Premio Marina di Ravenna 2009

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PREMIO MARINA DI RAVENNA 2009

RASSEGNA DI PITTURA

rassegna di pittura

Edizioni Capit Ravenna

2009 MARINA DI RAVENNA

EDIZIONI CAPIT RAVENNA

Premio


Premio Marina di Ravenna 2009 Rassegna di Pittura 53a edizione


Premio Marina di Ravenna 2009 Rassegna di Pittura

Promossa da Capit Ravenna in collaborazione con Museo d’Arte della Città di Ravenna Pro Loco Marina di Ravenna Patrocini Presidenza del Consiglio dei Ministri Ministero per i Beni e le Attività Culturali Regione Emilia Romagna Provincia di Ravenna Camera di Commercio di Ravenna Comune di Ravenna Presidenza Nazionale Capit

Partners sostenitori

Comitato scientifico Eugenio Carmi Claudio Cerritelli Vita Carlo Fedeli Nicola Micieli Claudio Spadoni Coordinamento Serena Tondini Comitato organizzatore Pericle Stoppa Gino Babini Franco Bertaccini Beppe Rossi Giovanni Sarasini Marta Saccomandi Con la collaborazione di Marisa Zattini Responsabile amministrativo Faustino Polani

Catalogo Grafica e cura editoriale Nicola Micieli Recapiti Premio Marina di Ravenna c/o Capit Ravenna Via Gradenigo, 6 48100 Ravenna Tel. 0544 591715 – Fax 0544 598350 e-mail: capitra@libero.it www.capitra.it

Foto digitali Foto Expert di Riccardo Montanari Impaginazione elettronica Puntopagina Livorno Stampa Tipografia Bandecchi & Vivaldi Pontedera


Comitato d’onore

Giulio Andreotti Senatore a vita Sandro Bondi Ministro per i Beni e le Attività Culturali Massimo Rendina Presidente Nazionale Capit Vasco Errani Presidente Regione Emilia Romagna Vidmer Mercatali Senato della Repubblica Italiana Gabriele Albonetti Parlamento della Repubblica Italiana Giuseppe Verucchi Arcivescovo Diocesi di Ravenna-Cervia Floriana De Sanctis Prefetto di Ravenna Giuseppe Gallucci Questore di Ravenna Francesco Giangrandi Presidente Provincia di Ravenna Fabrizio Matteucci Sindaco di Ravenna Gianfranco Bessi Presidente Camera di Commercio di Ravenna Giovanni Tampieri Presidente Confindustria Ravenna Giuseppe Parrello Presidente Autorità Portuale di Ravenna Pier Bruno Caravita Presidente Seaser - Porto Turistico Marinara Aristide Canosani Presidente Unicredit Banca Francesco Scardovi Presidente Banca di Credito Cooperativo Ravennate e Imolese Lanfranco Gualtieri Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna Uber Dondini Presidente Istituzione Museo d’Arte della Città Maria Cristina Mazzavillani Muti Presidente Ravenna Festival Elsa Signorino Presidente RavennAntica



Rassegna di Pittura

Premio Marina di Ravenna 2009

Edizioni Capit Ravenna


Programma

CONVEGNI Park Hotel, Marina di Ravenna Giovedì 20 agosto ore 21 Presentazione della rassegna e consegna Vele d’Oro Venerdì 21 agosto ore 18 Riflessioni e conversazione sul volume Erio Carnevali. Una pittura di polvere ore 21 Conferenza Un poeta da ricordare Mario Luzi INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA Mar - Museo d’Arte della Città Ravenna Sabato 22 agosto ore 18 ESPOSIZIONI 20-21 agosto Park Hotel Marina di Ravenna 22 agosto-13 settembre Museo d’Arte della Città, Ravenna 6-9 novembre Fiera d’Arte Contemporanea, Forlì


Presentazione Pericle Stoppa

Mentre mi accingo a scrivere queste brevi note sulla 53a edizione del Premio Marina di Ravenna, non posso tralasciare di fare riferimento, ancora una volta, al vissuto della rassegna e ai tanti personaggi incontrati nel suo lungo percorso, autentici protagonisti di una storia caratterizzata dallo stare insieme e dal confrontarsi all’insegna dell’arte e della pittura. Credo sia proprio la consapevolezza di ciò che il “Premio Marina” ha rappresentato – e rappresenta ancora oggi – a spingerci ogni anno, indipendentemente dalla formula adottata, dagli artisti invitati e dai contenuti culturali inseriti, a rinnovare il tradizionale appuntamento di fine agosto con la pittura nella nostra località. È forte in noi la convinzione che solo attraverso i cambiamenti e le innovazioni il Premio potrà reggere il passo coi tempi, essere ambito e forse anche ricercato. Questa nostra volontà di sperimentare nuove formule, non solo organizzative, non deve però essere confusa con quanto sta avvenendo in molti ambiti dell’arte contemporanea, che pare alimentarsi soprattutto di rotture e provocazioni alla ricerca di un “nuovismo” a tutti i costi forse spinto da logiche di mercato ma destinato ad aumentare sconcerto e disorientamento. L’intenzione di non inseguire le mode e di non farci omologare, si accompagna al desiderio di mantenere il Marina fedele alla sua identità e ai presupposti che l’hanno sempre contraddistinto: promuovere la pittura, quella che si esprime sulla tela, con i pennelli, i colori e poco altro ancora. E assieme alla pittura riaffermare i valori di quanti si cimentano in questa stupenda forma d’arte, con linguaggi propri e distinti, originalità e professionalità. Partendo da questi principi caratteristici del Premio, abbiamo pensato e promosso la presente edizione che nei contenuti ricalca le orme dello scorso anno. Siamo molto grati ai componenti il Comitato scientifico per il lavoro svolto nella scelta dei 22 artisti coinvolti e per la fattiva collaborazione prestata. Un particolare ringraziamento riserviamo all’amico Claudio Spadoni che ancora una volta, nella sua veste di direttore del Museo d’Arte della città di Ravenna, ha accettato di ospitare la mostra del Marina 2009 nelle prestigiose sale della Loggetta Lombardesca. Un altro sentito ringraziamento rivolgiamo agli amici sostenitori della rassegna, che da anni, con la loro disponibilità, consentono di mantenere viva una manifestazione che appartiene al patrimonio culturale di questa città. 7


Gli Artisti

Artisti premiati con Vela d’Oro alla Carriera con parere unanime del Comitato scientifico Gianfranco Baruchello Roma Guido Strazza Roma Segnalati da Eugenio Carmi Massimo Kaufmann Milano Eliana Maffei Genova Carlo Nangeroni Milano Lorenzo Piemonti Milano Segnalati da Claudio Cerritelli Vittorio Mascalchi Ravenna Sergio Sermidi Mantova Grazia Varisco Milano Giorgio Vicentini Varese Segnalati da Vita Carlo Fedeli Cesare Baracca Ravenna Marco Gastini Torino Ugo La Pietra Milano Katia Noppes Milano Segnalati da Nicola Micieli Xante Battaglia Milano Ennio Calabria Roma Renzo Margonari Mantova Franco Mulas Roma Segnalati da Claudio Spadoni Laura Baldassari Ravenna Pablo Echaurren Roma Franco Guerzoni Modena Vanni Spazzoli Ravenna


Motivazioni

Gianfranco Baruchello Vela d’Oro alla Carriera 2009 Nato a Livorno nel 1924, Gianfranco Baruchello avvia nel 1959 la sua ricerca tra Italia, Stati Uniti e Francia. Sin dagli esordi si colloca in una prospettiva sperimentale di analisi e contaminazione dei codici estetici e comunicativi. L’universo delle sue intuizioni e interventi è stato un punto di riferimento della contemporaneità e della ricerca artistica della seconda avanguardia internazionale. La sua profonda consapevolezza del presente e il bisogno di calarsi nell’attualità hanno profondamente segnato la sua ricerca estetica caratterizzata dall’uso di media diversi quali la pittura, l’oggetto assemblato, la scrittura, la poesia, l’azione e infine il cinema, al quale si è interessato dal 1964 con la produzione del celebre video Verifica Incerta. Baruchello è autore di operazioni e di intraprese senza precedenti quali la formazione di società per la firma di opere (Ariflex S.r.l., 1968), la pratica dell’agricoltura e della zootecnia come indagine artistica in rapporto agli aspetti politico-economici del mercato delle arti (Agricoltura Cornelia S.p.A., 1973-81), la ricerca di significato dello spazio interno degli edifici (L’altra casa, 1978-79), la realizzazione di vasti spazi aperti (il Giardino e il Bosco, dalla metà degli anni ’80) pensati come spazi mentali e dell’immaginario. Nel clima sperimentale italiano degli anni Sessanta, vicino allo spirito degli scrittori e poeti del Gruppo ’63 (Balestrini, Sanguineti, Giuliani), delle ricerche dello strutturalismo e dell’opera aperta (Eco), accanto a quanto avveniva nella musica d’avanguardia e del cinema sperimentale, Baruchello ha posto la sua ricerca in un ambito internazionale con mostre e contatti che sono rimasti all’origine o all’interno di molte sue operazioni artistiche. In quest’ottica se l’arte del ventesimo secolo è storia dello sconfinamento dallo spazio della rappresentazione a quello della vita, Baruchello è, di questa storia, tra i primi testimoni. Guido Strazza Vela d’Oro alla Carriera 2009 Nato a Santa Flora (Gr) nel 1922, nel corso di una vita consacrata alla pittura, alla grafica, all’incisione, Guido Strazza è stato uno dei principali e dei più rigorosi interpreti della ricerca astratta in Italia nella seconda metà del ventesimo secolo e sicuramente il maggiore incisore, avendo fondato la sua ricerca operativa e teoretica sul segno come valore autonomo, ma certo in grado di svelare la traccia sull’oggi di una memoria, del ricordo di un evento avvistato in prossimità della natura e della storia. Strazza avvia l’attività artistica dopo un incontro con Marinetti che lo invita a partecipare a mostre di aeropittura a Roma e alla Biennale di Venezia (1942). Si trasferisce quindi in Sud America e rientra in Italia nel 1954, a Venezia quindi a Milano. Sono di questo periodo i Racconti segnici, cui seguiranno cicli grafici e pittorici importanti quali Metamorfosi, Orizzonti olandesi, Il Giardino delle Esperidi. Trasferitosi a Roma ai primi anni Sessanta, con un assiduo lavoro presso la Calcografia Nazionale porterà al culmine il suo proposito di trasporre nell’incisione l’assolutezza, l’incontaminata purezza della luce. Nascono i cicli Ricercare e Trama quadrangolare. Allo scadere dell’ottavo decennio, il nascondimento e il peso oscuro del tempo si posano infine su quelle luci caste e purissime: vengono allora nella pittura e nell’incisione i Segni di Roma, in cui la memoria e l’ombra, forse accompagnata da un sentimento di rimpianto e di malessere, tornano a farsi egemoni e sfociano nei cicli Cosmata e Archi. Attento studioso dei segni “astratti” dell’animo e dei segni “referenziali” della natura, del tempo e della storia, Strazza è stato un acuto sperimentatore degli strumenti tecnici, resi consoni alle proprie intenzionalità espressive, nel contempo ampliando l’orizzonte percettivo-creativo e semantico del linguaggio pittorico e grafico, peraltro svolgendo anche una importante opera di formazione artistica nel suo ruolo di docente alla Calcografia Nazionale, alla Wesleyan University del Connecticut e nelle Accademie di Belle Arti dell’Aquila e di Roma. 9


Eugenio Carmi

Ho invitato Massimo Kaufmann al Premio Marina di Ravenna perché mi affascina la sua identità inconfondibile. Lui appartiene alla generazione dopo la mia che oggi molto spesso si identifica, nel suo fare, con le fragili regole del consumismo e con le finzioni della pubblicità di massa. Lui invece appartiene a quella minoranza che crede nell’arte come magia indefinibile che dalla mente si trasmette alle mani e dalle mani alla tela attraverso l’inconscio. Insomma, le sue opere intensamente piene di piccoli segni circolari potrebbero, chissà, essere materia di indagine per studiosi di psicologia, chissà, per matematici alla ricerca di un algoritmo. Io, che non sono né l’uno né l’altro, lo giudico un artista fra i più interessanti di questi anni, libero dalle facili seduzioni tecnologiche dalle quali siamo circondati. Da molti anni sono amico di Massimo e l’ho seguito nella sua evoluzione artistica che mi ha sempre affascinato. Mi sento particolarmente vicino alle sue opere così riempite di piccoli mondi circolari che mi evocano il fascino delle stelle dell’Universo. Sono lieto di saperlo a Ravenna, fuori dall’attuale bazar di Venezia. Qualche mese fa, nel dicembre 2008, ricevo un invito ad una mostra fotografica, le cui immagini mi colpiscono. Il luogo è il Museo di Palazzo Rosso a Genova, le fotografie sono di Eliana Maffei. Confesso la mia ignoranza, non conoscevo il suo nome ma, ripeto, fui sedotto dalla astrazione di quelle immagini che mi apparvero come una buona pittura astratta invece che il risultato di una pura ricerca fotografica. Così nacque la nostra conoscenza. Incontrandoci nel mio studio lei mi parlò della sua poetica visiva, quella soprattutto di fissare attraverso l’obbiettivo immagini non convenzionali, non figurative, usando a questo scopo esclusivamente la macchina fotografica e non il computer. È una persona vivissima e, come dice lei stessa, non interessata alla fotografia come gabbia della descrizione, ma come libera espressione dell’astrazione e del mistero del suo messaggio. È sempre una gioia scoprire chi esiste a due passi da noi senza che ce ne fossimo accorti, mentre sta cercando la bellezza proprio come succede a noi, negli stessi giorni, negli stessi anni. È presente al Premio Marina di Ravenna con una delle sue migliori fotografie, stampata su tela, un quadro dipinto con gli occhi. La mia storia è così diversa da quella di Carlo Nangeroni, che i nostri incontri sono quasi sempre avvenuti ai vernissages di mostre in musei o in gallerie. È simile invece il nostro percorso artistico, considerando il diverso aspetto visivo che caratterizza l’evolversi delle forme col passare del tempo sia nella sua che nella mia opera. Io sono nato a Genova. Lui è nato a New York, una città che amo molto, dove ha abitato e lavorato per alcuni anni. Io abito a Milano dal 1971 ed è qui che l’ho conosciuto e che ho incominciato ad apprezzare la sua opera e la sua persona. Un lombardo antico, un bravissimo pittore, coerente con se stesso e con i suoi cerchi che lui chiama, fra l’altro, “dialoghi”, “faville”, “interferenze”. L’ho sempre stimato, sia per l’inconfondibile identità nella sua ricerca pittorica, sia per l’educazione innata che, da figlio di emigranti italiani a New York, si muove con l’aspetto di un vero signore lombardo ritornato a dipingere nella sua terra d’origine. 10


Conosco da anni Lorenzo Piemonti con il quale ci incontravamo spesso (quando per tutti era un rito) alle inaugurazioni di tante mostre nelle gallerie milanesi. Ci accomuna, anche se allora non ci conoscevamo ancora, un soggiorno di alcuni anni in Svizzera. Io, anni prima di lui, studiavo chimica al Politecnico di Zurigo (EidgenÜssische Technische Hochschule). Lui, dal 1966 al 1973, vi soggiornò conoscendo Max Bill, Richard Lohse e Camille Graeser, e del loro rigore fece poi tesoro nella sua opera, che ancora oggi rispecchia la pulizia e il rispetto delle regole assimilate Oltralpe. A mio avviso il soggiorno in terra elvetica è stato un importante fattore del suo continuo impegno nel coniugare la geometria, talvolta tridimensionale, con un insieme di colori puri, che in ogni opera raccontano il suo cammino privo di compromessi e fedele a se stesso. Non mi dilungo oltre, non essendo un critico ma solo un fabbricante di immagini. E concludo con una osservazione che mi sta a cuore: nonostante nella sua biografia lui citi sempre la propria appartenenza al gruppo MadÏ (materialismo storico), io penso che lui non abbia nulla a che fare col materialismo, e questo lo dico in segno di stima per la sua opera.

