smiley Smile In epoche di cambiamenti climatici e alimentari, non potevamo non concentrarci sulla cucina salutare. Non entreremo in dispute da bar dello Sport, ma ci soffermeremo a una delle categorie meno intransigenti del panorama: il vegetarianismo. Diventare vegetariani è una scelta di vita e ciò necessita di escludere tutti gli alimenti di origine animale dalla propria dieta. Specifiamo che, un prodotto è vegetariano quando non comporta l’uccisione di animali e non contiene OGM. La dieta vegetariana però non riguarda solo la sfera prettamente alimentare ma abbraccia una visione di senso del reale molto più profonda che non si limita meramente al nutrimento. Partiamo dal lato del consumo: la rinuncia alla carne animale è alla base e con esso tutto il carrozzone degli insaccati e del pesce. Il giusto apporto proteico è garantito dai legumi, dai prodotti a base di soia e dagli integratori. Si tratta di una scelta anche etica, perché basata sulla non violenza verso tutti gli animali. Nel lontano 1967 la surf-rock band più famosa della storia, i Beach Boys, imbastirono una delle canzoni più avanguardiste e attuali sul tema: Vegetables, pubblicata sul loro album del 1967 intitolato Smiley Smile con AL Jardine e Brian Wilson alla voce.

TESTO I’m gonna be round my vegetables I’m gonna chow down my vegetables I love you most of all My favorite vege-table If you brought a big brown bag of them home I’d jump up and down and hope you’d toss me a carrot I’m gonna keep well my vegetables Cart off and sell my vegetables I love you most of all My favorite vege-table Oh oh taba vega vegel I tried to kick the ball but my tenny flew right off I’m red as a beet ‘cause I’m so embarassed Oh oh dum do dum de dooby do Oh oh dum do dum de dooby do Oh oh dum do dum de dooby do oh yeah Oh badumday oh dum do dum de dooby do Oh badumday oh dum do dum de dooby do Chomp chomp chomp chomp do-do-do do-do-do Bop bop bop bop do-do-do do-do-do I know that you’ll feel better When you send us in Your letter an’ Tell us the name of your Your favorite vege-table I know that you’ll feel better When you send us in Your letter an’ Tell us the name of your

Quando Brian Wilson si mise a scrivere Smiley Smile, dodicesimo album in studio dei Beach Boys, voleva che il disco diventasse un inno al cibo salutista e alla cultura del corpo ben nutrito e allenato degli anni Sessanta – più o meno il periodo in cui le verdure furono scoperte per le loro proprietà nutritive e non, fino alla Seconda Guerra Mondiale, come unica forma di sussistenza rurale. Non è un caso dunque che Vegetables abbia, nei toni e nelle parole, l’imprinting di una ballad per bambini, quelle che le mamme usano per convincerli a mangiare le verdurine che mettono loro nel piatto. Avete necessità quindi di far mangiare bene i vostri pargoli? provate a far ascoltare questa canzone e il risultato sarà (quasi) strabiliante.

Your favorite vege-table


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WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

https://guideespresso.it/wp-content/uploads/2023/09/SITO1-3.jpg GUERIDON E DINTORNI di Alberto Cauzzi

L’INGEGNERE DEL VINO Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo. Oggi ne parliamo con Ciro Fontanesi, coordinatore ALMA Wine Academy presso ALMA, la scuola internazionale di cucina italiana.

Caro Ciro come hai iniziato questa professione e perché? La mia storia parte da lontano, ho iniziato fin da piccolo ma ancora non sapevo sarebbe diventata la mia strada. Vengo da Castel D’Ario (castlàr, in dialetto mantovano), un piccolo paese nella campagna tra Mantova e Verona famoso per aver dato i natali a Tazio Nuvolari, straordinario pilota tra gli anni ‘20 e ‘50 e del riso alla pilota (riso Nano Vialone) piatto di epifanica bontà (almeno per me). In quelle zone la vita scorre lenta (strano per aver dato alla luce uno dei piloti più veloci di sempre) e scandita dal tempo della natura. Io aspettavo da bambino sotto il sole estivo il rientro di una Vespa con a bordo colui che avrebbe portato da pulire decine e decine di rane che vivevano attorno alle risaie e il cui gracidare di notte nei fossi pieni di erba pesce (pavarina in dialetto veneto) è ormai un ricordo che accende in me momenti di felicità incontrollata. Il contatto con quella materia prima, il piacere di vederla cucinata, associata al riso e abbinata ad un Duralex di Lambrusco fresco hanno acceso in me la passione che contraddistingue ciò che faccio quotidianamente. Parlo di passione e non professione volontariamente (anche se non si vive senza monetizzare il proprio tempo) proprio per ciò che è sempre stato questo aspetto della mia vita. Mi sono laureato in Ingegneria Civile, sarebbe sta-

