Rivista arti marziali cintura nera budo international 279

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"Solo quello che si perde è acquisito per sempre" Henrik Ibsen "E partendo saranno queste mie ultime parole: vado via, lascio indietro il mio amore”. Rabindranath Tagore

o scorso Settembre è deceduto José Luis Paniagua Tévar, uno di miei più cari mentori. Molti furono gli anni che passammo insieme, molto quello che m’insegnò, a me e a molti altri, molto mi aiutò. Grazie. La vita e le sue mille circostanze, molte di esse, (sempre tutte!) minuscole, ci separarono fino ad affrontarci un breve lasso nel tempo, ma il ritrovo fu magnifico e oggi mi rallegro infinitamente di averlo promosso; per quanto il nostro tempo insieme sia passato, sono rimasti un profondo rispetto, un sincero affetto e sentito riconoscimento. Non faccio qui un panegirico del mio caro Maestro, lo stesso direbbe che si parla solo bene dei morti; nemmeno dirò che rimane la sua opera, che rimane, e molto buona, libri, qualche DVD, i suoi figli e i molti cuori che toccò con la sua profonda sensibilità (cara María, coraggio!). Fu audace e coraggioso, coerente addirittura nelle sue incoerenze, e superò se stesso a ogni svolta del cammino. Dei suoi difetti fece veramente virtù (niente di più grande si può dire di un uomo!) e in questo sforzo scoprì e agevolò strade per molti altri, che bisognosi della sua guida si avvicinarono a lui in qualche momento. A lui devo il mio re-incontro con le Arti Marziali, quando mi ero allontanato da esse. Egli mi offrì una visione superiore delle stesse, superiore nel senso di andare più in là, di integrare, di superare le forme e approfondire le sue più profonde utilità. Fu un riformatore, un rivoluzionario e pagò per il suo peccato il prezzo che tutti loro pagano. Il suo libro “Arti Marziali equilibrio Corpo Mente”, lasciò un’impronta nella mia visione su questo tema e mi permise di esercitare dopo anni con più tatto, una professione alla quale mi vidi inaspettatamente votato e per la quale la maggioranza di voi mi conosce. Seppe ritirarsi in campagna, nella sua Valdepeñas natale, per godersi della vita nella natura, di un periodo di qualità, ma non smise per questo di continuare ad aiutare con le sue lezioni molta gente. Andò via da questo mondo rapidamente e in silenzio, senza clamori e consapevole del transito. Non ci sono stati addii, perché forse non esistono, è solo un transito, il resto è importanza personale. Ma questa è la vita di tutti e ognuno di noi, un milione di dettagli, sentimenti, attaccamenti, desideri e sogni, avvolti in circostanze che ci stimolano, provocano, confrontano e mettono alla prova. Viviamo in questo transito quello che dobbiamo vivere, quello che fa parte del nostro cammino, e in questo interim, a ogni svolta compiamo, in uno o nell’altro modo, i propositi del destino. La quintessenza, il risultante, rimane impregnato negli altri, in ciò che noi incrociamo, in ciò che tocchiamo, a volte inavvertitamente, oscillazioni che generano onde di energia, di trasformazione fino alla consapevolezza, che presto o tardi ritorna su di noi toccando i confini dell'infinito. No, non è la

L

Traduzione: Chiara Bertelli


stessa cosa vivere una vita verso la consapevolezza e il superamento, che vivere una vita dedita alla confusione e al marasma. Per tanto che entrambe si mescolino inequivocabilmente sempre nelle migliaia di cicli, esiste una dominante che ci porta verso l'alto o che ci affonda verso il basso. Non c’è un valore morale in tutto questo! Ci piacerebbe che fosse così facile! Ma esiste sì una differenza molto più innata che acquisita, forse, ma esiste, e nello stretto libero arbitrio nel quale ci muoviamo, segna onde differenti, enormi e allo stesso tempo fragili e sottili come l'ala di una farfalla. Nel territorio delle convinzioni tutto ha valore. Le convinzioni, come la carta, sopportano tutto. Che la consapevolezza perduri, che la vita continui nel mondo spirituale o no, è qualcosa che ognuno interpreta come vuole e può. La mia opinione al riguardo è ben conosciuta, perché molto ho scritto su di essa e con questa convinzione, ti auguro, fratello José Luis, caro Pani, una buona traversata, molta luce e pace. Io non sono giudice della tua vita, né di quella di nessuno, in me solo rimane la gratitudine, il dolce e soave incanto della gratitudine, quella forma di amore poco valorizzata; che essa ti accompagni e conforti. Grazie.

Alfredo Tucci è Managing Director BUDO INTERNATIONAL PUBLISHING CO. e-mail: budo@budointernational.com

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Kapap “Nell’ultimo seminario, Carlos Newton, Ken Akiyama ed io, abbiamo insegnato che l’azione è più rapida della reazione e come si può usare la gravità e la massa dell’oggetto (il peso) per consentirci di controllare un avversario”


Mixed Martial Arts Coscienza nel Budo Conobbi Carlos Newton quando aveva 17 anni. Vidi subito che aveva talento, ma per ottenere ciò che Carlos ha raggiunto, è necessario qualcosa in più del talento. Il suo successo e abilità sono il risultato di un duro lavoro. Il duro lavoro supera il talento, se il talento non lavora duro! Con gli anni, Carlos ed io abbiamo condiviso amicizia e attraversato insieme molti ponti. Gia molto tempo fa, Carlos è stato uno dei pochi esperti che ha avuto il privilegio di addestrare le Forze Speciali di Israele, invitato dal sottoscritto. Più di recente, ho avuto l’onore di chiudere un grande cerchio, condividendo la conoscenza e l’amicizia con Nick, il figlio di Carlos, un giovane di 17 anni. Negli ultimi anni, Carlos ed io abbiamo lavorato insieme in molti progetti. Lavorare con la tribù dei Cree e degli Inuit nell’Artico, è stata una bella avventura. Una strada sperduta di 500 km conduce alla zona delle tribù; un territorio isolato nel circolo polare artico, dove la Di Avi Nardia e Ken Akiyama, con Carlos Newton

Traduzione a cura di: Leandro Bocchicchio


Jiu Jitsu “La coscienza è un argomento chiave nelle Arti Marziali. Con lo scopo di acquisire destrezza nelle Arti Marziali, prima di tutto si deve prendere coscienza di se stessi, delle proprie paure, dei propri mezzi, di chi siamo, cosa siamo e, soprattutto, cosa vogliamo essereâ€?


Mixed Martial Arts “Il Jiu Jitsu cerca di comprendere le azioni e le reazioni. Se uno può prevedere gli effetti e i punti deboli delle sue azioni, potrà sempre neutralizzare le opzioni dei propri avversari prima che questi attacchino. Quando si fa ciò, l’opponente ne rimane assai frustrato” temperatura arriva fino a 45 gradi sotto zero. Il nostro progetto consiste nell’insegnare le Arti Marziali alle tribù, per rafforzare le loro tradizioni culturali e i loro valori. Carlos ed io abbiamo diretto seminari insieme e quest’anno abbiamo prodotto un DVD con Ken Akiyama e la rivista Budo International, sul tema della “Coscienza”. La coscienza è un argomento chiave nelle Arti Marziali. Con lo scopo di acquisire destrezza nelle Arti Marziali, prima di tutto si deve prendere coscienza di se stessi, dei propri mezzi, di chi siamo, cosa siamo e, soprattutto, cosa vogliamo essere. Solo dopo aver studiato se stessi, si può iniziare a studiare il resto e solo dopo aver conosciuto se stessi, sarà possibile conoscere gli altri. Più si sa della vita, più si può fare nella vita. Nella strategia delle Arti Marziali, si è più coscienti di ciò che accade intorno a noi, il che alimenta la capacità di comprendere e contrattaccare. E’ molto importante studiare la coscienza, l’essere cosciente consente di rispettare la prima regola della difesa personale – l’azione è sempre più veloce della reazione. Nelle applicazioni militari e sportive, accettiamo delle sfide e cerchiamo anche lo scontro. Tuttavia, nella difesa personale, si cerca di evitare lo scontro e quindi fuggire. Spesso, la missione dell’unità militare sarà di cercare il nemico e entrare in combattimento. Tuttavia, l’idea che c’è dietro l’autodifesa civile è di evitare il conflitto e fuggire senza danni. C’è una enorme differenza e per


Kapap “Solo dopo aver studiato se stessi, si può iniziare a studiare il resto e solo dopo aver conosciuto se stessi, sarà possibile conoscere gli altri”


Mixed Martial Arts “Nelle Arti Marziali, Sensei Avi Nardia dimostra splendidamente il livello di coscienza che si può raggiungere attraverso la coltivazione di una grande abilità tecnica”. Carlos Newton.


“Un sistema di insegnamento che si basa sul presupposto che gli allievi non sono capaci di pensare, è come dare delle vitamine a un corpo mortoâ€?


Mixed Martial Arts


“Nello spirito dell’ampliamento della coscienza, abbiamo anche insegnato elementi sull’importanza di studiare gli scenari, “cosa accadrebbe se…”, la catena di attacco e le relazioni di causa ed effetto”


Mixed Martial Arts questo ora capirete perché molti maestri che insegnano i sistemi militari, perdono di vista l’autodifesa. L’applicazione del combattimento militare è totalmente diversa dal contesto dell’autodifesa. Il lavoro della polizia è un altro contesto che possiede le proprie caratteristiche peculiari. Una Buona difesa personale richiede una buona coscienza; una grande difesa personale richiede una grande coscienza. Un esperto israeliano concepì il proprio sistema per insegnare ai suoi ragazzi in soli 5 movimenti. La sua strategia si basa su una tattica – se uno si avvicina, si deve colpirlo con un calcio all’inguine. Questo esperto israeliano citava un aneddoto per suffragare la sua strategia. Diceva che un gatto si arrampica sempre su un albero per fuggire da un pericolo. Diceva anche che se vengono date agli allievi troppe idee differenti, non saranno capaci di pensare sotto stress. Subito gli risposi con una domanda: “Che succede se non ci sono alberi?” Alcuni Maestri tentano di sostenere la loro teoria semplicistica tramite delle indagini scientifiche. Come il caso di un esperimento che non c’entrava con le Arti Marziali, che venne realizzato per dimostrare che quando le persone hanno molte opzioni tra cui scegliere, hanno bisogno di più tempo per decidere perché cercano l’opzione migliore. Questa indagine è valida quando è il caso della scelta di un piatto in un ristorante, o per la selezione di un frutto maturo al punto giusto. Un sistema di insegnamento che si basa sul presupposto che gli allievi non sono capaci di pensare, è come dare delle vitamine a un corpo morto. Perché insegnare a persone che non sono in grado di pensare? Io spiego sempre ai miei allievi che un pilota di un Jet deve calcolare un sacco di cose ad alta velocità e conscio di molte preoccupazioni, mantenendo l’aereo in volo. Questo esempio dimostra che gli esseri umani sono capaci di prendere decisioni sotto pressione. Uno dei segreti di tale abilità sta nel coltivare la mentalità dell’azione, invece della reazione. Come ho detto prima, la miglior difesa è attaccare per primi. Persino la legge degli Stati Uniti permette l’azione preventiva, se si è in presenza di una minaccia immediata. Uno ha il diritto di portare il primo attacco e quindi di essere tutelato dal diritto all’autodifesa. Nell’ultimo seminario, Carlos Newton, Ken Akiyama ed io, abbiamo insegnato che l’azione è


Jiu Jitsu

“Uno dei segreti di questa abilità sta nel coltivare una mentalità d’azione invece che di reazione”


Mixed Martial Arts più rapida della reazione e come si può usare la gravità e la massa dell’oggetto (il peso) per consentirci di controllare un avversario. Abbiamo condiviso idee del Aiki Jujutsu Kenpo e del Machado Jiu Jitsu, e abbiamo invitato alcuni assistenti a condividere le proprie idee sulla lotta libera. Nello spirito dell’ampliamento della coscienza, abbiamo anche insegnato elementi sull’importanza di studiare gli scenari, “cosa accadrebbe se…”, la catena di attacco e le relazioni di causa ed effetto. Ken Akiyama ha dimostrato alcune idee di un grande progetto al quale stiamo lavorando per realizzare degli esercizi di movimenti molto efficaci, per sviluppare la forza e il rilassamento. La capacità di muovere il corpo in modo rilassato è un requisito fondamentale nel Brazilian Jiu Jitsu e nella difesa personale. Il Jiu Jitsu cerca di comprendere le azioni e le reazioni. Se uno può prevedere gli effetti e i punti deboli delle sue azioni, potrà sempre neutralizzare le opzioni dei propri avversari prima che questi attacchino. Quando si fa ciò, l’opponente ne rimane assai frustrato. Se accade ciò, si può distruggere la capacità di pensare del contendente. Se l’avversario non può pensare, viene sconfitto. Questo è ciò che provoca la temibile strategia del Jiujitsu. La strategia sta nello studio dell’azione, della reazione e della previsione. La strategia richiede coscienza.



Con il mio allievo Misa Ortis, campione MMA di Portorico che adesso pratica con me negli Stati Uniti. Abbiamo fatto delle foto con Carlos Newton, il Ronin, campione UFC, Pride e campione di Vale Tudo. Carlos al campionato UFC. Ronin con i miei allievi Misa Ortis, campione di Boxe Thailandese e di MMA e con Pablo Colon e Mike Wilson. Mike ha piÚ di 70 anni, ha iniziato a studiare con me il BJJ Machado RCJ quando ne aveva 63, ora è cintura marrone e spera di arrivare alla Nera. Ho detto a lui e a Carlos Newton che sono Campioni dei Campioni per sempre! Il sottoscritto, Carlos Newton, il Ronin, e Misa Ortis, campione di Boxe, Thai Boxing e MMA, e Pablo Colon. Tutti si sentono onorati di essere Maestri.


Il Kyusho nei Kata Prima di tutto bisogna capire che i Kata, sebbene siano molto validi, non sono il miglior modo per apprendere il Kyusho. Io personalmente, non ho smesso di praticare i Kata nemmeno per un giorno, dal 1975. Perciò, suppongo che si possa dire che mi piacciono. Tuttavia, non credo che sia la maniera più corretta per apprendere il Kyusho. Il Kyusho lo si impara meglio (completamente e più efficacemente) separatamente, nel combattimento istintivo, e in seguito permettere che lo stile o l’Arte assimili il Kata, naturalmente… non cercando di introdurlo all’interno, di forza. Il Karate ha le posture corporee più intriganti all’interno delle sue forme o kata, che compongono la biblioteca di ciascuno stile…e questo è ciò che ha affascinato milioni di professionisti di tutto il mondo nella storia. Ogni posizione è aperta a interpretazione e ha un potenziale infinito che viene limitato soltanto dalle capacità fisiche e mentali della persona. Molti stili hanno quello che viene chiamato il Bunkai, o l’interpretazione – che è previamente concettualizzata – e sequenze di comandi nella forma, il rendimento e l’imitazione. Tu t t a v i a , q u e s t o p o t e n z i a l e è dunque limitato dall’interpretazione, quando si stabilisce una tecnica specifica che deve essere ricordata e praticata secondo un copione e reagire in un determinato scenario. Invece di questo, si può avere ancora più potenziale se si cambia o aggiunge componenti distinti delle azioni fisiche definite, in relazione con le azioni fisiche di un avversario o di un compagno di allenamento. Poiché una persona limita la propria mente e pertanto anche le manifestazioni fisiche in un unico modello, non è mai possibile sbloccare tutto il potenziale che si può ottenere.