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Claudio Cerritelli

L’attitudine creativa di Vittorio Mascalchi è difficilmente omologabile in una tendenza o in un filone di ricerca in quanto il carattere permutativo della sua ricerca non consente sistemazioni di questo tipo ma richiede un costante sforzo conoscitivo per avvicinare le tensioni immaginative del fare e del trasformare, del vedere e del sognare. La pittura come tecnica e come appropriazione del mondo delle immagini è una scelta costante dell’atteggiamento critico che Mascalchi esercita sul divenire delle forme comunicative, tuttavia essa non è mai nostalgia e neppure citazione storica del passato ma rottura degli steccati definiti del tempo e dello spazio, attraversamento e sconfinamento. Riaffermando il valore umano del dipingere l’artista tiene le distanze dalle virtualità tecnologiche del mondo attuale che pur conosce e sa usare in tutte le sue sofisticate versioni. Al loro strapotere mediatico contrappone la visione metamorfica del presente, la trasformazione enfatica delle cose quotidiane in emblemi figurali che sconcertano lo sguardo, nel senso che lo riportano a quel senso di meraviglia che l’ideologia dello sguardo globale ha dissolto nella rete irreale e pervasiva della comunicazione informatica. Dipingere alberi, corpi vegetali, paesaggi industriali, vedute urbane, simboli arcaici e allegorie dell’attualità significa per Mascalchi salvare l’immagine del vissuto dalle aggressioni mostruose del potere tecnologico. L’arte rischia di ridursi a fantasma di se stessa, icona svuotata di senso, artificio privo di magia, senza più reagire alla mistificazione totale del suo significato. La concezione pittorica di Sergio Sermidi si fonda sul desiderio di interrogare la forma nell’atto del suo rivelarsi, il gesto si confronta con la visione fluttuante del colore, con i valori sensoriali delle forme che evocano bagliori cosmici, tracce di mondi sconosciuti. Il campo cromatico è attraversato da schegge di luce e traiettorie di linee sfuggenti, imprevedibili, sollecitate da fluidi movimenti che esprimono andamenti spaziali senza meta prestabilita. Erratica è infatti la sensazione che interroga la soglia del proprio fluire, con quell’energia che si consuma negli scivolamenti di colore, nei vuoti che danno forza alle scie del gesto che si muove in un minimo tempo di esecuzione. L’evento della pittura si realizza attraverso spasmi e contrazioni, slanci e dispersioni, situazioni espressive capaci di esprimere una tensione totale in cui emerge la forza arcaica del segno. Sermidi pensa al colore come emanazione di sguardi che indicano relazioni indefinibili tra il visibile e l’invisibile, tra ciò che si vede e ciò che non è ancora espresso compiutamente. In questo senso predilige il momento originario dell’atto creativo, l’essere e il divenire del colore più che la sua configurazione compiuta. L’immagine è sospesa sul filo dell’invenzione, è luogo di intuizioni immediate che hanno il potere di sprigionare lampi imprevedibili che fissano il divenire del pensiero. Con la serie dei “quadri comunicanti” Grazia Varisco mette a punto l’idea di un “allineamento rettilineo” che attraversa molteplici strutture metalliche che evocano lo spazio della pittura senza essere tale. La diversa inclinazione delle forme 12


sempre-uguali consente una riflessione sulla relatività dello spazio in relazione alla possibilità di seguire una connessione tra i reciproci pesi percettivi, in funzione di un sistema di equilibri instabili. Già negli anni Settanta Varisco aveva esplorato le potenzialità dello spazio attraverso calcolati sbilanciamenti e sovrapposizioni di piani ritmici, in seguito l’uso di grandi diagonali sulla superficie aveva permesso di verificare la tensione lineare in relazione con il vuoto, senza dimenticare il più recente “strappo alla regola” che mostra elementi affini ma non di simile risultanza. La tensione fisica e mentale che i “quadri comunicanti” esprimono nel loro elementare ritmo ottico non ha nulla di illusorio o ingannevole ma sollecita una riflessione intorno ai meccanismi intuitivi della percezione, al di là di ogni prevedibile regola di carattere gestaltico. Quello che Varisco intende proporre è un gioco visivo basato sullo scorrimento ininterrotto del pensiero lungo la linea dialettica della presenza e dell’assenza, del pieno e del vuoto, del visibileinvisibile. Si tratta di una metodologia progettuale che non esclude mai il dubbio e l’inquietudine, la provvisorietà e l’incertezza, valori compresenti alla ricerca che Varisco sostiene con rigorosa fantasia. La pittura di Giorgio Vicentini si serve della trasparenza dei ‘polifoil’ sovrapposti che portano alla costruzione di uno spazio doppio, la parte emergente del pigmento e il mistero di ciò che sta nascosto nelle pieghe della materia. Si tratta di colore senza manipolazione diretta, plasmato e sospinto attraverso piccole pressioni manuali sulla pellicola, modificato come un denso fluire della materia. La sospensione dello spazio è decisiva, infatti il vuoto si anima, penetra nelle forme che si propagano in uno scambio di energie che non dà tregua. La visione è duplice, il bianco si esalta all’interno delle forme e si protrae al di fuori di esse, spingendo i nuclei pittorici a superare i puri valori bidimensionali, al crocevia di allusioni prospettiche che sollecitano la profondità dello sguardo. Nelle ultime opere il ritaglio del colore indica la preferenza per forme che sembrano in attesa di precipitare nel vuoto, e proprio per questo nessun equilibrio è dato per scontato. Accelerando e rallentando gli andamenti espansivi del colore si incontrano visioni inattese, lingue di rosso sottili e curvilinee, cangianze di luci e d’ombre screziate. Sono elementi vaganti che inseguono le brame dell’altrove, con quella capacità di fantasticare intorno alle parvenze del visibile che è risorsa interiore di Vicentini, desiderio di giocare al massimo sulle ambivalenze evocative del colore puro, colore crudo, colore totale.

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Vita Carlo Fedeli

Ho incontrato per la prima volta le opere di Cesare Baracca pochi mesi fa, ad una sua personale in una galleria milanese. Ho scoperto che l’autore è un pittore romagnolo “giovane” (poco più di quarant’anni), che vive e lavora a Masiera di Bagnacavallo, una trentina di chilometri da Ravenna. Mi ha soprattutto colpito una serie di immagini che egli ha raccolto sotto un titolo buñueliano: La Via Lattea. Un mondo oscuro di autostrade sorvolate da uno sguardo senza speranza, percorse penosamente da insetti-veicoli. Mi è venuto spontaneo pensare a quanto fosse lontana l’automobile da corsa “più bella della Vittoria di Samotracia” da queste visioni oppressive e come esse contraddicessero, a cent’anni dai manifesti del futurismo, tutta la retorica eroicoottimistica dell’homo velox e un secolo di iperboli pubblicitarie. Mi sono naturalmente chiesto quanto il malessere da tecnologia, che dilaga nei quadri di Baracca, fosse una contrapposizione di maniera agli ingenui entusiasmi d’un tempo, o se, invece, quelle rappresentazioni corripondessero a un pensiero critico e dialettico risolto in autentica pittura da un artista che si ostina ad affaccendarsi sulle tele con pennelli e colori. Più che le parole con cui il pittore autocommenta le sue opere, rifacendosi proprio all’incipit, affollato di veicoli, del film di Buñuel La Via Lattea (“è il panorama di una società smemorata, costretta all’energia cieca del viaggio, persa nell’oblio della fede”), mi ha convinto l’efficacia del suo modo “iconico” di evocare quel disagio, fondendo con coerenza le indubbie capacità figurative con le suggestioni espressive dell’informale e del materico. Per capire fino a che punto lo spazio in cui opera un artista sia in qualche modo indizio del suo fare, occorre vedere dove lavora a Torino Marco Gastini. Una vera e propria officina, attrezzata con una gru capace di sollevare tonnellate. Uno spazio che potrebbe ospitare agevolmente l’attività di un’impresa non tanto piccola. Qui egli raccoglie ordinatamente i molti materiali inusuali, reperti recuperati “anche nell’intento – afferma – di restituire ad essi un valore d’uso apparentemente perduto e una dignità artistica mai riconosciuta”. Cose, talvolta di stazza cospicua, che devono rimanere lì attorno a lui, perché egli le possa sentire, toccare, provare, per verificare se funzionino, se possono servire. E che, eventualmente, non si trasformano mai in “sculture”, tiene a precisare, ma in “idee di pittura”. Nulla di dadaista, di objet trouvé, nessuna protesta o sarcasmo, dunque, in quello che fa Gastini. Per lui “l’utilità può diventare un elemento artistico e decisivo”. Quei materiali possono agire come fattori costitutivi delle sue invenzioni al pari dei tradizionali colori in tubetto. In certe fusioni del piombo o dell’antimonio, per esempio, egli cerca i colori, anzi, i “non colori” che permettano di dare all’opera quel “senso del neutro, dell’impersonale, che funziona molto bene, per rendere il segno protagonista”. Niente è abbandonato al caso, in Gastini, tutto è “progettatissimo” nei suoi lavori, sia nelle grandi dimensioni (che egli privilegia), sia nelle minori. In tutte domina sempre un pittoricismo di matrice informale, in cui l’artista tende a coinvolgere più sensi, particolarmente il senso tattile. Anche nell’opera presentata alla mostra, policarbonato su carta, tecnica mista ma sempre “pittura”. 14


Ho sempre ammirato di Ugo La Pietra – architetto/designer radicale, pittore, ceramista e altro –, quella sua capacità di disegnare a china figure, oggetti e paesaggi all in line, tutto con un tratto di penna. Disegni, diciamo così, realistici, ma anche sperimentali e concettuali nel senso più autentico, che alludono a un progetto, a un mondo, a una visione antropologica neo-umanista. Dove il pragmatismo, la competenza, anche il vecchio “impegno” dell’architetto svelano, nel segno apparentemente svagato, un sottofondo salutare di affabilità, ironia e disincanto; dove non viene mai meno la grazia dell’invenzione e, molto spesso, ti sorprende la mossa del cavallo, che spiazza chi guarda. L’artista porta avanti contemporaneamente, su quadri e carte, in modo singolarmente non contraddittorio, un suo sensibilissimo discorso prevalentemente non figurativo. Di questo secondo aspetto della sua poetica, certamente complementare al primo, ho pensato di presentare qui un esempio recente, della serie Paesaggi mediterranei. La Pietra ama le isole, le piccole isole ancora per poco non toccate (o quasi) dalle spesso irrazionali razionalizzazioni della città. La sua anima di ideatore di forme e strutture, abituata a riaffermare nell’uomo urbanizzato la necessità di conquistare “un ruolo individuale e collettivo nei processi di definizione e trasformazione della realtà che lo circonda”, pare qui liberarsi di ogni preoccupazione progettuale. Non rinunciando tuttavia a proporre suggestive soluzioni immaginarie. Apparizioni simboliche e dinamiche, non prive della consueta componente ludica, di luoghi e spazi ulteriormente desiderabili, alla ricerca “di gradi di libertà che ancora esistono”. Katja Noppes, nata in Germania, vive e lavora un po’ a Milano e un po’ a New York. Qui da noi, nello studio-casa (una volta si diceva casa-bottega), molto bello e arioso, dalle parti dei Navigli, i tavoli traboccano dei pigmenti e dei materiali eterogenei che l’artista va sperimentando, e gli scaffali archiviano i percorsi e gli esiti interessanti delle sue ricerche. Testimoniando che Katja si dà da fare con le mani, oltre che col cervello, memore degli insegnamenti di Brera, che l’ha diplomata scenografa. Suo primo interesse fu la video-arte (“un mezzo la cui caratteristica peculiare – dice – mi sembrava quella di possedere lo sviluppo di un tempo infinito, non più lineare ma circolare”). Si è poi dedicata al disegno e alla pittura, ma l’elemento “temporale” è tuttavia rimasto il nucleo del suo operare. Nel senso che “le tracce di un frottage, l’impronta lasciata dai corpi, umani e animali, la pelle trasferita come un racconto sulla carta, le ombre raccolte come fotografie, sono divenute i segni e le storie del mio lavoro”. Mi sarebbe piaciuto presentare di lei un’opera, di dimensioni purtroppo non adatte alla mostra, in cui risaltano le suggestioni e i turbamenti che Katja ha saputo esprimere elaborando l’impronta che un uomo ha lasciato di sé su una grande tavola. Tecnica non nuova, risolta con nuova maestria “per mettere continuamente a confronto la molteplice natura della nostra esistenza, corporea e virtuale, nel mondo contemporaneo”. Anche il lavoro prescelto per l’esposizione evidenzia a mio parere in modo pieno, sotto le fibre di vetro cristallizzate in resine, la capacità dell’artista di far rivivere, in un gioco di ombre e di reperti effimeri, la memoria inquieta e struggente di un corpo femminile. 15


Nicola Micieli

Xante Battaglia è stato giustamente celebrato per la pervasività del suo atto pittorico, a un tempo creatore di nuove figure dell’immaginario e dissacratore dei luoghi comuni artistici e culturali – ma direi antropologici – del nostro tempo, in senso anche politico e sociologico, quali si rivelano soprattutto come immagine o maschera nella civiltà massmediatica. Ricordo che nei caldi e critici anni Sessanta, i suoi icastici ritratti – premonizioni iperrealiste – di personaggi celebri, egli li “sfregiava” con un segno che ne evidenziava e insieme ne contestava la centralità nell’immaginario comune, ancor prima che il loro ruolo e la loro “invadenza” sulla scena pubblica. Occorre avvisare che la ormai celebre “grande madre arcaica” di Battaglia, in sé sintesi polivalente dell’antica cultura mediterranea visitata dallo sguardo moderno, è stata da Battaglia utilizzata, su altro presupposto concettuale, con la medesima funzione di spiazzamento che svolgeva lo “sfregio” quando eravamo alla primavera di quella che sarebbe diventata la dittatura dell’immagine di consumo nella comunicazione di massa. L’artista, difatti, ha nel tempo speso la propria “mater” come cifra di appropriazione e demistificazione delle “icone” correnti della politica e della cultura internazionale. L’ha usata in assolo con bella e ricca gamma pittorica, intendendo celebrarne la versatilità plastica e tipologica nella compiutezza formale, oltre che la virtù evocativa di una dimensione del tempo e della civiltà che appare remota, ma è costitutiva dei nostri fondamenti culturali. Ne ha fatto inoltre un modulo spendibile in combinazioni e contaminazioni iconiche e altre aggregazioni di serie cromaticamente e, in parte, morfologicamente variate, che oggi fanno da dialettico quanto stridente contraltare del senso e della durata ad altre fonti di autorità conclamata sul piano della “visibilità” mediatica, ma che si avverte effimera, certo assai meno affidabile e credibile per un’autentica mitografia del presente da consegnare al futuro. Negli ultimi decenni la pittura di Ennio Calabria ha subito un processo di mutamento e come di introiezione e di macerazione della sostanza figurale e del dettato che la nutre, dalla stagione de “Il pro e il contro” (1961), un gruppo variegato per quanto genericamente fatto risalire a una matrice realista. Nell’ambito di una figurazione ridefinita e dalle molteplici declinazioni, calata nella problematicità della vita contemporanea, la cultura d’immagine sua e degli altri protagonisti (Attardi, Farulli, Gianquinto, Guccione e Vespignani) assegnava all’artista una posizione non neutra, attivando un serrato confronto critico circa la condizione umana e civile del tempo. Peraltro, la chiave espressiva di rimando esistenziale risultava determinante circa la qualità ansiosa del linguaggio e la struttura obliqua – certamente non pacificata, tanto meno solare – della forma pittorica. Come dire il corpo di una pittura che pur nel suo manifestarsi critico, conservava tuttavia una tensione proiettiva, un anelito alla durata. Ebbene, Calabria si è ulteriormente calato nel “corpo” pittorico in cui si specchia l’immagine totalizzante del mondo (e dell’essere, diremmo in termini filosofici): ne ha estenuato la tessitura, ne ha denudato le fibre, ne ha enfatizzato gli sghembi impianti, le inquietanti venature, gli spaccati d’ombra che paiono prefigurare l’abisso e l’oscurità del profondo. Ne ha registrato, insomma, non la tenuta ma la l’intrinseca labilità, drammatica per gli attriti determinati dal processo di mutamento, talché ne deriva un’immagine tormentata e come squassata da un oscuro furore più che da un sismo, appena attenuata laddove la luce pare investire la materia schiarendone le tinte. Ma è anche questo un indizio di instabilità, di dissolvimento in acuto contrasto con la densità o anche il grumo della materia e l’incisività dei segni laceranti che vorrebbero arginarne il dilagare. Una situazione critica, dunque, della soglia tra l’essere e il non essere, dell’impossibilità di definire nella pittura e nell’immagine una condizione stabile della realtà e di costruire una visione del mondo. 16


Surrealista per vocazione, dopo la giovanile esperienza nell’ambito del nuclearismo milanese e dell’informale segnico e il successivo approdo a una figurazione fantastico-espressionista, nel seguito della sua ricerca Renzo Margonari non ha mai smentito la propria appartenenza all’area assai variegata dell’immaginario, un insieme di tendenze e declinazioni linguistiche delle quali egli è, in Italia, protagonista creativo di risonanza europea, oltre che attento e provveduto studioso e infaticabile divulgatore. Nelle sue discese nel laboratorio della materia e negli attraversamenti della realtà formata a figura della natura quanto della cultura, Margonari ha saputo scrutare e trasporre in chiave visionaria, insomma, altre dimensioni della realtà e le meravigliose strutture mobili del sommerso in cui l’universo e la psiche si incontrano, sempre mirando alla levità delle partiture nel rigore delle soluzioni formali grafiche e pittoriche, dunque della tecnica imprescindibile nella resa delle sue aperture fantastiche. Un lavoro eseguito a “regola d’arte”, il suo, con la probità richiesta all’opera concepita per la durata retinica, ossia l’esperienza del vedere oltre la percezione fisica dell’apparenza. La qualità non può essere un optional, quando la “bellezza” ha il preciso compito di sedurre lo sguardo onde catturarlo al gioco illusionistico, dunque nella rete di connessioni logiche e analogiche che danno del mondo l’immagine d’un luogo della fluidità e della metamorfosi. Si capisce che la “figura” proteiforme dell’acqua speculare degli ultramondi, sia divenuta centrale nella stagione matura e chiave di volta della poetica visionaria di Margonari. Dal saettare balistico e deformarsi e deflagrare delle gocce o dei getti d’acqua, difatti, Margonari fa scaturire, con la puntualità e la leggerezza d’un pittore calligrafo orientale, giusta la sua esperienza cinese, incredibili immagini di straordinaria suggestione visiva, che assumono l’aspetto cangiante di paesaggi, di fiori, di farfalle, di abissi spaziali e vortici iridescenti di luce cosmica, in un caleidoscopio inesauribile di colori. Non si è mai dato, in Franco Mulas, assunzione figurale che non presupponesse un filtro mentale, e sulla tela un confacente ordine codificato di segni, colori, strutture formali la cui funzione è quella di tradire la derivazione naturalistica dell’immagine, i cui indizi disseminati anche con abbondanza di notazioni atomizzate, talora eseguite con puntualità mimetica da secentista nordico, hanno la funzione dello sviamento: simulano artatamente il piano della realtà non già per dichiararne con pacificante minuzia inventariale la percorribilità, ma per complicarne la lettura insinuando percorsi alternativi e traversi oltre la maschera icastica delle apparenze. Dopo L’identikit (1978) e L’albero rosso di Mondrian (1979-80), la ricognizione di Mulas nel territorio tra artificio e natura seguita nel ciclo neosimbolista Finzioni (1980-89) e soprattutto in Big Burg (anni ’90), il ciclo in cui innalzava monumenti totemici a un paesaggio del tutto particolare, sovrapponendo come in un sandwich frammenti pellicolari o “pellicce” di prati permutati in sezioni visionarie di paesaggi fantastici. In questa fase della sua ricerca che vorrei dire del’immaginario liberato, Mulas si immerge con acuita sensibilità panica nel “tempio” della natura. Lo fa occhieggiando con divertita malizia la pittura di genere ed estrapolando brandelli di paesaggio dall’inesauribile magazzino della storia dell’arte prima che della natura. E si produce in agili esercizi funambolici delle composizioni e in giochi pirotecnici delle strutture segniche esibendo un gusto mirabolante del colore che sa di sintesi chimica e di fantomatica elaborazione elettronica, e che trova, più che cercarle, caleidoscopiche screziature dovute alla stesura a spatola dei grumi di puri pigmenti semplicemente aggregati sulla tavolozza. C’è una felicità rapinosa del fare, senza dubbio, nella scherma in cui consiste il rapporto attuale del pittore, dico nella fisicità corporale del gesto portato sulla tela, con il processo formativo dell’immagine quanto mai pervasa da una fluitante energia bersoniana. 17


