Caffè Moda Rinaldi Magazine n°7

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INDICE 04

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PROGETTARE / Architettura

CONVERSARE / Cattelan

Un pop di Roma: Ieri, Oggi e Domani? Camilla Falcinelli

“Chiedi perdono, non permesso” Alla ricerca di Maurizio Cattelan Layla Crisanti

08 LEGGERE / Libri

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Martin Eden di Jack London, La scopa del sistema di David Foster Wallace, Revolutionary road di Richard Yates, La parte migliore di Christian Raimo Filippo Salvucci

VIAGGIARE

11

ASCOLTARE / Musica

PENSARE / Attualità

Martiri del consumismo Daniele Morici

13 PENSARE / Tv

Dimmi quali schermi guardi e ti dirò che consumatore sei Chiara Borsini

14 VEDERE / Fumetto

Pop Star a fumetti Claudio Ferracci

17 VEDERE / Cinema

L’atmosfera degli anni Settanta nel Cinema Contemporaneo Andrea Fioravanti

18 VEDERE / Arte

L’arte al tempo degli Outlet Andrea Baffoni

19

Leonardo Mania: in viaggio Valentina Castellano Chiodo

46 Ai poster l’ardua sentenza sul pop Andrea Luccioli

52 DECIDERE / Wedding

Pop Wedding Ferragnez contro Royal Meghan Layla Crisanti

60 ESSERE / Psicologo

La psicologia popolare e le teorie naif Miki Crisanti

62 ESSERE / Medico Estetico

Medicina estetica per le masse Cristiana Checcucci

64 ESSERE / Nutrizionista

Alimentazione, verso una nuova consapevolezza di massa Marco Proietti

67

VEDERE / Arte

VESTIRE / Moda

La Popular Art (Pop Art) Americana e Italiana Emanuele Buono

"Non è forse la vita una serie d'immagini che cambiano solo nel modo di ripetersi?" Roberta Palmioli

20 VEDERE / Teatro

Il teatro: un nemico del popolo? Michelangelo Bellani

25

71 VESTIRE / Moda

Pop & Click

79

MANGIARE / Food

PENSARE / Tarocchi

Elogio alla Pizza Elia Sdei

Tarocchi, immagini visive archetipe Chiara Sbicca

30 PENSARE / Umbria

Cultura popolare: una forma di resistenza Federica Menghinella

80 OROSCOPO / Barbanera dal 1762

Giugno-Settembre 2019


EDITORIALE

REDAZIONE

EDITORE Roberta Palmioli Studio m_a_g_d_a

Un insieme di mondi che ci passano sotto gli occhi, quotidianamente. Simboli, immagini, frasi, pensieri, concetti e strutture che si sedimentano nella nostra memoria condivisa. Mi piace pensare a questo immaginario collettivo come a un’enorme scatola da cui possono attingere una molteplicità di individui, tutti parte di una stessa comunità diffusa. Questo filo che ci lega e ci permette di riconoscerci è fatto di consumi, prodotti, testi, immagini, manifestazioni culturali e posizioni critiche rispetto a questi stessi oggetti. E’ la POP Culture che posiziona retoricamente le persone attraverso i consumi. I prodotti mediano le identità e le aspirazioni e funzionano per narrare le vite, i mondi e le possibilità sociali. Quello che attraversa le pagine di questo numero di Caffè Moda Rinaldi magazine è un esame critico (fatto di parole e di stimoli visivi) della collocazione della cultura popolare nei suoi contesti artistici, sociali, politici, economici ed educativi. Partiamo da una definizione, di quelle da Wikipedia (strumento condiviso e decisamente pop, che in questo numero non poteva mancare), giusto per delineare i confini entro i quali ci stiamo muovendo. “La cultura popolare (detta anche cultura pop) è generalmente riconosciuta dai membri di una società come un insieme di pratiche, credenze e oggetti che sono dominanti della società stessa in un dato momento. La cultura popolare comprende anche le attività e i sentimenti prodotti dall’interazione con questi oggetti dominanti. Fortemente influenzata nei tempi moderni dai mass media, questa raccolta di idee permea la vita quotidiana delle persone in una data società. Pertanto, la cultura popolare influenza l’atteggiamento di una persona verso determinati argomenti”. Tuttavia, ci sono vari modi per definire la cultura pop; quando si parla di cultura popolare o meglio di massa non si può prescindere dai numeri, dalla dimensione quantitativa del fenomeno: la cultura di massa è intrinsecamente legata alle nuove forme di consumo, ai prodotti seriali, all’importazione e l’esportazione dei prodotti. Forme di intrattenimento popolari sono sempre esistite, ma la cultura di massa mette in luce forme di consumo della cultura che diventano trasversali e assumono una funzione sociale molto forte. La Pop culture può assumere vari significati: - Cultura di massa, intesa come manifestazione culturale consumata dalle persone comuni, ovvero la massa. - Cultura di massa, vista in contrapposizione con la cultura “Alta”; dunque la cultura popolare diventa ciò che rimane. A essere in questione non è solo la distinzione tra cultura alta e cultura di massa, ma quella tra produzione e fruizione. - Cultura popolare, intesa come ciò che viene prodotto dalle persone comuni. Non siamo qui per scegliere un solo significato, ma piuttosto per indagare, lasciare che i differenti contenuti si intersechino, che ci spingano a riflettere, condividere e magari anche a dissentire. Sì perché Pop culture è anche critica, dissidenza, distruzione di simboli e significati per dare vita a una nuova costruzione mescolando in maniera diversa, sovversiva gli stessi elementi fino a formare nuovi significati da condividere. Layla Crisanti

DIRETTORE RESPONSABILE Layla Crisanti HANNO SCRITTO IN QUESTO NUMERO: Camilla Falcinelli / Filippo Salvucci / Daniele Morici / Chiara Borsini / Claudio Ferracci / Andrea Fioravanti / Andrea Baffoni / Emanuele Buono / Michelangelo Bellani / Elia Sdei / Federica Menghinella / Layla Crisanti / Valentina Castellano Chiodo / Andrea Luccioli / Miki Crisanti / Cristiana Checcucci / Marco Proietti / Roberta Palmioli / Filippo Rimatori / Chiara Sbicca / Barbanera COORDINAMENTO DEI CONTENUTI Layla Crisanti / Roberta Palmioli COORDINAMENTO GRAFICO e COPERTINA Andrea Palmioli / Studio m_a_g_d_a PROGETTO GRAFICO Andrea Bartolomei / Studio m_a_g_d_a INSERTO / PROGETTO GRAFICO Andrea Palmioli ILLUSTRAZIONI Simona Badiali RESPONSABILE COMMERCIALE Alessia Mariani PUBBLICITA’ E MARKETING Letizia Settimi / Antonella Buono


PROGETTARE

ARCHITETTURA

Camilla Falcinelli Indagando negli spazi e nelle costruzioni dell’architettura romana emergono simboli di una cultura popolare capace di attraversare non solo lo spazio, ma anche il tempo.

legislatori del primo dopo guerra e del fascismo per risolvere la necessità sempre più violenta di case e non solo. È ad un certo punto del regime che il fascismo capisce che per fare leva sulle masse doveva fare leva sulla storia di Roma. Al ventennio fascista spetta un uso politico di un passato preciso e strutturato, consapevole e programmatico la cui paternità però è ottocentesca e non fascista. Il piano al tempo era liberare le architetture antiche dalle superfetazioni storiche tra le quali c’erano anche delle case, molto, molto popolari, ai cui abitanti vengono promessi nuovi alloggi in palazzi nuovi e moderni fuori dal centro storico, ma immersi nel verde e nei comfort della modernità. Infatti è proprio Benito Mussolini, sotto consiglio di molti dei suoi, che inizia a picconare.

Camminando per Roma il paesaggio urbano ci rende orgogliosi delle nostre radici

Il Colosseo emblema pop nel 2019 come nell’ 80 d.c. quando gli antichi romani hanno iniziato, in massa, ad andarci per divertirsi. Oggi i turisti ci vanno, in massa, per curiosità, cultura, e altri motivi che comunque li portano a divertirsi. Il Colosseo è pop perché è animato dalle persone comuni, dai popoli e dalle masse. È un simbolo. Vanta fama. E questo è pop. Cosa c’è di più popolare del Colosseo? Forse le case popolari, che il pop lo manifestano spudoratamente nel nome e con orgoglio sono uno dei simboli e dei modi dell’abitare ancora oggi. Il palazzo protegge una pluralità vastissima di individui. Forse tanto diversi quanto diversi sono le nazionalità e i costumi dei visitatori del Colosseo. Una palazzina romana a Testaccio è diversa da quella che trovi a San Giovanni. Le palazzine della Garbatella sono diverse rispetto a quelle di San Lorenzo. Ogni palazzo è specchio

Un pop di Roma: Ieri, Oggi e Domani? “Neorealisti come Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni (influenzati dal neorealismo del cinema italiano), tentavano di produrre un immaginario radicato nella coscienza proletaria e nella realtà urbana quotidiana. Nel loro progetto per il quartiere Tiburtino dell’I.N.A. Casa a Roma (1949-54) i blocchi di appartamenti erano organizzati su una pianta irregolare e coronati da inclinate coperture mediterranee. In quest’opera si rintraccia un tentativo di aggiornare il linguaggio vernacolare sulla base di un’ideologia populista e attraverso un deliberato impegno sui problemi della povertà rurale che si stava riversando nelle città italiane”. Così scrive W.J.R.Curtis nel manuale di architettura moderna. È una citazione da incipit un po’ lunga, ma che ci guiderà nei successivi racconti. Pop, da cultura popolare a case popolari più che un volo pindarico è una leggera svolta a piedi senza nemmeno il bisogno di girare l’angolo.

È indispensabile volgere lo sguardo indietro per capire… 4

Sembrerebbe un po’ come citare i popcorn se parlassimo di cibo. Serve però qualche informazione in più, quasi sempre indispensabile in architettura. Soprattutto se si guarda al panorama Italiano, è indispensabile volgere lo sguardo indietro per capire di cosa parliamo. La speranza è riuscire poi a guardare più coscienziosi verso il futuro, ultimo arco del cerchio che, purtroppo, non sempre riesce a chiudersi. Iniziamo. Era il 1903 quando in Italia viene promulgata la legge Luzzatti. È il primo provvedimento in materia di edilizia economica e popolare che però non risulta essere adeguato a risolvere quei problemi di natura economico-finanziaria e sociale di inizio secolo. Si devono aspettare gli anni ’20 per vedere i primi quartieri popolari per classi operaie e impiegatizie. Filo conduttore sono gli spazi verdi in una concezione di città giardino reinterpretata nel Bel Paese a partire dalla Garden cities of tomorrow dell’anglosassone Howard. Il quartiere Garbatella a Roma ad esempio. Da questa legge prenderanno spunto i

Il quartiere Alessandrino viene demolito, emergono i Fori Imperiali. Serve ora Via dell’Impero per collegare il Colosseo a Piazza Venezia passando quindi per i Fori. È nell’estate del 1931 che Mussolini dà il primo colpo di piccone. La rivoluzione spaziale della conformazione antica è cosa fatta ormai e quello che per noi oggi è l’immaginario della Roma antica è solo il frutto di quell’invenzione. Quel paesaggio che ammiriamo passeggiando non è lo stesso panorama che erano consoni ammirare gli antichi romani, ma ci rende allo stesso modo orgogliosi delle nostre radici, della nostra cultura e del nostro saper fare. Non è questo un forte sentimento popolare? Passeggiata di massa e orgoglio di un popolo? Un sentimento condiviso nel tempo, provato dagli uomini e dalle donne del passato che rivive oggi in noi. Questo sentimento interagisce con l’architettura rafforzandola. Proprio da questa passeggiata romana emergono simboli condivisi e allora come non parlare del re dei simboli architettonici:

di un modo di vivere e pensare di un certo periodo storico, con i suoi canoni estetici a contraddistinguerlo. È un esempio di cultura popolare. In tutto il mondo la casa si traduce in un modo di abitare delle diverse culture. In Italia c’è il palazzo, che a Roma si declina in palazzina e in casa ringhiera a Milano. sono contenitori di diversità e uguaglianza contemporaneamente. Molte persone, tutte diverse ma, che a primo occhio sembrano tutte uguali, come i palazzi dove abitano. Molti di questi palazzi, un tempo simbolo di urbanistica moderna volta al miglioramento di condizioni igieniche e abitative, appaiono oggi stanchi, sporchi, trasandati, mezzi rotti, ma comunque avvolti da un fascino popolare e spesso incompreso. Mi ricordano i lavori di Mimmo Rotella, pop anche lui. Per chi non lo conosce lo spiegherò con un linguaggio matematico secondo me efficace. Andy Warhol: Marilyn Monroe = Mimmo Rotella: Marcello Mastroianni.

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FILIPPO SALVUCCI

MARTIN EDEN di Jack London

Revolutionary road di Richard Yates

scritto nel 1909 all’età di 33 anni, non è solo

edito nel 1961 e tornato alla ribalta da qualche

un romanzo autobiografico ma (ed è qui la sua

anno grazie al film ad esso ispirato. Frank and

grandezza) è allo stesso tempo un romanzo di

April sono una giovane coppia, hanno due bam-

formazione; un romanzo politico e sociale dove

bini e hanno deciso da poco più di un anno di

c’è una spietata fotografia della società borghese

lasciare New York per un posto più tranquillo

americana con tutte le sue contraddizioni e di-

dove far crescere i figli. Frank e April coltivano

seguaglianze; una struggente storia d’amore; un

una sorta di anticonformismo di facciata quando

romanzo tragico imperniato sullo spirito e le av-

in realtà attraversano e vivono tutti i luoghi co-

venture folgoranti del protagonista. Martin Eden

muni, le ipocrisie, una continua volontà di appa-

giovane marinaio americano, si innamora di Ruth,

rire propria di quelle famiglie della middle class

donna dell’alta borghesia. Amore combattuto e

americana che tanto detestano e deridono. Una

reso difficile dal netto contrasto che c’è tra i due

storia assolutamente normale che scorre velo-

ceti sociali di appartenenza dei personaggi. Da

cemente, un quotidiano nascondere i cocci sot-

qui la scelta da parte di Martin di dedicare tempo

to un enorme tappeto di ipocrisia, un costante

e denaro in uno studio “matto e disperato” per

tentativo di dissimulare la tensione che mette in

crescere interiormente, non sentirsi più escluso

luce tutte le debolezze di una struttura sociale

da una classe sociale e realizzare il suo sogno:

che va sfaldandosi in un processo sempre più

sposare Ruth. Sarà proprio questa crescita e que-

tragico.

sta elevazione che gli faranno scoprire la piccolezza, l’ipocrisia, l’arrivismo del mondo borghese. E una volta diventato uno scrittore di successo ecco il rifiuto verso tutto ciò per cui ha lottato.

La scopa del sistema di David Foster Wallace

di Christian Raimo

opera prima scritta all’età di 24 anni che ha

è la storia di due donne, Leda, madre di 45 anni,

rivelato a tutti uno dei più grandi talenti della

e sua figlia diciassettenne Laura, la storia del

letteratura contemporanea. È un libro senza una

loro rapporto che sembra più simile a quello di

vera e propria trama, dove narrativamente tutto

due sorelle, dei loro bisogni e problemi, quelli di

si risolve in un susseguirsi di numerose situazio-

Leda e del suo lavoro di psicologa che assiste

ni, eventi, dialoghi, racconti nel racconto, il tutto

malati terminali, e quelli di Laura, adolescente

legato da quel senso del “grottesco” che ci fa

spaventata, annoiata e confusa che si ritrova ad

risultare normalissime situazioni e personaggi

affrontare una gravidanza inaspettata.

che di normale non hanno nulla. Ecco che il vero

Adolescenza, separazione, famiglie fragili,

fulcro di tutto più che dai personaggi disegnati

maternità, aborto e fine vita; queste le tematiche

da Wallace è rappresentato dalle loro nevrosi,

affrontate senza retorica, con uno stile efficace

le manie, le paure e le insicurezze. Un libro che

e con quel crudo realismo che ci permette di

sembra un puzzle, dove sotto una cortina fatta

immedesimarci fino in fondo nei personaggi.

da tante vicende superflue e vagamente colle-

Il tutto narrato in una Roma desolata e infelice

gate, c’è una descrizione dell’uomo moderno

dove nessuno sembra trovare il suo posto.

crudele quanto precisa.