Traduzione a cura di: Leandro Bocchicchio.


Kyusho o Kata? La prima domanda che dobbiamo farci è, cosa è venuto prima…il Kyusho o il Kata? Le forma o Kata, si svilupparono attorno alla conoscenza o scoperta delle strutture anatomiche più deboli, le funzioni e le possibilità. Così, i seguenti “stili” si creano a partire da questa base di conoscenze. E qui è dove la maggioranza dei praticanti del Kyusho (anche di livello superiore) si confonde. Cercare di trasformare forzatamente una conoscenza universale e naturale in uno strumento fatto per l’uomo, non è un metodo efficace o spontaneo… Sviluppando lo strumento, si dimostrano in maniera naturale le leggi, le strutture e le capacità fisiche o le limitazioni. È altresì più logico comprendere che gli obbiettivi (o traguardi) sono arrivati prima di tutto. Di seguito, le armi e le azioni per accedere correttamente ad essi, vennero concepite tramite posizioni e schemi che poi furono vincolati alle forme o Kata. Chi spenderebbe il suo prezioso tempo vitale nella creazione di movimenti aleatori del corpo, per poi passarne di più nel verificare ciò che si potrebbe fare con questi? È molto più naturale ed efficiente sviluppare un movimento per accedere, utilizzare o dare impulso verso l’obbiettivo. Il modo più efficace non è mettere il Kyusho nei Kata, il Kata si deve evolvere attor no alla comprensione del Kyusho. Se si realizza l’azione, la postura specifica o una serie di movimenti e si lavora per collocare il Kyusho in essi, si miglioreranno tali azioni (in teoria, fino ad applicarli nella realtà), ma così, limitandosi a quella realtà fino a che non verrà concepita (o qualcun altro pensi di copiarla) un’altra possibilità. Un’altra maniera di vedere la cosa è che se se un istruttore insegna un Bunkai, uno non si rende conto del suo potenziale…si imitano semplicemente le azioni di un altro, il che è una ricetta sicura per un insuccesso in una situazione di attacco sotto stress, poiché non è l’attitudine naturale (fisica, mentale o spirituale). Più innaturale e complessa è un’azione per una persona, più probabilità ci sono che essa commetta degli errori sotto stress, o in uno scenario di combattimento reale. Attaccando un obbiettivo o vari obbiettivi, lavorando gli angoli corretti e la dinamica attraverso l’allenamento istintivo e orientato verso lo stress, si sta sviluppando una singolarità di possibilità infinite. Cosicché, quando uno esegue il “proprio” Kata, i suoi metodi naturali, atteggiamenti e capacità, sorgeranno automaticamente come azioni che ha già realizzato e “sentito”. Questo è un fattore cruciale nel Kata, che molti ignorano. La maggioranza realizzano il Kata e cercano di inventare azioni o scenari per rendere verosimile e dare senso all’azione che viene praticata… Allora, l’istruttore obbliga l’allievo a memorizzare tutto questo tramite una lunga pratica, ancora una volta inculcando un aspetto estraneo al suo percorso. Però, al contrario, se si allena correttamente l’attacco verso un target e si apprende sotto stress, mediante un attacco unico o multiplo per arrivare a quel target, si osserva l’effetto che tale attacco provoca nell’obbiettivo e un altro modo di replicare a un attacco che è stato visto molte volte… Allora, eseguendo un Kata e quel movimento naturale istintivo di risposta, si rivivrà tale sensazione o esperienza. Ciò che fa si che il Kata si trasformi in una cosa realistica, persino in un attacco vero, è la maniera in cui è stato

forgiato…e non la memorizzazione delle azioni di un’altra persona.

La semplicità origina complessità, la complessità nasconde semplicità La maggior parte delle volte ci riferiamo unicamente alla parte esteriore di un determinato compito, la sfida, il duello, le azioni del rivale, ecc, e tendiamo a sorvolare sulla parte interiore, poiché non la vediamo. Ad esempio, uno ci porta un colpo, un calcio o una presa… Vediamo questa azione esteriore e reagiamo di conseguenza (in generale, in relazione agli attaccanti, verso l’esterno dell’azione), il che ci limita. Questo tipo di allenamento ci manterrà ad un passo di distanza, dando impulso e vantaggio all’aggressore. Lavorando soltanto in questo metodo di reazione fisica, spesso veniamo limitati dalla stazza, dalla velocità, dalla forza, dall’età e da tutti gli altri attributi fisici…restringendo il nostro potenziale completo. Tuttavia, se alleniamo, prima di tutto, gli aspetti interiori attraverso l’esperienza raccolta automaticamente in combattimento, possiamo dunque avere una gamma più ampia di possibilità e potenzialità; librandoci anche dei limiti fisici. Mantenendo questa dinamica interiore di sentire l’intenzione, l’obbiettivo o il traguardo, ogni posizione o azione del Kata avrà una maggior portata, possibilità e potenziale e il Kata prenderà vita. Come esempio di ciò, osserviamo la posizione del karateka in alto; possiamo scorgere molte possibilità fisiche, come il bloccaggio di un calcio e di un pugno,



“Il Kyusho è l’inibizione di una funzione fisiologica, se comprendiamo la fisiologia interna, la funzionalità e l’accessibilità, come una serie infinita di nuove possibilità da sfruttare, e pertanto per incrementare il potenziale in modo esponenziale, in base agli attributi innati” l’afferraggio di una gamba, una rottura del collo o anche il leggendario metodo di presa e strattone dell’inguine. Tutto dipenderà dalla stazza, dalla forza e dalla capacità di posizionarsi durante l’attacco, per riuscire a superarlo fisicamente. Inoltre, dipenderà dalla maniera in cui sarà allenato o indotto a pensare da questa posizione, soprattutto…se si allena a ripetere una azione specifica dalla postura e dalla transizione. Il Kyusho è l’inibizione di una funzione fisiologica, se comprendiamo la fisiologia interna, la funzionalità e l’accessibilità, come una serie infinita di nuove possibilità da sfruttare, e pertanto per incrementare il potenziale in m o d o esponenziale, in base agli attributi innati. Quindi, ciò che s’intende è che invece di pensare esclusivamente all’imitazione dell’idea di qualche bunkai o tecnica di azioni meccaniche, bisogna accedere all’organo interno sin dalla prima azione, rispondendo con l’inerzia del contrattacco a ciascuna di quelle degli avversari… e trovare questa posizione in maniera naturale, nel processo dinamico del corpo. Questo lo si può ottenere allenando gli obbiettivi, gli strumenti e le traiettorie, invece delle azioni specifiche di ogni posizione.

In definitiva, che cos’è il Kata? Secondo Wikipedia: Kata (letteralmente: “forma”) è una parola giapponese che descrive dei modelli precisi di movimenti praticati, sia a solo che in coppia. Ognuno di essi è un sistema di combattimento completo, con i movimenti e le posizioni del Kata, essendo una guida di riferimento per vivere la maniera corretta e la struttura delle tecniche che si utilizzano all’interno di un dato sistema. I Kata del Karate si eseguono come una serie determinata di una varietà di movimenti, con spostamenti e rotazioni, cercando di mantenere la perfezione della forma. Al praticante viene consigliato di visualizzare gli attacchi del nemico e le sue risposte. Il Karateka “legge” un kata allo scopo di spiegare gli avvenimenti immaginati.

Il Kata non ha la pretesa di essere una descrizione letterale di uno scontro simulato, ma una dimostrazione della transizione e del flusso da una posizione all’altra e da un movimento a un altro, insegnando la forma adeguata e la posizione ai praticanti e stimolandolo a visualizzare differenti scenari per l’uso di ciascun movimento e tecnica. Ci sono diverse tipologie di Kata, ognuno con molteplici varianti. Se questo è tutto, è un metodo molto inefficiente per conservare e tramandare le tecniche, soprattutto attraverso le varie generazioni. Sarebbe invece molto più redditizio allenare solo la tecnica, poiché è ripetitiva, e aggiungere sistematicamente lo stress e il combattimento reale (velocità, potenza e reale intenzione), come nel Judo. È ovvio che il Kata si può utilizzare in questo modo, ma racchiude in se tanti altri dettagli che sono molto più importanti e utili in un vero confronto sotto stress e limitazioni fisiche. Tuttavia, fare la forma correttamente non è lo stesso che vivere quella forma… Non è in una esecuzione che risiede il valore più profondo, che consiste nel vivere e rivivere il Kata. Allora, come si fa a “viverlo”? In primis, bisogna sapere quali sono gli obbiettivi anatomici più vulnerabili e ovviamente comodi e atti ad essere attaccati con le qualità e le capacità fisiche di ciascuno. In seguito, cominciare con l’applicazione semplice per assicurarsi di avere la corretta dinamica e angoli, con l’intenzione di raggiungere il bersaglio, anche staticamente, sia attraverso il controllo, il dolore, la disfunzione o il KO. Giunti a questo, dobbiamo ricordare la sensazione non solo della mano o della testa degli avversari, ma anche delle sue qualità mentali, fisiche ed emozionali. Sentire come il corpo degli opponenti reagisce e osservare come cadono. Ripetere tutto il più possibile (naturalmente, più sono meglio è, per creare l’automatismo). Poi si deve iniziare a lavorare in modo dinamico per raggiungere l’obbiettivo, l’effetto, la sensazione e l’aspetto emozionale in uno scenario di crescente stress e aggressività. Magari si può fare prima in forma prestabilita, ma col tempo lo si deve eseguire in maniera istintiva, per acquisire realmente capacità testate e reali. Una volta arrivati a questo punto, ogni volta che si esegue il kata si rivivranno (si sentiranno) quelle esperienze ai tre livelli, mentale, fisico e spirituale. Questo è ciò che il Kata può diventare dopo averlo allenato con fervore… Non è un insieme di tecniche che dipendono da un attacco, ma una necessità impellente e spontanea di realtà. Non dobbiamo obbligarci a fare i Kata (soprattutto seguendo la strada di altri), il Kata serve soltanto a ricordare le esperienze attraverso l’evocazione mentale, spirituale e persino fisica delle proprie esperienze. Non mettete mai il Kyusho nel vostro stile, ma il vostro stile nel Kyusho. © Evan Pantazi 2014 www.kyusho.com




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La settimana scorsa ho fatto un combattimento contro un giovane lottatore di MMA. 23 anni, 1,90m di altezza, peso 90 kg e in procinto di cimentarsi nel suo quarto combattimento da dilettante. Io ho 61 anni, sono alto 1,80m, peso 90 kg e il mio ultimo combattimento Full Contact è stato nel 2000. Per fare in modo che il giovane lottatore venisse impegnato aerobicamente, l’allenatore aveva un altro uomo che si alternava con me nei round. Questi avrebbe lottato per 90 secondi e poi sarebbe toccato a me per i restanti 90 secondi. Durante la prima delle tre riprese, ho ricevuto un colpo violento al sopracciglio destro (ho abbassato un po’ il gomito per un secondo, ad essere sinceri) e quando mi sono seduto (senza fiato, devo confessarlo) dopo il terzo round, l’allenatore ha notato un taglio sopra il mio occio destro, grazie al fatto che non ci avevo messo sufficiente vasellina. Non era un gran problema; infatti, in passato avrei continuato, ma adesso sono un po’ più cosciente di quanto lo ero di solito...e quindi decisi di chiudere l’incontro. Traduzione a cura di: Leandro Bocchicchio.


Un amico della palestra, che è un medico, vide il taglio e mi invitò a passare dal suo ambulatorio a fine gior nata, per mettermi dei punti. Quando tornai a casa mi feci una doccia e mia moglie mi scattò una foto (“Ewww”). Andai dal dottore perché me lo pulisse adeguatamente (è importante, ci sono sgradevoli microbi da quelle parti in questi giorni!). Mi mise i cinque punti che richiedeva la ferita. Tra le tante cose che il mio insegnante Guro Dan Inosanto mi ha detto negli ultimi anni e che mi sono rimaste impresse, una è la seguente:

a) Insisto con attacchi onesti. Per esempio, come molti di voi sapranno, in contrasto con la maggior parte dei sistemi di FMA che parano, come risposta ai colpi che vengono insegnati, nel DBMA, a meno che non si specifichi il contrario, l’attaccante deve continuare avanzando col suo movimento, così come probabilmente si farebbe in uno scontro reale. Ovviamente, la velocità, la potenza e l’intensità saranno rimarcate di nuovo in un più alto e più basso grado, a seconda del punto in cui ci troviamo nello sviluppo della risposta, in quanto allenati, ma in ogni caso, l’attacco deve essere diretto verso il bersaglio reale in maniera naturale.

