Tesi alessandro limonta

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LA GESTIONE NUTRIZIONALE DEI FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARI: Dalla Nutrizione Classica alla Bioterapia Nutrizionale速

Relatore: Dott. Fausto Aufiero

Tesi Quadriennale: Dott. Alessandro Limonta

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Introduzione Il seguente lavoro è stato intrapreso nell’ottica di studiare la gestione nutrizionale dei fattori di rischio cardiovascolare dal un punto di vista della nutrizione classica e da quello della Bioterapia Nutrizionale®. L’intervento nutrizionale classico, pur basandosi su evidenze scientifiche risulta spesso limitato e non sempre adatto al paziente che abbiamo di fronte. La necessità di un intervento più mirato e adatto alle esigenze del paziente, sia cliniche che psico-sociali, ci porta alla necessità di creare una terapia nutrizionale ad hoc. La Bioterapia Nutrizionale® è un approccio che risponde a questa esigenza e che permette, malgrado non sia sostenuta da pubblicazioni scientifiche internazionali, di adattare la terapia nutrizionale al paziente e di aiutarlo a sentirsi meglio. Lo scopo di questa tesi è l’analisi analisi comparata di queste metodiche, al fine trovare punti in comune e differenze. Parte argomentativa. 1. EPIDEMIOLOGIA DELLE PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI [1, 2] Le malattie cardiovascolari (MCV) rappresentano la prima causa di mortalità in Europa e nel mondo. Si stima che nel 2008 circa il 30% delle morti globali fosse legato alle MCV, che la percentuale sia destinata ad aumentare e che fino al 2030 più 23 Mio di persone moriranno di queste patologie (Fig. 1). Esse rappresentano quindi il più importante problema di salute nel mondo occidentale con un pesante impatto sull'aspettativa di vita dei soggetti sani, sulla qualità della vita degli ammalati e sull'impiego di risorse sanitarie. Ogni anno in Italia 235.000 persone muoiono per malattie cardiovascolari : 35% dei decessi negli uomini e il 43% di decessi nelle donne.

Fig 1 : Previsioni di mortalità fino al 2030 (World Health Statistics 2007)

http://www.ceche.org/publications/infocus/fall2007/Proj-Global-Deaths.gif

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Sotto la definizione più generale di MCV, rientrano tutte le patologie a carico del cuore e dei vasi sanguigni (Tab. 1).

Tab 1: Classificazione delle malattie cardiovascolari ( ICD-10) Reumatismo articolare acuto Cardiopatie reumatiche croniche Malattie ipertensive ipertensione primitiva, ... Cardiopatie ischemiche angina pectoris infarto miocardico acuto, … Cuore polmonare e malattie del circolo polmonare Malattie cerebrovascolari infarto cerebrale (ictus), … Malattie delle arterie, delle arteriole e dei capillari aterosclerosi aneurisma e dissezione dell’aorta, …. Malattie delle vene dei vasi linfatici e dei linfonodi Altre forme di cardiopatia

Circa i ¾ delle morti mondiali per MCV avviene in paesi a basso o medio sviluppo economico per la mancanza di mezzi per la prevenzione, per lo screening e per il trattamento adeguato di queste patologie.

Secondo l’OMS per invertire questo trend sono necessarie implementazioni della prevenzione e del controllo delle malattie cardiovascolari che comprendano : una diversa politica riguardo il tabacco, la tassazione del junk food (alimenti ricchi in calorie, grassi saturi, sale e zuccheri), l’aumento delle possibilità di praticare attività fisica, la riduzione del consumo di alcool e l’utilizzo di cibo più salutare nelle mense scolastiche. Queste modifiche preventive si basano sul controllo dei fattori di rischio comportamentali per le MCV : innanzitutto la dieta, l’attività fisica, il consumo di tabacco e di alcool. Questi fattori di rischio, modificabili, possono infatti determinare aumento della pressione sanguigna, iperglicemia, dislipidemia, sovrappeso e obesità ; e questi ultimi a loro volta, aumentano il rischio di sviluppare MCV. Altri fattori di rischio, sui quali attualmente è più difficile focalizzarsi, sono la predisposizione genetica, la povertà e lo stress. Come possiamo notare, la prevenzione primaria rimane sempre il target principale su cui lavorare e su cui indirizzare gli sforzi per ridurre, o almeno contenere, il rischio CV. Ma quando è opportuno cominciare ? 2. IL CALCOLO DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE. Le linee guida europee per la prevenzione delle malattie cardiovascolari hanno incoraggiato, sin dalla loro prima edizione, l'utilizzo della stima del rischio totale cardiovascolare (RCV) [3]. Questo perché i medici devono trattare il paziente (e non i fattori di rischio individualmente), il cui rischio cardiovascolare effettivo dipende non dalla somma dei fattori di rischio ma piuttosto dalla loro sinergia. L'utilizzo di un punteggio del rischio cardiovascolare totale permette una migliore e più adatta strategia terapeutica [4]. Sebbene in medicina vi siano spesso dei valori di riferimento, questi non sono presenti nel calcolo del rischio cardiovascolare in quanto si presenta come un continuum, senza valori precisi sopra o sotto i quali il rischio diventa più oppure meno importante [4]. È anche importante capire come la valutazione del rischio cardiovascolare totale permette di consigliare al meglio un paziente giovane con un rischio assoluto basso ma un rischio relativo 4


alto, o viceversa, per una persona anziana che potrebbe non beneficiare al meglio di una terapia farmacologica aggressiva e non esente da effetti collaterali [4]. Il rischio cardiovascolare concerne la probabilità di una persona, di sviluppare un evento cardiovascolare aterosclerotico in un determinato periodo di tempo [4]. Il termine utilizzato di "rischio totale o globale", malgrado non tenga conto di tutti i fattori di rischio esistenti, è la stima del rischio cardiovascolare in funzione dei maggiori fattori di rischio: cioè età, sesso, tabagismo, pressione arteriosa e pannello lipidico; nonché il paese di residenza della persona (alto rischio o basso). Secondo alcuni studi, lo schema terapeutico per le persone a rischio molto alto o per le persone a basso rischio, non è mai adeguato e porta all’utilizzo di schemi terapeutici non abbastanza efficaci oppure troppo drastici rispettivamente. In generale, le donne, gli anziani e i giovani non vengono mai ben rappresentati nei trials clinici per lo studio di nuovi farmaci. Nasce quindi la necessità di determinare il rischio cardiovascolare rapidamente e con una precisione sufficiente per poter prendere decisioni logiche, mirate e su misura [4] soprattutto per persone in apparente buona salute ma con più fattori di rischio. Il sistema di stima del rischio utilizzato nei paesi europei è lo SCORE (Systematic Coronary Risk Evaluation), che determina la probabilità di sviluppare un evento cardiovascolare fatale o non fatale su 10 anni [4]. Ovviamente questo riguarda la prevenzione primaria in quanto i pazienti con una malattia cardiovascolare accertata sono automaticamente ad alto rischio di sviluppare una recidiva e devono essere trattati prendendo in considerazione tutti i fattori di rischio contemporaneamente [4]. L’utilizzo del rischio totale attraverso lo SCORE permette una certa flessibilità e un aggiustamento dei fattori di rischio su cui lavorare in priorità e su cui porre l’accento. (cf: www.heartscore.org) Lo SCORE offre una stima diretta del rischio cardiovascolare totale [5]. È stato sviluppato grazie alla ESC e alla Second Joint Task Force come un punteggio di rischio basato su un vasto pool di dati europei ottenuti per definire le variazioni del rischio regionale. Questa scala include: Genere, Età, Tabagismo, C-Tot/HDL, Chol-Totale, TAS e DM. Esistono altri calcolatori del rischio che possono essere utilizzati e che prendono in considerazione altri fattori di rischio cardiovascolare (es: Framingham Risck Score e PROCAM). Nei pazienti affetti da DM, il rischio CV è meglio predetto da altre scale specifiche (DECODE equation, UKPDS risk engine, DPHD). 3. LA SINDROME METABOLICA. La Sindrome Metabolica (SM) è un insieme di alterazioni metaboliche che comprende: l’obesità centrale o viscerale, l’ipertensione, la dislipidemia e l’iperglicemia e che aumenta il rischio di malattia cardiovascolare e di diabete [6]. La prevalenza della SM sta rapidamente aumentando nel mondo, in parallelo all’aumento del diabete e dell’obesità, tanto da essere considerata un problema di salute pubblica. La prevalenza della SM varia però, nei diversi studi, tra 4-84% in funzione dei criteri diagnostici utilizzati e di altri parametri come età, sesso, il tipo di studio popolazionale, e le differenti etnie [7]. 5


Numerosi criteri diagnostici della SM sono stati proposti da diverse organizzazioni internazionali negli ultimi 10 anni [8]: OMS 1993, EGIR 1999 (Gruppo di studio europeo sull’insulino-resistenza), AACE 2002 (Associazione americana di endocrinologia clinica); ATP-III 2001 (Adult Treatment Panel III), IFD 2005 (Federazione Internazionale Diabete). Nel 2009 un gruppo di lavoro (IDF, AHA, e l’insituto nazionale cuore-polmone e sangue NHLBI) ha raggiunto un consensus riguardo i criteri diagnostici della SM (Fig. 2), con l’utlizzo dei differenti cut-off etnici per la circonferenza addominale e riprendendo l’insieme degli altri criteri diagnostici già in uso [9].

Fig 2: Definizione di SM secondo IDF-AHA-NHLBI 2009 3 o + dei seguenti criteri:  Circonferenza addominale: popolazione e paese specifica  TG ≥ 1.7mmol/L o in trattamento  HDL-C < 1mmol/L per ♂; < 1.3mmol/L per ♀ o in trattamento  Pressione arteriosa ≥130/85mmHg o ipertensione trattata  Glicemia a digiuno ≥ 5.6mmol/L o trattamento Tabella riassuntiva della circonferenza addominale “paese specifica”

L’obiettivo principale della diagnosi di SM è quello di identificare le persone con un rischio cardiovascolare e diabetico alto, per modificarne lo stile di vita [8]. Se la presenza di SM è un fattore predittivo di rischio per lo sviluppo di malattie CV e diabete sul lungo termine, non è invece un marker affidabile per il calcolo del rischio CV globale a breve termine (10 anni) [10]. Essa può aumentare il rischio CV a breve termine, ma solo tra i pazienti con rischio intermedio [11]. La spiegazione a questo apparente paradosso è che la definizione di SM non include tutti i fattori di rischio presenti negli algoritmi di predizione del rischio usati comunemente (età, genere, colesterolo totale, tabagismo). Ne consegue che, il calcolo del rischio a 10 anni è meglio stimato da altri algoritmi come il Framingham Risck Score (FRS), lo SCORE, e il PROCAM. La classificazione ATP-III (e in seguito la variante del 2009) considera 6 componenti della SM, ognuno dei quali è correlato ad un aumento del rischio cardiovascolare totale (Fig. 3) [12].

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In conclusione la SM aumenta del doppio il rischio CV, la mortalità generale di 1,5x, e triplica il rischio di diabete. Questo rischio, associato Fig3: Relazione tra SM e Rischio CV alla prima definzione di SM (ATP-III 2001), è più alto rispetto a quello della definizione più recente [13]. Nelle persone anziane la SM aumenta il rischio di diabete in modo significativamente maggiore rispetto all’aumento del rischio CV [8]. Abbiamo comunque bisogno di studi che comparino il rischio della SM rispetto alla somma dei rischi delle sue componenti [8].

Passiamo ora in rassegna i differenti elementi della SM (Fig. 3): o OBESITÀ CENTRALE L’obesità corrisponde ad un eccesso di grasso (trigliceridi) depositati nel tessuto adiposo [14]. L’aumentata adiposità è legata ad un aumento degli altri fattori di rischio cardiovascolare e un IMC >25Kg/m2 aumenta il rischio di eventi cardiovascolari. Sovrappeso e obesità sono infatti associate ad insulino-resistenza [8]. Si deve però distinguere l’obesità di tipo ginoide, con accumulo di grasso essenzialmente sulle cosce, dall’obesità androide nella quale predominano i depositi adiposi profondi (viscerali, epiploici, intraperitoneali) [14]. L’obesità addominale, misurata attraverso la circonferenza addominale o attraverso l’indice vita/anche, è dunque più fortemente associata ad alterazioni metaboliche che il semplice IMC [8]. Con l’aumento dell’adiposità intra-addominale o viscerale, notiamo un aumentato flusso di acidi grassi liberi (FFA) derivanti dal tessuto adiposo, dalla circolazione splancnica verso il fegato. L’aumento del grasso sottocutaneo invece, rilascia l’eccesso di FFA, prodotti dalla lipolisi, nella circolazione sistemica. Questo evita gli effetti diretti degli FFA sul metabolismo epatico come: gluconeogenesi, sintesi lipidica, secrezione di agenti protrombotici come il fibrinogeno e l’inibitore-1 dell’attivazione del plasminogeno [15]. o DISLIPIDEMIA La dislipidemia aterogenica della SM è tipicamente caratterizzata da ipertrigliceridemia e bassi livelli di HDL-C [15]. In realtà esistono altre alterazioni delle lipoproteine che sono meno conosciute ma egualmente importanti: un aumento dei renmants, un aumento delle apo-B, e la presenza di particelle LDL piccole e dense. Nel contesto dell’IR, l’aumento del flusso di FFA al fegato, produce un aumento delle apo-B ricche in trigliceridi: le VLDL. Inoltre, l’IR può ridurre la concentrazione della LPL 7


