Caffè Moda Rinaldi Magazine n°8

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Coppie CELEBRI


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INDICE PROGETTARE / Architettura Le torri gemelle dopo l’11 settembre Camilla Falcinelli

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MANGIARE / Food ..Successivamente far innamorare in padella Elia Sdei

LEGGERE / Libri 108 metri – The new wor- King Class Hero, E Baboucar giudava la fila, Il maestro di Vigevano, Fuenzalida Filippo Salvucci

VIAGGIARE / Umbria Rivedo l’umbria ad occhi aperti, quelli che hanno visto gli svaghi Alessandro Turco

VEDERE / Cartoni Coppie fantastiche e dove trovarle Chiara Borsini

VIAGGIARE L’elefante e la colomba: viaggio in messico suelle orme di Frida e Diego Valentina Castellano Chiodo

VEDERE / Arte Marina e Ulay Guendalina Pace VEDERE / Arte Valadon e Utrillo il fuoco dell’arte e dell’amore nella parigi degli “anni folli” Andrea Baffoni VEDERE / Arte Bernd e Hilla Becher Emanuele Buono

VEDERE / Cinema Dai tramonti alle isole eolie alle sfolgoranti luci di Hollywood, dalle pagine dei rotocalchi alle indiscrezioni sui social: quando l’amore tra le star è scandalo, è passione.. È arte Andrea Fioravanti PENSARE / Storia L’amore al tempo delle Crociate Daniele Morici

PENSARE / Attualità Coppie d’assi. Imprevedibilità, fortuna ed esperienza rendono ogni partita sorprendente Roberta Palmioli

PENSARE / Storia Politiche matrimoniali. Cosa fanno dell’amore i potenti Daniele Morici PENSARE / Storia Prima della morte tutto ha inizio con l’amore Roberta Palmioli PENSARE / Cronaca Follia A Due, Storie D’amore Rosso Sangue Layla Crisanti

PENSARE / Ambiente Politica e ambiente, un matrimonio per la speranza Daniele Ciri SPORT / Intervista Il ritmo sposa il calcio Layla Crisanti SPORT / Protagonisti I gemelli del gol Roberta Palmioli MANGIARE / Food Parlare di cibo per parlare d’altro Francesca Felicetti

CONVERSARE / Intervista Clizia Fornasier e Attilio Fontana galeotto fu Tale e Quale Show Layla Crisanti

ASCOLTARE / Musica L’hype pornoromantico di Serge e Jane Andrea Luccioli Progettare / Design Opera Tuderte Melissa Giacchi

MODA / Storie “It’s a little bit funny this feeling inside i’m not one of those who can easily hide “ Roberta Palmioli MODA / Vestire Due in Uno Roberta Palmioli

MODA / Vestire Il colore, un elemento di riconoscibilita’ Roberta Palmioli DECIDERE / Wedding La sposa e il suo abito Layla Crisanti ESSERE / Medico Estetico Dal medico estetico si va in coppia Cristiana Checcucci

ESSERE / Nutrizionista Cereali e legumi un amore antico e indissolubile Marco Proietti ESSERE / Pediatra Babywearing, abbraccio d’amore Pietro Stella ESSERE / Psicologo Coppie celebri, tutti i giorni! Miki Crisanti ESSERE / Tarocchi Maschile e femminile nei tarocchi Chiara Sbicca Mulford OROSCOPO / Barbanera dal 1762 Affinita’ dei segni Dicembre-Marzo 2020


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EDITORIALE

REDAZIONE

EDITORE Roberta Palmioli / Studio m_a_g_d_a

Secondo le teorie psicologiche della Gestalt il tutto è più della somma delle singole parti. Bisogna, dunque, considerare l’intero come fenomeno straordinario e non come la somma delle sue componenti. Così in questo numero guardiamo dentro alla vita di coppie indimenticabili. Storie a due, che trascendono le individualità. Binomi perfetti o imperfetti, comunque irripetibili. Incastri, contaminazioni, sovrapposizioni che hanno creato percorsi condivisi, impensabili dualità. Quando uomini e donne fuori dal comune s’incontrano e intrecciano le loro vite in un groviglio indistricabile di genio, intelletto, arte e cultura nascono narrazioni capaci di segnare il tempo, di lasciare tracce indelebili e profonde. L’amore è per ognuno qualcosa di soprannaturale, una forza che ci spinge oltre noi stessi, fuori dall’ordinario. Eppure ci sono storie d’amore che vanno oltre la coppia e diventano patrimonio di tutti. Ci sono coppie celebri nel mondo del cinema, dell’arte, della moda, della letteratura. Coppie celebri nella storia, ma anche nella politica e nell’attualità. Coppie che hanno saputo esprimersi anche o soprattutto attraverso la loro vita e il loro amore. Coppie che nell’amore più o meno tormentato hanno creato e raccontato, espresso e vissuto. Uomini e donne che fanno parte della storia e del nostro immaginario sempre e unicamente insieme. Storie d’amore che sono molto di più che pezzi di vite private, perché proprio nel loro essere passionali e fortissime sono diventate esse stesse parte dell’universo che hanno generato. Passioni così travolgenti che sono inseparabili dai loro protagonisti e dalla loro vita, perché i loro componenti non sarebbero ciò che sono senza essersi immersi in questa esistenza condivisa. In questo numero abbandoniamo il singolare. Tralasciamo le isole e guardiamo al mondo pensando a due. Pensiamo all’amore che lega, contamina, tormenta, costruisce e distrugge. Guardiamo dentro alle coppie che insieme generano mondi che non sarebbero mai esistiti se non ci fosse stato l’incontro. Sbirciamo dentro alla voglia di sfiorarsi, complicarsi e sporcarsi che crea realtà straordinarie.

Layla Crisanti

Fortuna srl Via Petrucci, 41 - 06034 Foligno (PG) Registrazione Tribunale di Perugia Nr. 19/2012 R.T. in data 16/11/2012 Abbiamo sempre bisogno di nuove collaborazioni scrivi a info@studio-magda.com / tel: +39 331 1872029 / +39 320 1427598

DIRETTORE RESPONSABILE Layla Crisanti HANNO SCRITTO e collaborato A QUESTO NUMERO: Camilla Falcinelli/ Filippo Salvucci/ Chiara Borsini/ Guendalina Pace/ Andrea Baffoni/ Emanuele Buono/ Andrea Fioravanti/ Daniele Morici/ Roberta Palmioli/ Layla Crisanti/ Daniele Ciri/ Francesca Felicetti/ Elia Sdei/ Alessandro Turco/ Valentina Castellani Chiodo/ Andrea Luccioli/ Melissa Giacchi/ Cristiana Checcucci/ Marco Proietti/ Pietro Stella/ Miki Crisanti/ Chiara Sbicca Mulford/ Mina Americcioni / Barbanera COORDINAMENTO DEI CONTENUTI Layla Crisanti / Roberta Palmioli PROGETTO GRAFICO Andrea Bartolomei / Studio m_a_g_d_a ILLUSTRAZIONI E INSERTO Simona Badiali RESPONSABILE COMMERCIALE PUBBLICITA’ E MARKETING Gabriella Fratepietro



Caffè Moda Rinaldi Magazine presenta

Coppie CELEBRI


PROGETTARE

Le Torri Gemelle dopo l’11 settembre 2011 Camilla Falcinelli Sette edifici di Lower Manhattan, per la maggior parte disegnati dall’architetto Minoru Yamasaki e dall’ingegnere Leslie Robertson.

Reflecting

U

n concentrato di vetro, ferro e calcestruzzo simbolo di un passato, un presente e un futuro, baluardi di una città, di ideali politici e di una certa idea di mondo. Siamo in uno dei fulcri della grande mela. Siamo al World Trade Center. Anche se solo per pochi mesi, sono stati i grattacieli più alti del modo. Il primato gli è stato tolto dalla Sears Tower di Chicago. Siamo nel 2019, e quello che possiamo vedere a New York è ciò che è diventato un vecchio celebre duo che ha saputo evolvere e sopravvivere ai tragici eventi della storia: Ground Zero. Le torri gemelle sono state, forse, la coppia architettonica più emblematica della storia e la loro tragica fine le ha rese immortali nell’immaginario collettivo. Anche chi non le ha mai viste dal vivo sicuramente le ricorda e ricorda anche cosa stava facendo alle 15, ora italiana, dell’11 settembre 2001. Io avevo 10 anni e guardavo la melevisione con

"Le Torri Gemelle sono state la coppia architettonica più emblematica della storia"

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mia sorella a casa di una nostra vicina. Non lo dico tanto per dire, ma per ribadire che dietro la celebrità di quella coppia si celano storie e ricordi di milioni di persone comuni. È famoso perché lo ricordiamo e lo riconosciamo. Ecco qual'è la bellezza della celebrità: tutti, dovunque, parlano di te. Di loro nel caso della nostra coppia celebre. Meglio se al ricordo e alla celebrità è legato un avvenimento positivo, ma purtroppo per le Tween Towers non è (sempre) stato così. Erano già famose prima dell’attacco terroristico e questo è sicuramente uno dei motivi per cui erano nel mirino dei piloti attentatori. Sono ricordi un po’ offuscati, forse, ma vivi quelli che echeggiano nei miei pensieri in questo momento, forse anche nei vostri: il vociferare dello scoppio della terza guerra mondiale, il nome di Osama Bin Laden, la congettura sul complotto di George W. Bush, i simboli che uscivano sul pc quando si inserivano i numeri dei voli… ne è passata di acqua sotto le fondamenta delle torri. Una celebrità è qualcuno, o qualcosa, che


ARCHITETTURA

Absense permane nonostante il male, che si fa forte del passare del tempo e che non si fa dimenticare. Oggi è proprio l’acqua che alimenta lo spirito del WTC. Alimenta il vuoto che le due torri hanno lasciato. Un vuoto soprattutto spaziale oltre che emotivo. L’acqua e il vuoto alimentano il nuovo che vi si pone accanto. Si sostengono a vicenda. Si danno la forza, l’uno con l’altro, di continuare a vivere e andare avanti verso il futuro. Una perdita lascia un vuoto. Un lutto lascia un vuoto. Il vuoto è colmato dalle lacrime. L’acqua delle due grandi vasche di Ground Zero: le lacrime delle Torri Gemelle. Le ostentano, vogliono farle vedere a tutti, ai familiari delle vittime, ai politici, ai terroristi, ai comuni cittadini, ai turisti, al mondo intero insomma. I due vuoti ostentano questa valle di lacrime. Da una grande vasca l’acqua implode in una più piccola.

"Il vuoto viene colmato dalle lacrime"

È il principio del pianto dell’occhio umano al contrario. Il movimento controverso di queste lacrime sembra simboleggiare la non naturalezza dell’evento, terribile, che stanno a memorare. L’acqua che implode come implosero le torri. Implosione contro esplosione. Così come sono esplosi gli aerei, i vetri, gli acciai durante l’impatto, oggi esplodono due fasci di luce di notte verso il cielo di Lower Manhattan. Esplodono i nuovi grattacieli costruiti intorno al memoriale. Esplodono le anime di chi si affaccia verso l’implosione nel vuoto dell’acqua nelle vasche. Esplode un leggero sorriso quando leggi “per piacere poggiarsi” sulla fascia di bronzo che fa da parapetto alla vasca. Implode qualche lacrima quando cerchi di leggere tutti quei nomi incisi. Sono tanti, troppi. Esplode dentro un timido auguri quando vedi sopra qualche nome un fiore lasciato per il compleanno di un amato. Esplodi di smarrimento quando ti rendi conto di quante persone sono state testimoni del tragico evento semplicemente stando seduti nei loro uffici. La prima volta che ho sentito parlare del memoriale dell’11 settembre a Ground zero era il 20 settembre 2013 ed ero al 150° anniversario del Politecnico di Milano. Era Daniel Libeskind a parlarne, l’architetto che ha progettato il master plan del National September 11 Memorial and Museum. I suoi ragionamenti dietro alla concezione del progetto mi avevano colpita. Mentre guardavo quelle immagini proiettate cercavo di mettere a fuoco i miei ricordi di quei luoghi. Sono uscita dalla conferenza estasiata, quei disegni mi avevano colpito, ma nulla mi aveva preparato alle emozioni di quando mi sono trovata davanti a quel misto di architettura e umana tristezza. Sono stata tre volte a New York, la prima volta Ground Zero era una grande zona recintata, inavvicinabile, la seconda invece un grosso cantiere, mentre l’ultima volta ho trovato davanti ai miei occhi una sensazionale rivelazione. La coppia.

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LEGGERE

LIBRI

Filippo Salvucci

108 METRI - The new working class hero di Alberto Prunetti

Libro fortemente autobiografico, è un’epica della nuova classe operaia, non più quella delle acciaierie, ma quella dei ragazzi emigrati nel Regno Unito che si ritrovano in una cucina di un ristorante italiano o a pulire i bagni in un centro commerciale. E’ una storia fatta di avventure, complicità tra persone differenti rappresentate come una ciurma di una nave, provenienti da ogni dove, ma con gli stessi sogni, spesso infranti; la storia di chi sperava, scappando dalla Maremma delle acciaierie, nella Londra immaginata da ragazzino, e non si aspettava lo stesso sfruttamento subito dai propri padri. Ma non si scade in una retorica della sconfitta, anzi, il tono è baldanzoso e quasi spaccone e questo da un tono al libro dissacrante, ruvido, ma estremamente divertente.

Il maestro di Vigevano di Lucio Mastronardi

Pubblicato grazie ad italo calvino, narra la storia di un maestro elementare, Antonio Mombelli, nel periodo del boom economico del dopoguerra, che a Vigevano vede il fiorire dell’industria calzaturiera che impegna praticamente l’intero paese. Il maestro, che si arrangia anche con lezioni private, spinto dalla moglie che vede con invidia la vita dei giovani imprenditori del paese, si licenzia dalla scuola e con la liquidazione si lascia controvoglia tentare dal miraggio di facili guadagni iniziando una nuova attività come artigiano che si rivelerà poi fallimentare. Con uno stile incisivo, immediato, pieno di autoironia, “il maestro di Vigevano” è un romanzo sulla meschinità e la miseria umana, dove l’affermazione economica è l’unico interesse di una borghesia priva di alcun valore morale.

E Baboucar guidava la fila di Giovanni Dozzini

Racconta le vicissitudini di 4 ventenni, quattro richiedenti asilo, che si svolgono in 48 ore. Una storia semplicissima, quattro ragazzi che decidono di prendere un treno da Perugia per andare a Falconara semplicemente per trascorrere una giornata al mare, si rivela irta di imprevisti e avventure. Con una prosa leggera, veloce, mai banale, Dozzini ci racconta che ciò che è normale e pure scontato per noi non lo è per chi viene da lontano, ha sostenuto un viaggio pericoloso attraverso il deserto e il Mediterraneo, per chi è in attesa di un documento. Una storia di due giorni dove un viaggio breve, nel quale il mare non è visto più come pericolo ma come una destinazione in grado di regalare un momento di felicità, tra incontri con persone più o meno aperte, dove gli imprevisti sono carichi di tensione e la serenità veloce si incrina; dove anche il tifo durante la finale degli Europei di calcio sono l’occasione per evidenziare alcuni tra i pregiudizi più forti della nostra società, le nostre paure e diffidenze. Un libro sulla libertà, quella di cercare una normalità che rimane interdetta per troppe persone.

Fuenzalida di Nona Fernandez

Giovane scrittrice e sceneggiatrice cilena, è un romanzo dove realtà e verosimiglianza, fatti privati ed eventi storici, quelli relativi alla dittatura cilena degli anni settanta, si intrecciano costantemente, narrati da differenti ambiti di osservazione, giocando con il lettore, pungolandolo e stimolandolo, tenendo sempre viva l’attenzione attraverso vari stili, attraverso un narrare che a volte si fa cronaca, a volte sembra assumere i canoni di una confessione, altre ancora quelle di una narrazione onirica, altre volte ancora quello delle telenovelas. Un libro che ci ricorda costantemente come la storia non può e non deve essere dimenticata, ma anzi, continua costantemente ad influenzare il nostro vivere quotidiano.


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VEDERE

CARTONI

Coppie fantastiche e dove trovarle Chiara Borsini C’è una cosa che accomuna tutti i cartoni animati, anime o fumetti che avete visto o letto, un nucleo fondante alla base delle loro storie, della loro sceneggiatura: la coppia. Declinata in vario modo, dal duo inscindibile e spesso comico al grande amore.

E

bbene sì, se molti di voi ritengono che la propria vita sarà un insensato e poco interessante succedersi di eventi fino all’incontro del compagno perfetto sappiate che avete qualcosa in comune con molti cartoni animati. Scommetto che in questo momento, nella vostra testa, si stanno srotolando metri e metri di pellicole Disney. Sono molti, in effetti, gli esempi di coppie favolose, divertenti, spumeggianti che con le loro disavventure hanno alimentato la trama di tutti i cartoni che, senza questi straordinari protagonisti, sarebbero stati un po’ meno animati. Quelle che ho sempre trovato più interessanti, però, non sono le coppie “sentimentali”, bensì quelle che

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nella struttura letteraria della fiaba comparirebbero con un nome e un ruolo specifico, quello di “aiutanti” dell’eroe. Mi riferisco agli esilaranti duetti di personaggi come Lumière e Tockins in “La Bella e La Bestia” o Pumbaa e Timon in “Il Re Leone”, che poi sono lo specchio di coppie con connotazioni negative, antagonistiche, per quanto comiche, come quelle formate da Pena e Panico in “Hercules” o da Jafar e Jago in “Aladdin”. Il classico duo Disney è quasi sempre composto da un soggetto magro e arguto e da uno paffuto e bonario; sono complici e, allo stesso tempo, in una (non sempre) sottile forma di competizione. Ricoprono ruoli di fondamentale importanza – nonostante siano spesso in secondo piano – per la buona riuscita della storia, perché nel bene o nel male, è sempre grazie a


VEDERE loro se l’eroe giunge vittorioso alla fine del suo viaggio, sia che lo aiutino nella sua impresa, sia che falliscano nell’ostacolarlo. Certo, parlando di coppie, non si può non inciampare in storie d’amore che in qualche modo hanno avuto un impatto sul nostro immaginario, rendendo – e questa è una considerazione strettamente personale – la nostra vita reale piuttosto grama, tanto da farti pensare che “se la felicità è dietro l’angolo, la mia vita è un cerchio”. Parole del saggio Charlie Brown, altro membro di una celebre, indimenticabile coppia. La mia coppia preferita, però – senza nulla togliere al legame tutto speciale tra un pre-adolescente brillante e depresso con cognizione di causa e un cane dalla saggezza oracolare – sono Linus e la sua coperta. Come si può non adorare chi afferma che “Solo un metro scarso di flanella sta tra me e un esaurimento nervoso”. Ecco, il patologico rapporto di dipendenza affettiva di Linus con una coperta è una cosa che, secondo me, puoi veramente comprendere solo quando superi i trenta e sei ancora single. Età, stato mentale e di famiglia in cui consiglierei di vedere, per chi non lo avesse già fatto, “Chi ha incastrato Roger Rabbit”, opera cinematografica ibrida in cui realtà e animazione convivono magistralmente e in cui due dei protagonisti rappresentano una delle coppie più geniali nella storia dell’animazione: l’esuberante attore comico Roger Rabbit e la conturbante, rossofuoco, Jessica Rabbit. Questa coppia rivoluziona completamente il concetto di “anime gemelle” in salsa Disney a cui siamo sempre stati abituati. Prima di tutto, tra i due personaggi c’è un’evidente, se non esplicita, attrazione sessuale. Jessica Rabbit è una donna sensuale e pur essendo una donna cartoon, non sente l’esigenza di nascondere il suo prosperoso seno in un casto corpetto da principessa. Se deve esprimere la sua opinione o il suo sentire rispetto a qualcosa, non sente l’esigenza di cantare in falsetto. È in grado di impugnare e usare una pistola e ha un discreto senso dell’umorismo – quando l’agente Valiant le chiede perché una donna del suo calibro stia con uno come Roger, lei risponde “perché mi fa ridere”. E Roger Rabbit è un coniglio con pulsioni e sentimenti – tipo la gelosia – molto umani. Una coppia immersa nella salamoia di una vicenda ironica e cupa, due consorti molto più vicini, come coppia, al nostro sentire comune, autentici, con le loro piccole meschinità e debolezze e con uno spessore non comune nei copioni dei film d’animazione.

CARTONI

A proposito di coppie di animazione non convenzionali, tutti coloro che, come me, sono cresciuti negli anni novanta e hanno trascorso molteplici pomeriggi a guardare trasposizioni televisive di anime giapponesi, forse ricorderanno l’ambiguo rapporto tra Sailor Urano e Sailor Neptuno, guerriere – forse non a caso – del “Sistema solare esterno”. Ecco, nella versione italiana del cartone, questo rapporto è rimasto ambiguo nel corso di tutta la serie. Nella versione originale, invece, il rapporto tra le due Sailor è esplicitamente omosessuale – io lo so con certezza perché ero abbastanza nerd da leggere i manga. Sailor Urano, con il suo aspetto androgino e i suoi modi “maschili” portava sullo schermo il tema dell’identità di genere ed era, forse, una missione ben più importante di difendere i confini del regno della Luna. Con la sua compagna Sailor Neptuno – di contro, estremamente femminile – dava vita a una delle unioni più interessanti mai viste su uno schermo alle quattro del pomeriggio, resa ancora più affascinante dal contesto fantastico in cui le due guerriere vivevano e agivano. Le serie animate, quando affrontano i rapporti di coppia, hanno un grande vantaggio: hanno a disposizione tutto il tempo per approfondire e svelare la vera natura di questi rapporti. La coppia di cartoni non Mediaset che ho amato di più, in virtù proprio di questa possibilità narrativa, era quella composta da Ranma e Akane in “Ranma ½”. Ranma, giovane sedicenne immaturo ed esperto di arti marziali, di per sé, è già un personaggio che rappresenta una coppia: quando viene bagnato dall’acqua, diventa una donna, a causa di una maledizione. La sua doppia personalità è la metafora del dissidio interiore che spesso gli adolescenti vivono, un combattimento – non a caso i protagonisti praticano le arti marziali – occasionalmente vissuto anche con la propria sessualità. Ranma, in giapponese, significherebbe infatti “confusione”, il che rende tutto molto più intrigante. Il rapporto d’amore tra Ranma e Akane, altra protagonista, è spesso conflittuale, pregno di tensione sessuale e fisica, complicato, che ha tutto il tempo della serie per svilupparsi ed è proprio la sua conflittualità e complessità che lo rende interessante. Di nuovo, più vicino al vissuto dei comuni mortali. “Mortali,” questa è una condizione che riguarda solo noi spettatori. Loro, invece, le coppie straordinarie, la cui linfa vitale è una buona dose di grafite o di pixel e l’ingegno dei loro creatori, sono immortali. Chissà quali infinite possibilità hanno ancora i loro rapporti.

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VEDERE

ARTE

Marina Ulay


Guendalina Pace

M

arina allevata come un soldato, non un bacio, nessun contatto, rifare il letto, una stanza sterilizzata, vuota e sinistra, la sua cameretta. Marina picchiata, rinchiusa nello stanzino, sanguina. Marina in quella foto ha tre anni, la mamma l’ha vestita da diavolo per

Carnevale. Marina sola in casa, appena bambina, resta seduta sulla sedia, un bicchiere d’acqua sul tavolo accanto alla sua manina, per tre ore immobile ad aspettare la nonna. Il bicchiere resta pieno. Marina resiste. Marina bambina diventa una ragazza, un paio di pantaloni larghi, una camicia troppo grande. Marina legge Dostojevskij e Tolstoj, Marina legge tutto, leggere è l’unico vizio che le viene concesso. Marina osserva gli incidenti stradali, si ferma a guardare le lamiere accartocciate, torna a casa, a dipingere gli ultimi fotogrammi. Marina studia. Marina dipinge le nuvole. Marina soffre di emicrania, stesa al buio resiste al dolore in silenzio, sua madre l’ha partorita senza emettere suoni, dopotutto. Marina sa, quello che fanno gli uomini quando sanno di poterlo fare. Marina sa, di poter sopportare. Marina sa, malgrado tutto, di poter amare. Marina non ha paura. Marina è un coltello che salta tra le cavità della mano. Si taglia, non sente dolore. Il suo dolore diventa solo fisico, varcata quella soglia il dolore scompare. Marina è libera. Ritmo 0. Marina scandalosa, rischia tutto, e dimostra che non è lei ad essere masochista, ma sadici gli altri, appena ne hanno l’occasione. Un tavolo imbandito di tortura e piacere, le sue performance come la vita. Napoli. Notte fonda. Marina torna in albergo e si guarda nello specchio. Una ciocca bianca tra i capelli corvini. Quella notte l’arte l’ha quasi uccisa, le resta comunque riconoscente. Marina esagera. Un kg di miele, un litro di vino, una stella sull’addome. Si sdraia sul ghiaccio, il sangue che cola. Il pubblico la soccorre, la salva sempre. Marina urla Belgrado. Urla per ore fino a diventare afona. Dentro quell’urlo c’è tutta la sua vita. Marina diventa più forte. Marina diventa più fragile. Marina ama. Marina moglie di Nesa, incontra Ulay, volto spigoloso, metà donna metà uomo. Strappano ogni anno lo stesso giorno dall’agenda. 30 Novembre. Marina e Ulay diventano MarinaeUlay. MarinaeUlay lo stesso respiro.


