Weekly Enjoy #028

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Pubblicazione settimanale gratuita #028 - 30 Dicembre 2023

Direttore Responsabile: Alessandro Mauro Rossi Coordinamento Editoriale Digital: Carlo Carnevale Grafica e Impaginazione: Beatrice Dalla Paola Direttore Commerciale: Michele Belingheri

WEEKLY ENJOY - IL SETTIMANALE DELLE GUIDE DE L’ESPRESSO

IL SETTIMANALE DE LE GUIDE DE L’ESPRESSO Ogni fine settimana, al vostro indirizzo di posta elettronica, vi verrà recapitato il Weekly Enjoy, un magazine con notizie, servizi, approfondimenti e consigli più interessanti della settimana. Chi ha fame di notizie enogastronomiche può mettersi a tavola. Il servizio è gratuito.


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Carlo Carnevale Coordinatore editoriale digital de Le Guide de L’Espresso

CAPODANNO RISTORANTE SETA AL MANDARIN ORIENTAL Via Monte di Pietà 18 Milano (MI) Tel. +39 0287318897 mandarinoriental.com

VIP: VERY IMPORTANT POSTO di Alberto Cauzzi

RISTORANTE SETA AL MANDARIN ORIENTAL

guideespresso.it

Dove l’eccellenza italiana si fonde con influenze dal mondo: Antonio Guida è il custode dell’alta cucina al ristorante Seta, presso il Mandarin Oriental di Milano Adepti gourmet e gastrofanatici, rallegratevi! Non avete bisogno di cercare oltre. Il Seta si riconferma tabernacolo meneghino dell’alta cucina. Antonio Guida, suo custode. In questo luogo di culto, la sala elegante sorveglia sia il dehors che la cucina con un’offerta culinaria che è essenzialmente un nomen omen. Le setosità di ingredienti francesi si uniscono a contaminazioni orientali fino a confluire verso più didascaliche preparazioni della tradizione italiana, nella fattispecie, pugliese: un riferimento autobiografico dello chef Salentino alle origini. I menu del ristorante Seta compongono un racconto culinario non privo di colpi di scena. Si comincia con la Lièvre à la royale, alleggerita ma costante nel pathos gustativo. Si continua poi con Cime di rapa che seguono costrutti francesi grazie alla salsa maître d’hôtel, acciughe, tartare di seppia e formaggio Comté. Più a Est, Risone con salsa di cervella d’astice, curry e fegatini di pollo, sorprende per la sua struttura polimorfica con l’unione di sapori italiani e d’Oriente. Continua a leggere sul sito CHEF ANTONIO GUIDA

MENU DEGUSTAZIONE € 230 - 240

VIP: VERY IMPORTANT PIATTO di Giampiero Prozzo

VARIAZIONI DI ORATA DELLO CHEF SIMONE NARDONI Variazioni di orata: Tre declinazioni di una materia prima eccellente ed essenziale: la filosofia dello chef di Simone Nardoni, al ristorante Essenza Con il trasferimento da Pontinia a quell’angolo di vetro, pietra e legno sulle spiagge di Terracina e lasciata alle spalle la pausa del lockdown, la crescita del ristorante Essenza e del suo chef Simone Nardoni sembra davvero inarrestabile. A pranzo e a cena qui si propone una idea di cucina che si configura come convincente interpretazione di cucina italiana contemporanea. I suoi viaggi e le sue esperienze oltre l’affinamento della tecnica sono votati all’arricchimento di una grammatica del territorio già piena di suggestioni che spazia tra le campagne dell’entroterra e le meraviglie quotidiane dei pescatori locali. Continua a leggere sul sito RISTORANTE ESSENZA