(lipoproteinlipasi) dei tessuti periferici (negli adipociti più che nel muscolo) ma questo sembra influenzare meno i livelli di TG rispetto all’aumento delle VLDL. La riduzione del colesterolo HDL è una conseguenza del cambiamento della composizione delle HDL stesse e del loro metabolismo. In caso d’ipertrigliceridemia, infatti, le HDL perdono il loro colesterolo e incorporano invece i TG, diventando delle particelle piccole e dense. Questa modifica nella composizione delle lipoproteine risulta in un’aumentata clearance delle HDL dalla circolazione sanguigna. La composizione delle LDL viene modificata in modo molto simile a quella delle HDL, ma sembra che le particelle piccole e dense originatesi dalle LDL siano molto più aterogeniche. Una diminuzione delle HDL e un aumento dei trigliceridi accompagnano ogni persona in sovrappeso ma la variabilità nel determinare dei limiti precisi di TG limita la sua importanza come predittore o precursore di malattie CV. Gli effetti dei trigliceridi sono stati messi in relazione soprattutto con l’outcome CV nelle donne piuttosto che negli uomini [12]. o IPERTENSIONE L’ipertensione è l’elemento più controverso incluso nella SM, questo perchè i suoi fattori eziopatogenetici e fisiopatologici sono molteplici [8]. È importante notare che l’insulina ha il ruolo di vasodilatatore quando somministrata per via intravenosa ad una persona in normopeso, oltre che avere un ruolo secondario nel riassorbimento sodico nel rene. L’insulina inoltre aumenta l’attività del sistema nervoso simpatico. Nel contesto dell’IR, il ruolo vasodilatante dell’insulina, viene perso ma così non avviene per l’azione sodio-retentrice renale, nè per l’attivazione simpatica. In aggiunta, anche gli FFA possono avere un’azione vasocostrittrice [8]. D’altro canto, l’obesità conduce ad un’ipertensione attraverso altri meccanismi: aumenta il tono vascolare attraverso una diminuzione di ossido nitrico (NO) legato allo stress ossidativo, aumenta la concentrazione di dimetilarginina asimmetrica1, aumenta direttamente il tono simpatico e aumenta la liberazione di angiotensinogeno dal tessuto adiposo che può portare ad un aumento del sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone [16]. o INTOLLERANZA AL GLUCOSIO I livelli di glucosio in una popolazione sono stati messi in relazione allo sviluppo di malattie cardiovascolari. La maggior parte degli studi ha valutato la glicemia a digiuno ma lo studio delle glicemie postcarico si sono rivelate utili per meglio predire lo sviluppo di malattie cardiovascolari [8]. Negli uomini tra 34-64anni con DM tipo 2 il rischio di sviluppare delle malattie CV è almeno il doppio rispetto alla stessa popolazione non diabetica. Per le donne diabetiche il rischio è addirittura maggiore [12]. Comunque, visto il rischio CV indipendentemente legato al diabete di per sè stesso, alcuni autori considerano che sia inutile di parlare di SM in caso di DM tipo 2 conclamato e considerano che questi pazienti debbano essere esclusi dalla definizione di SM [8].

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Analogo endogeno dell'arginina, la dimetilarginina asimmetrica (ADMA), inibisce la produzione di ossido nitrico, ostacolando la normale omeostasi vascolare. 8


I difetti insulinici sul metabolismo del glucosio includono: l’incapacità di sopprimere la gluconeogenesi epatica e renale, l’alterato uptake del glucosio da parte delle cellule tissutali, l’alterato metabolismo glucidico intracellulare (soprattuto muscolare ed adipocitario). Per compensare i deficit dell’azione dell’insulina, la sua secrezione aumenta portando ad una condizione di iperinsulinemia. D’altro canto, l’insulino-resistenza, presente anche nelle cellule β del pancreas, determina un’alterazione della risposta glucosio-dipendente sulla secrezione insulinica e questo avviene probabilmente per una lipotossicità cellulare (legata agli acidi grassi). Clinicamente queste anomalie passano attraverso l’apparizione di diversi stadi: iperglicemia a digiuno, intolleranza al glucosio e DM tipo 2 [15]. o STATO PRO-INFIAMMATORIO L’associazione tra SM e infiammazione è stata ben documentata ed è clinicamente caratterizzata da alti livelli di PCR ultra-sensibile. Quest’ultima è un predittore indipendente di malattia CV [15]. In un recente studio, ben 18 loci sono stati associati ai livelli plamsatici di PCR nell’analisi genomica [17, 18]. L’adipocita produce citochine proinfiammatorie (TNF-α, IL-6, ..) che stimolano la produzione epatica di PCR. La letteratura suggerisce che i macrofagi del tessuto adiposo potrebbero essere responsabili della secrezione di queste citochine sia localmente che nella circolazione sistemica. Inoltre, i livelli di adiponectina (ormone prodotto dagli adipociti e responsabile dell’insulino-sensibilità e della diminuzione dell’infiammazione) sono diminuiti nei pazienti con SM [8]. o STATO PRO-TROMBOTICO I pazienti con SM presentano uno stato protrombotico caratterizzato da alti livelli di PAI-1 (inibitore dell’attivatore del plasminogeno) e di fibrinogeno. Quest’ultimo, è una proteina della fase acuta la cui sintesi è stimolata dalle citochine proinfiammatorie [15]. o ALTRE MANIFESTAZIONI I pazienti affetti da SM sono più a rischio di sviluppare altre patologie tra cui l’ovaio policistico, l’iperuricemia, le OSAS e la steatosi epatica non alcolica (NAFLD) [15]. - NAFLD (Non-alcoolic Fatty Liver Disease) Lo spettro delle NAFLD varia dalle semplici steatosi, alle steatoepatiti (NASH) fino alla cirrosi (evoluzione nel 20% dei casi). La steatosi epatica si sviluppa quando gli acidi grassi liberi (FFA), rilasciati nel quadro di una SM con insulino-resistenza, sono captati dal fegato. Insulti epatici supplementari come lo stress ossidativo, l’aumento dei mediatori dell’infiammazione e l’alterazione apoptotica, possono portare allo sviluppo di una NASH ed infine di una cirrosi epatica [18]. 4. LINEE GUIDA DI NUTRIZIONE CLASSICA. È notorio che le abitudini alimentari influenzino il rischio cardiovascolare; sia attraverso un aumento dei fattori di rischio specifici come il colesterolo, il peso, la pressione arteriosa e il 9


diabete, sia come fattore indipendente [4]. Una dieta “sana” riduce inoltre il rischio di sviluppare altre malattie croniche come i tumori [4]. Come valutare però, negli studi osservazionali, la relazione tra nutrizione e malattie cardiovascolari? L'approccio più razionale è quello di valutare i gruppi di alimenti consumati nella popolazione studiata per trarne delle raccomandazioni generali: questo approccio permette di passare dalla valutazione del singolo fattore di rischio ad una valutazione del rischio cardiovascolare totale [4]. Nella redazione delle linee guida europee sulla gestione dei fattore di rischio cardiovascolari, vengono dunque presi in considerazione diversi aspetti dell'alimentazione: i nutrienti presenti nell’alimento, i gruppi di alimenti che compongono l’alimentazione, l'utilizzo di alimenti funzionali e, ovviamente, l'utilizzo di pattern alimentari specifici (Tab. 2). Tab 2 : Linee guida europee per la prevenzione delle malattie cardiovascolari (ESC 2012) Una dieta sana è la pietra angolare della prevenzione delle malattie CV [19] e deve avere le seguenti caratteristiche [19] :  La quantità di acidi grassi saturi deve corrispondere a <10% dell’energia calorica totale giornaliera, e gli acidi grassi saturi devono essere rimpiazzati dagli acidi grassi polinsaturi.  Gli acidi grassi insaturi Trans non dovrebbero essere consumati e devono ad ogni modo avere un’origine naturale e rappresentare <1% dell’energia calorica totale giornaliera.  La quantità di sale deve essere < 5g/giorno.  La quantità di fibre giornaliere dovrebbe elevarsi à 30-45gr e avere origine naturale (frutta, verdura, cereali integrali).  La quantità di frutta giornaliera dovrebbe elevarsi a 200gr (2-3 porzioni).  La quantità di verdura giornaliera dovrebbe elevarsi a 200gr (2-3 porzioni).  La quantità settimanale di pesce dovrebbe essere di almeno 2 porzioni e, una di queste, di pesce grasso.  Il consumo di alcool dovrebbe essere limitato a 2 bicchieri/die per gli uomini (20gr di alcool) e 1 bicchiere/die per le donne (10gr di alcool). La quantità energetica deve essere limitata alla quantità necessaria per mantenere (o ottenere) il pesoforma (es: IMC< 25Kg/m2) [19]. Se le indicazioni per una dieta sana vengono seguite, non vi è in genere necessità d’utilizzo di supplementi alimentari [19].

Nelle linee guida europee, vengono dunque prese in considerazione le seguenti caratteristiche: a) NUTRIENTI In questo primo livello di analisi sono presi in considerazione gli acidi grassi (prevalentemente responsabili dei livelli di lipoproteine circolanti), i minerali (prevalentemente legati alla pressione sanguigna), le vitamine e le fibre.  Acidi grassi. Fin dagli anni ‘50 si pensa che la composizione in acidi grassi della dieta sia importante per la prevenzione delle malattie cardiovascolari e oggi si sa che la composizione in acidi grassi è più importante della quantità totale di grasso contenuto nella dieta [4, 19]. - Acidi grassi saturi. Da uno studio del 1965 si evince che rimpiazzare gli acidi grassi saturi della dieta con acidi grassi insaturi abbassa il livello di colesterolo [20]. Tuttavia, il ruolo degli 10


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acidi grassi saturi sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari resta ancora dibattuto [4] e recenti meta-analisi non hanno trovato risposte chiare [21, 22]. Un altro aspetto importante è quello di sapere con che cosa vengono rimpiazzati gli acidi grassi saturi [4]: studi epidemiologici, clinici e meccanicistici dimostrano una diminuzione del 2-3% del rischio cardiovascolare quando l’1% degli acidi grassi saturi viene rimpiazzato con polinsaturi (AGPI) [23]. Questo però non è stato ritrovato rimpiazzando gli acidi grassi saturi con carboidrati o con acidi grassi monoinsaturi (AGMI) [4]. Secondo le linee guida europee si dovrebbe limitare la quantità di acidi grassi saturi al 10% dell'introito energetico giornaliero [4]. Gli acidi grassi saturi dei latticini non sembrano aumentare il rischio CV [24]. Acidi grassi insaturi. Rimpiazzare gli acidi grassi saturi (o i carboidrati) con degli AGMI permette di aumentare il colesterolo HDL [25]. Gli AGPI permettono di abbassare il colesterolo LDL e aumentano leggermente il colesterolo HDL. Gli AGPI vengono comunemente suddivisi in 2 gruppi: gli acidi grassi omega 6 e gli acidi grassi omega 3, i primi derivati essenzialmente dalle piante, i secondi dal pesce grasso. EPA e DHA2, acidi grassi non essenziali della serie omega 3, hanno dimostrato un effetto sulla riduzione della mortalità cardiovascolare e un effetto minore sulla mortalità da patologie cerebrovascolari [26, 27]; probabilmente attraverso una diminuzione delle aritmie fatali [26]. Un altro sottogruppo di acidi grassi insaturi è quello degli acidi grassi in configurazione TRANS. Questi sono legati ad una diminuzione del colesterolo HDL ed ad un aumento del colesterolo totale e sono utilizzati nell'industria alimentare (margarina, prodotti da forno). Una quota di questi acidi grassi la ritroviamo nella carne e nel grasso dei ruminanti. Le linee guida americane propongono che l'introito calorico derivante da questi acidi grassi non superi l’1%.

Colesterolo. L'impatto del colesterolo assunto con la dieta sulla colesterolemia è basso rispetto all'impatto sulla stessa derivante dalla composizione in acidi grassi della dieta [4]. La produzione di colesterolo endogeno viene infatti inibita dal colesterolo ingerito, attraverso un meccanismo di feedback negativo [28]. Solitamente, con la diminuzione dell'apporto di acidi grassi saturi, si assiste anche a una riduzione del colesterolo totale. Non vi sono linee guida riguardo all’apporto di colesterolo nella dieta, alcuni testi parlano di una introduzione giornaliera <300mg/die [4].

L'acido eicosapentaenoico (EPA), detto anche acido icosapentaenoico, è un acido grasso della serie degli omega-3, ed è un precursore dell'acido docosaesaenoico (DHA). Il corpo umano può anche ricavare l'EPA dalla trasformazione dell'acido alfa-linolenico (ALA), questa conversione è molto meno efficiente rispetto all'assorbimento di EPA dalla dieta; inoltre, l'ALA è esso stesso un acido grasso essenziale, per cui l'organismo deve esserne costantemente rifornito. 11


Sodio. L'effetto del sodio sulla pressione arteriosa è ben documentato [4]. Una meta-analisi stima che anche una modesta riduzione dell'apporto di sodio (-1g/die rispetto al contenuto della dieta abituale) può ridurre la pressione arteriosa sistolica di 3.1mmHg nei pazienti ipertesi e di 1.6mmHg nei pazienti normotesi [29]. Gli studi sulla dieta DASH3 hanno dimostrato una relazione dose-effetto tra la riduzione del consumo di sodio e l'abbassamento pressorio. Una riduzione di 3g/die dell'apporto sodico produce una diminuzione dell'incidenza di malattie cardiovascolari tra 5.9-9.6%; cerebrovascolari tra 5-7.8% e morte tra 2.6-4.1%. La dose raccomandata di sodio nella dieta giornaliera è <5g/die [4], e la dieta occidentale ne apporta più o meno 9-12g/die [30]. Un apporto ottimale di sodio dovrebbe essere inferiore a 3gr/die, ma resta un obiettivo utopico e probabilmente troppo restrittivo.