MarinaeUlay la fusione. Gli stessi capelli uniti da un laccio degli stessi capelli. MarinaeUlay un furgone che diventa una casa. Strappano ogni anno lo stesso giorno dall’agenda. 30 Novembre. Marina e Ulay diventano MarinaeUlay. MarinaeUlay lo stesso respiro. MarinaeUlay la fusione. Gli stessi capelli uniti da un laccio degli stessi capelli. MarinaeUlay un furgone che diventa una casa. MarinaeUlay una relazione che diventa la vita. MarinaeUlay un cane che diventa un figlio. MarinaeUlay che si prendono a schiaffi, che sbattono sulle pareti e sui loro corpi, che si urlano guardandosi negli occhi. MarinaeUlay la stessa direzione. La stessa fame. Lo stesso stomaco. MarinaEUlay la stessa performance. Marina concentrata. Marina intera. Resta seduta anche quando Ulay abbandona la sedia prima della fine. Ulay sente, per la prima volta, di non essere Marina. Marina sente, che l’espressione, forse, è più forte di Ulay. MarinaeUlay percorrono la muraglia cinese. Da un lato Marina, dall’altro Ulay. Marciano chilometri nel vento. Fino ad incontrarsi, per un matrimonio che diventa una separazione. Per una separazione che diventa un’installazione. Marina che sublima l’amore e lo trasforma in un’opera universale. MarinaeUlay che tornano ad essere Marina e Ulay. Sei anni di lutto dopo dodici anni di simbiosi. Il dolore dell’arto fantasma amputato dal suo corpo. Marina non avrà figli. Marina sa, Che un figlio dovrebbe condividerla con l’arte Che per fare bene una cosa, a volte, è necessario farne solo una. Marina che è già morta almeno tre volte, e resuscitata cento. Marina che lava un quintale di ossa per ventiquattro ore. La guerra nei Balcani. L’orrore della sua guerra, della guerra, di ogni guerra. L’odore fetido della carne putrescente di ogni strage d’innocenti, nell’iconica Venezia. Marina imprevedibile. Seduta per tre mesi sette ore al giorno, alla sua età corre il rischio di guardare negli occhi gli sconosciuti. Marina presente, passato e futuro, nel medesimo istante. Marina che adesso insegna tutto quello che ha imparato. Sopravvivere al rumore del mondo. Marina martire. Marina Santa. Marina che sempre divide e unisce. Marina che salda la sua vita all’arte, fondendole. Marina come lei nessuno. Marina come lei nessun altro. Marina che non si potrà mai spiegare solo attraverso un amore, a meno che questo Amore non si chiami arte. Marina Abramovic, Belgrado, 30 Novembre 1946. Artista.



VEDERE

ARTE

Valadon e Utrillo il fuoco dell’arte e dell’amore nella Parigi degli “anni Folli” Andrea Baffoni A Montparnasse “si beve e si danza. Si fuma e si fa l’amore […] Si scrive e si dipinge. […] Si reinventa l’amore, esattamente come si reinventano le dottrine estetiche o i modi di dipingere. Con lo stesso desiderio di rinnovarsi completamente. […] Non si viveva bene che qui. Liberamente! Ecco la grande parola, la parola chiave […] L’amore libero, l’arte libera”.

C

osì scriveva nel 1929 Kiki de Montparnasse, ballerina, modella, amante, simbolo di quella Parigi che ormai da qualche decennio era al centro del mondo artistico. Montparnasse stava prendendo il testimone da Montmartre, mentre Amedeo Modigliani aveva da poco lasciato la Terra (24 gennaio 1920) per entrare nell’Olimpo del Mito, tragicamente accompagnato da Jeanne, al nono mese di gravidanza del loro secondogenito. Il livornese era arrivato nella Ville Lumiére nel gennaio del 1906, di salute precaria, affascinante, eccessivo, divenuto velocemente icona della Scuola di Parigi (ma non era una vera e propria scuola) i cui “allievi” si chiamavano Picasso, Chagall, Kisling, Matisse, Bonnard e successivamente Utrillo, Soutine, Foujita, Zadkine, e molti altri. Un coacervo di spiriti irrequieti, menti creative, pittori, scultori, scrittori, poeti, ballerini, attori, donne libere ed emancipate. Tra queste c’era Maria Valadon, che assumerà il nome di Suzanne, pittrice, ma prima ancora ballerina e modella, aveva posato per artisti come Puvis de Chavannes, Touluse Lautrec, Renoir, di loro era stata anche amante perché lei incarnava il modello della donna libera parigina. Aveva intrattenuto una relazione con il giornalista spagnolo Miguel Utrillo e da questa, nel 1883, era nato un figlio: Maurice, riconosciuto dal padre solo otto anni dopo perché lei, allora diciottenne, lo aveva dichiarato: “Di padre che non vuole essere nominato”. In verità non sapeva, per certo, di chi fosse. Maurice Utrillo sarà uno dei principali protagonisti della stagione artistica di Parigi che dai primi anni Dieci, passando attraverso la guerra, porta diritta verso gli “anni folli”. Lui e Modigliani, anzi, ne furono i veri antesignani, vissero insieme il fermento di Montmatre e Montparnasse nei primi anni Dieci, quando esplodeva il cubismo e gli artisti si ritrovavano al Café de La Rotonde di Victor Libion. La guerra poi arginò quel fermento, ma solo per qualche anno. A partire dal 1919, infatti, la Ville Lumière intraprese una sorta di rinascimento, le anime creative che all’inizio del secolo si erano affacciate alla sregolata vita bohémien sbocciarono in tutta la loro sfrontatezza. Non Amedeo però, che incapace di contenere la propria indole autodistruttiva abbandonò Utrillo lasciandolo a un nuovo destino: quello della madre Suzanne. È stata lei, nel 1901, ad avviarlo alla pittura. Un modo per distrarlo dal vino in verità, perché il diciottenne Maurice è alcolizzato, entra e esce continuamente dagli ospedali

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dove lo ricoverano per disintossicarlo. Un male iniziato presto, nel 1896 quando appena tredicenne marinava la scuola in favore dei bistrot, ma quel figlio di padre incerto è per Suzanne una certezza, così lo protegge, lo sostiene nel percorso artistico iniziando ad ammirarne le opere. Dimostra un talento per la pittura, infatti, come lei, ma con qualcosa di più intenso, più vero: Parigi è la sua musa, la città dove si nasconde e si ubriaca, ne conosce ogni anfratto, piazza, vicolo, vive in lei come tra le braccia dell’amata e in lei si perde. Così la dipinge, continuamente, trasformandola in qualcosa di sospeso, fiabesco, come le donne di Amedeo che erano tanto reali quanto immaginarie. Suzzanne e Maurice vivono a stretto contatto l’avventura di quegli anni, madre e figlio, ma nel 1909 quest’ultimo le presenta un amico, André Utter, pittore ventitreenne (lui ne aveva ventisei). Lei ha ormai quarantaquattro anni, dal 1896 è sposa di Paul Mousis, un ricco agente di cambio grazie al quale beneficia di una vita tranquilla, potendo inoltre aiutare il figlio. Ma l’amore brucia e lei è una donna irrequieta, ama gli uomini e l’arte, da sempre. Lascia così la sicurezza della vita matrimoniale andando a vivere in impasse Guelma 5, insieme a Utter, Maurice e la madre Madeleine, per dipingere e sentirsi libera. Il giovane amico del figlio è dinamico e pieno di energia, lei si sente stimolata e la sua pittura arriva a una svolta. Nel 1911 realizza una grande tela che intitola La gioia di vivere, perché questi sono anni creativi, di viaggi ed esperienze, una parentesi di felicità nella turbolenta vita di una donna inquieta. E Maurice è sempre con lei, e con Utter, dipinge e in più occasioni le fa da modello come quando, dopo una vacanza in Corsica, lei lo ritrae nel dipinto Il lancio della rete, è il 1914. A interrompere l’idillio arriva però la guerra. Il 1 settembre 1914 Suzanne e Utter si sposano, prima che lui parta per il fronte. Presto però lei rimane sola con Maurice, la madre Madeleine infatti muore l’anno dopo e in quei mesi difficili è costretta a barcamenarsi dipingendo fiori, nudi, paesaggi ed esponendo nelle gallerie della città ancora attive, ma con pochi risultati. Madre e figlio restano comunque insieme, in simbiosi, nell’arte e nella malattia, l’alcolismo è sempre presente: Utrillo beve e spesso è ricoverato, lei lo assiste, lo va a riprendere, lo sprona a dipingere. Nel 1917 Utter torna dal fronte, ricoverato all’ospedale militare di Meyzieux per ferite di guerra, ma non gravi. Suzanne ritrova l’amato, Maurice l’amico, ora sono nuovamente loro tre, pronti per immergersi nella Parigi del rinnovamento.



VEDERE A partire dal 1921 le cose migliorano. Utrillo è sempre più apprezzato, collezionisti e mercanti lo sostengono, vende e la sua fama cresce. Anche Suzanne raccoglie consensi, tiene mostre, vende opere e con Utter decide di acquistare il castello di Saint-Bernanrdi ad Anse, vicino Lione sulla riva della Saône, ricavando nella torre tre studi. Utrillo è ancora alcolizzato, finisce spesso in ospedale o al comando di polizia, ma le sue opere si vendono bene e sostengono l’intera (strana) famiglia che inizia a godere di una certa prosperità. Si concedono viaggi e una vita di molteplici esperienze, nel 1923 la famosa galleria Bernheime-Jeune allestisce una mostra per presentare insieme Valadon e Utrillo, la ripeterà due anni dopo e a dimostrazione di come questa coppia sia redditizia, nel 1926 acquista una casa per Maurice in Avenue Junot 12, dove però vanno a vivere anche Suzanne e André. A metà anni Venti il trio è sulla bocca di tutti, sono ricchi e danno addito alle voci più disparate, li chiamano “la trinità maledetta”. Valadon non nasconde i privilegi raggiunti – d’altra parte se li è conquistati lavorando e aiutando il figlio nelle continue crisi –, assume un autista e una governante inglese, dirige la casa che riempie di gatti e cani, spende soldi in automobili (bianche e rosse), pigiami in seta cinese, gioielli, hashish, fiumi di champagne. Ma in questa storia che sembra un’altalena tra estasi e delirio il cambiamento

ARTE

è nuovamente dietro l’angolo e stavolta ha il volto della crisi economica del 1929. Con l’inizio del nuovo decennio l’effervescenza parigina svanisce. Nel 1931 i rapporti tra Suzanne e Utter si deteriorano, lei entra in una fase misticheggiante, anche indotta dall’amicizia con il giovane pittore Gazi che accoglie in casa. Presagendo il declino si adopera per il figlio combinandone il matrimonio con Lucie Valore, vedova di un banchiere e collezionista belga. È il 1935, Utrillo ha cinquantadue anni e questa moglie abbiente, definita ambiziosa e scaltra, assume immediatamente il controllo della sua produzione. Per Suzanne va bene, lei ha ormai settant’anni, il tempo della ricchezza è velocemente svanito e i suoi giorni stanno giungendo al termine. Muore il 7 aprile 1938, gli ultimi anni li trascorre a casa, senza denaro, dipingendo nature morte, mentre Lucie mette mano ai fondi di Utrillo, con cui la “trinità” si sosteneva. Di Utter non si saprà più niente invece, nemmeno la storia dell’arte lo ricorda, lui è esistito perché loro esistevano. Utrillo invece continuerà a vivere il proprio successo, esponendo a New York nel 1939 e nel 1950 alla Biennale di Venezia con una sala personale. Muore nel 1955, dopo una esistenza di eccessi, sempre in bilico tra la vita e la morte, come l’amico italiano, Amedeo, geniale e maledetto, che però, diversamente da lui, non ebbe accanto una madre a proteggerlo.

Bernd e Hilla Becher. Emanuele Buono Emanuele Buono è un giovanissimo esperto d’arte torinese. Classe 2008 a soli 11 anni annovera tra le sue passioni la musica e l’arte contemporanea.

Bernd e Hilla Becher sono nati in Germania, Bernd Becher a Siegen mentre Hilla Becher a Postdam. Le fotografie di Bernd e Hilla Becher vengono considerate arte concettuale, studi tipologici. Ai coniugi Becher viene riconosciuto il merito di avere posto le basi della cosiddetta fotografia concettuale, grazie a quell’approccio seriale che ha rivoluzionato l’arte degli anni sessanta, anticipando il minimalismo. “Mi sono reso conto che questi edifici erano una specie di architettura nomade che aveva una vita relativamente breve - forse 100 anni, spesso meno, poi scompaiono”, hanno detto gli artisti del loro lavoro. “Sembrava importante tenerli in qualche modo e la fotografia sembrava il modo più appropriato per farlo”. Un aspetto concettuale delle loro foto è che tutte le costruzioni industriali sono fotografate nello stesso momento della giornata e con le stesse condizioni atmosferiche; tutto questo per costringere lo spettatore a concentrarsi sul soggetto e non sul paesaggio. I loro lavori vengono definiti dagli stessi Becher “sculture anonime” dove vengono fotografati serbatoi idrici, cisterne, altiforni, torri di raffreddamento, gasometri, silos o altre forme di impianti industriali. In tutte le loro foto (stampate sempre in bianco e nero) non c’è presenza umana, al contrario ne sentiamo quasi mancanza. Hanno esposto il loro lavoro in set o tipologie, raggruppando

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diverse fotografie dello stesso tipo di struttura. Sono ben noti per presentare le loro immagini in formazioni a griglia. Nelle foto dei Becher gli edifici industriali sembrano simili, addirittura identici. Se guardiamo meglio vediamo che ci sono molte differenze, a prima vista impercettibili. La loro opera è unica e spesso va oltre la semplice raccolta di dati. Fotografano le strutture quando non sono operative e il loro interesse non è quello di mostrare cosa fanno, ma cosa sono. Se presi singolarmente questi soggetti rimangono una semplice fotografia di un’architettura, tramite l’azione dei Becher il lavoro finale acquista un significato diverso: quello di dare dignità a una struttura a cui non attribuiamo valore e che lasciamo morire abbandonata come se fosse superflua. I Becher iniziano a fotografare le costruzioni industriali nel 1959 fino al 2007, data di morte di Bernd Becher. Infatti Bernd Becher è morto il 22 giugno 2007 a Rostock, in Germania all’età di 75 anni e Hilla Becher è morta il 15 ottobre 2015 a Düsseldorf, in Germania all’età di 81 anni. Alcuni tra i più importanti fotografi sono stati allievi dei coniugi Becher come Candida Hofer, Thomas Ruff, Andreas Gursky e Thomas Struth. La coppia di artisti ottenne numerosi importanti premi tra cui il premio Erasmo e il Leone d’oro alla Biennale di Venezia. Oggi le fotografie di Bernd e Hilla Becher sono nelle collezioni più importanti al mondo e ancora oggi sono considerati i padri della fotografia.


VEDERE

CINEMA

Federico Giulietta


VEDERE

CINEMA

Dai tramonti alle Isole Eolie alle sfolgoranti luci di Hollywood, dalle pagine dei rotocalchi alle indiscrezioni sui social: quando l’amore tra le star è scandalo, è passione… è arte Andrea Fioravanti Molte sono le coppie che hanno stretto un sodalizio artistico e sentimentale nel cinema. Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse, Clarke Gable e Vivien Leigh, Charlie Chaplin e Oona O’Neill (o Paulette Goddard, Lita Grey Mildred Harris), tra gli italiani come non ricordare Federico Fellini e Giulietta Masina, Claudia Cardinale e Franco Cristaldi, Marcello Mastroianni e Catherine Deneuve.

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er i più giovani meglio andare sul sicuro e parlare di Tom Cruise e Nicole Kidman, una storia che ha raggiunto il suo apice nel film di Stanley Kubrick Eyes Wide Shut. Agelina Jolie e Brad Pitt hanno rappresentato una delle storie più importanti e romantiche di questi ultimi anni. Le due star si sono innamorate sul set del film Mr & Mrs Smith. L’ultima stagione ha visto un rincorrersi di voci a proposito della presunta relazione tra Bradley Cooper e Lady Gaga, protagonisti di uno dei film più belli dell’anno. L’attore della saga Una notte da leoni ha scelto una classica storia d’amore hollywoodiana per passare dall’altra parte della macchina da presa e come protagonista femminile ha voluto uno dei volti più iconici dell’intero star system. Lady Gaga è senza ombra di dubbio la pop star per eccellenza: musicista, attrice, manager, imprenditrice, personaggio pubblico a tutto tondo, noto alle cronache mondane per le sue provocazioni e per i suoi numerosi flirt. Inutile dire che il copione di A star is a born sembra cucito addosso ai personaggi; il film funziona proprio per l’alchimia creatasi tra i due protagonisti. Una complicità evidentemente studiata, nel più classico stile hollywoodiano. Se l’interpretazione di Bradley Cooper ricalca quella degli eroi decadenti dell’indie rock (impressionante la somiglianza con l’ultimo Eddie Vedder), quella di Lady Gaga è quasi autobiografica: da selvaggia cantante live a pop star mediatica. La promozione del film li ha visti spesso insieme in occasioni ufficiali, ma anche duettare a sorpresa in vari concerti di lei. Fino a giungere all’intima performance di Shallow eseguita la notte degli Oscar che ha alimentato i pettegolezzi su una loro presunta love story. Oggi gli scandali si consumano via social, un tempo riempivano le riviste. Lo scandalo più conosciuto

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dei tempi dei rotocalchi è certamente quello del “Vulcano”. Facciamo ordine: nel 1948 Roberto Rossellini era il regista di punta del nostro cinema che in quegli anni si identificava con il Neorealismo. Aveva realizzato una Trilogia meravigliosa, ancora oggi insuperata Roma città aperta, Paisà, Germania anno zero. Nonostante fosse sposato e padre di due figli, era legato sentimentalmente con un altro monumento del cinema italiano, quel’Anna Magnani che con lui aveva girato proprio Roma città aperta. I due litigavano sempre, liti furibonde in cui spesso la parte del leone, anzi della Lupa la faceva la Magnani, con Rossellini costretto a fuggire o nascondersi in rifugi di fortuna come armadi, toilette e addirittura sotto il letto. Quando Annarella scoprì il famoso bigliettino della svedese Ingrid Bergman (“Sono una ragazza svedese che vive in America da dieci anni, che parla bene inglese, un poco di francese e in italiano sa dire solo Ti amo”) le leggende raccontano di un’intera zuppiera di spaghetti che volò dalle mani dell’attrice al volto del regista e in parte del suo aiuto Federico Fellini. Poco tempo dopo Rossellini con la scusa di portare a passeggio gli amatissimi cani della Magnani, scese dalla loro stanza d’albergo e raggiunse un’auto che lo aspettava all’ingresso con le valige pronte. Il resto è storia nota: Rossellini che lascia la Magnani per gettarsi tra le braccia della svedese, con la quale girò anche il film previsto per l’attrice romana Stromboli terra di Dio, mentre la Magnani nello stesso periodo, sempre alle Isole Eolie preparava il film Vulcano. Una vicenda sulla quale sono stati versati litri di inchiostro e girati metri di pellicola, eppure reportage, libri, saggi, documentari, film, non hanno consumato il bacino di suggestioni di questo triangolo amoroso, che ancora oggi affascina e fa discutere più della love story tra Lagy Gaga e Bradley Cooper.


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Abelardo Eloise


PENSARE

STORIA

L’amore al tempo delle crociate Daniele Morici

Pietro Abelardo nacque a La Pallet, nella Loira, nel 1079. Elosia nacque nel 1095 in una casa situata sull’Île de la Cité di Parigi. Il loro amore fu tra i più celebri nella cultura letteraria dal Medioevo in avanti.

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issero un secolo caratterizzato da profondi cambiamenti: Giovanni di Salisbury, uno dei più illustri allievi di Abelardo, scorse in quell’epoca i segni entusiasmanti di una grande rinascita della società e della cultura: intorno a commerci e botteghe artigiane, crebbero le città e fiorirono le prime università; in Italia e in Francia si diffusero le prime traduzioni dall’arabo dei testi di Platone e Aristotele e i giovani alla moda ascoltavano con sommo interesse le lezioni dei maestri di logica e retorica. Nella piazzetta della Sorbona, PietroAbelardo incantava i suoi uditori applicando il metodo argomentativo del sic et nunc. Duellava in bravura con pedanti e antiquati teologi di scuola ecclesiastica. Costoro, non potendo che arrendersi alla sua brillantezza, nutrivano la più profonda invidia verso Abelardo e gli aizzavano contro l’odio del clero più reazionario. Nel frattempo, i figli cadetti d’una nobiltà stanca e in crisi partivano al comando d’eserciti alla volta del Medio Oriente. A spingerli era la sete di terre da conquistare. E il loro faro ideologico era Bernardo di Chiaravalle: forse il principale avversario di Abelardo. Era un monaco cupo e severo, convinto che sull’uomo gravasse il peso d’un peccato inespiabile e che la ragione non avesse alcun effetto per la salvezza dell’anima e della Cristianità. La sua ricetta, al contrario, consisteva in un miscuglio di ascesi e belligeranza: trascorse la vita dedito a esercizi spirituali e ad aizzare i regnanti d’Europa a intraprendere crociate contro gli arabi della Terra Santa. Ad Abelardo di grattacapi ne dette a volontà Bernardo. Deprecava il suo successo (segno tangibile della decadenza del secolo) e non gradiva il suo modo

sfrontato di fare filosofia. Trovò il modo inchiodarlo a causa di alcuni passaggi contenuti in un’opera di etica di Abelardo, andata perduta perché messa all’indice e data alle fiamme. Abelardo aveva osato mettere in discussione lo statuto logico di uno dei comandamenti: “non desiderare la donna d’altri”. Il desiderio, stando a quanto riteneva Abelardo, non si origina da una scelta: non si decide cosa desiderare. Se una cosa piace, la si desidera: punto e basta. Peccare non vuol dire desiderare, ma scegliere di acconsentire a desideri sbagliati o disdicevoli. Bernardo giudicò questa tesi molto pericolosa: sgombrava il campo a un modo di concepire il peccato non più in chiave biblica, come carattere insito nelle stesse inclinazioni umane, ma come il frutto di una libera scelta della persona. Abelardo non si rassegnò di fronte al giudizio severo che la sua opera ricevette negli ambienti più reazionari della Chiesa: continuò a coltivare con fervore le sue idee. In quanto ad Eloisa, di nobili natali, avendo manifestato una grande propensione per gli studi umanistici, ebbe modo di frequentare le più importanti scuole del suo tempo. La madre l’affidò alla protezione di suo fratello: il potente Fulberto, vescovo di Notre-Dame. Divenne un’esperta di logica, musica, astronomia. Coltivò con passione i più esotici e profondi saperi del secolo in cui visse: quelli contenuti nei testi di Avicenna e il contemporaneo Averroè. Imparò il greco e il latino, nonché la lingua del filosofo suo contemporaneo Maimònide: l’ebraico. È probabile che sia stata proprio lei a chiedere al suo potente zio e protettore di permetterle d’abbeverarsi alla sapienza di quel giovane la cui notorietà di brillante mattatore di duelli accademici era osannata da tutta Parigi e dai più grandi umanisti di Francia: parliamo ovviamente di Abelardo. Fulberto l’accontentò e

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PENSARE mandò a dire ad Abelardo che sua nipote desiderava prendere lezioni da lui. Iniziarono a incontrarsi con assiduità, stabilendo un profondo sodalizio intellettuale, che ben presto sfociò in altro. Negli ambienti goliardici parigini si diffusero allora i versi di quell’amore appassionato ispirati ad Abelardo dalla sua amata: perle di passione profana, di preziosità paragonabile forse a quella dei versi della poetica siciliana. Alla passione seguirono presto i tormenti. Eloisa rimase incinta e Abelardo la condusse al sicuro fuori città, lontano dai clamori. Il loro intento di sposarsi incontrò grandi difficoltà, che continuarono a tormentarli anche dopo la celebrazione quasi segreta del loro matrimonio, tantoché, in attesa che le acque potessero calmarsi, Abelardo la spinse a trovare riparo presso un convento, mentre lui tornò a Parigi. Fu allora che si consumò contro di lui la più crudele

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STORIA

delle vendette ad opera dello zio di Eloisa: nella notte, dei sicari fecero irruzione nella casa del più brillante filosofo di Francia e lo privarono brutalmente degli attributi di un uomo: Abelardo subì la castrazione e il suo misero destino divenne oggetto di fin troppo facile scherno da parte di coloro che a lungo lo avevano invidiato e odiato. I suoi detrattori, nelle taverne di Parigi, il metodo del “sì e del no” iniziarono ad applicarlo a questa tesi: “ora che Abelardo ha perso gli attributi può essere ancora considerato un uomo, sì o no?”. Sebbene Abelardo uscì comprensibilmente segnato da questo avvenimento, una cerchia di fedelissimi seguaci gli restò comunque fedele, continuando ad apprezzarne le doti intellettuali. Nella sua vita non vi fu più spazio per l’amore con Eloisa e i loro corpi si ricongiunsero soltanto quando nel 1817 i loro resti vennero traslati dalle rispettive tombe presso il cimitero parigino di Père-Lachaise.