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La parte migliore

progetto grafico studio m_a_g_d_a

LEGGERE

LIBRI


YES, WE CAN!

PENSARE

ATTUALItà

Martiri del consumismo. La società dei consumi è davvero così laica come crediamo? DANIELE MORICI Parlerò di cose apparentemente distanti: religione, marketing, anoressia.

e una sorta di perfezione irraggiungibile.

Non andrò a scrivere nulla di ortodosso. Il mio sarà solo un tentativo di rimescolare le carte in tavola, nella speranza che qualcuno si ponga delle domande e magari si incazzi un po’.

Devi cambiare l’auto, perché quella che hai non è più di moda o ha emissioni troppo inquinanti.

Il corpo dell’anoressica ha un significato iconografico: somiglia a quello scheletrito di sante ascetiche raffigurate in molti dipinti antichi. È il prodotto fisico di un’anima che non si riconosce nella pesantezza terrena e vorrebbe volare verso l’iperurano, prima ancora di essersi separata dalle spoglie mortali. L’anoressia è un suicidio preparato e vissuto giorno dopo giorno, contando i bocconi e consumando le cellule delle ossa, dei muscoli e degli organi vitali. La comunicazione di massa rilancia immagini di corpi stampella, buoni per fare da manichino sui set fotografici e sulle passerelle, ma privati di tutti gli strumenti biologici perfezionati in millenni d’evoluzione della specie, per godere della vita e riprodurla tramite il piacere dei sensi. Cos’è l’ascetismo, se non che il rifiuto categorico di questo piacere, fino alle estreme conseguenze? L’anoressia è una malattia epidemica, ma diversa dalla peste o dalla lebbra: è prima di tutto un percorso mistico. Con questo non intendo glorificarla, ma capirla a fondo, affinché, come condizione umana di sofferenza, non venga strumentalizzata dalla pubblicità e dal marketing consumistico. La pubblicità mira a farci sentire inadeguati: c’è sempre bisogno di qualcosa di nuovo da comprare, per colmare un divario tra ciò che siamo

Devi cambiare cellulare, perché il tuo è troppo vecchio. Devi rifarti il naso, perché quello che hai non va bene. Devi iscriverti in palestra, perché sei troppo grasso o hai una muscolatura che fa schifo. Devi mangiare prodotti vegani, perché la tua dieta è moralmente inaccettabile. Se non hai abbastanza soldi per finanziare tutti questi supplizi, vuol dire che sei davvero imperfetto: probabilmente, se andassimo a scavare nelle tue abitudini, scopriremmo che sei un lavativo, che non lavori abbastanza, che ti lasci andare a uno stile di vita fasullo. Nel frattempo, puoi sempre accendere un mutuo, per comprarti il vestito che ti piace o per arrivare alla meta consumistica che ambisci a raggiungere. Ogni mese, la rata che dovrai pagare, tornerà a ricordarti quanto poco vali e quanta strada tu debba ancora fare prima di poterti guardare allo specchio senza provare insicurezza o addirittura disprezzo per te stesso. Ricorda: essere perfetti ha un prezzo salato. C’è bisogno di investire soldi, lavoro, energie vitali per raggiungere il tuo obiettivo di perfezionamento personale. C’è chi prende troppo sul serio questo messaggio e finisce per pomparsi i muscoli con pasticconi d’ogni tipo, o per contare ogni giorno quanti grammi della propria carne riesca a

smaltire, fino a diventare pelle e ossa e a pranzare con due timide leccate di gelato, buttando la cialda. Tutto questo e altro ancora può accade lungo la via che conduce alla propria autorealizzazione, in un mondo in cui la biopolitica sembra aver invaso ogni ambito dell’esistenza. L’anoressia non è altro che un segno tangibile di quanto grande sia la potenza spirituale insita nell’essere umano. Questa energia non dovrebbe essere sciupata per cose di poco valore. Occorre ripensare il senso del nostro essere umani e chiunque gestisca un brand di moda, dovrebbe esercitare un senso di responsabilità paragonabile a quello di Socrate verso i suoi concittadini. Un marchio è una religione, con i suoi sacerdoti, i suoi santi, i suoi profeti e pure i suoi martiri. Non viviamo affatto in un mondo laico e illuminato: il settarismo e il dogmatismo religioso operano ovunque, ma senza una chiara direzione e contro la vita delle persone stesse. L’unica differenza rispetto al passato è che l’idea di peccato originale è stata sostituita da altro: nasciamo comunque imperfetti e la redenzione da questo stigma ha smesso di essere una promessa astratta e ultraterrena. L’espiazione non avverrà in un luogo imprecisato come il purgatorio, ma nel corso di una vita di sacrifici e apprendimento continuo, per colmare un debito che ogni giorno diviene più grande e incolmabile, a vantaggio di un potere che a piacimento manipola quanto di più sacro.

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PENSARE

TV

Dimmi quali schermi guardi e ti dirò che consumatore sei. Chiara Borsini Nel corso del tempo, dall’invenzione del tubo catodico a oggi, è cambiato il nostro modo di essere spettatori, davanti agli schermi della nostra TV o del nostro portatile. Ma com’è cambiato il modo in cui noi siamo guardati attraverso quegli schermi? Nelle statistiche che riportano ascolti o visualizzazioni, veniamo catalogati come animali sociali, soggetti politici o consumatori seriali? Non è difficile rispondere a questa domanda. Del resto, il modo in cui consumiamo prodotti audiovisivi condiziona il nostro comportamento e questo è un fenomeno che è spesso utile indagare nelle indagini di mercato. Perché di mercato, quasi sempre, si tratta. La TV generalista, quella con cui quasi tutti siamo cresciuti, incentiva un consumo televisivo tendenzialmente passivo, imponendo un palinsesto basato sull’analisi di un target impersonale, ma molto funzionale. I programmi spesso più “consumati”, come le soap opera o Il Grande Fratello e affini, sembrano essere la rappresentazione di un eterno presente, ripetuto in modo seriale, senza particolare spessore o invito al pensiero critico. Poi ci sono i talk show e le arene politiche. I dibattiti televisivi hanno l’ambizione di informare il pubblico, offrendo la possibilità di esaminare una questione rilevante da ogni punto di vista. Non fosse che spesso il confronto si riduce a uno scambio di urla disarticolate – il personaggio pubblico che fa caciara senza dire nulla non manca quasi mai – a cui fa da sottofondo il tifo degli spettatori, per l’una o per l’altra parte. Cosa che rende il concetto di partecipazione del pubblico, il più delle volte costretto agli applausi a comando, un obiettivo non sempre ben riuscito, anche in termini di una conseguente ed effettiva partecipazione politica, al riparo dalle telecamere, in un’anonima cabina elettorale. Merita una menzione anche l’irresistibile fascino dei democratici 15 minuti di celebrità, che è la ricetta vincente alla base di programmi come Masterchef, in cui l’uomo o la donna comuni, che tutto sommato fanno cose ordinarie – tipo cucinare – diventano protagonisti indiscussi del programma o, male che vada, solo di qualche puntata. E guai a violare la regola di base del gioco: il vincitore è solo uno, tutti contro tutti, “mors tua vita mea”. Il talento, si sa, lo hanno in pochi e anche quello può diventare

merce da consumare in prima serata: Auditel docet. Eppure qualcosa è cambiato nel comportamento degli spettatori, soprattutto quelli delle ultime generazioni, che hanno smesso di assistere e basta e hanno optato per un consumo più o meno attivo, quello della pay TV, dei programmi on demand e media affini – come YouTube – scegliendo cosa guardare. Questo, certo, alimenta nicchie e camere d’eco, che sottraggono allo sguardo una visione complessiva, di insieme, del panorama culturale, ma è probabilmente l’emblema di un cambiamento verso un sempre maggiore individualismo. E l’industria televisiva ha captato questa tendenza e si sta adattando, abbracciando un concetto di visione diverso, sempre meno collettivo, simultaneo e sempre più privato. Sembrano, infatti, lontani i tempi della televisione condivisa con i vicini di casa nell’ora del Carosello – se non si considerano le eccezioni rappresentate da serie “di massa” come Game of Thrones – e, a proposito del celebre format nato negli anni cinquanta, è interessante osservare anche come è cambiata la narrazione pubblicitaria – elemento essenziale di qualunque programma da che è nata la televisione. Agli slogan pubblicitari immediati ed efficaci e alla formula seriale, discorsiva e familiare delle televendite degli anni ottanta e novanta si sono sostituite nuove forme di narrazione, quella di internet e dei social media. La condivisione di “storie” particolarmente redditizie tramite Facebook o Instagram ha reso giovani influencer – spesso emersi in contesti televisivi popolari, vedi Uomini e Donne o Temptation Island, per fare alcuni esempi – degni del buon nome di Baffo, Mastrota e Chef Tony. Gli hashtag che precedono i nomi di brand più o meno famosi ci ricordano che c’è sempre un prodotto di cui non possiamo assolutamente fare a meno. Questo fino a che i consumatori non realizzano di essere diventati il target impersonale di sponsorizzazioni varie e allora, a volte, capita che si arrabbino, determinando la rovina di quelli che speculano sui loro cuori palpitanti o sui loro pollici alzati.

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VEDERE

FUMETTO

Pop Star a fumetti Claudio Ferracci

“E’ uscito Diabolik?” ”No.” ”Allora circondate l’edicola!” Per essere protagonisti di una barzelletta, l’ultima forma di narrazione orale e la più virale, bisogna essere qualcuno che tutti conoscono, di cui tutti conoscono le peculiarità, i problemi (la barzelletta dà per scontato che si sappia che Diabolik è ricercato dalla polizia). In altre parole bisogna essere popolari, o ancora meglio “pop””. Questo termine è sempre di più associato ai fumetti, proprio oggi che invece il fumetto, dalla cultura popolare, sta uscendo, per divenire un cosiddetto “prodotto di nicchia”. Negli ultimi tempi alcuni festival sono stati promossi come eventi “del fumetto e della cultura pop”, rendendo equivoco il fatto che il fumetto sia o meno parte della cosiddetta “cultura pop”. Dimentichiamo che già nel 1964 Umberto Eco, prima sulla rivista “Comunicazione di massa” e quindi nel volume

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“Apocalittici e integrati”, definiva il fumetto, come il cinema e la televisione, parte integrante della cultura popolare. Quindi Diabolik (nato nel 1962, guarda caso) rientra nella “cultura popolare”? E il fumetto è una forma di “comunicazione di massa”? Se prendiamo per esempio il “Re del Terrore”, possiamo dire che è certamente un’icona pop, nel senso che, almeno nel nostro paese, è molto popolare e tutti lo conoscono. Fu un grande successo, cinquantasette anni fa, la creazione da parte delle sorelle Angela e Luciana Giussani di questo protagonista che, per la prima volta in un fumetto seriale, era “cattivo”. Il suo successo immediato è dimostrato dal fatto che ha generato infiniti imitatori e solo dopo pochi anni la “Domenica del Corriere” gli dedicava la copertina e ne veniva prodotta la trasposizione cinematografica. Risulta-

to: anche chi non ha mai letto un fumetto di Diabolik sa chi è Diabolik! Un altro aspetto che caratterizza i protagonisti della cultura popolare è la parodia. Da questo punto di vista potremmo dire che forse il politico italiano più popolare è stato Giulio Andreotti, il più bersagliato dalla satira. Non sfugge alla regola Diabolik, che oltre ad avere tantissimi “epigoni con la kappa”, come si diceva una volta (Kriminal, Satanik, Zakimort, Killing, Demoniak, Infernal e chi più ne ha più ne metta) vanta anche numerose parodie, a partire da Cattivik fino a Paperinik, nei fumetti, per non parlare di Dorellik, personaggio televisivo interpretato dal cantante Johnny Dorelli. Persino la Jaguar E-Type divenne per tutti la macchina di Diabolik, e uno chignon sulla nuca una “pettinatura alla Eva Kant”. Questo patrimonio di conoscenza comune entra poi nel lessico quotidiano, e il gioco è fatto. Ma Diabolik, che si era conquistato questa popolarità negli anni ’60 e ’70, viene ancora oggi pubblicato regolarmente, anche con produzione di storie nuove. Che dire di personaggi che invece non vengono stampati o rappresentati da decenni, ma permangono insistentemente nell’immaginario collettivo e nel nostro linguaggio comune? Potremmo parlare di due icone formidabili che in questo 2019 compiono gli anni: Zorro (creato nel 1919 da Johnston McCulley) e Braccio di Ferro, in originale Popeye (creato nel 1929 da Elzie C.Segar come comprimario nella serie di fumetti per i quotidiani americani “Thim-

ble Theatre” e poi divenuto protagonista). Zorro nasce come protagonista di “pulp stories”, racconti avventurosi pubblicati su riviste economiche, per poi essere presto adottato dal cinema (interpretato da Douglas Fairbanks nel 1920, da Tyrone Power nel 1940, e poi via via fino ad Alain Delon e Antonio Banderas). Transiterà anche nel fumetto, in diversi momenti, ma soprattutto viene considerato il prototipo dell’eroe mascherato, e sarà l’ispiratore di Batman bambino, che si vede uccidere i genitori all’uscita del cinema, proprio dopo aver visto “il segno di Zorro”. Gramsci individuava in Edmond Dantes (il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas) il prototipo dell’eroe giustiziere e vendicatore. In ogni caso è evidente la genesi di questo tipo di eroe nella letteratura popolare, che non poteva che colonizzare, in special modo attraverso il fumetto, la cultura pop del ‘900, cavalcando la sete di giustizia e di rivalsa dell’uomo medio. Ma quanta gente che conosce Zorro ha letto i romanzi di McCulley o visto i film con Douglas Fairbanks? Direi quasi nessuno, nemmeno quelli che, da bambini, a carnevale si vestivano da Zorro, prima che venisse sostituito da qualche eroe dei cartoni giapponesi. In Italia Zorro ebbe un momento di particolare notorietà quando la Rai trasmetteva a partire dal 1966 il serial televisivo omonimo della Disney, con protagonista l’attore Guy Williams. E così l’editore Bianconi commissionò allo studio Del Principe la produzione di storie a fumetti ispirate alla serie tv, che ebbero successo fino alla durata della serie stessa e poi furono bloccate dalla Disney per problemi di copyright. Nonostante ciò, anche chi non era bambino allora conosce Zorro. Braccio di Ferro nasce invece per i fumetti, per passare poi al cinema d’animazione. Ne fece anche un film con attori nientemeno che Robert Altman, interpretato da Robin Williams, nel 1980. Che l’irascibile marinaio guercio sia un’icona pop è lampante: qualcuno di noi non ha pensato a lui, quando cercava di far mangiare gli spinaci ad un bambino? E gli eroi dei fumetti di oggi, diventeranno anche loro patrimonio di tutti? Difficile dirlo, il fumetto non è più letto come una volta. Ma voglio sperare di si, tutto sommato questi personaggi fanno molta compagnia.

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“Il cinema è un alto artificio che mira a costruire realtà alternative alla vita vera, che gli provvede solo il materiale grezzo." Umberto Eco

VEDERE

CINEMA

L’atmosfera degli anni Settanta nel Cinema Contemporaneo Andrea Fioravanti

scritta CINEMA «Anche le bellezze possono essere non attraenti. Se cogli una bellezza al momento giusto, con la luce sbagliata, è meglio che lasci perdere. Io ho fiducia nelle luci basse e negli specchi compiacenti. Io credo nella chirurgia plastica». Andy Warhol

Nonostante il lungo oblio, nelle ultime stagioni, l’atmosfera della pop culture degli anni Settanta è ricomparsa in molti film. Il ritorno dei “generi”, il montaggio parallelo, i campi lunghi, le zoomate improvvise, la fotografia monocromatica sono ormai una costante del cinema contemporaneo.