Potassio. Un alto apporto di potassio si è rivelato capace di abbassare la pressione sanguigna e di proteggere dal rischio di malattie cerebrovascolari (diminuzione fino al 40%), attraverso un abbassamento della pressione arteriosa [31]. Le principali fonti di potassio alimentare sono la frutta e la verdura [4]. Non vi sono linee guida internazionali sulla quantità di potassio da introdurre attraverso la dieta.

Vitamine. - Vitamina A, vitamina E. Studi osservazionali prospettivi hanno mostrato un'associazione inversa tra il consumo di vitamine A/E e il rischio cardiovascolare. Il loro effetto protettivo è stato attribuito alle loro proprietà antiossidanti. Studi clinici interventistici non hanno però attestato questa associazione [32]. - Vitamina D. Alcuni studi epidemiologici hanno messo in evidenza un'associazione tra una deficienza di vitamina D e la presenza di malattie cardiovascolari. Le prove che una supplementazione in vitamina D sia efficace per migliorare la prognosi di queste patologie, non è chiara per ora [4]. - Vitamine del gruppo B. Le vitamine del gruppo B (in particolare B6, B9, B12) sono state studiate per la loro capacità di abbassare i livelli di omocisteina, una molecola considerata essere un potenziale fattore di rischio per le malattie cardiovascolari [33]. Attualmente però, non è stato ancora chiarito se l'omocisteina è realmente un fattore di rischio oppure un elemento accidentalmente associato a queste malattie [4]. Una recente meta-analisi ha messo in evidenza che l'abbassamento del tasso di omocisteina

DASH diet : Dietary Approaches to Stop Hypertension ha lo scopo di prevenire e bloccare l’ipertensione nei paesi occidentali. Concepita negli USA, presenta principi molto simili alla dieta mediterranea: incrementare il consumo di frutta e verdura a discapito dei cibi ricchi di grassi, sodio e zuccheri. 12 3


sanguigna non riduce il rischio di infarto miocardico fatale/non fatale, né il rischio di ictus o di morte in generale [34, 35]. Una supplementazione in vitamine del gruppo B e omega 3 non si è dimostrata utile nel diminuire l’incidenza di malattie cardiovascolari [35-37]. 

Fibre. Il consumo di fibre è stato associato a una diminuzione del rischio cardiovascolare. Sebbene i meccanismi non siano ancora stati completamente elucidati, sembra che l'aumento del consumo di fibre sia associato ad una minore risposta insulinica postprandiale nonchè ad una diminuzione del colesterolo LDL e del colesterolo totale [38]. Fonti importanti di fibre sono i prodotti integrali, frutta, verdura e i legumi. L'istituto americano di medicina consiglia l'assunzione di circa 30-45gr di fibre al giorno per gli adulti [4].

b) GRUPPI DI ALIMENTI. In questo caso si prendono invece in considerazione i principali gruppi di alimenti che possono influenzare, in un modo o nell'altro, il rischio cardiovascolare [4]. In particolare:  Frutta e verdura. Il consumo di frutta e verdura ha un effetto positivo nella prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari e questo secondo studi osservazionali, malgrado l'assenza di studi prospettivi randomizzati. Come sempre in nutrizione, lo studio nutrizionale e soprattutto l'interpretazione dei risultati, sono di difficile attuazione. Sappiamo che le popolazioni che mangiano molta frutta e verdura presentano altre importanti differenze (abitudini alimentari diverse, tabagismo, livello di attività fisica, …) rispetto alle popolazioni la cui quota di frutta e verdura è limitata. Questo complica ancora di più l'interpretazione dei risultati. Vi sono comunque alcuni studi che hanno dimostrato una diminuzione del rischio del 4% per ogni porzione4 di frutta e verdura consumata nella giornata [39] che aumenta a 5% per le malattie cerebrovascolari [39]. Un altro studio parla di una riduzione lineare del rischio relativo (RR) di sviluppare un ictus in funzione del numero di porzioni di frutta e verdura consumate durante la giornata: <3 porzioni RR 1; 3-5 porzioni RR 0.89, > 5 porzioni RR 0.74 [31]. Il consumo di frutta e verdura sembra avere un peso leggermente più importante nella prevenzione delle malattie cerebrovascolari piuttosto che nelle malattie cardiache, probabilmente legato alla maggiore quantità di potassio assunto e a una diminuzione quindi della pressione arteriosa (cf DASH diet) [31, 40]. Probabilmente, altre molecole, diverse dal potassio (fibre e antiossidanti), possono contribuire alla diminuzione del rischio. Le raccomandazioni ufficiali propongono almeno 200g di frutta al giorno (suddivisi in 23 porzioni) e 200g di verdura al giorno (suddivisi in 2-3 porzioni).

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Valutata più o meno 80gr. 13


Pesce. L'azione protettiva del pesce nei confronti delle malattie cardiovascolari sembra essere legata al loro contenuto in acidi grassi omega 3. Sembrerebbe che il consumo regolare di pesce grasso una volta a settimana riduca il rischio del 15%: RR 0.85 [41]. Un consumo maggiore (2-4x/settimana) non sembra comportare un beneficio maggiore nei confronti delle malattie cerebrovascolari [42] e la relazione tra consumo di pesce e rischio cardiovascolare non è quindi lineare [4]; oltre al fatto di poter esporre la persona ad una quota eccessiva di metalli pesanti (trova fonte). Un aumento modesto del consumo di pesce a 2 porzioni/settimana ridurrebbe la mortalità per malattia cardiaca del 37% e ridurrebbe anche la mortalità generale del 17% [42]. Le raccomandazioni ufficiali propongono un consumo di pesce 2 volte la settimana, di cui almeno uno di pesce grasso.

Alcol. Studi epidemiologici dimostrano un effetto protettivo del consumo moderato di alcol nei confronti delle malattie cardiovascolari. Questo in modo particolare rispetto al vino rosso per la sua maggiore quantità di polifenoli (essenzialmente il resveratrolo) [43]. Secondo una meta-analisi la quantità ottimale per l'assunzione di alcol rispetto alla mortalità generale è di circa 20 g/die per gli uomini e 10g/die per le donne. Per la prevenzione delle malattie cardiovascolari si pensa che le quantità siano maggiori. Le raccomandazioni ufficiali propongono un consumo di alcol non eccedente i 20 g/die per gli uomini e 10 g/die per le donne.

Soft drinks. Queste bevande sono la fonte calorica più importante in America e in Europa. Tra i bambini e gli adolescenti si stima che circa il 10-15% delle calorie assunte provenga da soft drinks. Il loro regolare consumo è associato al diabete di tipo 2 e al sovrappeso [44], nonché ad un aumento del 35% del rischio cardiovascolare nelle donne [45]. L'utilizzo di bevande zuccherate artificialmente non è associato ad un aumento di malattie cardiovascolari. Raccomandazioni ufficiali non danno una risposta chiara rispetto al consumo di queste bevande per la diminuzione del rischio cardiovascolare.

c) ALIMENTI FUNZIONALI. I soli alimenti funzionali presi in considerazione nelle linee guida europee sono i fitosteroli: steroli e stanoli vegetali in grado di diminuire la concentrazione di LDL circolanti di circa il 10% quando consumati in dosi pari a 2g/die [4]. In realtà, recenti ricerche non solo hanno dimostrato l'inefficacia di queste sostanze a un dosaggio fisiologico (o nutrizionale), ma anche la loro possibile dannosità [46]. 14


d) MODELLI ALIMENTARI. La ricerca si sta focalizzando ora sul tipo di alimentazione rispetto al singolo o ai singoli nutrienti, con lo scopo non più di trattare il singolo fattore di rischio ma piuttosto di gestire del rischio cardiovascolare totale della persona [4]. Studiare l'impatto dell'intero regime alimentare ci permette di mettere in luce il potere preventivo della dieta poiché tiene conto di numerose abitudini alimentari favorevoli. Uno studio importante, quello dei 7 paesi, ha mostrato una differenza nella mortalità cardiovascolare tra nord e sud Europa, e questa differenza restava significativa malgrado l'aggiustamento dei dati per la pressione arteriosa e il tabagismo [47]. È nato in quel momento il concetto di Dieta Mediterranea, le cui caratteristiche sono: un alto apporto di frutta, verdura e legumi, di prodotti integrali, pesce, di acidi grassi insaturi (soprattutto monoinsaturi dell'olio d'oliva) nonché un consumo moderato di alcol (principalmente il vino e consumato ai pasti) e un basso consumo di carne (prevalentemente rossa), latticini e acidi grassi saturi. Una recente meta analisi dimostra che aderire ad un regime mediterraneo riduce del 10% l'incidenza di malattie cardiovascolari o la mortalità legata a queste patologie e riduce dell'8% la mortalità generale [48]. e) CONCLUSIONI. Risulta chiaro che le modifiche alimentari sono la base per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Certe modifiche della dieta possono riflettersi in modo favorevole sulla modifica dei fattori di rischio come la pressione e il colesterolo; ma è importante notare che anche le modifiche che non si riflettono sui valori ematochimici o sulla pressione possono avere un ruolo importante nella prevenzione cardiovascolare [4, 48]. Ora la sfida più importante è quella di tradurre queste linee guida nutrizionali in abitudini alimentari attrattive e che permettano modifiche dietetiche sul lungo termine [46]. Finché non sarà chiaro quale specifiche sostanze causano un effetto protettivo, è raccomandata una dieta variata, sulla base dei principi elencati nel paragrafo precedente [4]. Ovviamente la legislazione di ogni paese può fare molto riguardo ai prodotti industriali, all'utilizzo degli acidi grassi trans e alla riduzione del sale [4].

5. LINEE GUIDA CLASSICHE PER I FATTORI DI RISCHIO CV Per ogni fattore di FRCV preso in considerazione sono state formulate delle linee-guida europee, validate da gruppi di esperti, che prendono in considerazione in primis i cambiamenti dello stile di vita e dell’alimentazione. In queste linee guida è poi possibile trovare riferimenti riguardanti le terapie farmacologiche, nonchè la gestione delle complicanze. Di seguito prenderemo in considerazione le indicazioni nutrizionali di queste lineeguida secondo la malattia di base: obesità, ipertensione, dislipidemia, diabete 15


a) OBESITÀ L’obesità è ormai considerata una malattia e il suo trattamento deve tener conto di una serie di interventi multidisciplinari che richiedono la collaborazione di numerosi specialisti (medici di famiglia, nutrizionisti, dietisti, psicologi, fisioterapeuti, …) nonchè una partecipazione attiva da parte del paziente [14]. Una volta diagnosticato uno stato clinico di obesità (Tab. 3), è importante valutarne anche i fattori eziologici (nutrizionali, comportamentali e psicologici) nonchè le complicanze, per definire un piano terapeutico adeguato, con la partecipazione del paziente che rimane sempre e comunque l’attore principale [14]. Tab 3 : Classificazione dell’obesità secondo l’IMC (www.iotf.org ) CLASSIFICAZIONE IMC (Kg/m2) Magrezza <18.5 Peso normale 18,5 – 24.9 Sovrappeso 25 – 29.9 Obesità Classe I Moderata 30 – 34.9 Classe II Grave 35 – 39.9 Classe III Patologica >40

Medico e paziente devono essere coscienti che il controllo del peso esige degli sforzi a lungo termine o addirittura a vita [14]. Il tipo di trattamento dipende dalla gravità dell’obesità (dal rischio metabolico, e dalle rispettive complicanze), dallo stato di salute e dalla motivazione del paziente [14]. Può includere una dieta ipocalorica (Fig. 4) associata ad attività fisica, delle modifiche comportamentali e dello stile di vita, oppure l’utilizzo di diversi farmaci, variabilmente associati fra loro. Nel caso di obesità grave il ricorso alla chirurgia bariatrica può essere preso in considerazione se il trattamento medico è stato oggetto di ripetuti insuccessi [14]. Fig 4 : Classificazione diete in funzione delle calorie Dieta isocalorica >1600Kcal/die Dieta ipocalorica 1000 – 1600Kcal/die Dieta fortemente ipocalorica <800Kcal/die

L’approccio fisiologico classico, che consiste in una riduzione degli apporti energetici e un aumento del dispendio energetico, deve essere supervisionato da un medico specializzato [14, 49]. Le diete ipocaloriche con un deficit di 600 kcal/die circa, e le diete a basso contenuto di grassi (ipolipidiche) sono gli approcci raccomandati per una perdita di peso duratura [49]. Per raggiungere questo scopo, si possono considerare diete ipocaloriche (1000-1600Kcal/die) facendo attenzione che rimangano nutrizionalmente complete [49]. Non è raccomandato utilizzare diete restrittive e non bilanciate dal punto di vista nutrizionale, perché si sono rivelate inefficaci a lungo termine e possono inoltre avere effetti nefasti [49].