“E’ un bene sapere dove ti trovi” Uno dei pericoli della mia linea di

lavoro è che la gente sia rispettosa quando sto insegnando. Sono fatto così! Faccio lo stesso quando sono dall’altra parte dell’equazione! Infatti, sarebbe d’intralcio se mettesse alla prova un Maestro mentre egli sta insegnando! Naturalmente, il pericolo di tutto questo è che uno può facilmente iniziare a sentirsi una leggenda nella propria testa e calcolare male le proprie vere capacità nella realtà. Sarebbe un grave errore darwiniano! Può essere stato John Wayne il quale “La vita è dura. Ma è più difficile se uno è stupido”. Faccio tutto il possibile per evitare ciò mentre sto insegnando o allenando, in vari modi, per esempio:

b) Io utilizzo ciò che nel DBMA chiamiamo “il metodo del metronomo”:

velocità costante e la stessa velocità e con uguale potenza tra i due praticanti. Tuttavia, non c’è un altra maniera nell’azione per sapere dove ci si trova, pertanto, secondo le parole del Guro, che egli ci dedicò dopo averci lasciato a bocca aperta, dopo aver trascorso 45 minuti tirando di Muay Thai al sacco senza fermarsi mai, ai suoi sessant’anni... Perciò, per me, questa sessione di allenamento nella quale ho messo piede...ha un valore incalcolabile per farmi “sapere dove sono”, poiché tutti i gior ni cerco di seguire la via del guerriero. Il mio impegno non è di essere stupido a riguardo, Non mi vergogno a parlare dei limiti dove non è consigliabile arrivare. Per esempio,


Eskrima prima di cominciare, chiesi al mio giovane avversario di MMA di non attaccarmi nella parte bassa della schiena, per cui, quando mi atterrò, afferrò solo una parte di quella zona. Allo stesso modo, siccome la mia mezza guardia non riusciva a bloccarlo, portò la mia testa verso la parete della gabbia. Se io fossi stato un giovane lottatore, avrei tentato di uscire dal problema alla mia maniera. Ma dal momento che sono un uomo anziano, con una famiglia da mantenere e dipendo dal funzionamento del mio corpo, non ero disposto a correre il rischio di una lesione al collo... Quindi gli ho chiesto semplicemente di aggiustare la nostra posizione lontano dalla parete. Una parte importante come Dog Brother, è avere un senso realistico di

che ho sviluppato nell’arco di svariati anni, come parte del concetto DBMA di “consistenza a tutti i livelli”. Il KT è differente e necessita di una ricerca continua. Mi affascina enormemente vedere quanto è profonda l’Arte e quanto sicura è la sua “premessa” delle mani nude, che hanno lo stesso linguaggio del movimento. Secondo il mio punto di vista, io sarei il più adatto a fare questo, se non fosse per la mia età. E’ chiaro che mi piacerebbe avere trent’anni in meno e entrare sul serio nella gabbia, ma per questo dovrò aspettare un’altra vita. Comunque, in questo momento in cui non solo posso ottenere una risposta onesta sul “dove sono”, continuo ancora ad essere in grado di sviluppare il KT non solo tramite le esperienze dei

sperimentazione e l’acquisizione delle capacità per preparare la nostra adrenalina ad agire contro una pistola, un coltello e le mani nude, quindi, “non si muore spesso”. Ricerchiamo il vantaggio di possedere un sistema contro attacchi armati, a mani nude mescolandoli entrambi. Meno opzioni significa reazioni più rapide e quando si tratta di DLO, avere consistenza a tutti i livelli vuol dire un minor numero di opzioni per ciascun caso, in che può significare la differenza tra vivere e morire. Ho l’onore di lavorare con persone che pongono la loro vita in linea con le circostanza del DLO Die Less Often (morire con minor frequenza). Sono coloro che ci proteggono, qualcosa che, io immagino, ognuno di voi aspira ad essere, quando vivete le vostre

ciò che si può o non si può ottenere in tempo reale. Il mio tempo per il combattimento Full Contact sembra essere passato, ma sono ancora il Crafty Dog.

miei allievi, ma anche attraverso la mia – oltre alla libertà che viene dall’azione, arriva anche la conoscenza – diventando un Maestro migliore e rimanendo ancora per un po’ sulla cresta dell’onda. Ricordate anche che nella logica del DBMA, la nostra motivazione a migliorare i risultati in gabbia, è solo secondaria. La nostra missione primaria è l’uso della gabbia come un mezzo per la

rispettive vite e che meritano dunque che io sappia cosa sto li sto insegnando. Naturalmente, c’è anche la gioia interiore che viene dal non essere competitivo. Come dice la canzone country: “Posso non essere più giovane come prima, ma sono più giovane adesso di come lo sono sempre stato”

Un capitolo aggiuntivo di questa piccola storia In questo caso specifico, io stavo lavorando Kali Tudo™, il sottosistema

L’avventura continua! Guro Crafty/Marc










Karate

Testo e foto: Salvador Herraiz, 7º Dan

Traduzione a cura di: Leandro Bocchicchio.

IL RAPPORTO MAESTRO – ALLIEVO NEL KARATE Senza dubbio è molto bello dedicarsi anima e corpo alla pratica e all’insegnamento del Karate. Con gli anni, con molti anni, è possibile diventare un vero Maestro. Ma il significato di questa parola, che spesso si usa con leggerezza, contiene e deve comprendere certe caratteristiche per venire considerati come tali. Salvador Herraiz, noto per esporre le cose senza peli sulla lingua, partendo dal più profondo rispetto e conoscenza del Karate, al quale si è dedicato totalmente, oggi riflette sul tema del rappor to Maestro-Allievo, che a volte risulta complicato a causa di una cattiva comprensione della Filosofia e dello Spirito del Karate.

Questione di Disciplina...e di Fiducia Al giorno d’oggi, nelle Arti Marziali si abusa della parola Maestro (Sensei). Per alcuni il Maestro è colui che possiede una grande conoscenza e abilità tecnica e inoltre la capacità di trasmetterle. Per altri, è semplicemente colui che possiede degli allievi (che comunque è già qualcosa averli). Ricordo che quando andavo dagli “old boys” di Keio (con età dagli 80 in su e una vita intera nel Karate) io mi rivolgevo sempre a loro chiamandoli “Sensei” e quelli che non dirigevano delle lezioni mi rispondevano sempre “Non sono un Sensei. Io non insegno a degli allievi”. Forse è più sensato e sicuro pensare che un maestro sia colui che riunisce entrambi i concetti: uno che possiede conoscenza, abilità, capacità di trasmissione...e allievi. Maestro, nel senso esatto del termine, vuol dire molto e ancora di più Sensei, poiché deve includere necessariamente quelle caratteristiche relative ai valori tipicamente giapponesi. Passiamo adesso alle nostre riflessioni sull’argomento. Iniziamo dal contorno.Ø Il Maestro, come dovrebbe essere, si trova nel suo ambiente, che non è la palestra, bensì il Dojo. C’è una grande differenza. E’ ovvio che l’abito non fa il monaco e che, in teoria, il luogo non è importante, ma è anche certo che l’ambiente nel quale si sviluppa un’attività, influisce decisamente sul


Riflessioni comportamento del praticante e sul suo modo di porsi. Anche se siamo a conoscenza anche di importanti Maestri che non lasciano dubbi in merito al loro percorso tradizionale, che dirigono le loro lezioni in polisportive o palestre condivise nelle quali si praticano abitualmente altre attività, è indubbio che, dal punto

di vista di un Karate tradizionale, il luogo e l’ambiente nel quale l’allievo si trova, ha una grande influenza nello sviluppo dello stesso. Per quello si può notare nei dojo di Karate in Giappone e ad Okinawa (e nonostante si sia nel XXI secolo, sia laggiù che qui), che si tratta di residenze tradizionali, dove lo spirito del Karate si manifesta con più facilità.

Le differenze specifiche che si possono apprezzare tra un dojo (dove sviluppare positivamente uno spirito di Karate insieme alla sua pratica tradizionale) e una palestra (terreno fertile per coltivare altri tipi di attitudine negli allievi) sono piuttosto evidenti. Una palestra si presenta moderna, con marmi, alluminio, specchi e altri materiali.

Salvador Herraiz e il Maestro Goshi Tamaguchi, nel santuario Shintoista Igusa Hachimangu, a Tokyo.


Karate Un dojo è semplice e tradizionale, fatto di legno e poco altro. La palestra è dotata di grandi spogliatoi, una cassa, una reception, ecc..., mentre in un dojo non si da importanza a tutto questo e in Giappone, salvo eccezioni, non ci sono nemmeno gli spogliatoi (e tantomeno le docce), passando direttamente dalla strada...al tatami. La palestra è gestita da personale che lavora al suo interno, mentre del dojo se ne occupa il Maestro in maniera molto più familiare. Una palestra è abbellita con grandi, spettacolari foto di tendenza, un dojo sfoggia sulle sue pareti ricordi di maestri e riconoscimenti, che animano e motivano il praticante. La palestra si fa pubblicità (basandosi di solito sulla bontà delle proprie strutture), mentre l’unica pubblicità del dojo è il passaparola e la trasmissione dei praticanti ad amici e familiari della validità del suo insegnamento. Non si tratta soltanto di fare qualcosa, ma del piacere di farlo in un determinato modo. Lo stesso accade, per esempio, con l’allenamento fisico tradizionale usando i vecchi attrezzi okinawensi. Ovviamente i moderni sistemi di allenamento, i macchinari che isolano determinati muscoli, ecc...offrono una enorme efficacia, ma...quando si pratica con i vecchi apparati tradizionali, non si cerca solo l’efficacia ma anche il piacere di farlo con quei mezzi. C’è L’autore, Salvador Herraiz, tra Mamoru e Masahiro Nakamoto, allo Shikina Enn di Naha (Okinawa).


Riflessioni “Nel Karate, per la sua filosofia e storia, non si dovrebbe discutere nessuna decisione del Sensei. Quindi, perchè fare domande? La risposta arriverà al momento opportuno e a chi vi ci giungerà” qualcosa di romantico in tutto ciò..., come nella pratica del Karate in generale.

Inquadrato lo spazio, il luogo in cui si svolge, passiamo ora a osservare il rapporto Maestro-Allievo nel dojo...e fuori da esso, poiché entrambi i ruoli sono perfettamente delineati e non devono confondere i loro comportamenti. Il Karate è giapponese e in Giappone non si discute, si obbedisce e basta. Si impara e si pratica. Tutto qui. Al contrario, gli occidentali vogliono, vogliamo, farlo a modo nostro, domandando di continuo (invece di lasciare che il tempo aiuti a comprendere). Nel Karate, per la sua filosofia e storia, non si dovrebbe discutere nessuna decisione del Sensei. Se è così, perché fare domande? La risposta arriverà al momento debito e a chi riuscirà a giungervi. Gli esami di grado, per esempio, sono un tema sul quale dobbiamo riflettere a lungo e attentamente, soprattutto sulla maniera di accettare i loro risultati, a maggior ragione quando sono negativi. Il Maestro Yamazaki mi raccontava che passò molti anni senza sapere il perché della sospensione del suo 1°Dan. Non lo ha mai chiesto e nessuno glielo ha mai spiegato. Funzionava così. Trent’anni dopo lo seppe con certezza, fu per eccesso di confidenza. Il Maestro Hironori Ohtsuka ha sempre parlato dell’eccesso di confidenza come uno dei mali del Budo, insieme al disprezzo, alla collera, alla paura, ecc... A proposito, erano tempi in cui gli esami non venivano preannunciati, quindi non potevano essere preparati appositamente nei mesi precedenti. Si veniva a conoscenza della data solo un paio di giorni prima. Ciò costringeva ad essere sempre preparati, rendendo tutto più vero. Quando l’eccesso di benevolenza entra nel tatami di un esame per il grado, l’obbiettività lo abbandona. Ci sono molti fattori da tener presenti in un corretto esame (comprese le conoscenze, le abilità, la tecnica dello stile, l’efficacia, le caratteristiche fisiche e le situazioni personali, ecc...), tutti quanti valutati nella giusta misura dal Sensei. La benevolenza è una delle qualità del Codice del Bushido, ma se il Sensei cadesse in un eccesso di questa, per amicizia, per compassione, per eccesso di cameratismo, ecc..., la Giustizia (un’altra delle norme del Bushido) sparirebbe. Tutto nella giusta dose, come tutto nella vita e anche nel Karate. Qualsiasi pietanza può essere compromessa sia per averne ecceduto, che per il difetto di un suo ingrediente. Solo il Sensei è in grado di dare la corretta misura del grado di benevolenza in ossequio al senso di giustizia. Questo puà e deve essere accettato da parte dell’allievo, ma a volte a scapito di tempo prezioso, perso nell’incomprensione e nel vedere fantasmi o ragioni inesistenti. Se si parte con la premessa che il Sensei ne sappia di più dell’allievo, su cosa tener presente in un esame e cosa non, e se si suppone che il Sensei non abbia nulla contro l’allievo candidato, ma tutto il contrario...perché allora non accettare la sua decisione e/o consiglio, senza discussioni, visioni assurde, contrapposizioni, o distorsioni mentali in genere? Perché permettersi il lusso di pensare in modo diverso da chi veramente possiede la conoscenza? La cosa certa è che sia il maestro che l’allievo devono sapere qual’è il loro posto. L’allievo, per diventare un discepolo Uchi Deshi (qualcuno di speciale al quale tramandare l’Arte più profonda), deve lavorare con un basso profilo e non avere nessuna brama di protagonismo, nei discorsi che non hanno nulla a che vedere con lui, nei rapporti che non lo riguardano o a quelli nei quali non è stato chiamato a farne parte... Ciascuno deve essere cosciente dei propri limiti e del proprio posto. È sempre stato detto che “chi parla non sa e che sa non parla”, il che ci porta alla discrezionalità della parola e dei fatti, mettendo in evidenza chi si da troppa importanza, o a chi si fa spesso i fatti degli altri. D’altra parte, si dovrebbe ringraziare che i veri esperti di qualsiasi


Karate materia condividano con gli altri le proprie conoscenze e riflessioni, altrimenti, tali conoscenze, andrebbero perdute, arrecando un danno negativo e indesiderabile. Mia madre mi ricordava sempre la frase “colui che sa di più..., parli di più”. Un immaturo, ciò che di solito fa è commettere degli sbagli. Ognuno è libero, ovviamente, ma prima della libertà di pensiero..., c’è il rischio dell’errore. Bisogna sempre ricordare che il Sensei è già passato attraverso il pensiero, la sicurezza di se, la convinzione che spesso, erroneamente, possiede

L’autore sulle dune di Con Con (Cile).

l’allievo. C’è chi dice che le persone intelligenti imparano dai propri sbagli, ma è più pratico ciò che fanno le persone sagge e superiori, “imparare dagli errori degli altri, invece di imparare dai propri”. Chi non fa tesoro di tali errori altrui, è condannato a ripeterli, così come chi non conosce il proprio passato è condannato a riviverlo. Il pericolo sta nel fatto che l’uomo può inciampare due volte nello stesso sasso e se si impegna... tre e anche di più. Bisogna avere l’umiltà di riconoscere colui che sa.