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utta la poetica di Quentin Tarantino ha un debito verso quel periodo: l’autore ha realizzato Thriller, Pulp, Western War-movie, omaggiato i film orientali Wuxia con tanto di katana e maestri delle arti marziali e ora è in uscita un vero e proprio manifesto del cinema di quegli anni dal titolo inequivocabile C’era una volta a... Hollywood. Anche l’ultimo film di Spike Lee, BlacKkKlansman abbraccia quelle atmosfere, attraverso la storia vera di un detective afroamericano che negli anni ‘70 riuscì ad infiltrarsi nel “Klu Klux Klan”. Spike Lee vede in quel decennio un’ottima occasione per parlare dei contrasti razziali tramite il cinema di genere “nero” per eccellenza: la blaxploitation e nel farlo ricostruisce l’ambiente della provincia più profonda dei razzisti bianchi da un lato, e dall’altro l’universo della storica organizzazione rivoluzionaria afroamericana delle Black Panther con ambienti, musica, abbigliamento e pettinature realizzate con precisione e meticolosità. Lo stesso David O. Russell non ha rinunciato a un’incursione nei Seventies, il suo American Hustle oltre ai tempi e ai ritmi di quel periodo aggiunge lo stesso tasso di goffa ironia dei personaggi, tra parrucche e pettinature impensabili, riporti ingiustificabili su fronti spelacchiate e pellicce trash su pance tutt’altro che nascoste. Anche l’indiscusso maestro del cinema contemporaneo Paul Thomas Anderson, da sempre affascinato dalle ricostruzioni d’ambiente (la fine dell’Ottocento con Il petroliere, gli anni 50 di The master, la Londra del Dopoguerra de Il filo nascosto) si è cimentato con i 70s. Uno dei suoi capolavori, Vizio di forma, è ambientato proprio all’alba del nuovo decennio, quindi pesantemente influenzato dalla psichedelia dei Sessanta. Il film si pone come un codice di abbigliamento lontano dai canoni classici della moda patinata successiva, ed ecco allora che camicie larghe e tinteggiate, tuniche dai colori sgargianti, gonne lunghe, pantaloni a zampa e monili dal retrogusto esotico diventano parte del racconto sociale proposto dal regista, che mette in scena fobie, allucinazioni e una serie di misteri in un’infinita spirale cospirazionista. Un intrigo che sembra far sbandare il detective strafatto interpretato magistralmente da Joaquin Phoenix, scelto più di una volta per dare vita a personaggi degli anni Sessanta/Settanta (tra le tante citiamo il Johnny Cash di Quando l’amore brucia l’anima, o il vignettista satirico John Callahan, del film Don’t Worry di Gus Van Sant). Sempre Paul Thomas Anderson ha realizzato uno degli affreschi più interessanti sull’industria del porno degli anni Settanta: Boogie Nights – L’altra Hollywood esplora un universo “artistico” parallelo a quello ufficiale estremamente vitale e creativo, in cui produt-

tori, registi, attori e montatori lavoravano e si adoperavano per film porno destinati alla sala prima che questi venissero surclassati dall’homevideo anni Ottanta. Il decennio è stato una sorta di punto di non ritorno della morale collettiva e del comune senso del pudore, in cui naturismo, scambismo e sesso libero provenivano da quell’estrema libertà creativa che aveva contagiato un po’ tutti. Anche l’aspetto e il corpo erano liberi da qualsivoglia costrizione, con i capelli e i peli delle ascelle e del pube ben in vista: nell’affrancamento intellettuale dell’epoca questi conservavano un legame ancestrale con la natura ferina dell’uomo e l’atto sessuale non veniva mortificato eliminando baffi, basettoni o quant’altro. In questo senso va indubbiamente citata una delle serie meno conosciute e più importanti della scorsa stagione Deuce. Ambientata a New York nei primissimi anni Settanta, la serie racconta del passaggio dalle pellicole erotiche alle pellicole pornografiche fino alla legalizzazione dell’industria pornografica e della sua successiva diffusione in un periodo storico in cui l’HIV si stava rapidamente diffondendo e il traffico di eroina e cocaina generava continue ondate di violenza. Una serie “monstre” (il primo episodio dura quasi 2 ore) in cui la produzione HBO non ha badato a spese attraverso una ricostruzione d’ambiente mai vista prima. Un concept geniale unito a una cura dei dettagli maniacale che ci ha regalato l’immersione più autentica nei Seventies americani di questi ultimi anni, grazie anche alla lentezza della narrazione: l’autore David Simon (già creatore della serie di culto the Wire) si prende tutto il tempo per illustrarci il contesto storico/sociale e presentarci decine di personaggi che popolano quel pezzo di strada che dà il titolo alla serie, la 42esima o, come veniva chiamata una volta, la forty-deuce. Anche il nostro cinema si è dedicato alla rilettura degli anni Settanta (Romanzo criminale, Mio fratello è figlio unico, Romanzo di una strage). È di questi giorni l’uscita su Netflix di un film pienamente immerso nell’atmosfera del decennio: Lo spietato di Renato De Maria mette in scena la storia tratta dal libro Manager Calibro 9 di Piero Colaprico, sorta di romanzo di formazione criminale in cui Scamarcio dà forma, capigliatura e Rolex a un imprenditore del crimine, prima scagnozzo, poi rapitore negli anni dei sequestri, ancora spacciatore e infine imprenditore della malavita nella Milano di piombo anni Settanta. Renato De Maria è ormai al terzo e più compiuto film della sua serie criminale anni Settanta (La prima linea poi il bel documentario Italian Gangsters) e senza dubbio si muove bene all’interno del genere 70s.

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ARTE

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ARTE

L’arte al tempo degli Outlet Andrea Baffoni Per molti sono il male assoluto, per alcuni solo un luogo di passaggio, per altri ancora una vera ossessione: gli Outlet, “cattedrali del consumo”, sono infine una realtà da milioni di presenze ogni anno. Luoghi, non-luoghi, o forse iper-luoghi, qualsiasi attributo può andar bene, ma al di là degli slogan l’unica certezza è il flusso umano che convogliano e questo basta, per quanto controverso sembri, a denotarli come spazi di un possibile umanesimo.

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n base a ciò, sempre più frequentemente, questi centri propongono eventi culturali tra cui concerti, presentazioni di libri, conferenze, mostre. Iniziative destinate a creare un diversivo nel pubblico e sebbene lo scopo resti pur sempre commerciale, il risultato è ugualmente da non trascurare. Gran parte dei visitatori, infatti, sono adolescenti, che trovano nella finzione di questi agglomerati artificiali la realtà di ore e ore spese a far nulla. Tutto ciò rappresentando un rischio reale, incidendo sulla capacità di trovare, nel quotidiano, attività capaci di stimolare l’intelletto e maturare una reale coscienza sociale. Non c’è quindi solo il problema del consumismo all’orizzonte, ma anche quello di una pericolosa distrazione di massa, il cui effetto diverrà sempre più evidente mano a mano che le generazioni giungeranno al loro grado di maturità dimostrando, nel tempo, una graduale perdita di consapevolezza, con conseguente maggiore fragilità sociale. La cultura può pertanto essere un buon margine, ma solo se in grado di offrire qualità e intercettare gli interessi delle masse che gravitano in tali ambienti. Già nel 1954, a Detroit, il Northland Center, uno dei primissimi centri commerciali, ospitava una piazza pensata proprio per proposte culturali e da allora gli esempi non sono mancati. In Italia, tuttavia, questi grandi complessi sono approdati molto più tardi e solo di recente sono nati gli Outlet, piccole città del commercio, costruite su modelli antichi, con strade, vicoletti, porticati, scale e piazze, tutto rigorosamente nominato con una toponomastica interna. Agglomerati sorti per una necessità, anch’essa figlia dell’iperconsumismo: smaltire a prezzi ribassati le migliaia di prodotti che ogni anno si accumulano negli scaffali dei grandi marchi. Ed ecco il sorgere di veri e propri villaggi, un po’ tentando di far sentire gli acquirenti dei turisti, ingannando la percezione del momento e favorendo l’ingresso – sebbene outlet significhi il

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contrario – in un vero e proprio mondo parallelo. Un tale obiettivo se l’è posto recentemente Valdichiana Outlet Village, che da tempo organizza al proprio interno momenti culturali, ma che per la prima volta si è fatto promotore di una vera e propria mostra d’arte contemporanea. Un grande evento espositivo dal 1 maggio al 30 giugno 2019, organizzato dall’associazione Artadoption di Massimo Magurano, con ventuno artisti (Carlo Dell’Amico, José Ballivián, Noemi Belfiore, Collettivo “Out of Order”, Stefano Di Giusto, Gillo Dorfles, Salvatore Fiume, Stefano Frascarelli, Roberto Ghezzi, Marco Lodola, Laura P, Nicola Maggi, Sol Mateo, Jannis Markopoulos, Alessandro Marrone, Movimento Creative Label, Negro, Skizzo, Giuseppe Spagnulo, Roberto Sportellini, Katja Tukiainen), alcuni dei quali veri e propri maestri riconosciuti a livello internazionale, suddiviso in tre padiglioni interni e un’area esterna con numerose sculture diffuse. L’evento si caratterizza per una specifica volontà di dialogare con i linguaggi dell’arte verso un pubblico tra i più eterogenei, a cui si propone l’immersione in qualcosa di inusuale. Questo il senso del titolo stesso, Wonderland, riecheggiando il capolavoro di Lewis Carroll, dove la favola rappresenta solo il mezzo più adeguato per giungere a narrare concetti complessi in una forma capace di coinvolgere adulti e bambini. Una sorta di ossimoro, ma efficace e per questo la mostra presenta differenti livelli che vanno da una sezione in cui ci si immerge nel concettualismo più contemporaneo, a contatto con opere dal sapore meditativo e introspettivo, a un’altra in cui si respira un’aria di vitalità estrema, inondati da colori e forme allegoriche giocose, video e suoni contemporanei, per finire, attraversando le aree esterne ad uno spazio con installazioni videomapping. La cultura Pop, quella del consumo, trova così un percorso d’immedesimazione nel prodotto culturale, anch’esso sottoposto ai meccanismi del mercato,

ma svincolato dalle necessità del commercio. A Milano, ad esempio, il grande centro commerciale Scalo, ha da tempo predisposto uno spazio permanente per eventi espositivi, lo Scalo Art Pavillon, mentre il Mantova Village ha presentato nel 2017 la mostra fotografica Andy Warhol e Jean Michel Basquiat dalla Pop art alla Steet art, un po’ forse omaggiando proprio quel mondo ultra popolare da cui tali realtà provengono. L’arte al tempo degli Outlet è qualcosa che necessariamente deve sapersi svincolare dai

preconcetti, cercando il coraggio di andare a raccontarsi in luoghi che usualmente sono preda distratta delle masse. Una sfida che denota coraggio perché il rischio più probabile è quello dell’indifferenza, ma se questo è vero, altrettanto lo è il fatto che la cultura deve saper andare proprio nei luoghi in cui non è richiesta, senza approdare come qualcosa di estraneo, ma piuttosto come quel qualcosa che non t’aspetti e che infine, quando ce l’hai, fai fatica a lasciarlo andare.

La Popular Art (Pop Art) Americana e Italiana. Emanuele Buono Emanuele Buono è un giovanissimo esperto d’arte torinese. Classe 2008 a soli 10 anni annovera tra le sue passioni la musica e l’arte contemporanea.

Tutti pensano che la Pop Art sia nata in America, ma si sbagliano. La pop art è nata in Gran Bretagna con Richard Hamilton e in Gran Bretagna c’era anche un italiano, Eduardo Paolozzi, che fece i primi quadri Pop, iniziando con il collage “I was a Rich Man’s Plaything” (Ero il giocattolo di un ricco) del 1947. Nato a Edimburgo da genitori italiani fu il cofondatore dell’Independent Group, un gruppo di artisti britannici (tra cui Hamilton) che, dall’inizio degli anni ‘50, ha aperto la strada alla Pop Art. Si fece influenzare soprattutto dai surrealisti come Picasso e Giacometti. Fu scultore e pittore; i suoi bronzi sono famosi in tutto il mondo mentre i suoi BUNK! collage del 1952 sono ritenuti le prime opere della Pop Art. In America seguendo la strada dell’Independent Group troviamo Andy Warhol (19281987) e ancora prima Robert Rauschenberg. Andy Wharol, era un uomo con i capelli argentati che, si dice, girava per le città con la sua macchina fotografica per immortalare tutto ciò che vedeva. Warhol non era un pittore: non faceva sedere le persone davanti a lui per ritrarle. A lui bastavano poche foto già in circolazione nei circuiti comunicativi. Per questo scelse Marilyn Monroe: perché era un’icona, non una persona! Insieme a Wharol ci fu Jasper Johns, che dipingeva le bandiere americane sulla tela; Roy Lichtestein, che usava i fumetti per la prima volta nella storia dell’arte; Robert Indiana, famoso per la sua scritta LOVE e molti altri. Questa è l’arte pop americana. Nooo, non ho finito. Manca l’arte pop italiana.

Gli italiani, a differenza degli americani, non usano persone e oggetti americani, ma scelgono soggetti e icone della tradizione italiana per usarle in diversi modi. É vero che, in una parte della sua vita, Schifano dipinge le Coca-Cola e le Esso, però “dipinge” anche i paesaggi anemici e i monocromi, italiani al 100%. I massimi esponenti della pop italiana furono i giovani di piazza del Popolo a Roma (Schifano, Festa, Angeli...). Festa dipinse oggetti e icone italiane, come le opere di Michelangelo e le piazze del popolo. Angeli invece riprodusse la lupa di Roma, cioè la nascita della civiltà italiana. Tutta l’arte Pop italiana è fondata su basi italiane e aggiunge una lettura critica. Anche Mambor dipingeva le persone e gli oggetti quotidiani senza dettaglio, come sagome senza volto, senza la loro identità perché lui, in quei tempi, era contro il consumismo e l’omologazione. Come se il soggetto dovesse nascondere qualcosa e quel qualcosa si nascondesse perfettamente sotto al manto di colore che lo abbraccia. Bisogna però ammettere che la Pop, italiana e non, usò sempre i colori accesi, i contrasti tra colori caldi e colori freddi, come per far festa in tutti i momenti. Oggi non si sa se la Pop Art sia morta oppure no. Alcuni dicono di sì, altri di no. Secondo me la Pop Art è ancora tra noi e resterà tra noi perché abbiamo bisogno di un’arte che riconosce i movimenti nel mondo dell’economia per poi restituirci i contenuti in forma giocosa e di facile lettura.