PENSARE

ATTUALITÀ

Coppie d’Assi

Imprevedibilità, fortuna ed esperienza rendono ogni partita sorprendente Roberta Palmioli

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nche le migliori coppie possono cadere e sgretolarsi, anche quelle apparentemente forti e invincibili. Così come quelle più deboli, dopo un primo periodo di studio e di interrogativi, possono rivelarsi vincenti alla fine. Insomma, la gerarchia esiste per essere soverchiata, l’imprevedibile e l’impronosticabile che diventano a seconda dei casi triste o dolce realtà. Coppie atipiche, le cui dinamiche le conoscono veramente soltanto i feticisti del gioco, di un gioco in particolare: il Texas Hold’em, oramai la tipologia di poker più famosa al mondo. In questo gioco, come in amore d’altronde, le sicurezze non esistono, esiste solo la capacità di far crollare le certezze altrui, mista a una grossa dose di conoscenza e alla capacità di prevedere gli eventi. Due carte nascoste a testa, che servono a formare il punto più alto insieme ad altre cinque scoperte che giocano in favore di tutti. Molto spesso capita dunque che le due carte in mano a un singolo giocatore siano una coppia: dalla più piccola, 2-2, a salire fino alla più alta, la coppia d’assi. Come giocarle? Come approcciarsi alla partita quando si hanno in mano? Dare una spiegazione in poche righe sarebbe riduttivo, bisognerebbe dilungarsi in un elenco di situazioni e di variabili che probabilmente non basterebbe un intero manuale: dipende dalla quantità di giocatori entrati nella mano, dall’entità della cifra da “chiamare” e persino dalla posizione in cui ci si trova seduti al tavolo. Insomma, i veri amanti del gioco direbbero, giustamente, che è anche e soprattutto una questione di esperienza.

Ma ci sono altre variabili, quali l’imprevedibilità, il famoso sesto senso del giocatore e l’imprescindibile dose di fortuna, che sono sempre dietro l’angolo a rovesciare gerarchie e certezze. Capita così, anche in sede di campionati del mondo di poker (che si svolgono ogni anno e richiamano l’attenzione di migliaia di appassionati), che le sorti di mani apparentemente imbattibili in partenza siano completamente capovolte all’arrivo, dopo aver girato tutte le carte in tavola, o in questo caso sarebbe meglio dire sul tavolo. C’è dunque un doppio insegnamento prezioso dietro questo “gioco delle coppie”: le carte belle, come le cose importanti, vanno preservate con cura per non correre il rischio di perderle; allo stesso modo, le cose che meno ci convincono all’inizio, quelle che ci spaventano di più perché più ostiche o fragili, se prese e affrontate nella giusta maniera possono rivelarsi le più sorprendenti e redditizie, sul tavolo da gioco come nella vita. Basta crederci.

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B rigitte

Macron


PENSARE

STORIA

Politiche matrimoniali. Cosa fanno dell’amore i potenti Daniele Morici Vi furono epoche in cui i matrimoni dei regnanti sancivano alleanze tra gli stati. Oggi le cose sono certamente cambiate. Eppure, le scelte matrimoniali dei capi di stato continuano ancora a giocare un importante ruolo d’immagine, a causa delle loro ricadute politiche.

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a popolarità di un leader e la costruzione di consenso dipendono in larga parte da fattori di natura irrazionale. Le scelte matrimoniali sono da sempre, per politici, dittatori e capi di stato un terreno fertile su cui operare per manipolare in maniera più o meno evidente l’inconscio delle masse. Hitler si è sempre rifiutato di sposarsi (fino a poche ore prima di morire): il suo delirio d’onnipotenza lo induceva a preferire la condizione di scapolo, cosicché ogni donna del Reich potesse aspirare a lui liberamente, senza che questa supposta fantasia potesse entrare in conflitto con i diritti di un’eventuale moglie. Mussolini, essendo un po’ meno disturbato di Hitler, preferì affidarsi alla più rassicurante idea all’italiana di marito/amante: capace di conciliare piaceri e doveri, secondo i più tipici dettami dell’ambigua morale borghese di casa nostra. Berlusconi non è stato da meno: il suo ego sessista e gaudente ha fatto sì che egli si dotasse di tutti i confort di un harem, che sfuggitogli, forse, di mano lo ha portato a diventare fautore di un nuovo stile politico, che potremmo definire “pornocrazia”. Altri uomini, dal maschilismo all’apparenza meno strisciante, si sono comunque serviti in modo più o meno palese di donne di un certo spessore. John Fitzgerald Kennedy sarebbe sembrato poco più che un rampante uomo d’affari o un personaggio di un film di Scorsese, se accanto non avesse avuto una donna come Jacqueline, che con la sua cultura e il suo tocco d’eleganza francese ne ha nobilitato l’immagine, trasformandolo in un’icona di progresso e democrazia. Andando di poco indietro nel tempo, Eva Perón ha svolto per suo marito il ruolo di una specie di

sacerdotessa, che in un momento storico di grande complessità, gli ha fatto da tramite per controllare gli umori più profondi del popolo argentino. Vero è che la stessa Evita fu capace di ritagliare per sé un ruolo politico piuttosto importante, destando scompiglio tra le élite ultraconservatrici di quel paese e, per quanto il peronismo possa essere considerato deplorevole, fu grazie a lei che le donne argentine riuscirono a ottenere alcune conquiste di diritto. Cambiando decisamente contesto, tra i monarchi britannici, dopo l’inadeguatezza di Carlo, incapace di gestire l’irriverenza dal sapore un po’ isterico di Diana – autentica manifestazione di femminilità finita in tragedia – William e Harry hanno mostrato una certa morbidezza nel contrarre matrimoni che, blandamente, affermano l’idillio di una società liberale capace di equità e multiculturalismo: l’unione tra il principe William e Kate Middleton ha umanizzato la regalità, trasformandola in qualcosa di accessibile attraverso lo studio, il merito e la grazia cheap dei grandi magazzini. Meghan Markle è stata per gli inglesi qualcosa di simile a Obama per gli americani. In ogni caso, in tutto questo panorama di politiche matrimoniali, la più grande novità sembra venire ancora una volta dalla Francia, con una first lady come Brigitte che per la prima volta si pone in rappresentanza di un nuovo modello di donna: autorevole, gaudente e matriarcale. La moglie matura ed esperta del giovane Macron incarna forse la prima grande sferzata all’ordine patriarcale che nel corso dei secoli sembra aver dominato la storia. Forse i tempi stanno davvero cambiando.

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Claretta Eva


PENSARE

STORIA

Prima della morte tutto ha inizio con l’amore Eva Braun e Claretta Petacci, due donne un solo destino al fianco della storia Roberta Palmioli Due storie d’amore. Due vite che non s’incontrano mai eppure si sfiorano, si sovrappongono, s’intrecciano da lontano, tracciando due capitoli dello stesso drammatico racconto.

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ue donne e due uomini eppure la medesima passione, un’attrazione quasi sovrapponibile per il potere, il dominio e la forza. Gli uomini di cui stiamo parlando sono Hitler e Mussolini, la loro follia politica ha segnato il corso degli eventi, ha marchiato di rosso milioni di destini, eppure anche loro sono stati amati. Due donne sono state capaci di avvicinarli, guardarli, apprezzarli. Sono state capaci di amare l’uomo e forse anche il politico. Le due donne sono Eva Braun, nata il 9 febbraio del 1912, e Claretta Petacci, nata il 28 febbraio dello stesso anno. Due donne accomunate dallo stesso destino. Nacquero a distanza di pochi giorni, morirono entrambe di morte violenta alla stessa età, lo stesso anno, nello stesso mese, quasi lo stesso giorno, entrambe al fianco degli uomini che avevano amato; quegli uomini che insieme avevano ricoperto l’Europa di sangue. La loro fine la conosciamo tutti, è storia. Eva morì suicida assieme ad Adolf Hitler nel loro bunker a Berlino, lì dove insieme si erano rifugiati e dove insieme assistettero alla fine del Terzo Reich. Claretta fu assassinata assieme a Mussolini. Per ogni fine, però, c’è un inizio. Un punto in cui tutto prende il via. Una pagina tutta da scrivere, prima che il destino cominci a intrecciare i suoi fili, prima che ogni cosa accada, prima che il corso degli eventi diventi storia. I libri di scuola parlano poco di loro, non s’interessano di come e quando le due donne furono fatali vittime della fatalità. La vita di Claretta mosse i primi passi per entrare nella storia la mattina di domenica 24 aprile 1932.

Quel giorno una limousine Lancia Astra, di proprietà dell’archiatra pontificio professor Francesco Saverio Petacci (medico del papa) procedeva sulla Via del Mare, con sua moglie e le due figlie, Myriam di 9 anni, Claretta di 20 anni e il suo fidanzato Riccardo Federici, un tenente della Regia Aereonautica di 28 anni. La narrazione inizia qui, quando una macchina spider Alfa Romeo rossa, da corsa, guidata da Benito Mussolini tentò di superarla. In quel giorno, in quel preciso tratto di strada, ma anche di vita ebbe iniziò l’intreccio tra Ben, era solita chiamarlo così, e Claretta. Poco più avanti, infatti, Claretta si accorse che la macchina del Duce era ferma vicino alla battigia, mentre lui appoggiato alla balaustra osservava il mare. Fu così che Claretta armatasi di coraggio decise di presentarsi a lui e sempre con lo stesso coraggio decise poi di morire con lui. “Caro signor Hitler, grazie ancora per il meraviglioso invito a teatro. E’ stata una serata memorabile. Le sono molto grata della sua bontà. Conto le ore pensando a quando potrò avere la gioia di un altro incontro.” Eva Braun Secondo i racconti forniti dopo la guerra da Anni Winter, governante di Hitler, sua nipote Geli frugando nelle tasche dello zio, mentre riordinava la sua stanza insieme con lei, trovò questa lettera in carta azzurra che lesse e poi strappò con molta rabbia lasciandola sulla scrivania affinché lo zio potesse trovarla. Geli fu poi trovata morta suicida in una camera affianco a quella dello zio Hitler in cui abitava con la madre.

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PENSARE Per ogni fine c’è un inizio. Un punto in cui tutto prende il via

Dopo questo episodio furono in molti a dubitare del rapporto incestuoso dei due e del suicidio di Geli. Ma ciò che accadde veramente quella notte non si saprà mai. Sappiamo invece che nel gennaio del 1932 Eva rivide Hitler, ma l’intreccio dei loro destini era ormai iniziato da tempo. Lei lo aveva seguito con profonda ammirazione per tutta la campagna politica, nessuno sospettava di loro, i soli testimoni erano Hoffmann e il suo autista. Eva teneva segregata la storia per paura che il padre scoprisse la sua relazione con un uomo che aveva ventitré anni più

Adolf Hitler e Eva Braun con due bambine

STORIA

di lei. Fu Hoffman a organizzare per Hitler un pranzo intimo con Eva, e fu lì che la donna s’innamorò, quando Adolf commosso tirò fuori il suo lato più umano e sensibile, raccontandole la storia di Geli. Dopo quella sera Eva Braun cominciò ad amare Hitler, cercando di sostituire la nipote disperatamente, cercò di imitarla, studiò le sue fotografie, il suo modo di pettinarsi, di vestirsi, di parlare. Dopo un anno d’incontri cercò di ricalcare persino il suicidio, sparandosi in bocca, ma si salvò miracolosamente, il destino per lei aveva in serbo un’altra fine, non meno pietosa. Con questo gesto Hitler si convinse definitivamente dei sentimenti di Eva. E’ qui che i loro incontri diventarono una vera e propria relazione, che li accompagnò fino alla fine delle loro vite, pur tramutandosi in matrimonio solo un giorno prima del loro suicidio.


Bonnie Clyde

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PENSARE

CRONACA

Layla Crisanti “Due individui che si uniscono per perpetrare un delitto non danno né psicologicamente, né socialmente un risultato equivalente alla semplice somma di entrambi” (Scipio Sighele, 1909 – “La coppia criminale”) Incontrarsi, amarsi, uccidere. Coppie apparentemente normali, o quasi, rese celebri dalla loro follia a due. Uomini e donne indissolubilmente legati che insieme sono diventati famosi.

Follia a due, storie d’ L

a forza di questi legami risiede nell’aspetto amoroso e sessuale della relazione, un’unione assoluta tra due persone che diventa una vera e propria arma. L’amore rosso fuoco, diventa rosso sangue e il legame è morboso, malato, di certo pericoloso. Il reato rafforza l’unione, stringe gli amanti in un groviglio di complicità, sotterfugio, eccitazione. Una sete sadica che normalizza il dolore e richiede altro sangue per appagare la relazione. Le coppie criminali sono statisticamente irrilevanti, eppure le loro storie generano una sorta di attrazione perché se è complicato capire quale forza interiore possa spingere un singolo uomo a distruggere un suo simile, diventa davvero impossibile comprendere come due persone possano combinarsi nel loro delirio, tanto da uccidere, ancora e ancora, sempre insieme. E non si tratta di coprire l’amato, di non trovare il coraggio di denunciarlo, ma proprio di spingersi simultaneamente oltre l’umanità, di provare insieme piacere uccidendo, stuprando, schiavizzando, a volte addirittura cannibalizzando. Amore, odio, vendetta, passione, denaro o assurda perversione. I motivi che trasformano questi esseri umani in mostri sono i più disparati e la condivisione del loro delirio di onni-

Il legame d'amore diventa una vera arma

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potenza crea un aumento esponenziale della perversione, molto più di un raddoppiamento, insomma “l’insieme è più della somma delle singole parti”. Assoluto e disperato è l’amore di Bonnie e Clyde (Stati Uniti 1932). Una coppia resa famosa dalla sua copia cinematografica più che dalle cronache. Clyde è l’immagine del criminale gentiluomo, che scappa, uccide solo per difendersi o ancor più per difendere l’amata, che libera gli ostaggi e rischia la vita per proteggere i suoi complici. Se non fosse che non si può parlare di coppie criminali e celebri senza evocare i loro nomi forse non meriterebbero di esser citati insieme a “colleghi” decisamente più sadici. Tra i più terrificanti ci sono senza dubbio Henry Lee Lucas e Ottis Toole (Stati Uniti 1983). La loro perversione supera ogni più macabra fantasia e benchè fossero legati da una relazione omosessuale, avvicinare la parola amore a loro sembra davvero fuori luogo. Stiamo parlando, infatti, di uno psicopatico necrofilo e di un cannibale schizofrenico. Insieme dovrebbero aver ucciso più di cento persone, ma con loro il condizionale è d’obbligo visto che la loro storia è costellata di bugie e false testimonianze. Amore perverso, dipendenza, matrimonio e gelosia, sono gli ingredienti dell’orribile storia


di David e Catherine Birnie (Australia 1986). Sono i due coniugi australiani che insieme hanno rapito, violentato per giorni e ucciso quattro donne. La loro fine fu decretata dalla quinta vittima, scappata prima di essere uccisa, è stata lei, infatti, a portare la polizia nella casa dei coniugi assassini. Lui è morto in carcere, mentre Catherine è ancora viva e sulla sua storia è stato scritto anche un libro. I prossimi sono così celebri che la loro statua di cera è esposta nel famoso museo di Madame Tussauds di Londra. Parliamo di Ian Brady e Myra Hindley (Gran Bretagna 1963) che uccidevano giovanissime vittime ascoltando marce naziste. Myra era una timida dattilografa che condusse una vita mite fino all’incontro con Brady, assassino psicopatico con tendenze sadomasochiste, pornografiche e filonaziste. Gerald e Charlene Gallego (Stati Uniti 1980) catturavano le loro vittime per tenerle come schiave del sesso e quando il gioco non era più eccitante le uccidevano. Assassinarono un totale di dieci vittime, tutte adolescenti. Poi ci sono anche Barbie e Ken, ma non sono di plastica sono in carne ed ossa e dell’a-

steen e Badlans di Terrence Malick. Non solo cronache lontane, ci sono anche storie più vicine a noi sia nel tempo che nello spazio come quelle di Olindo e Rosa (Italia 2006) e Erika e Omar (Italia 2001). Hanno scontato la loro pena, oggi sono liberi e cercano di costruirsi una vita normale, se la parola normale può ancora essere concepita dopo esser stati autori di un massacro. Erika e Omar hanno annientano a coltellate, oltre cento, la vita della madre e del fratellino undicenne di lei. Erano giovanissimi, 14 anni lei, 16 lui e sono stati condannati dal tribunale dei minori, che li ha considerati capaci di intendere e di volere e che ha evidenziato come la loro relazione sia stata il terreno fertile della follia omicida: “Il delitto è avvenuto nel clima passionale, morboso e onnipotente che respiravano in un’unione di coppia, sempre più isolata, chiusa e sorda ai richiami della realtà”. Eppure Erika era cresciuta in una famiglia normale, amorevole, in una condizione socio economica agita. Strage di Erba, così è passata alle cronache la storia di Olindo e Rosa. Una vicenda che per anni ha continuato a comparire nei titoli dei

’amore rosso sangue more conoscono solo la paura e la follia, li hanno soprannominati così perché a guardarli sembrano una coppia bella e affiatata, biondi e perfetti. Sono Paul Bernardo e Karla Homolka (Canada 1992) la loro vita di coppia è costellata da violenze sessuali e omicidi, tra cui quello della sorella di Karla. Lui è in carcere, ma lei è già in libertà. Così giovani da non aver mai scoperto che cosa sia davvero l’amore, loro si sono fermati all’orrore. Stiamo parlando di Charles Starkweather e Caril Ann Fugate (Stati Uniti 1958). Il primo omicidio del ragazzo è quello di un benzinaio. Il giovanissimo Charles odia tutti ad eccezione della sua Caril e proprio davanti ai suoi occhi uccide tutta la sua famiglia, compresa la sorellina di due anni. Insieme nascondono i cadaveri e rimangono lì, nella casa di lei e delle vittime, a guardare la tv. Poi arriva la polizia, allertata da un vicino, loro scappano e nel corso di pochi giorni uccidono altre sei persone. Quando vengono arrestati l’amore svanisce e lei fa un repentino voltafaccia accusando lui degli omicidi. Lui venne condannato a morte a soli 21 anni. La loro storia è stata così famosa da ispirare film, canzoni e serie tv, come True romance di Quentin Tarantino, Nebraska di Bruce Spring-

L'amore malato crea un aumento esponenziale della perversione

giornali altalenando tra confessioni scabrose e richieste di revisione, certezze e dubbi, novità e retroscena. Intanto la coppia assassina, secondo le sentenze, è in carcere e sconta la condanna in via definitiva per la morte di quattro vittime, tra cui un bambino di due anni. La Corte di Cassazione li ha dichiarati colpevoli oltre ogni ragionevole dubbio per aver ucciso a coltellate e sprangate i vicini di casa con i quali litigavano continuamente. Olindo e Rosa sono una coppia estremamente isolata e chiusa su sé stessa ed è in questo distaccamento dalla realtà che avviene “la più atroce impresa criminale della storia italiana” (così commenta la vicenda uno dei giudici). Gli amanti assassini sono suggestionati dall’amore malato che contiene legami di perversione e debolezza, di prevaricazione e sudditanza. Non esistono equazioni perfette, ma i tratti che più di tutti sembrano ripetersi in queste storie sono quelli biografici. Infatti le esistenze dei membri di queste coppie tristemente celebri sono tutte, o quasi, segnate da condizioni socio economiche e soprattutto devastanti, infanzie dolorose, violente, prive di vere relazioni affettive, in cui l’accudimento è sostituito dalla prevaricazione e dalla perversione. Dolori che si incastonano nell'anima tanto profondamente da contaminare ogni istante.