Claudio Spadoni

Non c’è dubbio che la pittura di Laura Baldassari insista consapevolmente sull’idea di ‘mimesi’, come ha scritto Paolo Balmas. I suoi corpi, i volti assorti, ieratici, di ispirazione, si direbbe, quattrocentesca, e più specificamente fiammminga, come i brani di realtà isolati e restituiti in una immota perfezione, sono icone sospese fuori dal tempo e dallo spazio reale. Ma il tema della mimesi, legato originariamente al mito della nascita dell’arte – si pensi al racconto di Plinio sulla figlia del vasaio Butade, o all’apologo di Zeusi e Parrasio, con tutti i motivi che ne possono derivare – riconduce inevitabilmente ad un pensiero dell’arte che si pone sotto il segno della continuità e del legame col passato. Intanto, riporta al tema della perdita, ovvero della separazione tra rappresentazione e realtà, e per altri aspetti all’inganno che la finzione deliberatamente ordisce. Ma se la Baldassari insiste sulla mimesi nella prospettiva moderna della specifica realtà dell’arte, autonoma rispetto alla realtà evocata, questo può anche essere letto in una prospettiva di recupero di una sacralità profana che rimarca la condizione di un luogo privilegiato della visione, che è quello della creazione artistica. Dopo i primi tempi caratterizzati da opere su carta – chine, acquarelli e smalti – da qui, anche, la pratica del fumetto, o per meglio dire del ‘controfumetto’, dell’illustrazione, della pubblicità – non per nulla interpretati da un esegeta come Giuliano Briganti in stretto rapporto fra loro, Pablo Echaurren ha poi impresso una svolta al suo lavoro in un senso più marcatamente pittorico. La riflessione sulle avanguardie storiche e segnatamente sul Futurismo, lo hanno poi portato ad allargare la sua ricerca in ambiti diversi, dalla pittura stessa alle pratiche della cosiddetta arte moltiplicata, con la sperimentazione di materiali e ambiti diversi, quali la ceramica, il vetro, le stoffe, l’arredo. In una monografia dedicata all’artista, Claudia Casali ne ha sintetizzato l’intero percorso scrivendo che se Echaurren aveva iniziato ‘miniaturizzando’, “approda dopo trent’anni a una pittura di più ampio formato, sottoponendo i soggetti di un tempo a una sorta di ingigantimento”. Superfici gremite di figure – per Enzo Siciliano si trattava di ‘aforismi’ – dalle origini più diverse, antiche e moderne, recuperate da una memoria storica, magari di mostri di cattedrali gotiche o di affreschi tardo medievali, forse brani di murales messicani, e icone di un repertorio pop o multimediale, che si affollano, si intrecciano, si scompigliano, si organizzano nel ‘caos ordinato’ di un’attualità polimorfa. Dopo gli esordi in clima concettuale in una città come Modena, accanto a figure come Parmiggiani, Vaccari, Ghirri, Franco Guerzoni ha maturato un pensiero ed una pratica della pittura come deposito di memoria, stratificazione culturale. Il ‘materismo’ di derivazione informale si è trasformato per lui nella possibilità di ricreare nuove suggestioni pittoriche, permeate tuttavia anche di rimandi a lontananze indefinibili. Le sue ‘superfici’, spesso mosse, increspate, come epidermidi di un vissuto che sembra riaffiorare e riprendere vita nel colore – siano blu profondi, notturni, o bianchi calcinati o polverosi, o rossi d’antiche memorie, o gialli accesi, solari – sono pittura che dalla misura antica del quadro si effonde in uno spazio, in una dimensione che in qualche modo lo trascende, senza tuttavia negarlo. Il lavoro di Guerzoni si è gradualmente sviluppato da un’analisi sui segni, sulle materie, sulle tracce del tempo – anche per questo s’è 18


spesso parlato di ‘archeologie’ – ad un ‘sentimento del tempo’ che si materializza per via pittorica toccandone le corde più sensibili, riattualizzandone l’antico potere di seduzione. “Le mie opere – per riprendere parole sue – sono il risultato di un lungo corteggiamento che il pensiero e le mani attivano sulla superficie (…) nell’ambiguo duello tra il piacere della rovina ed il suo restauro”. Per Vanni Spazzoli si potrebbe parlare di un percorso sostanzialmente solitario, a distanza di quelle che, volta a volta, sono risultate le linee guida dell’ufficialità artistica internazionale. Quasi inevitabile pensare all’area dell’espressionismo per una pittura come questa, che fa ricorso ad una gestualità che talora ricorda l’action painting, dove i nomi più avvicinabili, qui, sembrano de Kooning e Kline. Ma c’è anche molto di certo graffitismo, certo quello meno edulcorato e riadattato ad un gusto radical chic. Una pittura che inevitabilmente richiama, oltre ad alcuni grandi artisti per così dire anomali – da Soutine a Dubuffet, per fare solo due nomi – anche la virulenza di certo espressionismo nordico, segnatamente tedesco, esploso come per una ricarica di antiche radici verso gli anni Ottanta, anche se ha poi perso nel volgere di poche stagioni la primitiva, genuina violenza. Quella di Spazzoli si direbbe una pittura di incubi, di ‘Paure’ – come egli stesso ha titolato un suo ciclo recente di grandi dimensioni – evocatrice di incubi, ossessioni ancestrali che han ripreso corpo, magari, in figure o condizioni del nostro tempo. Un’apparizione di volti, di corpi, di membra, dove il drammatico e il grottesco si scambiano le parti, costruiti e disfatti da gesti pittorici violenti, irruzioni di neri su uno spazio che è quello della scena quotidiana.

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La mostra


Laura

Baldassari Ravenna

HCAlium cepa 5.7, 2007 olio su tavola cm 140×120

Nasce a Ravenna nel 1985. Frequenta la classe di Pittura del Prof. Luca Caccioni all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Partecipa a diverse mostre collettive e nel 2008 inaugura tre mostre personali: In tempo semplice, Centro d’Arte Contemporanea Castello di Rivara (Torino), curata da Franz Paludetto, 00:01, Gallerie Binz&Kraemer, Colonia (Germania), CAR, Contemporary Art Ruhr, Essen (Germania). Nel 2007 vince il primo premio per la categoria “pittura” del concorso nazionale delle belle arti promosso dal Ministero dei Beni Culturali Italiani. MIUR, Roma. Nel 2008 vince il primo premio per la categoria Pittura del concorso RAM di Ravenna. Ha partecipato a numerose rassegne. Nel 2004 Corti in cortile, rassegna video arte, Bologna. Nel 2005 Anteprima sette giovani artisti da conoscere, Ripatransone (Ascoli Piceno), a cura di Paola Pallotta • I Biennale Internazionale d’Arte di Grameen, Ankara (Turchia). Nel 2006 Deposizione, installazione sonora, spazio Adversa, Accademia di Belle Arti, Bologna • 57 art, Bologna • Il suono negli occhi, Almagià, Ravenna • Rassegna video arte, Villa Serena, Bologna • Collezione permanente del centro I Girasoli, Predappio (Forlì) • Lam moriar, azione sonora per emissione quadrifonica • Corposamente, Festival di performing art, chiesa di San Lorenzo, Filetto • Festival delle arti, sezione arti figurative, Sala Museale del Baraccano, Bologna • Arte Fiera, ReggioEmilia. Nel 2007 Artefiera, Bologna, Galleria De Marchi di Bologna • 8 marzo-festa della donna, museo d’arte contemporanea Casa del Console, Calice Ligure, a cura di Franz Paludetto e Diletta Benedetto • Collettiva, Galleria Giulia, a cura di Carmine Siniscalco, Roma • Shaping air, Galleria Neon, Bologna. Nel 2008 Promuovete la giovane pittura, palazzo Garagnani, Crespellano (Bologna) • Selvatico, Pescherie della Rocca, Lugo, a cura di Massimiliano Fabbri • Dovadola e i giovani ravennati, Oratorio di Sant’Antonio, Dovadola, a cura di Serena Venturelli • Doppio sogno, Palazzo del Ridotto, Cesena, a cura di Sabrina Foschini • Contemporary Art Ruhr, Galerie Binz&Kraemer, Essen • Artefiera, Bologna, Galerie Binz&Kraemer. Nel 2009 Einundvierziggrad, Galerie Binz&Kraemer, Colonia (Germania) • Artefiera, Bologna. 22


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Cesare

Baracca Ravenna

La Via Lattea 13, 2009 acrilico, smalto e cementite su tela cm 90×110

Nasce a Fusignano nel 1965. Ha studiato alle Accademie di Belle Arti di Ravenna e di Bologna diplomandosi in pittura nel 1990 con una tesi su Piero Manai. Docente presso l’Università per Adulti di Lugo e alla Scuola del Disegno del Comune di Fusignano. Fondatore dell’Associazione Culturale B52 di Fusignano. Vive e lavora a Masiera di Bagnacavallo. Personali: 1997 • Ondate controcorrente, Centro Culturale Il Granaio, Fusignano (testo di A. Savini). 1999 • In forma di croce, albergo Cappello, Ravenna (testo di S. Ghinassi) / Notturni, Palazzo Sforza, Civitanova Marche (testo di G. Fiumi) / Tre sepolcri, Palazzo Sforza, Cotignola. 2000 • Casa Francescon, Mel. 2001 • Pitture parallele, Centro Culturale Il Granaio, Fusignano (testo di G. R. Mazzoni) / Eroiche malinconie, Sala del Ghiaccio, Rocca di Lugo (testo di G. R. Mazzoni) / Teorema. La coscia d’oro di Pitagora, performance, sede Atipici Cartesiani, Modena (testo di M. Bonaffini). 2002 • Palindromi, Sala Mostre, Comune di Conselice (testo di G. Scardovi) / Sentiero aperto, con il compositore Guido Facchini, Casa Fiumi, Faenza. 2003 • Barrieres, Galleria Spazio 9, Faenza (testo di P. M. Turchetti) / Enduring Freedom, esposizione e scenografie per lo spettacolo teatrale Gli Addii di Gian Ruggero Manzoni, Teatro Comunale, Conselice. 2004 • Percorsi aporetici, Chiesa del Suffragio, Fusignano / Democratici massacri, Comune di Cotignola. 2005 • In urbe, azione con il gruppo Dervisci, Lugo. 2006 • Weapons & Flowers, video-azione con Simone Pellicone al suono, Chiostro di San Giacomo, Ferrara / La Via Lattea + In urbe, Rocca Malatestiana, Fano (testo di G. R. Manzoni) / Demolizioni, rassegna Arte Fugung, Costrutto Aspro, Galleria Gasparelli, Fano (testo di G. R. Manzoni) / Contemporanee lontananze, Comune di Marradi / In urbe, azione, con Simone Pelliconi al suono, Casa Varoli, Cotignola. 2007 • Amore e Psiche, Bastione San Gallo, Fano / Impero, Palazzo dei Convegni, Jesi /Racconti di Berlino, B52 Art Gallery, Fusignano. 2008 • Impero, Palazzo del Commercio Ascom, Lugo. 2009 • Underground Spleen, Galleria l’Affiche, Milano. Partecipazioni: 1988 • Caleidoscopio, Fierarte, Forlì. 1989 • Biennale Lugo Crea, Lugo. 1990 • Collettiva, Galleria 90 Pacifici, Forlì. 1991 • Collettiva, Galleria Il Patio, Ravenna. 1992 • Immaginaria, La Rinascente, Milano. 1993 • Grafic Front, Tokyo. 1994 • Collettiva, Galleria Il Patio, Ravenna. 1995 • Ultima generazione, Rocca di Lugo. 1996 • 40 artisti per San Bernardo, Pescherie della Rocca di Lugo. 1997 • Collettiva Associazione Arte e Dintorni, Palazzo Graziani, Bagnacavallo. 1999 • Paesaggio. 50 pittori nella Romagna del ’900, Museo San Rocco, Fusignano / Abbà, Chiesa del Carmine, Massa Lombarda / Cesenatico Arte, Palazzo Veronese, Cesenatico. 2000 • 6 giovani artisti romagnoli, Palazzo Vecchio, Bagnacavallo / Lavoro e lavori, Camera del Lavoro, Ravenna / Alla scuola di Mattia. 12 artisti per Mattia Moreni, Festa dell’Unità, Ravenna / Presentazione del Premio Gilardi, presentazione di V. Sgarbi, Teatro Manzoni, Milano. 2001 • Per un altrove, Festa dell’Unità, Ravenna / Home sweet home 2, Cotignola / Convivio nella larga, Cascina La Marchesa, Fusignano. 2002 • Pulsioni, Pinacoteca di Bagnacavallo / 365 Calendar, Studio Tommaseo, Trieste / Cuore numeroso, Palazzo Sforza, Colignola / Percorsi comunicanti, Museo San Rocco, Fusignano. 2003 • La collana bianca si colora, mostra di libri di poesia dipinti, Punto Einaudi, Forlì / Un collezionista in Romagna. Pittori romagnoli della collezione Morsiani, Galleria del Credito Cooperativo, Fusignano / Tempo presente, Centro Culturale Il Granaio, Fusignano / Riflessioni d’autore, Municipio di Bagnacavallo. 2004 • Fragile arte contemporanea, Spazio Galletti, Settore Territorio e Galleria Studio 2, Faenza / Le parole colorate, presentazione della collana letteraria-artistica delle edizioni Il Bradipo, Spazio 9 Arte Contemporanea, Faenza. 2005 • Percorsi del contemporaneo, Palazzo Alberini, Forlì / Arte Fiera, Forlì, con la Galleria Gasparelli / Resistenti, Palazzo Sforza, Cotignola. 2006 • La meraviglia delle creature, Museo San Rocco, Fusignano / Arte Fiera, Verona, con la Galleria Gasparelli, /Vitarte, Faenza. 2007 • Il disegno in prima linea, Spazio B52, Fusignano / Selvatico. Luoghi persone cose, Palazzo Sforza, Cotignola. 2008 • Anticorpi, con Massimiliano Fabbri, Teatro Rasi, Ravenna. 24


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Xante

Battaglia Milano

(Silvio Berlusconi) Il nuovo principe il nuovo Totò, 2009

polittico, tecnica mista su tele ognuna cm 50×70

Nasce a Gioia Tauro (Rc) nel 1943. Ha studiato all’Istituto d’Arte di Reggio Calabria e successivamente all’Accademia di Brera, dove è titolare della cattedra di Pittura. Vive e lavora a Milano. Difficile riepilogare la sua polimorfa personalità e fittissima attività. Scriveva Pietro Angeli: «Battaglia è una miniera di scoperte e invenzioni: il più grande critico americano, Battcock nel 1978 ha detto: aspettiamoci nuove scoperte. Battaglia ha creato la sua figura “arcaica”, e sembra che lo stile metafisico sia nato con essa. Con i suoi quadri “sfregiati” ha precorso l’iperrealismo e l’arte contemportamentale insieme. Nel 1968 quando ha ricevuto il premio San Fedele a Milano con il ritratto di Che Guevara, Dino Buzzati sul Corriere della Sera ha scritto: “Che scandalo, al San Fedele hanno premiato una fotografia”. Invece il dipinto era eseguito ad olio su tela volutamente iperpreciso. Con l’equivoco (da lui stesso ammesso) di Buzzati era nato l’iperrealismo, poi lanciato dagli americani negli anni a venire. Per quanto riguarda gli “sfregi dipinti sui miti” sempre Battcock ha detto: le Cancellazioni di Battaglia sono degne di studio da parte di allievi e storici d’arte; quando si saprà di più riguardo alla manipolazione estetica degli impulsi distruttivi e la natura essenzialmente distruttiva dell’arte stessa si scoprirà un nuovo elemento di cui Battaglia è stato pioniere. I microcosmi iconografici in pittura e fotografia hanno stabilito dei punti di riferimento tra il generale ed il particolare; pertanto anche grazie all’invenzione della sua struttura binaria è stato definito da Restany: “un talento attraverso uno stile”. Lo stile binario va al di là di tutte le intenzioni artistiche del passato che vogliono l’elemento positivo e consolatorio. Ma è una proposta d’arte al negativo che tollera solo il positivo. Con la struttura binaria (come arte critica) Battaglia ha previsto Mani Pulite in Italia con la mostra e il libro “Craxi uomo senza qualità” del 1984. Come prima con gli sfregi ha anticipato la contestazione globale del ’68, contestando i contestatori stessi e tutti i miti compreso Mao. Battaglia ha inventato la Pittura “Liberata”: per mezzo di plastiche ha reso la fotografia come arte nel senso più ricco del termine. Restany ha detto su Domus: “Nel mare magnum della fotografia internazionale mi affascinano le combinazioni seriali e le proiezioni cubiche di Xante Battaglia”. L’autorevole direttore del museo Guggenheim Thomas m. Messer di New York ha scritto di Battaglia come unico artista europeo. Battaglia ha avuto seguaci che oggi sono artisti di fama internazionale come Rainer che si è ispirato ai suoi sfregi cancellando dei volti e Koons che si ispirò agli oggetti binari allestendo aspirapolvere ed altro.» Ha esposto, tra l’altro, alla Bonino Gallery di New York, alla Biennale di Venezia e al Grand Palais di Parigi, alla Galleria Borgogna e alla Galleria Apollinaire di Milano. Ha tenuto mostre antologiche al Palazzo dei Diamanti di Ferrara e al Palazzo della Permanente di Milano. Sul suo lavoro sono stati pubblicato oltre dieci libri con scritti di Michel Tapié, Gregory Battcock, Thomas M. Messer, Leonida Repaci, Luigi Carluccio, Giorgio Kaisserlian, Raffaele De Grada, Dino Buzzati, Rossana Bossaglia, Lucio Barbera, Domenico Calabrò, Pierre Restany, Flaminio Gualdoni, Geneviève Olivier, Carlo Franza, Luca Beatrice e Giulio Carlo Argan. 26


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Ennio

Calabria Roma

Un volto e il tempo. Uomini del deserto. Ritratto di Ahmadinejad, 2008 acrilico su tela cm 120×60