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TEATRO

Il teatro: un nemico del popolo? Michelangelo Bellani

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ell’opera teatrale "Un nemico del popolo" (titolo originale En folkefiende ) scritta da Enrik Ibsen nel 1882, il protagonista dottor Peter Stockmann, scopre che le acque della città termale in cui vive e lavora, sono contaminate. In contrasto con suo fratello e sindaco della città, che vuole tacere la notizia, decide di avvertire la popolazione del pericolo, convinto che alla fine la cittadinanza gli sarà riconoscente. Al contrario, una volta appreso che per gli impianti di depurazione sarebbero necessari lavori costosi e la chiusura temporanea degli stabilimenti termali comporterebbe una gravosa perdita economica, tutti si schierano contro di lui a tal punto che nel corso di un’accalorata assemblea pubblica, l’idealista dottor Stockmann finisce col proclamarsi nemico del popolo. «La maggioranza non ha mai ragione, mai! Ecco una di quelle menzogne sociali contro le quali un uomo libero – libero nei suoi pensieri, nel suo agire, in tutta la sua persona - deve ribellarsi. (…) Perché è proprio questo, sì, proprio questo il mio tema, l’avvelenamento e la costruzione di tutta la nostra vita, di tutta la nostra realtà ad opera di questa massa, di questa maledetta e compatta maggioranza!» L’opera del celebre drammaturgo Norvegese, di recente messa in scena dal Teatro Nazionale di Roma, per la regia di Massimo Popolizio, pone in risalto non solo la questione etica ed ecologica nella gestione politica, ma ‘l’avvelenamento’ dello stesso meccanismo democratico. Il tema evidentemente resta cogente e attuale a distanza di oltre un secolo, tuttavia la provocazione del testo ibseniano offre anche l’opportunità per una riflessione più endogena al teatro in quanto relazione sociale. In effetti nell’irriducibile pluralità delle sue manifestazioni e linguaggi, a chi si rivolge il teatro, qual è la sua platea di riferimento? A volte sembrerebbe un ambito più Midcult ristretto appannaggio di élite sociali e intellettuali; in altre circostanze invece si muove dentro un contesto nazional-popolare o Masscult piuttosto allargato. Ogni tentativo di definizione appare maldestro. Come arte è compromessa dalle sue implicazioni spettacolari, la messinscena, la scenotecnica, il rapporto diretto con il pubblico. Il teatro è irrimediabilmente arte impura. D’altro canto, trattato come forma di intrattenimento spettacolare risulta spesso avvizzito rispetto alle più contemporanee produzioni mediali tanto più agli occhi delle giovani generazioni oramai assuefatte a ‘luoghi’ percettivi molto differenti. Anche da questo punto di vista la questione non è così lineare come sembra. Se, infatti, spettacoli di stampo più tradizionale risultano insostenibili per l’audience giovanile, opere teatrali con linguaggi più innovativi e molto

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più al passo con l’immaginario contemporaneo, correrebbero il rischio – a detta dei direttori dei teatri – di scontentare la maggioranza compatta degli abbonati di lungo corso. Dunque cosa ci si aspetta ancora da questo antico marchingegno? A che serve e soprattutto quale teatro dovremmo rottamare o sostenere? I maestri, attori, registi, drammaturghi, spesso ripetono il leitmotiv: “Il teatro è teatro, quando c’è lo riconosci”. Certamente le sue origini lo pongono al centro della vita sociale di una comunità, come gesti codificati di un rito da cui scaturisce la grande tradizione del teatro greco antico. Per questo, probabilmente, fra i cittadini nell’Attica del V secolo a.C., laddove l’evento teatrale costituiva il polmone di una coscienza sociale condivisa, non sarebbe mai sorto un problema di identità del teatro. Del resto mettere in scena se stessi o il desiderio di riconoscersi nello sguardo degli altri, è qualcosa di connaturato al sentire umano a partire dalle sue prime manifestazione di vita. Basta osservare un bambino quando dinnanzi ai genitori si ‘getta’ nelle sue prime esplorazioni del mondo ‘esibendo’ l’articolazione del corpo e la Phoné delle prime sperimentazioni vocali. La lallazione dei bambini è qualcosa che si avvicina molto all’origine della recitazione che ha a che fare, appunto, col canto rituale, ma anche con la scoperta del linguaggio e della relazione con gli altri. A partire da questo sedimento antropologico che sembra così elementare, però, oggi non è così facile comprendere, complice anche una certa deformazione del termine ‘popolare’, fino a che punto la natura teatrale debba essere inglobata o resistere al ‘dominio’ del popolo. La questione è tanto più ingarbugliata in un’epoca in cui il fattore umano, deportato come sembra alla virtualità della sua riproducibilità tecnica, per evocare il celebre saggio di Benjamin, produce reti sociali (social network) sempre meno create e condivise direttamente. A tal proposito Piergiorgio Giacché, antropologo, fra i più autorevoli teorici italiani del teatro contemporaneo, ci aiuta a riconoscere la dimensione teatrale come un momento privilegiato in cui «tornare ad essere ‘osservatori’ di una realtà in cui si è naturali ‘partecipanti’», un luogo «dove recuperare le possibilità ‘teatrali’ di comunicazione, di espressione, di incontro interumano, dove restaurare, prima del linguaggio arcaico dei sacri testi di una tradizione, i propri gesti e in definitiva il proprio corpo» (Lo spettatore partecipante). Se tutto questo oggi, sia divenuto così impopolare e dunque destinato a scomparire è difficile da stabilire. Quello che sembra evidente è il legame imprescindibile fra teatro e società che lo determina. Quando la società si disgrega anche il teatro sembra perdere le sue facoltà naturali di costruire relazioni umane significative. Ma forse, nello stesso tempo, è anche una possibilità che abbiamo di ricostruire, giocando seriamente come fanno i bambini.

GRAPHIC & WEB DESIGN

SOCIAL MEDIA MARKETING

EDITORIA

PHOTO & VIDEO


Classe 1983, umbro, dinamico, lungimirante. Paolo Bartolomei ci racconta le novità della cantina Le Cimate fondata nel 2010; azienda che si posiziona ai vertici delle migliori classifiche vinicole Umbrere e non solo.

Paolo, quali sono stati gli sviluppi aziendali degli ultimi anni? Di novità molte, non posso svelarle tutte perché manteniamo sempre un segreto professionale, per tutelarci dalla concorrenza, tuttavia solo per voi svelerò l’ultimissima novità aziendale. Siamo onorati di aprire l’intervista con una rivelazione. La rivelazione riguarda un nuovo prodotto “DONNA GIULIA” sarà il primo “Sagrantino Riserva” e tra i primi sagrantini selezionati dal Gambero Rosso. Lasciamo che il vino invecchi per sette anni. La novità assoluta appartiene alla denominazione “riserva”, saremmo i primi a produrre un “Sagrantino Riserva” , stiamo chiedendo al Ministro di fare questa integrazione. Perché chiamarlo “Donna Giulia” ? Perché è a lei che dedico il mio impegno e tutta la mia passione, alla donna che governa il mio cuore e la mia vita, a mia figlia, nonché speriamo anche la mia futura erede. Ci parli dei suoi nuovi prodotti ? Per cominciare parlerei del nostro Trebbiano Spoletino Doc del territorio di Montefalco, sarà l’uva del futuro... Perché chiamarla “uva del futuro”? Perché è un clone riscoperto tra Trevi a Spoleto, ha radici secolari ed è stato “rifatto” in stile moderno, attraverso un mix di qualità, tra chardonnay, riesling, un insieme di profumi che lo stesso Greghetto non riesce a garantire. La seconda novità? La seconda l’affiderei al Trebbiano Spoletino Riserva Cavalier Bartolomei: barrique, legno, macerazione dell’uva tardiva e macerazione delle bucce. Lo lasciamo maturare nel legno per un anno. Sorseggiandolo ritroviamo la dolcezza dell’acacia. Abbiamo sentito parlare anche del “Super Umbrian”, ci dica qualcosa ? E’ il nostro Macchieto, un connubio perfetto tra sagrantino al 50% e cabernet souvignon, invecchia sei lunghi anni prima della vendita, subito dopo lo tratteniamo altri

tre anni nel legno, per poi trasferirlo nella bottiglia per altri tre anni ancora. Bello sentire una passione così forte, che supera le intemperie del mercato di oggi e vi classifica verso gli orizzonti. Ci sono ancora novità, segreti, curiosità, che questa intervista può svelare ? Si. Potrei raccontarvi l’aneddoto del “Super Umbrian” lo abbiamo di recente venduto in America, più precisamente nella patria del cinema di Hollywood, un ordine numerosissimo per la cena organizzata da George Lucas. Immagino che sia stata un emozione grande. Superare i confini dell’Umbria è importante, portare la tua terra nativa, la tua regione nel cuore di molti ti fa sentire parte di un tassello che ribadisce e ristabilisce il valore delle origini. Grazie Paolo. (R.P.)


SLURP!

MANGIARE

FOOD

Elogio alla Pizza Elia Sdei Se fossi veramente costretto a dargli una definizione questa sarebbe: “Cibo democratico per persone felici”. Pensateci: la pizza è economica, completa, veloce se non addirittura immediata. Te la portano a casa, te la porti a casa, te la fai a casa; è cosi legata al concetto di casa che non può non essere di tutti.

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a pizza ha questa natura nell’immaginario collettivo, forse perché dobbiamo al pane la sua invenzione e il pane è la base quindi il tutto nella nostra cultura e sulla nostra tavola. Le origini della pizza affondano in un misto di storia e leggenda: senza voler scomodare gli etruschi prima, i greci e i romani poi, che parteciparono con diversi contributi alla storia di questo alimento e passando a una storia più recente sappiamo che tra il 1700 e il 1800 la pizza era già enormemente diffusa a Napoli sua patria natale. I forni della città cuocevano e il ragazzo di bottega portava la pizza a domicilio tenendo una stufa in equilibrio sul capo: JustEat roba da principianti. Fino alla metà degli anni sessanta del novecento però la pizza rimane appannaggio esclusivo del sud Italia. Ci pensa un fenomeno molto in voga tra gli italiani, ovvero l’emigrazione, a portare la pizza prima nel resto d’Italia, poi negli USA e in Sud-America e infine in Asia ed Est-Europa. Insomma una pizza fatta bene o, molto più probabile fatta male, la trovi anche nella landa più sperduta del pianeta. Partita da Napoli quindi la pizza è stata esportata in tutto il mondo, diventando un patrimonio di tutti. Per tradizione un napoletano, o più in generale un italiano, che emigrava all’estero sapeva bene che, alla fine, poteva sempre mettersi a fare le pizze, in quanto italiano i clienti non gli sarebbero mancati. Di contro, in Italia, oggi non è raro trovare pizzerie con pizzaioli milanesi, padovani, egiziani o finlandesi. Una grande controtendenza rispetto al passato, infatti fino a pochi decenni fa la pizza doveva avere un concentrato di napoletanità visibile e ridondante. La pizza è senza dubbio la pietanza più POP del mondo: anche se ha una nascita e una localizzazione ben precisa nella geografia e nella storia, la pizza fa la fine dell’acqua, piglia la forma che gli viene data. Viene plasmata, interpretata, avvicinata alle tradizione di questo o quell’altro luogo e prende, per magia,

le sembianze del luogo in cui si trova; rovinata, esaltata, massacrata e persino condita con bacon e due fette di ananas la pizza unisce i popoli intorno a essa. La pizza appartiene, in senso stretto e in senso profondo a ognuno di noi, qualsiasi sia la nostra storia, qualsiasi bandiera ci sia sul nostro passaporto. Persino a noi italiani non appartiene completamente ed esclusivamente, in fondo appartiene solo a una città di cui è bandiera si, ma che per un popolo estroso come quello napoletano rappresenta un vero e proprio paradosso. Forse pochi lo sanno ma a Napoli la vera pizza è solo Margherita o Marinara, senza possibilità di mille ingredienti esotici abbinati a chissà quale birra, perchè per tradizione con la pizza si beve solo acqua, possibilmente del sindaco. Nessun occhio strizzato ai turisti, nessuna discesa a patti con la contemporaneità: che ci pensino gli altri. E allora la pizza diventa una tavolozza. A Napoli hai solo due gusti se vuoi fare il puntiglioso, a Roma, 227km di distanza da Napoli, la mangi bassa e scrocchiarella, a Milano, 772km di distanza da Napoli, te la fanno croccante e biscottata, a Parigi, 1621 km da Napoli, la desiderano con l’uovo all’occhio di bue al centro, mentre negli USA, 7.073km da Napoli, la trovi di quattro tipi diversi a seconda di dove sei: New York ha la sua, a Chicago sembra una torta salata, a New Heaven fanno bruciare il bordo mentre a Detroit hanno uno stile tutto loro, la fanno quadrata. In realtà ne hanno anche un quinto tipo, tipico delle Hawaii, che noi tutti aborriamo poiché condita con Ananas e Bacon, ma vi assicuro che è la preferita della città di Osaka, Giappone, 9.684km da Napoli. Non conosco altro cibo al mondo che copra queste distanze, che sia cosi trasversale e soprattutto che ognuno su questo pianeta possa (non sappia, la differenza è molta) lavorare a suo piacimento e farlo proprio: la pizza è una tela bianca. E sapete quale è il segreto di tutto questo? E’ un segreto.

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NON CI RESTA CHE PROVARE, PROVARE, PROVARE Forno San Feliciano

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Winner Ristò

Rare

COME Panetteria, pasticceria e caffetteria DOVE Viale Firenze 101, località La Paciana – Foligno PERCHÉ Conserva la bontà del pane fatto in casa e cotto su forno a legna, insieme a pasticceria artigianale dolce e salata: il lavoro dell’uomo prima di tutto.. CURIOSITÀ E STORIA Facciamo del nostro mestiere uno stile di vita che dura oramai 30 anni

COME Bottega alimentare. Vendita al dettaglio dei prodotti e cucina ricercata nelle materie prime e negli abbinamenti. DOVE Foligno centro PERCHÉ La parola d’ordine è RICERCA: avere la costanza di essere sempre in cerca di gusti, prodotti, produttori e servizi è alla base del nostro lavoro. La divisione tra LA BOTTEGA e LA CUCINA si trova anche nel menù, dando l’opportunità di fermarsi per un aperitivo, ma anche di mangiare solamente un dolce dopo cena. CURIOSITÀ E STORIA Il percorso iniziato 3 anni fa ha raggiunto oggi la sua maturità. Con dedizione siamo arrivati a lavorare con un menù che rispecchia in pieno la filosofia aziendale. Controlliamo e visitiamo i produttori con cui lavoriamo, dalle fattorie ai caseifici alle aziende agrarie di vario genere. Così proponiamo un menù di cucina idealisticamente tradizionalista, ma con tecniche e visioni moderne.

COME Un luogo d’incontro dove poter trascorrere ore piacevoli con un offerta a 360° DOVE Foligno PERCHÉ Perché dalla colazione alla cena, il team di Winner è in grado di offrire ogni tipologia di servizio. Dagli incontri di lavoro agli appuntamenti sportivi, fino agli eventi per tutte le età, anche musicali, Sempre rispettando gli spazi di ogni cliente. CURIOSITÀ E STORIA Ultimo arrivato , l’angolo Winner Risto’ dove poter assaporare nuove pietanze sia a pranzo che a cena in assoluta armonia e tranquillità.

COME Ci piace fare le cose con cura, il nostro locale è un piccolo scrigno di 44 mq, dove regna la calma e i fruscii della voci non si sovrastano... tutto ruota in torno al bere, alla ricerca e alla cura dei nostri clienti. Puoi accomodarti anche all’aria aperta oppure decidere di portare il tuo cocktail a casa tua. DOVE Siamo in una delle piazze più belle di Foligno, in un angolo, quasi nascosti agli occhi di chi non sa guardare. PERCHÉ Il nostro principale obbiettivo è quello di far vivere un’esperienza, creiamo cocktails che fanno lavorare i sensi. Misceliamo sapori poco convenzionali, per far si che lo stupore sia sempre presente in tutto quello che assaggiate. CURIOSITÀ E STORIA Ogni cocktail da noi creato ha una storia e una ricerca maniacale. Passiamo interi giorni e notti a studiare, per offrirvi sempre qualcosa di diverso. Consideriamo RARE la nostra tela, dove esprimere al meglio noi stessi. Siamo ecologici al massimo non utilizziamo plastica (dove possibile), collaboriamo con enti come il WWF, per noi i nostri animali guida sono sacri. Che altro dirvi, venite a trovarci, vi aspettiamo.