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La creazione di un regime ad hoc permette di creare un regime basato sulle preferenze alimentari del paziente, permettendo quindi un approccio più individualizzato ma più flessibile per ridurre l'introito calorico [49]. Un regime alimentare corretto e su misura viene proposto poichè destinato a rieducare il paziente rispetto all’alimentazione : egli sarà guidato per nella selezione e preparazione degli alimenti secondo i criteri attuali della nutrizione moderna [14]. Inoltre sarà effettuato un insegnamento terapeutico rispetto alla creazione dei pasti giornalieri e delle modifiche dello stile di vita. A partire dall’ultima pubblicazione del gruppo NICE delle linee guida contro l'obesità del 2006 le prove dell'efficacia di una dieta fortemente ipocalorica (DFI) stanno aumentando così come il suo utilizzo. Questi interventi non sono attualmente chiaramente protocollati ed esistono dubbi e preoccupazioni innanzitutto rispetto alla loro sicurezza a lungo termine, all’aderenza terapeutica del paziente nonchè al mantenimento della perdita ponderale a lungo termine [49]. Le DFI possono quindi essere prese in considerazione per trattare l'obesità, ma non in modo sistematico e solamente nel contesto di una più ampia strategia per il controllo del peso, per pazienti obesi e che hanno una necessità clinica di perdere peso molto rapidamente [49]. In questo caso, ci si deve assicurare che: - La dieta sia nutrizionalmente completa. - La dieta venga seguita per al massimo 12 settimane in modo continuativo o intermittente. - La persona che effettua la dieta sia seguita dal punto di vista clinico [49]. Prima di iniziare DFI, si deve: - Escludere un disturbo del comportamento alimentare o una psicopatologia sottostante. - Discuterne i rischi e benefici con il paziente. - Chiarire che questa dieta non è adatta a un controllo del peso a lungo termine e che una volta terminata è possibile un recupero più o meno importante e rapido del peso perduto. - Discutere i termini di reintroduzione del cibo in seguito ad una dieta liquida [49]. Una volta terminato il periodo di dieta ferrea, è importante determinare una strategia che permetta un mantenimento del peso nel lungo termine [14, 49]. Questa fase di mantenimento è la più delicata per il possibile rischio di rebound ponderale. È importante discutere di una dieta bilanciata e incoraggiare il paziente a seguirla, associandola ad altri consigli salutari [49] come l’aumento dell’attività fisica [14]. I trattamenti farmacologici dell’obesità ancora approvati dalla FDA (orlistat, topiramato, …) non sono più raccomandati, da un lato per l’assenza di educazione nutrizionale del paziente e dall’altro per la presenza di effetti secondari o collaterali degli stessi [50]. b) DISLIPIDEMIA Esistono evidenze scientifiche solide secondo cui l’alimentazione può influenzare l’aterogenesi sia in modo diretto, che attraverso le modifiche sui fattori di rischio tradizionali quali i lipidi circolanti, la pressione arteriosa e la glicemia. 17


Secondo le lineeguida europee sulla prevenzione e il trattamento delle dislipidemie, è possibile mettere in atto delle modifiche alimentari per migliorare o addirittura normalizzare il profilo lipidico e in particolar modo: diminuire il colesterolo totale e il colesterolo LDL, diminuire la trigliceridemia e aumentare il livello di colesterolo HDL. Più che concentrarsi sulla quantità dei grassi alimentari e sul colesterolo stesso, le guidelines attuali sembrano mettere l’accento sulla qualità dei grassi nell’alimentazione. Questo perchè, secondo alcuni studi, la colesterolemia e la trigliceridemia sembrano essere legate al metabolismo degli acidi grassi e al metabolismo glucidico rispettivamente (Tab. 4). 

Alimentazione e colesterolo totale – colesterolo LDL. Gli acidi grassi saturi d’origine alimentare (laurico, miristico e palmitico; ma non lo stearico) hanno un effetto molto Tab 4: impatto delle modifiche alimentari sui lipidi plasmatici importante sui livelli di LDL: più la loro Effetto Grado Riduzione del Colesterolo-Totale e delle LDL quantità é elevata e più le LDL aumentano Ridurre i grassi saturi +++ A [51]. Ridurre i grassi insaturi trans +++ A Gli acidi grassi insaturi trans sono presenti Aumentare l'apporto in fibre ++ A nella nostra alimentazione e corrispondono Ridurre il colesterolo alimentare ++ B a <5% dei grassi totali. Alcuni hanno origine Utilizzare fitosteroli +++ A Ridurre l'eccesso di peso + B naturale (carne dei ruminanti) altri sono di Introdurre proteine della soya + B origine industriale derivanti Aumentare l'attività fisica regolare + A dall’idrogenazione parziale degli acidi Utilizzare complementi5 con riso rosso + B 6 grassi. Utilizzare supplementi con policosanoli + B Riduzione dei trigliceridi Essi presentano lo stesso effetto sul Ridurre l'eccesso di peso +++ A colesterolo degli acidi grassi saturi [52]. Ridurre l'apporto alcolico +++ A Rimpiazzando 1% degli acidi grassi saturi Ridurre l'apporto di mono- e disaccaridi +++ A con [51]: Aumentare l'attività fisica regolare ++ A Ridurre la quantità di carboidrati ++ A - Acidi grassi mono-insaturi: le LDL Utilizzare supplementi contenenti omega 3 ++ A diminuiscono di 1.6mg/dL (0.041mmol/L). Rimpiazzare i grassi saturi con MUFA-PUFA + B - Acidi grassi poliinsaturi omega 6: le LDL Aumento delle HDL diminuiscono di 2mg/dL (0.051mmol/L). Ridurre gli acidi grassi insaturi trans +++ A Aumentare l'attività fisica regolare +++ A - Carboidrati: le LDL diminuiscono di Ridurre il peso eccessivo ++ A 1.2mg/dL (0.032mmol/L) [53]. Ridurre i carboidrati e utilizzare MUFA ++ A - Acidi grassi poliinsaturi omega 3: il Moderare l'apporto alcolico ++ B colesterolo non scende, ma Utilizzare carboidrati a basso indice glicemico + C Smettere di fumare + B supplementando il paziente con omega 3 il Ridurre l’apporto di mono- e disaccaridi + C colesterolo LDL rimane stabile e +++ Consenso generale dei benefici a livello lipidico diminuiscono i trigliceridi [51]. Mangiando ++ Opinione in favore dell'efficacia a livello lipidico 2x/settimana pesce grasso il rischio CV + Dati conflittuali sull’efficacia a livello lipidico 5

Complemento alimentare : Sostanza che apporta elementi presenti in quantità insufficiente nel nostro organismo conlo scopo di correggere la carenza che potrebbe essere associata a manifestazioni cliniche. 6 Supplemento alimentare : Sostanza che apporta elementi all’organismo per migliorarne le funzioni senza che sia necessariamente presente una carenza organica. 18


sembra diminuire [54]. L’apporto di fibre alimentari ha un effetto ipocolesterolemizzante diretto [55], e una dieta ricca di fibre può contrastare gli effetti dislipemizzanti legati a quantità elevate di carboidrati [55]. La perdita di peso e l’attività fisica hanno effetti benefici, anche se minimi, sulle LDL [56, 57]. 

Alimentazione e trigliceridi Scelta degli zuccheri I metabolismi lipidico e glucidico sono strettamente correlati e ogni perturbazione glucidica può portare ad una dislipidemia in particolare ad una distrigliceridemia [54]. Più la perturbazione è importante e rapida e più le conseguenze metaboliche sono importanti. Se l’indice glicemico e il carico glicemico del pasto sono bassi gli effetti di una dieta ricca di carboidrati sono minimizzati: questo è possibile scegliendo cibi a basso indice glicemico o attraverso un rallentamento della digestione glucidica con l’utilizzo delle fibre [58]. Il fruttosio, malgrado sia uno zucchero a basso indice glicemico produce, se in eccesso (>10% dell’energia giornaliera totale) un’elevazione dei TG. Il sucrosio, un disaccaride molto presente nella dieta occidentale, composto da glucosio e fruttosio, è la maggior fonte di fruttosio nella dieta [59]. Scelta dei grassi Una dieta ricca di acidi grassi monoinsaturi migliora l’insulino-resistenza [60], con conseguente riduzione dei TG post-prandiali. Alte concentrazioni di acidi grassi omega 3 (supplementazione) sono in grado di abbassare i livelli di TG. Ma tali concentrazioni sono raramente raggiunte attraverso un’alimentazione quotidiana variata e l’utilizzo di alimenti arricchiti di omega 3 (complementi) [60]. Nei pazienti con ipertrigliceridemia persistente con chilomicroni anche a digiuno è opportuno ridurre la quantità di grassi alimentari a <30gr/die e, eventualmente, utilizzare trigliceridi a media catena per evitare la formazione di chilomicroni [54]. Una riduzione persistente del peso permette di far diminuire i TG del 20-30% [57]. L’alcool presenta une effetto nefasto sui TG, soprattutto nei pazienti già affetti da ipertrigliceridemia [61].

Alimentazione e colesterolo HDL. Gli acidi grassi saturi aumentano i livelli di HDL parallelamente ai livelli di LDL. Gli acidi grassi insaturi trans, abbassano le HDL e alzano le LDL. La sostituzione degli acidi grassi saturi con monoinsaturi non ha effetti sulle HDL. La sostituzione degli acidi grassi saturi con omega 6 le abbassa leggermente. La sostituzione degli acidi grassi saturi con omega 3 le alza leggermente (<5%)[53]. Sostituire i grassi con un apporto isocalorico di zuccheri determina una diminuzione delle HDL, ma in una dieta a basso carico glicemico e alto contenuto in fibre questa 19


diminuzione non viene osservata [62]. Una dieta ricca di fruttosio o sucrosio determina un’abbassamento del colesterolo HDL [54]. Una diminuzione del peso permette di aumentare le HDL: per ogni chilo perso, e non ripreso, le HDL aumentano dello 0.01mmol/L (~0.4mg/dL)[54]. L’attività fisica aerobica corrispondente a 1500-2200Kcal/settimana può far aumentare i livelli di HDL dello 0.08-0.15mmol/L (3.1-6mg/dL)[63] , così come smettere di fumare [64]. Le nuove strategie nutrizionali per migliorare le dislipidemie si basano non più soltanto sull’eliminazione di alcune categorie di alimenti a rischio e sull’incoraggiamento a consumare cibi salutari, ma anche sull’utilizzo di cibi funzionali o supplementi alimentari. Questo nuovo approccio è definito “nutriceutica” e può essere utile in aggiunta, o come rimpiazzo, alle terapie convenzionali [65]. 

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Supplementi alimentari e alimenti funzionali Gli alimenti funzionali devono dimostrare non solo degli effetti benefici, ma anche la loro buona tollerabilità e l’assenza di effetti collaterali o indesiderati [54]. I dati riguardo a questi alimenti “nutraceutici7” sono limitati in quanto non esistono studi intervenzionali con durata sufficiente da essere rilevanti per la storia naturale delle dislipidemie e delle malattie CV. Fanno parte di questo gruppo: - Fitosteroli I fitosteroli sono sostanze apportate attraverso una dieta equilibrata in quantità medie di circa 250mg/die nei paesi del Nord Europa e 500mg/die nei paesi mediterranei [54]. I più importanti (sitosterolo, campesterolo e stigmasterolo) si ritrovano in frutta e verdura fresche, noci e semi. Essi competono con il colesterolo per l’assorbimento intestinale, modulando così la colesterolemia. Le dosi nutrizionali di queste sostanze non permettono un abbassamento efficace del colesterolo, ma una supplementazione di circa 2g/die può ridurre i il colesterolo totale e le LDL di circa il 7-10% [66]. Non vi sono comunque prove che l’utilizzo di queste molecole possa abbassare il rischio CV, inoltre sono necessari studi a lungo termine per garantire la sicurezza di queste molecole, oggi rimessa in causa [54], e per valutare la possibile diminuzione d’assorbimento di vitamine liposubili [46, 67]. - Proteine della soya Le proteine della soya hanno un modesto effetto ipocolesterolemizzante sulle LDL se utilizzate al posto della carne (3-5%) [68]. - Fibre Le proteine solubili come quelle dell’avena (i betaglucani), e lo psillio hanno dimostrato un‘abbassamento del colesterolo totale e delle LDL. Alimenti arricchiti con queste fibre si sono dimostrati ben tollerati, efficaci e sono dunque raccomandati nella dose di 5-15g/die [69].

Nutraceutico : Sostanza alimentare che agisce positivamente sulle funzioni fisiologiche dell’organismo, favorendo il benessere e contrastando i processi degenerativi. Tra i nutraceutici più noti vi sono gli acidi grassi omega-3, alcuni ceppi batterici (➔ probiotico), il licopene, le vitamine, i coenzimi, alcuni amminoacidi (arginina, metionina), ecc. 20


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Omega 3 La supplementazione giornaliera in acidi grassi omega 3 non essenziali (EPA, DHA) di origine ittica si è dimostrata efficace per l’abbassamento dei TG del 25-30% in pazienti normo o dislipidemici. Questi omega 3 a lunga catena possono però aumentare i livelli di LDL del 5% in pazienti gravemente ipertrigliceridemici se somministrati ad un dosaggio pari a 3g/die [58]. Una supplementazione a dosi nutrizionali non abbasa i triglicerdi e non ha un effetto protettore sulle malattie CV [70]. Policosanoli I policosanoli sono sostanze naturali costituite da una complessa miscela di alcol alifatici lineari a lunga catena, ovvero alcoli grassi; questa miscela di alcoli viene isolata e purificata da sostanze cerose della canna da zucchero (Saccharum L. officinarum), delle patate e della cera d'api. Non sembrano avere effetti sulle dislipidemie in genere, nè sui fattori dell’infiammazione [71]. Riso rosso fermentato È fonte di un pigmento fermentato che ha azione statin-like [54]. Differenti composizioni commerciali contenenti dosaggi diversi di monacolina K (il principio attivo del riso rosso), hanno dimostrato un abbassamento del colesterolo totale e delle LDL ma la sicurezza sul lungo termine non è stata ancora chiaramente documentata [72].

c) IPERTENSIONE Modifiche appropriate dello stile di vita sono la pietra angolare della prevenzione dell’ipertensione, oltre che essere importanti per la terapia dell’ipertensione stessa. È necessario però ricordare che l’inizio della terapia farmacologica anti-ipertensiva non deve mai essere ritardato in caso di rischio cardiovascolare elevato [73]. Studi clinici dimostrano che le modifiche dello stile di vita agiscono abbassando la pressione in modo analogo ad una monoterapia anti-ipertensiva [74], il lato negativo è che comunque queste modifiche necessitano di una compliance da parte del paziente che spesso non esiste. Questi interventi sono sicuri, agiscono prevenendo o ritardando l’apparizione di un’ipertensione oppure riescono, se associati a farmaci, a diminuirne il dosaggio e il numero [75]. Inoltre, le modifiche dello stile di vita non agiscono in modo specifico solo ed esclusivamente sull’ipertensione ma su tutto il rischio cardiovascolare nella sua globalità, e su tutti i fattori di rischio CV [4]. Esistono 6 assi su cui indirizzare gli sforzi per modificare lo stile di vita (almeno quelli che hanno avuto un riscontro scientifico, Tab. 5) [76-78]:  Restrizione sodica Esistono relazioni causali fra il consumo di sale (NaCl) e la pressione arteriosa; un eccesso di sale può essere legato ad un’ipertensione resistente [73]. I meccanismi fisiopatologici legati al consumo di sale comprendono da un lato l’aumento del volume extracellulare e dall’altro un aumento delle resistenze periferiche legato al tono simpatico [79]. 21


Il consumo medio per la popolazione generale nei paesi occidentali è 9-12g/die e la riduzione a 5g/die è sufficiente per ridurre la pressione sistolica fino a 4-5mmHg nei soggetti ipertesi, ma solo di 1-2mmHg nei pazienti normotesi [76, 80, 81]. L’effetto di questa riduzione sodica a lungo termine sul rischio CV rimane incerto, anche se lo studio TOHP (Trials of hypertension prevention) sembra associarlo ad un rischio diminuito [82]. Non ci sono prove che una diminuzione del sodio (da alto a moderato) causi malattie [83]. I consigli alimentari e dietetici si basano dunque sulla quantità di sale presente negli alimenti (o aggiunto) con particolare attenzione al sale ”nascosto” che rappresenta circa l’80% della quantità ingerita [73]. 