Riflessioni Il Sensei ha fatto già chiarezza nel suo corpo, nella sua mente e nel suo spirito, dopo molti anni di pratica e studio. L’allievo...lo sta facendo. Una mente dispersa, che non si concentra o che vuole occuparsi di diverse cose, non può ottenere risultati e tende a mescolare, a confondere e a confondersi, a non assimilare bene le informazioni e la pratica. Higa Sensei diceva: “Se corri dietro a una lepre, può darsi che la prenderai, ma se corri dietro a due lepri..., non ne prenderai nemmeno una”. La cosa si fa seria, inoltre,

quando i diversi percorsi sono tecnicamente o spiritualmente distinti, perché di sicuro interferiranno l’uno con lo sviluppo dell’altro. È difficile che un allievo ansioso di mettersi in mostra possa frenare il suo impeto andando avanti in questa Via del Karate, ma deve farlo. Quando si è preparati, le cose si capiscono. In tutti i modi, per quante spiegazioni si diano in determinati momenti, se il tuo corpo, la tua mente o il tuo spirito non sono pronti a comprendere..., non lo faranno. C’è gente che più informazione gli viene offerta: dati, spiegazioni, motivi..., meno comprende e ancora di più se le si domanda “perché?”, o ci si azzarda persino a non essere d’accordo perché non lo si capisce,,, Alcuni si sono trasformati in autentici “sordi intellettuali”, un altro effetto della dispersione. Il Maestro può fare la sua parte per una corretta tramandazione, ma se l’allievo non segue i suoi consigli e crede di saperne o capirci di più..., sarà tutto vano e come se mettessimo le cose in sacchetto rotto. Ah, la fretta! Non ci sono scorciatoie nel Karate e quello che le cerca, presto o tardi si schianterà in una curva. Non servono a nulla neppure gesti vuoti di apparente comprensione, se le azioni non sono di conseguenza. La pazienza di un sensei non è infinita e logicamente la sua dedizione può passare ad altri allievi più disponibili a seguire i suoi insegnamenti in base alle sue regole, come di fatto, storicamente, avviene da anni e anni in qualsiasi luogo e ambito. Il Sensei ricerca il già citato Uchi Deshi, l’allievo diretto. Il tempo e il grado di qualcuno dei suoi allievi più anziani, trasformerà questo in Sempai, ma un’altra cosa è il Kohai, il futuro, la promessa, qualcuno in cui il Maestro ha riposto le proprie speranze per il futuro. Un’altra cosa distinta in certe occasioni, coincidente in altre, sono i pionieri, alcuni dei quali sono arrivati ad essere dei veri Maestri. I pionieri meritano rispetto e riconoscenza per aver aperto la via, per essere in un certo senso dei visionari di qualcosa di trascendente. Ma quando i pionieri non hanno poi continuato ad evolversi in suddetta via e a proseguire nella loro pratica (più o meno grande), non credo che in verità meritino di stare al centro di questa. Essere stati i primi è importante, ma non sufficiente per essere considerati “Maestri”. Aver percorso una piccola parte del cammino, anche in tempi remoti, non si può paragonare ad aver fatto molta più strada, anche in tempi più recenti. Un altro caso da menzionale è quello dei “figli di...”. A volte certe persone si impongono di fronte a organizzazioni o stili, sfruttando la grande importanza del padre (Gran Maestro o Fondatore), ma per correttezza e verità senza avere sufficiente conoscenza, abilità..., in definitiva, merito. Il talento non si eredita di per se. Sicuramente, a tutti ora verranno in mete dei nomi precisi. Se invece che “figli di” parliamo di “nipoti di”, l’argomento può allargarsi ancora di più. I miei


Karate rispetti, ciò nonostante, alle eccezioni che aldilà di aver ereditato un nome e una posizione, si sono guadagnati i loro meriti. Agli altri... anche a essi va il mio rispetto…, ma in maniera differente. Alla fine, se s’intende il Karate, sia nella sua tecnica, storia, filosofia e obbiettivi..., in definitiva, nel suo spirito, come una cosa di grande valore, un tesoro da trasmettere solo ad allievi meritevoli (e privilegiati), il rapporto Maestro-Allievo diviene, in realtà, un rapporto di Fiducia (perché non si offre un tesoro a chiunque) e come tale, qualsiasi discussione rompe quel rapporto di fiducia. Onestamente credo che un Maestro che si rispetti, già con la sua necessaria esperienza ed età, con una vita nel Karate, con un grado importante, con un bagaglio di una certa conoscenza acquisito con l’apporto di tanti grandi maestri famosi, con chiarezza di idee, con un comportamento nel segno di quei pensieri generati attraverso tanti e intensi anni...dovrebbe dare spiegazioni sul modo di intendere il Karate? Per la verità, credo che a questo punto...no! Chiunque desideri di sua volontà percorrere la Via accanto a lui, dovrà essere, logicamente a modo suo, guidato dal Karate Do, obbedendo e non discutendo. Si dice sempre che il Karate è disciplina. Non è riferito solo come mezzo per ottenere l’efficacia tencica, ma anche come un modello di relazione dell’allievo con il Maestro. In pratica, credo che DISCIPLINA, ATTITUDINE e FIDUCIA siano i pilastri base di suddetta relazione. Discutere e disperdersi sono, in confronto ad esse, il loro tarlo. Un altro gesto vuoto assai abituale è il saluto (teoricamente simbolo di rispetto e riconoscenza) e l’espressione Oss, che aldilà delle più o meno diffuse formalità, a seconda dei diversi stili (per esempio, nel Wado Ryu non esistono per tradizione grandi formalità), viene mal utilizzata nel Karate per il suo scarso contenuto. Per non parlare di altri fraintendimenti circa il suo uso. In effetti, questo termine, esportato nel Karate dalla Scuola Navale Giapponese, è usato come un saluto

generico tra i karateka (tipo ciao, arrivederci). Già di per se, questo è un errore. Questa espressione, che viene dalle parole Osu (contrazione di Osae) e Shinobu, dovrebbe essere usata nel Karate soltanto in momenti e situazioni nelle quali si deve dimostrare un impegno a perseverare pazientemente fino ai propri limiti, con vero rispetto e riconoscenza per il Maestro, accettando le sue correzioni e i suoi consigli...e mostrando anche questa espressione, se fosse necessario, come un chiedere scusa o invocare il perdono per qualche errore commesso, comprendendolo e accettandolo. Questo significa Oss, e se si utilizza a sproposito..., si svilisce il suo contenuto. La disciplina è alla base dello spirito del Karate. Non dico che si debbano mantenere le due famose regole di un tempo, la cui prima era “il Capo (in questo caso il Sensei) ha sempre ragione” e la seconda “In caso di non conoscerla, si applicherà la prima”. Secondo come sembrano svilupparsi le strade della vita, dal punto di vista della Filosofia e dello Spirito del Karate, un Maestro che, in troppe occasioni, si vede costretto a sopportare gli sbalzi di alcuni allievi che si credono migliori di altri e che non obbediscono altro che alle regole o alle decisioni con cui si trovano d’accordo, non ha alcun merito. E semplice! Dove si dimostra disciplina e la lealtà è obbedendo e appoggiando le altre... Maestro è qualcuno con cui merita percorrere la via al suo fianco, sotto i suoi insegnamenti. Ma un amico spagnolo, 9°Dan di Karate, una volta mi ha detto: “Non chiamarmi Maestro. Di Maestro ne abbiamo avuto uno e l’abbiamo crocifisso”. PAGINA SINISTRA: Salvador Herraiz e Hirokazu Kanazawa, nel dojo di questo Gran Maestro, a Tokyo. PAGINA DESTRA: In alto, con il Maestro Tetsuhiro Hokama praticando tra le antiche tombe okinawensi, luoghi dove tradizionalmente si praticava un tempo, di nascosto. In basso, il Maestro Morio Higaonna e S.Herraiz, nel dojo del primo, a Naha.






Questa sequenza di movimenti è una combinazione breve di calci e colpi di braccia utili ad introdurre il praticante alle lunghe e complicate forme di Hwa Rang Do a mani nude. Lo STEP #1 consiste nell’impostare la posizione di difesa tradizionale. Lo STEP #2 porta il praticante nella posizione del gatto e le mani aperte vengono ad essere incrociate appena sopra la gamba Avanti.

Nello STEP #3 le mani incrociate vanno dal basso in alto intercettando un attacco frontale tramite pugno di un ipotetico avversario. Con lo STEP #4 entrambe le mani vanno ai fianchi e lanciano un attacco di doppio palmo verso le costole dell’avversario. Nello STEP #5 si afferra un orecchio dell’avversario per tirare a se la sua testa. Nello STEP #6 si colpisce il mento avversario con un montante di palmo. Con lo STEP #7 la faccia dell’avversario viene colpita con un colpo di taglio. E lo STEP #8 punta a colpire il plesso solare avversario mediante un accurato pugno verticale. Per finire nello STEP #9 si fa un passo con la gamba sinistra parando di destroy in alto e con lo STEP #10 si carica e lancia un calcio ad ascia che termina la sequenza.










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Kenjutsu – La distanza interna e esterna!... Sono molte le persone che ci dicono di aver sognato delle spade, armi medievali e che, in un modo o nell’altro, cercano una spiegazione. La spada è sempre stata un oggetto leggendario e mistico nell’universo maschile. La parola spada viene dal latino “spatha” (in Greco “Spathe” s.f.) arma composta da impugnatura, fodero e una lama di acciaio più o meno lunga e appuntita. Da un punto di vista militare, tutti possediamo l’aspetto del coraggio che ci spinge a combattere per i nostri obbiettivi. Malgrado ciò, l’uomo che in Giappone portava le spade veniva definito come “colui che serve” – Samurai. Questo significa che il primo passo nell’apprendimento del Kenjutsu è servire, stabilire quella distanza che troviamo tra l’orgoglio e l’umiltà. L’atto dell’imparare è totalmente spogliato dell’orgoglio o dell’arroganza. Per la via della spada significa resa, significa controllo delle distanze esterne ed interne. Molti credono che esistono soltanto “Ma-ai” esterni di fronte all’avversario. Contrariamente a ciò, il Ma-ai inizia al nostro interno e si manifesta in maniera esterna. “Se si calma la mente fermando il suo movimento, tale quiete la farà muovere ancora di più” Potremmo analogamente dire che il nostro interno è come se fosse una grande montagna. Per lo Zen, nel capitolo 62 dello Shôbôgenzô di Dôgen Zenji (12001253), la montagna possiede una virtù alla quale non manca nulla, essa è di per se assoluta: per questo, malgrado sia fermamente radicata al suolo, essa, tuttavia, si muove sempre. La mente interiore di fronte alla spada è cosciente del proprio movimento, il Ma-ai è in grado di definire l’eternità dl momento in un unico movimento. Questo “movimento” al quale si riferiva Dokai, è l’essenza di tutto il movimento. Tuttavia, chi è sulla montagna non è cosciente di questo movimento. Coloro che non sono capaci di vedere questa montagna almeno una volta, non possono capire, vedere o udire questo tipo di cose, grazie a questo principio. Il Kenjutsu è la sperimentazione, il darsi, l’arrendersi, un unico momento! La via di accesso e uscita dalla nostra mente interiore! In un confronto reale non c’è tempo, non esistono verità o menzogne, tutto è assai rapido. Esistono soltanto le distanza esterne e interne. La saggezza di attrarre e allontanare le manifestazioni dal dojo in costante movimento. In questo pensiero, è esplicito il cammino del Kenjutsu che tutta l’esperienza nuova è una sfida, caratterizzata da difficoltà, superabili, che risveglia sempre di più i valori morali che chi le desidera vivere. Per

Traduzione a cura di: Leandro Bocchicchio.


Bugei


quanto riguarda quelle di profonda complessità, come potrebbe essere quella della trasformazione dal vecchio uomo in un essere rinnovato, i gradini da conquistare sono molteplici, pieni di comprensibili impedimenti. Alcuni maestri e insegnanti di scuole tradizionali mi hanno contattato e insieme siamo giunti a delle conclusioni interessanti. Conservare qualcosa in pieno XXI secolo non è compito facile, tantomeno economico. Conservare significa mantenere la forma così com’è, anche se esistono sequenze superate e irreali per i tempi moderni. Molti si definiscono tradizionali e se comprendiamo la sintesi tecnica, troviamo frammenti di questo o di quello e dell’altro, seguiti da intense giustificazioni per gli stessi. La parola conservazione, secondo il vocabolario, deriva dal Femminile singolare di conservare. Conservazione, s.f., azione di conservare. Per noialtri, conservare vuol dire mantenere anche il modo di pensare nell’applicazione di ciascun Seiteigata. Ovviamente tutti ci preoccupiamo di evolvere interiormente e per mezzo del pensiero ricerchiamo la perfezione ogni giorno. Ma parliamo di patrimonio marziale, il che significa che dal punto di vista storico, deve essere così come è. In una visione propria dell’arte marziale, ognuno è libero di praticare e realizzare le tecniche come crede conveniente. Attraverso la storia, l’uomo orientale, nel nostro caso il giapponese – comprendendo che la sua vita è breve, accidentata, soggetta alla sofferenza e alla morte certa, ha sempre formulato l’idea del “Bujutsu” – le arti da guerra (specifiche, perché il termine applicato al carattere “Jutsu” si riferisce a un’Arte specifica e non ristretta). Riconoscendo – come anche oggi facciamo – che la vita è transitoria, volle sperimentare qualcosa di immenso e di supremo, una cosa non creata dalla mente o dal sentimento; desiderò vivere l’esperienza o scoprire la via di un mondo trascendentale, totalmente distinto da questo, con le sue sofferenze e le sue torture. Le Arti Marziali sono state influenzate dalle credenze dei vari popoli durante le epoche. Nel caso del Giappone, le influenze più grandi sono state quelle dello Shintoismo, del Buddismo e del Confucianesimo, alimentando la speranza di scoprire quel mondo trascendentale cercando e indagando. Nostro compito è esaminare tale questione, al fine di scoprire se esiste o meno una realtà (il cui nome non importa) di una dimensione interamente distinta. Per andare così a fondo, dobbiamo naturalmente intendere che non è sufficiente comprendere la cosa solo a livello verbale – in quanto la descrizione non è mai la cosa descritta, la parola non è mai la cosa. Si può penetrare in quel mistero – sempre ch sia un mistero che


Bugei


l’uomo abbia sovente tentato di penetrare e catturare, definendolo, aggrappandosi ad esso, adorandolo, e diventandone fanatico. Tuttavia, non è questo il tema affrontato, ne tantomeno esaltato in questo testo. Le arti della guerra ebbero la loro ascesa nel periodo Sengoku e i loro riflessi si possono apprezzare ancora ai giorni nostri. Essendo la vita in quest’epoca abbastanza superficiale, vuota, piena di inganni e senza troppo spessore espressivo – fomentò la guerra tra le varie verità, ogni scuola o clan cercò di inventare, cercò di dargli una sua interpretazione. Se l’individuo che inventa tale interpretazione e finalità, è dotato di un certo talento, la sua creazione diventa piuttosto complessa, tenendo conto che molte discipline soffrirono una profonda riforma nel periodo Tokugawa. È questo il punto al quale voglio arrivare: va tutto bene a patto che ci sia ordine al suo interno. Ognuno è conscio delle proprie necessità. Ognuno sostiene la verità che gli è conveniente. Tuttavia, bisogna comprendere che conservare va oltre ciò che è o non è perfetto. Come tutto nella vita, dipendiamo dal tempo in cui la nostra mente si adatta e scopra se siamo o meno sulla via giusta. Molti maestri ebbero la certezza dei propri percorsi, soltanto in seguito all’essere degli insegnanti. È naturale e normale che ciascuno possieda il proprio ritmo evolutivo. Quello vuol dire che in determinate persone, il sentimento è costruito con cura e attenzione. Una cosa alla volta! All’inizio si ha a che fare con il dubbio, o il preconcetto, la negazione... Tuttavia, per coloro che persistono, di insegnamento in insegnamento, di benedizione in benedizione, senza rendersi conto del simile meccanismo di metamorfosi, il cuore li trasforma, se davvero accetteranno la guida e la tutela. Sfumature di sofferenze, preconcetti, risentimenti, punti di vista e opinioni fuori luogo, perderanno spazio nella foresta dei nostri pensieri oscuri a favore degli sprazzi di luce che ci mostreranno l’infantilismo e l’inopportunità dei nostri comportamenti meno felici davanti alla via. Questo processo in passato si chiamava “Nagai” – Il lungo, esteso cammino che ci porta verso la comprensione. Per i maestri, è attraverso questo metodo che il discepolo, nel mezzo di una convulsa scherma, si vede costretto a maneggiare l’arma con il proprio discernimento, per far si che gli avversari esterni non gli distruggano le sue forze. È nel suo percorso prescelto che egli trova altri nemici, forse ancora più pericolosi – quelli che si nascondono nello spirito, come la paura di accettarsi con le imperfezioni che segnano la vita, l’affanno di fronte alle difficoltà che si moltiplicano, la consapevolezza delle proprie carenze o il timore di un fallimento.