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Amandola

Forno Pizzoni

Le Delizie del Borgo

La Cresceria

COME Foligno: Appena fuori le mura della citta’ Amandola e’ una location minuziosamente studiata dall’architetto Alessandro Cucciarelli. Nella sua location ampia e luminosa e’ pronta ad accogliere grandi e piccini sia all’interno che nella nuovissima cornice esterna. Il piacere del gelato “veramente artigianale” a tutte l’eta’. Da pochi giorni e’ stato aperto un secondo punto vendita anche a Spello in piazza Matteotti. DOVE Foligno, Viale Firenze PERCHÉ “Perche’ avevamo voglia di fare del buon gelato” e’ la risposta dei proprietari . Il laboratorio a vista e la vetrina refrigerata a vetri sono il cuore della gelateria artigianale. La passione dei proprietari per la scelta delle materie prime e’ il primo pensiero. Come per Cucinaa, utilizzano prodotti scelti con grande attenzione, sia a km 0 con le meline rosse o le pesche di vigna, sia dove si celano le migliori chicche, fino ad arrivare in Brasile per la frutta , come ad esempio l’acerola o il mango. CURIOSITÀ E STORIA Amandola e’ il frutto dell’unione di due menti vulcaniche una tutta italiana, lo chef Marco Gubbiotti, una tutta brasiliana lo chef Ricardo Ferraz. La fusione di due mondi che sapientemente esplode nei nostri palati.

COME Un forno, che dal 1935 crea, ogni giorno, prodotti unici, rimanendo fedele agli antichi sistemi di produzione artigianale; ma anche una pasticceria, che celebra la tradizione; un’enoteca, con etichette italiane e straniere, una salumeria e una formaggeria. DOVE Foligno centro PERCHÉ Per il piacere di ritrovare i sapori di una volta, grazie ai metodi di lievitazione naturale, alla lavorazione a mano, all’uso di grani antichi. Per consumare un pasto, per un aperitivo o per acquistare prodotti alimentari, italiani ed esteri, di grande qualità. CURIOSITÀ E STORIA Uno dei più antichi esercizi artigianali in Foligno, che nasce con Antonio Pizzoni, prosegue con suo figlio Renato e si avvia, grazie alla passione del nipote del fondatore, Ivan, a festeggiare il secolo di attività offrendo ai propri clienti una proposta unica nel suo genere, che unisce ai prodotti da forno e da pasticceria una varietà enogastronomica di alto livello.

COME La cura nella selezione delle materie prime è d’obbligo; a partire dai prodotti di norcineria, alla selezione delle carni, alla preparazione di sole paste fatte a mano e di dolci di propria produzione sono garanzie di genuinità. Grande attenzione è rivolta anche alla selezione dei vini; non è possibile celebrare la cucina umbra separandola dalle grandissime espressioni enologiche del territorio.. DOVE Bevagna PERCHÉ Tradizioni umbre, antichi sapori, ingredienti di qualità, amore e ricerca. CURIOSITÀ E STORIA Il ristorante “Le delizie del borgo” si trova all’interno del Parco comunale di Bevagna, conosciuto come “Campo dei Frati”, nome che deriva dal vecchio chiosco di epoca romana.

COME Il gusto buono buono Il cibo salutare Il pasto veloce(anche da asporto) Il super assortimento Lo stile tutto vintage L’orario “sempre aperti” Il costo...piccolo piccolo!! DOVE Di fronte alla Stazione Ferroviaria di Foligno PERCHÉ La Cresceria ti ama! CURIOSITÀ E STORIA La Cresceria è quel posto in cui si finisce sempre per volersi bene.

Viale Firenze, 138a FOLIGNO (Pg) T. +39 0742 320098

Via Largo Volontari del Sangue, 4 FOLIGNO (Pg) T. +39 0742 350322 www.fornopizzoni.it

Parco Filippo Silvestri BEVAGNA (Pg) T. +39 327 292 1366

Viale Mezzetti 10 (di fronte alla Stazione FS) FOLIGNO (Pg) T. +39 0724 450093 www.lacresceria.com


LE LORO RICETTE

Chef: Ivan Pizzoni Forno Pizzoni / Foligno

INGREDIENTI: 1,1 KG CIRCA FARINA 0, 5G. / PECORINO STAGIONATO UMBRO, 200G / PARMIGIANO REGGIANO / 200 G. LIEVITO NATURALE O MADRE / 200 G. TUORLO D’UOVO FRESCO / 100 G. STRUTTO / 100 G. OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA / UMBRO /100 G. ACQUA / 5G. SALE / 1 G. PEPE

...la tua tavola

Chef: GIORGIONE Ristotante ALLA VIA DI MEZZO / Montefalco

Procedimento - Per un kg di impasto amalgamare con acqua qb, mezzo bicchiere di vino e mezzo bicchiere di olio Lavorare l’impasto stendendo sulla spianatoia farina di semola di grano duro. Lasciare riposare. Creare una sfoglia non troppo sottile, arrotolarla sempre spargendo farina di semola e tagliarla per creare i maltagliati. Spolverare ancora con farina di semola.

La base: Mettere una dose di olio e.v.o moraiolo, aglio schiacciato e lasciato in camicia, due alici dissalassate e un non nulla di peperoncino. Prima di accendere il fuoco, pulire il broccolo, le cimette e i broccoli siciliani tutti da mettere in padella. Coprire le verdure con le foglie di verza. Aggiungere un pò di sale grosso ed olio sopra le foglie di verza e coprire con coperchio. Lasciare cuocere a fuoco moderato per circa 20 minuti. Togliere il coperchio ed aggiungere vino bianco ai lati dei padella e farlo sfumare. Creare una polpa di verdure e infine versarci i maltagliati precedentemente cotti in acqua bollente. Servire con del buon pecorino. Buon appetito, laidi!

Via S. Chiara, 52 MONTEFALCO PG T. 0742 362074 - www.ristoranteallaviadimezzo.it

Crudo di trota fario, zuppa di porri e lenticchie INGREDIENTI PER 4 PERSONE Per la trota: 1 TROTA FARIO DI CIRCA 300G. / FIORE DI SALE / SUCCO DI LIME / SALE / PEPE AL MULINELLO / OLIO EXTRAVERGINE / PREZZEMOLO / TIMO / ZENZERO / MENTUCCIA Per il brodo: le lische della trota / 30g. di cipolla / 30g. di carota / 30g.di sedano / ½ pomodoro rosso / 1 foglia di alloro / sale Per le lenticchie : 50g. di lenticchie di Colfiorito / 30g. di cipolla rossa, 30g.di sedano / 30g. di carota / 1 spicchio di aglio / 1 pezzetto di guanciale / 30g. Di passato di pomodoro / sale, peperoncino / olio extravergine, prezzemolo Per la zuppa di porri : 25g. di farina / 25 g. di burro / ½ l.di brodo di trota / 500g. di cuori di porro / semi di finocchio / sale

Procedimento - Preparare la trota sfilettandola e lasciando la pelle, spinarla accuratamente e metterla a marinare con tutti gli altri ingredienti per almeno 6 ore. Con gli scarti della trota preparare un

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Procedimento - Partiamo con un primo impasto di 550 g. farina 0, 200g. lievito naturale o madre, 100 g. tuorlo d’uovo fresco, 50 g. strutto,50 g. olio extra vergine umbro, 50 g. di acqua e

LA PASTA CON LE BRASSICHE INGREDIENTI Per L’IMPASTO: FARINA TIPO 1, 3 E 9 Per il condimento: BROCCOLO ROMANO / VERZA RICCIA / BROCCOLETTO SICILIANO

brodo. Mettere le lische in acqua corrente per circa 1 ora, togliendo l’occhio dalla testa del pesce e le branchie. Far prendere un primo bollore in acqua, cambiandola, poi rimettere sul fuoco con altra acqua pulita, un pezzo di cipolla, un pezzo di carota, un pezzo di sedano, una foglia di alloro, mezzo pomodoro e pochissimo sale. Far bollire poi filtrare. Nel frattempo avremo messo a cuocere le lenticchie in acqua fredda leggermente salata. Preparare un fondo con le verdure, l’olio, il guanciale e il peperoncino. Dopo circa 5 minuti unire le lenticchie, che avranno cotto in circa 25 minuti, con un po’ della loro acqua di cottura, far insaporire per qualche minuto poi aggiungere il passato di pomodoro. Aggiustare di sapore e mettere per ultimo poco prezzemolo tritato. Per la zuppa di porri preparare un roux con il burro e la farina, far bollire il brodo di trota e unirlo. Cuocere il porro in acqua, saltarlo in padella con poco olio e unirlo alla vellutata, frullare e filtrare. Aggiustare di sapore. Servire la trota tagliata in piccoli tranci ma non sottilissima, sopra le lenticchie calde, a loro volta sopra la zuppa di porri montata con un mixer a immersione.

Chef: Marco Gubbiotti Ristorante CUCINAA / Foligno

Pizza al formaggio lo facciamo riposare fino al doppio del volume, di solito 5/6 ore. Dopo il riposo aggiungiamo al primo impasto l’altra metà degli ingredienti, tutto il formaggio grattugiato, qualche dadino di pecorino fresco, pepe e solo all’ultimo i 5 g. di sale. Lavoriamo lentamente e a lungo per acquistare elasticità; 30 minuti di riposo sul tavolo e poi spezziamo in forme del peso desiderato. Modelliamo delle palle di impasto che metteremo nei sesti e lunga lievitazione di circa 8/9 ore. Cuociamo in forno in pietra a 170 gradi per circa un’ora (pezzi da 1 kg)

Via Largo Volontari del Sangue n.4 - FOLIGNO (PG) T. 0742 350322- www.fornopizzoni.it

MOSAICO DEL PASTAROLO AL TARTUFO INGREDIENTI: 1KG FARINA 00 / 100G. SPINACI (FRULLATI) / 100G.RAPA ROSSA (FRULLATA) / 400G. UOVA / 500 GR RICOTTA FRESCA / 50G. BUFALA / 50G. BURRATA / 50G. PATATE VIOLA (BOLLITE E SCHIACCIATE) / 50G. PECORINO UNITO A 5KG PEPE NERO MACINATO / 100G. TARTUFO FRESCO

giallo;verde;rosso. Stendere la pasta abbastanza fine e con l’utilizzo di un coppa pasta formare dei cerchi di 10/12 cm di diametro. Riporre i ripieni precedentemente ottenuti in 4 “sax a poche” diverse ed andare a riempire i cerchi, chiudendoli prima a mezzaluna poi girandoli a tortelli.

Procedimento - Dividere la ricotta in 4 porzioni da 125gr e ad ognuna andare ad aggiungere la bufala,la burrata,le patate viola ed il pecorino insieme al pepe creando così 4 ripieni diversi e riporli in frigo.

Far bollire una pentola di acqua dove andremo a cuocere i tortelli per circa 4/5min. Saltare gli stessi in padella con un po’ di olio e servire in un piatto mescolando i diversi colori e ripieni. Finire il piatto con del tartufo a piacere (grattato o lamellato) in base a quanto si vuole esagerare.

Dividere la farina in 3 parti; una da 500gr e due da 250gr alle quali andremo ad aggiungere solo le uova(250gr) nella prima parte da 500gr e nelle altre in una gli spinaci e nell’altra la rapa rossa ed in questo caso metteremo solo 125gr di uova ciascuno ottenendo così 3 impasti colorati:

Lo stesso piatto viene servito nel nostro locale tutti i giorni con ripieni e colori diversi.

Chef: MICHELE RASPANTI IL PASTAROLO / Assisi

Traversa via Armando Diaz Fraz. Santa Maria degli Angeli, ASSISI PG T. 075 804 2366 - info@ilpastarolo.it

Coratella di seitan con carciofi INGREDIENTI: 650 G. SEITAN FRESCO / 2 CIPOLLE DORATE / 1 MAZZETTO AROMATICO (ROSMARINO SALVIA E ALLORO) / 6 CARCIOFI / 2 LIMONI / AGLIO / VINO BIANCO / OLIO EVO /SALE E PEPE

Procedimento - Pulire i carciofi tagliandoli a

metà e sistemarli in acqua acidulata con succo di limone. Tagliare finemente le cipolle e farle rosolare in un ampia casseruola, aggiungendo fin da subito il mazzetto aromatico e sfumando di tanto in tanto con del vino bianco. Tagliare i carciofi finemente per il senso della lunghezza e rosolarli in una padella con olio e aglio in camicia. Far cuocere

Viale Firenze, 138a – FOLIGNO PG

Via Giorgio Vasari, 15 – FOLIGNO PG

T. 0742 22035 - info@cucinaa.it

T. 0742 615152 - www.equoebio.net

Chef: cesare bazzucchi PER NATURASI / Foligno

i carciofi a fuoco vivo per 7/8 minuti regolando con sale e pepe cercando di mantenerli croccanti. Tagliare il seitan a dadini piuttosto piccoli e aggiungerlo alla cipolla. Amalgamare il tutto e cuocere per 10 minuti aggiungendo 1/2 bicchiere di vino bianco. Unire i carciofi e un mestolo di brodo vegetale e cuocere per altri 10/15 minuti. Servire la coratella ben calda accompagnata da fette di pane tostato.

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PENSARE

UMBRIA

Cultura popolare: una forma di resistenza Federica Menghinella Cultura popolare: che forme ha nel quotidiano della Valle Umbra?

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ei “Quaderni dal carcere delle Osservazioni sul folclore” Antonio Gramsci definiva la cultura popolare come un insieme di elementi socio culturali subalterni rispetto alla cultura colta dei ceti dominanti. Una cultura ‘inferiore’ insomma, conformista e omologatrice. Negli anni ’70 con gli studi anglosassoni sparisce questa classificazione sociale e vede la luce lo studio Resistance Through Rituals, ‘Rituali di Resistenza’. Il testo dava conto di una serie di tendenze fra i giovani della comunità operaia postbellica. Anche oggi potremmo chiamare cultura popolare ciò che – soprattutto fra i più giovani - continua a rappresentare una forma di resistenza contro disoccupazione, disgregazione sociale, violenza verbale, dittatura finanziaria, inquinamento. Come rispondono i nostri? Attingendo a idee e immagini che moltissimo hanno a che fare con la natura, il paesaggio e la cultura materiale tradizionale; dunque anche con il folklore. La tradizione, qui, oggi, permea ogni cosa e sembra resistere, talvolta di più, altre volte di meno, ai barbari colpi della globalizzazione. La pop culture ai tempi di Greta Thunberg è in Umbria un corso di potatura degli ulivi promosso su Facebook. Oppure un gruppo di volontari che organizza via Whatsapp la raccolta dei rifiuti abbandonati sul Monte Subasio. O ancora: la rete di cittadini che coltiva gli orti solidali condivisi, che collabora per tracciare nuovi sentieri sui

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boschi o per recuperarne di antichi. I giovani si riscoprono artigiani e ambasciatori del fatto a mano, recuperando mestieri che sembravano perduti. Diventano agricoltori, riscoprendo varietà colturali perdute o arando con i cavalli la terra. E’, quest’ultimo, il caso di alcuni ragazzi, ambasciatori insieme a molti altri di un nuovo modo di produrre e consumare consapevolmente, che fortunatamente conta sempre più sostenitori. Certo, nella provincia italiana il Mac Donald avrà sempre clienti. Sta però sorgendo un rinnovato ‘orgoglio rurale’ che dà tutta la sua attenzione a ciò che siamo e dunque a ciò che mangiamo. Nel secondo dopoguerra si fuggì da campagna, agricoltura e povertà entrando in fabbrica o trasferendosi in città per sopravvivere. Andy Warhol, ambasciatore della Pop Art e ultimogenito di 4 figli aveva origini modestissime e contadine, dalle quali si emancipò cambiando nome e trasferendosi dalla Pennsylvania a New York dove fondò la Factory. Oggi si avvia un processo opposto: nell’incertezza economica i ragazzi cercano stili di vita sostenibili, concreti, rassicuranti. Rivendicando nei confronti della ‘società liquida’ il ruolo di produttori consapevoli oltre che di consumatori. Ritornando alla terra, che non tradisce mai. Molti dei miei amici allevano polli e coltivano un orto completamente biologico. Non lo trovate magnificamente pop anche voi?