to quello il mio futuro professionale e il vino e il cibo due compagni di viaggio che avrebbero dato modo di fuggire dallo stress del lavoro. Così non è stato. Dopo aver frequentato il corso del Master sul vino ad ALMA tutto è cambiato. Andrea Sinigaglia, Direttore di ALMA, terminati i miei studi mi chiede: “Ti andrebbe di restare a gestire questa branca della scuola?”. Io lo guardo e rispondo di non averne le competenze. Ma forse lui ha visto qualcosa che nemmeno io avevo visto. Sfido me stesso, metto in un cassetto una laurea presa con non poca fatica, e ci provo. Così è stato, e così oggi mi trovo a scrivere questa intervista avendo fatto esperienze in alcuni dei luoghi culto della gastronomia italiana. Il tuo bilancio di questi 12 anni di carriera qual è? Il mio bilancio non è ancora in equilibrio. Se penso ad una bilancia uno dei due piatti è ancora troppo “scarico” e il fulcro non si è ancora assestato. Manca ancora tanta esperienza da fare sul campo ed ogni aggiornamento apre scenari davvero vasti. Ma forse questo equilibrio di perenne instabilità è il motore che ogni giorno ci pone nuove sfide da accogliere e ci costringe ad alzare il livello sempre di più. In questi anni abbiamo visto passare molti professionisti e ci stiamo adattando ai cambiamenti per quanto riguarda la formazione. Continua a leggere sul sito


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TERRITORI A TAVOLA

di Matteo Calzaretta

PROVINCIA DI AOSTA Viaggio nell’Italia dei sapori: cosa mangiare in Valle d’Aosta, per scoprire un territorio unico del Belpaese, ricco di storia e di enorme valore enogastronomico Lasciando il sapore del mare in provincia de La Spezia, ci addentriamo nella parte nord-occidentale per raggiungere Aosta, unica grande provincia della regione Valle d’Aosta, immersa nel territorio alpino. Come tutte le regioni italiane, anche la Valle d’Aosta ha un’antica e interessante tradizione enogastronomica, basata principalmente sui prodotti dell’allevamento: formaggi e salumi, ma anche prodotti agricoli della montagna quali patate, segale, castagne, mele, pere, piccoli frutti e ortaggi come cavoli, porri, insalate e legumi. Numerose anche le erbe selvatiche usate per insaporire i cibi. Eccellente la produzione di miele, in prevalenza millefiori. La Fontina è, per antico riconoscimento, il prodotto forse più noto della regione. Questo formaggio vaccino, a latte crudo intero, viene preparato da giugno a settembre in alta montagna, con una transumanza altitudinale che permette di sfruttare gli alti pascoli naturali. Si tratta di un prodotto artigianale, realizzato con razze di mucche locali, che ogni giorno vengono portate a pascolare liberamente nei prati di montagna, ricchissimi di fiori. Il risultato è un formaggio appetitoso, molto duttile, adatto a numerose preparazioni gastronomiche, ma che offre il massimo se gustato con un pane di segale o con delle patate lesse. La fontina è l’ingrediente principale della Fonduta valdostana, diversa da quella svizzera, ma con latte e tuorlo d’uovo che può accompagnare un’infinità di pietanze. Il pane di segale è stato per secoli un prodotto essenziale nell’alimentazione delle comunità alpine, con campi coltivati fino a 1.800m di quota. In tutti i villaggi abitati stabilmente si ritrovano mulini e forni comunitari. Oggi, i campi coltivati a segale sono pochi ma si è ripresa in molti villaggi la tradizione della cottura del pane, anche come momento di aggregazione sociale. La necessità di conservare la carne ha spinto l’uomo, nei secoli, a mettere a punto delle tecniche, basate sulla salatura e l’essiccazione, che hanno permesso di realizzare una varietà di salumi molto saporiti. I due prodotti DOP sono il lardo di Arnad e lo Jambon de Bosses (un prosciutto crudo). Il lardo è ricavato dal dorso del maiale che, ripulito dal grasso eccedente, giunge negli stabilimenti di produzione per essere adeguatamente lavorato. Entro 48 ore dalla macellazione, il dorso del maiale, tagliato in pezzi di forma rettangolare, viene collocato in appositi recipienti di legno chiamati Doils nei quali è sottoposto allo speciale processo di stagionatura. Lo Jambon de Bosses è molto più di un prosciutto crudo, è un’espressione raffinata di una cultura, il sapore di un’antica tradizione, il valore di un piccolo ma importante angolo della Valle d’Aosta. Prosciutto crudo di coscia suina nazionale, salato con una preparazione a base di sale marino ed erbe della Valle d’Aosta certificate; viene stagionato ad una quota di 1600m per almeno 12 mesi.