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Politica e Ambiente, un matrimonio per la speranza Daniele Ciri

Soltanto azioni concrete e coordinate degli Stati possono salvare la nostra Casa Comune 34


PENSARE

AMBIENTE

P

arliamoci chiaramente: ad avercela di più con Greta Thunberg non sono i negazionisti del cambiamento climatico e del riscaldamento globale, quanto gli ambientalisti e i comunicatori prestati all’ambientalismo. I divulgatori scientifici che tentano ogni giorno di trovare modi nuovi ed efficaci per spiegare al mondo come vanno le cose con inquinamento e problemi correlati. Ce l’hanno con Greta perché lei, a soli sedici anni, è riuscita in un anno laddove una moltitudine di esperti fallisce da oltre trent’anni. Ovviamente la mia è una battuta, ma i motivi per pensarlo, seppur con il sorriso, ci sono tutti. Pensate: era il 2018 quando una ragazzina bionda con le treccine si sedeva davanti al Parlamento del proprio Paese (la Svezia), per chiedere provvedimenti seri per contrastare il climate change e ciò che la scienza dice che ne sia la causa primaria, vale a dire le emissioni di anidride carbonica derivanti dalle attività umane. Dodici mesi dopo, tutti i Paesi del mondo, hanno visto nascere movimenti ispirati all’azione di Greta (gli ormai famosi Fridays for future) e grazie a questi gruppi, guidati e diretti non da politici, ma da giovani ragazze e ragazzi, hanno preso corpo manifestazioni che hanno coinvolto milioni e milioni di persone. Non una volta sola, ma più e più volte. Nessuno è mai riuscito a ingenerare tanta partecipazione in una massa di persone tanto estesa per latitudini, longitudini ed estrazioni sociali. Nessuno. Ma cosa dice Greta Thunberg, cosa chiede parlando con tanta veemenza e sicurezza di fronte alle folle e ai potenti della Terra. Dice e chiede ciò che la scienza afferma da trent’anni: le attività umane legate alle fonti di energia fossile stanno provocando un aumento di emissioni e di concentrazione di anidride carbonica (CO2) in atmosfera, tale da produrre un riscaldamento delle temperature globali che, nel corso di pochi decenni, sta culminando con cambiamenti climatici che mettono a rischio la persistenza delle condizioni della vita stessa sulla Terra. Mutamenti che esperti e scienza dicono essere alla base della sesta estinzione di massa, la prima causata da una specie vivente. Già perché altre volte, da che la Terra ha preso forma e vita, sono state registrate estinzioni di massa, ma mai era capitato che tutto ciò accadesse perché quanto fatto da una singola specie ne scatenasse l’avvio. Ciò che la scienza non aveva previsto era la rapidità di questi cambiamenti e mutamenti, di questo disastro climatico. Non avevano previsto che scenari futuri potessero diventare scenari presenti, nel volgere di qualche anno, a causa di ciò che è stato poi definito come “effetto domino”. La temperatura globale sale, i ghiacci artici si sciolgono provocando a catena un aumento dei fenomeni meteo estremi, i mari si innalzano e quella che all’inizio era una piccola pallina di neve in cima alla montagna diventa in pochi anni, a valle, una mostruosa valanga che porta via tutto al proprio passaggio. Trent’anni fa la comunità scientifica era concorde nel dire che il punto di non ritorno era fissato a 400 parti per milione di anidride carbonica in atmosfera e che arrivati a 450 si poteva parlare di estinzione della specie. Per millenni la concentrazione di CO2 è stata costantemente sugli stessi livelli (al di sotto delle 300 ppm), dal 1950 ad oggi è schizzata a 416 ppm (maggio 2019), con un ritmo di crescita da far paura: 411 nel 2018, 390 nel 2009. I negazionisti dicono che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati ed è stato il fisico Antonino Zichichi a dire, qualche settimana fa, che “l’attribuzione del surriscaldamento globale alle attività umane è senza fondamento scientifico”. Parrebbe, secondo un insieme di scienziati che rappresentano l’1% della comunità scientifica, che ciò dipenda dall’attività solare o giù di lì. Senza perdersi dietro ai derby e alle divisioni in fazioni, basta farsi un giro sulle piattaforme delle principali organizzazioni di ricerca climatica, la Nasa ad esempio, e vedere la moltitudine di grafici e di prove a disposizione (tutte comprensibilissime al grande pubblico) con dati che formano grafici incontrovertibili: aumento di CO2 e aumento delle temperature globali hanno medesime curve nei medesimi periodi di riferimento.

i cambiamenti climatici mettono a rischio la vita sulla terra

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PENSARE

AMBIENTE

Il riscaldamento dovuto dalla normale attività solare va invece in tutt’altra direzione. Tempo fa ho avuto modo di ascoltare ed intervistare Lorenzo Ciccarese, uno scienziato italiano membro dell’IPCC (l’Intergovernmental Panel on Climate Change creato dalle Nazioni Unite per lo studio dei cambiamenti climatici, insignito nel 2007 del Premio Nobel per la Pace proprio per le ricerche condotte su questo fronte) e ciò che ha detto è stato folgorante per chiarezza e, a suo modo, capacità evocativa. Sintetizzo a memoria: “Tutto ciò che conosciamo come vita e come civilizzazione, le belle città che ammiriamo, l’architettura, la conoscenza, il lascito delle antiche civiltà, lo dobbiamo al fatto che la Terra, da che l’uomo l’ha popolata, ha avuto sempre temperature costanti e miti. Quanto sta accadendo, lo spostamento in alto delle temperature, mette a rischio tutto ciò che identifichiamo e conosciamo come civiltà”. Ma quanto è distante questo scatto in avanti delle temperature prima che il riscaldamento globale e il cambiamento climatico diventino a senso unico? A Parigi, nel 2015, 195 Paesi hanno firmato un accordo che fissa come obiettivo primario il contenimento dell’aumento delle temperature ben al di sotto dei 2°C oltre i livelli preindustriali e di limitare tale incremento a 1,5°C. Ci stiamo riuscendo? La risposta è no. Sempre la Nasa ci dice che nel 2018 l’aumento globale della temperatura è arrivato a sfiorare il valore di +1°C, che il giaccio marino artico è arrivato a -12,8% e che il livello del mare cresce di 3,3mm l’anno. Un quadro drammatico confermato nella sua interezza anche dal nuovo report IPCC. La sfida che abbiamo di fronte è quindi cruciale e non c’entra nulla con “io sto con” o “io sto contro” Greta Thunberg. La sfida è: vogliamo continuare ad esistere su questo pianeta oppure no? Vogliamo per la nostra Casa comune essere gli attori di un cambiamento in positivo o i protagonisti della fine? La sfida, su questa trincea, è capire che non esiste un problema ecologico/ambientale, ma esiste una crisi di sistema che collega, nella medesima esigenza di cambiamento, i problemi ambientali a quelli sociali ed economici. Perché non esiste giustizia climatica senza giustizia sociale ed economica. Il tempo delle buone pratiche di vita quotidiana spacciate come soluzioni ai problemi del pianeta è finito. Sprecare poca acqua quando ci laviamo i denti è cosa buona e giusta, così come vivere responsabilmente e adoperarsi per il riuso, la riduzione ed il riciclo dei beni di consumo. Ma quella che abbiamo di fronte, la sfida che dobbiamo vincere come specie umana, è l’approccio di sistema, cioè le grandi scelte poste in essere dai Governi per cambiare modello di sviluppo, non più incentrato sull’economia lineare e sullo sfruttamento infinito di risorse finite, ma sull’economia circolare. Le Nazioni Unite hanno fissato 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile validi per la comunità globale e per quelle locali, gli SDGs dell’Agenda 2030, da raggiungere appunto entro il 2030 prima che la situazione sfugga dal controllo umano. Siamo indietro, colpevolmente indietro e di anni davanti ne abbiamo solo 10. Negli anni ottanta il problema ambientale era legato al grande tema del buco dell’ozono. Oggi quel problema è finalmente tornato sotto controllo e non perché di colpo abbiamo usato meno lacca, ma perché gli Stati del mondo hanno messo al bando i gas nocivi che ne erano la causa (Protocollo di Montreal del 1987 sui gas CFC). Oggi serve questo tipo di risposta e per ottenerla serve cooperazione, come l’Agenda 2030 chiede. Oggi possiamo unirci a Greta per essere attori del cambiamento, cittadini responsabili che si uniscono non per perorare cause o proporre teorie scientifiche, ma per chiedere ed esigere risposte. Se tutti in tutto il mondo vivessero con lo stesso stile di vita occidentale, servirebbero le risorse naturali di 2 pianeti Terra. Cos’è allora più da sprovveduti: pensare che tutto possa continuare così o rendersi parte attiva del cambiamento? La risposta è legata all’unica incontrovertibile constatazione possibile: non esiste un pianeta B.

vogliamo continuare ad esistere su questo pianeta?

agenda 2030: 17 obiettivi di sviluppo sostenibile

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SPORT

INTERVISTA

Il ritmo sposa il calcio Peppe Stefanelli porta la musica in campo Layla Crisanti “Faccio suonare il pallone”. Peppe Stefanelli spiega così l’idea alla base del suo progetto "Educazione Ritmica", che prevede l’applicazione del ritmo regolare nell’allenamento dei calciatori.

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sentirlo spiegare da lui, sembra semplice, così semplice da farti dire: “Perché nessuno ci aveva pensato prima”. Ma lui, Peppe Stefanelli, non è uno qualunque, lui la musica ce l’ha nel sangue. Basta sentirlo parlare per capire che il ritmo è parte di lui. Già a 13 anni ha iniziato a studiare batteria e percussioni, senza smettere mai. Ha collaborato con moltissimi artisti: Avion Travel, Frankie Hi-Nrg, Dirotta su Cuba, David Parsons, Giorgio Panariello e dal 2000 suona con la Paolo Belli Big Band. Ritmo, coordinazione, controllo, equilibrio interiore, velocità. Sono queste le parole d’ordine di questo metodo innovativo che punta tutto sulla ricerca e l’applicazione del ritmo regolare per acquisire il controllo dell’attività fisica e psichica. "Centro Professionale Ritmo" è questo il nome della tua scuola, insomma tutto parte dalla musica? “Tutto parte dal ritmo. Io mi occupo di ritmo perché il tempo è una questione di equilibrio. Tenere il tempo in maniera regolare è come essere un funambolo”. Cosa c’entra il ritmo con il calcio? “Il programma di "Educazione Ritmica" fornisce le risorse per acquisire ritmo regolare nella preparazione fisico atletica personale e di squadra. Un pallone e un metronomo elettronico sono gli strumenti fondamentali di questa tecnica. Insomma faccio suonare il pallone”. Facci capire di più… “Ritengo che riconoscere il tempo scandito in ognuno di noi giovi enormemente a tutta la nostra vita, perché il tempo regolare è equilibrio, la base per la buona riuscita di tutto ciò che facciamo. Il ritmo è legato al nostro io, ma per acquisirlo è necessario sentirlo dentro. Il ritmo regolare conduce ad un controllo generale delle performance”. La musica è la tua vita, ma come nasce l’idea di portarla in campo? “Sono sempre stato appassionato di calcio, da tifoso, poi un amico mi ha invitato a fare il secondo, un’esperienza da motivatore che mi ha permesso di comprendere meglio gli schemi e le dinamiche di squadra. Poi nel 2018 mi è stato chiesto di tenere un corso di musica durante un campus dell’Accademia Calcio Umbro e così ho iniziato a pensare. Cerco sempre un’artisticità in tutto ciò che faccio. Alla fine è nata quest’idea e la prima esperienza pilota con questi ragazzi. Palleggiare a tempo, passarsi la palla seguendo il ritmo risulta fondamentale”. Cos’è successo dopo quest’esperienza pilota? “Ho sviluppato un vero e proprio modello, con una serie di schemi di allenamenti. L’educazione ritmica può essere applicata nell’allenamento delle squadre di calcio di tutte le età, può essere di grande aiuto anche per i professionisti. Può essere fatta sotto forma di seminario intensivo o andare ad integrare il normale modello di allenamento. Non solo può essere anche applicata nelle scuole come educazione fisica alternativa”. Musica, insegnamento, ritmo sembrano essere le tue grandi passioni? “Per me il ritmo e il tempo, sono essenziali forse perché ho fatto tanta fatica a riconoscerli e trovarli all’inizio dei miei studi. Quando mi trovo davanti a una nuova sfida penso sempre al mio grande maestro Cosimo Lampis che mi diceva che per le proposte più strane bisogna prendersi il tempo di pensare. Così ho fatto anche in questo caso e dal tempo è nata un’idea e un nuovo modo di insegnare. Per me l’insegnamento è dono e relazione, bisogna sempre essere generosi quando si insegna”.

“tenere il tempo è come essere un funambolo”

“insegnare è dono e relazione”

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SPORT

PROTAGONISTI

I Gemelli del Gol

Il calcio, il gioco più bello del mondo R.P.

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osa spinge un bambino a tirare i primi calci ad un pallone? Cosa porta la gente ad andare allo stadio e a pagare un biglietto (spesso anche molto salato)? Cos'è che fa tifare per la propria squadra del cuore in maniera viscerale? La risposta è sempre la stessa: la passione per il gioco più bello del mondo, il calcio. In Italia, oramai da generazioni, è lo sport più amato, più seguito e più giocato. Cosa suscita, però, in un tifoso le emozioni più grandi? Cosa gli fa spellare le mani dagli applausi o stropicciare gli occhi per lo stupore? Anche qui la risposta è facile: le grandi giocate, che spesso e volentieri si tramutano in gol. Come nelle band, in cui la gente tende quasi sempre ad affezionarsi al frontman, anche nel calcio, gioco di squadra per eccellenza, i tifosi si innamorano delle individualità, di coloro che fanno la differenza, di chi riesce a lasciare tutti a bocca aperta con una grande giocata. Le fortune delle grandi squadre, infatti, le hanno fatte spesso e volentieri le grandi coppie di attaccanti titolari, le famose “coppie gol”. Potremmo ricordarne innumerevoli, anche solo restando nell’ambito delle squadre italiane: da quelle juventine di Charles-Sivori, Platini-Boniek, Del Piero-Trezeguet, a quelle milaniste Gullit-Van Basten e Shevchenko-Inzaghi, passando per le interiste Ronaldo-Vieri e Milito-Eto’ o la napoletana Maradona-Careca, la romanista Totti-Batistuta o la torinista Graziani-Pulici. Eppure c’è una coppia che più di tutte è rimasta nel cuore, non solo di tutti i tifosi della loro squadra, ma di tutti gli sportivi italiani: quella formata da Roberto Mancini e Gianluca Vialli, che portò la Sampdoria, squadra non certo di prima fascia, sul tetto d’Italia e, quasi, d’Europa. Se i due sono passati alla storia del calcio italiano con il nomignolo di “Gemelli del Gol”, qualcosa vorrà pur dire, no? I due cannonieri della Sampdoria scudettata, gli eroi immortali di Marassi. Il “Mancio” col suo ciuffo e le sue movenze da fantasista a inventare,

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Vialli con il suo fiuto per il gol a finalizzare: la coppia blucerchiata è stata una di quelle più affiatate mai viste in Italia. I due hanno condiviso 8 indimenticabili stagioni alla Sampdoria, tra il 1984 e il 1992, e occupano tuttora i primi due posti nella classifica dei migliori marcatori della storia del club. Il primo dei due ad arrivare tra le fila doriane nel 1982 fu l’appena diciottenne Roberto, marchigiano di Jesi, con le ossa forgiate da adolescente nel Bologna, raggiunto due anni dopo dal cremonese Gianluca, classe ‘64 come il suo compagno, a lui pienamente complementare nel tandem d’attacco: tra i due nacque fin da subito un grosso feeling, in campo e fuori, che si tramutò in una vera e propria caterva di gol, oltre che di belle giocate. E, si sa, gol e bel gioco portano vittorie e quindi risultati, quelli tanto sognati non solo dai tifosi, ma anche dalla nuova società, che, con a capo l’imprenditore romano Paolo Mantovani, aveva rilevato la Sampdoria dalle Serie B solo pochi anni prima, con l’intento e la speranza di scriverne pagine memorabili. La prima stagione insieme fu suggellata dalla vittoria del primo trofeo della storia del club, la Coppa Italia, conquistata a spese del Milan, con i “gemelli” andati entrambi in gol: fu solo il primo di vari successi. Dopo una stagione non all’altezza di quella che aveva portato alla vittoria della coppa nazionale, Mantovani scelse un nuovo allenatore, Vujadin Boskov, tecnico di caratura europea già alla guida di grandi squadre come il Real Madrid. Con lui al comando, i blucerchiati ottennero altre due vittorie consecutive in Coppa Italia, nel 1987/88 e nel 1988/89, anno in cui arrivarono anche in finale della Coppa delle Coppe, arrendendosi solo al Barcellona. Per alzare però questo trofeo europeo dovettero attendere solo dodici mesi, quando, grazie a una doppietta di Vialli, servito sul secondo gol da Mancini, sconfissero l’Anderlecht ai supplementari per 2-0. La stagione 1990/91 fu quella che consegnerà alla Sampdoria il primo e unico scudetto della sua storia, contro ogni pronostico, battendo squadre

molto più attrezzate come il Napoli di Maradona, il Milan degli olandesi e l’Inter di Matthäus. Vialli vinse anche la classifica dei marcatori, con 19 reti; Mancini si fermò solo, si fa per dire, a 12. L’anno dopo il mirino della squadra blucerchiata fu puntato verso l’Europa, verso la Coppa dei Campioni, il massimo trofeo continentale: da autentica Cenerentola della manifestazione, la Sampdoria stupì tutti con una cavalcata inarrestabile, battendo anche i campioni in carica della Stella Rossa di Belgrado in semifinale e arrivando dunque a giocarsi la finalissima, ancora una volta contro il Barcellona, che mise fine ai sogni di gloria sampdoriani, vincendo ai supplementari per 1-0. Fu quello l’ultimo atto, seppur triste, di una delle più belle pagine che il calcio italiano abbia saputo regalarci: dopo quella partita, infatti, Vialli lasciò la Sampdoria per approdare alla Juventus (squadra con cui tre anni dopo riuscì a vincere il tanto ambito trofeo, nel frattempo trasformatosi in Champions League); anche Boskov lasciò la compagnia, mentre Mancini rimase e fece ancora in tempo a vincere un’altra Coppa Italia nel 1993/94, ma purtroppo senza che il presidente Mantovani potesse festeggiare con lui, poiché scomparso poco tempo prima. Con questo successo si chiuse l’epoca d’oro della Sampdoria, mai più capace di vincere un titolo. I “Gemelli del Gol”, quelli che hanno fatto sognare la Genova blucerchiata ed entusiasmare tutti gli sportivi italiani in Europa, sono ancora oggi nel cuore di tutti, per motivi differenti: Mancini è il C.T. della Nazionale Italiana, pronto a farci emozionare alla guida degli azzurri nei prossimi campionati europei, Vialli è stato nominato capo delegazione della stessa nazionale, ricongiungendo simbolicamente la coppia-gol. Lo stesso Gianluca, proprio in questi mesi, ha commosso l’opinione pubblica raccontando, in un libro da poco pubblicato, la sua personale battaglia contro il cancro: siamo certi saprà vincere anche quest’altra partita!


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Gertrude Alice


MANGIARE

FOOD

Parlare di cibo per parlare d’altro Alice Babette Toklas e GertrudeStein Francesca Felicetti Alice Babette Toklas è una ragazza nata a San Francisco e vissuta a Parigi, una donna minuta con grandi occhi scuri e baffi lanuginosi sul labbro superiore. Ama cappelli vistosi, orecchini zingareschi e abiti su misura.

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er Gertrude Stein è fin dall’inizio un’amante desiderata, pur con la discrezione che l’ambiente circostante richiede. Parigi è, ai primi del Novecento, la sola città in grado di accoglierle. Due fate accigliate, ma di intelletto non comune. Raffinate, saffiche, che in anticipo di un secolo si considerano sposate. Dal loro salotto di 27 rue des Fleurus passeranno, tra gli altri, Picasso, Hemingway, Scott e Zelda Fitzgerald, Cocteau, Man Ray e Matisse. Alice cucina, fa le pulci alla servitù, raccoglie ricette e le custodisce in una scatola sotto il letto. Quando gli invitati, sempre troppi, se ne vanno Gertrude scrive. Sembrerà bizzarro, ma la leonessa delle avanguardie in casa dipende da Alice, al pari di un marito disorganizzato. La Toklas fu per Gertrude anche dattilografa, ufficiosamente amante e comunque un riferimento per pareri e consigli. Alla morte di Gertrude Stein un editore chiese ad Alice di scrivere le sue memorie, lei si schermì dicendo che al massimo sarebbe stata in grado di scrivere un libro di cucina. E libro di cucina fu. “I biscotti di Baudelaire” uscì in America, nel 1954, con il titolo “The Alice B. Toklas Cookbook”, ma è molto di più di un libro di ricette distribuite con apparente noncuranza. Vi si legge del branzino decorato con uova sode, tartufi ed erbe tritate servito a Picasso, che provocò nell’artista la memorabile

reazione: “Non sarebbe stato meglio prepararlo in onore di Matisse?”; delle uova di Francis Picabia, il solo pittore dal quale riuscì ad avere una ricetta, della crema di Josephine Baker, della minestra di alloro di Dora Maar, del caffè di James Joyce, degli gnocchi alla romana di Fernanda Pivano Sottsass e del pollo Vent Vert di Pierre Balmain. Alice sapeva che il solo modo per imparare a cucinare è cucinare e continuò a farlo anche con il razionamento imposto dalla guerra quando con Gertrude si ritirò nella campagne di Bilignin. “Fu allora che cominciarono gli assassinii in cucina” – scrive l’autrice - “la prima vittima fu una bella carpa, il pescivendolo che me la vendette disse che non aveva tempo per ammazzarla, toglierle le scaglie e pulirla, né mi volle dire con quale di queste tre orribili e necessarie incombenze fosse meglio cominciare”. Alice Toklas si inserisce a pieno titolo tra i pionieri del food writing. È la pratica raffinata di parlare di cibo per parlare d’altro. La storia della letteratura ce lo insegna. Sarebbe potuta diventare una grande scrittrice ma poco le importava, dopotutto. Confidò il progetto editoriale solo a due amici. Il primo rispose allegramente: “Divertente!”. L’altro le chiese, imbarazzato: “Ma, Alice, hai mai provato a scrivere?”. Come se un libro di cucina che parla dei biscotti di Baudelaire non avesse a che fare con lo spirito della letteratura.

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TUTTE MIE L

PRANZO

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LE CITTA’

city blog

HAMBURGER APERITIVO (E CENA)*

PUBLITO Steak house

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Per lui: blackmamba soffice pane nero con ripieno deciso, pecorino umbro, hamburger di carne a lunga frollatura, guanciale di maiala brado, zucchine grigliate e salsa Bernese. Per lei: purple, un esplosione tra sapidità e dolcezza da far sciogliere le papille gustative. Pane viola con burger di scottona umbra, scamorza, crema di sagrantino e cipolla di Cannara caramellata.

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Osteria Bacerotti Gusto autentico La nostra proposta per un’autentica cena in osteria: tortelli di baccalà e zuppetta di ceci. Accompagnati da un bicchiere di vino. Semplicità, memoria. È questo quello che intendiamo quando diciamo che nella nostra osteria si mangia e si beve non per dimenticare, ma per ricordare. La pasta fresca e i dolci sono fatti da noi, come il pane che cuociamo nel nostro forno dal 1935, usando grani antichi e lievito madre. Piazzetta del Duomo 30 Foligno +39 0742 263901

CENA

Gastone Cibi e facezie Coniglio fritto ricco di tradizione e profumi. Croccante e saporito, accompagnato da un contorno di zucchine in tempura e ketchup di carote. Il mio coniglio fritto è un atto d’amore per mia madre e onora mia nonna e il suo sapere antico. Il menù di Gastone è una vera e propria storia di famiglia ricco di radici e ricordi. Via Bagni 6, Foligno 348 856 5997


MANGIARE

FOOD

… successivamente far innamorare in padella Elia Sdei Alain Ducasse, uno che nella sua carriera ha collezionato qualcosa come 21 stelle Michelin, oltre a riuscire nell’impresa di tenere aperti contemporaneamente tre ristoranti tre stelle in tre diversi paesi, con una delle sue frasi più celebri ci dice che “E’ una storia d’amore la cucina. Bisogna innamorarsi dei prodotti e poi delle persone che li cucinano.”

F

acile direte voi, niente di più scontato che ci sia amore in cucina. Che ci si innamori di un ingrediente piuttosto che un altro o di uno chef piuttosto che un altro è alla base della natura umana, della celebrazione delle cose che ci piacciono della nostra esistenza terrena. Inoltre molti affermano che l’umore di chi cucina influisce largamente sulla qualità del piatto finale o che un cuoco innamorato riesca a tirare fuori qualcosa di più da una pietanza rispetto a un altro che ha il cuore arido. In questo momento però non voglio tirare fuori la solita disamina sul rapporto tra cibo e sentimento umano, troppo scontato. Quello che voglio infatti è parlare dei sentimenti degli ingredienti, delle loro emozioni, del carattere diverso che ha ogni materia prima che venga poi cotta, fatta al vapore, servita cruda. In cucina infatti, o meglio nel gergo della cucina italiana esiste una dicitura su cui quasi nessuno si è mai soffermato veramente. Ad un certo punto della ricetta infatti si chiede a chi la esegue di “far innamorare” due ingredienti. Bene. Far innamorare due ingredienti si usa quando questi sono buoni di per sé, ma è nel loro connubio, nella loro unione che esprimono nuove sensazioni, aromi, profumi. Se chiudeste gli occhi e vorreste immaginarvelo questo sarebbe come il rumore delle tagliatelle fatte in casa una volta condite con il sugo di ritagli di pollo. Questo è il suono dell’innamoramento. Voglio mettervi in guarda,

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se magari dopo questa descrizione pensiate che si stia parlando di quei miti scontati che mettono in relazione cibo e seduzione. Niente di più lontano da questo. In questo momento stiamo osservando il cibo come se questo fosse una specie animale, come se da dietro una roccia guardassimo una danza di oranghi pronti a conquistare la compagna scelta. Siamo degli scienziati che studiano un comportamento di qualcosa di diverso da noi: il cibo si innamora solo in alcuni casi, in padella soprattutto, quando lo fai ripassare, quando dai l’ultima condita di lardo sull’arrosto. Questi sono innamoramenti che diventano di tutti, patrimonio di chi fa innamorare cibo per far innamorare una persona, tutte conseguenze continue nell’eterna opera di ricerca della felicità attraverso il sentimento. Per quanto poi sia la mano umana ad avvicinarli è sempre il sentimento insito dentro l’ingrediente che decide di innamorarsi o no: non si innamorerà mai un ostrica con lo champagne, si innamorerà sempre una pasta fatta in casa col suo sugo. Questo succede con tutte quelle pietanze che non puoi dividere ed è questa è la più grande differenza con noi viventi dalla quale dovremmo tutti prendere spunto: un ingrediente con un altro, una volta innamorato, non si separerà mai e poi mai. Credete che questa sia un' esagerazione? Possibile, ma in fondo chi è che non sogna di avere nella vita un amore eterno, inseparabile, inscindibile. Qualcosa che entri nella leggenda. Una leggenda tipo il pollo coi peperoni.