TUTTE MIE LE CITTA’

city blog

CENA

PRANZO

BEDDINI BISTRÒ

COLAZIONE

LASAGNA SALSICCIA E FRIARIELLI

OMÀ LODE ALLA BRIOCHE Calda e soffice, farcita con cannella, uvette, cioccolata o marmellata é il miglior modo per iniziare la giornata.

Strati di pasta fina, Besciamella leggera, Friarielli piccanti e salsiccia di Norcia, Con fiordilatte e pecorino romano.

PRANZO

PIZZA

CUORE PICCANTE

PECCATI DI GOLA

TORTELLO DI CIAUSCOLO CON FUNGHI MISTI, MELONE AL VINO ROSSO E TARTUFO NERO ESTIVO

UNA PIZZA DA PODIO! Impasto a lunga lievitazione con crema di rucola, mozzarella, pomodorini pachino, rucola fresca, filetti di mozzarella di bufala e scaglie di grana. Con questa pizza ci siamo classificati secondi al campionato mondiale di pizza sana!

serviti con del tartufo nero grattato sopra e un filo di olio e.v.o. Un piatto che racconta di tanti nostri sapori sapientemente studiati e accostati con accuratezza e gusto per i nostri clienti.

CENA

LA BOTTEGA DI ASSÙ LA PANZANELLA DI ASSÙ

MASSATANI LENTAMENTE Un tagliere in legno d’ulivo locale accoglie preziosi salumi realizzati tradizionalmente da noi, da oltre cento anni, nel rispetto del territorio, della materia prima e della storia. Un calice di vino e buona musica, affacciati sulla piazza centrale di Foligno.

GASTONE LA FACEZIA

Prendi la macchina e vai verso le campagne umbre. Guarda attentamente, respira profondamente ed emozionati facilmente. Risali in macchina, torna a casa e cucina. Quello che conta è la tua storia. La mia oggi è aglio olio e peperoncino. Aglio qb, olio e.v.o qb, peperoncino q.b.

DOPO CENA

PISTACCHIERIA

Primo locale in Italia e in Europa con un format di gelato, yogurt , granite siciliane cremolate, frappé al pistacchio. 12 gusti di gelato al pistacchio suddivisi dai paesi di provenienza e dal tipo di lavorazione. Infusioni di spezie e sorbetto al pistacchio per intolleranti al glutine e al lattosio e per vegani ......introvabili da provare!!

PRANZ

fresca,gustosa,profumata,colorata,sedano,cipolla di tropea,basilico fresco,pomodori, peperoni gialli rossi verdi,capperi, olive, olio extra vergine di oliva, aceto di mele barrique e tanto tanto amore.. Solo cose buone per Voi..

APERITIVO

O

OMÀ Via Umberto I, 37 Foligno +39 333 7679585

Viale MezzettiDI 10ASSÙ LA BOTTEGA (di fronte alla Stazione) Corso Giacomo Matteotti Foligno +39 0724 450093 Bevagna +39 0742 360978 www.lacresceria.com

BEDDINI BISTRÒ Via Rutili 28/30 Foligno +39 0724 350196 Pranzo self-service dal Lunedì al Sabato

www.beddini.it

NORCINERIA MASSATANI Largo Giousuè Carducci, 36 Foligno +39 0742 450074 norcineriamassatani1913@gmail.com

PECCATI DI GOLA Via monte soratte,45 Foligno +39 0742 320117

GASTONE CIBI E FACEZIE Via Bagni, 6 Foligno +39 348 8565997

CUORE PICCANTE Via Giuseppe Garibaldi, 73/75 Foligno +39 0742 353463

PISTACCHIERIA Foligno | Spoleto


CONVERSARE

CATTELAN

“Chiedi perdono, non permesso” Alla ricerca di Maurizio Cattelan Layla Crisanti

“Io sono la fake news”. È così che si definisce l’artista italiano più quotato al mondo. Irriverente, chiacchierato e inafferrabile. Maurizio Cattelan è la sua arte. 35


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a sua presenza sulla scena artistica è un agglomerato di oggetti, azioni, bugie, aneddoti e racconti inventati da ascoltare, guardare e immaginare senza porsi il quesito della verità. Sì perché quando si parla di lui è impossibile sapere che cosa sia vero e che cosa sia invece una finzione; una narrazione creata per l’occasione, per spingere fuori reazioni, contrasti e dissonanze. Sono mesi che gli scriviamo email e alla fine eccoci qui, a raccontarvi di lui con le sue parole. Verosimile, assurdo, incedibile. Con Cattelan i confini del vero si fanno sfocati, le categorie si mescolano. Ecco perché scrivere di lui e della sua storia è un gioco divertente, a tratti surreale e il patto con il lettore deve essere quello di chi si appresta a fare un viaggio prendendo per buone le emozioni e le riflessioni provocate dal contenuto messo in forma, senza speculare sulla relazione tra ciò che è, o è stato, e ciò che è raccontato. Per sapere di lui, per cercare di comprenderlo ti metti in cammino, e sai già che la strada sarà lunga e ricca di contrasti; ti spingi giù fino agli abissi e su arrampicandoti sulle vette, ribalti i significati e contorci le funzioni, ma sai già, fin dall’inizio, che quando tu crederai di esserci quasi, di aver compreso lui sarà andato oltre, altrove, lontano e di nuovo inafferrabile. Oggi Maurizio Cattelan vive e lavora tra Milano e New York. Lui sfugge e si nasconde, sa sempre come rendersi invisibile: “Io sono in tutti gli spazi da riconquistare e nei formati da reinventare”. Anche la sua biografia è sfumata, per scelta: “Mai voltarsi indietro a meno che non si voglia andare in quella direzione. Questo è il mio motto, ricordare è una condanna, una dolce trappola. Dimentico moltissimo e per precisa volontà”. E’ nato a Padova nel 1960. La sua famiglia non era certo ricca e nemmeno benestante e lui si mette al lavoro. A 20 anni perde la madre, la donna che è stata sempre preoccupata per lui, convinta che non sarebbe stato capace di mantenersi. Nascono così i suoi mille volti, una vita tutta giocata tra finzione e verità: ha fatto il commesso in una lavanderia, il giardiniere o il fioraio, l’elettricista, il venditore in un emporio di parrocchia, ma i suoi datori di lavoro sembrano non aver gradito i baffi che disegnava sui santini di Sant’Antonio. Dipendente di un ospedale, prestava servizio in terapia intensiva, per poi passare dalla cura degli ancora vivi a quella dei morti,

“Ricordare è una condanna”

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lavorando nell’obitorio dove lavava e vestiva i corpi senza vita: “Dal confronto ho imparato che se lavori con i vivi non puoi permetterti malumori, devi avere molta più attenzione con le persone di quando lavori in obitorio. Credo che la vita vada presa molto più seriamente della morte”. L’arte è da sempre quello che è giusto per lui, ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ma non l’ha mai finita. Ed è proprio da Bologna che inizia a far parlare di sé. La sua prima esposizione personale non è mai esistita; il luogo era la Neon Gallery, ma la porta era chiusa a chiave e c’era affisso un cartello con scritto “Torno subito”. Poi nel 1991 il debutto espositivo arriva davvero, sempre a Bologna, alla Galleria d’Arte Moderna con Stadium: un lunghissimo tavolo da calcetto e i giocatori sono da una parte tutti bianchi, le riserve del Cesena, e dall’altra tutti neri, operai senegalesi. Un’opera che anticipava i tempi o forse leggeva solo il presente: “Il razzismo è sempre esistito. In Italia è diventato un problema nazionale più di recente perché per anni siamo stati noi quelli che emigravano, ma era già allora un tema all’ordine del giorno”. Prima delle esposizioni il primo oggetto che ha progettato è un uovo “Da sempre il mio sogno era disegnarne uno. È il simbolo dell’origine, la sintesi di tutto. Non riesco a pensare a una forma organica più bella e misteriosa”. La sua carriera è davvero lunga e disseminata da gesti e opere iconiche: Papa Giovanni Paolo II immortalato, in una realistica scultura di cera, mentre viene colpito da un meteorite; Hitler inginocchiato; un albero al centro di Milano con tre bambini impiccati; lo scoiattolo suicida in cucina; le sue opere appese come panni sporchi al Guggenheim, dove anni dopo ha piazzato anche un water completamente d’oro e davvero utilizzabile; un dito medio gigante davanti alla borsa di Milano e poi la sua faccia: seria, storpia, con la linguaccia irriverente e coperta di scritte, ma sempre in trasformazione. Per un uomo come lui che guarda oltre il giudizio sul suo lavoro non poteva che essere sospeso: “Un’opera è arte solo se dura nel tempo, altrimenti è solo merchandising”. Anche la reazione del pubblico è solo una parte del tutto: “Il mio catechista diceva sempre chiedi perdono, non permesso. L’arte, per me, è ciò che ti lascia libertà di interpretazione e al tempo stesso ti pone delle domande. Un cattivo pubblico pretende di trovarci delle risposte”. Cattelan però non rinnega affatto la sua fama e il suo gallerista Massimo De Carlo dice che non ha dedicato la sua vita all’arte, quanto piuttosto al successo nell’arte. “Se hai chiaro un obiettivo vuoi che impatti sul maggior numero di persone possibile.

“Un’opera è arte solo se dura nel tempo”

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Per questo ho sempre aspirato a un’arte che fosse significativa per tutti, evocativa e vibrante al tempo stesso”. Il suo è un continuo ping pong tra presenze e assenze, segni e mancanze, opere d’arte e vuoti, che diventano voragini d’artista. Le sue opere fanno discutere, ma spesso è l’assenza di esse che spiazza e fa rumore. “Mi attrae la purezza del vuoto. Le infinite possibilità che può ispirare. Come la prima e l’ultima pagina di un libro dove tutto può essere scritto”. L’elusione così è da sempre una sua firma, basta pensare a quando la pinacoteca di Ravenna gli commissionò un’opera, che non arrivò mai. Al suo posto Cattelan spedì un certificato medico, che attestava l’impossibilità di terminarla. C’è anche una galleria che sta ancora aspettando un’istallazione, si sono dovuti accontentare di un documento depositato ai carabinieri che denunciava il furto dell’opera, quasi certamente mai esistita. Quasi. Poi il vuoto arriva ad inglobarlo e nel 2011 dichiara la sua sparizione definitiva, annuncia il suo pensionamento dalla scena artistica. Intanto lavora silenzioso, dietro le quinte, al suo progetto editoriale Toilet Paper, una rivista “che sta tra il buon gusto e l’indecenza, tra la perversione e l’ossessione”. Ma nulla è davvero definitivo. “Cambiare punto di vista è necessario quanto respirare. Il mondo è fatto di milioni di possibilità. Per me calcificarsi su una posizione e abbandonare tutte le altre significa ridurre la capacità di creare in modo inaspettato”. Così anche il suo pensionamento diventa reversibile. Museums League è uno dei suoi ultimi progetti, realizzato insieme al marchio Seletti. Un progetto da ultras dell’arte e della cultura. Cattelan ha preso le classiche sciarpe da stadio e le ha trasformate in feticci per i principali musei del mondo. Con l’obiettivo di renderli desiderabili e acquistabili da tutti. Mentre lancia il tifo da museo per fare dell’arte un rito condiviso si approccia anche al mondo dei social. Non poteva ignorare Instagram da uomo “ossessionato dalle immagini” come si definisce lui stesso. Anche qui entra e scardina le regole. Non segue nessuno e nel suo profilo c’è una sola foto, ogni volta che pubblica un’immagine cancella quella precedente, seguendo il suo sistema di assenza e rifiuto di guardare al passato. “E’ controverso perché se tutti i profili seguissero le mie regole non esisterebbe Instagram”.

“Cambiare punto di vista è necessario”

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E dopo tante parole, meglio lasciare posto a un po’ di pause. Maurizio Cattelan detesta parlare: “Il silenzio ti permette di ascoltare suoni e rumori invisibili. Nel profondo silenzio dell’oceano si sente il rumore del proprio respiro, chi fa immersioni non finisce mai di sorprendersi ad ascoltarli. Certo fa paura, ma al tempo stesso è sublime. Il silenzio è il mio hobby preferito”.


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progetto grafico studio m_a_g_d_a


VIAGGIARE

Per chi non rinuncia alla visita a Parigi sappiate che il sorriso della Gioconda, la dolce Vergine delle Rocce o il conturbante Bacco vi attendono come sempre al Museo del Louvre, che celebra Leonardo con una grande mostra in autunno. Se volete dormire in un albergo originale sappiate che nel cuore di Saint-Germain-des-Prés, non lontano dalla martoriata Cattedrale di Notre Dame già pronta per la ricostruzione, c’è, ça va sans dire, l’Hôtel Da Vinci, per dormire nello stesso palazzo in cui quel tale Vincenzo Perruggia, pare avesse nascosto la Monna Lisa, dopo aver effettuato il furto del secolo proprio fra le sale del Louvre (hoteldavinciparis.com). Ma veniamo alle sue origini: il 15 aprile 1452 Leonardo nasce nel borgo di Anchiano, a tre chilometri dal centro di Vinci e a circa 40 chilometri da Firenze, figlio illegittimo del notaio Ser Piero da Vinci e della modesta Caterina (che si pensa fosse una schiava venuta dal

Nato in Toscana, vissuto in giro per l’Italia, morto in Francia, Leonardo è considerato un genio indiscusso e un viaggiatore curioso che ha lasciato il segno con indelebili opere da scoprire in giro per il mondo Valentina Castellano Chiodo “Quando camminerete sulla terra dopo aver volato, guarderete il cielo perché là siete stati e là vorrete tornare”

gnare il futuro. Chi vuole ammirare il gelido Ritratto di Ginevra Benci, dovrà optare per un giro negli Usa, fino alla National Gallery di Washington, mentre l’affascinante Dama con l’ermellino è custodita in Polonia, nel Museo Nazionale di Cracovia. Ma non si parla di Leonardo senza citare la sua Firenze, città in cui si forma come pittore nella bottega del Verrocchio e dove troverà prestigio presso la corte del Magnifico, Lorenzo de’ Medici: la Galleria degli Uffizi gli dedica sale con nuovi allestimenti dove sono esposti alcuni disegni giovanili e imperdibili opere, come l’Annunciazione, il Battesimo di Cristo, l’Adorazione dei Magi (uffizi.it). Fino al 24 giugno la sala dei Gigli di Palazzo Vecchio ospita invece la mostra Leonardo e Firenze. Fogli scelti dal Codice Atlantico per raccontare il suo legame alla culla del Rinascimento (firenzeturismo.it). Alle celebrazioni non può mancare in lista

Leonardo Da Vinci

Leonardo Mania: in viaggio V

isionario e geniale, scienziato e scrittore, artista e inventore, ma anche viaggiatore e uomo di cultura al servizio di re e principi. Leonardo da Vinci quanto era pop? Già in vita tutti ne desideravano il parere, gli commissionavano ritratti e sculture, gli chiedevano di curare gli eventi di corte o di illustrare loro le sue utopistiche teorie e bozzetti, come quelli dei suoi oggetti aerei, col quale certamente sognava di viaggiare e muoversi più rapidamente già secoli fa. Gli amanti delle vacanze attive si ricordino che a lui si devono, per esempio, le invenzioni dell’elicottero, il paracadute o la muta da immersione. Di Leonardo quasi tutto è diventato popolare, acquisendo nel tempo sempre più importanza e prestigio: basti pensare a sue opere divenute icone immortali, come la contesa Gioconda o la misteriosa Ultima Cena, che lo hanno reso, nei secoli e fino ai giorni nostri, uno degli italiani più famosi del mondo intero. Nonostante la sua fama non abbia mai conosciuto battute d’arresto, nel 2019 si riaccen-

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dono i riflettori sul genio fiorentino, in occasione dei 500 anni dalla sua morte avvenuta in Francia, ad Amboise. Ecco perché nella Valle della Loira, tutto è pronto per rendergli omaggio e accogliere i turisti nei suoi castelli più belli. Esattamente dove? Il 2 maggio 1519 il Maestro si spegne nella sua camera del Castello del Clos Lucé, dove visse per tre anni a partire dal 1516, che oggi custodisce il suo studio, l’atelier e la biblioteca. Secondo la sua volontà Leonardo viene sepolto nel Castello di Amboise, che il re Francesco I, aveva fatto costruire, ispirandosi all’arte di vivere italiana, con un parco e giardini che sono stati a lui intitolati: gli appassionati non perdano la sua tomba, ora nella cappella di Saint-Hubert, e nemmeno la visita in un altro maniero reale, il maestoso Castello di Chambord, con oltre 440 stanze e 80 scale (compresa quella a doppia rivoluzione disegnata da Leonardo), visitabile con l’innovativo HistoPad, nuovo dispositivo digitale per fruire del patrimonio culturale attraverso la realtà aumentata (sperimentazione che Leonardo avrebbe di certo apprezzato). Info: france.fr.