Nasce a Tripoli nel 1937. Nella capitale esordisce con una mostra personale alla galleria La Feluca (1958). Un anno dopo espone alla VIII Quadriennale di Roma dove tornerà nel 1972, nel 1986 e nel 1999. Nel 1961 con i pittori Attardi, Farulli, Gianquinto, Guccione, Vespignani, e i critici Micacchi, Del Guercio e Morosini, fonda il gruppo “Il pro e il contro” che diventa un forte punto di riferimento per le nuove ricerche figurative in Itala. Nel 1964 prende parte alla Biennale di Venezia. Nel 1985 espone alla Gucci’s Gallery di New York e tiene la sua prima antologica alla Rotonda della Besana a Milano; due anni dopo a Roma a Castel Sant’Angelo. Negli anni Novanta, con il ciclo di opere Ambiguità dell’intravisto, esposto in varie sedi in Italia e all’estero, inaugura una pittura in continua ricerca della definizione più profonda dell’identità e della forma del mondo e dell’arte. Il tema che lo pervade è la ininterrotta metamorfosi del soggetto messo alla prova con l’esperienza disarmante della sempre più elevata velocità degli scambi sociali. Negli ultimi anni (2002-2005 realizza la serie di ritratti ispirati a Giovanni Paolo II) altre importanti mostre – tra cui La forma cerca forma-vero le cose (Reggia di Caserta, 2004); La forma della percezione (Palazzo Pubblico di Siena, 2005) e Latenze della luce (Palazzo dei Normanni, Palermo, 2005); Museo Arcidiocesano Cardinal Karol Wojtyla di Cracovia, 2008 – confermano l’importanza di questi temi e sottolineano il carattere originale della sua pittura accentuando la ricerca di una forma che è allo stesso tempo al di là della coscienza, e che ambiguamente, allo stesso tempo, si afferma e si nega. Risiede e opera a Roma. Nel corso della sua attività artistica Calabria ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti. Ultimo il Premio Vittorio De Sica 2006, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica al Quirinale, Roma; ha partecipato a molte rassegne internazionali, illustrato libri e realizzato circa 90 manifesti. È stato inoltre protagonista di numerosi filmati. Sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero. 28


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Pablo

Echaurren Roma

Sabbia memorabile, 2009 acrilico su tela cm 120×80

Sebbene porti un nome non italiano, è nato nel 1951 a Roma, dove attualmente lavora. Negli anni Settanta, col suo segno seppe interpretare i sogni dei figli del boom tra cultura beat, pop, underground, voglia di libertà e impegno politico. Oggi, dopo trent’anni, continua a trarre alimento da umori e tensioni che attraversano questo nostro mondo, villaggio-metropoli globale. Echaurren reca nel proprio Dna culturale quell’imprinting dell’avanguardia, che consiste nel vivere l’arte come uno strumento per trasformare la vita, come una magia tutt’altro che sacra o individualistica, ma, anzi, duttile e giocosa, legata alla socialità e alla quotidianità. Cresciuto nel mito di dada e del surrealismo, è stato scoperto intorno al 1970 dal critico-gallerista Arturo Schwarz, che poi ha fatto conoscere la sua pittura in Italia e all’estero. Sullo sfondo dell’ultima pop art, dell’arte povera, del minimalismo e del concettuale primi anni Settanta, egli ha messo a punto una propria cifra stilistica, in grado di dialogare anche al di là del mondo dell’arte. Da allora la sua produzione si è sviluppata all’insegna della contaminazione fra generi, fra alto e basso, arte e arti applicate, secondo un approccio progettuale, manuale e mentale, tipico del laboratorio che, peraltro, vanta una lunga tradizione, dalle botteghe medievali e rinascimentali fino alle case d’arte futuriste. Ne discende un’idea dell’artista come artefice e inventore a tutto campo, indifferente agli steccati e alle gerarchie che solitamente tendono a comprimere la creatività. Il suo percorso pittorico va dai primi acquerelli e smalti minimalisti alle tele degli anni Ottanta e Novanta, in cui s’incrociano richiami all’immaginario fumettistico e al graffitismo, riferimenti alle avanguardie storiche e il ricordo della pop art. Fino alla produzione più recente, che mescola interferenze dei cartoon e figure radicate nella cultura popolare, tra il gotico e il precolombiano. Dall’inizio degli anni Novanta egli si impegna anche nel campo della ceramica, innestando in una visione moderna antiche suggestioni, quali l’iconografia sudamericana e la grottesca faentina, una delle forme del manierismo, nata nel Cinquecento in seguito alla scoperta delle pitture parietali della Domus Aurea. Ma al tempo stesso Pablo Echaurren ha pubblicato diversi pamphlet (tra cui Il suicidio dell’arte, 2001), romanzi sul mondo dell’arte contemporanea (come Delitto d’autore, 2003 o L’invasione degli astratti, 2004) e ha svolto un intenso lavoro “applicato”, lasciando il proprio segno su copertine di libri (a partire da quella per Porci con le ali), illustrazioni per giornali (siano essi testate ufficiali o fanzine della controcultura come “Frigidaire”), fumetti, pubblicità, manifesti (tra cui quelli per il rock festival Arezzo Wave), copertine di dischi e Cd, orologi, francobolli, in un andirivieni tra underground e overground. Nel 2004 il Comune di Roma ha voluto ricordare la sua attività molteplice, promuovendo la mostra antologica Pablo Echaurren. Dagli anni Settanta a oggi, allestita nelle sale del Chiostro del Bramante, a cura di Fabio Benzi, Gianluca Marziani, Federica Pirani. Nel 2006 all’Auditorium di Roma si è tenuta, a cura di Achille Bonito Oliva, la mostra Pablo Echaurren, al ritmo dei Ramones. Nel 2008 Echaurren è ai Magazzini del Sale di Siena e nel 2009 di nuovo all’Auditorium con L’invenzione del basso, un’esposizione che unisce quadri e strumenti musicali. 30


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Marco

Gastini Torino

Gesto rosso, 1996

tecnica mista e policarbonato su carta cm 65×90

È nato nel 1938 a Torino, città dove vive e lavora. Nel laboratorio di marmista del padre conosce gli artisti che lo frequentano e i materiali artistici. Studia al Liceo Artistico poi all’Accademia Albertina, quindi avvia la propria esperienza approdando dapprima a una pittura fatta di tracce e gesti minimi, prossima alla minimal art, quindi alla pittura analitica.Alla metà degli anni ’70 giunge a una visione autonoma. Vive intensamente il fermento di idee e utopie della seconda metà degli anni ’60. Negli anni ’67-’68 realizza quadri dipinti a spray, scorrimenti di flussi vitali continui sopra la superficie neutra della tela, che espone alla Galleria Il Punto di Torino nel 1968. Nel 1969 è presente al Salone Annunciata di Milano con una mostra eminentemente spaziale dove la pittura fatta di flussi è su plexiglas trasparente in lastre e cilindri. La problematicità ed il coinvolgimento dello spazio, sia mentale che fisico, come luogo di azione della pittura, lo accompagnerà sempre. Di quegli anni sono le prime fusioni in piombo e antimonio su parete, presentate anche nel 1970 a Modena ad Arte e Critica ’70. Dopo la personale alla Cirrus Gallery di Los Angeles (1975) ed alla John Weber Gallery di New York (1977), è a Milano allo Studio Grossetti (1978). Nel 1979 a New York, da John Weber in due mostre espone lavori a parete invadendo l’intero ambiente.Sempre primarie, nel suo lavoro, le nozioni di spazio, energia, tensione, coinvolgimento, grado di immersione, attrazione e repulsione. In questi anni compare il colore con i materiali più differenti, contenitori di energia e di pittura: legni, pietre, pergamena, ferro, tutto partecipa alla crescita del lavoro diventando materia. Prosegue la collaborazione con gallerie italiane, europee ed americane: Galleria Martano a Torino, Studio Grossetti a Milano, Sperone a Roma; Ealter Storms a Munchen, John Weber a New York. Nel 1982 la prima antologica al Lenbachhaus di Munchen, nel 1983 alla Galleria Civica di Modena, nel 1984 al PAC di Milano a cura di Paolo Fossati, che curerà nel 1988 la monografia Marco Gastini per le Edizioni Essegi. Nel 1992 la Galleria d’Arte Moderna di Bologna gli dedica una mostra alla Villa delle Rose e così la Galleria Civica di Trento nel 1993, quando tiene una grande retrospettiva ai Kunstverein di Frankfurt e St. Gallen a cura di Peter Weiermair e Roland Waspe. Come già nel 1987 a Castel Burio (Asti) e a San Gimignano nel 1988, i lavori invadono lo spazio architettonico ed urbanistico a Siena nel 1997, con Scommessa, una mostra dove i lavori colloquiano con la storia, l’arte e l’atmosfera magica del luogo. Nel 1998 l’intera Orangerie del Castello Weimar accoglie una sua importante mostra: una grande installazione che dilaga dialogando con tutto lo spazio e le sue presenze di natura reinventandolo. La sua città, Torino, nel 2001 gli dedica una corposa retrospettiva curata da Pier Giovanni Castagnoli e Helmut Friedel alla Galleria D’Arte Moderna nei grandiosi spazi della Promotrice, e successivamente a Munchen, città da sempre frequentata, al Lenbachhaus nello spazio straordinario del Kunstbau. Si susseguono numerose personali: alla galleria Lorenzelli (Milano 2002), Volume! (Roma 2003), alla Galleria dell’Oca (Corrispondenze e riflessi, Roma 2005), alla galleria Otto (Il respiro e l’aria, Bologna 2006) e, nel 2005/06, le due grandi mostre Echi al CAMeC di La Spezia e alla Kunsthalle di Goeppingen a cura di Bruno Corà e Werner Meyer. Dopo le personali tenutesi alla Galleria dell’Oca a Roma nello stesso anno, nel 2006 alla Otto Gallery di Bologna e l’anno successivo alla Galleria 2000&novecento di Reggio Emilia, Gastini è presente alla Galleria Persano di Torino con Eliseo Mattiacci per la mosrra I tempi delle attese all’inizio del 2008. Nei primi mesi del 2009 è a Verona alla Galleria dello Scudo con la personale dal titolo Nel volo… attorno, catalogo con testo di Pier Giovanni Castagnoli e intervista di Marco Vallora. 32


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Franco

Guerzoni Modena

Pompei/Bombay, 2008

tecnica mista su tavola cm 150×100

È un artista modenese nato nel 1948. Fin dai primi anni Settanta dedica la sua ricerca ai sistemi di rappresentazione, sulla scia dell’arte concettuale. In questo contesto conosce e frequenta i più importanti artisti del momento tra i quali Ghirri, Della Casa, Vaccari, Parmigiani e Cremaschi. Espone a Bologna nel 1973 per la prima personale curata da Renato Barilli, poi nella collettiva Blow-up a Milano. Elabora libri-opera che affrontano i temi del viaggio, dell’immagine e del problema della sua lettura. Presenta i suoi lavori alla Biennale di Venezia nel 1990 e sei anni dopo gli viene dedicata un’ampia retrospettiva coordinata da Paola Jori. Del 2005 sono le ultime opere Pagine Furiose e Nero Fumo mentre nel 2006, grazie a una rilettura di Marc Augè del lavoro originario dell’artista risalente agli anni Settanta, Piergiovanni Castagnoli ne raccoglie alcuni esiti in un’esposizione presso la GAM di Torino. In seguito, Paesaggi in polvere, titolo che circoscrive il lavoro di quegli anni attraverso l’uso della fotografia, sarà presentato a Milano presso la galleria Fotografia Italiana e nel 2007 a Palazzo Casotti, Reggio Emilia, con la cura di Giulio Bizzarri, mentre un corpo di dipinti recenti di grande formato, inneggianti ai bianchi calcinati di antichi muri solcati da tracce e segni, dà origine ad Antichi tracciati, nelle Scuderie di Palazzo Moroni a Padova, occasione per la quale Umberto Galimberti elabora un saggio dedicato all’artista; inoltre partecipa a Genova all’imponente collettiva Linee all’orizzonte, curata da Maurizio Sciaccaluga nelle sedi del Polo Museale di Nervi. Nel 2008 la George Segal Gallery di Montclair, New Jersey, ospita un nutrito numero di opere degli anni Settanta. Del 2009 sono La luce nuda del giorno presso la galleria Nicoletta Rusconi di Milano, esposizione nella quale presenta un primo intervento double-face su un grande muro, e Non voltarti adesso, grande collettiva presso Ca’ Pesaro a Venezia, entrambe a cura di Milovan Farronato. Sue opere sono presenti in raccolte pubbliche e private, in Italia e all’estero. 34


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Massimo

Kaufmann Milano

Senza titolo, 2009

olio su tela cm 50×105

È nato nel 1963 a Milano, dove risiede. Principali mostre personali: 1987 • Studio Guenzani, Milano (anche ’88, ’90, ’92, ’95). 1990 • Studio Scalise, Napoli / Annina Nosei Gallery, New York. 1991 • Galerie Faust, Geneve. 1992 • Galleria In Arco, Torino / Galleria Franca Mancini, Pesaro (anche ’96) / Chiesa di S. Maria di Grotta Pinta, Roma / Mala Galerija, Moderna Galerija, Ljubiana. 1993 • Galleria Gianenzo Sperone, Roma. 1994 • Sperone-Westwater Gallery, New York / Galleria In Arco, Torino. 1997 • Musée d’Art Moderne et Contemporain, Nice. 1999 • Biagiotti Arte Contemporanea, Firenze / Viafarini, Milano. 2000 • Spazio Manzoni, Monza. 2004 • Galleria Astuni, Pietrasanta. 2005 • Galleria 1000eventi, Milano. 2007 • Galleria In Arco, Torino. Principali collettive: 1987 • Arte nuova d’Italia, Marconi, Milano. 1988 • Mailand Art Look, Galerie Amer, Wien, Annina Nosei Gallery, New York / Il cielo e dintorni, Castello di Volpaia/ Acquisizioni, GAM, Bologna / Ragioni pratiche nell’arte, L’Osservatorio, Milano / Milano Punto Uno, Marconi, Milano. 1989 • Premio Saatchi & Saatchi, Palazzo delle Stelline, Milano / Arca, Castello di Volpaia, Radda in Chianti / Punti di vista, Marconi, Milano / 10 anni di acquisizioni, PAC, Milano. 1993 • Through the Viewfinder, Fondation De Appel, Amsterdam / Oh! Cet Echo!, Centre Culturel Suisse, Paris / Documentario 2, Spazio Opos, Milano / Conformale, Spazio Opos, Milano / Italia e Giappone, Palazzo delle Esposizioni, Roma / Una scena emergente, Museo Pecci, Prato / Metropolis, Martin Gropius Bau, Berlino / Carnet de voyages, Fondation Cartier, Paris. 1995 • Romantico Contemporaneo, Castello di Bentivoglio, Bologna, Spazio Viafarini, Milano / Nuove generazioni, Musei Civici, Trento. 1997 • Exelixis, Melina Merkouri Foundation, Athens / XII Quadriennale, Roma. 1998 • Due o tre cose che so di loro..., PAC, Milano / A noir, Triennale, Milano / Trend zum Leisen. Italienische Kunst der 90er Jahre, Holzpavillon im Mirabellgarten e Petersbrunnhof, Salzburg / Sarajevo 2000, Museum Ludwig, Wien / Tracce significanti. Arte italiana oggi, Gazi, Athens. 1999 • La casa, il corpo, il cuore, Museum Ludwig, Wien. 2001 • Il dono, Palazzo delle Papesse, Siena e altre sedi / Frammenti, Permanente, Milano. 2005 • Quadriennale di Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma / Meditazioni sulla felicità, Duet Art, Varese / Il disegno è l’origine di tutto, Galerie Di Maggio, Berlino / Scultura, Castello di Agliè (To). 2006 • Forum. La bellezza, Permanente, Milano. 36


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Ugo

La Pietra Milano

Isola, 2007

acrilico su tela cm 100×100

Nasce a Bussi sul Tirino (Pescara) nel 1938. Si laurea in Architettura nel 1964 al Politecnico di Milano e, contemporaneamente, si dedica a ricerche nelle arti visive e nella musica. Artista, architetto, designer e ricercatore nella grande area dei sistemi di comunicazione, sviluppa dal 1962 un’attività tendente alla chiarificazione e definizione del rapporto “individuoambiente”. All’inizio di questo processo di lavoro realizza strumenti di conoscenza (modelli di comprensione) tendenti a trasformare il tradizionale rapporto “opera-spettatore”. Opera dentro e fuori le discipline dichiarandosi sempre “ricercatore nelle arti visive”; artista anomalo e scomodo e quindi difficilmente classificabile. Con le sue ricerche dal 1960 ha attraversato diverse correnti artistiche (“arte segnica”, “arte concettuale”, “arte ambientale”, “arte nel sociale”, “narrative art”, “cinema d’artista”, “nuova scrittura”, “extra media”, “neo-eclettismo”, architettura e design radicale), ricerche che si concretizzarono nelle teorie del Sistema disequilibrante, un contributo originale e personale al design radicale europeo. Ha realizzato più di 900 mostre personali e collettive partecipando alla Biennale di Venezia nel 1970, 1978, 1980, alla Triennale di Milano nel 1968, 1972, 1979-80-81, 1993, 1996, 2007; ha esposto inoltre al Museo of Modern Art di New York, al Centro Pompidou di Parigi, al Museum of Contemporary Craft di New York, alla Galleria Palazzo Galvani di Bologna, alla Neue Galerie di Graz, a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, alla Fortezza da Basso a Firenze, alla Fondazione Ragghianti di Lucca, al Museé Departemental di Gap, al Museum Für Angewandre Kunst Colonia, al Museo Nordio Linz, al Museo della Permanente di Milano, al Royal College of Art di Londra, alla Biennale di Chaterauroux, alla Biennale di Albisola, alla mostra Masterpieces - Palazzo Bricherasio, Torino, alla Fondazione Umberto Mastroianni di Arpino (Fr), allo Spazio Oberdan (Cineteca Italiana), al Museo di Villa Croce a Genova, alla Fondazione Orestiadi di Gibellina (Pa), alla Fondazione Mudima di Milano, al Frac Centre di Orléans, ad Arte Sella (Trento), al Castello di Aglié, mostra Scultura internazionale ad Aglié. Ha diretto le riviste: In, Progettare Inpiù, Brera Flash, Fascicolo, Area, Abitare con Arte; attualmente dirige la rivista Artigianato tra Arte e Design. È stato redattore di settore delle riviste Domus, D’ARS e AU. Vincitore del primo premio al Festival del Cinema di Nancy nel 1975 e del Premio Compasso d’Oro nel 1979, del secondo Premio al Concorso per il Parco Urbano ex Manifattura Tabacchi a Bologna nel 1985 e selezionato per il primo grado al Concorso per la ristrutturazione delle Colonne di San Lorenzo a Milano. 38