Tra i piatti tipici troviamo la seupa à la vapelenentse (zuppa alla moda di Valpelline), una ricetta storica, una zuppa piuttosto asciutta, gratinata in forno, a base di pane bianco raffermo, brodo di cavolo, burro, fontina e cannella. Altro piatto valdostano è la polenta concia, semplice piatto a base di polenta e fontina, con eventuale aggiunta di burro fuso, gratinato in forno.

Apparentemente il territorio alpino della regione sembrerebbe non adatto alla viticoltura, in realtà la valle centrale, a quote contenute, con un versante ben esposto a sud e scarse precipitazioni, è ideale per la coltivazione di diversi vitigni, sia internazionali che autoctoni. Il terreno, quasi ovunque scosceso, richiede un lavoro quasi totalmente manuale. Questa attività eroica permette di produrre piccole quantità di vino di alta qualità. Il clima, con elevate escursioni termiche tra il giorno e la notte, specie nelle ultime settimane prima delle vendemmie (che si svolgono tardi), favoriscono la produzione di profumi e colori. Il clima secco consente poi di limitare moltissimo i trattamenti con anticrittogamici per fornire vini di elevata qualità. Tra i principali vogliamo citare il Blanc de Morgex et La Salle DOC, realizzato con vitigni di Prié Blanc; l’Enfer d’Arvier DOC, che vede la presenza del vitigno Petit Rouge e per terminare lo Chambave Muscat DOC, preparato con uve della tipologia Moscato Bianco. Le vendemmie svolte ad autunno inoltrato con temperature medie più basse permettono di conservare meglio le vinacce per la produzione di eccellente grappa. La Valle d’Aosta ha perciò una buona tradizione nella produzione di grappe e di altri distillati e liquori, come il rinomato genepy, ottenuto dall’infusione in alcol per 40 giorni dello genepy, una piccola pianta pioniera che colonizza le morene e i macereti di alta montagna. L’infuso viene poi diluito con una soluzione zuccherina per ottenere un liquore più o meno dolce di 40-45 °; il liquore dal sapore aromatico e lievemente amarognolo contiene un principio attivo con proprietà digestive. Per concludere, un dolce a base di mandorle, nocciole, zucchero, uova, farina: le tegole valdostane, il cui nome è da attribuire proprio alla loro forma, che richiama quella incurvatura tipica delle tegole.


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ASSAGGI DI LUCE di Stefano Caffarri

Facciamola Corta Il primo passo per sdoganare la pasta secca, considerata troppo popolare per entrare nelle cucine della cosiddetta “alta ristorazione”, fu affrontare lo spaghetto che fu trattato in ogni forma e sostanza. Più sommessamente, e più raramente, fecero i primi passi anche i formati corti, e iniziammo a vedere fusilli, rigatoni, mezze maniche e tubetti. Non con la stessa frequenza ma non è più un’epifania trovare pasta secca corta nei percorsi degli chef. Poi ci sono i paccheri, ma questa è un’altra storia.

Tubetti, lardo, cacao Cristian Torsiello Osteria Arbustico Paestum (SA)

Mezzemaniche con salsa d’acciughe Matteo Metullio e Davide De Pra Harry’s Piccolo Trieste

Trucioli Marchigiani con ragù di rana pescatrice Cesare Grandi La Limonaia Torino

Lumache e lumache Daniele Patti Lo Scudiero Pesaro

Fusilli, kombucha di pere, salsa di Parmigiano Reggiano e alloro Luca Marchini L’Erba del Re Modena

Tubetti con ristretto di pesce, mazzancolle, battuta di calamaro Giuseppe Gasperoni Osteria del Povero Diavolo Poggio Torriana (RN)


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Feed ‘n’ Food

Non riuscite a incrociare il programma in TV? niente paura, Tessa Gelisio propone le ricette e i consigli della buona cucina anche su questa piattaforma.

Ha partecipato a Masterchef 11 e oggi è diventata virale grazie alle sue ricette e alle sue lezioni di giapponese. Simpatia e leggerezza.

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Il cibo più accattivante della Puglia lo trovi ogni giorno su uno dei profili TIktok più esilaranti del web. Non solo cibo ma anche tante sfide.

Francesca Zampollo è una ricercatrice, consulente, relatrice e docente di Food Design online. Un profilo youtube sempre aggiornato e pieno di interessanti spunti.

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