In treno con Leonardo Per tutto il 2019 la compagnia ferroviaria francese SNCF dedica il TGV Milano-Parigi al genio del Rinascimento: gli esterni e interni del treno ad alta velocità sono infatti decorati con immagini della Gioconda e del Castello Reale di Amboise, inoltre sono previsti servizi e animazione a bordo e la vettura-bar offre un’esperienza digitale, ispirata ai disegni del Codice Trivulziano e alle decorazioni della Sala delle Asse del Castello Sforzesco di Milano. Interessanti anche le tariffe in offerta, a partire da 29 euro (oui.sncf).

Medio Oriente, il che significa che Leonardo avrebbe avuto sangue arabo). Quest’anno il borgo natale gli dedica la mostra Leonardo a Vinci. Le origini del genio, dove fino al 15 ottobre si potrà ammirare Il Paesaggio, sua prima opera datata e il vecchio libro notarile su cui il nonno paterno annotò la nascita. Forse la sua anima orientale, e non solo quella, vista la crescente brama di potere e prestigio degli Emirati Arabi, ha portato la sua Belle Ferronnière, ovvero il celebre Ritratto di Dama, al Louvre di Abu Dhabi, che con i suoi 24.000 metri quadrati è il più grande museo della penisola araba: volate sulle acque del Golfo Persico se non resistete e avete voglia di cercare di persona il controverso Salvator Mundi, attribuito a Leonardo e venduto all’asta per la cifra record di 450,3 milioni di dollari (al principe saudita Bader bin Abdullah bin Mohammed bin Farhan al-Saud), promesso al museo, ma misteriosamente scomparso (louvreabudhabi.ae). Il suo più celebre autoritratto si può invece vedere con certezza, molto più vicino, a Torino ai Musei Reali, fino al 14 luglio 2019 nella mostra Leonardo da Vinci. Dise-

Milano, sua città d’adozione per oltre 24 anni, che gli dedica Leonardo 500, un intero anno di programmazione con mostre, eventi e spettacoli in luoghi simbolici, dal Castello Sforzesco al Palazzo Reale, dal Museo della Scienza e della Tecnica alla Pinacoteca Ambrosiana o alla Fondazione Stelline, che ospitano mostre ed eventi, serate musicali e opere contemporanee a lui ispirate (il programma completo è su: yesmilano.it/eventi/ tutti-gli-eventi/leonardo-500). Leonardo era così pop che le sue idee hanno ispirato e continuano e ispirare nel mondo. Qualcuno la chiama Leo-Mania. Un esempio? Fra le tante opere leonardesche c’era anche il disegno di un ponte progettato per la Turchia, immaginato per il sultano che voleva collegare Istanbul al quartiere Galata, nello stretto del Corno d’Oro. Un architetto norvegese lo ha realizzato per davvero nel 2001, in legno e su piccola scala, e chi vuole può attraversarlo a piedi: è il Monna Lisa Bridge, nella cittadina di Ås in Norvegia (a 37 chilometri da Oslo). Tutti pazzi per Leonardo!

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ASCOLTARE

MUSICA

Ai poster l’ardua sentenza sul pop Micro-trattato in difesa della musica leggera: no, non sono solo canzonette ANDREA LUCCIOLI Gli esperti e gli appassionati di musica, quando parlano del pop, lo fanno sempre utilizzando un vago senso di pudore che assomiglia a un malcelato imbarazzo. Questo ci dà la misura di quanto la canzone popolare, nella sua accezione più ampia, sia in realtà una roba complessa. Perché, mettiamolo bene in chiaro, quelle pop non sono solo canzonette. Tutt’altro.

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L

a pop music è una delle espressioni più limpide della nostra società fin da quando nacque nel 1960 negli Stati Uniti per poi evolversi in mille forme e arrivare fino ai giorni nostri più in salute che mai. Trovarne una definizione, sebbene questa possa apparire un’operazione semplice, in realtà è difficilissimo. Perché “pop music” è un concetto in costante evoluzione e che si intreccia con la società di cui è espressione e di cui rappresenta caratteristiche, vezzi, vizi e virtù. La musica popolare – che nasce come stile concepito per gli adolescenti dove ritmi spesso associati alla danza venivano usati per parlare di amore – è una grande invenzione contemporanea che canalizza i flussi emozionali della società di cui è intima rappresentazione. E’ sempre stato così. La musica pop, in Italia “musica leggera”, muta negli anni con le mode, le anticipa, le cannibalizza, ma soprattutto mostra il “re nudo” e quel “re” siamo noi. Forse per questo guardiamo al pop con imbarazzo. Perché è uno specchio e fare i conti con la propria immagine non sempre è facile. C’è di più. Chi liquida il pop come semplice “vetrina musicale” delle nostre gioventù passeggere, di fatto banalizza un fenomeno che in realtà raccoglie fermenti culturali, sociali e di costume della nostra epoca. Il pop rappresenta la colonna sonora di intere generazioni, mostra il protagonismo dei giovani, ne cristallizza i miti e i riti. Fondamentalmente esalta l’altissima forza della socializzazione tra persone mediante le note dello spartito. Non solo. Fin dagli albori, la pop music è stata sempre strettamente connessa allo sviluppo dei media, dei linguaggi espressivi e della cultura di massa. Ne parla, in maniera approfondita, il professor Lello Savonardo nel suo libro “Pop music, media e culture giovanili”. Testo in cui si analizza, tra le altre cose, il passaggio dalla beat generation all’attuale bit generation. Espressione, quest’ultima, davvero azzeccata e che nasce dal mondo giovanile caratterizzato, negli anni duemila, dall’esperienza digitale della cosiddetta “software culture”. La beat e la bit generation, nel loro essere fenomeni creatori di pop music, hanno molte cose in comune. La beat è stata ribellione, battito, ritmo, scoperta di sé stessi, della vita on the road, della droga e della coscienza collettiva. Rappresentava in pieno quegli anni. Così come la bit, che è connessione, condivisione, partecipazione, ovvero la didascalia puntuale di questi anni. I ragazzi della bit generation, con i loro linguaggi, caratterizzano la società contemporanea esattamente come hanno fatto i giovani della beat qualche decennio fa. La differenza è che questi ultimi lo hanno fatto con i media tradizionali, i ragazzi della Bit attraverso i media digitali, ma alla fine il comune denominatore è rimasto quello: il pop. Oltre all’utilizzo dei media del proprio tempo, la pop music ha avuto un’altra caratteristica che è rimasta fedele nel tempo: l’elemento identificativo. Non solo di un gruppo di persone rispetto ad un comune sentire, ma rispetto a delle icone. Le popstar, per intenderci. Figure capaci di incarnare elementi simbolici di appartenenza, identificazione e sublimazione degli elementi.

“le pop Le grandi icone della pop music sono state nel tempo molto più che semplici artisti musicali, ma hanno assunto un ruolo sociale definito. Spesso sono diventastar sono te delle guide “spirituali”, altre volte hanno lanciato tendenze, mode, generando che ai giorni nostri potremmo definire un “hype”. La musica pop è piena di l’incarnazione quello idoli. Il suo “re” indiscusso, secondo esperti e appassionati, è stato Micheal Jackma al suo fianco possiamo mettere i nomi di Elvis, Beatles, Madonna, Lady delle nostre son, Gaga e via dicendo. Le popstar, “prodotto” della pop music, forma di divismo dell’età moderna, sono l’incarnazione delle nostre emozioni, siamo noi all’ennesiemozioni” ma potenza, su un palco. Per questo, a musicofili intransigenti e agli snob della critica che guardano con sufficienza al mondo della musica leggera, mi sento di consigliare di aspettare con curiosità la “pop generation” del futuro, godersi lo spettacolo e nel frattempo dare uno sguardo tenero e malinconico ai poster, oramai polverosi, che avevano nelle loro camerette.

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Certo la famiglia reale è da sempre oggetto d’interesse e l’arrivo a corte di un’attrice non poteva passare inosservato e, com’era prevedibile, ha destato curiosità e polemiche. Il pubblico è diviso tra chi l’ama, l’ammira e la invidia in silenzio e chi, invece cela la gelosia schierandosi contro di lei e i suoi modi troppo poco reali. Il matrimonio tra il principe ribelle e la bella americana è archiviato nella storia dei matrimoni pop. Poi ci sono loro la coppia che per lavoro si impegna a farsi vedere. Più che un matrimonio il loro è stato un catalizzatore di visualizzazioni. Come per ogni evento che si rispetti gli hanno dato pure un nome “Ferragnez” e una mascotte. Le immagini delle nozze hanno invaso la rete da ogni parte e stando ai contatori di numeri le visualizzazioni del loro “Sì” hanno superato quelle dello “Yes” reale. Molti hanno criticato e magari sarà stato pure un’accozzaglia di volgarità, ma di sicuro è stato un matrimonio pop. Ormai però sono solo storia, buona per gli annali, non certo per i social e allora spazio al tuo matrimonio!

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ESSERE

PSICOLOGO

La psicologia popolare e le teorie naif Miki Crisanti Tutti noi possediamo delle teorie psicologiche naif: una spiegazione di come funzionano gli essere umani, di come si originano le sofferenze psichiche, di quelle che sono le ragione che bloccano o limitano il movimento mentale.

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ossiamo definire le teorie psicologiche naif come le credenze che il paziente nutre sui fattori che hanno favorito l’insorgenza delle problematiche che sta vivendo e quali sono i processi che concorrono al loro mantenimento. Queste credenze spesso fraintendono la natura del disturbo e derivano principalmente dalla cultura popolare, dal senso comune. Le teorie naif appartengono alla cosiddetta psichiatria popolare (folk psichiatry), la quale sviluppa modelli socio-cognitivi dell’uomo laico, dove con laico si intende gli individui non addetti alle professioni psicologiche. Queste teorie spesso concorrono a mantenere il disturbo, a concimare la sofferenza e diventano, talvolta, un giustificativo del malessere imbrigliando il paziente in un pensiero statico e poco o per nulla risolutorio.

Andiamo adesso a esplorare le principali teorie naif, che come abbiamo visto vengono usate dall’uomo pop per spiegarsi particolari difficoltà psicologiche. La SFORTUNA, la sofferenza psicologica viene interpretata come effetto di eventi esterni sui quali il soggetto ha poca o nessuna influenza e deve subire passivamente lo scorrere delle situazioni. Il soggetto si vede come uno spettatore e tutto scorre senza che lui possa intervenire. L’IGNORANZA, il soggetto si è costruito un modello in cui tutto il suo malessere psicologico deriva da una serie di errori che egli stesso compie. Tante situazioni sono affrontate in modo errato e difficilmente il paziente si

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sente di avere i giusti strumenti per affrontare le situazioni, le sue modalità sono sempre sbagliate. Il TRAUMA, far risalire il proprio malessere psicologico a una serie di traumi vissuti in passato. Per alcuni aspetti assomiglia molto alla teoria naif della sfortuna con la differenza che in questo caso ciò che dovrebbe cambiare non solo è esterno al soggetto, ma anche lontano nel tempo. Il CARATTERE, la convinzione del paziente di avere qualcosa di immutabile, di estremamente fisso e rigido che lo rende particolarmente sensibile alla sofferenza. La BIPARTIZIONE DELLA MENTE, la credenza di un grande, eterno e quantomai ingarbugliato conflitto tra mente e cuore. La ragione sa esattamente cosa andrebbe fatto, ma il cuore, le emozioni guidano verso altre mete, altre azioni, altri comportamenti che sono la causa della sofferenza. Queste sono alcune delle teorie più diffuse. In alcuni possono coesistere più teorie che si alternano o si sovrappongono per spiegare varie sfaccettature del proprio sentire e vivere, ma se il malessere persiste forse la teoria naif non basta a recuperare benessere. Le teorie naif spiegano tantissimo del funzionamento personologico e portano con se implicitamente anche la richiesta che il paziente pone allo psicologo. Lo psicologo lavora con le idee eziologiche che il soggetto ha del proprio malessere mettendole al centro del percorso terapeutico.


ESSERE

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MEDICO ESTETICO

Medicina estetica per le masse Cristiana Checcucci La medicina estetica è una disciplina medica che ha ottenuto negli ultimi quarant’anni una propria configurazione scientifica e un ruolo di medicina sociale per forte richiesta della collettività, della massa.

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uesta branchia della medicina nasce in Francia come movimento scientifico per intuizione di J.J. Legrand, endocrinologo a Parigi, e nel 1975 in Italia grazie a Carlo Alberto Bartoletti, geriatra a Roma, che fonda la Società Italiana di Medicina Estetica (SIME). Dal 1990 la Sime promuove con la Fondazione Internazionale Fatebenefratelli di Roma la scuola quadriennale in Medicina Estetica e dal 1994 apre al pubblico , presso l’ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli all’Isola Tiberina, gli ambulatori ospedalieri di Medicina Estetica. Questo con l’intento e il desiderio del suo fondatore di offrire a un più largo strato sociale di popolazione e con tariffe “ospedaliere”; quindi calmierate, l’opportunità di usufruire di prestazioni di Medicina Estetica. Si tratta di una medicina prevalentemente preventiva che si occupa essenzialmente della costruzione dell’equilibrio psico- fisico e che si rivolge a chi vive con disagio la propria vita per un inestetismo male accettato. La bellezza come espressione di salute e il sentirsi bene nella propria pelle sono concetti legati a una nuova necessità sociologica. La medicina estetica concretizza quindi ciò che recita l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): salute non come assenza di malattia, ma come benessere psicofisico. Per questo la Medicina Estetica viene vista come medicina sociale e popolare. Basta pensare che in soli 4 anni di attività ospedaliera sono state effettuate più di 14 mila prestazioni a una fascia di popolazione rappresentata al 99% dal sesso femminile e l’80% delle presenze è rappresentato da impiegate, casalinghe e pensionate. In passato solo le classi privilegiate si rivolgevano alla Medicina Estetica. Attualmente invece il paziente di Medicina Estetica è un soggetto consapevole che essa non è più solo una medicina per l’estate e

nemmeno esclusiva di una classe abbiente. Oggi chi si rivolge al medico estetico richiede oltre alla correzione dell’inestetismo dichiarato, una prescrizione per sentirsi bene con se stesso; appartiene a una fascia di età più ampia, a strati sociali più vari e meno di èlite e desidera imparare le regole per migliorare la qualità della vita e mantenere negli anni il proprio benessere psicofisico.

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ESSERE

NUTRIZIONISTA

Alimentazione, verso una nuova consapevolezza di massa MARCO PROIETTI Come la cultura popolare posiziona le persone mediante i consumi cosi l’alimentazione umana è un potente strumento di creazione di identità.