CHEF SIMONE NARDONI

RISTORANTE ESSENZA Via Cavour 38 Terracina (LT) Tel. +39 0773369762 essenza.com

Il 2023 suona le sue ultime note, ed è quindi tempo di un respiro a pieni polmoni, prima di guardare al domani. È il momento, sorvolando per una volta su cosa va e non va, di concederci un augurio tanto sentito quanto semplice: che il nuovo anno possa portare un assestamento della rotta a chiunque ne abbia bisogno (e in fondo se ne ha bisogno tutti). Agli osti, per ricordare che più delle sperimentazioni fini a se stesse e alle elucubrazioni a favore di social, valgono i conti in regola e i sorrisi degli ospiti; ai consumatori, per riconsiderare le esperienze del fuori casa come quello che sono, privilegi che vanno celebrati esigendo il giusto e godendo di più, soffiando via le nuvole del voler apparire e del voler per forza dire. A noi comunicatori, per continuare a sostenere la ristorazione con genuino entusiasmo, ricerca di competenza e fame di divulgazione. Buon 2024. Carlo Carnevale


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CIOCCOLANDIA

di Antonio Franchi

DOMORI: L’ANIMA DEL CIOCCOLATO Uno dei migliori in assoluto! Domori (domori.com), azienda fondata nel 1997 da Gianluca Franzoni, oggi appartenente al Polo del Gusto, la holding del gruppo Illy, è stato il primo produttore di cioccolato (ora di dimensioni industriali, pur mantenendo un livello qualitativo di eccellenza) ad utilizzare soltanto il cd. cacao “fine” (anche denominato “aromatico”, essendo appunto caratterizzato da svariate note aromatiche, prive di difetti), generalmente classificato nelle tre categorie di Criollo (decisamente aromatico e dalla rotondità assoluta), Trinitario (dagli aromi tipici del Criollo e dalla robustezza tipica del Forastero, il cacao più diffuso, ma non classificabile come fine per la scarsa aromaticità) e Nacional (un particolare Forastero, presente in Ecuador, caratterizzato da un’aromaticità assimilabile a quella del Criollo); ed è stato il primo produttore a realizzare una tavoletta 100% Criollo. Domori è stata, poi, la prima azienda a dotarsi di un Codice di Degustazione del Cioccolato, al fine di fissare le innumerevoli note sensoriali del cacao aromatico. L’intera filiera produttiva è meticolosamente controllata e il cacao viene attentamente selezionato da esperti, che ne individuano il profilo qualitativo e le caratteristiche sensoriali. La tostatura del cacao avviene a bassa temperatura, così da aversi la massima esaltazione del profilo aromatico, mentre il metodo di lavorazione prevede la macinazione all’interno di uno speciale mulino a biglie di acciaio; ciò che permette di evitare la fase del concaggio e il mantenimento delle componenti aromatiche naturali del cacao impiegato. Altra importante caratteristica della lavorazione di Domori risiede nella composizione della ricetta: al cacao (ridotto in pasta) viene aggiunto soltanto zucchero di canna; non vengono aggiunti emulsionanti, aromi artificiali o ulteriore burro di cacao oltre a quello presente nelle fave di cacao utilizzate. I risultati sono straordinari e negli anni Domori ha collezionato importanti premi e riconoscimenti a livello internazionale. Tra i prodotti realizzati nello stabilimento di None (Torino) si segnalano, tra gli altri, le tavolette, anche nel formato maxi da 500 gr., le tavolette della Linea Signature (Arriba Nacional fondente 64% e Arriba Nacional latte 43%) realizzate in collaborazione con Fabrice Gillotte, incoronato Meilleur Ouvrier de France, Chocolatier - Confiseur nel 1991, le tavolette limited edition (cd. “monovarietali”, realizzate con cacao Criollo del Venezuela - Porcelana, Chuao e Guasare - in percentuale del 70%), i cioccolatini (in particolare i gianduiotti e i cremini, ma anche i cuneesi, i tartufi, i napolitains), i dragéee, oltre alla frutta ricoperta e alle creme spalmabili e ad una serie di altri prodotti di eccellente qualità. Da sottolineare, infine, l’acquisizione da parte di Domori dell’azienda inglese Prestat (prestat.com), uno dei brand più apprezzati nel Regno Unito, titolare di ben 2 Royal Warrant (uno del 1975 e uno del 1999), il prestigioso riconoscimento tributato ai fornitori della Casa Reale britannica. Acquisizione che consente a Prestat l’importante accesso alla materia prima utilizzata da Domori e al metodo di lavorazione da questa impiegato.