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NON CI RESTA CHE PROVA FU MANCHÙ COME Da Fu Manchù trovate le specialità dell’autentica cucina cinese! Finalmente a Foligno un vero wok bar cinese. DOVE In via Gramsci, nel cuore di Foligno PERCHÉ Per essere catapultati in un’esperienza culinaria esplosiva. Per provare i piatti della cucina cinese, autentici e gustosi. Per immergervi in un mondo di sapori sia a pranzo che a cena. CURIOSITÀ E STORIA Il nome della nostro ristorante è quello di un personaggio immaginario, una sorta di genio del male nato dalla penna dello scrittore Sax Rohmer, che ha ispirato film, teatro e tv. I Fu Manchu sono anche un gruppo musicale Stoner rock statunitense. Insomma abbiamo tante storie esplosive da raccontarvi!

NATURA SI COME Un negozio di alimentazione biologica, con un assortimento di circa 2500 alimenti tutti certificato "bio", sia confezionati che freschi: pane, ortaggi, frutta e formaggi. DOVE Foligno zona Paciana Perugia Via Piccolpasso e Via della Pallotta PERCHÉ Consumare alimenti privi di residui chimici ci fa stare bene, i nostri prodotti non creano intolleranze e soprattutto non hanno subito in alcun modo manipolazioni genetiche; il loro sapore è reale e intenso. Tutto questo ci fa tornare ad assaporare i gusti veri del cibo, non dimenticandoci che questo comporta anche una salvaguardia per l’ambiente che ci circonda. CURIOSITÀ E STORIA Siamo una realtà che opera da più di 20 anni, facciamo consegne a domicilio e catering con gustose ricette che cuciniamo nel nostro negozio di Perugia.

Via Antonio Gramsci, 14 FOLIGNO (Pg) T. +39 0742 770612

FOLIGNO Via Giorgio Vasari, 15 T. +39 0742 615152 PERUGIA Via Piccolpasso 119, 15 T. +39 0742 615152 Via della Pallotta 45 T. +39 0742 615152

MASSATANI

BEDDINI BISTRÒ

COME Prodotti tradizionali a tiratura limitata, di alta qualità. Realizzati artigianalmente con metodi tradizionali e stagionatura naturale. Accompagnati dai migliori vini locali, birre artigianali e acqua di sorgente. DOVE Foligno centro, Largo Carducci PERCHÉ Perché desideriamo mantenere viva la tradizione dell’alta Norcineria del nostro territorio. Per concedersi una pausa di gusto semplice e genuino. Per ritrovare i sapori di una volta. CURIOSITÀ E STORIA Scegliamo la materia prima tra le eccellenze della nostra regione, la lavoriamo e la stagioniamo nella nostra bottega dove è possibile degustarla. Sapori antichi, semplici eppure indimenticabili, che arrivano sulla vostra tavola per regalarvi momenti di puro piacere.

Largo Giousuè Carducci, 36 FOLIGNO (Pg) T. +39 0742 450074

COME Beddini Bistro nasce dall’idea di creare un luogo dove il cliente possa godere di ogni nostro servizio a 360°, dalla colazione mattutina, al pranzo veloce, ma di qualità del nostro self-service, arricchito da pizza alla pala, per poi terminare con gustose apericena nel fine settimana, accompagnati da una vasta selezione di vini e birre artigianali. DOVE Foligno, nel cuore del centro PERCHÉ Il luogo perfetto per le tue pause, per ogni momento della giornata. Per una sosta in compagnia degli amici tra chiacchiere e relax o per uno spuntino veloce durante le giornate di lavoro. CURIOSITÀ E STORIA Tutto nasce dalla passione di Mauro Beddini che da giovane gira l’Italia apprendendo i segreti dell’arte pasticcera. Torna nella sua Foligno nel 1981, rileva un’antica e prestigiosa pasticceria ed insieme alla moglie Fulvia si dedica a riproporre la grande tradizione della pasticceria umbra, scegliendo la genuinità e la freschezza delle materie prime. Nel 2016 Mauro passa il testimone al genero Michael che porta con se la passione e la voglia di dare un’ondata di modernità con nuove proposte e idee per accontentare così anche il cliente più esigente. E’ così che la nostra attività diventa Bistro. Via Rutili 28/30 FOLIGNO (Pg) T. +39 0724 350196 Pranzo self-service dal Lunedì al Sabato

www.beddini.it


ARE, PROVARE, PROVARE O’MA’ COME La vecchia bottega di un tempo con prodotti selezionati ricercando sempre e rigorosamente la qualità. Un forno-pasticceria dal sapore genuino. Un luogo che ricorda con passione l’emozione del “fatto in casa”. Vi facciamo compagnia dalla colazione all’aperitivo, passando dallo spuntino al pranzo veloce. DOVE Foligno centro storico, in via Umberto I PERCHÉ Per il piacere di ritrovare i sapori semplici di un tempo; per le nostre materie prime di altissima qualità ; per la lavorazione a mano; per le lievitazioni naturali. CURIOSITÀ E STORIA Il nome O’MÀ nasce dalla forma dialettale con cui tutti i Folignati chiamano la propria mamma. O’MÀ vuole così rendere omaggio a tutte le mamme dalle mani sapienti che ci hanno da sempre deliziato con le loro bontà. Via Umberto I, 37 FOLIGNO (Pg) T. +39 333 7679585

UMAMI

MERENDONI COME La Pasticceria Merendoni è tappa fissa per chi cerca una colazione tradizionale e genuina. Brioche, cannoli, pizza sfoglia e pizza di Pasqua, sono solo alcune delle prelibatezze che da anni la Pasticceria sforna quotidianamente. La regina indiscussa è la crema pasticciera, che Sergio Merendoni prepara ogni mattina utilizzando il caldaio in rame usato ancora prima dal padre, Armando, da cui ha ereditato questa passione. DOVE Foligno, via Corso Nuovo, 5a PERCHÉ Come in una frase lasciata scritta sul muro, vicino la porta d’ingresso della pasticceria: “Che domenica sarebbe senza le pastarelle di Merendoni?” CURIOSITÀ E STORIA Fondata nel 1959 da Armando Merendoni, la pasticceria si trovava originariamente in Via Gramsci. Qualche cliente si ricorda ancora la fila che si creava al di fuori del locale, dove la pizza veniva venduta al peso e un giovanissimo Sergio inizia a muovere i suoi primi passi in campo di Pasticceria.

Via Corso nuovo, 5a FOLIGNO (Pg) T. +39 0742 352310

LA SELVA

COME Bar, pasticceria, gelateria, ristorazione o cocktails bar qualsiasi proposta firmata Umami è unica, inimitabile e squisitamente buona. Solo quando si vuol dare agli altri la qualità che si pretende per se stessi si ottiene il risultato che Umami propone ogni giorno a Foligno. DOVE Nel cuore di Foligno in quello che i folignati chiamano il “Trivio”, che però è il Quadrivio. PERCHÉ Perché siamo fatti così… “Semo gente de Foligno!!!!!!!” La sfida è quella di offrire qualcosa di diverso, di altissima qualità, di grande innovazione. CURIOSITÀ E STORIA Umami (giapponese: 旨み、味、うまみ) è uno dei cinque gusti fondamentali percepiti dalle cellule recettrici specializzate presenti nel cavo orale umano (gli altri sono dolce, salato, amaro e aspro). Noi offriamo un nuovo gusto, un gusto frutto della nostra passione, della nostra competenza e dalla nostra volontà di proporre il meglio e il nuovo ai nostri clienti. Clienti unici e altamente preparati, esigenti e gentili.

COME “La selva” è una location gastronomica, fresca e allegra. Il menu di 16 piatti cambia ogni mese per dare spazio a stagionalità, freschezza e creatività. Un luogo casual dove potrete sentirvi come a casa. Venticinque coperti, uno chef e una cameriera per portarvi una cucina buona. Cuciniamo quello che ci piacerebbe mangiare. La nostra enoteca rappresenta la regione Umbria. “No, la Falanghina non c’è!” Ma troverete vini di piccole cantine, uvaggi non banali, metodi di vinificazione interessanti. DOVE Assisi centro storico PERCHÉ Lo staff della Selva è composto da ragazzi giovani, ristoratori della nuova generazione. Lavorano per la passione e l’amore e non per la fama. Sono quei tipi strani che fanno 12 ore al giorno e vanno a casa felici e sodisfatti. CURIOSITÀ E STORIA Il ristorante è stato aperto 6 mesi fa. Venite a trovarci e creiamo la nostra storia insieme!

Via Giuseppe Garibaldi, 11 FOLIGNO (Pg) T. +39 0742 359916

Via Cardinale Raffaele Merry del Val, 3/C ASSISI (Pg) T. +39 075 816129 /+39 331 9529627


ENOTECA & LOCANDA STELLA

STELLA RISTORANTE VINERIA LOCANDA Via Narcisi, 47 A - Perugia +39 075 6920002 info@stellaperugia.it

RISTORANTE VINERA

LOCANDA

Cucina tipica umbra, territorio e filosofia Slow Food. Questi i principi dell' Osteria Stella di Perugia, dove il gusto è sincero e naturale. Qui la cucina è genuina: tutte le preparazioni sono artigianali, gli ingredienti sempre di stagione e provenienti perlopiù da piccole aziende del territorio. Pane fatto in casa a lievitazione naturale, pasta tirata al mattarello e zuppe di legumi, carni umbre con ampia presenza di animali da cortile (il piccione ripieno è diventato un must!), ricette a base di pesce del Trasimeno e dolci fatti in casa. La carta dei vini conta circa 400 etichette da tutto il mondo con un'ampia scelta di vini naturali, da bere comodamente seduti al tavolo o da portare a casa.

Locanda Stella è più di un B&B, è un progetto di lavoro e di vita. La struttura offre 5 camere in un Gourmet Hotel, con un arredamento suggestivo, ottenuto con materiali di recupero e tessuti di qualità. Anche il B&B rispecchia la filosofia slow del ristorante: rispetto del territorio e conoscenza della tradizione per esaltarne le qualità uniche e inimitabili. La Locanda è dunque la naturale evoluzione del nostro modo di intendere l’ospitalità in Umbria. “cogliere la bellezza e il significato in tutte le cose” è il principio che guida ogni scelta di Stella.

LA FAVORITA

FAVORITA OSTERIA LOCANDA GASTRONOMICA Via Andrea Costa 18 - Bastia +39 075 800 2832 info@relaisfavorita.com

OSTERIA EMILIANA

LOCANDA

Passione, tradizione e stagione. Sono i 3 capisaldi attorno ai quali ruota la cucina di questo luogo. A l’Osteria Emiliana il cibo è piacere condiviso, allegria, convivialità. I prodotti sono selezionati con grande cura e sono tutti senza conservanti, coloranti o additivi. Le terre, coltivate in modo biologico, producono gli ortaggi cucinati freschi ogni giorno. Qui tutto è fatto in casa con ingredienti naturali, dalle torte alla pasta o commissionati a piccoli produttori specializzati della zona.

Essere accolti con un sorriso, il profumo del pane appena sfornato, quattro chiacchiere in compagnia, il ritmo lento della campagna. Vi stupirà la naturalezza con cui vi sentirete subito a vostro agio in questa locanda. È un segreto fatto di piccole attenzioni, di lusso non ostentato, di piaceri semplici e appaganti. la Locanda sorge in un ambiente rurale di rara bellezza. Se cercate un posto qualunque non fermatevi qui! “Siamo diversi e non possiamo farci nulla. Solo questo possiamo proporvi: accoglienza, sapore e personalità”!

DODICI RONDINI

OSTERIA DODICI RONDINI Piazza XX Settembre- Foligno +39 0742 352100 osteriadodicirondini@gmail.com

OSTERIA

LOCANDA

Il piacere del buon cibo, l’armonia dell’incontro, la gioia dello stare insieme. All’Osteria Dodici Rondini non potrete far a meno di conoscere Damiano, oste e cuoco, appassionato di cibo buono, di vini naturali, di musica reggae, di buone letture e di buone compagnie con cui condividere tutto ciò. L’osteria è in Piazza XX Settembre, una delle piazze più suggestive di Foligno, a 100 metri da via Gramsci, via della "movida" e a 200 dalla piazza del comune. A pochi metri c'è il "parcheggio Centrale", economico e funzionale.

Un soggiorno dal gusto vero, tra divertimento, buon gusto e serenità. Il tuo appartamento in una palazzina del '500, in pieno centro storico, a 200 metri dalla piazza centrale della città. La locanda propone appartamenti con cucina attrezzata, di recente ristrutturazione, piacevoli e arredati con buon gusto. Al piano terreno c'è la famosa "Osteria Dodici Rondini", che applica delle condizioni particolari ai clienti che soggiornano presso la struttura.


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LE LORO RICETTE ...la tua tavola Chef: Assunta

Ristorante La Bottega Di Assù / Bevagna

Dolcetti secchi anice, cannella e cioccolato fondente INGREDIENTI:

1 tazza di zucchero integrale 1 tazza di sagrantino passito 1 tazza di olio evo (extravergine d’oliva) 4 o 5 cucchiai ci semi di anice 1 cucchiaino di cannella 2 pezzi grandi di cioccolato fondente al 70% tagliati finemente Circa 1 Kg di farina integrale macinata a pietra Una piccola quantità di farina di farro (serve per unificare l’impasto)

maneggiare per amalgamarli. Aggiungere un po’ alla volta la farina integrale e alla fine un po’ di farina di farro fino ad ottenere un impasto morbido, morbido! Stendere un po’ di impasto alla volta e fare i dolcetti con gli stampini, io uso stampini molto piccoli :cuoricini, stelline, bottoncini ecc Intanto avrete anche messo in un piatto un po’ di zucchero semolato integrale dove passerete i biscottini prima di metterli nella teglia munita di carta forno. Cuocere al forno preriscaldato a 250 gradi per circa 20 minuti (dipende dal vs forno).

Procedimento - Mettere tutti gli

ingredienti (Olio, passito, zucchero, anice, cannella, cioccolato) in un recipiente e

Corso Giacomo Matteotti, 102 Bevagna PG T. 0742 360978

Tortelli di prosciutto e fichi, fichi e brodo di prosciutto

Chef: Marco Gubbiotti Ristorante CUCINAA / Foligno

INGREDIENTI PER 4 PERSONE 200g di pasta all’uovo (dose per un 1 kg: 1 kg di farina tipo 1 molino Petra, 10 uova intere) 250g. di prosciutto crudo + un pezzo di osso del prosciutto 250g. di fichi freschi 30g. di parmigiano grattugiato 30g. di pane grattugiato buccia di limone noce moscata 1 cipolla 1 carota 2 coste di sedano 1 foglia di alloro 5 pomodorini maturi Procedimento - Preparare la pasta, avvolgerla in una pellicola a riposare in un luogo fresco. Pulire i fichi da eventuali macchie o parti rovinate, ma il resto della buccia va lasciata perché darà consistenza al ripieno, macinare il prosciutto e i fichi insieme, lasciandone una piccola parte per la presentazione, unire il parmigiano, la noce moscata, la

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buccia di limone, il pane, aggiustare di sale. Mettere a bollire dell’acqua in una pentola capiente, immergervi l’osso del prosciutto, lasciare bollire per 5 minuti, poi buttare l’acqua. Ripetere questa operazione altre 2 volte. Mettere a bollire altra acqua questa volta con il sedano, la carota, la cipolla, i pomodorini e la foglia di alloro reimmergere l’osso e far bollire per almeno 2 ore lentamente. Filtrare il brodo e farlo raffreddare anche in congelatore in modo che tutte le impurità si depositino e che il grasso affiori. Aggiustare di sapore. Tagliare a cubetti i rimanenti fichi e condirli con poche gocce di limone. Cuocere i tortelli in acqua salata, scolarli in una padella con poco olio. Nel piatto mettere i fichi conditi, i tortelli e poi il brodo caldo. Il piatto gioca sugli stessi sapori, quindi trovare il giusto equilibrio diventa importante.

Viale Firenze, 138a – FOLIGNO PG T. 0742 22035 - info@cucinaa.it


Chef: Stefano Marconi Osteria CUORE PICCANTE / Foligno

Millefoglie di mele caramellate con spuma di miele INGREDIENTI

Mele Zucchero di canna Cannella

Procedimento - Tagliare le mele sottilissime e passarle, una ad una, in un mix di zucchero di canna e cannella (ogni 2 cucchiai di zucchero 1 cucchiaino di cannella). Stendere le mele in una teglia con carta forno e passarle in forno a 100 gradi per circa 2 ore. Quando le mele sono pronte (si devono leggermente asciugare) le poniamo in congelatore.

Ingredienti per la spuma:

100gr di albume 150gr di miele 50gr di zucchero 250ml di panna

Mettere in una planetaria gli albumi e far cominciare a girare. Nel frattempo porre il miele e lo zucchero in un pentolino e lo portarlo a 119 gradi. Una volta raggiunta la temperatura versare il liquido a filo nella planetaria che dovrà girare fino a quando il composto si raffredda. Poi montiamo la panna e uniamo i due composti. Adesso costruiamo il piatto, che dovrà essere composto da sfoglia di mela e spuma fino a creare 4 strati. Aggiungere alla fine una spruzzata di cacao.

Via Giuseppe Garibaldi, 73/75 Foligno PG T. 0742 353463

Fagioli alla Bud Spencer e Terence Hill

Chef: Filippo Artioli

Ristorante La Trattoria di Oscar / Bevagna

Ricetta per 20 amici golosi Ingredienti per la sfoglia: 9 uova freschissime 1 kg farina (ma quella bona) Ingredienti per la farcitura: 1kg di salsiccia fresca 120g. di conserva di pomodoro casareccia 10dl di olio Moraiolo dei Monti Martani Ingredienti per la zuppa cremosa: 0,8kg di fagioli borlotti freschi (se ci sono) oppure secchi 0,5kg di cipolle rosse di Cannara 0,5kg di carote 0,5kg do sedano nero di Trevi 1 peperoncino habanero 1Lt di conserva di pomodoro 5 spicchi d’aglio ½ Lt di olio, di Torre del colle.

Procedimento - Preparare la farcitura omogenizzando la salsiccia con l’olio e la salsa. Mettere nella sacca e farcire i tortelli, tirati al mattarello. Cucinare nel fondo di verdure i fagioli per 40 minuti circa fino a raggiungere lo spappolamento. Omogenizzare e setacciare la zuppa aggiungendo un po’ di brodo di pollo per lasciarla lenta. Aggiustare di sale, pepe e rosmarino tritato . Cucinare i tortelli direttamente nella zuppa . Servire bollente con un cucchiaio, anzi due di olio, una bella grattugiata di pecorino stagionato come un Grana, ma che venga da Cascia. Gustare bevendo vino rosso di Montefalco

Piazza del Cirone, 2, 06031 Bevagna PG T. 0742 361107 - info@latrattoriadioscar.it

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A ZONZO IN UMBRIA B&BGiulia Il nostro B&BGiulia è situato a Foligno in pieno centro storico, a 100 metri dal corso principale e 400 mt dalla caserma Gonzaga. La struttura vanta di veri e propri mini appartamentini familiari dotati di camera, bagno e soggiorno; sono inoltre muniti di tv led, armadio, biancheria e connessione wi-fi gratuita. Il nostro B&B offre inoltre una terrazza comune. Il vero punto di forza è la ricca colazione che serviamo direttamente al nostro bistrò, sottostante alla struttura.

B&B GIULIA Via Antonio Rutili, 34 - Foligno (PG) +39 328 5813991 info@bnbgiulia.it

All’Altana Chiarucci

All’Altana Chiarucci Via Giuseppe Piermarini Foligno (PG) +39 327 0771757 altanachiarucci@gmail.com

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All’Altana Chiarucci è un luogo magico che si trova nelle vie del centro storico di Foligno. Un palazzo storico, ristrutturato per dare all’ospite le comodità del mondo contemporaneo mantenendo lo stupore per quello antico. Travi in legno, pareti colorate, un arredamento curato nei minimi dettagli, un’ospitalità offerta per far sentire l’ospite a casa, per renderlo parte del luogo che incontra. Così la struttura sa avvolgere chi vi entra, attraverso la cura con la quale è stata costruita, come l’altana, da cui il b&b prende il nome, un luogo incastonato tra i tetti della città, dove poter rilassarsi leggendo un buon libro o gustando un ottimo bicchiere di vino in compagnia, immersi nella bellezza che vi circonderà.


VIAGGIARE

UMBRIA

Alessandro Turco e l’Umbria… una storia d’amore Sull’amore di coppia potremmo scrivere milioni di pagine senza venirne a capo. Di certo però potremmo trovarci d’accordo sul fatto che l’amore non conosce limiti, odia le regole e vive gli stereotipo solo come schemi da rompere. Proprio per questo vogliamo raccontarvi di un duo che scardina l’idea stessa di coppia. Sono il documentarista pugliese Alessandro Turco e l’Umbria. Uno “straniero” e una terra che sa accogliere. Lui la ama alla follia, lei si lascia accarezzare fiera e rigogliosa. Un amore di distanze e incontri struggenti, di ricordi ed esperienze. Una passione di luoghi ed emozioni, di sguardi e attese, di conoscenza e comprensione. Quello che state per leggere è un racconto d’amore. Per chi non conosce l’Umbria sarà un modo tenero per scoprire una terra attraverso gli occhi di un innamorato. Per gli umbri sarà sorprendente ritrovare la trepidazione della scoperta, sarà un modo per togliere la polvere dell’abitudine e guardare con gli occhi della meraviglia. (Roberta Palmioli)

Rivedo l’Umbria ad occhi aperti, quelli che hanno visto gli svaghi Alessandro Turco

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a qui, da Lecce, dove sono ritornato a vivere da qualche anno, vedo l’Umbria con lo sguardo di chi è appena salito su un treno e, affacciandosi al finestrino, è già sopraffatto dalla malinconia della partenza. Parlare dell’Umbria significa raccontare una storia d’amore che non si è mai conclusa e che ha vissuto momenti di straordinaria intensità, per cui vale la pena voltarmi e rivisitare il mio tempo, un po’ come fa il Napoleone di “Verso Sant’Elena” dello scrittore ferrarese Roberto Pazzi. Faccio mio il sentimento di Adriano, successore di Traiano, della cui voce e testimonianza si è fatta interprete Margherite Yourcenar nel suo libro “Memorie di Adriano”: l’imperatore indirizzò una lettera al figlio adottivo Marco Aurelio, in cui raccontò i momenti più importanti della sua vita, rivivendo la sua giovinezza lontano da Roma e ripercorrendo momenti che non tornano più. In quella fase della sua vita, Adriano era un imperatore che aveva iniziato a morire (io ancora non ne ho assolutamente intenzione), e poco prima che tutto finisse, scrisse questi versi: “Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora ti appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai piu’ gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai piu’... cerchiamo di entrare nella morte ad occhi aperti...”. Ecco, proprio come lui, vorrei dire degli anni vissuti in Umbria, guardandoli da qui, da lontano, come chi non vedrà più gli “svaghi consueti” perché appartengono ad

un altro tempo. La mia vicenda in Umbria ha inizio a Perugia. Mii iscrissi alla facoltà di Ingegneria Civile, nello stesso periodo in cui ero impegnato nel servizio militare di leva obbligatorio che, guarda caso, ebbe come tappe dapprima la Caserma operativa di Spoleto e poi l’Ospedale Militare di Perugia. In quel periodo nacquero le prime amicizie negli ambienti universitari: in particolare conobbi Gianni, un ragazzo fuori sede che, nel corso del tempo, è diventato come un fratello. Con lui ci vedevamo a cena abitualmente il lunedì ed il venerdì ed era consuetudine terminare il pasto con cioccolato fondente ed un bicchierino di grappa. Dopo aver discusso e litigato di politica, con la foga che è dei ventenni, lui comunista, io anticomunista, ci mettevamo a leggere, alternandoci, brani di poesie di poeti in prevalenza americani. Tra gli italiani, erano immancabili le pagine di Pasolini, in particolare quelle tratte da “Poesia in forma di rosa” e “Trasumanar e organizzar”. Trascorrevano i giorni e successe che m’innamorai di una ragazza inglese, al suo primo soggiorno lontano dal proprio Paese. La conobbi per caso, in un pomeriggio di pioggia: era sotto un ombrello, come protetta da un’ amica comune, molto più alta di lei. Mi piaceva il suo viso e decisi di cercarla nei giorni successivi. Qualcuno mi indicò la sua casa. Abitava in via Volte della Pace, nel ghetto ebraico perugino. Pur non sapendo parlare la sua lingua, decisi comunque di presentarmi da lei con un mazzo di fiori. All’uscio di casa, entrambi imbarazzati, ci