Bugei


Scoprire le proprie forze e dove trovarle è il punto d’incontro con se stessi. È un cammino solitario, ma essenziale, la cui conseguenza è la completa alterazione della forma in cui vediamo e intendiamo l’arte, ciò che ci circonda e noi stessi, il che ci stimola a citare una piccola storia, che è opportuna come punto di partenza.

Credere e agire (autore sconosciuto) Un viandante camminava sulla riva di un grande lago dalle acque cristalline, immaginando un modo per giungere sull’altra sponda, sulla quale c’era la sua destinazione. Sospirò profondamente e mentre cercava di fissare il suo sguardo all’orizzonte, sentì la voce di un uomo che rompeva il silenzio. Era un barcaiolo dai capelli bianchi, che si offriva di trasportarlo di là. La vecchia barchetta che attraversava il lago, aveva due remi di legno di quercia. Il viandante vide che su ciascun remo c’erano quelle che parevano delle lettere. Quando salì sulla barca, ebbe la prova che in effetti erano due parole. In uno dei remi era incisa la parola credere e sull’altro, agire. Non potendo trattenere la propria curiosità, domandò il motivo di quei nomi insoliti dati ai remi. Il barcaiolo impugno il remo in cui si leggeva “credere” e remò con tutta la sua forza. La barca iniziò a girare su se stessa, senza lasciare il posto in cui si trovava. Quindi, il barcaiolo impugnò il remo nel quale si leggeva “agire” e remò con altrettanto vigore. Di nuovo la barca girò su se stessa, stavolta in senso contrario, ma senza avanzare... Alla fine, il vecchio barcaiolo, prendendo entrambi i remi, li mosse contemporaneamente e la barca, spinta da tutti e due i lati, navigò sulle acque del lago, arrivando tranquillamente all’altra sponda. Allora il barcaiolo disse al viandante: - Questa barca la potremmo chiamare “fiducia in se stessi”. Il suo limite è la meta che vogliamo raggiungere. Perchè la barca “fiducia in se stessi” navighi sicura e giunga alla meta agognata, è necessario utilizzare i due remi contemporaneamente e con la stessa intensità: “agire” e “credere”. E tu? Stai remando con forza per raggiungere la meta che ti sei prefisso? Ma prima di tutto, controlla bene la tua barca, guarda attentamente che i remi non siano erosi dall’acido dell’egoismo. Dopo tutte queste precauzioni, vai avanti e fai buon viaggio!










Il Wing Tsun è un eccellente stile di Boxe Cinese, che permette di dedicare tutta una vita alla pratica e alla crescita integrale del praticante. Idee, tecnica, filosofia, ecc… tutto fa parte di un’ARTE ancestrale e deve essere studiata e compresa come un TUTTO. Sifu Salvador Sanchez, nel suo secondo DVD, parla dell’uomo di legno e di come questo influisca nella pratica del Wing Tsun. Dato che nel sistema attuale la Forma si impara ai livelli più avanzati dello stile, molti praticanti che abbandonano non hanno l’opportunità di conoscere le sue idee, le tattiche e le strategie, e non possono includerle nella loro pratica. Per la TAOWS Academy è molto importante che il praticante comprenda che è questo è ciò che fa in tutti i suoi aspetti della pratica, e quindi in questo DVD seguiremo la stessa impostazione che seguiamo in qualsiasi lezione, seminario o allenamento. La nostra impostazione comprende 6 passi: il primo è l’idea da sviluppare, ciò che vogliamo ottenere. La seconda parte sono le forme (Siu Nim Tao, Chum Kiu, Biu Jee, Uomo di legno, ecc…) a seconda dei livelli; la terza sono gli spostamenti, la mobilità. Il quarto pilastro è il Chi Sao – Chi Gerk, l’aderenza, l’anima del nostro sistema. Il quinto elemento è la non aderenza, il non contatto, sapere cosa fare per arrivare al contatto con l’avversario in modo sicuro. Alla fine, il sesto settore è lo Sparring, il combattimento o Lat Sao. Bruce Lee diceva che s’impara a combattere combattendo ed è la cosa più esatta che un artista marziale abbia mai detto. Come renderemo il Wing Chun un Arte Marziale efficace e rispettata? Praticando esercizi di sparring che ci avvicinino al combattimento in maniera progressiva, fino a che ciascuno di noi ottenga il massimo, come fighter, che questo meraviglioso sistema ci può offrire.

REF.: • TAOWS-2

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ORDINALA A:

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Intervista https://www.facebook.com/pages/TL-Security-Solutions/805843832765631

Traduzione a cura di: Leandro Bocchicchio.


Intervista di Thomas Lynch Foto gentilmente concesse da Don Warrener T.L. Security Solutions Cintura Nera: Cos’era che ti attraeva delle Arti Marziali, quando hai iniziato ad allenarti? Thomas Lynch: Che ci crediate o no, il business del cinema. Ricordo mio padre che passava tutti i giorni dal video club, tornando a casa da lavoro. Di solito noleggiava film d’azione di Hollywood e Hong Kong, che ci piacevano tantissimo e poiché avevamo una sola tv in casa, la nostra scelta era (1) vederli con lui, o (2) studiare. E’ evidente che scelsi l’opzione 1! Quando papà era a casa, mio fratello ed io allora non potevamo vedere i nostri cartoni animati, perché quella era la serata cinema…beh, quella e tutte le altre serate! Tuttavia, questa si trasformò presto in una grande passione per il cinema, oltre che per le Arti Marziali. Come tutti gli altri ragazzi in età scolare, mio fratello ed io imitavamo le scene d combattimento tra di noi. Fu allora che scoprii che volevo diventare una stella del cinema d’azione di Hollywood. La risposta di mio padre fu: “No! Devi trovarti un buon lavoro. Medico, avvocato o ingegnere!” In quanto primogenito, pensai di essere obbligato a fare ciò che voleva lui. C.N.: Cosa è accaduto quando tuo padre ha saputo che stavi studiando Keishinkan? T.L.: Quando dissi ai miei genitori che volevo imparare le Arti Marziali, dissero “no”. Poi, con fare inquisitorio, mi chiesero perché. Io li risposi che avrei potuto diventare una stella del cinema d’azione. E di nuovo mi dissero “no”. Ance oggi, “NO” continua ad


MA Films essere una delle loro parole preferite! Dopo qualche gior no che l’argomento veniva fuori sempre più spesso, mio padre mi disse che se davvero volevo imparare le Arti marziali, potevo farlo, ma avrei dovuto pagarmele da solo. Quindi uscii con e mi iscrissi a Keishinkan karate. Una volta al corrente di ciò, mio padre mi disse: “ Se qualche volta ti farai male in allenamento, non ne voglio sapere nulla…” Inoltre, se mi infortunavo, avrei dovuto pagarmi anche tutte le spese mediche da solo, ma siccome il Giappone possiede un Servizio Sanitario

C.N.: Qual’era la tua tecnica preferita di Keishinkan Karate? T.L.: Senza dubbio, la mia tecnica preferita di tutti i tempi è il “gyakuzuki” (pugno posteriore). Il motivo è che il mio istruttore di Keishinkan mi ha sempre insegnato che l’obbiettivo del Karate è avere una tecnica impeccabile per finalizzare un combattimento… Anche il “Ichigeki” (tradotto liberamente come “Un colpo, una morte”). Se uno non può fuggire e deve ricorrere all’uso del suo allenamento nelle Arti Marziali per difendersi, il buonsenso dice che

Nazionale, alla peggio avrei pagato 5 dollari.

“meno è di più”, il che significa che se per sconfiggerlo devo colpire il mio avversario una volta sola, è molto meglio che “accapigliarsi” con lui per alcuni minuti.

C.N.: Quale arte marziale hai praticato più volentieri e perché? T.L.: La verità è che non posso sceglierne solo una. Adoro lo Shaolin Kung Fu del Nord, grazie alla varietà di cose che si fanno nelle lezioni e nell’allenamento, come le posizioni basse, le armi e le forme molto lunghe e difficili. Adoro anche il Keishinkan Karate, per via del combattimento a contatto pieno, che ci consente di mettere alla prova le tecniche sotto pressione, oltre alla resistenza e alla proprie capacità. Ma se dovessi scegliere una cosa in particolare, direi che ciò che più mi piace sono le “posizioni basse” del Kung Fu. La ragione è che, per me, quest’ultime sono assai dispendiose e richiedono tutta la mia attenzione. Sono formidabili e in generale sono un ottimo sistema di ristabilire i fondamentali nelle Arti Marziali…soprattutto se i miei impegni mi hanno impedito di dedicare un paio d’ore all’allenamento. C.N.: Se potessi fare tutto da capo, c’è qualche stile di Arti Marziali in particolare che ti vorresti aver iniziato da giovanissimo e perché? T.L.: Oh…questa è una bella domanda. Immagino che sarebbe dipeso da quali fossero i miei piani per il futuro in quel preciso momento. Per esempio, se potessi di nuovo essere molto giovane mi piacerebbe fare qualcosa di veramente suggestivo…, come Wushu o XMA. Tuttavia, alla mia età attuale, non sento la necessità di un “senso pratico” nell’ambito della difesa personale, pertanto, probabilmente, sceglierei le MMA.

C.N.: Qual è la tua arma classica preferita da utilizzare nelle Arti Marziali e perché? Scegline una. T.L.: Nel Kung Fu, la mia arma preferita è la spada doppia. Per diverse ragioni, la prima volta che presi in mano le due spade, mi sentii incredibilmente a mio agio. E ancora di più, quando iniziavo a girare intorno all’avversario, imitando Jackie Chan, raggiunsi il top delle mie capacità. Quando mi cimentai nella mia prima “forma lunga” con la doppia spada, mi colpii da solo. È una “forma” molto intensa, profonda e impegnativa, ma mi piaceva da morire. Cominciai immediatamente a passare ore e ore tutti i giorni a praticare con le spade e lo dimostrai sul serio quando arrivai al 1° posto nel mio primo torneo con le armi. In seguito pensai che avrei usato la Katana giapponese, che avevo visto usare diverse volte. Bene, a me piace davvero molto lavorare con la Katana, tuttavia, inizialmente mi allenavo solamente per delle esibizioni pubbliche. Supponevo che sarebbe stato semplice il passaggio dalla doppia spada, ma mi stavo sbagliando di brutto. Sembra facile e comunque è uno strumento piuttosto complesso. C.N.: Chi sono i tuoi idoli nelle Arti Marziali? T.L.: Adesso non ne ho, ma quando ero bambino, ammiravo praticamente tutte le grandi stelle del cinema di azione di Hollywood e Hong Kong: Stallone, Snipes, JCVD, Jackie Chan, Steven Seagal, Tom Cruise, Bruce Willis.

C.N.: E Chuck Norris e Bruce Lee? T.L.: Quando arrivai negli Stati Uniti, non sapevo nemmeno chi fossero…, suppongo perché mio padre non aveva mai noleggiato i loro film. C.N.: Quali sono i suoi progetti futuri nelle Arti Marziali? T.L.: I miei progetti nell’immediato sono continuare la promozione delle Arti Marziali attraverso la FONDAZIONE KOYAMADA e il FESTIVAL DELLE ARTI MARZIALI DEGLI STATI UNITI. Nella

Fondazione Koyamada aiutiamo i bambini vittime di bullismo e vengono da famiglie disagiate, attraverso la concessione di una borsa di studio nelle Arti Marziali. Facciamo questo perché credo che la pratica delle Arti Marziali può infondere fiducia, autostima e in generale, una prospettiva positiva nella vita di un bambino. Siamo contenti che il bullismo scolastico sia portato alla luce e che finalmente si stia affrontando a livello nazionale. Anche se con fondi limitati, stiamo facendo del nostro meglio per aiutare individualmente questi ragazzi. Dall’altro lato, il Festival è concepito per promuovere TUTTE le arti, tutti gli stili e discipline Marziali (conosciute o sconosciute) e dare a tutte la stessa opportunità. Lo facciamo sotto forma di Festival, perciò invitiamo dozzine di differenti stili di Arti Marziali per potersi mettere pubblicamente in mostra in questo scenario. Ci sono consegne di diplomi, spazi per tutte le Arti marziali, si organizzano seminari, esibizioni, abbiamo il nostro “red carpet” con numerosi attori e artisti marziali famosi…e molto, molto altro ancora. È veramente un evento straordinario dove anche Grandi Maestri possono entrare in contatto con altri Grandi Maestri, i quali non sempre hanno avuto l’occasione di conoscersi personalmente. Inoltre, offriamo una piattaforma nella quale il pubblico in generale possa vedere le chiare differenze tra le varie Arti Marziali. Ciò che voglio dire è che se domandiamo al “cittadino medio”, questi, con tutta probabilità, non saprà riconoscere le differenze tra lo Shotokan e il Kyokunshin, al contrario, così potranno apprezzarle con un semplice sguardo. Non solo, ma il pubblico può conoscere e