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Eliana

Maffei Genova

Intorno a me, 2008

stampa fotografica su tela cm 120×80

È nata a Genova nel 1963. Si dedica alla fotografia fin da giovanissima. Terminato il liceo classico, inizia un periodo di apprendistato come fotoreporter presso una nota agenzia genovese. A 23 anni si trasferisce a Milano per frequentare il corso di fotografia pubblicitaria presso l’Istituto Europeo di Design. Viaggia negli Stati Uniti e America Latina, dove lavora come fotografa di viaggio. Nel 1993 si laurea in lingue e letterature straniere, continuando la propria esperienza fotografica in Russia e in Polonia, i paesi legati alle materie di studio. Dal 1994 inizia a dedicarsi alla fotografia artistica, tracciando fin da subito percorsi personali che la conducono all’abbinamento di versi poetici e immagini fotografiche (Polonia: tra le labbra dei suoi poeti e le ciglia di un obiettivo) e alle prime sperimentazioni astratto-pittoriche (Calligrafie luminose). Dal 1996 si dedica alla fotografia sociale (Gente di piazza) e alla ritrattistica di giovani emergenti del mondo dell’arte nazionale e internazionale (Progetto Giotto, G8 2001). Dal 2000 si dedica alla documentazione fotografica di eventi per privati in Italia, Europa e Stati Uniti, collaborando con le più prestigiose riviste londinesi del settore. Contemporaneamente prosegue la propria ricerca in campo estetico nella fotografia astratta come nuova forma di espressione (Codice cromatico). L’ultimo progetto artistico prevede l’unione dell’immagine fotografica con la scultura (Photo Fusion Frame). Ha esposto nel 1996 a Torri di Porta Soprana, Genova; nel 2000 al Museo di Saint Paul de Vence; nel 2001 all’Istituto Polacco di Cultura, Roma, e alla Sala Sivori di Genova nell’occasione del G8; nel 2002 alla Toto’s di Londra, il Taccuino d’amore presso le Edizioni Scheiwiller di Milano, al Teatro della Tosse di Genova; nel 2008 al Museo di Palazzo Rosso di Genova; nel 2009 ad Arte Expo di Genova, alla Settimana della Cultura a Palazzo Saluzzo di Genova, alla Galleria Ermione di Genova. 40


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Renzo

Margonari Mantova

Right confusional botanic big disaster, 2007

olio e acrilico su tela cm 120×100

È nato a Mantova nel 1937. Dedicatosi all’arte fin da giovanissimo, tiene la prima personale a Mantova nel 1959. Nel 1960 è aiutante di alcuni artisti dell’avanguardia milanese e romana e scrive di critica d’arte. Viaggia poi in Europa, Asia, Africa. Dopo l’esordio nell’ambito del nuclearismo milanese e dell’informale segnico, approda a una figurazione fantastico-espressionista. Conosce i surrealisti Matta, Henry, Manina, Harloff, Revilla. Entra in contatto anche con Max Ernst e Marcel Jean e scrive note di presentazione per le loro personali in Italia. Nell’ambiente dell’avanguardia letteraria diventa amico di Celli e Spatola, che sottolinea la legittimità teorica della sua pittura, non tacciabile di “stravaganza”. Ciò giustifica l’apprezzamento dei pittori visionari – i “senatori” Minassian, Fieschi, Dangelo scrivono per lui convinte pagine – e letterati quali Zavattini e Sanesi o, in seguito, Ferri. Conosce poi Cremona, Carluccio, Crispolti, Marchiori, De Micheli, sostenitori della sua pittura. Conosce Cagli e, con il Gruppo del Girasole, anima la vita culturale di Roma; incontra Mayo, Tamayo e Pierre Klossowsky. A Parigi, su invito di Edouard Jaguer, entra nel gruppo internazionale parasurrealista Phases. Nei primi Settanta la sua ricerca si focalizza su alcune figure (pesce, goccia, fiore, freccia), dipinte con paziente puntigliosità descrittiva. Numerose le rassegne, in Italia e all’estero, di questi anni: Biennale del Mediterraneo, Alessandria d’Egitto (1971); XXXVI Biennale di Venezia (1972); Realitées Nouvelles, Parigi (1975). Dino Buzzati lo definisce un “surrealista al secondo grado, per così dire: anziché rendere magica la realtà consueta, come faceva il primo De Chirico, cerca di ricavare la magia, la surrealtà, da figure e situazioni inventate con una pittura precisa e pulitissima”. Le “gocce”, elemento attorno a cui, a partire dagli anni Ottanta, ruota la sua produzione, subiscono inaspettate metamorfosi creando continue sorprese; distillate dagli stessi spazi immobili e siderali visitati da Tanguy, divengono “microcosmi visionari” pronti a rivelare sempre nuove realtà attraverso un sapiente gioco di forme, attraverso esplosioni e schizzi illusionisticamente tridimensionali. La sua inesauribile fantasia lo porta ad appassionarsi alla fenomenologia della materia, per giungere, alla fine degli anni Ottanta, ad un curioso accostamento fra un eruttivo “tachisme iperrealista” (Jean Dyprèau) e un geometrismo astratto di linee, triangoli e cerchi. Alla personale dell’87 è poi seguito l’invito alle Biennali Internazionali di Shen Tzen del 1998 e del 2001. L’incontro con la cultura cinese è per Margonari anche incontro con il calligrafismo orientale e una preziosità grafica che si accompagna a una raffinata cromia. Nelle opere dell’ultimo decennio è ancora presente l’elemento acquatico, ma la “goccia” ha perso la sua centralità di visione e sono comparse nuove forme (palline di vetro, conchiglie, biglie, pezzi di legno, sabbie). Non gli sono mancati importanti riconoscimenti per la grafica: Premio Michetti (1968); Esposizione Internazionale di Disegno, Rijeka (1970); IV Biennale Internazionale della Grafica, Firenze (1974); VI Biennale de la Gravure, Krakow, (1976). Notevole anche il suo attivismo di critico d’arte con studi sull’arte antica e moderna e monografie di numerosi artisti (figura tra i fondatori e redattori di riviste culturali come Il Portico, la milanese N.A.C. e altre) e di organizzatore di mostre sull’arte fantastica, tra cui, dirompente, Il recupero del fantastico (Viadana, 1967). Personalità eclettica e dalla curiosità inesauribile, si è cimentato inoltre nella scultura (esponendo a Parigi, Vienna, Tel Aviv), nella gioielleria creativa (biennale internazionale Aurea Arte, Firenze), nella ceramica presso la fornace Soravia di Albissola; ha collaborato anche a documentari d’arte per le produzioni svizzere Polivideo. Fondatore della Scuola di Grafica Artistica di Castelnuovo del Garda; fondatore e direttore del Museo d’Arte Moderna di Gazoldo degli Ippoliti. Attualmente insegna Pittura all’Accademia di Belle Arti di Verona, che ha diretto dal 1987 al 1998, tenendovi cattedra di Storia dell’Arte per oltre un decennio. Arturo Schwarz, nel 2004, in un lungo saggio interpreta alchemicamente la sua opera e lo dichiara l’ultimo vero surrealista bretoniano, il solo che abbia operato un avanzamento sulla via dell’automatismo psichico proposto dai maestri storici. Espone tra i maggiori scultori all’importante rassegna Open 2005. Nel 2006 riceve l’alto riconoscimento a membro dell’Accademia Nazionale Virgiliana. Scrive per le riviste surrealiste internazionali “Infosurr” in Francia e “Brumes Blondes” in Olanda. 42


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Vittorio

Mascalchi Ravenna

Barattopoli n. 1, 2009 olio su tela per argento cm 80×100

Nasce a Bologna nel 1935. Studia alla Facoltà di Architettura di Firenze, quindi all’Accademia di Belle Arti di Bologna dove si diploma nel 1958 con Guidi e Mandelli. Dopo l’iniziale interesse per il naturalismo informale dominante a Bologna, si rivolge ad esempi action-painting, soprattutto di Pollock e Gorchy. Nel 1959, a Parigi si affranca dalla pittura americana per avvicinarsi al neodadaismo, cui rimandano le opere esposte nella sua prima personale a Bologna (1961). Dal 1961 al 1965 interrompe l’attività artistica non condividendo la lettura del proprio lavoro in chiave Pop. S’interessa di design di ricerca e realizza esperienze di metodologia della progettazione. Nel 1964 inizia a insegnare all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel 1966 riprende l’attività interrotta ed espone a Verona I Visioggetti, che riflettono gli interessi maturati tra il 1963 e il 1965. Nel 1968 espone a La Nuova Loggia di Bologna le opere che sintetizzano le sue esperienze sui processi otticopercettivi, che approfondisce, dopo la mostra, e con l’insegnamento. Nel 1973 espone a Un futuro possibile: nuova pittura, Palazzo dei Diamanti di Ferrara, con opere di rinnovato interesse per il linguaggio pittorico. Nel 1974 personale alla Galleria La Nuova Loggia di Bologna: i dipinti formalizzano, sulle due dimensioni, le problematiche dell’ambiguità della visione. Nell’antologica del 1977 alla Sala Comunale d’Arte Contemporanea di Alessandria, riassume i temi pittorici affrontati tra il 1972 e il 1976. Nel 1977, con Giorgio Celli, realizza alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna Alle origini dell’arte e L’altro occhio di Polifemo, mostre incentrate sul rapporto scienza-arte. Nella rassegna L’Ombra del 1979 alla Casa del Mantegna di Mantova, realizza una installazione-ambiente dedicata a Le ombre delle idee di Giordano Bruno, riprendendo la ricerca sui volumi virtuali già iniziata nel 1971. Realizza inoltre a Bologna l’installazione Gli Attraverso, che simula un percorso attraverso la figura simbolica della porta. A Palazzo dell’Arengo a Rimini, per Neropece-grottalcova-pecenera realizza l’installazione Che cosa ti hanno fatto Sebastiano? Nel 1981 è segnalato da Emilio Villa per Arte e Critica, come curatore, con Celli, di Occhio-iperocchio, mostra realizzata nel 1980 per il Comune di Reggio Emilia, quindi ospitata dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Nel 1982 espone in antologica opere dal 1956 al 1981 alla Pinacoteca Comunale di Ravenna. Nel 1983 al Festival Internazionale di Santarcangelo realizza Mixage, spettacolare azione in tempo reale con lasergrafico e suoni. Per Marte ’83, realizza Cromo per il Comune di Cattolica. Nel 1983 prendono corpo due suoi diversi interessi, la computer-grafica e la video-arte, che confluiranno in un’unica ricerca. Nel 1985, nell’ambito de L’immagine elettronica alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, realizza in tempo reale l’audiovisivo Kairos, con immagini al computer visualizzate a mezzo videoproiettore e una serie di monitor in rete. Sempre nel 1985, al Festival nazionale de l’Unità di Ferrara, cura gli spazi di Elettric e realizza SoftSisifo e Paesaggio. Per il Comune di Ravenna, cura la regia e la realizzazione di una serata futurista, Operazione Bartali, azionievento di forte intensità. Nel 1986 presenta Seduzione a Video Side, rassegna internazionale di video-scultura, Galleria d’Arte Moderna di Bologna. Per la Pinacoteca Nazionale di Bologna realizza Memoria, una guida elettronica interattiva della mostra Nell’età del Correggio e dei Carracci, che nel 1987 ottiene una segnalazione speciale del Premio David Camphell Harris. Nel 1989 per il Centro Video Arte Palazzo dei Diamanti di Ferrara, realizza Salotto’38, video-installazione-ambiente con utilizzo di animazioni in computer grafica. Alla fine degli anni ’80, la sua ricerca si orienta ulteriormente verso la pittura: dalla serie dei Ghirigori (1985-’87) agli Alberi (1989-’90), dalla serie Romagna mia alle Bononie (1992-’93), dalle Nebbie ai Narcisi, dai Paesaggi con rovine fino a Geometrico rurale di questi ultimi anni. Nel triennio 1999-2002 i Comuni di Russi di Ravenna e Pieve di Cento e il Museo Nazionale di Leida in Olanda, promuovono antologiche incentrate sui suoi ultimi venti anni di ricerca, realizzando alcune installazioni: Platanico platonico, Reportage pittorico e In cornice. Nel 2004 ha esposto opere dell’ultimo decennio presso la Casa Cini di Ferrara. Nel 2006 è invitato al Premio Suzzara con Lacrimondo. Nell’ultimo triennio ha realizzato opere (Triangolo, Narciso, Vis-à-vis), dove scultura, pittura e disegno si fondono generando immagini di particolare suggestione. 44


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Franco

Mulas Roma

Schegge, 1999

olio su tavola cm 100×100

Nasce a Roma nel 1938. Studia pittura all’Accademia di Francia e alla Scuola d’Arte Ornamentale di Roma. Nel 1967 tiene la sua prima mostra personale a Bari alla Galleria Il Sagittario, presentato da Renzo Vespignani. Le opere di questo periodo sono immagini disincantate della vita quotidiana degli italiani colta attraverso la ritualità alienante delle autostrade domenicali e dei week-end. Sin dagli esordi, l’attenzione verso la realtà sociale, la pratica della pittura ad olio su tavola, il ruolo fondamentale riconosciuto al colore si individuano come scelte costanti all’interno della sua produzione artistica. Alla serie Weekend segue nel 1968 il ciclo Occidente, dedicato al Maggio francese e alla contestazione giovanile esplosa in Italia, con opere esposte sia alla Galleria La Nuova Pesa di Roma (1969), con testi critici di Dario Micacchi, Franco Solmi, Giorgio Cortenova sia a Milano alla Galleria Bergamini (1970), presentato da Mario De Micheli. La riflessione sulla violenza che permea la società a tutti i livelli e sull’indifferenza generale con cui questa si compie, diviene l’oggetto di due nuovi cicli di lavoro: le pitture nere degli anni 1971-1972, con un’opera presente alla X Quadriennale d’Arte di Roma (1973), e gli Itinerari del 1974-75, alla Galleria Ricerche di Torino, presentato da Antonio Del Guercio, alla rassegna Tra Rivolta e Rivoluzione (Roma 1972) ed Italienische Realisten 1945-1974 (Berlino, 1974). Nel 1980 espone alla Galleria Il Ferro di Cavallo di Roma Autoritratti Identikit, un insieme di quattro autoritratti frontali costruiti con la tecnica dell’identikit, riproposta l’anno successivo alla Galleria d’Arte Moderna di Roma. Con l’opera L’albero rosso di Mondrian, una sequenza di quattro quadri, partecipa alla XXXIX Biennale di Venezia (1980) ed alla mostra Prove di Autori alla Pinacoteca Comunale di Ravenna (1980). Nel corso degli anni Ottanta, nei lavori che costituiscono il ciclo Finzioni, si accentua nella sua linea di ricerca l’interesse verso una natura divenuta metafora della condizione stessa del vivere, in cui – citando Renzo Vespignani, che nel 1985 lo presenta nella personale alla Galleria Ca’ d’Oro di Roma – il sogno di una causa che tutti dicono perduta, si è trasformato per Mulas nel sogno di una cosa: cioè di una forma capace di raccontare una sconfitta come fosse una vittoria. Il risultato di questa nuova indagine viene esposto alla Galleria Comunale “Paride Pascucci” di Grosseto (1985) ed in una serie di importanti rassegne tra le quali la Biennale Nazionale d’Arte di Milano (1984, 1989), la XI Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma (1986), la mostra Pittura italiana dal dopoguerra ai nostri giorni di San Paolo e Rio de Janeiro (1989). Nel 1989 gli viene conferito il “Premio Presidente della Repubblica” per la Pittura, dell’Accademia Nazionale di San Luca. A Roma, in una importante mostra antologica a Palazzo Braschi (1991), presentata da Antonio Del Guercio, espone il vasto ciclo di opere Big Burg dove si accentua l’idea di un cromatismo ambiguo e antinaturalistico che si accompagna alla riflessione sulla scomposta frammentazione della natura e sull’incalzante artificialità del mondo. Nel 1996 viene invitato da Marco Goldin alla rassegna Figure della pittura. Arte in Italia 1956-1968 a Palazzo Sarcinelli di Conegliano. Nel 1998 tiene al Palazzo dei Priori di Volterra, presentato da Nicola Micieli, una significativa mostra personale intitolata Dipinti 1980-1998. Della fine degli anni Novanta è l’impegno ad un nuovo ciclo pittorico, Schegge, esposto nel 2005 alla Galleria Forlenza di Teramo, e nel 2006 all’Ex-mà di Cagliari, nel cui catalogo Roberto Gramiccia scrive: «Il suo ultimo ciclo, quello delle “Schegge”, è forse, per potenza, originalità e spericolatezza il più “giovanile” di una carriera ormai lunga e prestigiosa iniziata verso la fine degli anni ’60.» Nel settembre 2000 è nominato Accademico dell’Accademia Nazionale di San Luca. Mulas vive e lavora a Roma. 46