Moderazione nel consumo di alcool La relazione tra consumo di alcool, livelli pressori e sviluppo di ipertensione è lineare [73]. Il consumo regolare di alcool è associato ad un aumento dei valori pressori nei pazienti ipertesi [84] con un aumento del rischio di malattie cerebrovascolari [73]. Non esistono studi clinici disegnati per studiare l’impatto della riduzione del consumo di alcool sui FRCV [73]. Un consumo di alcool pari a 20-30gr/die per gli uomini e 1020gr/die per le donne è in genere accettato (80gr-140gr/settimana).

Alto consumo di frutta e verdura e dieta a basso contenuto di grassi I pazienti ipertesi dovrebbero consumare verdure, alimenti a basso contenuto di grassi, fibre alimentari, cereali integrali e proteine vegetali così come ridurre il consumo di grassi saturi e di colesterolo [73]. Il consumo di frutta fresca è raccomandato ma con particolare attenzione alla frutta zuccherina che potrebbe provocare un aumento del peso [76, 85]. Il modello alimentare basato sulla dieta mediterranea ha recentemente attirato l’attenzione inquanto sembrerebbe, da alcune meta-analisi, essere legato ad una diminuzione del rischio CV [48, 86]. Si raccomanda ai pazienti di consumare pesce almeno 2 volte a settimana e 300-400gr di frutta e verdura al giorno [73]. Tab 5: modifiche dello stile di vita e ipertensione

Classe Grado Il latte di soya sembrerebbe Ridurre il sale (5-6gr/die) I A abbassare la pressione Moderare l’alcool (10-20gr ♀, 20-30gr ♂) I A rispetto al latte vaccino [87]. Aumentare l'apporto di frutta e verdura I A I A Rispetto al consumo di caffè Aumentare i derivati del latte (scremati) Ridurre il peso e la circonferenza addominale I A le meta-analisi non danno Fare attività fisica regolare (30min 5x/sett) I A una risposta chiara sul ruolo Smettere di fumare I A protettivo o di aggravamento dell’ipertensione [88] ma uno studio recente sembra associare il consumo di caffè ad una diminuzione della pressione artesiosa sistolica a lungo termine e ad una diminuzione del rischio CV [89].

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Perdita e mantenimento della perdita del peso L’ipertensione è correlata al sovrappeso [90] e la perdita di peso è legata ad un abbassamento dei valori pressori [73]. La perdita ponderale, o almeno una stabilizzazione del peso, sono quindi consigliate ai pazienti obesi e ipertesi. Nei pazienti in prevenzione secondaria e nei pazienti anziani la perdita di peso sembra essere correlata ad una prognosi peggiore [73]. Il mantenimento di un BMI nella norma e di una circonferenza addominale adeguata sono gli obiettivi per prevenire l’ipertensione nei soggetti sani e per diminuirne la pressione [73]. La perdita ponderale può anche migliorare l’efficacia dei farmaci antipertensivi e ridurre il rischio cardiovascolare [73]. Il problema è che i programmi di perdita ponderale non sono efficaci a lungo termine e che la loro influenza sulla pressione sanguigna potrebbe essere sovrastimata [73]. Si pensa che un controllo generale dei fattori di rischio sia più importante della perdita di peso di per sè, soprattutto se il rischio è alto [73]. Farmaci antiobesità, così pure come l’intervento di bypass gastrico, sembrano diminuire il rischio cardiovascolare nei pazienti con obesità grave [91].

Attività fisica regolare

Studi epidemiologici suggeriscono che un’attività aerobica regolare potrebbe essere benefica per la prevenzione e il trattamento dell’ipertensione e potrebbe diminuire il rischio cardiovascolare [73]. Anche un’attività fisica di bassa intensità e breve durata è associata ad una diminuzione della mortalità del 20% in diversi studi [73]. Associare l’alimentazione (es: DASH diet) a un’esercizio fisico regolare e ad una perdita di peso, sembrerebbe aumentare l’abbassamento pressorio, rispetto al solo intervento alimentare [92]. Gli esercizi dinamici sembrerebbero avere un impatto positivo sulla pressione arteriosa, mentre gli esercizi isometrici non sono attualmente consigliati [73]. Cessazione del tabagismo Fig 5 : ADA/EASD 2012 terapia anti-iperglicemica Il fumo è il principale fattore di rischio aterosclerotico ma quest’argomento esula dallo scopo della tesi.

d) DIABETE La società americana diabete (ADA) e quella europea (EASD) concordano nel ritenere che uno stile di vita sano, che includa una corretta alimentazione, un’attività fisica adeguata e l’arresto del tabagismo, sia la prima misura di prevenzione e/o di trattamento del Inzucchi SE, et al. Diabetes Care 2015 diabete di tipo2 [93], con lo scopo di diminuire il peso corporeo e ridurre il rischio CV [94] (Fig. 5). 23


Alimentazione diabetica equilibrata

Purtroppo una recente meta-analisi ha concluso che i dati pubblicati sull’efficacia degli interventi dietetici sul DM di tipo2 sono scarsi e di bassa qualità [95]. carboidrati Siccome la maggioranza dei pazienti diabetici in Europa è proteine anche obesa, un controllo del peso è considerato essere il grassi punto centrale dell’intervento sullo stile di vita: sia in senso di perdita che di stabilizzazione (Tab. 6). Nei pazienti con obesità grave, la chirurgia bariatrica ha effetti a lungo termine e riduce l’incidenza di diabete tipo 2 e di mortalità a 10 anni [96]. Dal punto di vista dietetico/nutrizionale le guidelines dell’EASD del 2013 risultano essere molto meno prescrittive rispetto alle versioni precedenti [97] e ci si è resi conto che determinati stili dietetici possono essere adottati per migliorare l’apporto calorico e le proporzioni dei differenti macronutrimenti [93]. In particolare si cercherà di ottenere le seguenti proporzioni: > Proteine: 10-20% dell’energia totale (minore nei nefropatici) > Grassi: 35% dell’energia totale Con la ripartizione seguente: - Acidi grassi saturi <10% e trans di origine naturale < 1% - Acidi grassi monoinsaturi: 10-20% - Acidi grassi polinsaturi: 10% di origine mista (vegetale e animale) - Colesterolo < 300mg/die > Carboidrati: 45-55% dell’energia totale Con particolare attenzione per quei carboidrati che facilitino la stabilizzazione glicemica. In realtà la natura e la quantità dei carboidrati variano in funzione della terapia antidiabetica del paziente [93]. Quando la quantità di carboidrati non può essere ridotta è importante utilizzare alimenti a basso indice glicemico, ricchi in fibre Tab 6: modifiche dello stile di vita e diabete Classe Grado [93]. Moderare i grassi totali (<35% energia giornaliera) I A Regimi alimentari iperproteici non sono Moderare i grassi sature (<10% E.G) I A utili nel diabete [97] e non ci sono prove Aumentare i grassi monoinsaturi (>10% E.G) I A che un regime povero in carboidrati sia Aumentare la quantità di fibre (>40gr/die) I A benefico in questi casi [93]. Per i Diminuire il peso in eccesso con dieta ipocalorica I B Smettere di fumare I A pazienti che seguono un’alimentazione Praticare attività fisica moderata (>150min/sett) I A ricca in grassi, la dieta mediterranea è Praticare esercizio fisico aerobico e di resistenza I A un compromesso accettabile: in questo Supplementazioni di vitamine e micronutrimenti non III B caso la quantità di grasso deriva sono raccomandate essenzialmente dai MUFA (presenti nell’olivo d’oliva) potenzialmente preventivi rispetto alle malattie CV [86]. La quantità di fibre vegetali giornaliere dovrebbe elevarsi a più di 40g/die, la metà delle quali solubili. Ritroviamo di nuovo l’accenno ad un utilizzo moderato dell’alcool (20gr/die per gli uomini, 10gr/die per le donne) inquanto associato ad una diminuzione del rischio CV nei pazienti diabetici e non [98]. Un suo utilizzo eccessivo è associato, come già accennato, ad ipertensione e ipertrigliceridemia [4]. 24


Sembra inoltre che il consumo di più di 4 tazze di caffè/die, se bollito e filtrato [99], sia associato ad una diminuzione delle malattie cardiovascolari nei pazienti diabetici [100]. 6. LA BIOTERAPIA NUTRIZIONALE®. La Bioterapia Nutrizionale® (BTN) è una metodica medica, utilizzata da diversi decenni e comprovata clinicamente, in grado di influire sulle funzioni organiche del corpo umano per preservarne lo stato di salute [101]; essa si pone l'obiettivo di ottimizzare le funzioni fisiologiche per assicurare lo stato di benessere e ridurre il rischio di malattia, aumentando la qualità e l'aspettativa di vita [101]. La BTN ha il fine di creare una sequenza di pasti su misura per la persona nell'ambito della prevenzione delle malattie, del loro trattamento e di sostenere l'organismo così come le funzioni organiche durante la malattia. La BTN si basa sulle caratteristiche peculiari del paziente prendendo in considerazione non solo l'effetto nutrizionale dell'alimento, ma il suo effetto terapeutico sulla persona: in relazione alla sua costituzione, alle sue patologie, alle sue appetenze nonché al suo contesto economicosociale e personale. È questo il grande vantaggio della BTN rispetto alla nutrizione classica: avere come protagonista principale il paziente nella sua totale complessità e trovare soluzioni nutrizionali adeguate per permettergli di raggiungere uno scopo. Parallelamente i pasti proposti e l’educazione terapeutica del paziente, gli insegneranno a nutrirsi correttamente e diventare responsabile del proprio stato di salute. La prescrizione alimentare è necessariamente individualizzata e continuamente mutevole in relazione alla risposta dell'organismo: ad ogni pasto vengono prescritte specifiche associazioni alimentari sulla base della cinetica e della dinamica degli alimenti, affinché le loro proprietà e i nutrienti realizzino una sinergia d'azione a vantaggio del paziente [102]. In conformità alle variazioni dello stato del paziente sulla base della sua sintomatologia, degli esami ematochimici, e delle indagini strumentali, l'indicazione alimentare, rigorosamente personalizzata, esclude l'opportunità di schemi preconfezionati: intervento è sul paziente nella sua unità dinamica [101]. Fig 6: Scala della complessità nutrizionale È importante notare come il singolo alimento, malgrado la sua composizione in macro e micro nutrienti, non venga utilizzato come nutraceutico o fitoterapico, ma venga associato all'interno di un pasto, in modo studiato e mirato. Questo permette di creare un pasto con l’effetto funzionale e terapeutico desiderato. L'alimentazione è però composta da una successione di pasti e anche quest’ultima deve quindi essere programmata, 25


studiata, creata in funzione dello scopo che vogliamo ottenere e paziente.

delle caratteristiche del

Salta subito all'occhio la differenza rispetto alla nutrizione classica (Fig. 6) che vede l'alimento come un contenitore di macronutrienti (proteine, grassi e carboidrati) e di calorie. In questa limitata visione, viene persa l'interazione tra l'alimento e l'organismo (quale funzione svolge l'alimento nel mio corpo?), non viene presa in considerazione la vitalità dell'alimento (qual’è il messaggio veicolato dall'alimento?), viene perso anche il concetto di qualità dell'alimento (qual’è la differenza fra un alimento integro e uno manipolato?), non viene studiata la biodisponibilità degli alimenti (in funzione, per esempio, delle modalità di cottura) e delle associazioni alimentari (l'associazione di alimenti in un pasto può favorire o contrastare la biodisponibilità di un determinato nutriente?) e, soprattutto, non vengono tenute in considerazione le caratteristiche individuali, costituzionali e tipologiche, del paziente. La BTN si avvale esclusivamente dell'alimentazione per ristabilire l'equilibrio e la salute, nella consapevolezza che il recupero delle funzioni organiche è spesso più efficace e sicuramente meno nocivo dei farmaci impiegati per tali scopi [101]. L'organismo è biologicamente predisposto a riconoscere simile a sé la maggior parte dei cibi commestibili, per questa ragione non possiede meccanismi di difesa nei loro confronti. L'alimento penetra velocemente e completamente nel profondo del metabolismo organico, per questo può essere causa di effetti salutari se utilizzato correttamente ma dannosi qualora sia utilizzato in modo improprio [101]. Focalizzando l'intervento terapeutico sulla malattia, l'unico obiettivo diventa quello di sostituire al meglio la funzione organica, negando all'organo qualsiasi possibilità di recupero e alla natura la sua capacità risanatrice [101]. La BTN si propone quindi di salvaguardare le capacità residue degli organi e di recuperare le funzioni alterate, evitando di provocare altre difficoltà in quelle già aggravate e stimolando quelle che sono in deficit, per riportare in equilibrio l'intero sistema [101]. 7. LE COSTITUZIONI E IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE Nella Medicina Tradizionale Cinese (MTC) esistono delle bio-energie che determinano la strutturazione della persona dal punto di vista fisico e della personalità. Secondo questa teoria esistono quindi cinque costituzioni che, mescolandosi tra di loro, formano la persona nella sua complessità. Fig 7: Grafico dei 5 movimenti (MTC) Riconosciamo cinque costituzioni (Fig. 7) : la costituzione epatica (legno), la costituzione cardiaca (fuoco), la costituzione pancreatica (terra), la costituzione polmonare (metallo), e la costituzione renale (acqua). Non esistono costituzioni pure; generalmente l'organismo umano è formato dall'insieme di 2-3 costituzioni e, solitamente una di queste è predominante. 26