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scambiammo solo un sorriso. Con ampi gesti mi fece cenno di entrare e m’invitò a sedermi in una stanza dove un gruppo di altri ragazzi stranieri guardava un programma televisivo italiano. Probabilmente iniziavano ad imparare la nostra lingua. Trascorse quasi un’ora. Ogni tanto io e lei cercavamo i nostri sguardi per tornare a sorriderci ancora. Poco tempo dopo, lei lasciò definitivamente l’Italia. Nelle settimane successive, iniziai a frequentare una ragazza della periferia di Perugia ed i fine settimana, visto che era estate, anche per conoscere il territorio, andavamo in giro per le sagre più caratteristiche della zona. La prima fu quella di San Fortunato della Collina. 1 Di volta in volta, mi accadeva di provare uno strano benessere a passeggiare in quei borghi. Preferivo di gran lunga camminare per i vicoli, le piccole piazze di quell’antico mondo rurale anziché fare le cosiddette “vasche” in Corso Vannucci. Sentivo di appartenere ad un tempo che non era il mio. Qualcosa in me si stava muovendo e sempre più assumeva la consistenza di un magma. Finché una domenica successe qualcosa che preannunciò una nuova consapevolezza nella mia vita. Avvenne che, sempre lei, m’invitò a fare una passeggiata a Colle Umberto per conoscere la “Villa del Colle del Cardinale”, luogo di delizia e poi residenza di artisti e letterati come Ungaretti e Cardarelli. Subito dopo proseguimmo per l’Abbazia di San Salvatore e quindi per l’Eremo di Monte Corona, all’epoca abitato

Una storia d'amore tra un uomo e una terra

"Avevo sete di riempire la mia vita di Bellezza, di armonia, di conoscenza" 54

dalle “Sorelle di Betlemme”. Percorremmo in salita una strada bianca con ai lati rovi di more e alla fine di un lungo viale vedemmo la facciata d’ingresso al Convento. Ci avvicinammo. A destra, lungo la porta da cui si accedeva al Convento, scorreva una cordicina bianca collegata ad una campanella; accanto c’era uno spioncino rettangolare. Decidemmo di tirare la cordicina. Sopraggiunse una suora. Mi accorsi di lei ascoltando la sua dolcissima voce: “Mi dispiace, non si può entrare. Siamo suore di clausura. Si può solo sentire il canto delle sorelle la domenica alle 5.00 ...”. La sua voce era così meravigliosa e pura che feci un salto verso lo spioncino, ed ebbi solo il tempo di notare i suoi occhi azzurri di donna giovanissima, incorniciati nel suo abito, ed il sorriso con cui ci salutò. Si voltò e a passo veloce, nascosta nel saio, andò via. Credo che quel momento sia stato l’inizio del mio incantamento. Nei giorni successivi vissi un insolito stato, come febbrile e da cui non sapevo curarmi. Il magma dei mesi precedenti prendeva forma, anche se molto lentamente. Non riuscivo a dargli un nome. Ricordo la difficoltà e la sofferenza di spiegare a chi mi voleva bene, che cosa mi stesse attraversando. Avevo sete di riempire la mia vita di Bellezza, di armonia, di conoscenza. Nei miei occhi ritornavano continuamente le immagini di quell’Abbazia, delle colonne tortili, degli affreschi. Chi aveva generato tanta Bellezza? Di chi erano le mani che avevano posato sulla terra, una ad una, quelle pietre? Pensando all’Eremo, alle suore in clausura, mi chiedevo quale fosse la motivazione straordinaria per cui si ha l’esigenza di andare a vivere lassù, in


solitudine, affidando la propria giovinezza e se stesse a qualcuno che non si conosce, anzi, annullandosi in Lui... Iniziai a leggere tantissimo. Trascorrevo le notti sveglio sino all’alba. Passavo dai testi sacri a quelli d’arte, finendo ai testi di Oriana Fallaci, a quelli di Dostoevskij, Tolstoj, Cioran, Canetti. Guardavo tutti i film di Fuori Orario: da Bergman a Kurosawa, da Dreyer a Tarkovskij e a Sokurov. Insomma, decine di personaggi e situazioni frequentavano le mie notti. Infatti, mentre il tempo trascorreva, facendo riferimento ad un’immagine letteraria, avevo una vaga somiglianza con l’hidalgo della Mancha... Come lui, la realtà che vivevo mi piaceva sempre meno e iniziavo a “visitare” l’immaginario, sentendolo come una necessità impellente. Nella camera del mio appartamento perugino, avevo appeso ad una parete la poesia di Pasolini “Io sono una forza del passato” che era una sorta di guida, di mantra, di canzone d’amore “... solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale di altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini dove sono vissuti i fratelli...” Ormai, ogni lunedì, aspettavo la domenica successiva, che era l’unico giorno in cui si potesse andare in giro, con la gioia con cui si attende il Natale. Mi sentivo come “posseduto” dalla Bellezza e dalla magia dei borghi umbri. Ero inquieto, non conoscevo stanchezza. Appena concludevo un itinerario di visita, pensavo al successivo. Studiavo attentamente l’itinerario sulla gran-

"Mi sentivo come “posseduto” dalla Bellezza e dalla magia dei borghi umbri."

de mappa geografica dell’Umbria, mentre la mia compagna si occupava di preparare i panini e già dalla prima ora partivamo alla scoperta dei 2 piccoli borghi umbri. Lei alla guida della sua Austin Metro grigia ed io al suo fianco a leggere ogni informazione possibile su eremi, chiese, pievi, castelli.
In pochi anni abbiamo esplorato tutta la regione, visitando quasi tutti i paesi umbri: Migiana di Monte Tezio, Canoscio, Petroia, Solomeo, Agello, Giano, Colvalenza, Dunarobba, Antognola, Pieve del Vescovo, Mongiovino, Mugnano, Montalera, Camporeggiano, Montelabate e poi Greppolischeto, Montegiove, Gaite, Cibottola, Montepetriolo, Spina, Castelbuono, Limigiano, San Terenziano ... Alcuni hanno inciso nella mia vita e sono il mio respiro. Assisi è stato il luogo dove ho conosciuto lo spirito e la magia del mondo francescano. Più volte sono andato al Sacro Convento, a colazione dai miei amici frati francescani: Padre Kevin, un uomo di origine irlandese, di straordinaria intelligenza e simpatia; padre Joseph, che nella sua stanza mi fece vedere la spada con cui simulava i duelli per calarsi nei personaggi delle sue storie medievali. A volte, anche con gli stessi frati, andavo a cena a “La Stalla”. Sceglievo sempre lo stesso piatto: patate arrosto e scamorza affumicata al coccio. Usa il qrcode a fianco, per continuare la lettura sulla nostra pagina facebook

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VIAGGIARE

L’elefante e la colomba: viaggio in Messico sulle orme di Frida e Diego Valentina Castellano Chiodo "Vorrei solo essere lì dove sei tu. Vorrei solo fidarmi di te ed amarti e stare con te. Solo con te, dentro di te, intorno a te, in tutti i posti concepibili ed in quelli inconcepibili. Mi piacerebbe essere lì dove ci sei tu. " Frida Kahlo

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DIEGO

FRIDA A

il viaggio inizia dal Messico

volte l’amore crea luoghi fantastici, unici unicamente per i due amanti, che si incontrano fuori dal tempo e dallo spazio. Nascono in questa dimensione i messaggi d’amore e di dolore straziante, le lettere e i numerosi scritti, disperate dichiarazioni alla vita e all’arte dell’impareggiabile Frida Khalo, che dal Messico ha conquistato il mondo intero, rovesciando schemi e convenzioni, in un viaggio denso di immagini e interpretazioni surreali, intensamente legate alla sua terra e all’amore controverso della sua vita, Diego Rivera. Il viaggio sulle orme di questi due artisti parte da Città del Messico ed esattamente a Plaza de la Constitución, cuore della vecchia e nuova città, dove si incontrano il Palacio Nacional o la Catedral Metropolitana, un tempo fulcro delle preghiere della città azteca, Tenochtitlán. Questa zona è anche detta Zócalo e ospita l’Antiguo Colegio de San Ildefonso, che Frida frequentava e dove, giovanissima, conobbe Diego, mentre dipingeva il suo famoso murales. Ho subito due gravi incidenti nella mia vita il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego Rivera. Questa è forse una delle frasi più note e significative di Frida che ricorda l uomo più crudele che le ha rubato il cuore, ma anche il grave incidente sullo scuolabus, avvenuto nel 1925, che la costrinse a restare immobilizzata per un anno e dal quale non si riprese mai completamente. Fu da quel momento che la pittrice messicana iniziò a dipingere autoritratti, scrutandosi a uno specchio montato sul letto, iniziando a dipingere il suo mondo colorato e originale. Circa tre anni dopo Frida cercherà Rivera per chiedergli il parere sui suoi dipinti e da quel momento il loro mondo sarà inseparabile, fino al matrimonio nell anno successivo, senza pensare alle critiche per i loro 22 anni d età di differenza e alle voci dei genitori della Frida ventiduenne che videro questo legame come il matrimonio tra un elefante e una colomba. Ma quali sono i luoghi immancabili per ritrovare le tracce di Frida e Diego? Si trova nel quartiere di Coyoacán la tappa imperdibile: è la celebre Casa Azul, deliziosa hacienda di famiglia che l’artista volle colorare con l’eccentrico blu maya, dove nacque, visse gran parte della sua vita, tornò a vivere dopo il divorzio con Diego per poi riaccoglierlo e risposarlo nelle sue stesse stanze dove infine morì, oggi diventato il Museo Frida Kahlo, interamente dedicato alla sua vita, le sue collezioni d’arte precolombiana, gli abiti tradizionali, le fotografie di famiglia, naturalmente scrigno delle sue opere (museofridakahlo.org.mx/ en/). Dopo le nozze e un periodo a New York, la coppia si trasferisce nel quartiere di San Ángel, dove c è un altro edificio che rappresenta in pieno queste due anime così diverse. È il Museo Casa Estudio Diego Rivera y Frida Kahlo, un complesso costituito da 3 palazzi diversi, progettato dall’architetto e pittore amico della coppia Juan O’Gorman: la casa e lo studio di Diego erano collegati con un ponte all’ultimo piano che portava all’edificio in cui c’era la casa e lo studio di Frida. Altra tappa immancabile, anche se poco fuori dal centro, è il Museo Dolores Olmedo, donna d’affari,

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mecenate e probabilmente anche amante di Diego, che in vita raccolse un grande numero di dipinti di Frida e Rivera, insieme a opere di altri artisti loro contemporanei e amici, oggi esposte nella antica hacienda cinquecentesca. Tornando in città si può raggiungere la zona del Bosque del Chapultepec, polmone verde che ospita importanti palazzi come il Museo de Arte Moderno, che raccoglie opere d’arte messicana, prodotta dagli anni Venti del Novecento: le opere di Frida e Diego si incontrano nella sala C, al primo piano. Gli amanti dei selfie adoreranno la panchina con la scultura che rappresenta la coppia di artisti all’interno del giardino nella Casa de Cultura Jesús Reyes Heroles, mentre i più romantici non perdano la visita nel Parque Frida Kahlo, dove le due statue in bronzo a grandezza naturale di Frida e Diego sembrano passeggiare e parlare lungo il viale, nascosti fra gli alberi dal caos della città. Se volete fermare il tempo in questo luogo quasi magico, fate come faceva lei e sussurrate all orecchio del vostro amato una delle più dolci dediche scritte da Frida: Voglio essere la tua casa, tua madre, la tua amante e il tuo figlio Ti amerò dal panorama che vedi, dalle montagne, dagli oceani e dalle nuvole, dal più sottile dei sorrisi e a volte dalla più profonda disperazione, dal tuo sonno creativo, dal tuo piacere profondo o passeggero, dalla tua stessa ombra o dal tuo stesso sangue”.

le opere di Frida e Diego al museo di Arte moderna

BOX Lonely Planet, una storia d’amore in viaggio Dietro il nome di una delle più note casa editrici di viaggio, che diffonde guide turistiche in tutto il mondo c’è una coppia. Si tratta di Tony e Maureen Wheeler, australiani che nel 1973 dopo un viaggio in Turchia, passando per paesi affascinanti e luoghi ancora remoti in Iran, Afghanistan, Pakistan, fino all’India e al Nepal, iniziarono a scrivere il loro primo libro di viaggio a quattro mani, Across Asia on the Cheap: da lì a poco il successo del loro volume che raccontava l’Asia per chi vuole viaggiare low-cost lo trasformò in un best sellers a cui seguirono una serie di altri volumi fino agli innumerevoli titoli che riempiono le libreria di tutto il globo fino ai giorni nostri. Forse non tutti sanno che il significato del nome si riferisce al modo di dire Lonely heart (che tradotto significa cuore solitario) e che associato a Planet, pianeta solitario, è una sorta di invito verso i viaggiatori a scoprirlo, viaggiando, condividendo, innamorandosi dei luoghi e delle persone che lo abitano.

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progetto grafico studio m_a_g_d_a


Esperienze ed emozioni trasformano l’Ostello Dimenticate la vostra idea di ostello. Abbandonate le immagini anni ’80 d’immense camerate, letti che cigolano e bagni spaventosi. Il vecchio ostello si trasforma, si rigenera non solo nella struttura, ma soprattutto nell’anima e diventa HOSTEL BOUTIQUE. Semplicità, bellezza, socialità e comfort queste sono le parole d’ordine di un concept completamente nuovo ed estremamente attuale che nasce contemporaneamente in Umbria e in Trentino. Il progetto e l’innovazione sono frutto del lavoro della cooperativa il Faggio, guidata dal project manager Francesco Serafini, che gestisce Palazzo Pierantoni, l’ostello della città di Foligno e l’Ostello città di Rovereto, in Trentino. Due strutture, due mondi eppure una stessa idea di benessere e fruizione degli spazi immersi nella città, nell’identità e nella cultura di un luogo. “Il vero lusso è stare bene” è con questa affermazione (del giornalista Andre Cuomo)

Foligno

che la cooperativa vuole descrivere la sua filosofia. Questi nuovi ostelli, detti smart, sono luoghi accoglienti e curati, dove si possono scegliere varie sistemazioni e dove si può usufruire di molti comfort e servizi, non si tratta più di un semplice “tetto sulla testa a poche lire”, ma di luoghi in cui si trovano stimoli esperienziali e sensoriali che danno contenuti e ricchezza al proprio soggiorni.

Rovereto

OSTELLO PIERANTONI Via Pierantoni, 21, 06034 Foligno PG T. + 39 0742 353776 info@ostellodifoligno.it | www.ostellodifoligno.it

OSTELLO CITTÀ DI ROVERETO Via scuole, 18 – 38068 Rovereto TN T. +39 0464 486757 info@ostellorovereto.it | www.ostellorovereto.it

E’ proprio il concetto di esperienza ed emozione che trasformano lo stare in un luogo nel vivere un luogo. Arredi di design, camere con soffitti affrescati, giardini, oasi di verde nella città, kermesse culturali organizzate durante l’anno diventano il cuore pulsante delle proposte di soggiorno, ma anche l’occasione di per far vivere gli spazi non soltanto ai turisti. La vera rivoluzione, infatti, parte dagli spazi comuni trasformati occasionalmente in piccole gallerie d’arte. In questa logica Ostello Pierantoni e Ostello Città di Rovereto hanno sviluppato il cosiddetto progetto HOSTEL IN ART (HiA). Periodicamente i due ostelli ospitano kermesse di tipo culturale e artistico esponendo opere d’arte, fotografie, stendardi di artisti locali, nazionali ed europei. Rientra proprio in questo progetto la kermesse scultorea con artisti del Montefeltro che prenderà vita a primavera 2020, presso Palazzo Pierantoni.



CONVERSARE

Attilio

INTERVISTA

Clizia

Cantautore, Attore

Attrice, Scrittrice

Clizia Fornasier e Attilio Fontana galeotto fu Tale e Quale Show Nel 2013 Attilio ha vinto il programma, ma soprattutto ha conosciuto Clizia Un grande amore, due bambini e tanti progetti tra musica, teatro e libri Layla Crisanti

S

e dico Attilio Fontana la mia amica smette di respirare e inizia a cantare “Se questo fosse vero amore, vero amore… …” (Nonostante i trent’anni suonati gli ormoni della quattordicenne non crescono mai!) Attilio Fontana invece, dai tempi dei Ragazzi Italiani, è cresciuto molto e di strada ne ha fatta tantissima. Cantante, cantautore, attore, un artista complesso dalle mille sfaccettature.

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CONVERSARE

INTERVISTA

Ha recitato in televisione e al cinema; è stato protagonista di molti programmi, tra cui Tale e Quale Show e Pequeños Gigantes; ha calcato tanti palcoscenici con spettacoli teatrali e grandi musical (come ‘Tosca Amore disperato’ di Lucio Dalla, per il quale ha ricoperto il ruolo di uno dei protagonisti e composto alcuni brani) e non ha mai smesso di amare il teatro e la musica, di cantare e scrivere,ha pubblicato diversi dischi e recitato in molti spettacoli tra cui Vacanze Romane e Actor Day. Oggi però Attilio si lascia guardare non soltanto come un artista, ci apre le porte di casa sua. Quella che ci racconta è una storia di vero amore, l’amore che da diversi anni vive nella quotidianità con Clizia Fornasier. Anche lei volto della televisione italiana, cantane, attrice del grande schermo e da poco anche scrittrice. Una coppia dall’alto tasso artistico insomma, una coppia che divide le proprie giornate tra la famiglia e un lavoro, che non è proprio comune. Ebbene sì sono una coppia famosa, con i figli in camerino e i viaggi continui, ma anche una mamma e un papà come tanti con l’amore che traspare dallo sguardo. Eppure non sono una coppia come tante, basta leggere quello che scrivono nei social e parlare un po’ con loro per capire con quanta raffinatezza e con quanta profondità si muovano nel mondo.

Clizia Fornasier cantante, attrice, scrittrice e mamma innamorata

La prima domanda è di rito: come vi siete conosciuti? “Galeotto fu il programma… Ci siamo incontrati a Tale e Quale Show nel 2013 (Attilio ha vinto l'edizione ndr). Eravamo entrambi concorrenti. Io avevo già visto dei film in cui c’era lei, ma non l’avevo riconosciuta. Poi è passato un po’ di tempo, ci siamo frequentati, scoperti, ci siamo annusati per un po’…” Direi che vi siete piaciuti… “Adesso siamo una famiglia. Abbiamo due bambini, Blu è il più grande e ha quasi quattro anni poi c’è Mercuzio che ha 9 mesi. Quando possiamo stiamo tutti appiccicati”. Com’è gestire la carriera e la famiglia? “E’ faticoso perché i bambini sono sempre con noi e ci vuole molta organizzazione. A volte ci aiuta la mamma di Clizia, ma per la maggior parte del tempo ci alterniamo io e lei. E’ faticoso, ma è bellissimo. Certo la nostra routine non è come quella di tante altre famiglie, o meglio non abbiamo una routine. Siamo una famiglia un po’ caravan, ci spostiamo spesso, viaggiamo tanto, ma i bambini sono allegri e sereni, sono abituati ad abitare i teatri e i camerini, sono socievoli e fanno amicizia con tutti. Alla fine è una grande avventura”. Insomma vi supportate a vicenda… “nell'arte e nella “Viviamo nella gioia di condividere e sostenerci l’un l’altro. Non facciamo le prime vita ci contaminiamo” donne, siamo sempre felici dei successi dell’altro. Nel mondo dello spettacolo, e non

solo, molte coppie vivono la gelosia quando l’altro ottiene grandi risultati, per noi non è così”.

Due bambini, il mondo dello spettacolo… quanta fatica? “In realtà non ce ne siamo neanche accorti. Le cose succedono e noi ci viviamo dentro. In questi anni io ho fatto dodici spettacoli, Clizia ha recitato in due film e ha scritto un romanzo”.

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CONVERSARE

INTERVISTA

Come convivono due artisti? “Entrambi siamo animati da una grande creatività, una creatività che condividiamo. Nel nostro quotidiano scherziamo tanto, ci contaminiamo”.

“nei sogni ci siamo dentro con tutte le scarpe”

Solo supporto o anche qualche progetto insieme? “Stiamo per debuttare in uno spettacolo teatrale che ci vedrà insieme sul palcoscenico. Saremo una coppia anche in teatro con lo spettacolo ‘Quegli strani vicini di casa’. Per ora abbiamo già una ventina di date programmate in tutta Italia. Porteremo in scena un po' della nostra intimità in uno spettacolo che ci vede complici e giocosi; il testo parla di due coppie una più in la con gli anni e intellettualmente molto legata e l’altra giovane e sessualmente frizzante capace di mettere in crisi la prima” Com’è lavorare insieme? “Clizia è un’attrice brava, molto belle e pazza. Io le dico sempre che è folle e proprio per questo lavorare insieme sarà straordinario. Saliremo sul palcoscenico facendo delle scene che ci riguardano, che ci permetteranno di prendere molto dalla nostra vita personale”. E i bambini… “I bambini staranno in camerino, ci organizzeremo”. Sarà il vostro primo lavoro insieme? “Sarà la prima volta in teatro, ma insieme abbiamo già scritto e cantato una canzone. Si tratta di ‘Terra2’ un brano che abbiamo composto per Blu, il nostro primo figlio”. Clizia ha pubblicato, da poco, il suo primo romanzo, c’è anche il tuo zampino? “ ‘È il suono delle onde che resta’ è una storia toccante. È un’idea che Clizia ebbe durante una vacanza insieme e io l’ho spinta a scriverlo perché dentro ci sono delle idee che mi hanno commosso profondamente. All’interno c’è un personaggio che viene chiamato in vari modi e ad un certo punto anche Attilio, ma niente di più. E’ il suo esordio letterario e io ho fatto da angelo custode periferico, tutto qui”. E nei tuoi lavori c’è l’influenza di Clizia? “Lei è un po’ musa delle mie creazioni. Siamo una coppia artistica e ci confrontiamo. A volte i suoi giudizi sono un po’ spietati, quando una cosa non gli piace me lo dice dritto, è molto schietta. Certe volte può essere difficile da digerire, ma è importante avere un punto di vista diverso dal mio”. Tanti progetti e tante soddisfazioni dividendovi tra il lavoro, l’amore e la famiglia… “Quando lavoro mi ci butto come un pazzo, scrivere e creare richiede concentrazione e disponibilità, mi ci devo dedicare completamente e poi ci sono i bambini, quando sono con loro ci devo essere al massimo. Certo la stanchezza c’è, ma mi piace pensare che impegno e stanchezza siano come mattoni che costruiscono qualcosa…” E i sogni nel cassetto? “Nei sogni ci siamo dentro con tutte le scarpe. L’amore della famiglia, vivere insieme con tutte le nostre sfide e i nostri progetti. La mia musica, un nuovo spettacolo che sto preparando del quale sono anche autore e tanti impegni in arrivo anche per Clizia”.

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Serge aJ ne


MUSICA

MUSICA

L’hype pornoromantico di Serge e Jane Andrea Luccioli Cosa ci fanno insieme un francese di origini russe e un’inglesina con la frangetta molto parigina? L’amour, toujours. Se nel mondo della musica c’è una coppia iconica dell’amore romantico e àla page, perverso e scandaloso, è sicuramente quella formata da Serge Gainsbourg e Jane Birkin.

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l primo nome va pronunciato rigorosamente in francese, il secondo in inglese. Sembra una sottigliezza e per certi versi una banalità, ma non lo è. Perché c’è da scommetterci che, nel momento in cui pronunciate il nome della Birkin, vi venga da dirlo in francese tanta è l’assonanza con il suo status di parigina acquisita. Sarà perché la ragazza - che oramai ha 72 anni portati sempre con estrema grazia ed eleganza - aveva un look tremendamente francese, anche nei lineamenti del viso. O forse perché se ci pensiamo a lei e Serge, ce li immaginiamo ancora oggi in un appartamento di Montparnasse a mangiare brioche tra le lenzuola, mentre dalla finestra si scorgono i tetti parigini e sul tavolo accanto al letto spuntano le Gitanes che lo chansonnier francese ha fumato fino all’ultimo giorno della sua esistenza.