PERSONAGGI

GIANCARLO GODIO “Vi diranno che sono stato un caposcuola ma io sono soltanto un uomo semplice, prigioniero di una dolce ossessione: quella dei sapori” Siamo nei primi anni ‘70 in uno scenario culinario italiano dove l’unico deus ex machina è l’integerrimo sapere delle massaie. Specularmente, la genesi di Giancarlo Godio parte da più lontano, a Parigi. Immerso nella brulicante capitale dell’alta ristorazione, lo chef avverte sin da subito che quella per la cucina dunque è una sorta di predestinazione e torna in Italia. Insieme alla moglie Elizabeth si stanzia a Fontana Bianca nella Val d’Ultimo una località di montagna inaccessibile e isolata presagio che forse Cristo si fosse fermato ben prima di Eboli. Proprio qui, Godio prende in gestione la mensa dell’Enel dove interrompe la distribuzione in serie di anonime paste al sugo e cotolette. In una saletta appartata, nasce la Genziana. Il locale più che un ristorante, è il companatico di un riservatissimo cuoco ossessionato dai sapori. E sarebbe rimasto tale se non fosse che un fatto di cronaca nera punta le telecamere su quelle valli. I giornalisti si riversano per le strade impervie cercando riparo dall’inverno rifugiandosi nella mensa di Godio. Ben presto quel trompe-l’œil di lamiere verdi insorge a cucina indimenticabile in un posto dimenticato. Le Guide dell’Espresso lo segnala come uno dei migliori ristoranti d’Italia con il punteggio di 16/20 e i ricchi e famosi pretendono avidamente un posto alla Genziana. Tra questi, Enzo Ferrari, Reinhold Messner, Giulio Andreotti. Giancarlo Godio fu prima pensatore e poi irriducibile eremita gastronomico. Suggella un patto agropastorale con la montagna mediante quella cucina che pur raccontando il passato, sperimentava un nuovo futuro. Per Godio ogni preparazione è l’intento di assoggettare le tradizioni ai puri tecnicismi della haute cuisine. Nessun effetto speciale, semplice e pura stratificazione di tecnica su accostamenti. Una filosofia circolare che si presta a far evolvere i suoi stessi capisaldi. Come quella zuppa contadina ripensata per ristabilire la supremazia della cottura sull’ingrediente oppure il budino di baccalà, lumache in umido con finferli o ancora il ceppo del cannibale: un pezzo di faggio scorticato su cui viene avvolta e cotta la carne che poi va gustata come fosse una pannocchia. La storia di questo cuoco è una storia conchiusa: il 13 ottobre 1994 Godio è su un piccolo velivolo di ritorno dall’Istria. Il Trinitad TB20 si schianta contro la parete rocciosa del Campomolon. Moriranno tutti e tre i passeggeri a bordo. Nella languida solitudine della montagna finisce ciò che era iniziato.


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CAVIALE CON SORPRESA LE BUONE COSE… di ANDREA GRIGNAFFINI L’esperto svela tutti i segreti per preparare e gustare al meglio gli ingradienti della settimana.

Uova di storione cotte e messe sott’olio. Antica ricetta tramandata da una cuoca kosher e riscoperta in un agriturismo ferrarese