Intervista


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Intervista avere a che fare con questi Grandi Maestri veramente faccia a faccia e fare loro delle domande. Questa è una possibilità che la maggior parte delle persone non hanno mai avuto. In generale, è un ambiente molto divertente ed educativo per tutti quelli che vi partecipano. C.N.: Come hai iniziato nelle Arti Marziali? T.L.: Ero interessato ad imparare il Karate perché pensavo che mi avrebbe aiutato a diventare una stella del cinema d’azione a Hollywood. Quindi usai i soldi

della mia paga settimanale per iscrivermi al Keishinkan Karate Dojo, dove conobbi l’istruttore Tadashi Yoshii (8°Dan). Io ero già piuttosto atletico e avevo partecipato ad un paio di risse per strada, perciò sapevo che dovevo essere in grado di “trattenermi” durante le lezioni. Tadashi percepì subito questo, o forse lo confuse con una certa arroganza, perché mi invitò ad attaccarlo. Stupito, gli chiesi: Cosa…? Voleva che lo attaccasi come volevo… Pugno, calcio, tutto! Poi disse: “Zenshin nomi aru” (che si può tradurre come “Vieni verso di me”). Quindi lo

feci. 10 o 12 minuti dopo, ero sfinito e ansimante come un cane nel deserto. Lui parò tutto…e dico proprio TUTTO! Vedendo quanto erano inutili i miei attacchi, gentilmente decise di togliermi dall’imbarazzo con un potente “mae geri” (calcio frontale) allo sterno. Mi aveva sconfitto… Dopo questo bagno d’umiltà, mi invitò ad arrivare prima degli altri, una trentina di minuti prima dell’inizio delle lezioni, per praticare solo noi due. Ad ogni lezione mi presentai in anticipo perchè lui potesse ancora dirmi “Zenshin nomi aru”. Mi piaceva cercare di combattere

con lui con tutto il cuore, mentre lui evitava i miei attacchi con grande facilità. Alcuni mesi dopo, mi resi conto che le mie tecniche e la mia velocità si stavano sviluppando rapidamente. Mi stava trasformando in un allievo più determinato, disciplinato e marziale. Egli si rese conto del mio cambiamento. Con appena 3 mesi di allenamento, Tadashi Sensei mi disse: Shin, c’è un torneo Open di Karate a Nagano e voglio che tu partecipi”. La mia risposta fu inaspettata ma molto breve poiché non riuscii a dire altro che: “Cosa?...”. In quel torneo non c’era divisione per cintura, la categoria era determinata in base all’età scolare: Junior, Secondaria, Maturità e Adulti. Prima di cominciare il mio primo combattimento ero visibilmente teso. Tadashi mi disse:” So che sei un principiante, ma non devi aver paura. Perché quando si ha paura, si tende ad arretrare e la chiave del successo nel Karate è avanzare quando si ha paura. Questo perché se ti colpiscono da una corta distanza, non ti faranno molto male”. Quindi chiusi la distanza e mi colpirono, mi colpirono tante volte, ma lui aveva ragione, non faceva tanto male. È ovvio che non vinsi il torneo, ma ne uscii con qualcosa di più prezioso che un trofeo: me ne andai con una fiducia in me stesso e una rinnovata motivazione, una motivazione ad allenarmi ancora più duramente. Tadashi Sensei cominciò a portarmi ai dojo di alcuni suoi amici, per “combattere” con gli allievi. Numerosi avversari, uno dopo l’altro. Ho preso tanti di quei calci nel sedere che non riuscivo più a muovermi…ma ancora una volta, la fiducia in me stesso e l’autostima crescevano esponenzialmente (anche dopo


MA Films essere stato colpito) perché vedevo un chiaro ed evidente progresso accelerato in praticamente tutte le mie tecniche di Karate. Ora ero più che mai lanciato e deciso che mai ad avere successo nel “mondo marziale”. C.N.: qual è il tuo personaggio preferito tra quelli che hai interpretato e perché? T.L.: Ho amato tutti i personaggi che ho interpretato, ma in particolare due, che sono, in primis, Nobutada ne “L’ultimo Samurai” e poi Shen in “Wendy Wu: la ragazza del Kung Fu”. Nobutada è il mio preferito perché è stato un

personaggio memorabile. Era tutto Onore e Rispetto, una cosa che un vero Samurai deve riflettere in ogni aspetto della sua vita. In quanto a Shen – devo essere onesto… - per me, è stato un sogno diventato realtà, perché finalmente ho avuto l’opportunità di interpretare una stella del cinema d’azione, ciò per cui mi sono allenato fin da bambino. Mi ha dato l’opportunità di mostrare le mie capacità nelle Arti Marziali in un ambiente molto divertente e stimolante. Entrambi i personaggi sono ben diversi tra loro, in funzione della loro personalità e della forza delle rispettive motivazioni. Entrambi sono stati una sfida e ambedue

distinte rappresentazioni dei miei sogni divenuti realtà. C.N.: Qual è stata l’esperienza più indimenticabile su un set cinematografico? T.L.: Onestamente? L’ora del pasto. In una importante produzione di Hollywood ci sono catering tutti i giorni, a colazione, a pranzo e a cena. E parlo di cibo di qualità superiore, soprattutto ben cucinati. Tutti i giorni erano meglio dei precedenti: carne, frutti di mare, pollo marinato, pasta, il carrello dei dolci…Tutto! Ingrassavamo tutti mangiando sul set – ride a



MA Films fragorosamente – tuttavia, ne “L’ultimo Samurai” eravamo in maggioranza giapponesi, con centinaia di comparse e nel luogo della Nuova Zelanda in cui ci trovavamo, non c’erano piatti o ristoranti giapponesi a portata di mano, perché in piena campagna. Così una delle comparse ebbe un’idea brillante. Comprò un baracchino per preparare e vendere piatti giapponesi a tutti sul set (quando non stava girando, ovviamente). La maggior parte di noi mangiava lì tutti i gior ni. Deve aver guadagnato una fortuna! Ma parlando seriamente…Tutti i giorni avevo delle incredibili conversazioni con

Tom Cruise. È una delle persone più umili che abbia mai conosciuto. Provando e a volte filmando, gridava, “taglia” e mi chiamava a parte. All’inizio pensavo di aver fatto qualcosa di sbagliato (era pur sempre il mio primo lungometraggio). In realtà, lui voleva solo parlare. Mi disse che io gli ricordavo se stesso quando aveva la mia età. Al che gli dissi: “Tom, tu sei americano, io sono giapponese…” Ridendo mi rispose: “No, è davvero così. Voglio dire che con la tua innocenza e determinazione, hai un approccio molto reale e una grande personalità. Mi ricordi me.” Mi sono sentito onorato di udire questo da lui. Da quel momento in poi, tutti i giorni, ci soffermavamo spesso a parlare di tante cose. Oggi come oggi, mi sento ancora onorato di poterlo definire un amico e quella esperienza la ricordo come uno dei più bei momenti della mia vita. C.N.: Allora, devo chiedertelo…Come è stato lavorare con Tom Cruise? Voglio dire, era il tuo primo film e all’improvviso, ti trovi di fronte a lui come co-protagonista… T.L.: E’ stato qualcosa di assolutamente e positivamente surreale. Io ero molto felice e onorato di far parte della produzione e grato per l’opportunità che mi veniva data. Questo è stato il mio primo film e ha cambiato la mia carriera. Sapevo che dovevo fornire un livello di professionalità differente per lavorare con lui e la verità era che avevo poca esperienza e zero idee di ciò che mi aspettasse. Ero totalmente concentrato nel mio ruolo di Nobutada e nella produzione. Non sono arrivato ad essere così nervoso come mi pensavo e mi sentivo molto a mio agio. Tuttavia, rimasi pietrificato quando commisi un enorme errore il primo giorno. Accadde che sentii Tom Cruise gridare tra due delle sue scene: “Shin, shin, dove sei? Dov’è Shin? Shin! Shin!” Tutti rimasero immobili e mi guardavano come se avessi fatto qualcosa di terribilmente sbagliato o qualcosa del genere. Io risposi: “Uh, sono qui”. Al che lui

disse: “Vieni qui. Voglio presentarti il mio amico, il regista!” Ero letteralmente gelato. Era davvero per questo? Non riuscivo a muovermi perché mi aspettavo che mi dicessero che ero licenziato o altro di simile. Ma non è mai successo. Tom Cruise era incredibilmente gentile. Non ho mai conosciuto qualcuno più sincero e umile di lui. Quando arrivava sul set, salutava e stringeva la mano a ogni membro della crew e dello staff che incontrava. Ogni mattina veniva da ognuno di noi per fare ciò e lo ha fatto per otto mesi!!! Ogni che entravamo o uscivamo dal set, sembrava come se fossimo vecchi amici che condividevano delle storie, che

fossimo in campagna, in Nuova Zelanda, o in un altro posto. Ma in quel momento, spesso mi ritrovavo confuso… C.N.: Come? Cosa vuoi dire? Confuso? T.L.: Beh…Per esempio, un giorno Tom mi portò da una parte tra le nostre scene sul set e iniziò a rammentare il passato e mi confessò quanto io gli ricordassi lui quando aveva la mia età. Io pensavo, come poteva essere! Anni dopo, finalmente ho capito che era un elogio davvero sincero. Ma per anni, mi sono chiesto come potevo ricordargli se stesso! (ride di gusto).


Intervista


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Intervista C.N.: Qual è stata la cosa più sorprendente e memorabile lavorando con lui? T.L.: La sua precisione. Assolutamente la sua precisione tecnica nell’esecuzione della sua scena di combattimento in strada, dove affronta numerosi avversari. Aveva provato per conto suo per mesi e mesi, preparandosi a girare quella scena. Quel giorno, durante le ripresa, la eseguì in maniera veramente impeccabile. Io, come tutti gli altri, eravamo sbalorditi. Pensavo: sto lavorando con uno degli attori più di successo del mondo che è anche la persona più umile che abbia conosciuto, perché non solo lo si può

considerare un tipo a posto, ma anche un duro. A partire da allora…è uno dei miei idoli tra gli eroi d’azione. C.N.: Dove credi che stiano andando le Arti Marziali e l’industria dell’intrattenimento? Ovvero: che genere di Arti Marziali vedremo ancora, in futuro? T.L.: Io credo tutto avvenga ciclicamente. Visto che la tecnologia si sviluppa sempre di più, si vede che il film diventano sempre più dipendenti dai CG (computer-grafica). Penso che un giorno, il pubblico si stancherà di vedere CG e chiederà più “realismo”. Ovvero, più

realismo nelle azioni dei personaggi e nelle coreografie di Arti Marziali. Ma gli anni dopo che questo sarà diventato un elemento fondamentale nell’industria dell’intrattenimento…penso che la gente vorrà vedere ancora un po’ di CG, ripetendosi di nuovo il ciclo. C.N.: Quali sono i tuoi progetti futuri nel cinema? Recitare? Produrre? Dirigere? T.L.: Beh, per adesso…vorrei tanto continuare a concentrarmi nel recitare e produrre. Dirigere è un’opzione, ma non in un futuro immediato. Riguardo all’interpretazione, ho una nuova serie tv


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Intervista americana di azione e fantasy, le cui riprese sono appena terminate a Okinawa, intitolata “Il Re di Yokai”. Abbiamo girato in inglese stanno cercando di venderla nel mercato USA in primo luogo, così come in altri paesi. Inoltre, attualmente stiamo filmando una serie web chiamata “Cuore di Drago”. È un thriller di Arti Marziali soprannaturale, dove il mio personaggio è costretto ad affrontare la realtà della propria mortalità. Inoltre, la mia società, la Shinca Entertaiment, ha finito di creare e pubblicare un fumetto americano chiamato “The Dreamhoppers” e ha

iniziato a sviluppare una nuova serie sempre di fumetti. Ho un paio di progetti che sto producendo in questo momento. Cerco di muovermi in tanti ambiti dell’industria dell’intrattenimento, per quanto mi è possibile. Fondamentalmente, perché è divertente e sto costantemente imparando cose. Dai fumetti, ai videogames, dalle serie web, alla televisione e al cinema. Adoro ogni cosa e cercherò di produrre il più possibile. C.N.: Qual è il film di Arti Marziali che non è stato ancora fatto e che ti

piacerebbe vedere realizzato? T.L.: Bene…, il film che vorrei fosse fatto è con il 100% di persone vere, senza attori. Tutti sono persone vere. Il tassista è un vero tassista. L’agente dell’FBI è un agente dell’FBI. Tutti e tutto che raccontano una storia corale che li intreccia tra loro. Alcune persone potrebbero considerarlo un documentario, ma non è ciò che intendo. Vorrei un film realistico, con persone reali, che raccontano una storia reale rispettando gli stessi parametri della vita dell’altro…, sottoforma di film d’azione di vita vera.

C.N.: Qual è il miglior consiglio che si può dare agli artisti marziali che desiderano intraprendere una carriera nell’industria del cinema e della tv? T.L.: Iniziate a girare. Filmate qualcosa, tutto. Filmate voi stessi e caricate i video ovunque, sui social network,su Facebook, su YouTube, ecc. Se davvero volete seguire una carriera in questa industria, è importante aver presente che non dovete essere attori per farlo. Si tratta di “Show business”. Ricordate che potete “dimostrare” (o fare) qualcosa di meglio di altri e lo farete se lo desiderate fortemente. C.N.: Ma che mi dici di quelle persone che hanno poca o nessuna esperienza di recitazione? T.L.: Semplice. La produzione ingaggerà un insegnante di recitazione per la pre-produzione e lo manterrà durante le riprese, se sarà necessario. Questa è una sua decisione, non tua. Quando iniziai ne “L’ultimo Samurai”, non avevo praticamente alcuna esperienza su come montare a cavallo, ne nel Kyudo (tiro con l’arco giapponese)… Inoltre, avevo poca esperienza di recitazione. L’Ultimi Samurai è stato il mio primo lungometraggio. Nel casting, fui onesto sin dal principio in questo. Il gior no che venni selezionato, ingaggiarono immediatamente un insegnante per me. Pertanto, iniziate a riprendervi e a caricare i video dappertutto. Lavorate in rete. Muovete il culo. Sono sicuro che avrete già sentita questa, ma è assolutamente certo che: circondatevi di persone con idee



Intervista affini alle vostre. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. C.N.: Tu hai creato la Fondazione Koyamada. Che cos’è e perché è nata? T.L.: Quando sono arrivato per la prima volta negli USA non avrei mai immaginato, ne avevo intenzione, di avviare un’opera di beneficienza. Dopo alcuni anni, mi invitarono a visitare l’istituzione benefica “Kick Start Kids”, di Chuck Norris. Vidi la maniera in cui aiutavano i bambini di tutto il paese, tramite la formazione di persone forte e rette, attraverso le Arti Marziali. Mia moglie mi disse che potevamo e

dovevamo fare qualcosa di simile. Così l’abbiamo fatto. Il nostro obbiettivo è rendere in grado i giovani di raggiungere i loro sogni e traguardi. Nella loro vita ci saranno sempre persone che cercheranno di fare a pezzi i loro sogni. Senza l’auto-disciplina e la fiducia, potrebbero crescere con una mentalità negativa…e non avere mai l’opportunità di sviluppare tutto il loro potenziale. Quindi, con la nostra fondazione, promuoviamo l’educazione interculturale, la prevenzione di disastri per bambini disagiati e i loro familiari diretti, così come la concessione di borse di studio di Arti Marziali, per rafforzare i giovani

mediante il loro allenamento. Crediamo che le Arti Marziali forniscano a bambini ed adolescenti la possibilità di sviluppare il carattere e l’autostima, grazie alla pratica marziale. Vogliamo che tutti nella vita abbiano una chance di avere successo. Non a tutti viene tesa una mano in modo corretto e noi stiamo cercando di aiutarli ad emergere. C.N.: Come hanno cambiato la tua vita le Arti Marziali? T.L.: In meglio…E’ un dato di fatto che senza le Arti Marziali non sarei dove sono oggi. Mi hanno aiutato a scoprire chi sono davvero nei miei rapporti e come

persona. Mi hanno aiutato a comprendere gli altri per poter essere più tollerante con tutto e tutti nella vita. Ma più importante, mi hanno aiutato a non aver paura di provare cose nuove. Il mio allenamento nelle Arti Marziali ha sviluppato tantissimo il mio intuito, la conoscenza delle situazioni e la sensibilità verso ciò che mi circonda. Ha scolpito la mia motivazione, l’auto-disciplina e la fiducia in praticamente tutto quello che faccio. Il Karate e la formazione nel Kung Fu, mi hanno realmente consentito di raggiungere nuovi obbiettivi nella vita. Molte volte penso a ciò che mi disse Tadashi Sensei: “Non fare mai un passo indietro…Se credi di poter fare qualcosa, fallo!” e questo lo interpreto come:”Non si può avanzare nella vita se si cammina sempre guardando indietro e con la paura di provare cose nuove. Bisogna andare avanti e scoprire”.