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MUSICA

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A distanza di quasi quarant’anni dalla fine del loro rapporto e a 18 dalla morte di Serge, nessuna coppia del mondo della musica e del cinema è riuscita a scalzare questi due meravigliosi amanti dall’immaginario romantico e un “pop porno” che tutti ci portiamo dietro. Più di John Lennon e Yoko Ono, di Courtney Love e Kurt Cobain o di Sid Vicious e Nancy Spungen: Serge e Jane hanno rappresentato e rappresentano qualcosa di languidamente inarrivabile, romantico, erotico e potente. Perché parlarne ancora? La loro storia è stata raccontata in lungo e in largo, ma di recente è uscito un libro in due volumi “Munkey Diaries”, ovvero i diari segreti della Birkin, da cui sono spuntati nuovi aneddoti e racconti che amplificano, a volte morbosamente, il mito della coppia parigina. E allora facciamoci un altro pezzo di viaggio con Serge e Jane, magari partendo dall’inizio della loro vita burrascosa. E’ il 1968, Jane Birkin - giovanissima - ha già alle spalle un matrimonio finito, Gainsbourgh si è appena lasciato con Brigitte Bardot (la loro fu definita la coppia più bella del mondo), non proprio una qualsiasi. I due si ritrovano sul set del biopic di Stanley Kubrick “Napoleon” (progetto cinematografico che non vedrà mai la luce) e all’inizio è tempesta. Lei, addirittura, confida al fratello Andrew Birkin che «Quel Gainsbourg, sarebbe il mio amante sullo schermo, ma è così arrogante, con la puzza sotto il naso, sprezzante nei miei confronti!». Passa poco tempo e la Birkin, guarda un po’, cade tra le braccia di Serge e si ricrede: «È così dolce, tenero, forte e sensuale, è sessualmente meraviglioso». Come una supernova, l’amore tra i due è un’esplosione spettacolare, travolgente e distruttiva. Ma il loro è anche un rapporto scandaloso, soprattutto per i benpensanti dell’epoca. Quando la nouvelle vague di lui e la swinging London di lei si incontrano, le convenzioni vanno a farsi benedire, come nel caso di quella che resterà per tutti la loro canzone (benché venne scritta per la Bardot tempo prima del loro incontro): “Je t’aime moi non plus”. Brano che racconta in maniera potente un amplesso tra due amanti e che culmina in una sequenza voluttuosa di sospiri. Il disco vende subito sei milioni di copie senza l’aiutino di piattaforme come Spotify e YouTube. Ma le critiche non mancano. La BBC censura il brano in Inghilterra, in Italia la Chiesa lancia l’allarme pornografia e la Rai ne vieta la trasmissione, il Vaticano lo scomunica e, dopo aver scalato le classifiche, la Procura di Milano lo ritira dai negozi. Il disco verrà poi importato e venduto clandestinamente. Un successo che oggi definiremmo “virale” e frutto di un amore incendiario non privo di episodi realmente da censura. Come quelli che la Birkin racconta sempre nel suo diario. La leggenda in questo caso narra che Jane una sera chiese a Serge di farla sentire una prostituta “sordida”: «Ero sempre stata ansiosa di fare un’esperienza come questa e mi è sembrato un buon momento. Dieci minuti dopo eravamo a Pigalle. Il mio cuore ha sobbalzato, è stato molto eccitante essere lì in miniabito nero e stivali alti fino alla coscia. L’hotel era il peggio del peggio. Abbiamo dovuto ingoiare due cognac nello strip club della porta accanto per trovare il coraggio di entrare. Era quello che volevo».

“je t'aime moi non plus il brano che scatena la censura”

Quei due hanno camminato sempre sul filo del rasoio. Sono stati insieme dodici anni poi, arrivato l’alcolismo di Gainsbourg che ha costretto Birkin a lasciare lo chansonnier nonostante da poco fosse nata la secondogenita Charlotte (attrice e musicista anche lei iperfamosa in questi anni Duemila). La versione Birkin di quel tardo impero romantico è drammatica: «L’alcol è il mio incubo. Lo trasforma in qualcuno così diverso e spaventoso. E a volte dice che ora che ha gloria, l’unica cosa che non sa fare è uccidere. Quando sono triste, voglio davvero morire, e per mano sua». L’addio è straziante, per Gainsbourg sarà un colpo durissimo così come per la Birkin che ancora nel diario scrive: «So anche che qualunque cosa faccia, non sarò mai felice senza Serge», riporta l’attrice nel settembre 1979. «Se me ne vado, mi mancherà sempre la mia vita eccezionale accanto a un uomo eccezionale». Serge e Jane si lasciarono definitivamente nel 1980, entrambi ebbero nuovi amori: lei con il regista Jacques Doillon e lui con la modella Bambou. Ma nulla fu come prima e benché distanti, i due rimasero sempre legati e complici. Inseparabili. Serge è morto nel 1991, Jane è ancora oggi bellissima e ambasciatrice di quell’amore che porta vivido negli occhi. Tutt’oggi intorno a loro l’hype è enorme, così come la venerazione. La loro è stata una formula chimica inarrivabile che la Birkin, a margine di una mostra fotografica su di loro, ha così sintetizzato: «He was a great man. I was just pretty». Lui era un grande uomo, io solo carina. Boom.

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PROGETTARE

DESIGN

Melissa Giacchi architetto d'Interni Opera Tuderte luogo: Todi (PG) anno: 2019 superficie: 170 mq tipo di intervento: Progettazione d’interni, direzione artistica, progettazione e consulenza per le opere esterne strutturali, del verde, dell’illuminazione. materiali: Legno Frassino naturale, Ferro, Vetro, Grès porcellanato per i pavimenti e i rivestimenti fotografo: Luca Petrucci www.melissagiacchi.it

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nizia tutto con un dialogo, una relazione, un confronto. Tra persone, tra spazi, tra la natura e il costruito, tra quello che sarà il contenitore e il suo contenuto. Uno scambio duale tra volumi e luci dove immergersi per sentirsi a proprio agio nell’ambiente. Chi non desidera entrare in uno spazio per sentirsi bene?! In Opera Tuderte, così ribattezzato per la sua localizzazione alle porte della suggestiva città di Todi, il dialogo tra interno ed esterno è stato la condizione di partenza e il desiderio principe della coppia italo francese con base a Parigi per la loro residenza italiana.

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Entrare in casa per immergersi in un’Opera che tenta di incorniciare la natura tutt’intorno, in un’espressione massima di libertà, di movimento, leggerezza e soprattutto in quella condizione di benessere che solo la vista del verde sa darci. Interni minimali, materiali naturali e colorazioni neutre riscaldate da generosi tendaggi, dal calore del legno massello e, non ultimo, da suggestivi scenari luminosi che a volte mettono in evidenza in maniera autoritaria i volumi e in altre occasioni lasciano spazio a intimi angoli di luce. Quanto rimane di quel dialogo iniziale tra le persone che vivranno lo spazio, il progettista e l’Opera conclusa?

La conversazione continua e si arricchisce di nuovi contenuti, storie, aneddoti e visioni perché la vera riuscita di un progetto d’interni sta nella qualità del viverci dentro e di abitare lo spazio. Ecco perché ogni singolo processo creativo residenziale per me prende il nome di #progettoabito nella sua duplice interpretazione: “abito” come coniugazione del verbo “abitare”, sinonimo di vivere uno spazio interno qualsiasi esso sia e “abito” come architettura da indossare, capo sartoriale cucito su misura per il cliente. Del resto la casa parla di noi quanto ciò che indossiamo!

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La casa si sviluppa su due piani principali: una zona giorno, camera padronale e servizi ben schermati da porte armadiate al piano terra e un grande piano scrivania con vista sul lotto esterno incorniciato da un ballatoio con affaccio sul salone oltre alle due camere ospiti al piano primo. Tutto collabora a creare un’immagine coordinata elegante e raffinata, messa in evidenza da accenti luminosi e un accurato studio della luce sia interno che esterno. Lo studio del verde, dei percorsi e dell’area retrostante la casa ha seguito la logica teatrale lavorando per quinte e schermi visivi consecutivi. Un progetto complesso in perfetto equilibrio tra la storicità del luogo e lo stile di vita contemporaneo.

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www.melissagiacchi.it



DESIGN

Alessandro Cucciarelli architetto HOTEL POLEDRINI tipologia: Riqualificazione architettonica rivestimenti pareti: Lastre x gres nero marquinia profili e finiture: Ottone satinato, specchi laccati bronzo, corian nero mobilio: Laminato nero progettista: arch. Alessandro Cucciarelli progetto: Hotel Poledrini fotografie: Luca Petrucci oggetti d'arredo: Casagrande

via san giovanni dell’acqua, 40 - Foligno T. 329 3283616

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Un luogo storico, che guarda al futuro con una ristrutturazione capace di stravolgere e conservare allo stesso tempo. E’ l’hotel Poledrini che dal 1884 fa dell’ospitalità la sua missione. Tutto è iniziato con l’idea di rinnovare il bancone del ricevimento e si è concluso con un totale rifacimento della hall, capace di trasportare questa struttura nella contemporaneità. Valorizzazione dell’hotel e della sua storicità. Questi sono gli obiettivi principali. Così l’opera si è mossa su due fronti, apparentemente opposti, ma di fatto paralleli. Da una parte, infatti, c’è stato un intervento radicale dal punto di vista funzionale ed estetico; dall’altra la conservazione dell’identità e dei valori. La scelta dei colori e dei materiali si è mossa dalla decisione di conservare l’antico pavimento in marmo di Trani. Per le pareti, invece, è stata creata una nuova pelle, usando lastre di travertino nero di Marquinia, con le tipiche venature bianche, interrotte da fasce in oro. Proprio l’oro funge da filo conduttore, infatti è presente in molti dettagli: nei mobili, nel bancone della reception e in quello del bar. L’effetto complessivo è quello di un ambiente elegante e raffinato, ma alla portata di tutti. Un unico grande spazio, moderno e di tendenza, con hall, sala tv, angolo bar e caminetto con nuovi corpi illuminanti e arredamenti unici appositamente disegnati. (R.P.)


Le Stanze di Anna Home Designer

PASTICCERIA MERENDONI luogo: Foligno (PG) anno: 2019 tipo di intervento: Restyling materiali: Ferro grigio antracite, Legno verde acqua, Lamina ferro nero, Piastrella bianca progettista: Annalaura Vinti progetto: Pasticceria Merendoni

T. 392 1230605

Riqualificare senza stravolgere. Sono questi i principi che hanno guidato i lavori di restyling nell’antica pasticceria Merendoni. Un luogo storico della città di Foligno che custodisce il sapere della pasticceria, il gusto del buono che si ripete immutabile domenica dopo domenica (e non solo). Tutte le scelte di questo progetto sono legate dalla volontà di esaltare la storia, rendere protagonista l’arte pasticcera e la tradizione. Un luogo pensato, prima di tutto, per chi lavora all’interno ogni giorno, per accogliere il ripetersi dei gesti quotidiani. Come sempre prima dei progetti ci sono le parole, perché ogni realizzazione nasce dall’incontro, dall’ascolto e dalla comprensione. A dare il via a tutto è stata Camilla Merendoni. Il feeling è stato immediato. Il laboratorio è il cuore di questo locale, il cardine della pasticceria, ed è da qui che siamo partiti. I suoi colori e le sue atmosfere accolgono i clienti. Le mattonelle del laboratorio approdano in sala e i colori del palazzo hanno guidato le nostre scelte cromatiche. Così abbiamo esaltato il metodo artigianale per restituire a chi lo vive un luogo fatto su misura, che leghi a doppio nodo il passato e il futuro. “La mattonella deve essere come la crema pasticcera: sempre la stessa! Solo così un luogo può portare avanti storia e tradizione”. (R.P.)

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Caffè Moda Rinaldi Magazine è progettata dallo studio m_a_g_d_a Se hai desiderio di avere una rivista su misura per te, contattaci.


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"It's a little bit funny this feeling inside I'm not one of those who can easily hide" ("Your Song", Elton John) Roberta Palmioli Basterebbero queste poche parole per racchiudere il senso e l'insegnamento della storia d'amore tra Gianni Versace e Antonio D'Amico. Una storia controversa, rivoluzionaria, prima nascosta e poi urlata al mondo con coraggio; una storia che ancora oggi si trascina dietro una lunga serie di fitti misteri e dinamiche tutt'altro che chiariti.

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MODA

STORIE

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n amore d’altri tempi quello tra il calabrese Versace, strabiliante visionario della moda, amico e confidente delle star della musica e del cinema, di re e regine, e il pugliese D’Amico, modello con velleità da fashion designer. Il colpo di fulmine tra i due si trasforma in quindici anni d’amore, tra lusso sfrenato ma anche e soprattutto tanta dedizione al lavoro. Insieme sono cresciuti, hanno condiviso tanto e collaborato anche alla linea sportiva del brand Versace: Gianni il Maestro, Antonio l’apprendista, insieme una delle primissime coppie omosessuali a fare coming out e a vivere il l'amore alla luce del sole; in uno scenario, quello del jet set degli anni ‘90, ancora poco aperto e impaurito dal cambiamento, incagliato in un frastagliato sottosuolo di reticenze omofobe. Un legame, comunque indissolubile, spezzato il 15 luglio 1997 a Miami da due colpi di pistola sparati da Andrew Phillip Cunanan, serial killer italoamericano-filippino in quei giorni già inserito dall’FBI nella lista dei dieci ricercati più pericolosi d’America per aver assassinato in precedenza altri quattro uomini, tre dei quali suoi amanti. Quel giorno fu proprio Antonio D’Amico a trovare il corpo senza vita dello stilista, sui gradini antistanti l’ingresso della sua villa. Per la cronaca, Cunanan si suicidò pochi giorni dopo, nascosto in una casa galleggiante poco distante dalla residenza di Versace, oramai braccato dalla polizia.

Gianni e Antonio un legame indissolubile

Uno shock mondiale, proporzionale alla grandezza dell’uomo e del genio Versace, che ancora oggi si porta dietro troppi misteri nascosti da un alone di complotti, come d’altronde per molti altri miti. Il giorno del suo funerale, nel Duomo di Milano, oltre diecimila persone gli resero l’ultimo saluto, insieme a buona parte dello star system internazionale, da Sting a Lady D (scomparsa pochi mesi dopo nello stesso anno), da Naomi Campbell alle altre top model lanciate dallo stesso Versace, da Giorgio Armani a Gianfranco Ferré, fino ad arrivare a Elton John, legato da una profonda amicizia con lo stilista calabrese (il cantante gli dedicherà poi una celebre versione di “Your Song” durante un concerto fortemente voluto proprio a Reggio Calabria, città natale di Gianni). La distruzione di questo grande amore ha lasciato per anni Antonio D’Amico in preda a forti crisi depressive, accentuate anche dai dissapori con la famiglia del compagno, specie con i fratelli Donatella e Santo Versace, con i quali D’Amico non ha potuto più intrattenere nessun tipo di rapporto. Nonostante il testamento di Gianni Versace parlasse da sé, descrivendo quanto fosse importante il sentimento per il suo amato (infatti dispose per lui un vitalizio mensile di 50 milioni di lire e il diritto a godere delle residenze di Milano, Miami e New York), in seguito a svariate battaglie legali l’ex compagno avrebbe scelto di rinunciare a buona parte dell’eredità.

la storia d'amore e la tragica fine di Versace in una mini serie TV La storia d’amore tra Gianni Versace e Antonio D'Amico e la tragica fine dello

stilista sono diventate anche il soggetto della miniserie TV “American Crime Story”, di Ryan Murphy, girata quasi interamente nei luoghi reali degli eventi, visibile in Italia su Netflix.


VESTIRE

Due in Uno

Il bianco e il nero non sono un’interpretazione. Guardate al bianco come al vuoto originario, un vuoto che rende possibile l’apparire, il sopraggiungere di ogni cosa; e al nero come al profondo scuro e tetro. Sono due tonalità opposte eppure entrambe importanti per la ricerca di se stessi, che procedono abbracciate nel loro simbolo. Una spirale nera (Yin), che al suo interno contiene un punto bianco (Yang) e la spirale (Yang), che a sua volta ha all’interno un punto nero (Yin), per ricordarci che l’uno ha bisogno dell’altro. (R.P.)







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I Total Look di ogni foto sono curati da: Caffè Moda Rinaldi - Concept Store Via Rinaldi 41 Foligno (caffemodarinaldi.it) Direzione Artistica: Studio m_a_g_d_a (studio-magda.com) Photo: Filippo Rimatori Make Up & Hair Stylist: Ligè - Holistic Concept (ligeparrucchieri.com)


MODA

VESTIRE

Il colore un elemento di riconoscibilità Roberta Palmioli Soffermandoci sulle preferenze cromatiche delle case di moda più celebri del mondo comprenderemo in che modo i colori hanno tessuto i fili dell’apparire, raccontando la nascita della predilezione per un colore. Dal Blu Lanven all’Arancione Hermes, da Tiffany&Co al Rosso Valentino, dalla Schiapparelli al Bianco Margela, da Armani a Labouten.

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l percorso creativo di molti stilisti è accompagnato da veri e propri trend legati al colore, partendo dall’antico sapere umano, attraverso scelte ben pensate o sostenute dal caso. Scelte cromatiche in grado di raffigurare nel tempo il riassunto visivo di un’epoca, delle sue posizioni ideologiche, culturali e sociali, oltre che commerciali ed economiche.

1. A questo punto una prima domanda potrebbe essere: perché l’arancione è il colore di Hermès? Per trovare la ragione bisogna tornare al 1945, quando Émile-Maurice-Hermès, nipote del fondatore della maison, che porta il suo nome, durante la seconda guerra mondiale si ritrovò improvvisamente senza le sue scatole originarie, che in passato erano beige. Fu così che in assenza di queste Émile riuscì a recuperare dei cartoni arancioni, trasformando una necessità in un punto di forza, tanto che in breve tempo questa tonalità rese riconoscibile Hermès in tutto il mondo, diventandone elemento caratterizzante.

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2. Hermès non è l’unico ad aver unito il suo nome a un colore, anche il Blu Lanvin, un blu celeste, quasi cobalto, con tocchi di malva, ispiratosi ai cieli del Beato Angelico ha saputo racchiudere nella scelta del colore la riconoscibilità di un marchio. Grande amante dell’arte e assidua collezionista, Jeanne Lanvin fa del colore la sua passione, tanto che nel 1923 apre la sua tintoria dedicata alla sperimentazione cromatica. Da allora il blu è uno dei simboli della Maison, tuttora protagonista delle collezioni, degli accessori e dell’universo Lanvin. 3. Sempre sulle tonalità del blu negli anni 60’ ci fu l’abito a palloncino di Renato Balestra a far parlare di se. 4. Mentre qualche anno prima, nel 1936 Elsa Schiapparelli, stilista, costumista e sarta italiana naturalizzata francese, considerata una delle più influenti figure della moda nel periodo fra le due guerre mondiali,

decise di utilizzare per la confezione del suo profumo “Shocking” il colore Rosa, scelta, che la rese popolare e riconoscibile in tutto il mondo. Nel 1954 decise poi di pubblicare un libro autobiografico, “Shocking life” definendo così il suo colore: «Il colore mi si parò davanti agli occhi: brillante, impossibile, sfrontato, piacevole, pieno d’energia

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6 come la luce, tutti gli uccelli e i pesci del mondo; un colore proveniente dalla Cina e dal Perù; un colore “shocking”, puro e non diluito…». 5. Continuando con le cromie ci avviciniamo all’acquamarina, al ceruleo, parola che deriva probabilmente dal latino caeruleus, “blu scuro, blu o blu-verde”, che a sua volta deriva probabilmente da caelulum, diminutivo di caelum, “paradiso, cielo”, in grado di suscitare, secondo alcune ricerche, vitalità e desiderio. Il suo numero Pantone è “1837” perché il colore Blue Tiffany è nato con la gioielleria americana Tiffany&Co. proprio in quell’anno. Charles Lewis Tiffany fondatore del marchio decise di volere queste tonalità per la cover di “Blue Book”, una sorta di “grande catalogo”, che riuniva le creazioni più preziose del marchio, fino a rendere iconica la scatola più desiderata dalle donne di tutto il mondo, marchio celebrato anche dal film Colazione da Tiffany del 1961 con Audrey Hepburn e George Peppard. 6. Passando dai toni chiaria ai toni più decisi come il Rosso acceso di Valentino, che da oltre 50 anni ammalia molte donne. Tutto iniziò con la prima sfilata della maison a Palazzo Pitti, ad attirare l’attenzione fu l’uso di un colore dominate, destinato a segnare la storia della maison e che da quel momento sarà definito da tutti il rosso Valentino. Durante la rappresentazione di un’opera lirica a Barcellona, lo stilista Valentino ospite della serata, fu ammaliato da un’anziana signora seduta in uno dei palchi e vestita con un abito di velluto rosso: in quel momento sarà lei a rappresentare una storia lunga, una vita.

7. Il Rosso di Valentino diventa anche quello di Louboutin, tra gli stilisti più esclusivi e ambiti del mondo dell’alta moda. Dichiaratamente specializzato in calzature, le sue scarpe gioiello, dalla suola rosso scarlatta, fanno notizia in tutto il mondo, riconoscibili dalla suola tinta di rosso nata da un’intuizione che lo stilista francese ebbe nel 1992, quando la sua assistente, Sarah, attendendo direttive si dipingeva le unghie di rosso. Quel rosso accesso dello smalto si trasformò da subito in intuizione, tanto da spingere lo stilista a prendere la boccetta e dipingere la suola della “Pensée”, la scarpa “mito” dalla suola infuocata dal color Pantone 186c. per le scarpe delle super top model e teste coronate, star della musica e del cinema.

8 8. Da i colori accesi passiamo ai toni sobri o quasi neutrali di Giorgio Armani che inventò il colore Greige, termine nato dalla fusione di due tinte, grigio e beige. Armani cominciò ad utilizzarlo 1980 tanto da venire definito il Re del Greige. 9. Colori sobri anche per Martin Margela, lo stilista belga, che ha fondato la sua Maison a Parigi nel 1989, diventando famoso per l’utilizzo del bianco espressione del suo spirito. Tutto è bianco per la Maison Margela.

7 9 Per ogni stilista il suo colore. Cromie che raccontano storie e tracciano identità, diventando tratti indelebili di riconoscibilità. Icone di stile e personalità. Non è un caso che proprio la scelta e l’uso delle tinte diventi elemento non solo di distinzione, ma anche di identificazione e di scelta. Infatti i colori nella comunicazione rappresentano un elemento fondamentale sono in grado di trasmettere stati emotivi, di influenzare la psicologia delle persone e di avere un qualche effetto anche su quello che è l’aspetto strettamente personale di ognuno. Ogni colore ha le sue caratteristiche che si intersecano con le personalità di chi le indossa e di chi le osserva.

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DECIDERE

WEDDING

La sposa e il suo abito

Coppie celebri e indimenticabili, regine di stile e femminilità Layla Crisanti Anche le coppie celebri convolano a nozze, proprio come quelle composte da comuni mortali. Anche le coppie celebri organizzano cerimonie emozionanti e banchetti infiniti per i loro cari.

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erto quando i famosi dicono “sì” l’evento si trasforma in una vera favola, tra sfarzo, ospiti altrettanto popolari, cascate di fiori, cattedrali e maestosità. Eppure anche quando si parla di VIP la vera coppia celebre è quella composta dalla sposa e il suo abito. Ebbene sì, per quanto lo sposo possa essere conosciuto, importante o addirittura reale, ciò che passerà alla storia è la sposa nel suo outfit. Poco importa che si tratti di una scelta tradizionalista, di un abito anticonformista o realizzato su misura da un grande stilista. La sposa e il suo vestito saranno al centro dell’attenzione, riceveranno il maggior numero di scatti, diventeranno oggetto di commenti, elogi e critiche. Comunque vada la sposa e il suo abito nunziale oscureranno lo sposo.

la divisa ufficiale di Carlo, vero? Era più simile a quella del figlio William o a quella di Harry? La risposta (ad occhi chiusi) è piuttosto difficile, ma è davvero indimenticabile l’abito di Lady D. Che lo abbiate amato o lo consideriate l’apoteosi del kitsch anni ’80 sicuramente ricordate il vestito in taffetà di seta color avorio, costellato di pizzi, ricami e perle. E come si può dimenticare Grace Kelly durante le sue nozze con Ranieri di Monaco. Parliamo del 1956 eppure l’abito della futura principessa è ancora oggi fonte d’ispirazione, per eleganza e classe con la lunga gonna in taffetà di seta e il corpetto in pizzo Valenciennes. Qualche anno dopo all’altare arrivarono John F. Kennedy e Jacqueline Bouvier avvolta in un lungo abito di seta e tulle.

Chi ricorda le alte uniformi militari, costellate di medaglie? Chi rammenta pantaloni e giacche? Insomma nonostante lo stile e l’eleganza, nonostante i dettagli l’uomo non può reggere il confronto con la sposa, sempre raggiante nel suo abito.