Una specialità unica al mondo e profondamente radicata nel territorio di produzione, patria di una nobile e centenaria lavorazione che ha rischiato di essere dimenticata. Strappato dall’oblio gastronomico, il caviale ferrarese si ottiene dalle uova di storione lavorate secondo un’antica ricetta rinascimentale elaborata presso la fastosa corte dei Duchi d’Este dal celebre Cristoforo di Messisbugo, lo scalco del Duca Alfonso I d’Este. Una delicata cottura al forno che esalta con massima gentilezza le proprietà organolettiche delle uova, la conservazione sott’olio e una parsimoniosa salatura, assimilabile ai migliori “malossol”, determinano la peculiare e vellutata eleganza di sapori di questo prelibato caviale cotto unico nel suo genere. Tra XIV e XV secolo, nel pescoso Po c’era un’incredibile abbondanza di storioni, anche di notevoli dimensioni, da cui attingere la preziosa materia prima: il Caviale Ferrarese rappresentava così il gioiello dei sontuosi banchetti di corte, una delizia nota ai regali palati di tutta Europa. Tuttavia,

con la fine della dinastia degli Este, la popolarità di Ferrara e del suo caviale vennero meno. Il prodotto tornò in auge solo nel 1930, preparato secondo segretissima ricetta nella piccola bottega di gastronomia kosher della “Nuta”, al secolo Benvenuta Ascoli, a cui successe Matilde Bianconi sino al 1972. Da allora, complice il rarefarsi di storioni nel Po, della leccornia ferrarese e della sua preparazione si persero nuovamente le tracce. Oggi, il prodotto rivive grazie al rocambolesco ritrovamento della ricetta della Nuta nella comunità ebraica di New York, all’utilizzo di storioni di alta qualità provenienti da un allevamento italiano e alla tenacia di una donna che molto si è adoperata per riportarlo sulle nostre tavole: dal 2009 Cristina Maresi, cuoca e titolare insieme al marito dell’Agriturismo Le Occare, tavola incantata nei pressi di Ferrara, lo produce alla maniera della Nuta per venderlo in vasetti da 30 o 100 grammi e consacrarlo, proprio come accadeva all’epoca degli Este, protagonista delle più raffinate pietanze in menù.


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BOLLICINE CHE PASSIONE

IL BUON VINO… di LUCA GARDINI Conosciuto anche come The Wine Killer, grazie al successo del suo sito, redatto interamente in lingua inglese e dedicato alle sue degustazioni di vini da tutto il mondo, GardiniNotes. com, Luca Gardini è oggi uno stimato wine-critic a livello internazionale.

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Bollicine e Capodanno, un legame inscindibile, la maniera universalmente riconosciuta per celebrare la fine di un anno e augurarsi il meglio per quello a venire. Ecco allora la mia scelta per voi, con tanti auguri! GUIDO BERLUCCHI (1) Franciacorta DOCG Riserva Palazzo Lana Extrême 2011 Una delle bottiglie simbolo del Franciacorta. Pinot Nero in purezza affinato sette anni sui propri lieviti, al naso note di bergamotto, poi nettarina e scorza di arancia, con sfumature di glicine. Al gusto teso e croccante, salato e persistente. MAS DEI CHINI (2) Trentodoc Inkino Nature Millesimato 2017 Raffinatissima bollicina trentina, da Chardonnay in purezza, freschezza all’olfazione, note di gelsomino, sentori di susina gialla e frutta secca tostata, la bocca è sapida, con sfumature officinali e tocchi agrumati. Eccellente persistenza, chiusa su richiami floreali e di frutta dalla polpa gialla. ÇOBO (3) Sparkling Wine Metodë Klasike Brut Nature Shendeverë Silver 2019 Etichetta che conferma l’eccellenza di una manifattura di grande tradizione, da Puls in purezza rifermentato in bottiglia, 36 mesi sui lieviti: rende giustizia al suo nome, “gioioso” in albanese. Albicocca, tocchi di zest di cedro e salvia fresca al naso, al palato salmastro-iodato, con ritorno agrumato e sentori officinali. Chiude su sensazioni fruttate. HENRIOT (4) Champagne Grand Cru Cuvée Hemera 2008 Una casa vinicola fondata nel 1808, qui in una cuvée emblematica, da blend 50-50 di Chardonnay e Pinot Nero, note di albicocca bianca al naso, sfumature di salvia e zest di clementina. Beva salmastro-sapida, con ricordi di frutta gialla e sensazioni agrumate. BRUNO PAILLARD (5) Champagne Grand Cru Blanc de Noirs Una maison entrata nella leggenda, etichetta proveniente da quattro Grand Cru e terreni gessosi, parziale passaggio in legno per la fermentazione e 36 mesi sui lieviti. Freschezza al naso, ciliegia rossa, biancospino, sfumature di pepe bianco e mela cotogna, il sorso è salino, molto persistente. Richiami di frutta a polpa rossa sul finale.