HYPERLINK: "http://www.shinkoyamada.org" www.shinkoyamada.org (sito web personale) HYPERLINK: "http://www.koyamada.org" www.koyamada.org (fondazione benefica) HYPERLINK: www.shincaentertainment.com www.shincaentertainment.com (casa di produzioni) HYPERLINK: "http://www.usamfest.org" www.usamfest.org (Festival delle Arti Marziali degli Stati Uniti)







Tecnica “Una maglia metallica sola non serve a nulla, ma legata a molte altre, otteniamo uno degli strumenti più utili: la catena”. Questo è applicabile anche alle Arti Marziali ben venga la metafora per capire l’importanza che hanno le combinazioni tecniche all’interno della pratica marziale. Evidentemente, l’ideale in termini marziali è essere capaci di finalizzare qualsiasi confronto, applicando un solo colpo o un’unica tecnica. Ma questo è molto difficile. Alcuni grandi maestri forse si avvicinano spesso a questo ideale; o un colpo di fortuna può far si che in certe occasioni riusciamo a terminare un combattimento con la prima tecnica. Ma per farlo, la sua esecuzione deve essere assolutamente perfetta, in quanto a precisione, velocità, potenza, tempismo, coordinazione, ecc… e la perfezione è un ideale verso il quale si tende ma che non si raggiunge mai, per questo la maggior parte dei praticanti di arti marziali deve imparare a concatenare le tecniche per risultare efficace in combattimento. Testo: Pedro Conde. Foto: David Gramage (davidgramage@gmail.com) Traduzione a cura di: Leandro Bocchicchio.

Le Combinazioni COS’E’ UNA COMBINAZIONE? Una combinazione tecnica è, semplicemente, la coordinazione di diverse tecniche in sequenza. Queste tecniche, normalmente le abbiamo imparate e allenate al principio in maniera isolata. Ma combinare non consiste solo nel sommare tecniche, ma che ciascuna combinazione abbia una propria logica (secondo le circostanze, l’avversario, ecc.) e che all’interno della stessa, ogni tecnica dipenderà da quella precedente e da quella successiva.

LE COMBINAZIONI SONO FACILI? E’ curioso notare che quando la gente porta un colpo in modo isolato, lo esegue impeccabilmente, ma quando esegue lo stesso colpo all’inter no di una combinazione, perde qualità a vista d’occhio. A cosa è dovuto ciò? Al fatto che la capacità di combinare, come qualsiasi altro attributo, deve essere addestrato e come tutto, richiede tempo, ma

soprattutto, di sapere come allenarla. Di certo c’è che combinare lo sanno fare “quasi” tutti…la cosa difficile non è portare colpi di destro e sinistro, ma che almeno la maggioranza di questi vada a segno. Si ottiene di più con tre colpi ben combinati (con criterio, tattica ed efficacia) che con una ventina scagliati senza ordine e senza un obbiettivo chiaro.

COME SI ALLENANO LE COMBINAZIONI? Una volta che si padroneggiano le basi di una tecnica, è imprescindibile imparare a coordinarla con altre. La coordinazione è quindi una delle fondamenta primarie dell’abilità nella combinazione. La metodologia più pedagogica per ottenere ciò è andare per gradi, ovvero: iniziare imparando a coordinare tecniche similari, poiché sarà più semplice (combinazione semplice) e poi progredire verso la combinazione delle tecniche più disparate (combinazioni miste). Si deve anche gestire il numero di tecniche da allenare, cominciare con il combinare due tecniche, e andare

ad aumentare (fino a cinque o sei, che è il massimo ragionevole di tutte le combinazioni). Per esempio, una volta assimilate le basi di un jab e quelle del diretto, impareremo a coordinare questi due colpi, che per la loro somiglianza danno origine a una delle combinazioni più semplici e basilari delle arti marziali. Più avanti si imparerà a combinare i pugni diretti con quelli circolari (ganci) e dopo, i pugni con i calci. E alla fine, i colpi con tecniche di proiezione, leve, strangolamenti, ecc., ogni volta in sequenze più lunghe più complesse. Per allenare fruttuosamente la combinazione è necessario ricreare il più grande realismo possibile. Per cominciare, nel caso degli sport di contatto, si ottiene molto di più in una sessione di sparring o allenandosi con un compagno (focus, pao) che in molte di shadow o al sacco. Il compagno o l’istruttore devono sapersi muovere per stimolare le combinazioni (dove e come posizionare i colpitori). Deve muoversi molto e velocemente, aprire e chiudere la distanza continuamente



Tecnica

per poter applicare in condizioni reali la nostra combinazione di colpi. E deve variare i suoi spostamenti (attacco, difesa, contrattacco, uscita, girare, ecc) per abituarci a combinare in qualsiasi circostanza. Nelle arti marziali si ottiene gli stessi risultati sulla base del ripetere le tecniche fino a fluire con naturalezza. In entrambe le modalità si può dire che si dominano le combinazioni quando si è in grado di realizzarne diverse come se si trattasse di una sola tecnica, ovvero: senza differenze o lassi di tempo tra un movimento e il seguente. Per conseguire ciò, è dunque molto importante che l’allenatore o il compagno sappiano muovere con destrezza le mani, ossia, che possiedano vaste conoscenze nelle arti marziali e conoscano molto bene le attitudini fisiche del suo pupillo o compagno. Nel caso degli sport di contatto, quello che deve fare è incitare e stimolare a portare quelle tecniche, per le quali l’altro possiede una naturalezza innata, insieme a quelle altre che deve perfezionare. Evidentemente, più esperienza ha chi gestisce i colpitori, più elevato sarà il rendimento dell’addestramento. Si deve sempre tener presente che ogni persona è distinta e che le combinazioni che possono funzionare con alcuni, possono non farlo con altri. Per questo motivo si deve evitare nei limiti del possibile, il lavoro in forma meccanica, ovvero, memorizzando semplicemente delle combinazioni ed eseguirle in automatico. Ogni volta che qualcuno utilizza un focus da colpire, deve esserci un motivo: dipenderà dalla guardia che ha il compagno, dalla sua distanza, dal tipo di colpo che ha appena impattato, o da quello che viene dopo, ecc. Per esempio: se il compagno si è allontanato da noi, non deve mettere il colpitore in modo da stimolare a colpire con un gancio; prima porremo il colpitore facendo capire che si deve accorciare la distanza con un jab (diretto anteriore), mentre l’altro deve essere pronto o nella posizione corretta per ricevere un diretto (diretto posteriore) dopo il quale possiamo indicare di concludere con in crochet (gancio orizzontale). Una volta collegati i tre colpi, o lo si obbliga a realizzare una schivata (perciò l’istruttore o il compagno possono portare dei colpi


cercando di colpire con il colpitore, o dovrà tornare alla posizione iniziale, coprendo la sua uscita con qualche tecnica di gamba. Ovviamente è fondamentale che ci sia la massima sincronizzazione tra i due, poiché una volta che il colpo ha impattato, il focus deve immediatamente cambiare di posizione in funzione delle situazioni e della maniera di combattere di ciascuno. In questa maniera, la persona che sta colpendo, realizzerà delle combinazione razionali ed efficaci secondo le proprie abilità fisiche. Se vogliamo combinare in maniera coordinata colpi di gambe e pugno, è più raccomandabile utilizzare i focus speciali che esistono per i calci. O direttamente de pao.


Tecnica


COSA SONO LE COMBINAZIONI SEMPLICI O MISTE? Il concetto di gradualità dell’allenamento si basa dunque su due tipi di combinazione: quella semplice e quella mista. Quello semplice è quello che concatena tecniche similari (stessi “strumenti”, dinamica o traiettoria similare, obbiettivi vicini, ecc.) e quella mista, quello che mescola tecniche disparate, come per esempio calcio e pugno, tecniche circolari e dirette, colpi alti e bassi, colpi e leve articolari, ecc. Perché l’apprendimento sia svolto con naturalezza, bisogna gradualizzare la difficoltà: conviene iniziare assimilando prima le combinazioni vicine e spaziare, poco a poco, in combinazioni più varie, come abbiamo spiegato all’inizio dell’articolo. Le combinazioni miste non sono sempre per forza superiori in efficacia, anche se più complesse delle semplici. Queste ultime hanno il vantaggio che si assimilano prima e sono più istintive, il che può essere decisivo per strada o in momenti di grande tensione, quando è difficile pensare. Spesso, la cosa più semplice è la più efficace. Le miste, al contrario, hanno il vantaggio che sono più imprevedibili e inaspettate.

Variando gli “strumenti” (piedi, pugni, gomiti, ecc.), le traiettorie (dirette, circolari, verticali, orizzontali) e gli obbiettivi (gambe, fegato, testa, ecc.), ci complichiamo le cose, ma le complichiamo anche al nostro avversario. Il fattore sorpresa è fondamentale nella strategia di combinazione. Per essere efficaci concatenando movimenti e tecniche marziali, si deve perfezionare una serie di qualità fisiche. In questo caso consideriamo essenziale ciò che segue: la strategia, la fluidità, la mobilità, la bilateralità, la velocità, la precisione e la potenza.

CONCEZIONE STRATEGICA DELLE COMBINAZIONI Saper giocare con i livelli di attacco e con le combinazioni miste, spesso risulta assai utile in combattimento. Ma sempre tenendo conto dei vantaggi tattici che possono offrire le combinazioni specifiche di differenti tecniche. Ad esempio, un calcio basso (o un accenno dello stesso) può essere uno dei migliori modi per obbligare l’avversario ad abbassare la sua guardia e scoprire il volto (questa strategia risponde al concetto di “aprire il varco”). A fronte di questo, la miglior combinazione è continuare con

un jab al viso (colpo molto veloce) e sfruttando lo stordimento e il leggero arretramento dell’avversario, concludere con un diretto, o se il rivale è retrocesso notevolmente, con un calcio circolare alto. Questo è un esempio concreto dell’uso strategico di combinazioni miste (calci-pugni, sotto-sopra), un esempio molto semplice e comune ma che tuttavia funziona sempre molto bene. Un’altra strategia molto usata è quella di portare tecniche isolate con una stessa dinamica (ad esempio, i diretti), per costringere il rivale a coprire la linea centrale del corpo e all’improvviso, sfruttare il fatto che ha trascurato quelle laterali per eseguire una combinazione di colpi circolari (ganci, calci circolari, ecc.). Evidentemente, la varietà di combinazione dipenderà dalle regole che vigono nel nostro stile marziale, dalle nostre conoscenze e preferenze, dalle regole di una competizione, ecc. ogni arte marziale e sport avrà dunque le proprie esigenze. Nel Karate si cerca principalmente la velocità e “il colpo”, ossia, risolvere tutto con un’unica tecnica pulita e perfetta. Gli scambi sono quindi molto rapidi e l’arbitro separa subito i contendenti. Questo non lascia molto spazio a combinazioni. Nel Taekwondo, al contrario, primeggiano


Kick Boxing

le combinazioni di calci, specialmente circolari e girati. Negli sport di contatto si portano invece lunghe combinazioni anche se di solito con i pugni, a causa dell’influenza della Boxe Inglese.

LA FLUIDITA’ Un altro elemento primario nella capacita di combinare è la fluidità, la naturalezza. Imparare ad applicare con fluidità un tipo di tecnica è un processo molto lungo: prima bisogna allenare isolatamente la tecnica per perfezionarla, poi si deve introdurla progressivamente nel nostro bagaglio, per, alla fine, applicarla in combattimento. Quando si diventa padroni della tecnica, si fluisce da una all’altra in maniera istintiva e naturale. Questo è il frutto della pratica e dell’esperienza, quindi in questo ambito sono tre i consigli da seguire: allenarsi, allenarsi e allenasi…e nelle condizioni più realistiche possibili. Per lavorare al meglio la fluidità, a seconda dell’arte marziale che si pratica, i guanti a volte sono un impedimento, poiché impediscono le prese, gli attacchi con le dita ai punti sensibili, ecc. Nel Combat Arts ci si allena indifferentemente con guanti o senza, l’importante è acquisire la

fluidità, a prescindere dalla protezione che si utilizza.

GLI SPOSTAMENTI Gli spostamenti sono, come logico che sia, determinanti per l’efficacia delle combinazioni. Bisogna imparare sia ad adattare gli spostamenti alle combinazioni (muoversi con fluidità secondo i movimenti dell’avversario e le tecniche che realizziamo), che anche a fare l’esatto contrario (quali colpi sono più opportuni in funzione della distanza e della posizione di ogni frangente del combattimento). Molta gente impara a spostarsi e combinare in maniera lineare, avanzando o arretrando, a seconda se attacca o difende. Questo è uno schema piuttosto basilare, perché i combattimenti reali di solito non sono lineari, dal momento che quando il confronto supera il primo scambio, è molto facile che si producano delle rotazioni, cambi di direzione, rottura del ritmo, contrattacchi, ecc. Per quello è fondamentale imparare a combinare realisticamente, includendo attacchi e difese, cambi di posizione, di senso, di ritmo e di altri aspetti tattici. A poco serve imparare schemi di lunghe combinazioni prestabilite, perché non si possono

abbracciare tutte le situazioni possibili. La combinazione deve essere istintiva e naturale.

BILATERALITA’ Un elemento che spesso disturba la nostra capacità di concatenare è quello di una bilateralità deficitaria (ovvero, meno abilità con il lato sinistro, nel caso dei destrimani), il che può compromettere seriamente la continuità delle combinazioni. Perciò, ogni praticante deve cercare di diventare un “ambidestro marziale”, ossia, che la differenza tra un lato e l’altro, in termini di velocità, tecnica, elasticità e potenza, sia minima. Questo è il tassello mancante di molti praticanti di arti marziali in genere e di alcuni atleti in particolare. Una scarsa bilateralità si nota spesso nelle combinazioni di calci, ma anche negli spostamenti e si manifesta rendendo visibilmente scoordinati il nostro ritmo e la nostra fluidità. C’è solo un modo per riequilibrare tutto ciò ed è allenandosi quasi il doppio nel lato “debole”. Allenamento lungo e impegnativo, dove al costanza, come in “quasi” tutto, sarà la chiave del successo. Come dato statistico, solo l’1% della popolazione è ambidestra, a fronte dell’89% di destri e del 10% di mancini, per cui se vogliamo partire


con un “vantaggio” in più rispetto all’avversario, c’è solo una strada, allenare in maniera speciale gli “strumenti” del lato sinistro. Perciò, nel Combat Arts si allena tanto se non di più il lato sinistro, poiché non si sa mai da che lato si porterà la tecnica, ne in quale circostanza.

combinazioni, perché più lunghe e complesse saranno, più difficile sarà che quasi tutti i nostri colpi colpiscano con precisione, perciò è imprescindibile prima di passare al combattimento, allenare con pao e focus questo attributo, con diversi tipi di combinazione.