Ogni costituzione presenta delle caratteristiche psicologiche, fisiologiche e fisiopatologiche specifiche, attraverso le quali è possibile prevedere quali possano essere le reazioni della persona in un determinato contesto (stress, invecchiamento,…) e quali siano le malattie statisticamente più probabili. Grazie all'identificazione della costituzione del nostro paziente, possiamo mettere in atto una prevenzione primaria, che comprenda il riequilibrio delle funzioni organiche. Ed è in questo contesto specifico che la BTN presenta al meglio le sue potenzialità: quale migliore prevenzione di una nutrizione specifica e su misura? In rapporto al rischio cardiovascolare, possiamo considerare soprattutto due costituzioni: la costituzione cardiaco-surrenalica e la costituzione pancreatica. Nel paragrafo successivo parleremo in dettaglio delle linee guida nutrizionali di queste costituzioni. a) LA COSTITUZIONE CARDIACO-SURRENALICA [103]. La caratteristica ereditaria distintiva di questi soggetti è di avere un'attività cortico-surrenalica molto efficiente. Tale funzione ormonale è determinante per garantire all'organismo un livello energetico costante e difese immunitarie attive, tanto è vero che questi soggetti sono individui resistenti alle infezioni virali e batteriche fin da piccoli e raramente incorrono in sindromi da raffreddamento o influenzali. Questa loro elevata "energia interna" si manifesta soprattutto nella parte superiore del corpo, con una cute calda, e uno sviluppo pilifero precoce fin dalla prima età. Tipico è il prevalere dei fenomeni anabolici rispetto a quelli catabolici, anche nella fase geriatrica della vita, il che si manifesta con un sistema muscolo-scheletrico molto ben rappresentato, anche in assenza di attività sportiva. Non vi è presenza di spasmi e contratture, tipiche dell’epatico. Dal punto di vista psichico-comportamentale sono soggetti squisitamente "dominanti", attivi, intraprendenti e dotati di capacità organizzativa e dirigenziale, tanto da rassegnarsi raramente a ruoli da sottoposti o dipendenti. Quando, per errori nutrizionali, farmacologici o di stile di vita (NdT) la loro attività corticosteroidea aumenta troppo, l'esasperazione dei processi anabolici può comportare una serie di disturbi o di patologie più o meno severe riguardanti prevalentemente il sistema cardiovascolare e metabolico. Questo rende ragione della tendenza all'ipertensione arteriosa e all'ipercoagulabilità ematica fin dall'età giovanile. Altri possibili disturbi sono dati da squilibri della regolazione glicemica, con l'insorgenza di diabete di tipo 2, oppure alterazioni del metabolismo lipidico con ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia, tanto da configurare il quadro classico della sindrome metabolica. L'anabolismo costituzionale può comportare un aumento di peso confinato soprattutto nella parte superiore del corpo, con gambe relativamente sottili su un tronco massiccio, con ampio diametro antero-posteriore del torace, spalle possenti, collo taurino, cute e sottocutaneo spessi e compatti. Sbalzi ipertensivi si manifestano attraverso possibili cefalee nucali e rossore al viso, che all'improvviso diventa congestionato e paonazzo. 27


Le funzioni organiche più a rischio in queste persone sono quella renale e quella cardiaca, sottoposte ad una pressione arteriosa costantemente al di sopra della media, ad una frequente ipercoagulabilità ematica, con rischio di fenomeni tromboembolici, e ad una tendenza all'iperprotidemia. b) LA COSTITUZIONE PANCREATICA [103]. I soggetti pancreatici sono delle persone pacate e floride caratterizzate da una regolazione instabile della produzione di insulina, che si traduce in una continua oscillazione del tasso di zucchero nel sangue. Senza dover necessariamente giungere ad una diagnosi di diabete, i pancreatici hanno sicuramente un rischio maggiore rispetto ad altre tipologie umane, di sviluppare tale alterazione metabolica. Dalla biochimica e dagli effetti fisiologici dell'insulina sui metabolismi, è possibile desumere una serie di caratteristiche fisiche e psichiche di questi soggetti. Il prevalere del sistema nervoso vegetativo parasimpatico comporta rallentamenti digestivi, gastralgia, meteorismo, gonfiori addominali e alvo a volte diarroico. Il loro metabolismo è tendenzialmente lento, con facilità all'accumulo di tessuto adiposo, nelle forme tipiche, nelle zone centrali del corpo, dal bacino all'arcata costale, con evidenti cuscinetti laterali tanto da essere identificata come la classica obesità "a mela". Potranno essere interessate anche le cosce, le gambe, con caviglie grosse e, nei casi più eclatanti, con notevole imbibizione linfatica di tutto l'arto inferiore. Costante sarà la scomparsa del punto vita che differenzierà nettamente questo tipo di sovrappeso da quello epatico. Al contrario dei soggetti "cardiaco-surrenalici", nei quali il diabete può intervenire come effetto secondario all'eccessiva produzione di cortisolo, in questo caso può essere una condizione primitiva, spesso associato ad un aumento di trigliceridi e del colesterolo. L'accumulo adiposo sottocutaneo rende i loro tessuti morbidi, flaccidi nella fase avanzata della vita, molto frequentemente soffrono di ristagno della circolazione linfatica soprattutto a livello delle gambe e delle cosce. Dal punto di vista neuropsichico sono degli individui placidi, riflessivi, a volte lenti nell'ideazione e laboriosi nel prendere iniziative. Sono restii ai cambiamenti e si sentono tranquilli se conservano sempre le loro abitudini di vita. In senso peggiorativo possono diventare indecisi, ossessivi, incapaci di agire nei tempi giusti o di reagire, quando necessario. 8. LINEE GUIDA IN BIOTERAPIA NUTRIZIONALE® Dalle caratteristiche fisiche e metaboliche possiamo dedurre che il trattamento bioterapico sarà diverso in funzione delle differenti costituzioni. Vediamo quali sono le lineeguida generali per il trattamento bionutrizionale dei differenti fattori di rischio, cominciando proprio dall’obesità nelle costituzioni cardiaco-surrenalica e pancreatica. a) OBESITÀ NEL SOGGETTO SURRENALICO [103]. Sono soggetti le cui caratteristiche neuroendocrine si esprimono con una marcata tendenza anabolizzante per la quale è particolarmente difficile, in questi soggetti troppo "strutturati", attivare un catabolismo in grado di ridurre il peso e le misure nelle zone superiore del corpo. 28


Inoltre, se è vero che l'incremento ponderale è sempre conseguenza di un rallentamento organico, e spesso anche psichico, questo caso fa eccezione, in quanto si tratta di individui attivi, con funzione tiroidea e neurologica normale, o ai limiti alti della norma. Pertanto, la stimolazione del catabolismo organico dovrà essere molto mirata, evitando quelle soluzioni nutrizionali che potrebbero incrementare ulteriormente la funzione surrenalica anabolizzante. In questo tipo di obesità sarà controproducente l'impiego di sostanze adrenergiche, come caffeina e teobromina, che potenzierebbero gli effetti del cortisolo, già elevato in questi individui. Per la stessa ragione, sarà necessario ridurre o escludere alimenti ricchi di solanina biodisponibile, come melanzane e peperoni, o di clorofilla, presente nelle parti superficiali ed esterne di numerose verdure a foglia. Fra le varie modalità di stimolo generalizzato si potrà sfruttare quello del ferro, a condizione di escludere le carni rosse e il kiwi, troppo ricche, le prime, di basi azotate, il secondo di vitamina C, preferendo tutte le verdure appartenenti alla famiglia delle cicorie, per il loro potere di drenaggio tessutale e di facilitazioni della funzione renale, sempre a rischio in questo tipo di pazienti. Non sarà utile, invece, lo stimolo metabolico della vitamina C, per la sua azione eccitante neurologica e strutturante, a livello dei biochimismi tissutali. Sarà comunque possibile un impiego moderato dell'acido citrico del limone, del pompelmo o dei mandarini, ad esclusione dell'arancia, ricca anche di sali minerali e zuccheri. Inefficace, e quasi sempre dannosa, l'attività fisica, in quanto il lavoro muscolare intenso esalterebbe ulteriormente l'anabolismo di questi soggetti, prova ne sia l'impiego illegale di sostanze steroide nelle palestre per velocizzare l'aumento e la compattezza delle strutture corporee. Per la stessa ragione saranno in assoluto controindicate le diete iperproteiche, inquanto, oltre a non sortire l'effetto desiderato, potrebbero essere responsabili di gravi complicazioni renali e cardiovascolari. Bisognerà moderare l'utilizzo degli alimenti che aumentino la coagulabilità del sangue, in particolare i formaggi stagionati, i cibi ricchi vitamina C e vitamina K, oltre a quelli troppo ricchi di ferro ed emoglobina. Particolare attenzione dovrà essere posta all'introito di sali minerali, non solo attraverso la Tab 7: Linee guida bionutrizionali nell’obesità surrenalica - Contrastare l'anabolismo costituzionale con alimenti e diminuzione del cloruro di sodio ma associazioni destrutturanti. anche di tutti gli altri sali e degli alimenti - Favorire costantemente la fluidificazione dei liquidi organici e del ricchi di ossalati, che non sempre si tessuto ematico. - Agevolare e proteggere la funzione renale, a rischio per la tengono in debito conto. In casi frequente coesistenza di una pressione arteriosa diastolica ai particolari, potrà essere utile anche una limiti alti della norma. riduzione, se non addirittura - Prestare attenzione all'indice glicemico complessivo dei pasti proposti, in quanto oscillazioni non fisiologiche della secrezione un'esclusione, del glutine della farina di insulinica potrebbero indirettamente provocare ulteriore frumento. innalzamento degli ormoni surrenalici. Tenendo conto delle precedenti - Bilanciare l’iperandrogenismo con l’impiego razionale di l'impostazione fitoestrogeni, differenziando la frequenza degli stessi nel sesso controindicazioni, maschile o in quello femminile, in età fertile, o in menopausa. bionutrizionale nei soggetti con iperfunzione surrenalica dovrà seguire le finalità riportate di seguito (Tab. 7). Un'impegnativa diagnostica differenziale riguarderà la distinzione di questo tipo di obesità da quella pancreatica caratterizzate da alterazioni dell'equilibrio glicemico. 29


È frequente, infatti, la coesistenza di squilibri endocrino-metabolici, che interessano simultaneamente il pancreas e il surrene, con alterazioni ematochimiche miste. In questi casi, bisognerà tener conto delle attenzioni nutrizionali utili per questo tipo di obesità, ma senza trascurare quelle descritte nel capitolo dell'obesità pancreatica. b) OBESITÀ NEL SOGGETTO PANCREATICO [103] La gestione del carico glicemico dei pasti sarà particolarmente importante nel trattamento dell'obesità pancreatica, statisticamente frequente sia come forma primitiva in soggetti con predisposizione costituzionale agli squilibri glicemici o al diabete, sia come complicazione endocrino-metabolica sovrapposta ad altre forme di obesità, in particolare quelli con iperfunzione surrenalica o con disfunzioni renali, così come in quella che potrebbe insorgere in postmenopausa, soprattutto in donne con deficit estrogenico in età fertile. La tendenza spontanea di questi soggetti sarà quella di sviluppare patologie dismetaboliche come ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia e diabete. Tenendo conto del fatto che in tutte le forme di obesità la necessità primaria sarà sempre quella di attivare il metabolismo rallentato, in questo caso sarà necessario stimolare prima di tutto la tiroide, in quanto si tratta di individui con una tendenza costituzionale all'ipotiroidismo. Tale stimolo sarà realizzato con un frequente impiego del pesce, proposto in tutte le forme, in modo da realizzare contemporaneamente anche una stimolazione diretta del fegato. È possibile proporre il pesce anche nel pasto serale, poiché si tratta di individui che non soffrono di disturbi del sonno e che potranno giovare di uno stimolo metabolico anche nelle ore notturne. Scarsamente efficace, invece, il pesce lesso, in quanto privato di parte dello iodio e del fosforo persi per diluizione nell'acqua di bollitura. Quest'ultima osservazione è valida anche per una serie di verdure contenenti iodio, come quelli appartenenti alle famiglie delle brassicacae, per le quali sarà meglio evitare la bollitura preliminare, ripassandole a crudo in aglio e olio extravergine d'oliva, oppure potranno essere proposte in pastella o fritte dorate, in modo da impedire qualsiasi perdita di nutrimenti. Oltre allo stimolo tiroideo ed epatico, si potrà sfruttare anche quello neurologico, esercitato da sostanze nervine come il tè, o il Tab 8: Linee guida bionutrizionali nell’obesità pancreatica caffè in quantità moderata, o da - Attivare il metabolismo attraverso uno stimolo tiroideo eccitanti cellulari come l'acido - Attivare il metabolismo attraverso uno stimolo neurologico - Attivare il metabolismo attraverso uno stimolo epatico citrico del limone o del pompelmo. - Evitare di rallentare i metabolismi In assenza di patologie - Stabilizzare la glicemia e la risposta insulinica concomitanti e di qualsiasi rischio di disfunzione renale, sarà possibile anche una sollecitazione iperproteica controllata da frequenti analisi delle urine, con carni a pranzo e pesce o uova a cena, in pasti che prevedano comunque un'adeguata quota di carboidrati e di acqua di vegetazione fornita da verdure crude e da frutti a basso indice glicemico. La necessità di esercitare un marcato stimolo metabolico in soggetti con tendenza all'imbibizione tissutale e al rallentamento delle funzioni vitali giustificherà la limitazione all'esclusione di alimenti troppo ricchi di potassio e calcio, in quanto l’azione miorilassante e neurosedativa non contribuirà a velocizzare le suddette funzioni vitali; da segnalare soprattutto l'effetto negativo dei derivati del latte, il cui contenuto in calcio contrasterà con la 30