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(ALMENO) UNA VOLTA NELLA VITA

di Penelope Vaglini

BERE COME UNA VOLTA, LA COCKTAIL LIST VINTAGE DEL

CONNAUGTH BAR I cocktail classici hanno un fascino senza tempo e a Londra, nel pluripremiato bar all’interno del luxury hotel The Connaught, diventano ancora più speciali grazie a una cocktail list vintage Il glamour delle epoche passate oggi è riletto dai più grandi cocktail bar del mondo attraverso drink classici realizzati con spiriti vintage, rari e dalle particolari sfumature di gusto, date dalla lunga permanenza in bottiglia. “La cocktail list vintage nasce dalla voglia di offrire qualcosa di unico ai nostri ospiti che mostrano un interesse sempre più spiccato verso i classici”, racconta Perrone. “Questi non sono drink senza tempo, ma piuttosto miscele che vengono continuamente cambiate dal tempo che le tocca. Godono dei lustri del passato, rievocano decadi e occasioni che ogni ospite interpreta a modo suo e collega a esperienze personali. Il valore che la drink list vintage aggiunge alla nostra offerta è importante, specialmente se il range di distillati è variegato, permettendo di fornire di volta in volta nuovi spunti narrativi”. D’accordo anche Bargiani: “La cocktail list vintage è un’esperienza liquida unica poiché varia a seconda delle annate di distillati che riusciamo a trovare sul mercato. L’unicità non sta solo nel fattore di tempo e reperibilità, e quindi emotivo, ma anche nei profili degli spiriti che evolvono, ognuno in maniera propria e inaspettata. Sono prodotti che arrivano da un altro tempo, con altre regole di produzione, altre materie e un altro ambiente”. Così, accanto ai signature drink di Synergia, menu lanciato pochi mesi fa per celebrare i 15 anni del cocktail bar di Mayfair, una cocktail list di sette miscele preziose mette a disposizione degli ospiti una scelta che varia fra le 130 e le 2210 sterline a bevuta. In apertura non poteva mancare il Martini, masterpiece che al Connaught Bar ha anche un suo carrello speciale, che permette ai mixologist di realizzarlo di fronte all’ospite, personalizzato con cinque differenti bitter. La versione vintage è creata con due spiriti degli anni ’70: Gordon’s Dry Gin e Martini Extra Dry. Si passa poi al Vintage Negroni, preparato con Campari Bitter degli anni ’70 e Martini Rosso Vermouth - sempre dello stesso decennio - e il Vintage White Lady, classico apparso nel Savoy Cocktail Book di Harry Craddock. Chi ama il rum potrà optare per il Vintage Daiquiri a base di Bacardi Carta Blanca degli anni ’70, mentre gli estimatori dell’Old Fashioned non si lasceranno sfuggire la versione vintage con Four Roses Bourbon e Angostura imbottigliati cinquant’anni fa. “Ai grandi classici più approcciabili che compongono l’inizio della lista, si aggiungono due creazioni veramente speciali ed esclusive”, prosegue Giorgio Bargiani. “Il primo è il 1893 Sidecar, creato per festeggiare il centesimo anniversario di questo cocktail con Cognac Adet del 1893, Cointreau degli anni ’80 e succo di limone fresco”. Ma il vero pezzo forte è “il Silver Jubilee Rob Roy con un Macallan Silver Jubilee 1977, anno del Silver Jubilee della regina Elisabetta. Quest’ultimo cocktail, senz’altro il più lussuoso della lista... Continua a leggere sul sito


BLEND CRIOLLO 80% - PREMIO TAVOLETTA D’ORO 2023 PER LA CATEGORIA “CIOCCOLATO FONDENTE”.