LA RAPIDITA’

LA POTENZA

Un’altra qualità fondamentale per riuscire a combinare con efficacia è la rapidità. Non solo di ciascun colpo in se, ma anche della combinazione da un colpo all’altro. Tutti gli artisti marziali normalmente dedicano abbastanza tempo ad allenare la velocità d’esecuzione di tecniche isolate, ma non fanno tanto lo stesso riguardo alla velocità di passaggio da una tecnica all’altra. ci riferiamo alla velocità per, ad esempio, cambiare la posizione del bacino per passare da un calcio frontale a uno circolare, o alla velocità di richiamo del braccio dopo un pugno e averlo così pronto per la nostra tecnica successiva. Nella combinazione, l’optimum è ridurre al minimo il lasso di tempo tra una tecnica e l’altra. Ma bisogna farlo con criterio. Nella maggior parte dei casi raccomandiamo di non eseguire tecniche simultanee. Per esempio, se si è portato un calcio, conviene sempre aver poggiato il piede in terra prima di continuare con un pugno (a patto che una delle due tecniche non sia semplicemente accennata). La potenza e la precisione dipendono in gran misura dalla stabilità, se non c’è equilibrio, difficilmente si può essere precisi o colpire con forza, perciò, nel Combat Arts insistiamo tanto sul lavoro delle posizioni.

Un altro attributo generale da tener presente per l’allenamento delle combinazioni è la potenza. Esistono numerosi tipi di potenza, ma per semplificare ci limiteremo a due basilari: quella penetrante e quella esplosiva. La prima è una potenza conclusiva o definitiva; con questo vogliamo dire che il suo obbiettivo è quello di scaricare nella tecnica tutto il peso del corpo. Come è logico, la potenza penetrante deve essere usata preferibilmente nell’ultima tecnica della combinazione, con la quale si vuole finalizzare il combattimento. Questo avviene perché dopo un colpo del genere, nel quale scarichiamo tutto il peso del corpo, è molto difficile combinare immediatamente altre tecniche perché, che abbiamo colpito o siamo andati a vuoto, abbiamo rotto il nostro ritmo e perduto in parte il controllo del corpo. Per quello è preferibile lasciare questo tipo di colpo per il finale, dopo una combinazione che “ci apra un varco” per poterlo scaricare. Il resto delle tecniche della combinazione dovrà esprimersi dunque con l’altro tipo di potenza, quella esplosiva. Ci riferiamo al “effetto frusta”, a colpi che si portano in maniera rilassata e molto veloce, contraendo i muscoli solo al momento dell’impatto. E’ evidente che, se ben applicati, sono colpi che possono fare molti danni, pochè anche se non sono caricati con tutto il peso del corpo, l’effetto di sommare accelerazione all’elasticità, è precisamente esplosivo. Il suo vantaggio è che, non coinvolgendo tutto il corpo nella loro esecuzione, permettono un maggior controllo e pertanto di continuare a combinare altre tecniche. Riassumendo: l’ideale in termini marziali è essere in grado di concludere qualsiasi confronto applicando un solo colpo o un’unica tecnica. Tuttavia, ciò è assai complicato. Solo alcuni maestri sono in grado di farlo, il resto di noi mortali deve imparare a combinare tecniche per essere efficaci in combattimento e perciò è indispensabile perfezionare e lavorare le qualità che abbiamo appena menzionato.

LA PRECISIONE Per precisione intendiamo la capacità che fa in modo che un’azione neuromuscolare raggiunga esattamente l’obbiettivo spaziotemporale desiderato; in termini marziali, sia colpire o afferrare un punto preciso in un momento preciso, o come la sincronia o la rigorosa esattezza con la quale un movimento tecnico raggiunge lo scopo o gli obbiettivi previsti (che siano impattare, parare, schivare, ecc.). La precisione è dunque il risultato dell’insieme di due attributi fondamentali: la coordinazione dei movimenti rispetto alla precisione spaziale, e la velocità rispetto alla precisione temporale. Non serve a niente portare una serie di tecniche, se queste non arrivano a destinazione. La precisione è cruciale nelle







Tenendo sempre come sfondo l’Ochikara, “la grande forza” (chiamata e-bunto nel dialetto degli Shizen), la saggezza segreta degli antichi sciamani giapponesi, i Miryoku, l’autore ci sommerge in un mondo di riflessioni genuine, capaci allo stesso tempo di smuovere nel lettore il cuore e la testa, collocandoci continuamente di fronte all’abisso dell’invisibile, come vera, ultima frontiera della coscienza personale e collettiva. La spiritualità non come religione, ma come studio dell’invisibile, è stato il modo per avvicinarsi al mistero dei Miryoku, nel segno di una cultura tanto ricca quanto sconosciuta, allo studio della quale l’autore si è dedicato intensamente. Alfredo Tucci, direttore dell’editrice Budo International e autore di un gran numero di titoli sulla via del guerriero negli ultimi 30 anni, ci offre un insieme di riflessioni straordinarie e profonde, che possono essere lette indistintamente senza un ordine preciso. Ciascuna di esse ci apre una finestra dalla quale osservare i temi più svariati, da un punto di vista insospettabile, a volte condito da humour, altre da efficacia e grandiosità, ponendoci di fronte ad argomenti eterni, con lo sguardo di chi ci è appena arrivato e non condivide i luoghi comuni con i quali tutti sono abituati ad avere a che fare. Possiamo affermare con certezza che nessun lettore rimarrà indifferente davanti a questo libro, tale è la forza e l’intensità del suo contenuto. Dire questo, è già un bel dire in un mondo pieno di presepi collettivi, di ideologie interessate e tendenziose, di manipolatori e in definitiva, di interessi spuri e di mediocrità. E’ dunque un testo per animi nobili e persone intelligenti, pronte a guardare la vita e il mistero con la libertà delle menti più inquiete e scrutatrici dell’occulto, senza dogmi, senza moralismi di convenienza, senza sotterfugi.








Bruce Lee

Leo Fong Il mio amico Bruce Lee Leo Fong, Sino-Americano, iniziò a praticare Arti Marziali negli anni ’50 attraverso lo studio della Boxe, alla fine dello stesso decennio iniziò ad allenarsi con i pesi e più tardi conobbe Bruce Lee. Il suo buon amico Wally Jay e James Lee invitarono Leo alla festa annuale di Luau, che Wally organizzava a Oakland tutti gli anni, perché dissero che c’era un giovane artista marziale chiamato Bruce Lee, che allora aveva solo 21 anni.

Traduzione a cura di: Leandro Bocchicchio.


eo, che aveva circa 30 anni, disse – “Bene, quanto potrà davvero saperne un giovane come lui, ma in ogni caso verrò”. Quando gli presentarono Bruce, questi si alzò e iniziò a dire che le Arti Marziali classiche non avevano valore, perché era come nuotare senz’acqua. Più tardi conobbe Bruce e divennero buoni amici. Jimmy Lee invitò Leo a casa nella settimana successiva, dove lui e Bruce si allenavano e quindi Leo ci andò, quindi loro tre si allenavano nel salotto di Jimmy, mentre gli allievi lo facevano al piano di sotto. Leo chiese a Bruce perché tutti combattevano in guardia destra e Bruce disse che era perché la mano forte doveva essere più vicina all’avversario e questo era il modo in cui, anch’egli, avrebbe dovuto farlo. Leo disse che per lui non era così, che aveva la sua impostazione pugilistica e il suo colpo forte era il gancio sinistro. Bruce ci pensò un secondo e gli disse di mettersi in quella maniera. Leo lo fece. Quindi, dopo un combattimento con Wong Jack Man, che Bruce fece nella scuola di Jimmy Lee, disse a Leo che i colpi a catena del Wing Chun non funzionavano così bene e il giorno dopo, quando Leo si avvicinò, Bruce stava colpendo il sacco come un pugile, ma in guardia destra. Più tardi Bruce di solito guardava i video dei combattimenti di Muhammad Alì, ma spesso metteva uno specchio nella parte frontale del proiettore in modo che quando l’immagine si rifletteva nella parete dietro di lui, sembrava che Alì combattesse con la destra avanti. In seguito, notò che Bruce Lee era molto muscoloso in quel periodo e lui cominciò a mostrargli alcuni degli esercizi di allenamento con i pesi che utilizzava per migliorare il suo corpo e Bruce li apprese immediatamente, cominciando così a lavorarli. Più avanti venne a sapere che Bruce si allenava con i pesi e che aveva un sacco di riviste di Ben Weider Body Building chiamate Iron Man. Perciò, anche se Leo non si considera Maestro di Bruce Lee, senza dubbio ha avuto una profonda influenza sul Bruce Lee che abbiamo visto tutti nei film. Leo adesso ha 84 anni e continua ad allenarsi e a praticare la sua boxe e le sue tecniche di gamba. Come regista cinematografico, Leo è un uomo metodico e dirige delle lezioni di ginnastica per la terza età. Il suo allievo più anziano ha 94 anni. Insegna esercizi cinesi misti a esercizi di base come flessioni e squat appositamente modificati per la terza età.

L

Inoltre, dirige ancora dei seminari in tutto il paese, poiché è sempre molto richiesto. Ma la domanda numero uno che gli viene rivolta è sempre che racconti la sua storia con Bruce Lee e Angel Cabales, il famoso Maestro che insegnò Escrima a Danny Inosanto. Leo è stato anche un buon amico di Angel Cabales e di molti altri Artisti Marziali importanti in California nei giorni della gloria delle Arti Marziali, compreso di Ron Marchini, uno e degli atleti migliori della West-Coast. Infatti, sia Ron che Leo hanno scritto degli eccellenti libri sull’allenamento con i pesi per

le Arti Marziali che ancora si vendono alla grande dopo tutti questi anni. Leo ha partecipato di recente a un evento nel quale, mentre stava firmando degli autografi, alzò lo sguardo e gli si parò davanti un enorme uomo di colore che gli chiese di firmargli il suo libri sull’allenamento dell’energia nelle Arti Marziali. Si trattava dell’attore Michael Jay White. Michael voleva ringraziarlo personalmente, poiché fu il suo libro a stimolarlo a dedicarsi al Body Building quando era un ragazzino. Leo gli diede un’occhiata e disse “Beh, pare che abbia funzionato no?” Entrambi si misero a ridere.


Bruce Lee


Abbiamo chiesto a Leo di raccontarci alcuni aneddoti dei suoi momenti con Bruce e Angel. Bene, io ricordo una volta che andammo a vedere una dimostrazione di Hidetaka Nishiyama, a S.Francisco, e Bruce lo vide portare dei calci rimanendo impressionato dal suo equilibrio e dalla sua potenza, ma criticandone la rigidità. Dopo un po’ di tempo Bruce chiamò Leo e gli domandò se aveva voglia di andare a visitare alcune scuole di Karate a S.Francisco con lui perché Leo lo faceva molto spesso e quindi lo portò con se alla scuola di Kenpo del suo amico Al Tracy, nella zona di South Bay. Osservarono per un po’ e Bruce non era granchè impressionato e quando uno degli allievi disse, “perché non sali sul tatami e ci dai una dimostrazione?”, Bruce Lee lo fece e quindi il ragazzo iniziò a combattere con lui e questi afferrò l’allievo che per questo non poteva fare nulla. Riguardo ad Angel, era uno dei soggetti più piacevoli che abbia mai conosciuto nelle arti marziali e anche se era di stazza limitata, era il più veloce che di tutti. Era un fulmine.


Bruce Lee


Un’altra delle mie storie preferite su Bruce Lee è quando mi ha presentato Mito Ueyhara della rivista Black Belt e mi incluse nella copertina della rivista stessa. Dopo Mito mi chiese di scrivere un libro sul Sil Lum King Fu, ma io gli risposi che non potevo farlo. Allora lui mi disse di non preoccuparmi perché tanto gli artisti marziali non leggono quasi nulla. Ridemmo tutti quanti. Così, dopo aver realizzato tutte le immagini per il libro, decidemmo di dare alcune spiegazioni dei movimenti, per cui Bruce ed io rimanemmo svegli tutta la notte, la notte prima della sessione conclusiva e lavorammo tutte le tecniche di difesa personale per ciascun movimento. Quindi, tutte le tecniche di difesa personale alla fine del libro, sono veramente tutti i movimenti di Bruce. Leo disse che recentemente ha incontrato Linda Lee in una serata di gala e hanno parlato di cosa avrebbe potuto fare oggi Bruce se fosse ancora vivo. Leo sosteneva che probabilmente sarebbe stato più concentrato sull’ aspetto filosofico e più profondo delle Arti Marziali e Linda rispose che forse sarebbe andata proprio così, ma l’unica cosa che sappiamo con certezza è che non se ne starebbe seduto davanti a un computer, che farebbe sicuramente qualcosa e si allenerebbe in qualche maniera. Entrambi hanno riso di tutto ciò, in totale accordo reciproco.


Bruce Lee

“Leo sosteneva che probabilmente sarebbe stato più concentrato sull’ aspetto filosofico e più profondo delle Arti Marziali e Linda rispose che forse sarebbe andata proprio così, ma l’unica cosa che sappiamo con certezza è che non se ne starebbe seduto davanti a un computer, che farebbe sicuramente qualcosa e si allenerebbe in qualche maniera. Entrambi hanno riso di tutto ciò, in totale accordo reciproco”



Il DVD "Krav Maga Ricerca e Sviluppo" sorgè dalla voglia di quattro esperti di Krav Maga e sport da combattimento: Christian Wilmouth, Faustino Hernandez, Dan Zahdour e Jerome Lidoyne. Ad oggi, loro dirigono molti club e conducono un gruppo di una ventina di professori e istruttori di molteplici discipline, dalla Krav Maga alle MMA, Mixed Martial Arts. Questo lavoro non è destinato a mettere in evidenza un nuovo metodo nè una corrente specifica di Krav Maga. Il suo scopo è semplicemente quello di presentare un programma di Krav Maga messo a fuoco sull'importanza del " c o n t e n u t o " , condividendo in questo modo le nostre esperienze.

REF.: KMRED1

Tutti i DVD prodotti da Budo Inter national vengono identificati mediante un’etichetta olografica distintiva e realizzati in supporto DVD-5, formato MPEG-2 (mai VCD, DivX o simili). Allo stesso modo, sia le copertine che le serigrafie rispettano i più rigidi standard di qualità. Se questo DVD non soddisfa questi requisiti e/o la copertina non coincide con quella che vi mostriamo qui, si tratta di una copia pirata.

ORDINALA A: Budo international.net





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