necessaria sollecitazione della funzione tiroidea. I formaggi potranno aumentare i valori ematici di colesterolo e trigliceridi, ma avranno soprattutto un freno del transito intestinale e saranno di notevole impegno per il fegato a cui, invece, viene richiesto di accelerare il suo lavoro biochimico. Una particolare attenzione sarà riservata al carico glicemico complessivo dei pasti, associando gli alimenti in modo da non provocare un'eccessiva secrezione di insulina, che contribuirebbe a perpetuare il sovrappeso e a favorire l'evoluzione verso forme di diabete dismetabolico. L'impostazione bionutrizionale nei soggetti con disfunzione pancreatica dovrà seguire le finalità riportate sopra (Tab. 8). c) IPERCOLESTEROLEMIA [103] Una delle categorie di nutrimenti più osteggiate nella nutrizione classica ormai da decenni è quella dei lipidi, meglio noti con il termine dispregiativo di « grassi ». Molti studi scientifici hanno dimostrato in modo inequivocabile che un’alterazione del metabolismo lipidico è spesso associata a patologie cardiovascolari e degenerative, per cui l’immaginario popolare ne ha tratto l’inevitabile conclusione che il grasso non solo ingrassa, ma uccide. Il risultato paradossale di questa distorta filosofia nutrizionale è stato quello di sviluppare un’ossessiva fobia rispetto a tutti gli alimenti ricchi di lipidi e di colesterolo, che l’industria alimentare ha sfruttato proponendo le più bizzarre soluzioni : burro senza colesterolo, latte mortificato dalla scrematura, margarine di dubbia qualità e olii di semi sempre più manipolati. Le catastrofiche conseguenze sulla salute pubblica determinate da questi prodotti sono oggi sotto gli occhi di tutti, anche in considerazione del fatto che nelle civiltà occidentali avanzate, la percentuale di obesi è in continuo aumento soprattutto tra le fasce d’età sempre più giovani, con conseguenze severe per lo sviluppo neuromotorio e ormonale di bambini e degli adolescenti in accrescimento. I lipidi sono una categoria di nutrimenti indispensabili per la sopravvivenza degli esseri umani e per la perpetuazione della specie, ma bisogna distinguere fra quelli saturi, monoinsaturi e poli insaturi. Oltre all’apporto esterno, tra le vie metaboliche che portano all’eccessiva sintesi di queste molecole c’è anche quella di un’alimentazione troppo ricca di zuccheri. Infatti, uno dei primi accorgimenti bionutrizionali nei casi di ipertrigliceridemia, sarà quello di una drastica riduzione degli zuccheri e del carico glicemico dei pasti, in particolare di quello serale. Tale risultato si potrà ottenere riducendo la frequenza e la quantità dei glucidi semplici o a rapido assorbimento, come zucchero, dolci, vino, frutta, … e aumentando la percentuale dei lipidi alimentari, soprattutto di quelli mono e poli-insaturi come l’olio extravergine d’oliva e i lipidi animali non sottoposti a temperature elevate e tempi prolungati di cottura, come il prosciutto crudo, il salmone affumicato o a carpaccio, il burro, lo yogurt intero,… Altrimenti, un pasto in cui si sia ridotta al minimo la percentuale di lipidi avrà inevitabilmente un indice glicemico più elevato, costringendo il fegato a trasformare gli zuccheri in eccesso in trigliceridi, stoccando poi questi ultimi nel tessuto adiposo. Il colesterolo, invece, è un alcol policlico appartenente alla famiglia degli steroli ; fu identificato per la prima volta come componente dei calcoli biliari (chole- bile ; stereos – 31


solido). Esso è presente in tutti i tessuti, soprattutto nel cervello, nella bile e nel sangue e costituisce un precursore fondamentale per la sintesi di numerosi ormoni, della vitamina D e per la formazione dei sali biliari. Data la sua limitata solubilità, per raggiungere le sedi di utilizzazione il colesterolo viene trasportato dalle diverse lipoproteine (LDL, HDL, VLDL). La sintesi endogena del colesterolo da parte del fegato è di gran lunga superiore all’apporto esogeno tramite gli alimenti (80% vs 20%). La quota che non passa nel sangue è necessaria per i processi digestivi come costituente fondamentale dei sali biliari. Nel trattamento bionutrizionale si cercherà di stimolare la funzione epatobiliare per permettere l’eliminazione del colesterolo nel lume intestinale. Tale stimolo si realizzerà con un corretto impiego di soffritti e fritti, superando la naturale perplessità dei pazienti ai quali di solito viene raccomandato di evitare tali modalità di cottura. Saranno adatti alimenti ricchi di potassio dall’azione miorilassante per dilatare la muscolatura liscia delle vie biliari e favorire il deflusso della bile nel lume intestinale. Allo stesso tempo si eviterà di complicare i processi digestivi con preparazione di difficile digestione o con apporto simultaneo di lipidi di diversa natura. Nella composizione dei pasti si Tab 9: Linee guida bionutrizionali nelle dislipidemie utilizzeranno alimenti dotati di specifica - Controllo glicemico azione ipocolesterolemizzante come la - Aumento degli acidi grassi mono- e polinsaturi - Stimolo funzione epatobiliare mela verde, i frutti di bosco, le fragole e - Rimedi specifici la melagrana. Il kiwi sarà doppiamente indicato sia per il suo contenuto di vitamina C che per l’azione di stimolo intestinale. Da segnalare anche l’utilità dei legumi e del pesce o di rimedi come centrifugato di carota da assumere a digiuno. L'impostazione bionutrizionale nei soggetti con dislipidemia dovrà seguire le finalità riportate sopra (Tab. 9). d) IPERTENSIONE ARTERIOSA ADRENERGICA E DISMETABOLICA I cambiamenti nella dieta e nello stile di vita del paziente sono in grado di migliorare sensibilmente il controllo della pressione sanguigna e ridurre pertanto il rischio di complicazioni. Raramente l’ipertensione verrà svelata da sintomi specifici e la sua identificazione sarà dovuta spesso ad uno screening casuale, o al trattamento di problemi non correlati. Le evidenze tuttavia rivelano che gran parte delle persone con ipertensione lamenta cefalea, in particolare nella zona postero-superiore del cranio, con maggiore frequenza nelle ore mattutine, quando fisiologicamente i livelli degli ormoni surrenalici sono più elevati. Dal punto di vista bionutrizionale si potrà intervenire efficacemente nella maggior parte dei casi di ipertensione, sia nelle fasi iniziali, quando il medico cerca di procrastinare il trattamento farmacologico consigliando genericamente la riduzione o l’astensione del sale da cucina (NaCl), sia quando le linee guida alimentari saranno programmate per agire in sinergia con i farmaci stessi, cercando di ridurli al dosaggio efficace più basso possibile. È possibile distinguere 2 grandi categorie di soggetti affetti da ipertensione, con esigenze nutrizionali differenti. 

L’IPERTENSIONE ARTERIOSA ADRENERGICA : riguarda individui con elevato tono adrenergico (costituzione epatica), di solito magri, asciutti, nervosi, soggetti a scatti di rabbia e ad irritabilità, con crisi ipertensive considerevoli e di breve durata, ma con 32


indici pressori elevati, soprattutto per quanto riguarda il valore sistolico. Questi soggetti tendono alla disidratazione, pertanto i loro gradienti pressori non dipenderanno dall’aumento dei liquidi nel letto vascolare, quanto dalla contrattura della muscolatura liscia vasale, causata dall’elevato tono adrenergico che li caratterizza. Essi si gioveranno di un trattamento nutrizionale neuro-sedativo, con alimenti ricchi di calcio e potassio e con una quota significativa di zuccheri semplici e complessi, atti a sostenere il loro elevato consumo energetico ed evitare condizioni di ipoglicemia che attiverebbero la secrezione di adrenalina, rischiando crisi ipertensive acute con elevata frequenza cardiaca. Per la stessa ragione, saranno evitate sostanze nervine come caffeina, teina e teobromina, i prodotti ittici con maggiore concentrazione di iodio e fosforo e tutte le verdure neuroeccitanti, come il sedano, la melanzana e la maggior parte delle brassicaceae. 

L’IPERTENSIONE ARTERIOSA DISMETABOLICA : riguarda soggetti ipertesi con segni tipici della sindrome metabolica, che accomuna le indicazioni relative all’obesità, alle patologie cardiovascolari e al diabete. In questo caso bisognerà da un lato agevolare la funzione renale con una riduzione del glutine e un impiego frequente di tutte le verdure diuretiche, in particolare quelle appartenenti alla famiglia delle cicorie, evitando i vegetali a maggiore contenuto di sali minerali e di ossalati come la bietola, gli asparagi e gli spinaci. D’altro canto sarà necesario attivare i processi depurativi organici e ridurre il peso corporeo, proponendo spesso la quota proteica dei prodotti ittici, con una diminuzione o esclusione della carne rossa, a maggiore contenuto di scorie azotate. Lo stimolo epatico sarà importante e verrà effettuato con alimenti fritti e soffritti in olio di oliva extravergine, ma anche trifolati e ripassati, garantendo la presenza costante dell’aglio, che agirà come regolatore della pressione sistolica e diastolica. Nei soggetti diabetici o a Tab 10: Linee guida bionutrizionali nell’ipertensione rischio per questa malattia, sarà Adrenergica: opportuno calcolare il valore - Aumentare stimolo neuro-sedativo - Aumentare la quota di carboidrati (lenti e rapidi) facendo complessivo del carico glicemico di attenzione a stabilizzare la glicemia tutti i pasti, in particolare di quello Dismetabolica serale. Infine bisognerà contrastare - Agevolare la funzione renale - Ridurre il peso corporeo la tendenza all’ipercoagulabilità - Stimolare il metabolismo epatico ematica, escludendo i derivati del - Stimolare il metabolismo tiroideo latte e proponendo alimenti - Stabilizzare il carico glicemico dei pasti - Fluidificare il sangue fluidificanti come l’aglio, la cipolla, le fragole, l’ananas, il melone e tutti i frutti di bosco, utili anche per la microcircolazione, sempre a rischio negli ipertesi. L'impostazione bionutrizionale nei soggetti con ipertensione dovrà seguire le finalità riportate sopra (Tab.10).

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e) DIABETE DI TIPO 2 [103]. Il diabete mellito di tipo 2 è una malattia metabolica caratterizzata da iperglicemia causata da insulino-resistenza periferica, da un progressivo esaurimento della funzione delle cellule β del pancreas e aumento della glucagonemia. Lo sviluppo del diabete di tipo 2 è determinato da una combinazione di fattori, fra cui : lo stile di vita, alcune patologie endocrine e fattori genetici. Fra i principali fattori predisponenti sono da annoverare l’obesità, la mancanza di attività fisica, gli errori nutrizionali, lo stress e l’urbanizzazione, ma anche l’impiego di un certo numero di farmaci come glucocorticoidi, tiazidici, betabloccanti, antipsicotici e le statine, comunemente usate per il trattamento delle ipercolesterolemie. Il trattamento iniziale del diabete mellito di tipo 2 consiste nell’incrementare l’esercizio fisico insieme a generici consigli nutrizionali, come ad esempio la riduzione degli zuccheri. Se, tramite queste misure i livelli di glucosio nel sangue non dovessero diminuire, si renderà necessaria la somministrazione di farmaci ipoglicemizzanti orali o di insulina farmacologica nei casi che evolvono verso l’esaurimento funzionale dell’attività endocrina del pancreas. Come in molti altri disturbi o patologie, l’importanza di una corretta alimentazione viene enfatizzata ma ridotta quasi sempre a consigli generali che raramente incidono in modo significativo sulla salute del paziente. Nella gestione bioterapica del diabete di tipo 2 bisognerà prima di tutto tener conto di eventuali problematiche collaterali come l’obesità, l’ipertensione e il rischio cardiovascolare, oggi accomunate nell’ambito della cosiddetta sindrome metabolica. Il potenziale terapeutico e l’adattabilità della programmazione bionutrizionale sarà tale da poter migliorare simultaneamente tutte le funzioni organiche alterate, a condizione di associare adeguatamente gli alimenti nella composizione dei pasti. Come giustamente consigliato dai diabetologi, bisognerà prima di tutto mantenere basso il carico glicemico complessivo del pasto, riducendo i glucidi a rapido assorbimento come zucchero, vino e alcolici, dolci nonché la maggior parte dei frutti,… privilegiando quelli a lento assorbimento come pasta, pane, riso integrale o basmati, polenta,… Sarà tuttavia molto più efficace modulare l’assorbimento e la gestione dei glucidi attraverso l’impiego di una significativa quota proteica e lipidica. L’utilizzo di grassi « buoni » come per esempio l’olio extravergine d’oliva, oltre ad avere benefici effetti sul sistema cardiovascolare, rallenterà lo svuotamento gastrico e l’assorbimento intestinale degli zuccheri. Se l’attenzione al carico glicemico complessivo dei pasti è fondamentale nel diabete di tipo 1, in questo caso sarà altrettanto Tab 11: Linee guida bionutrizionali nel diabete mellito tipo 2 - Ridurre il carico glicemico del pasto e rallentare gli zuccheri importante cercare di migliorare - Ridurre gli alimenti manipolati/industrializzati l’insulino-resistenza, causata - Stimolare il metabolismo epatico dall’inefficienza dei recettori periferici per - Stimolare il metabolismo tiroideo - Evitare alimenti neuro-sedativi alterazioni strutturali a livello delle membrane cellulari, strutture, queste ultime, a elevato contenuto lipidico. L’esperienza bionutrizionale dimostra che tale intervento sarà possibile, nella misura in cui si agirà sui metabolismi organici, favorendo l’eliminazione dei radicali acidi e di altre scorie organiche, riducendo l’apporto esogeno di alimenti fortemente manipolati e/o addizionati da sostanze di 34