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COCKTAILS & DREAMS di Carlo Carnevale

BERE BENE A CAPODANNO, BERE BENE TUTTO L’ANNO La notte di San Silvestro è il tradizionale appuntamento che miscela ieri e domani. Ecco allora tre cocktail classici, e le relative rivisitazioni, per poter bere bene a cavallo tra due anni. Capodanno, il momento perfetto per buttare il cuore oltre l’ostacolo. Via (almeno alcune) delle vecchie abitudini, benvenute novità, a prescindere da quanto dureranno. Per voi aficionados dei cocktail classici, di seguito alcuni spunti per un tocco di moderno; almeno per una notte saprete cosa bere. NEGRONI L’icona italiana nella miscelazione mondiale; il capolavoro firmato da Fosco Scarselli, che nel 1919 accontentò le richieste del conte fiorentino Camillo Negroni; gin, vermouth dolce e Campari nella versione tradizionale, struttura eccellente senza tempo che si presta a innumerevoli variazioni contemporanee. Il nostro suggerimento vira sul Right Hand, cocktail di Michael McIlroy che nel 2008, al leggendario Mille&Honey di New York, sostituì rum scuro al gin. OLD FASHIONED Il drink “come una volta”, il prototipo miscelato in assoluto: la prima descrizione scritta della parola “cocktail”, apparsa nel 1806, parlava infatti di un mistura di alcool, bitter, acqua e zucchero. Se il prodotto alcolico è il bourbon whiskey, di altro non si tratta che dell’Old Fashioned, tutt’oggi ai piani altissimo delle classifiche di gradimento mondiale. A Phil Ward del Death&Co. di New York si deve la versione “Oaxaca Old Fashioned”, che prevede l’uso di tequila e mezcal al posto del whiskey tradizionale. MANHATTAN Uno dei primissimi cocktail mai codificati, dedicati al celebre quartiere di New York, sublime bevuta sia da aperitivo che da dopocena. Solida nell’immaginario collettivo la ciliegina che si usa come decorazione per la miscela di whiskey e vermouth dolce, con una punta di bitter di Angostura. Continua a leggere sul sito


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https://guideespresso.it/wp-content/uploads/2023/09/SITO1-3.jpg GUERIDON E DINTORNI di Alberto Cauzzi

LA DOMANDA PIÙ CURIOSA DEVE ANCORA ARRIVARE Si parla da tempo di emergenza di sala, del fatto che le nuove generazioni non siano così appassionate del lavoro di sala, che lo chef è la star e la figura centrale a cui tutti ambiscono, mentre invece un fulcro importante della fortuna di un ristorante è anche e soprattutto il grande lavoro di accoglienza che si opera nella sala del ristorante, dove nasce e finisce l’esperienza principale. Abbiamo deciso di creare questa rubrica non per parlare dei soliti argomenti ma per chiedere agli uomini e attori principali di questo straordinario mestiere il loro punto di vista, la loro visione e soprattutto gli aneddoti e le curiosità che stimolano e ravvivano questo mondo. Oggi ne parliamo con Denis Bretta Maitre in Francescana Family dal 2012. Attualmente al Ristorante Cavallino e Ristorante Al Gatto Verde.