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Carlo

Nangeroni Milano

Oscillante, 2007

acrilico su tela cm 72×112

Nasce a New York nel 1922 da famiglia di emigranti lombardi. Nel 1926 raggiunge l’Italia per studiarvi. Dal 1938 al 1942 frequenta la Scuola Superiore di Arte Cristiana di Milano e i corsi serali a Brera, allievo di Reggiani. Nel 1946 si stabilisce a New York. Sono anni di esperienze di vita, esperimenti e ricerche artistiche. Nella primavera del 1948 incontra Archipenko e ne frequenta lo studio. Entra in contatto con le idee e i protagonisti dell’action painting, come de Kooning e Kline, e si interessa agli esperimenti su suoni e rumori del compositore Edgar Varése. Conosce e frequenta poeti e scrittori come Reed, Paz, Guillen. Nel 1949 la sua prima personale, alla New York Circulating Gallery of Paintings. Per un breve periodo dipinge con orientamento astratto-espressionista opere che verranno esposte nel 1958 alla Meltzer Gallery. Si occupa inoltre di scenografia e realizza per la rete televisiva della National Broadcasting Company, allestimenti per opere liriche: Macbeth di Verdi, Il Flauto Magico di Mozart, Amal and the Night Visitors di Menotti, e produzioni di prosa: Riccardo II e Macbeth di Shakespeare, Cirano de Bergerac di Rostand. Espone in collettive presso la Pennsylvania National Academy di Philadelphia, il College of Fine Arts della University of Illinois, il Detroit Institute of Arts di Detroit. Dal 1954 al 1957 realizza opere quasi monocrome a forte texture e lieve rilievo, dove ricordi figurali si mescolano a partiture inoggettive. Nel 1958, dopo il progetto pubblicitario The Chisalis di Salvador Dalì, per una casa farmaceutica che produceva i primi tranquillanti, torna in Italia, si stabilisce a Milano e si dedica esclusivamente alla pittura. Nel 1959 espone alla Schneider di Roma con lo scultore Cappello, e riceve la visita anche di de Kooning, in quei giorni a Roma. Nel 1960 conclude il suo periodo informale e muta le libere pennellate in elementi plastici definiti e razionalmente organizzati. Da pennellate arcuate derivano elementi semicircolari e da questi nasce il cerchio che diventa una costante di base del suo lavoro. A Milano incontra Colombo, Manzoni, Fontana, il Gruppo T, Schiavocampo, Brusamolino, Cusumano, i critici Russoli, Valsecchi, Belloli e molti altri. Nel 1963 il gallerista Lorenzelli gli propone un contratto in esclusiva (durerà fino al 1973) e gli allestisce una personale a Bergamo, presentata da Valsecchi. Sempre nel 1963 Scanavino lo invita a Calice Ligure, dove si è stabilito da poco. Anche per Nangeroni diventerà la sede estiva, imitato da molti artisti italiani e stranieri che la affoleranno durante l’estate. Nangeroni espone per la prima volta a Milano nel 1965 presso la galleria di Bruno Lorenzelli junior, presentato da Seuphor. Nello stesso anno è invitato alla IX Quadriennale di Roma. Nel 1967 è invitato con Scanavino, Bonfanti, Cappello e Volpini alla Art Alliance Foundation di Philadelphia. Nel 1968 sposa Mary D’Orazio. Negli anni 1968 e 1969 è invitato al Musée d’Art Moderne alle esposizioni di Realitées Nouvelles. Nel 1968 progetta le scenografie per El Retablo de Maese Pedro di De Falla, Job di Dallapiccola, Oedipus Rex di Strawinski per la stagione del Teatro Comunale Margherita di Genova. Nel 1972 è invitato alla Biennale di Venezia per la grafica. In questi anni sviluppa una sua “grammatica” di lavoro, utilizzando prevalentemente gamme di grigi su fondi bianchi e quasi abbandonando il colore. Nel 1973 è invitato alla X Quadriennale di Roma. Dal 1981, affascinato dalle combinazioni, dalle variazioni tematiche e dalle ambiguità del colore, esperimenta e sviluppa un cromatismo iridescente per mezzo di accostamenti di rette verticali colorate e piccole diagonali che formano un tessuto di microstrutture dove la luce è una preoccupazione costante. Nel 1984 esegue un affresco di sei metri per due e ottanta nella tenuta Melzi di Cavaglià, Vercelli. Nel 1986 è invitato alla Biennale di Venezia nella sezione Colore. Aspetti della ricerca cromatica organizzata e alla XI Quadriennale di Roma. Continua poi, negli anni Novanta, questa sua ricerca frammentando in particelle di colore le campiture, per ottenere una maggiore vibrazione luminosa. Sono del 1994 due grandi esposizioni antologiche al Palazzo Ducale di Massa e alla Bibliomediateca Comunale di Terni, presentate da Caramel. Dal 1973 al 2004 è docente presso la Scuola Politecnica di Design di Milano. Sue opere si trovano in collezioni negli Stati Uniti, Francia, Germania, Italia, alla New York University, alla Galleria d’Arte Moderna di Torino, al Museo d’Arte Moderna di Saarbruken e in molteplici altre sedi negli Stati Uniti, Francia, Germania, Svizzera. 48


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Katja

Noppes Milano

Sublimazione, 2005 pigmento e resina su tela cm 80×120

È nata a Starnberg, Monaco di Baviera, nel 1967, vive e lavora a Milano e New York. Diplomata in scenografia presso l’Accademia di Brera nel 1992, lavora per diversi anni nel teatro. Dal 1989 al 1992 collabora con lo Studio Azzurro di Milano realizzando numerose installazioni video. Nel biennio 1992-1993 lavora come scenografa a Ginevra e a Parigi, realizzando scene e costumi per la Pètite Comedie e l’Operà de la Bastille (Così fan tutte di Mozart, la Carmen di Bizet, la Medea di Charpentier) e per il San Carlo di Napoli. A partire dal 1995 si dedica esclusivamente all’arte realizzando opere multimediali, interesse che si protrae fino ad oggi grazie a numerose collaborazioni con A. Capozzo. La sua opera indaga il corpo, la fisicità, la percezione di sé in una continua oscillazione tra i medium più classici, pittura e scultura o fotografia, ma anche video o installazioni digitali. L’impronta, la traccia, la pelle, la superficie trasparente dell’esistere costituiscono una trama di percezioni attraverso cui sperimentare e descrivere le relazioni umane: «Il corpo umano, la sua caducità, è così divenuto il testo di un racconto intimo.Tra gli strumenti che ho utilizzato, oltre a quelli più tradizionali della pittura e scultura, mi sono avvalsa della riproduzione su supporti di stampa digitale allo scopo di trasformare la materia più deperibile in informazione, mettendo continuamente a confronto la molteplice natura della nostra esistenza, corporea e virtuale, nel mondo contemporaneo. Strati di fibre di vetro cristallizzate in resine, informazioni di materiale organico in materia sintetica. II gioco è ampio e la sensibilità della materia infinita. Le forme affidate alla percezione tattile costituiscono una trama attraverso cui descrivere le relazioni umane.» Tra le altre mostre e presentazioni: STRPFestival ad Eindhoven nel 2009; guest lecture alla FIT di New York nel 2008; In_rete, mostra internazionale di arte contemporanea a Como nel 2006; Siggraph Art Gallery di Boston nel 2006; Incontro d’artisti alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia nel 2006; Biennale di Arte Contemporanea a Mosca nel 2005; Generation III alla A.I.R. Gallery di New York nel 2002. 50


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Lorenzo

Piemonti Milano

Cromoplastico Marina di Ravenna 1277, 2009 acrilici su rilievo cm 80×60×4

È nato nel 1935 a Cariate (Mi), dove vive e lavora. L’arte figurativa non è stata estranea alla sua attività. Si ricorda il periodo dedicato al soggetto “macchine da cucire”. A partire dalla metà dei Sessanta, si è mosso su un percorso in cui la disciplina mentale, il rigore logico, l’abilità manuale si sintetizzano con un forte impatto visivo e ambientale. La sua personalità, maturata al decennale contatto con i maestri del Concretismo Svizzero, si è sviluppata in una direzione individuale testimoniata dai Cromoplastici, i Cromoplasitici Madì e le recenti Accelerazioni. Con un membro del movimento argentino Madì (ma-terialismo di-alettico) , ha fondato il Madì Italia. Durante il periodo svizzero (1965-1975) Piemonti collabora come scultore con la Schlaeppischaufensternfiguren di Zurigo, realizzando modelli per esposizioni di moda, utilizzati da stilisti come Balenciaga nei musei di Zurigo e Madrid, Yves Saint Laurent al Metropolitan Museum di New York e al Museo delle Arti e della Moda al Louvre di Parigi, Armani al Guggenheim di New York, Courege e altri ancora nelle più importanti metropoli del mondo. Personali: 1965 • Le macchine da cucire, Galleria Montenapoleone, Milano. 1967 • Vismara Arte Contemporanea, Milano / Galleria G3, Seregno. 1968 • Studio Margutta 13, Roma. Multiplo d’angolo, Galleria de Il Giorno, Milano.1971 • Opera multipla, Galerie Schobinger, Ricterswil-Zurigo (testo di Neuburg). 1974 • Galleria Corsini, Intra. 1975 • Galerie Tardy, Enschede, Olanda. 1978 • Perché Piemonti-Piemonti perché, Galleria La filanda, Verano Brianza. 1979 Premio Bice Bugatti, Nova Milanese (anche 1991 e 1992). 1988 • Galleria La Chiocciola, Padova / Arte Struktura. Le provocazioni ottiche di Piemonti, Milano (testo di B. Munari). 1989 • Centro Verifica 8+1, Mestre. 1992, Galerie Jametti, BachenbulagZurigo. 1995 • Museo Nazionale, Belgrado (testi di Stanisic e Kusovac / Opera grafica, Galerija Sunce, Leskovac-Serbia. 1996 • Galleria Madì, Albuquerque-New Mexico. 1999 • Abbraccio, opera pubblica in bronzo cm 100×100, Cas rate Brianza. 2001 • L’ordine dello spirito, Galleria Vinciana, Milano. 2003 • Opere 1960-2003, antologica, Palazzo del Tursmo, Jesolo-Venezia. 2004 • Madì, Galleria Artesilva, Seregno / Antologica, Sala Ezio Mariani, Seregno (testo di Colacitti). 2007 • Galleria Risogimento, Legnago / The colors of Piemonti, su invito di Dorothy Msterson responsabile dell’International Museo Mad’, Dallas-Texas (presentazione del volume Lorenzo Piemonti, Dove abita il Madì). 2008 • Madì oltre, Spazio Tadini, Milano / Il volo. Incontro con l’arte di Lorenzo Piemonti, presentazione del “multiplo” e mostra personale, Palazzo Arese Jacchini Cesano Maderno-Milano. Collettive e rassegne: 1967 • Gruppo 7 Pittori della Brianza, Galleria Recickych, Praga. 1973 • Opera ambiente 1, happening a Galliete Varese. 1981 • L’attimo fuggente, Chiostro di Voltorre, Gavirate (testo di Varga) / Gli amici di Calderara, Chiiostro di Voltorre, Gavirate (testo di Tadini). 1982 • De Romans Nangeroni Piemonti, Galleria Pantha Arte, Como (testo di Caramel). 1983 • Bonalumi Carmi Piemonti, Spazio Rondottanta, Sesto San Giovanni. 1987 • Internazionale d’Arte Contemporanea. Proposte, Milano. 1989 • V Biennale d’Arte Contemporanea, Marostica. 1992 • Arte Madì Italia-Francia, Casa della Cultura, Livorno / Assemblea di arcobaleni, Galleria Civica, Gallarate (testo di Trini). 1995 • Salvador Presta-Lorenzo Piemonti. Opere Madì, Galerie De La Salle, Saint Paul de Vence. 1996 • 50 anni di Madì, Saragozza-Spagna. 1997 • Visione e forma, Galleria Zammarchi, Milano (testo di Alda Merini). 2000 • A Lorenzo, Museo Pagani, Castellanza (testo di Fiz). 2004 • Gruppo Madì internazionale, Galleria Durban Segnini, Miami-Florida. 2008 • Segni popolati di colore. Carmi Ferrari Piemonti, Galleria Arte-Arte, Legnago. 2009 • Artisti in Brianza.Presenze del contemporaneo, Museo d’Arte Contemporanea, Lissone-Milano (testi di Cavadini e Tommasi) / Vanni Viviani e Lorenzo Piemonti, Castello di Carimate, Como. 52


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Sergio

Sermidi Mantova

Pictoscopia, 2009

olio su tela cm 120×100

È nato nel 1937 a Mantova dove vive e lavora. Personali: 1963 • La Saletta, Mantova. 1967 • Galleria 2000, Bologna / Ferrari, Verona. 1969 • Morone 6, Milano (anche 1970). 1971 • Tiziano, Mantova. 1973 • L’Argentario, Trento / Ghelfi, Vicenza. 1974 • Galleria del Cavallino, Venezia. 1975 • Il Chiodo, Mantova. 1976 • Rotta, Genova / Loggia di Giulio Romano, Mantova / Weber, Torino / Centro d’Arte Santelmo, Salò. 1977 • Intermedia, Ferrara / La Piramide, Firenze. 1978 • Il Sole, Bolzano. 1979 • Lorenzelli, Milano. 1980 • Adelphi, Padova. 1981 • Il Centro, Napoli. 1983 • Il Sole, Bolzano. 1984 • Sergio Sermidi. Opere 1967-1984, Galleria d’Arte Contemporanea, Suzzara. 1985 • Galleria d’Arte Contemporanea, Castello Scaligero, Malcesine. 1986 • Museo Civico di Palazzo Te, Mantova / Studio Toni De Rossi, Verona. 1988 • Domer, Francoforte / Corraini, Mantova. 1989 • Sander, Darmstadt / Remberti, Brema. 1990 • Studio Harry Zellweger, Carabietta-Lugano. 1991 • Pinacoteca Comunale, Sala Rossa, Ravenna / Studio Toni De Rossi, Verona. 1993 • David, Bielefeld-Germania / Disegno, Mantova. 1995 • Palazzo Ducale, Mantova. 1998 • Studio Delise, Portogruaro / Il primato della luce, Studio Centenari, Piacenza; Bedoli, Viadana-Mantova; Chiesa di San Giacomo, Vicenza. 2001 • Centro Santelmo, Salò / Teatro Comunale, Lonigo / Luce su luce, Casa del Mantegna, Mantova / Disegno, Mantova. 1963 • Liba, Pontedera / Centofiorini, Civitanova Alta. 2004 • Cosmogonie del nulla, Arbur Centro d’Arte, Milano. Collettive e rassegne: 1964 • Premio Argenta. 1966 • Il recupero del fantastico, Viadana. 1967 • Premio Suzzara / I rassegna di arti figurative mantovane, Palazzo della Ragione, Mantova. 1970 • L’immagine attiva, Casa del Mantegna, Mantova. 1971 • XXV Premio Michetti / Premio Le Arti. Krasovec Paradiso Schmid Sermidi, Galleria del Naviglio, Milano. 1974 • XXVIII Biennale Città di Milano, Palazzo della Permanente. 1981 • Quando l’arte si fa religiosa, Museo Diocesano, Mantova. 1982 • Spelt from Sibyl’s Leaves. Exploration in Italian Art, Power Gallery, University of Sydney, poi University Art Museum, Brisbane. 1983 • Tracolorare, Galleria Il Centro, Napoli / Campo e colore. Bizzarri Cego Sermidi, Lorenzelli Arte, Milano. 1984 • XXIX Biennale Città di Milano / L’Académie Libanaise del Beaux Arts, Beirut / Disegno mantovano del 900, Museo Civico di Palazzo Te, Mantova. 1986 • XI Quadriennale, Roma / Mostra Nazionale di Pittura Città di Monza, Musei Civici, Monza / Androgyn, Akademie der Kunste, Berlino, poi Kunstverein, Hannover. 1988 • Acquisizioni, Museo Civico, Bologna. 1989 • Natura e artificio, Palazzo Ducale, Mantova. 1990 • XLII Premio Michetti / Vier Italienische Kunster. Cavalli Olivieri Ruggeri Sermidi, Galleria Zellweger, Basilea. 1991 • Il corpo e l’anima della pittura, Centro Studi Italiano, Zurigo. 1994 • Paesaggio agrario, Gonzaga / Sei altrove, Museo Casabianca, Malo / Il corpo e l’anima della pittura, Istituto Italiano di Cultura, Zurigo. 1995 • Del caos e dell’ordine dell’anima, Istituto d’Arte Depero, poi Istituto Italiano di Cultura ad Ankara, e altre sedi in Italia. 1997 • Da Monet a Morandi. Paesaggi dello spirito, Palazzo Sarcinelli, Conegliano Veneto / Olivieri Ortelli Sermidi, Artline, Amsterdam. 1998 • In carta, Centro Civico, Cornigliano-Genova / Apocalisse di Giovanni, Palazzo Ducale, Mantova / Viaggio in Italia 1998-2000: Milano, da Boccioni a..., Casa del Mantegna, Mantova. 1999 • XXXIX Premio Suzzara / Ultimi sogni di Osvaldo, Galleria Centofiorini, Civitanova Alta. 2000 • Arte a Mantova 1950-1999, Palazzo della Ragione, Casa del Mantegna, Palazzo Ducale, Museo Diocesano, Mantova. 2001 • Dal premio alla pinacoteca, Civica Galleria d’Arte Contemporanea, Lissone / Senso e misura, Villa Pisani, Bagnoli di Lonigo-Vicenza / Arte di Mantova a Siracusa, Casina Cuti, Siracusa, poi Villa Balestra, Rodigo-Mantova. 2002 • Visione interiore. Il senso del presente nella pittura italiana, Palazzo Bargnani Dandolo, Adro-Brescia, poi Palazzo Bargnani Dangolo, Comune di Villa Carcina e altre sedi italiane / Per amore. Quindici anni di scelte a Villa Sarcinelli, Palazzo Sarcinelli, Conegliano Veneto. 54


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Vanni

Spazzoli Ravenna

Piede umano, 2009

tecnica mista su carta intelata cm 110×100

Nasce a Forlì nel 1940 ma scopre la vocazione artistica sul finire degli anni Sessanta. Frequenta la scuola serale di Umberto Folli, docente all’Accademia di Ravenna e, per vari anni, lo studio del pittore-architetto Ettore Panighi, insegnante al Liceo artistico della stessa città. Si iscrive ai corsi liberi dell’Accademia di Ravenna e assiste alle lezioni di storia dell’arte di Raffaele De Grada. Su questa solida formazione figurativa, l’artista innesta una tensione pittorica fondata sul valore della materia e sulla pregnanza gestuale dell’immagine. I suoi primi temi sono nature morte, paesaggi e personaggi per poi passare, negli anni successivi, a soggetti del vivere quotidiano, come locomotive, cavalli e cavalieri, carrozzine e bambini, uccelli in gabbia, gatti e poi ancora soggetti appartenenti alla sfera inconscia, come angeli, cristi, madonne, regine, musicisti e via di seguito. Dai primi anni Settanta agli ultimi Ottanta Spazzoli è presente in manifestazioni a carattere regionale: Biennale d’Arte Romagnola 1976-1982, personali alla Galleria San Mercuriale di Forlì (1980), al Palazzo del Podestà di Faenza (1980) e alla Galleria Nuovo Ruolo di Forlì (1984). Negli anni Novanta collabora con la Galleria Gnaccarini di Bologna, presso la quale allestisce due personali nel 1993 e 1996, presentate rispettivamente da A. Baccillieri e G. Di Genova. Partecipa ad ArteFiera di Bologna dal 1994 al 1998 e ad Artissima al Lingotto di Torino nel 1996. Espone a LineArt di Gent in Belgio dal 1977 al 2005, ad ArtExpo di Barcellona nel 1998 e 1999, a St’Art di Strasburgo dal 2000 al 2004, ad Holland Art Fair di Den Haag dal 2000 al 2003 e di Utrecht nel 2001, ad Art Karlsruhe in Germania dal 2000 al 2006. Nel 1995 gli viene allestita una personale alla Galleria Mime di Amsterdam. Nello stesso anno è all’Oratorio di San Sebastiano di Forlì con la personale Ver Sacrum curata da Valerio Dehò con la partecipazione critica di Franco Patruno, che parla di un «notturno intuire, da parte di Spazzoli, l’ansia e l’angoscia di uomini e donne di ogni latitudine e gli oscuri mali che attraversano e piagano il cuore umano.» Nel contempo è invitato ad altre manifestazioni artistiche, tra cui Ex Voto per il Millennio curata da Nicola Micieli al Museo Nazionale della Certosa di Calci (Pisa, 2000); Novecento in Romagna (Cesena, 2001) curata da Claudio Spadoni; Trentaquaranta curata da Orlando Piraccini alla Galleria Comunale di Faenza (2003); Percorsi comunicanti a Palazzo Albertini di Forlì. Dalla mostra alle Pescherie della Rocca di Lugo (Ravenna) nel 1998 alla personale a Venezia Arte del 1999, dall’esposizione al Museo del Senio di Alfonsine (Ravenna) nel 2003 di trenta opere alla più recente personale tenutasi al Museo San Rocco di Fusignano (Ravenna) sul tema Paure, è un costante ripetersi «dell’empito passionale e dell’enfasi operativa di Spazzoli, dolce e spiritato folletto di Romagna, che gremisce le tele di eventi, immagini, figure in una continua ossessione del fare, frenetica, inappagata e inappagabile.» Da due anni Spazzoli collabora con la galleria L’Ariete Arte Contemporanea di Bologna, con la quale ha preso parte alla Biennale “Roncaglia” di San Felice sul Panaro (2008). Nello stesso anno ha partecipato ad Art Verona, ad Arte Fiera di Bologna e Mi.Art di Milano, riscuotendo grande approvazione. Opere di Spazzoli si trovano presso musei e spazi pubblici. 56