vario genere e soprattutto fornendo all’organismo lipidi ad elevato valore biologico che possano ripristinare le normali funzioni della membrana. Oltre ad un eccesso di zuccheri semplici, fra le categorie di alimenti meno adatti nel trattamento di diabete di tipo 2, saranno da annoverare i derivati del latte, i quali, oltre al loro contenuto il lattosio, rallenteranno il metabolismo per l’azione neurosedativa del calcio. I formaggi stagionati avranno un minore contenuto di lattosio, ma una concentrazione di sali controindicati in caso di concomitante obesità e ipertensione. Tra le verdure saranno indicate quelle ricche di ferro come le cicorie o di iodio come le brassicaceae, mentre saranno meno adatte quelle con potassio e alcuni vegetali cotti ad elevato contenuto di zuccheri come la zucca, la carota, le cipolle, … L'impostazione bionutrizionale nei soggetti con ipertensione dovrà seguire le finalità riportate sopra (Tab.11).

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ESEMPIO DI TRATTAMENTI NUTRIZIONALI A CONFRONTO. Per poter rendere più chiare la strategia clinica e la modalità di preparazione del trattamento bioterapico e poterlo comparare alla metodica classica, ecco un esempie clinico di gestione alimentare. La parte di nutrizione classica è stata creata in collaborazione con la Signorina Leila Sahinpasic, dietista diplomata dell’ospedale universitario di Ginevra.

CASO CLINICO Paziente donna di 36 anni, familiarità per FRCV, prediabetica, con dislipidemia, tabagismo. Prende la pillola a scopo contraccettivo. Fisicamente buona struttura muscolare, ma gonalgia sinistra (ginocchia valghe). Viene in consultazione per dimagrire; inviata dal medico di base e dall’ortopedico. Farmaci: simvastatina, paracetamolo per cefalee occasionali. Parametri: 168cmx80Kg; vita 90cm, fianchi 90cm

Trattamento Nutrizionale Classico: IMC attuale: 28.3Kg/m2; Peso desiderato: 70Kg (IMC 25Kg/m2) Bisogno energetico stimato: 70Kg x 25Kcal/Kg = 1800Kcal, Bisogno proteico stimato: 70Kg x 1,2g/Kg = 80gr Anamnesi generale: Lavora come capo di un’azienda, peso stabile da circa 10 anni, molte diete dimagranti, nessun risultato stabile, attività fisica: 1h30 di zumba/settimana, non evidenza di disturbi del comportamento alimentare. Anamnesi alimentare: ~1950Kcal/die . Colazione: non mangia, solo caffè senza zucchero, non ha fame . 9h30 (lavoro): caffèlatte scremato con cereali Kellog’s special K, o con biscotti o 1 cornetto (1x/sett) . Pranzo (14h00): carne o pesce, con carboidrati, verdura cotta e 1 yogurt. Acqua. . 17h00: un caffè senza zucchero (non ne aveva bisogno fino a 3 anni fa) . 19h00: minestra di verdure oppure verdure in padella cotte con 2C di olio di girasole o di colza HOL, pane, carne o pesce o formaggio oppure insaccati. Acqua. Obiettivo: perdita di 10Kg in 10 mesi In pratica... la paziente deve riequilibrare l’alimentazione e rientrare nei canoni alimentari classici definiti dalle società internazionali. Dal punto di vista generale possiamo consigliare:  Modificare il pasto serale, ricette facili, sane e prevedere pasti senza necessità di cucinare  Aumentare l’attività fisica (domandare accordo fisioterapista), quotidiana, camminare/nuotare  Aumentare il consumo di verdura 3 porzioni/die, stop zuppe industriali  Aumentare il consumo di frutta, 2 porzioni /die  Diminuire l’apporto di grassi: insaccati, carne rossa magra massimo 2-3x/settimana, fare attenzione alla quantità reale di olio utilizzato, stop olio di girasole, stop salse  Diminuire l’apporto di zuccheri: stop Kellog’s al mattino, diminuzione dei biscotti o del croissant a una volta a settimana. Introdurre pane inetgrale con burro (massimo 10gr/die) e miele oppure marmellata normale. Piano alimentare (discusso con la paziente) : Mattino : caffè senza zucchero 9h30 : 60gr pane integrale con burro e miele, + caffelatte scremato Merenda (se fame) : 1 frutto (es pera) Mezzodì : menu proposto dalla mensa Sera : 100-120gr carne, 80gr riso, 200gr verdure (miste, di colori differenti), 125gr yogurt magro Mme Leila Sahinpasic

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Trattamento secondo l’impostazione Bioterapica. In Bioterapia Nutrizionale® le informazioni ricavate dall’anamnesi nutrizionale della paziente e l’esame clinico sono fondamentali. Ci concentreremo sui seguenti punti :  Determinazione della costituzione del paziente.  Considerazione delle patologie attuali da tenere presenti nella creazione del regime.  Appetenze particolari, allergie, intolleranze.  Correzione di comportamenti sbagliati (alimentari e non).  Creazione di un regime alimentare quotidiano ad hoc. In questo caso possiamo dire :  Costituzione surrenalica (probabile) : energia elevata e costante tutta la giornata fino a 3 anni fa, buona muscolatura, posto di lavoro importante e che richiede buone energie e un certo livello di « aggressività », giornate molto cariche con attività fisica serale. Struttura corporea con un tronco largo quanto le anche, ginocchia valghe. Paziente altrimenti in buona salute. Cefalee mattutine occasionali.  Scompenso pancreatico (probabile) : alterazione del pannello lipidico, prediabete, pressione arteriosa ?, fame tra i pasti.  Ricerca giornaliera di stimoli neuro-eccitatori : caffè, la doppia proteina, utilizzo di formaggi e aumento del tabagismo per diminuire fatica.  Correzione dei comportamenti sbagliati :

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Contrastare l’anabolismo fisiologico : stop doppia proteina, limitare carne rossa e legumi, limitare attività fisica al solo movimento giornaliero. No pesce di fondali. . Stimolare il metabolismo, senza aumentare il tono neurologico e surrenalico : no carni rosse, no pesce di alto mare no caffè, no formaggi stagionati, no solanacee (peperoni, melanzane), no sigaretta . Ottimizzare la funzione epato-biliare : aumentare soffritti e fritti in olio EVO, aumentare ferro, acido citrico e utilittare moderatamente vitamina C

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Contrastare l’iperandrogenismo : utilizzare fitoestrogeni nella prima fase del ciclo e dal 25° giorno del ciclo.

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Limitare il carico renale : usando acqua di vegetazione, limitando carni rosse e legumi, ossalati e pasti ricchi in sali minerali.

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Evitare fluttuazioni glicemiche non fisiologiche : equilibrando correttamente l’indice e il carico glicemico del pasto. Possibilità di creare discrete e controllate iperglicemie (nella 3° fase del ciclo) per ridurre il cortisolo.

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Aumentare la quantità di grassi Mono e Poli-insaturi : introdurre olio EVO, semi oleaginosi e pesce grasso.

Fluidificare il sangue : utilizzando frutta e verdura (ricche in acqua di vegetazione, adenosina, acido salicilico) e funghi. Usando correttamente calcio, vitK e Vit C.

Creazione del regime ad hoc: Mattino: Te con limone o caffélatte con latte intero, 60gr pane grigliato con marmellata, 6 noci Mezzogiorno : 60-70gr bruschetta olio, aglio e sale; 2 uova al piatto con prezzemolo fresco tritato alla fine, insalata di finocchio e olive condita con olio e limone, 2 mandarini Cena : 70-90gr di riso aglio olio e peperoncino con 1C parmigiano, carciofi trifolati

CONCLUSIONE. Come possiamo notare, la gestione dei fattori di rischio CV deve essere completa per poter portare ad un abbassamento reale del rischio CV globale. Questa deve passare a traverso una modifica stabile dello stile di vita del paziente con uno spiccato accento, secondo le linee-guida, sull’arresto del tabagismo, sull’attuazione di un attività fisica giornaliera regolare e, soprattutto, sulla modifica dell’alimentazione in senso lato (quantità, deficit...). Se queste modifiche, spesso minimizzate da pazienti e medici, non portano ad un effetto opportuno, l’introduzione di farmaci specifici risulta necessaria. Tutte le modifiche dello stile di vita sono incentrate sul cambiamento (sulla modulazione, sulla regolazione) del metabolismo organico: aumento dell’ossigenazione (tabagismo, attività fisica), diminuzione dell’infiammazione (tabagismo, insulino-resistenza) e dello stress ossidativo (tabagismo, obesità, insulino-resistenza). 37


Nelle stesse linee guida non vi è però alcun riferimento alla possibilità del cibo di modulare il metabolismo, o meglio ancora: i differenti metabolismi organici. Per la nutrizione classica, il cibo rimane un insieme di calorie, di macro e micronutrienti che sostengono o aggravano l’organismo del paziente, come se quest’organismo fosse qualcosa di statico, immutabile, come se l’istantanea presa durante l’esame clinico del paziente corrispondesse alla totalità del paziente stesso. In questa visione, assai limitata e poco realistica, non esiste la possibilità di modificare, attraverso l’alimentazione, una funzione organica precisa (renale, epatica, tiroidea, ...). Basti pensare ad un esempio classico, uno per Fig. 8: Dogma delle calorie tutti: l’assioma delle calorie. “Un individuo ingrassa se la quota energetica giornaliera introdotta con l’alimentazione è eccedente rispetto alla quota energetica bruciata o utilizzata” (Fig. 8). In quest’ottica, per perdere peso è sufficiente aumentare la spesa energetica8, attraverso l’attività fisica, oppure diminuire la quantità di calorie introdotte. Le funzioni organiche e la possibilità di modulazione di queste funzioni attraverso il cibo, non vengono assolutamente prese in considerazione. Come diceva lo scienziato Lamark, nella sua teoria evoluzionistica: “la funzione crea l’organo”, ovvero un organo non utilizzato, non stimolato, è destinato a perdere la sua funzione. Questo lo possiamo vedere ancora oggi: quando una gamba fratturata viene immobilizzata con un gesso, per diversi mesi, i muscoli si atrofizzano, le articolazioni si irrigidiscono e il paziente perde, anche se momentaneamente, l’uso dell’arto. È solo in seguito, grazie alla fisioterapia e alla mobilizzazione, che sarà possibile recuperare, almeno in parte, la funzione perduta. Perchè non pensare allora che questo “destino” sia riservato anche agli organi interni, responsabili delle nostre funzioni metaboliche? E soprattutto: perchè non pensare che attraverso il cibo sia possibile modulare queste funzioni e dunque il metabolismo? È proprio su questo punto cruciale che la BTN porta una visione più ampia, rivoluzionaria e sulla quale basa la sua efficacia clinica: attraverso un’alimentazione su misura e corretta l’organismo adatta il proprio metabolismo, permettendogli di riequilibrarsi e di andare incontro ad una autentica guarigione. Questo è possibile farlo solo se si conoscono profondamente gli alimenti, i loro destini metabolici e la fisiologia umana. È solo così che, attraverso la costruzione corretta di una successione di pasti, è possibile associare gli alimenti e utilizzare i metodi di cottura corretti per poter avere la risposta funzionale ricercata, che aiuti l’organismo non solo a eliminare il sintomo ma a curare la disfunzione che ne è alla base.

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TDEE : spesa energetica totale 38


Addirittura, attraverso la conoscenza dell’energetica dei sistemi viventi (medicina cinese) è possibile immaginare quali sono i meccanismi fisiopatologici del paziente e ritardare (o frenare) l’apparizione di patologie alle quali quella determinata costituzione energetica è più facilmente soggetta. Questo permette alla BTN di posizionarsi non solo come una branca importante della medicina, ma anche come branca fondamentale della naturopatia, permettendo ai pazienti di guarire da numerose patologie in modo del tutto spontaneo e genuino e secondo i ritmi della natura. Infine, non dimentichiamoci che l’alimentazione è, e sempre sarà, una parte importante della nostra cultura e modificarla, anche in nome di qualcosa di importante come la salute, è e rimane un compito arduo a livello individuale e sociale. La BTN permette di raggiungere gli scopi terapeutici prefissati attraverso un’alimentazione corretta, su misura ma anche “regionale” (o locale) senza penalizzare il gusto e il piacere della tavola. BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3.

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