Caro Denis come hai iniziato questa professione e perché? Penso che la maggior parte delle cose importanti nascano per caso e per me è andata proprio così. Lavorare in una sala di un ristorante non era di certo ciò che pensavo avrei fatto nella mia vita. Ero timido e introverso e l’unica certezza che avevo, era che mai mi sarei allontanato dal piccolo paesino dove sono nato e dai miei affetti. Ma la sorte ha voluto che ogni tanto un’amica di famiglia passasse a trovarci e tra chiacchere e pettegolezzi finisse sempre per raccontarci di suo figlio che lavorava come cameriere sulle navi da crociera. Descriveva queste sale ristoranti ricche di argenteria e cristalleria scintillante e di camerieri in guanti bianchi e colletti inamidati. Rimasi così colpito che decisi di iscrivermi alla scuola alberghiera. Qui, la mia prima esperienza in convitto lontano da casa, passando le giornate tra studio e pratica in sala. Appena finita la scuola, ancora una volta per caso, tramite un compagno di classe, feci domanda di lavoro in uno dei ristoranti, a quel tempo, più rinomati della zona e d’Italia. Alla fine del colloquio, la responsabile delle risorse umane mi disse “Per me va bene, vuoi iniziare domani?”. Da quel giorno non mi sono più fermato. Il tuo bilancio di questi 35 anni di carriera qual è?

Dopo tanti anni posso tranquillamente fare un bilancio più che positivo. Ho conosciuto tante persone provenienti da ogni parte del mondo, con culture, passioni ed esperienze completamente diverse e da ognuna di loro ho cercato di imparare qualcosa e quel poco o tanto che ho appreso, mi ha pian piano arricchito e reso ciò che oggi sono. Ogni giorno, ancora oggi, ho la voglia di imparare e di migliorarmi e questo mi spinge ad andare avanti senza sosta, anche nei momenti difficili, che comunque di certo non mancano. Hai degli aneddoti, curiosità, episodi che ti piacerebbe condividere con noi? Come ogni uomo o donna di sala che fa questa professione da tanti anni, avrei ovviamente tanti ricordi e aneddoti da raccontare, tanti divertenti e altri meno piacevoli, ma quelli che preferisco ricordare, sono quelli di gioia condivisi con i colleghi con cui passi tante ore al giorno (più con loro che con la tua famiglia, tanto che loro stessi diventano parte della tua famiglia). Ad esempio ricordo ancora con grande emozione, la sera in cui a Londra si svolgeva la premiazione dei World 50 Best Restaurants ed io ero in servizio in Osteria Francescana. Per l’occasione avevamo montato la tv in cucina per poter seguire l’evento in diretta. Continua a leggere sul sito


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TERRITORI A TAVOLA

di Matteo Calzaretta

PROVINCIA DI PAVIA Viaggio nell’Italia dei sapori: cosa mangiare a Pavia e Oltrepò pavese, per scoprire un territorio unico, ricco di storia e di enorme valore enogastronomico. Da Taranto, la città dei due Mari, nel nostro saliscendi sullo stivale, risaliamo la Penisola fino al cuore della Pianura Padana, nella provincia di Pavia, terra di ottimi vini e con una proposta culinaria di solide e antiche tradizioni. Lomellina, Pavese e Oltrepò rappresentano luoghi di grande storia gastronomica, una storia che si interseca principalmente con quella del territorio: il riso e i vini sono i protagonisti dell’enogastronomia pavese. La provincia di Pavia, con oltre 80.000 ettari di risaie, è la prima in Italia per la produzione di riso, concentrata soprattutto nella zona della Lomellina. Il tranquillo paesaggio e i grandi specchi d’acqua che lo caratterizzano, quando le risaie sono allagate, non sono “naturali”: tutto è stato costruito, trasformato e organizzato dall’uomo con infinita pazienza. Per natura questa terra ricca di corsi d’acqua e di risorgive è stata per secoli in parte paludosa e in parte arida a causa di numerosi dossi sabbiosi di origine eolica, ma le comunità di monaci nel Medioevo, la colonizzazione feudale e le grandi riforme agronomiche introdotte dagli Sforza, che sperimentarono la coltivazione del riso, hanno fatto della zona un mosaico di fertilissimi campi. Al servizio di questa estensione di coltivazioni è stato organizzato un complesso sistema di rogge e canali e sono sorte le cascine, prima fortificate con castelli a loro difesa, poi a corte chiusa, tipici insediamenti dell’agricoltura industrializzata della Pianura Padana. Il riso fu importato in Italia dagli Arabi che lo introdussero in Sicilia nell’VIII secolo, da qui arrivò in Lombardia nel ’400, grazie a Galeazzo Maria Sforza. L’Oltrepò, al confine con la Liguria e a sud rispetto al corso del fiume Po, è da secoli un’area vinicola di pregio: il Barbera, il Bonarda, il Moscato, il Pinot grigio e il Pinot nero sono alcuni dei D.O.C. locali. Anche la carne di maiale figura tra le eccellenze pavesi, grazie a salumi come il “Salame di Varzi”, al cotechino e al sanguinaccio; un discorso a parte va riservato all’allevamento dei bovini di razza Varzese, unica specie autoctona della Lombardia, da poco di nuovo presente in questa provincia. Il salame di Varzi è un’eccellenza a marchio D.O.P. e un prodotto tradizionale della Valle Staffora. La qualità e la genuinità del Salame di Varzi dipendono esclusivamente dal rigoroso rispetto da parte di abili artigiani salumieri dell’antica ricetta, unita alle condizioni climatiche del territorio dell’Oltrepò Pavese montano. Il microclima derivante dall’incontro dell’aria della Pianura Padana con quella proveniente dal mare permette a questo insaccato un’eccellente stagionatura. Oggi la produzione del Salame di Varzi segue le stesse ricette e procedimenti di un tempo. Sebbene si sia dato spazio all’utilizzo di attrezzature più moderne, si può affermare con fierezza che la produzione dell’insaccato avvenga ancora secondo tradizione.