Non possiamo tralasciare Marylin Monroe, un’abitué delle nozze (nel ruolo della sposa), ma quando ha detto sì ad Arthur Miller apparì in tutta la sua straordinaria bellezza fasciata in una abito da sposa aderente, con una generosa scollatura e un velo appena accennato. Le nozze dello scià di Persia nel 1953 furono davvero imponenti, ma anche qui la vera coppia celebre fu quella composta da Soraya e il suo suntuoso abito tempestato da 6000 piccoli diamanti, recentemente venduto all’asta per 1milione di dollari.

Se questa tesi non vi convince provate a chiudere gli occhi, riportate alla memoria qualcuno dei matrimoni più celebri della storia e provate a descrivere l’abito dello sposo. Impossibile. Impossibile a meno che non bariate, chiedendo aiuto a Google. Se si parla di nozze celebri è praticamente scontato citare le nozze di Diana e Carlo d’Inghilterra. Ricordate

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La lista potrebbe continuare ancora e ancora, arrivando ovviamente a parlare di nozze più recenti, ma preferiamo lasciare a voi il gioco.


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COLLEZIONE

ANNIVERSARY


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the wedding day

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LONDRA 2007/2010 Intenso periodo di studio, esperienze, formazione e confronto. Lavoro nei saloni Vidal Sassoon, Alan D Hairdressing Education e come assistente nel backstage delle sfilate più in voga.

Dal 2010 in corso Studio continuo presso l’ACCADEMIA DI ALDO COPPOLA

2011 Apro il mio primo salone di bellezza, un posto accogliente e glamour nel cuore di Foligno

2011 - 2019

MILIONI DI ETNIE DIVERSE ARRICCHISCONO IL MIO SGUARDO Ogni donna con i suoi tratti distintivi è unica e meravigliosamente differente.

2020 #BASTA nuova rotta

Per me non esistono stereotipi, quando mi trovo di fronte ad una cliente la guardo e cerco di cogliere la sua natura, tirando fuori le sue potenzialità e giocando con la sua femminilità, perché la bellezza è seguire la propria essenza!


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ESSERE

MEDICO ESTETICO

Dal medico estetico si va in coppia Cristiana Checcucci

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on è vero che la vanità è solo donna. Stando alle ultime analisi infatti anche gli uomini sembrano essere sempre più interessati a tutto ciò che gravita intorno al mondo della bellezza e quindi alla cura del proprio aspetto, alla lotta continua contro un’età che avanza, alla ricerca del mito della perfezione. Un tempo la Medicina Estetica e i cosiddetti ritocchini erano rivolti principalmente ad un pubblico femminile che comprendeva fasce di età molto ampie. Si assiste ormai da diversi anni invece a richieste di prestazioni di medicina estetica anche da parte di uomini, e non solo da coloro che svolgono attività pubbliche (politici o del mondo dello spettacolo) ma anche da gente comune. Si stima che circa il 22% degli uomini in una fascia di età compresa tra i 25 e i 40 anni si concede almeno un trattamento di Medicina Estetica. Anche i pazienti over 50 (15% dei trattamenti) e over 35 (22% dei trattamenti) considerano l’estetica come

un patrimonio da conservare, mentre tra i giovanissimi (under 16) l’11% dei trattamenti riguarda la cura dell’acne e della cellulite. Sempre più frequentemente l’uomo e la donna giungono in coppia presso lo studio del medico estetico. Spesso l’ uomo è spinto dalla donna che desidera il compagno più attraente e curato, a volte invece è l’uomo che di sua spontanea volontà chiede di migliorare il proprio aspetto con delle prestazioni estetiche o semplicemente desidera avere dei consigli mirati alla cura della pelle o della persona. Il bravo medico estetico comincia sempre da un check up generale e mirato alla domanda che prevede le misure dei parametri cutanei quali la Corneometria (per misurare l’idtratazione) la Sebometria (per misurare il sebo cutaneo), il test di Ramette-Bartoletti (per misurare la sensibilità cutanea) o una visita corpo con valutazioni antropometriche, posturali, angiologie ecc. Solo in seguito alla diagnosi il me-

TRUCCO PERMANENTE SOPRACCIGLIA OCCHI LABBRA Un makeup perfetto Tutto il giorno. Ogni giorno!

dico prescrive dei cosmetici adeguati al tipo di pelle e consiglia delle terapie mirate: peeling, tossina Botulinica, biostimolazioni, fillers, dieta, scleroterapia ecc. Molto spesso l’uomo, su suggerimento della compagna, giunge all’osservazione del medico con idee di trattamenti già chiari. Di certo la prestazione più richiesta dall’uomo rimane la tossina botulinica per il trattamento delle rughe della fronte, della gabella e delle zampe di gallina. Per la donna la prestazione che la fa da padrone è ancora il trattamento con i fillers per aumentare gli zigomi, le labbra ecc. e solo al secondo posto il Botox. Tutti pazzi per il ritocchino verrebbe da dire... anche se poi dietro la definizione di medicina estetica c’è in realtà un universo di trattamenti. Non siamo solo i Medici delle punturine, ma ci occupiamo a tutto tondo del benessere psicofisico delle persone. Spesso infatti dietro gli inestetismi si celano vere e proprie patologie.


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ESSERE

NUTRIZIONISTA

Cereali e legumi un amore antico e indissolubile!! Marco Proietti Circa 10.000 anni fa con la nascita dell’agricoltura, con la ricerca selettiva e l’addomesticazione delle piante, nasce un amore antico, che non solo è arrivato sino ai giorni nostri, ma ha permesso lo sviluppo delle grandi civiltà umane nel nostro mondo.

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cco i nostri protagonisti: i cereali e i legumi. Queste due specie sono semi commestibili, pacchetti compatti e asciutti che contengono in embrione i discendenti delle piante che possono sviluppare radici e foglie e diventare autosufficienti. Dato che questi semi sono una fonte concentrata di proteine accompagnate da carboidrati o da grassi, oltre alle vitamine e a diversi composti bioattivi contengono fibre che, pur non essendo digeribili e non avendo alcun valore nutritivo, aumentano difatti il senso di sazietà, regolano la funzionalità intestinale, aiutano a mantenere sotto controllo i livelli di glicemia e colesterolo del sangue e mantengono in buon equilibrio la flora batterica intestinale. Grazie al fatto che legumi e cereali sono facili da conservare a lungo, il loro connubio ha svolto una funzione essenziale nella nutrizione dell’uomo e nella sua evoluzione culturale. Mangiati singolarmente hanno però un importante svantaggio: al contrario

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della carne, del latte e delle uova, un singolo seme è generalmente incompleto come fonte di proteine per l’alimentazione umana perché manca di uno o più degli aminoacidi essenziali. Oggi sappiamo che i cereali mancano soprattutto di lisina, e i legumi di aminoacidi contenenti zolfo. Ma nel corso dei millenni culture completamente separate tra loro hanno imparato a combinare diversi semi nelle loro diete in modo da bilanciare il loro bisogno di proteine. Pensiamo alla dieta asiatica a base di riso e soia, e quella dell’America centrale a base di granoturco e fagioli, oppure il grande impero romano che prendeva la sua forza da una alimentazione basata su farro e ceci; tutto questo perché combinando insieme legumi e cereali le singole deficienze vengono compensate per offrire una proteina vegetale una volta considerata la carne dei poveri, ma oggi rivaluta in una dieta sana ed equilibrata. Quindi lunga vita a questi due sposi e buona pasta e fagioli a tutti!!!


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ESSERE

PEDIATRIA

Babywearing, abbraccio d’amore Fasce e marsupi, portare i bambini per nutrire la relazione Pietro Stella È ormai confermato da numerosi studi scientifici che il contatto fisico per il neonato è fondamentale e necessario. Come il latte nutre il corpo, il contatto (espressione dell’amore) nutre la mente.

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uesti concetti, però hanno, avuto in un recente passato molte difficoltà ad affermarsi. Infatti con l’avvento dell’industrializzazione si è diffusa l’idea che fosse necessario un distacco e una precoce autonomia dei bambini. Si passò quindi da un accudimento “ad alto contatto” ( nascita in casa, allattamento al seno su richiesta, contatto corporeo con i bambini compreso il dormire insieme) ad uno “a basso contatto” (nascita medicalizzata, allattamento artificiale, far dormire i bambini in stanze separate dai genitori). Oggi la maggior parte delle famiglie usa carrozzine e passeggini. Eppure trasportare i bambini con queste modalità, deriva dalle teorie sul distacco precoce, infatti questi strumenti sono fisicamente lontani dal corpo dei genitori. Esistono però altri modi, più naturali, di portare i bambini. Ce lo raccontano altre culture e anche i nostri antenati. Gli indiani d’America, ad esempio, portavano i bimbi fasciati con tavole e stoffa che legavano alle spalle. Altre popolazioni portavano i bambini fasciati dentro le ceste di paglia o di legno. Altri ancora in grembiuli o fazzolettoni. I neonati si addormentavano addosso alle madri, che intanto potevano dedicarsi alle loro occupazioni. Crescendo venivano posizionati seduti con le gambe divaricate davanti o sul fianco, finché non iniziavano a gattonare. Ancora oggi in gran parte del mondo si portano i bambini. Finalmente negli ultimi anni anche nella nostra società c’è una crescente consapevolezza dell’importanza dell’uso di supporti per portare i bambini. La fascia e il marsupio (ovviamente ergonomici) possono diventare dunque strumenti utili, non solo a trasportare i bambini quando si esce, ma anche a portarli in casa. Se utilizzati correttamente, permettono al bambino di mantenere una postura fisiologica, “rannicchiata” sul corpo del genitore, che favorisce il corretto sviluppo delle anche. E’ importante tenere presenti alcune informazioni. Prima di tutto è necessario nei primi 3-4 mesi di vita del bambino, quando ancora non è perfettamente acquisito il controllo del capo, un sostegno adeguato

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della testa, utilizzando legature che lo sostengono. Inoltre per imparare i diversi sistemi di legature con la fascia è preferibile rivolgersi a un esperto (consulente del portare). Infine è importante utilizzare solo supporti ergonomici che consentono una posizione corretta del bambino, con la pancia a contatto del genitore (mai fronte mondo), e con le gambe divaricate. Tanti sono i vantaggi legati all’arte del portare e i conseguenti benefici. Ci sono molti studi che dimostrano che il portare migliora il Bonding, la relazione di attaccamento inoltre i neonati portati piangono meno e, grazie al fatto che si sentono più sicuri acquisiscono più rapidamente indipendenza. Altri studi hanno evidenziato che il portare migliora la vista, l’udito, accelera lo sviluppo del linguaggio e riduce la plagiocefalia (testa piatta). Gli studi sulla marsupioterapia dimostrano poi come sia particolarmente importante portare i bambini prematuri. Portare i bambini rende più dolce e meno traumatico il passaggio e l’adattamento alla vita postnatale. Il bambino portato ritrova la sensazioni della vita intrauterina, gli odori, il ritmo del battito del cuore, il calore del corpo della mamma e contemporaneamente, percepisce i confini, viene massaggiato e contenuto. Vicina al suo bambino, la madre comprende e interpreta meglio i segnali, acquisisce prima la capacità di ascolto e costruisce la reciproca fiducia. Tutto questo pone le basi di una relazione solida e di un valido processo di attaccamento, la famosa “base sicura” di cui parla Bowlby. Lo stesso avviene anche con i papà che, in contatto con i loro bambini, sviluppano un rapporto più forte ed empatico e perché no Il bambino può essere portato anche da altre persone, per esempio i nonni. Il bambino nel suo nido osserva, si addormenta se stanco, vede il mondo dall’alto, è alla stessa altezza delle altre persone non si sente piccolo e solo. Portare bambini perciò non è qualcosa di alternativo, e non è solo “trasportare”, ma rappresenta una buona modalità per sviluppare la relazione, con la consapevolezza di crescere i figli tenendoli prima stretti a sé per poi gradualmente lasciarli andare via verso la vita.



ESSERE

PSICOLOGO

Coppie celebri, tutti i giorni! Miki Crisanti Con il termine coppia si intende una relazione interpersonale che intercorre tra due persone; solitamente si tratta di rapporti basati su confidenza, coinvolgimento e intimità emotiva, sentimentale e sessuale.

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a qualità delle relazioni interpersonali, in particolare delle relazioni di coppia, è un fattore correlato in modo assai significativo con il benessere fisico e la salute mentale della persona: la cura del legame è cura della persona. Non vorrei apparire troppo melenso e sognatore, ma la coppia celebre è quella che vibra e si nutre della quotidianità, quella che mangia una pizza dentro il cartone, davanti ad un film dopo una giornata che mette a dura prova! La coppia è un campo difficile, una relazione che gioca su tre livelli distinti con motivazioni diversificate. Il piano degli istinti, dei bisogni di base e dell’attrazione carnale; un piano inerente le emozioni, i bisogni di cura legati all’accudimento e all’attaccamento e bisogni di competizione legati all’agonismo; ed infine un livello denso di pensieri, valori, cultura che rispondono ai bisogni di appartenenza e affiliazione. La coppia funzionale è quella che si sposta da un livello ad un altro, che passa dalla camera da letto alla cucina con l’ingrediente di base rappresentato dalla cooperazione, che garantisce una relazione caratterizzata da ampiezza, fluidità e continuità. Il tema centrale della coppia è spesso quello della negoziazione delle differenze, che permette la compatibilità tra legame di coppia e libertà della persona; una continua alternanza tra appartenenza e individuazione, un equilibrio in evoluzione che danza con i vari momenti del ciclo di vita della coppia e dei singoli individui. Gli argomenti di negoziazione all' interno delle coppie sono infiniti e spaziano dai ruoli alla comunicazione, dalla funzione genitoriale alla passionalità, sessualità e intimità fino a toccare i rapporti con le famiglie d 'origine e gli eventi del ciclo vitale. La coppia lungo il tragitto dall’innamoramento all’amore, dal patto della coppia alla delusione, un cammino nel quale si intrecciano motivazioni, stili interattivi, aspettative, richieste, proiezioni e idealizzazioni. L’innamoramento come forma di desiderio, di motivazione alla relazione; una forma di idealizzazione dell 'altro funzionale ad una rappresentazione desiderabile di sé. Questa fase può essere più o meno lunga ed è incentrata sull 'autoreferenzialità del rapporto: mi innamoro di me accanto all' altro. Il passaggio dall’innamoramento all’amore implica una rappresentazione del partner reale, dove la quota proiettiva del nostro lui/lei ideale lascia spazio a una maggiore consapevolezza delle caratteristiche proprie della persona. Condizione ineludibile per il passaggio dall 'innamoramento all' amore è la delusione. La ferita del desiderio, l' emergere di aspetti dell 'altro non visti, non considerati, negati che generano uno specchio delle nostre caratteristiche da cui più rifuggiamo. L' attivarsi del pensiero: “Accanto a te, che non mi piaci, io non mi piaccio” è la cartina al tornasole che l altro non è l 'essere perfetto di cui ci eravamo innamorati ed implica inevitabilmente una riorganizzazione del nostro mondo interno. Superata, quindi, la fase di innamoramento il rapporto subisce una trasformazione, ricomponendosi in modo tale che ciascuno abbia una visione più integrata di sé, separato dall' altro.

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ESSERE

TAROCCHI

Maschile e femminile nei tarocchi Chiara Sbicca Mulford I Tarocchi sono immagini archetipe che raccontano molto di noi: non una lettura del futuro, ma un modo per interpretare quello che sentiamo nel presente grazie alle potenti immagini simboliche racchiuse in loro che ci parlano delle fasi della nostra vita.

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un quadrato. Rappresenta la stabilità, l’equilibrio, il materiale. E’ una specie di guerriero interiore, perfettamente radicato e che supera ogni nostra debolezza. E’ l’animus, l’aspetto maschile della psiche. Descrive tutto ciò che è rigido, fermo, retto, autoritario.

Alejandro Jodorowsky e Marianne Costa, ne La Via dei Tarocchi descrivono così queste due carte:

Se l’imperatore parlasse direbbe: “Sono la sicurezza. Sono la forza in persona (…) Sono un fulcro, riordino tutto intorno alle mie leggi. Faccio regnare l’ordine con tutti i metodi dal più morbido al più feroce. Quando mi manifesto nel vostro corpo siete in pieno equilibrio, non potete inciampare. Vi proteggo e vi esorto a essere forti. Sono il vostro guerriero interiore. Colui che vede le vostre debolezze e non si lascia indebolire” (tratto da “la Via dei Tarocchi” di Alejandro Jodorowsky e Marianne Costa)

22 arcani maggiori, soprattutto, incarnano le virtù umane. Nel mazzo, le figure maschili e le figure femminili si equilibrano e rappresentano un percorso, dei valori, delle qualità e anche delle persone.

L’imperatrice rappresenta in pieno il femminile, mentre l’imperatore rappresenta il maschile. Insieme al papa e alla papessa mostrano la relazione archetipica universale.

L’imperatrice è la donna nella sua fase creativa e ci insegna che il nostro corpo e la nostra mente sono fecondi e creativi. E’ seduta con le gambe leggermente aperte, come se avesse appena partorito, e rappresenta la fecondità, il desiderio, l’entusiasmo esplosivo della creatività femminile. E’ l’anima ricettiva, il suo simbolo è la primavera. Descrive tutto ciò che è fluido, mobile, grazioso, bello e sensibile. Se l’Imperatrice parlasse, direbbe: “Sono la creatività senza un finalità precisa. Esplodo nell’infinità delle forme. Sono io, dopo l’inverno, a tingere di verde tutta la Terra. Sono io a riempire il cielo di uccelli, gli oceani di pesci. Quando dico “creare” parlo di trasformare: sono io a far sì che il seme si spacchi per far spuntare il germoglio, Se comincio a generare bambini, posso dare alla luce un’umanità intera. Se si tratta di fruttificare, sono in grado di produrre tutti i frutti della Natura. La mia mente non si tira mai indietro: una parola, un grido, e partorisco un mondo.... Sono la mente creativa.” (tratto da “La via dei Tarocchi” di Alejandro Jodorowsky e Marianne Costa) L’imperatore è associato al numero 4, come i lati di

Entrambe le carte hanno in loro una componente maschile e una femminile: l’imperatrice infatti esibisce un blasone in cui si riconosce un’aquila maschio (ancora in formazione), mentre l’imperatore è vicino ad un aquila che sta covando un uovo. Nella carta dell’imperatrice, quindi, troviamo l’animus, la mente attiva e nella carta dell’imperatore troviamo l’anima ricettiva del femminile. Quando i due personaggi si guardano, si completano. Quando si voltano le spalle, c’è disequilibrio. Lui diventa materialista e senza ideali, arido, inattivo, intento solo a perseguire il potere. Lei non viene capita, è amareggiata e si disprezza. Senza la stabilità dell’imperatore, si consumerebbe nel suo idealismo, diventerebbe amara e incompresa. Lo spirito abita la materia e insieme, i due archetipi generano Coscienza. Se le energie maschili e le energie femminili si voltano le spalle, periscono.

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L’OROSCOPO di BARBANERA dal 1762 Dicembre-Marzo 2020

Affinità dei segni ARIETE L’amore per voi è passione che non fa calcoli, ma dona in modo diretto e incondizionato. E lo dimostrerete incontrando un Gemelli, tra voi la sintonia sarà perfetta e insieme lavorerete per costruire un rapporto sempre vivo. La routine non sarà mai scontata nemmeno con un Bilancia: pur presi da mille impegni, entrambi troverete il tempo per progettare, scherzare, sognare. Semaforo rosso con Toro e Scorpione.

TORO Con voi ragione e sentimento viaggiano in perfetta sintonia, per questo costruirete un feeling profondo con un razionale e concreto Capricorno. Insieme camminerete fianco a fianco dandovi forza e sicurezza. Con un Pesci, lieve e pure un po’ folle, l’amore sarà meraviglioso: con lui, o lei, sognerete ad occhi aperti! Con un nativo del Cancro sarà... pane, amore e fantasia! Semaforo rosso con Ariete e Leone.

GEMELLI In coppia, che sia una relazione storica o nuova di zecca, pianeti amici fanno crescere le temperature affettive. Sarà amore senza se e senza ma con un Acquario. Un’intesa straordinaria, vale davvero la pena approfondire! Perfetti insieme ad un Bilancia, con cui mostrate al mondo l’immagine della coppia ideale. Clima frizzante anche con un Leone: vi attraete come calamite! Semaforo rosso con Cancro e Vergine.

CANCRO

BILANCIA I cambiamenti e la ricerca di nuovi assetti sono il leitmotiv di questo periodo. Insieme a un Leone condividete progetti importanti con grande entusiasmo: un sentimento forte che ha ottime possibilità di mettere radici. Un Gemelli? Siete una coppia sulla cresta dell’onda e suscitate grande ammirazione. Battibecchi e riappacificazioni con un Ariete, ma è questo il bello dell’amore! Semaforo rosso con Scorpione e Pesci.

SCORPIONE

La felicità? Inaspettatamente, adesso ce l’avete a portata di mano! A sorpresa, un Capricorno accenderà in voi la scintilla dell’amore: la relazione avrà sviluppi rapidi, positivi ed estremamente concreti. Emozioni a non finire con un Pesci, che sa comprendere ogni vostra sfumatura. Gli perdonerete tutto, o quasi tutto... È l’amore della vita, starete insieme per sempre, o quasi! Semaforo rosso con Leone e Bilancia.

SAGITTARIO

Avvertite l’esigenza di aggiustare il tiro, di avviare trasformazioni che rendano possibile concretizzare desideri e aspettative. Che diventeranno realtà con un Ariete: insieme andrete al massimo, facendo lo slalom tra vari ostacoli e contrattempi. A un Pesci non fate promesse perché sapete di non poterle mantenere, ma ha tanta pazienza e sa che prima o poi vi lascerete andare! Semaforo rosso con Toro e Vergine.

CAPRICORNO

Avvertite forte l’esigenza di cambiamento, che non vuol dire solo tagliare i ponti col passato, ma anche determinazione a ripartire con la persona di sempre. Tra le braccia di un Toro vi sentirete protetti e al sicuro. Non saprete resistere agli sguardi sensuali e ammaliatori di uno Scorpione: forse vi farà irritare con le sue stranezze, ma alla passione non potrete resistere! Semaforo rosso con Gemelli e Leone.

Cuore, mente e corpo trovano una sintonia rara che recherà meravigliosi doni d’amore. Incantesimo di cuori con un Pesci: vi porterà in volo sulle ali di un sogno che voi trasformerete in realtà. Intesa con buone probabilità di riuscita con un Toro, due cuori fatti per stare insieme. Un Vergine? Stesso Elemento, stessi caratteri, stessa concretezza... coppia baciata dalle stelle! Semaforo rosso con Gemelli e Leone.

LEONE

ACQUARIO

Il desiderio di armonia e le voci del cuore sono sirene che ascoltate e seguite senza indugio. Vi faranno cadere tra le braccia di un Sagittario, che v’infiammerà con le sue proposte audaci. Saprà capire le vostre esigenze, concedendovi il tempo di cui avete bisogno. Con un Acquario l’attrazione è profonda, come pure le differenze: servirà impegno e costanza, ma ne varrà la pena. Semaforo rosso con Vergine e Scorpione.

Il desiderio di costruire e consolidare si sta facendo gradualmente strada dentro di voi. Avete buone chance di concretizzarlo con un Gemelli: vi intendete a meraviglia e insieme potete realizzare qualcosa di solido e duraturo. Sintonia sorprendente con un Sagittario. Andate nella stessa direzione, con qualche puntata fuori rotta, ma nessuno dei due gli darà troppa importanza. Semaforo rosso con Cancro e Capricorno.

VERGINE

PESCI

Periodo magico per l’amore. Slanci romantici e comunicazione favoriranno momenti di gioia pura, che raggiungeranno l’apoteosi con un Capricorno. Di lui vi intriga tutto, specie la sua solidità e quello starvi vicino con poche parole e molti fatti. Sincronie perfette con un Vergine: siete “meccanismi” che combaciano alla perfezione nel rispetto delle reciproche esigenze. Semaforo rosso con Ariete e Sagittario.

Capita che la realtà superi la fantasia ed è ciò che potrebbe capitarvi con uno Scorpione. Amore folle, tempestoso, intenso, mai un momento di noia: che avventura! Di un Sagittario apprezzate tutto, la schiettezza, le sue goffe avance... non ve lo farete scappare. Un Cancro? Perché no. Qualche volta v’incontrate, qualche altra vi scontrate, ma la sintonia non s’interrompe. Semaforo rosso con Leone e Acquario.


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