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ià alla metà dell’ottocento il filosofo tedesco Ludwing Feuerbach famoso per aver formulato l’espressione “L’uomo è ciò che mangia” esprimeva cosi il suo pensiero: “I cibi si trasformano in sangue, il sangue in cuore e cervello; in materia di pensieri e sentimenti. L’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento”. Sebbene siano trascorsi quasi due secoli questa idea vive nell’attualità con la sua evoluzione in un fenomeno crescente che sta alimentando sempre di più una maggiore consapevolezza alimentare, specie nei paesi industrializzati. Questo fenomeno vede una percentuale sempre più alta di persone che vogliono essere informate su ciò che mangiano, sulle caratteristiche nutrizionali del cibo, su come sia stato prodotto, da chi e dove. Di conseguenza questo porta i produttori più attenti alle esigenze di mercato, a tracciare i propri prodotti. Chi produce fa conoscere le proprie filiere alimentari consapevole che i consumatori stanno cercando sempre più di essere protagonisti attivi delle loro scelte alimentari e non. Questa modalità di approccio attento al cibo, ha sviluppato negli ultimi decenni una nuova concezione del rapporto con il cibo. A partire dallo sviluppo del biologico negli anni 90, al numero crescente di persone che per i motivi più variegati scelgono di cambiare il loro rapporto con il cibo, di diventare vegetariani, vegani, crudisti, sostenitori del chilometro zero con l’obbiettivo di rendere sostenibile il loro stile di vita. Il cibo quindi non viene più

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visto solo come fonte di sostentamento, ma come parte integrante di un sistema complesso in cui coesistono natura, società ed economia.


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VESTIRE

MODA

"Non è forse la vita una serie d'immagini che cambiano solo nel modo di ripetersi?" ROBERTA PALMIOLI

Andy Warhol esordisce come disegnatore e pubblicitario, lavorando per Glamour, Vogue e Harper’s Bazaar per il quale crea scarpe New Look. Nascono così le sue prime esperienze lavorative, i primi successi, relazioni e amicizie che gli permetteranno di attestare la sua bravura.

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VESTIRE

MODA

In questi anni compone tre raccolte di serigrafie rappresentati scarpe: “Golden Shoes”, “À la Recherche du Shoe Perdu”, il cui titolo evoca il capolavoro letterario di Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto”, e “Diamond Dust Shoes”, in quest’ultimo le scarpe vengono rappresentate in colori diversi e realizzate in serigrafia. Sebbene sia una delle sue ultime opere, Warhol la realizza per ricordare i suoi inizi di carriera, quando da illustratore amava disegnare scarpe di tutti i tipi. Attraverso queste raccolte Warhol vuole portare le calzature, tipico oggetto del quotidiano, allo status di opere d’arte. La sua passione per la moda continua fino alla realizzazione, negli anni 60’, di un abito in carta, cellulosa e cotone con la celeberrima stampa delle zuppe Campbell’s: “The Souper Dress”. L’abito in verità è una trovata pubblicitaria di Campbell’s, che aveva reclamizzato di regalarlo a chiunque avesse inviato alla sede dell’azienda due etichette della zuppa, 1 dollaro, il nome e la taglia. Con questa trovata originale e curiosa le donne americane potevano facilmente acquistare un capo di moda a un prezzo moto basso, in cambio della loro fedeltà al marchio; un sistema che sembra essere stato precursore dei tempi della comunicazione e dell’immagine di oggi. Con lo scorrere del tempo quest’abito ha acquisito molto valore, arrivando persino a costare oltre 4 mila dollari. È solo nel 1965 che l’arte Pop arriva davvero a influenzare la moda che conta, quando Yves Saint Laurent utilizza i colori Pop per realizzare un vestito stile Mondrian. Gianni Versace altresì nel 1991 decide di non creare più abiti solamente celebrativi e fedeli alle opere d’ispirazione Pop, ma elabora una propria idea della popular culture. Versace era follemente innamorato dell’arte Warholiana, tanto da fare numerosi viaggi a New York per osservare le sue opere;dichiara infatti che la collezione dedicata alla Pop Art è quella di cui è stato più fiero. Nel 1991 omaggia a Warhol un abito POP stampato a undici colori con la celebre stampa- ritratto di Marylyn Monroe e James Dean. Come Versace, così molti altri stilisti si ispirano alla Pop Art, nel 1995 Vivienne Tam Springs, realizza un abito con il volto di Mao Tse- Tung ispirandosi alla Pop art di Warhol. Questa creazione voleva essere una stampa molto dissacrante e ironica, una vera e propria provocazione, con cui la stilista cerca di rappresentare l’apertura della Cina alle culture occidentali. Nel 2000 vediamo ancora altre creazioni appartenenti all’universo POP, esce una scarpa ispirata all’etichetta Campbell’s,disegnata come omaggio all’artista. Nel 2011 la stilista norvegese Fam Irvoll presenta capi colorati, fumetti attaccati alla testa delle modelle ai suoi lavori seguiranno quelli di molte altre prestigiose case di moda, da Emilio Fiorucci, Philip Col- bert che realizza per Miss Sixty una collezione in perfetto stile Pop, ad Agatha Ruiz De La Prada. Continuando con Pepe Jeans che nel 2007 realizza una collezione chiamata Andy Warhol by Pepe Jeans, Le Converse creano un modello di scarpe con la stampa di un’opera di Liecthstein, Borbonese, Galliano, Moschino con Jeremy Scott, e infine nel 2014 Chanel, quando lo stilista Karl Lagerfeld e la casa di moda francese hanno deciso di realizzare una sfilata in un finto centro commerciale chiamato Chanel shopping center.

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E’ così che Andy Warhol ha saputo toccare la sensibilità creativa di molti e molti sono gli ambiti che lo vedono ancora oggi coinvolto. Il suo modo di avvicinarsi all’immagine pubblicitaria oltrepassando il fine utilitario, ha saputo sottolineare come e quanto un’interpretazione artistica - stilistica è in grado di sintetizzare e diffondere un sofisticato concetto di gusto e di raffinatezza, sapendo ridisegnare a modo suo i confini della moda e dell’arte, la stessa che ne ha fatto di lui una superstar mondiale: “Non è forse la vita una serie d’immagini che cambiano solo nel modo di ripetersi?” Andy Warhol.

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Andy Warhol Pensieri. Atmosfere. Volti. Total look. Oggetti. Sguardi. Setting. Ogni dettaglio per dare vita alla cultura Pop. Immagini che descrivono una storia fatta di mille storie. Scatti che raccontano pensieri condivisi. Mondi di ricordi così vivi da essere palpabili, attuali e allo stesso tempo futuri. il nostro fotografo Filippo Rimatori, nascosto dietro all’obiettivo della sua macchina fotografica, ha raccontato la cultura Pop con gli occhi della moda, in questa serie di fermi immagine colmi di dettagli, tutti tremendamente POP.

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VESTIRE

Direzione Artistica, location e post-produzione grafica: Studio m_a_g_d_a (studio-magda.com) Photo: Filippo Rimatori (filipporimatori.com) Model: Eduardo Duarte & Carlotta Geninatti Stylist: Caffè Moda Rinaldi (caffemodarinaldi.com) Paris Magazine (instagram: paris_magazine) Hair Stylist: Lige Holist Concept (ligeparrucchieri.com )

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STARS!

PENSARE

TAROCCHI

Tarocchi, immagini visive archetipe Chiara Sbicca Anche chi non ha mai avuto a che fare con i tarocchi, sicuramente ne avrà sentito parlare tra amici, in TV, alla radio, in una canzone, in un libro…

I

mazzi di tarocchi contengono 78 raffigurazioni: 22 Arcani Maggiori e 56 Arcani Minori (o semi) che rappresentano gli elementi. Il loro utilizzo è antichissimo e hanno sempre avuto un fascino segreto nella vita delle persone grazie al loro significato archetipo, al loro immaginario “magico” e alla loro rappresentazione artistica. Numerosissime interpretazioni artistiche caratterizzano questi strumenti: innumerevoli pittori, musicisti, scrittori, illustratori e graphic designer hanno dato una loro decodificazione alle carte, segno che queste lame hanno un appeal affascinante e irresistibile. I tarocchi infatti non sono uno strumento di magia o di predizione del futuro, ma un insieme di immagini visive archetipe che contengono simboli pieni di significati e di saggezza e che possono essere decifrati utilizzando la nostra intuizione. Anche se non avete mai letto i tarocchi o non avete mai chiesto a nessuno di leggerli per voi sicuramente avrete in mente un’immagine di cosa sono e avrete visto, più o meno consapevolmente, molte immagini di queste carte. Esistono talmente tanti mazzi di tarocchi che sarebbe quasi impossibile elencarli tutti, ma vogliamo parlarvi almeno dei più famosi. Tarocchi di Marsiglia Sono senza dubbio i più conosciuti, con disegni semplici e chiari in stile medievale. Tarocchi Visconti-Sforza Sono antichissimi e gli originali sono conservati benissimo. Si tratta di tarocchi lussuosi e dal valore incalcolabile, con lettere ricoperte d’oro e dipinte a mano. Tarocchi di Mantegna Un mazzo di carte che racchiude molteplici significati e

ha una stretta relazione con il mondo esoterico. In questi tarocchi vengono rappresentate differenti fasi spirituali e i numeri vengono rappresentati sia in caratteri arabi che romani. Tarocchi Etteilla I disegni di queste carte sono in stile egiziano. Sono stati realizzati da Alliette Etteilla e sono il primo mazzo che venne commercializzato. Tarocchi Celtici Le lettere di questi tarocchi hanno una stretta relazione con l’anno celtico e si discostano molto dai tarocchi di Marsiglia. Tarocchi di Waite Sono una reinvenzione dei tarocchi di Marsiglia, dipinti da Pamela Colmano. Nel 1971 i diritti di riproduzione di questi tarocchi vennero venduti alla casa editrice U.S. Games. Da qui il loro successo e la loro presenza dominante soprattutto in America. Tarocchi d’Aleister Crowley Queste carte vennero dipinte a mano, in acquerello da Lay Frieda Harris. Si tratta di immagini dallo stile surreale e molto dettagliate. Per concludere prendo una carta dal mazzo che uso costantemente, i tarocchi Madrepace, piccole opere d’arte, tutte diverse e tutte originali. la carta de “La Morte”. Questa lama può essere interpretata come rinascita e simboleggia un processo di cambiamento, la fine di qualcosa e un nuovo inizio. Quando esce in una lettura ci suggerisce di abbandonare certi schemi, certi modi di fare e ci sprona ad effettuare un mutamento interiore. Un messaggio davvero POP! Infatti, “la cultura popolare costantemente genera e distrugge nuovi modelli e tendenze” in un contesto di cambiamenti e rivoluzioni. Qualcosa di innovativo e di inaspettato: l’arte del cambiamento.

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L’OROSCOPO di BARBANERA dal 1762 Giugno-Settembre 2019

ARIETE

L’estate vi trova in forma! Di buonumore, sfoggiate un equilibrio e una capacità diplomatica per voi davvero insoliti, che in famiglia vi consentono di trovare un accordo tra posizioni apparentemente inconciliabili. Indecisi tra carriera e appagamento degli affetti? Venere e Marte coloreranno i vostri frequenti entusiasmi, innalzando gli ardori. Le amicizie sono il vostro punto di forza.

TORO

Acque un po’ agitate in famiglia, ma con la vostra brillante dialettica ristabilite quiete e armonia. Concreti, a tratti anche materialisti, dimostrate però di avere un cuore colmo di ideali che un Nettuno ispirato farà fiorire in piena estate. Piccole seccature in vacanza, che seppellite con una risata: tornerete dalle ferie più splendenti che mai! Rivalutate il piacere delle piccole cose.

GEMELLI

I pianeti vi spingono ad andare contro pregiudizi e convenzioni, e con l’appoggio di Mercurio, Venere e Sole non vi sarà affatto difficile. Al lavoro, malgrado la stagione estiva, il clima è molto vivace e con Marte che a luglio torna a favorirvi, la competizione tra colleghi vi esalta. Vacanze forse un po’ spendaccione, ma Giove vi rimette subito in riga! Aiutate di buon grado chi è in difficoltà.

CANCRO

Con Marte che torna nel segno, siete tutto un ribollire di iniziative, programmi, attività, e non state fermi un attimo. Palpiti ed emozioni anche in amore: se qualcuno bussa al vostro cuore, socchiudete la porta, e vedrete che qualcosa di meraviglioso accadrà! Tutto sotto controllo anche al lavoro, tanti gli impegni ma le soddisfazioni non mancano. Mete ambiziose sono alla vostra portata: osate!

LEONE

L’estate vi regala una meravigliosa e rinnovata voglia di vivere, chi vi ama l’avverte, ne è coinvolto, la condivide con voi. Con la complicità di Marte, Mercurio e Giove in segni di Fuoco, entusiasmo e ardore infiammano la vostra fantasia, rendendovi irresistibili! Tanto più che Venere benevola vi fornirà buone occasioni che non esiterete a cogliere. Introducete un pizzico di novità al lavoro.

VERGINE

Insolitamente inclini agli eccessi, siete richiamati all’ordine da un Giove un po’ imbronciato che vi spinge a porre un freno ai vostri appetiti, di ogni genere. Ma non ve la prendete più di tanto, Venere e Mercurio vi rendono solari, amabili, spiritosi: in una parola, affascinanti da morire! Vacanze memorabili e ripresa lavorativa ricca di sfide stimolanti. Date il giusto rilievo ai sentimenti.

BILANCIA

Le tensioni si sciolgono, i contrasti si smussano e anche le responsabilità familiari si fanno meno gravose. Riuscite a mettere tra parentesi eventuali preoccupazioni, con Giove che apre la strada a una prima fase dell’estate in cui ritrovate serenità e buonumore. Le vacanze vi vedono in forma perfetta, l’ideale per chi sta cercando l’altra metà della mela! Frenate le riserve mentali eccessive.

SCORPIONE

L’estate riaccende il fuoco delle passioni e Venere vi spinge a trasgredire. Siete un vulcano di iniziative e mettete grandi energie in tutto ciò che fate, anche grazie a Marte tornato a sponsorizzarvi. Ferie da vivere in pienezza, con Nettuno che vi farà scoprire la bellezza di nuovi ambienti e culture diverse. Ne sarete soddisfatti e conquistati. Determinazione e lucidità fanno la differenza.

SAGITTARIO

Non esagerate negli slanci, perché un Giove molto espansivo accende la vostra possessività in amore. Possibili scaramucce al lavoro, ma con il vigoroso Marte accanto vi difendete molto bene da chi alza la voce. Le sognate vacanze vi permettono di lasciarvi fatiche e tensioni alle spalle: Venere e Giove vi regalano un’estate davvero memorabile! Una grinta vulcanica su cui far leva.

CAPRICORNO

Inizio d’estate un po’ movimentato, con Marte che potrebbe scatenare tempeste in un bicchier d’acqua facendo comparire capricci insoliti in un temperamento sobrio come il vostro. Le tensioni si dissolveranno con l’avanzare della stagione: vacanze di tutto relax vi restituiranno equilibrio, serenità e le energie necessarie per tornare in forma smagliante. Non lasciatevi sfuggire una chance fortunata.

ACQUARIO

Entusiasmo e gioia di vivere sono i generosi doni di Venere e Giove, che vi inondano come il calore di questa stagione. Esplodono le passioni e potreste ritrovarvi nel bel mezzo di una tempesta emotiva: per orientarvi seguite il faro della vostra lieve ironia. Giove vi darà una marcia in più, aprendovi la mente vi consentirà di vedere oltre le apparenze. Nuovi interessi da coltivare con entusiasmo.

PESCI

Gli impegni nel lavoro vi fanno trascurare la famiglia, perciò non meravigliatevi di qualche strigliata. Con l’avanzare della stagione Venere e il Sole vi vogliono più sorridenti e sensuali che mai: fascino alle stelle, siete una preda molto ambita! Le vacanze vi inondano di allegria e, a fine estate, un po’ di stanchezza è solo il rammarico per le ferie già finite. Al bando la timidezza: fatevi avanti!



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