Per quanto riguarda i dolci le brasadé sono le tipiche ciambelle burrose dell’Oltrepò Pavese rigorosamente fatte a mano. Il segreto della loro prelibatezza è nella doppia cottura: prima vengono bollite e poi passate nel forno a legna. Da qui il nome brasadé, ovvero “cotto due volte”. Nel 2006 hanno ricevuto la certificazione De.C.O. (Denominazione Comunale d’Origine) considerati dei veri e propri spezza fame fin dall’800 venivano legati insieme con uno spago in file da 11 e la tradizione non è cambiata. 5 ciambelle sono infilate con la parte piatta rivolta nello stesso verso e le altre 5 con la parte piatta in verso opposto, undicesima viene usata come fermaglio. A questo dolce si consiglia di abbinare un Moscato passito, vino dolce e delicato, un DOC ottenuto da vitigni Moscato bianco e Malvasia di Candia, un vino espressione del territorio, eccellenza tra ambiente e cultura.

Fra i piatti della tradizione non possiamo dimenticare il risotto alla vogherese, preparato con i peperoni di Voghera, che diversamente da quanto si possa pensare, sono dolci, non piccanti ed estremamente digeribili. Il peperone di forma cubica, in genere con quattro coste, dal colore verde chiarissimo, in fase di maturazione avanzata vira al giallo con striature arancio, è un prodotto del territorio che dopo un periodo di abbandono è stato recuperato divenendo “Presidio slow food”. Un tipico prodotto della tradizione contadina, servito in Oltrepò come antipasto, sono i ciccioli. Un salume saporito ricavato dal lardo e che ha la forma di piccole palline. Oggi, nella preparazione, possono essere utilizzati anche le parti più pregiate del suino, come pancetta e gola, e vari aromi, dall’alloro alla noce moscata.


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ASSAGGI DI LUCE di Stefano Caffarri

Altralanga

Strada in salita tutta a curve, conduce a La Morra: nome che fa tremare le vene ai polsi a chi ama il vino e la piemontesità. Poco dopo Annunziata, enclave gastronomica del Relais Omonimo, Osteria Arborina ospita un sanguigno cuoco partenopeo, abbastanza giovane da aver girato il mondo di recente, e colpevole di importare una sferzata di torrida creatività non raramente goliardica da queste parti. Con forza ed eleganza.

Melone d’inverno (zucca)

Black Mamba (risotto al cavolo viola)

Lumache e lumache

Finocchio e salsa al cacao

Sogliola alla mugnaia e scorzonera

Sedano e melagrana


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