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Grazia

Varisco Milano

Quadri comunicanti, 2009 collage cm 70×100

È nata nel 1937 a Milano dove vive e lavora. Allieva di Funi dal 1956 al 1960 all’Accademia di Brera, dopo gli studi fa parte del Gruppo T ed espone nelle mostre Mirorama. Nel 1962 partecipa alle mostre Arte programmata organizzate da Bruno Munari nei negozi Olivetti di Milano, Roma, Venezia e presentate da Umberto Eco (dal 1964, un suo Schema luminoso variabile entra nel Museum of Modern Art di New York). Dal 1963 espone in Italia e all’estero con Nouvelle Tendance. Importanti, inoltre, le rassegne Bewogen Beweging, Stedelijk Museum, Amsterdam (vi ritorna nell’ambito di Nul ’65); Rorelse Kosten, Moderna Museet, Stoccolma (1961); Oltre l’informale, IV Biennale di San Marino (1963); Musée de Art Decoratif del Louvre e XXXII Biennale di Venezia (1964). Dopo l’esperienza di gruppo, svolge ricerca autonoma e attività di progettazione grafica per la Rinascente, la rivista Abitare, l’azienda Kartell e il Piano Intercomunale Milanese. La prima personale è del 1966 a Milano, Galleria Vismara. Sempre a Milano, nel 1969 realizza un ambiente completamente buio alla Galleria Schwarz, sulle cui pareti viene proiettato un raggio di luce mobile. Nel ’69 partecipa inoltre a Como Campo Urbano, intervenendo in una via della città con l’installazione Dilatazione spazio-temporale di un percorso, e soggiorna con la famiglia per la prima volta negli Stati Uniti, dove tornerà nel 1973. Personali: Galleria del Naviglio, Milano (1972, 1974); Centro Serre Ratti, Como (1975, poi 1981); Galleria Milano, Milano (1977); Trigon ’77, Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum. è inoltre presente in Arte in Italia 1960/1977, Galleria d’Arte Moderna, Torino. Nel 1979-80 insegna Grafica e Comunicazione all’Umanitaria e all’Istituto Europeo di Design di Milano e dal 1981 Teoria della Percezione a Brera, cattedra tenuta sino al 2007. Numerose le grandi rassegne: Linee della ricerca italiana 60/80, Palazzo delle Esposizioni, Roma (1981); Arte italiana 60/82, Hayward Gallery, Londra (1982); Arte programmata e cinetica 1953-1963. L’ultima avanguardia, Palazzo Reale, Milano (1983); XXXII Biennale di Venezia (1986); Toyama now ’90, Museum of Modern Art, Toyama (1990); Arte italiana 60/80, Banca Commerciale Italiana, sedi di Milano, Francoforte, New York (1992); Enne & Zero, Motus etc., Museion, Bolzano, Palazzo della Ragione, Padova, Galleria d’Arte Moderna, San Marino (1996); Opere cinevisuali, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma (1996); Milano 1950-59. Il rinnovamento della pittura in Italia, Palazzo dei Diamanti Ferrara (1997); Campo dei sensi. Ricerche, arte, teatro, poesia, Fondazione Mudima, Milano (1997), dove realizza la prima versione in ferro scatolare della scultura Oh!, poi riproposta nel 1998 a Lo spazio ridefinito, Villa Litta, Lainate. Le personali: Studio Marconi, Milano (1984); Studio Grossetti, Milano, con i primi Gnomoni (1986); Studio Tommaseo, Trieste (1986, poi 1993 e 1999); Galleria Milano, Milano (1992); Galleria Melesi, Lecco (1994, poi 2000); Spaziotemporaneo, Milano (2001); Galleria Plurima, Udine (2001); Galleria Fioretto, Padova (2002, poi 2009); Galleria Peccolo, Livorno (2005); Gianni Colombo-Grazia Varisco, Rotonda della Besana, Milano, con opere storiche e recenti, sculture e installazioni (2006); Galleria Hoffmann, Friedberg, e Galleria Dina Caròla, Napoli (2007); Studio Fontaine, Viterbo, e Galleria Il Bulino, Roma (2008). In questi anni è presente: Force Fields. Phases of the Cinetic, Museo de Arte Contemporaneaa, Barcellona, e Hayward Gallery, Londra (2000); Luce, movimento e programmazione. Kinetiske Kunst aus Italien 58/68, Ulmer Museum, Ulm, Stadtisches Museum, Gelsenkirken, Stadtgalerie, Kiel, Staatlisches Museum, Schewerin, Stadtische Kunsthalle, Mannheim (2001); Beyond Geomdetry. Experiment in Form 1940-1970, Los Angeles County Museum e Miami Art Museum (2004); L’oeil moteur. Art optique et cinétique 1950-1975, Musée d’Art et Contemporain, Strasburgo; Lichtkunst aus Kunstlicht, Museum fur Neue Kunst, Karlsruhe; Gli ambienti del Gruppo T, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma; Anni Cinquanta. La nascita della creatività in Italia, Palazzo Reale, Milano; Un secolo d’arte Italiana. Lo sguardo del collezionista. Opere della fondazione Vaf, Mart, Rovereto (2005); Op Art, Schirn Kunshalle, Francoforte; Camera con vista, Palazzo Reale, Milano (2007). 58


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Giorgio

Vicentini Varese

Colore crudo R, 2009

resina, acrilici e polifoli su tela di cotone cm 100×100

Nasce a Varese il 16 agosto 1951, vive e lavora a Induno Olona (Va). Nel 1974, anno della sua prima mostra personale, lascia gli studi di giurisprudenza per dedicarsi interamente all’attività artistica. Di formazione culturale milanese, orienta la sua ricerca in ambito concettuale, scegliendo poi un linguaggio autonomo basato sul colore. Dal 1982 Vicentini lavora esclusivamente a tema e per cicli. Con l’installazione Terra promessa, a cura di Luciano Caramel del 1994, presentata al Magasin di Grenoble, alla galleria Carzaniga & Ueker di Basilea e al Parlamento Europeo di Strasburgo, Vicentini si fa conoscere a livello internazionale. Nel 1996 per la mostra Le amnesie del perimetro, al Castello di Brunnemburg, Merano, Vanni Scheiwiller gli dedica, a cura di Claudio Cerritelli, il volume 111 della collana Arte Moderna. Nel 1998 espone alla Galleria Arte 92 di Milano Errori gravi. Nel 2000 espone, a cura di Cecilia De Carli, Non ho parole, un grande libro dipinto, alla Biblioteca del Castello Sforzesco di Milano e al Dipartimento di Lingue e Letterature Neolatine, all’Università degli Studi di Bergamo. È presente nel libro Figure astratte di Giovanni Maria Accame del 2001 ed espone all’Arte 92 di Milano da Turner a Turrell a cura di Martina Corgnati. Nel 2002 presenta al Castello di Masnago, Varese, a cura di Riccardo Prina, A Castello in 7 scene. Nel 2004 nasce il ciclo Colore puro 1, che espone alla Galleria Zucca di Pesaro, Catherine Hayes, Anderson (USA) e al Museo MAP di Castiglione Olona (Va). È invitato al Premio Michetti 2005 e alla galleria Ammannart di Locarno (CH). Negli “Eventi” nell’ambito della 51 Biennale di Venezia, all’Hotel Hungaria Palace al Lido presenta l’installazione Sonde, realizzata con i pazienti psichiatrici della Fondazione Emilia Bosis di Bergamo. Con i bambini delle scuole materne di Castiglione Olona (Va), Vicentini allestisce al Castello di Monteruzzo nel marzo 2006 la mostra Rare scintille, a cura di Giovanni Maria Accame e Claudio Cerritelli. Nel mese di marzo 2007 espone a cura di Licia Spagnesi Colore crudo alla galleria Duetart di Varese e a cura di Paolo Biscottini al Museo Diocesano di Milano. Nel mese di settembre è invitato ad una rassegna alla Galleria Wijland, Koksijde in Belgio. Nel mese di novembre allestisce una personale a cura di Ryszard Knapinsky alla Dom Kultury di Łód´z in Polonia. Nel 2008 in occasione dell’Open Day dell’Università Cattolica di Milano, Giorgio Vicentini presenta a cura di Cecilia De Carli l’installazione Il sogno dello studente, dipinto che si trasferisce poi per il Laboratorio di Architettura di Paolo Riani, alla Stazione Leopolda di Pisa. Su invito di Mauro Carrera partecipa alla rassegna Jean Cocteau, Le joli coeur al Centre Culturel Français di Milano. Nel 2009 su invito di Luca Scarabelli, Vicentini inaugura con l’installazione Prima colazione per due, CLIP spazio per l’arte contemporana del Liceo Artistico Angelo Frattini di Varese. Nel mese di aprile partecipa alla rassegne: Luci della ribalta, allo Spazio Tadini di Milano e Energia a tutto tondo alla Casa dell’Emergia a2a di Milano. Nel mese di giugno la Galleria Scoglio di Quarto, Milano, con catalogo a cura di Claudio Cerritelli e Luigi Sansone, propone una doppia personale di Giovanna Fra e Giorgio Vicentini. Sempre nel mese di giugno la Galleria Duetart di Varese presenta Atelier Mobile ® (piccolo studio portatile) creato dallo stesso Vicentini. L’artista conduce i laboratori di disegno e attività espressive al corso di laurea in Scienze della Formazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e alla Fondazione Emilia Bosis di Bergamo. Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private in Italia ed all’estero. È consulente artistico dell’architetto svizzero Ivano Gianola ed è autore di marchi che si sono imposti a livello internazionale. 60


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Gianfranco

Baruchello Roma

È nato a Livorno nel 1924. Al 1959 risalgono gli inizi della sua ricerca tra Italia, Stati Uniti, Francia: i quadri Altre tracce (tele bianche attraversate da linee casuali di vernice nera) e una serie di oggetti realizzati con materiali trovati (tra i quali i Cimiteri d’opinione: assemblaggi di giornali e libri). Dipinge dal 1962 grandi tele, in cui mette a punto un primo vocabolario di immagini (entità ostile, energia errore, quando percettivo, etc.): superfici bianche, attraversate da poche tracce o forme vaghe, da segni realizzati a tampone con il colore minio. Nel 1962 espone per la prima volta a New York nella collettiva The New Realists (Sydney Janis Gallery). Nel 1963 espone a Roma alla galleria La Tartaruga (testi in catalogo di A. Jouffroy e M. Bonicatti), e nel 1964 alla galleria Cordier & Ekstrom di New York. In occasione della seconda personale presso la medesima galleria a New York, un testo di Italo Calvino viene pubblicato in catalogo. Realizza in questi anni i primi plexiglass, quadri costituiti da vari strati di plexiglass sovrapposti a fondi di cartone o metallici. Del 1963 è il suo primo film dal titolo Il grado zero del paesaggio. Al 1964 risale anche l’inizio del lavoro per il film: Verifica incerta, (presentato tra il 1964 e il 1965 al Convegno del Gruppo 63 di Palermo, a Parigi, a New York), in collaborazione con A. Grifi, cui segue una serie numerosa di brevi film sperimentali (Norme per gli olocausti, Perforce, Costretto a scomparire, Per una giornata di malumore nazionale, Complemento di colpa, Non accaduto, tutti del 1968; Tre lettere a R. Roussel, 1970). Dal 1965 fino alla metà degli anni Settanta collabora con la galleria Schwarz di Milano. Nel catalogo della mostra Uso e manutenzione (Edizioni Schwarz, 1965) il testo introduttivo è di Giorgio Manganelli. Nel catalogo della mostra del 1970, De consolatione picturae (Edizioni Schwarz), è pubblicata una conversazione tra U. Eco e Baruchello. Del 1967 è la personale a Parigi, Galleria Yvonne Lambert, accompagnata da un testo di Edoardo Sanguineti. Dal 1981 inizia la collaborazione con la Galleria Milano (Milano) di Carla Pellegrini. Tra il 1965 e il 1968 iniziano anche altre operazioni artistiche come la pubblicazione di libri (Mi viene in mente, Schwarz,1966; La quindicesima riga, Lerici, 1967; Avventure nell’armadio di plexiglass, Feltrinelli, 1968), la realizzazione di oggetti (“happening mentali”) come il Multipurpose Object (1966). Al 1968 risale l’operazione Artiflex che progetta eventi, azioni, firmati con il nome collettivo di una società fittizia. Di questa operazione appare la documentazione in riviste (“Marcatrè”, Lerici, Milano) e in cataloghi degli stessi anni (Introduzione a Baruchello, con testi di T. Trini). Ai primissimi anni Settanta risalgono i primi esperimenti con l’immagine elettronica-video. Inizia anche a realizzare oggetti-assemblaggi in forma di scatole-vetrina in cui sono accostati o montati elementi differenti, realizzati o trovati. Dal 1973 va a vivere in campagna e inizia l’operazione Agricola Cornelia S.p.A., una società regolare che aveva “lo scopo sociale di coltivare la terra”. La società si proponeva la rivisitazione di miti, culture e tradizioni agricole e della zootecnia sotto l’aspetto dell’activity artistica. Al 1981 risale la mostra, Agricola Cornelia s.p.a., presso la Galleria Milano, che raccoglieva materiali, testi, fotografie relativi agli anni dell’operazione omonima (1973-81). Documentazione e racconto di questa operazione sono pubblicati nel libro How to imagine, New York 1984 (Ed. McPherson e poi Bantam Books). Sempre dall’inizio degli anni Settanta lavora sul concetto di perdita di qualità (uso della fotocopia e della fotocopia della fotocopia). Da questa esperienza nasce il libro La Stazione del Conte Goluchowsky (1978). Dello stesso anno è il libro Sentito vivere (Edizioni Exit). Al 1977 risale una serie di quadri sul tema di L’altra casa. È una considerazione dello spazio interno, dello spazio “femminile degli interni”. Nel 1979 le edizioni Galilée di Parigi pubblicano il libro di Baruchello L’altra casa (con prefazione di J.F. Lyotard). Il tema della casa torna poi nella riflessione sullo spazio- tappeto e sulla superficie-giardino. Sempre a Parigi 62


nel 1980 inizia e conduce a termine la lavorazione di A partire dal dolce (libro di immagini e testi, in copia unica, e nastro-video di 22 ore circa di interviste a artisti, filosofi, critici, poeti tra i quali: P. Klossowski, F. Guattari, J.F. Lyotard, D. Cooper, A. Jouffroy, P. Virilio). Nel 1985 esce il libro Why Duchamp (Ed. McPherson, New York). Nel 1989 il libro Bellissimo il giardino (azione omonima al Festival di Spoleto) segna un punto d’arrivo della riflessione di Baruchello intorno al tema del giardino, (la realizzazione concreta di uno spazio-giardino). Dal 1992 l’operazione riguardante il giardino si estende ad una riflessione sul bosco (bonifica e riapertura di una strada etrusca), affiancata da disegni, pittura, video, libri. L’operazione sul bosco è documentata dalla mostra Le long de la route etrusque (Galleria Krief, Parigi) e dal libro con lo stesso titolo (Ed. Voix). Del 1996 è il libro Sette video del 96 (Edizioni Masnata, Genova) in cui sono presenti testi relativi ai video degli stessi anni. Al 1997 risalgono tre grandi mostre antologiche (a cura di Carla Subrizi): Secondo Natura (Università di Viterbo), Mundus (Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea, Università “La Sapienza”, Roma; testo introduttivo, del libro edito in occasione della mostra, di Maurizio Calvesi) e Fuoricampo (Villa Mimbelli, Livorno). Nel 1998 partecipa con O. Fahlstrom a Il giardino delle delizie, mostra allestita presso il Museion, Bolzano, (a cura di H. Martin) dove il loro lavoro dei due artisti viene affiancato a quello di Klee, Duchamp e Wols. Al 1998 risale il libro Io sono un albero (Ed. Quaderni Innovazione, Agricoltura). Numerosi sono i video realizzati negli anni ’90. Tra il 1999 e il 2002 realizza i video: Quanto (1999), In su (2000), Colpi a vuoto e Fuoco (2002). Del 2000 è inoltre l’installazione Una luce marrone per Wittgenstein (Villa Medici, Roma, a cura di Carolyn Christov Bakarghiev e Hans Ulrik Obrist), del 2001 la mostra Milioni di colori nitidi (Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea, Università “La Sapienza”, Roma) mentre del gennaio 2002 è l’installazione-video In alto/In basso (Galleria Comunale, Cesena). Recentemente ha pubblicato i libri: Spettacolo di niente (Edizioni Lithos, Roma 2002), Cosa guardano le statue (Danilo Montanari Edizioni, Bologna 2003); Tu dici il punto, la piega (Edizioni Fondazione Baruchello, Roma 2003). Dal 2004 collabora con la galleria Meert-Rihoux di Bruxelles. Nel 2007 l’Auditorium Parco della Musica (Roma) gli dedica, in occasione del Festival di Filosofia, una grande mostra personale, a cura di Paolo Fabbri: Flussi, pieghe, pensieri in bocca (catalogo Skira). Nel 2007 è presente nella edizione della selezione Ice Cream (Phaidon) presentato dalla Wrong Gallery. Tra il 2006 e il 2007 realizza il film-inchiesta all’interno dei carceri del Lazio: Un altro giorno, un altro giorno, un altro giorno. Nell’estate del 2008 partecipa a Fresco bosco, a cura di A. Bonito Oliva, presso la Certosa di Padula con opere su tela e un video dal titolo Il bosco ha qualcosa da dire; nel novembre un’antologia ha luogo presso la Galleria Milano con il titolo Vendita di sogni e altro. Nel 2008-2009 partecipa alla mostra Italics (Palazzo Grassi, Venezia; Museum of Contemporary Art, Chicago) a cura di Francesco Bonami. Del 2009 è un nuovo video sul tema della memoria (Ars memoriae). Nel 1998 viene istituita la Fondazione Baruchello, con sede nella ex-casa-studio-archivio di Baruchello (via di S. Cornelia 695, Roma), in seguito alla donazione di immobili, opere e archivi, che si propone un’ampia attività sulla ricerca artistica contemporanea. Opere di Baruchello si trovano nei principali Musei e Cine-Video teche di tutto il mondo. La vasta bibliografia internazionale comprende libri, versi, saggi di filosofi, critici, scrittori e poeti. La presenza su invito a convegni, seminari, tavole rotonde, dibattiti internazionali, lezioni universitarie e conferenze è attualmente parte importante della sua attività. Baruchello vive a Roma e a Parigi. 63


Cernitore Perlino, inviato speciale, 1972 alluminio cm 100Ă—100

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Chi servire, come servire, 1972 alluminio cm 100Ă—100

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Alla malinconia di Ferruccio Parri, 1972/73 alluminio cm 100Ă—100

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E beccati ’sto agnello, 1973 alluminio cm 100×100

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Guido

Strazza Roma

Nasce a Santa Fiora (GR) nel 1922. Vive e lavora a Roma. Inizia giovanissimo l’attività artistica dopo un incontro con Filippo Tommaso Marinetti che lo invita a partecipare a mostre di Aeropittura (Palazzo Braschi, Roma e Biennale di Venezia, 1942). Nel 1946 si laurea in ingegneria a Roma, ma presto abbandona la professione già intrapresa per dedicarsi interamente alla pittura. Nel 1948 parte per il Sud America (Perù, Cile, Brasile), dove dipinge ed espone (Biennale di San Paolo, 1951, 1953). A Lima è tra i promotori della Agrupación Espacio, associazione di artisti e architetti con i quali partecipa al progetto per la ristrutturazione della città del Callao distrutta da un terremoto. S’interessa di arte preincaica e cura una mostra della collezione archeologica Larco Herrera. A Rio de Janeiro, nello studio di Fayga Ostrower (1953) ha il suo primo contatto con la tecnica dell’incisione e incide le sue prime lastre. Nel 1954 rientra in Italia prendendo studio a Venezia e, nel 1957, a Milano, dove risiede fino al 1963. Sono di questo periodo i racconti segnici, lunghe pitture in rotolo (Museum Ludwig, Colonia) e gli studi sulla metamorfosi delle forme, realizzati in cicli di pitture a tema: Balzi rossi (Galleria del Naviglio, Milano 1956 e Galleria dell’Ariete, Milano 1958) e Paesaggio Olandese (Stedelijk Museum, Amsterdam 1961). Nel 1963 torna stabilmente a Roma dove frequenta i laboratori della Calcografia Nazionale (1964-67) che il direttore Maurizio Calvesi ha aperto agli artisti, per approfondire il linguaggio dell’incisione nell’ambito di una ricerca sul segno concernente tutto il suo lavoro. Nel 1968 ne presenta alla Biennale di Venezia (sala personale) i risultati incentrati sul rapporto cangiante segno-luce (immagini su schermi mobili trasparenti) e, in seguito, sul rapporto luce-geometria, che troverà piena espressione nel ciclo di pitture e litografie Ricercare (1973). Invitato in Calcografia Nazionale dal direttore Carlo Bertelli a impostare una didattica sull’incisione, la organizza e dirige (1974-76) come ricerca di gruppo sul segno di cui elabora e pubblica i risultati nel libro Il gesto e il segno (Ed. Scheiwiller, Milano 1979). Il rigore analitico degli ultimi lavori lascia progressivamente spazio a una gestualità contradditoria dell’ordine esemplificata dai cicli di pitture e incisioni: Trama Quadrangolare (Palazzo Reale, Milano 1979), Segni di Roma (1980-84) e, con più accentuata interazione tra geometria e colore, la serie dei Cosmati (Biennale di Venezia, 1984, sala personale). Più recenti, le serie Archi e Orizzonti (Galleria Il Bulino artecontemporanea, Roma 1998 e 2002). Nel 1988 ha ricevuto dall’Accademia dei Lincei il premio A. Feltrinelli per la Grafica e, nel 2003, quello per l’incisione. Nel 1990 la Calcografia Nazionale gli dedica un’antologica dell’opera incisa dal titolo Strazza, opere Grafiche 1953-1990. Nel 1999 a Palazzo Sarcinelli, Conegliano, viene allestita la mostra antologica Strazza, opere 1941-1999. Nel 2001 è invitato a partecipare alla mostraNovecento alle Scuderie Papali del Quirinale. Nel 2002 riceve in Campidoglio il Premio Cultori di Roma. Nel 2005 il Comune di Vicenza lo invita a partecipare con una mostra antologica di incisioni Vicenza per la Grafica, LAMEC Basilica Palladiana. Ha insegnato alla Calcografia Nazionale, all’Accademia di Belle Arti de L’Aquila, alla Wesleyan University (Connecticut, USA) e all’Accademia di Belle Arti di Roma della quale è stato anche direttore. È membro dell’Accademia Nazionale di S. Luca, dell’Istituto Nazionale di Studi Romani e della Koninklijke Vlaamse Academie van Belgie. Edizioni d’Arte Cuzco Machu-Picchu, quattordici litografie b/n di cui una acquarellata (cm 56×43,5), edizione dell’Autore, Lima 1953 Ricercare. Parole e segni, undici litografie b/n (cm 70×50) edizione dell’Aurore, Roma 1975 68


Orizzonti Olandesi, cinque poesie, venti incisioni b/n (cm 25×35), edizione dell’Autore, Roma 1974 Balda sin Tempo, tre litografie a colori per un poema di Rafael Alberti, (cm 25×39, foglio piegato in tre), edizione Grafica dei Greci, Roma 1975 Insetti, trentasei incisioni b/n (cm 20×20), edizione dell’Autore, Roma 1980 Effigies tenuesque figurae, quattro incisioni (cm 50×35), di Luigi Boille, Achille Perilli, Toti Scialoja, Guido Strazza, testo di Gabriella Drudi, edizione Spatia, Bolzano 1981 Roma. Trame, colonne, cosmati, ventisei incisioni b/n (cm 70×50), edizione dell’Autore, Roma 1982 Giardino d’Euclide, cinque incisiopni b/n (cm 31×24), edizione dell’Autore, Torino 1988 Dies Irae, tre incisioni (cm 50×35) di Piero Dorazio, Umberto Mastroianni, Guido Strazza. Testo latino di Tommaso da Celano, traduzione di Emilio Villa, edizione di Nando Saccone, Avezzano 1991 Diptych, una incisione b/n (cm 13,5×9,5) per la poesia di Seamus Heaney, traduzione di Antony Oldcorn, edizione Lucini, Milano 1993 Taccuino degli incubi, due incisioni b/n (cm 25×17,5) per diciassette poesie inedite di Gianfranco Palmery, n. 5 della collana Duale, edizione Il Bulino, Roma 1997 Carnevale, una incisione b/n (cm 25×15,8) per il racconto di Corrado Alvaro, n. 9 della collana Le Carte del Cielo, edizione Ampersand, Valeggio sul Mincio, (VR) 1997 Archi, tre incisioni b/n (cm 25×35), edizione Il Bulino, Roma 1998 Dislessico, una incisione b/n (cm 25×43,5, foglio piegato in tre) per una poesia di Edoardo Sanguinetti, Edizione Eos Libri d’Artista, Roma 1998 Orizzonti, dieci incisioni b/n (cm 70×50), edizione Euromobil, Falzè di Piave (TV) 2000 Hypnos, una incisione b/n (cm 50×35) per quattro poesie di Leonardo Sinisgalli, edizione Arte Club, Pesaro 2002 Le immagini vengono senza preavviso, cinque incisioni b/n (cm 38×24) per sette poesie da Infinitesimi di Leonardo Sinisgalli, edizione Colophon, Belluno 2002 Quando la luce, una poesia e una incisione b/n (cm 35×25) della collana Segni Primi, Edizione Il Bulino Roma 2002 Madeigali, una incisione in b/n (cm 16,5×16) per quattro poesie inedite di Philippe Jaccottet, traduzione di Fabio Posterla, edizione Fabrizio Mugnaini, Scandicci (FI) 2002 Segno nasconde Segno, contromanuale dell’incisore, sedici poesie e tre incisioni b/n (cm 46×61,5, foglio piegato in ottavo) Edizione Il Bulino, Roma 2002 Lettera del Grande Monarca, una incisione b/n (cm 16×11) per il testo di Antonin Artaud, Edizione L’Obliquo, Brescia 2004 Il nome, il meno, segni e collage (cm 35×25) per dodici poesie di Gianfranco Palmery, tratte da L’io non esiste (Il Labirinto, Roma 2003), Edizione Il Bulino, Roma 2005 Pubblicazioni Analisi dei segni di alcune incisioni di G. B. Piranesi, edizione Calcografia Nazionale, Roma 1976 Il gesto e il segno. Tecnica dell’incisione, edizione Vanni Scheiwiller, Milano 1979, seconda edizione: Aperion, S. Oreste-Roma, 1994 Vedere. Segni e brevi storie, n. 12 della collana Akropolis, Franco Masoero Edizioni d’Arte, Torino 1994. Il segno e il colore negli occhi (1974), Edizione Il Ponte, Firenze 1994

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Orizzonte, 2002 tempera su tela cm 125Ă—40

Orizzonte, 2005 tempera su tela cm 125Ă—60

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Percorsi, 2006

tempera su tavola cm 56Ă—52

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Rosso - segno nero, 2009 tempera su tela cm 53Ă—50

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Segni incisi per Marina di Ravenna

La cartella Segni incisi per Marina di Ravenna pubblicata dalla Capit di Ravenna nell’occasione del Premio Marina di Ravenna cinquantatreesima edizione con testo introduttivo di Claudio Cerritelli si compone di tre grafiche originali eseguite dai Maestri Gianfranco Baruchello Ugo La Pietra Guido Strazza e stampate dalla Arte 3 di Milano e Stamperia d’Arte Il Bulino di Roma su carta Hahnemuehele e Graphia. La serigrafia di Ugo La Pietra e le incisioni di Gianfranco Baruchello e Guido Strazza sono state stampate in 115 esemplari di cui: 70 esemplari contrassegnati da numeri arabi, da 1/70 a 70/70; 30 esemplari contrassegnati da numeri romani, da I/XXX a XXX/XXX e 15 esemplari contrassegnati da “prova di stampa”. Ogni esemplare reca il timbro a secco e la firma autografa degli autori. A tiratura ultimata, le lastre sono state biffate. La cartella è stata allestita dalla Stamperia d’Arte Il Bulino di Roma. Ravenna, agosto 2009

Gianfranco Baruchello

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Ugo La Pietra

Guido Strazza

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Premio Marina di Ravenna Albo d’oro dei vincitori

Concorso Estemporaneo 1955 1956

Corrado Corazza, Bologna Giuliano Manoni, Ravenna Franco Miele, Roma 1957 Raffaele Costi, Roma Francesco Verlicchi, Fusignano RA 1958 Mario Massarin, Venezia Manlio Serra, Roma 1959 Tino Pelloni, Modena Giovanni Perbellini, Verona Berto Ravotti, Mondovì CN Ermanno Vanni, Modena 1960 Nino Gagliardi, Roma Romano Reviglio, Cherasco CN Giulio Ruffini, Ravenna Renzo Sommaruga, Verona 1961 Mariano Benedetti, Ascoli Piceno Mario Carletti, Cossato VC Shingu Susumo Giappone 1962 Tosco Andreini, Prato FI Gino Croari, Roma Marcello Di Tomaso, Udine Riccardo Galluppo, Padova 1963 Giovanni Barbisan, Treviso Giuseppe Cavallini, Livorno Francesco Rossini, Ancona 1964 Stefano Cavallo, Milano Andrea Gabbriellini, Pisa Guido Onofri, Ravenna 1965 Vittorio Basigli, Ravenna Mario Benedetti, Cremona Guido Botta, Alessandria Mauro Cozzi, Firenze 1966 Ulisse Bugni, Forlì Alessandro Filippini, Roma Nevio Nalin, Ferrara Nerio Tebano, Roma Franco Toscano, Roma 1967 Piero Albizzati, Milano Nevio Bedeschi, Faenza RA Alberto Cavallari, Modena Adolfo Grassi, Bari Giorgio Spada, Forlì 1968 Nino Andreoli, S. Benedetto del Tronto AP Vanni Ratti, S. Terenzio SP Francesco Rossini, Ancona Costantino Spada, Sassari 1969 Paolo Brambilla, Casalecchio BO Alberto Cavallari, Modena 1970 Aldo Mari, Milano Michele Toscano, Ravenna Umberto Zaccaria, Modena 1971 Natale Filannino, Firenze Ferriano Giardini, Ravenna 76

1972

Vito Montanari, Terra del Sole FO Pietro Ribaldone, Busto Arsizio VA 1973 Enzo Cescon, Treviso Aldino Salbaroli, Ravenna 1974 Elvio Bernardi, Riccione FO Giosuè Biancini, Arona NO 1975 Franco Patuzzi, Verona Giorgio Rinaldini, Rimini 1976 Dorian Bettancini, Ravenna Giulio Picelli, Milano 1977 Adolfo Grassi, Bari Giorgio Spada, Forlì 1978 Giorgio Rinaldini, Rimini Giacomo Vieri, Prato FI 1979 Ivo Capozzi, Milano Roberto La Carrubba, Roma 1980 Giorgio Rinaldini, Rimini 1981 Giuseppe Simionato, Giulianova TE 1982 Marcello Di Tomaso, Udine 1983 Anteo Tarantelli, Teramo 1984 Walter Coccetta, Terni 1985 Nazareno Cugurra, Roma 1986 Franco Sumberaz, Livorno 1987 Elio Carnevali, Pegognaga MN 1988 Franco Chiarani, Arco TN 1989 Gaetano Tajariol, Cordenons PN 1990 Claudio Gotti, Almenno S. Salvatore BG 1991 Elvio Zorzenon, Udine 1992 Giuseppe Siccardi, Padova 1993 Vanni Saltarelli, Saronno VA 1994 Temistocle Scola, Livorno 1995 Romano Bertelli, Ostiglia MN 1996 Renzo Codognotto, Codroipo UD 1997 Ido Erani, Vecchiazzano FO Albino Reggiori, Laveno VA 1998 Franco Ferrari, Modena Gamal Gad Meleka, Vimodrone MI 1999 Nadia Cascini, Arezzo Ugo Rassatti, Latisana UD 2000 Marino Collecchia, Montignoso MS Gianni Gueggia, Castrezzato BS


Rassegna di pittura 2003

2007

Vela d’argento della critica Tommaso Cascella, Bomarzo VT Bruno Ceccobelli, Todi PG Maurizio Di Feo, Gioia del Colle BA Jean Gaudaire-Thor, Francia Graziano Pompili, Montecchio Emilia RE

Vela d’oro della critica Franco Batacchi, Venezia Bernd Kaute, Germania Tone Lapajne, Slovenia Enrico Manera, Roma Ferran Selvaggio, Spagna

Vela d’argento del pubblico Maurizio Delvecchio, Cesenatico FC 2004

Vele d’argento alla carriera Renzo Morandi, Ravenna Concetto Pozzati, Bologna Vele d’argento della critica Ugo Nespolo, Torino Aurelio Caruso, Palermo Luigi Milani, Rovigo Helmut Tollmann, Germania Vela d’argento artista emergente Erzsebeth Palasti, Bomarzo VT Vela d’argento del pubblico Giuseppe Siccardi, Vigodarzere PD

2005

Vela d’oro alla memoria Franco Gentilini Vele d’oro alla carriera Biagio Pancino, Francia Germano Sartelli, Imola BO Vele d’argento della critica Erio Carnevali, Modena Tommaso Cascella, Bomarzo VT Eugenie Jan, Francia Frank Moeglen, Germania Franco Sumberaz, Livorno Antonio Tamburro, Isernia

Vela d’oro alla carriera Eugenio Carmi, Milano Hermann Nitsch, Austria

Vela d’oro della stampa Paolo Collini, Milano 2008

Vela d’oro alla carriera Tullio Pericoli, Milano Achille Perilli, Roma Vela d’argento della critica Luca Alinari, Firenze Giuliano Barbanti, Sesto S. Giovanni Davide Benati, Modena Renata Boero, Milano Nicola Carrino, Roma Giancarlo Cazzaniga, Milano Vittorio D’Augusta, Rimini Enrico Della Torre, Milano Giosetta Fioroni, Roma Walter Fusi, Colle Val d’Elsa Fathi Hassan, Fano Romano Masoni, Santa Croce sull’Arno Mario Nanni, Bologna Giorgio Olivieri, Verona Mario Raciti, Milano Rino Sernaglia, Milano Medhat Shafik, Torricella Verzate Fausta Squatriti, Milano Tino Stefanoni, Lecco Walter Valentini, Milano

Vela d’argento artista emergente Davide Feligioni Pantaleoni, Rimini Vela d’argento del pubblico Elio Carnevali, Pegognaga MN 2006

Vela d’oro alla memoria Afro Basaldella Vela d’oro alla carriera Gabriella Benedini, Milano Antonio Possenti, Lucca Vela d’oro della critica Lorenzo D’Angiolo, Lucca Giuliano Ghelli, Firenze Claudie Laks, Francia Giuseppe Simonetti, Palermo Vela d’oro artista emergente Mattia Battistini, Ravenna 77


Riconoscenza

Viale della Lirica, 59 - Ravenna

H o l i d ay I n n

Via E. Mattei, 25 Ravenna - www.hiravenna.it



Finito di stampare nella Tipografia Bandecchi & Vivaldi Pontedera

AGOSTO 2009


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