Invece di essere in balia dell’Europa e accettare tacitamente le tragedie umane, la Svizzera deve perseguire una politica estera in materia di migrazione con un approccio umano, orientato alle cause e coerente.
Documento di posizione di Caritas sulla politica migratoria estera
Regolamentare la migrazione e promuovere lo sviluppo
Fuga e migrazione forzata: un problema globale In sintesi La Svizzera persegue da alcuni anni una politica estera attiva in materia di migrazione con l’intento di conciliare gli interessi della politica migratoria nazionale con gli obiettivi della politica di sviluppo a livello mondiale. Per dare un contributo positivo ed efficace alle sfide globali della migrazione, Caritas invita la Svizzera a impostare la propria politica migratoria estera con un approccio umano, orientato alle cause e coerente. L’accento va posto sulla protezione di donne, uomini e bambini in loco e lungo i corridoi di fuga e le rotte migratorie. Allo stesso tempo è necessario regolamentare equamente e rendere dignitosa la gestione dei flussi migratori mondiali. L’obiettivo a lungo termine deve essere quello di affrontare le possibili cause della migrazione forzata in modo tale che le persone abbiano migliori opportunità di vita nel proprio Paese di origine. La politica estera in materia di migrazione non deve essere finalizzata, attraverso motivazioni di politica interna, a dissuadere, respingere o rimpatriare i lavoratori migranti che fuggono dalla povertà. I fondi per lo sviluppo non devono essere vincolati a condizioni nel settore del rimpatrio, né offerti in cambio di controlli repressivi alle frontiere e di altre misure di prevenzione della migrazione. Per alleviare le sfide poste dalla migrazione è necessario che la Svizzera si impegni con serietà e coerenza a favore di una politica che promuova lo sviluppo in tutti i settori politici. Il Consiglio federale e il Parlamento sono chiamati a formulare la politica economica estera e climatica come pure la politica fiscale e finanziaria in modo da sostenere, e non impedire, le opportunità di sviluppo nel Sud.
Negli ultimi anni si è registrata un’intensificazione delle crisi in Medio Oriente, nel Corno d’Africa e nella regione del Sahel. Inoltre, c’è stata la primavera araba, una rivoluzione che non ha portato gli auspicati miglioramenti in termini di parteci pazione politica e di diritti umani per le popolazioni degli Stati del Maghreb e della penisola arabica. Le continue guerre e il fallimento delle proteste, così come la repressione statale e la violenza contro la popolazione hanno infine portato nel 2015 alla cosiddetta crisi dei rifugiati. In risposta all’aumento del numero di rifugiati, l’Unione eu ropea (UE) ha gradualmente spostato le proprie frontiere esterne verso il Nord Africa e in Paesi come la Turchia. Intanto l’UE, i suoi Stati membri e la Svizzera collaborano con regimi
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autoritari volti a dissuadere i migranti dal proseguire il loro viaggio verso l’Europa. Viene offerto sostegno alla polizia e alle autorità di frontiera nei Paesi della regione del Sahel, nonché alla guardia costiera libica, che recupera i rifugiati in una zona di ricerca estesa in acque internazionali e li porta sul continente. Donne, uomini e bambini finiscono spesso in centri di detenzione – il più delle volte gestiti da militari senza scrupoli – cofinanziati dall’UE e dall’Italia, diventando vittime di sfruttamento, schiavitù e violenza sessuale. La forte pressione delle aspettative politiche ha portato molti Stati europei a utilizzare sempre più sovente i fondi destinati allo sviluppo per l’adozione di soluzioni poco lungimiranti in materia di sicurezza finalizzate a contrastare l’immigrazione indesiderata e i flussi migratori regionali non graditi. Il presente documento di posizione chiede alla Svizzera di opporsi a questa evoluzione, nel proprio interesse e nel rispetto della tradizione umanitaria del nostro Paese. Invece di essere in balia dell’Europa e accettare le tragedie umane, la Confede razione deve perseguire una politica migratoria estera umana, orientata alle cause e coerente, che sia altresì di ampio respiro, a lungo termine e promuova le opportunità di sviluppo in tutto il mondo.
Migrazione volontaria e forzata, fuga ed espulsione Esistono molte ragioni che inducono le persone a migrare. Uno dei motivi principali è il grande divario a livello di reddito e di condizioni di vita tra i Paesi. Spesso le persone emigrano per la mancanza di lavoro, sperando di trovare migliori pro spettive altrove. Anche la mancanza di accesso all’istruzione e alla formazione professionale o a un’adeguata assistenza sanitaria e alla protezione sociale può essere un fattore determinante per la migrazione. Fra le altre ragioni vi sono la repressione politica, le amministrazioni corrotte e i conflitti violenti. Sempre più persone lasciano il loro Paese di origine a causa del degrado ambientale e degli eventi meteorologici estremi provocati dal cambiamento climatico. Dagli anni Novanta il fenomeno delle migrazioni internazionali ha toccato poco più del 3 % della popolazione mondiale; attualmente riguarda 260 milioni di donne, uomini e bambini. La maggior parte della popolazione dei Paesi in via di sviluppo rimane nel Sud del mondo. L’idea secondo la quale essi emigrino principalmente verso Paesi industrializzati benestanti come la Svizzera è errata. A differenza della migrazione, la fuga è la conseguenza di persecuzioni individuali o collettive, massicce violazioni dei diritti umani, violenze armate o di espulsioni mirate e pulizie etniche. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) vi sono più di 70 milioni di sfollati
che fuggono dalla violenza. Un fenomeno che colpisce una persona su 110 a livello globale, vale a dire un numero di persone superiore alla popolazione complessiva dell’Italia e della Svizzera. Si tratta della cifra più elevata registrata dalla Seconda guerra mondiale. Oltre 40 milioni di persone sono considerate sfollati interni, ovvero che fuggono da conflitti e violenze verso altre regioni nel loro Paese di origine, so prattutto in Siria, Iraq, Afghanistan, Yemen, Congo, Sudan, Nigeria e Colombia. I restanti 30 milioni di donne, uomini e bambini oltrepassano il confine. L’80 % dei rifugiati proviene da solamente dieci Paesi, di cui due terzi da soli cinque Stati: Siria, Afghanistan, Sudan meridionale, Myanmar e Somalia. Quasi nove persone su dieci in fuga dalla loro patria restano nei Paesi in via di sviluppo. Paesi come il Libano e la Gior dania, ma anche l’Uganda, il Ciad e il Niger sono di gran lunga i più colpiti in termini di popolazione o di onere economico. Nell’Africa settentrionale, orientale e occidentale e nel Medio Oriente, le donne, gli uomini e i bambini migrano per ragioni molto diverse. Lungo le rotte migratorie regionali gli uo mini vittime di persecuzioni individuali incontrano lavoratrici migranti e persone che hanno perso i loro mezzi di sosten tamento a causa della crisi climatica. E le vittime dello sfrut tamento sessuale incontrano rifugiati di guerra e minori non accompagnati che intraprendono il viaggio senza la propria famiglia. Tutti questi esseri umani si spostano all’interno del loro Paese o da una nazione all’altra, dalla campagna alla città, alla ricerca di sicurezza, lavoro e migliori prospettive di vita.
Chi arriva in Svizzera? Alla fine del 2019 la Svizzera contava 8,57 milioni di abitanti, di cui quasi il 25 % di nazionalità straniera. All’incirca nove di questi migranti su dieci hanno origini europee. La quota di stranieri residenti in modo perma nente provenienti da Paesi africani corrisponde al 4 %, pari a poco meno dell’1 % della popolazione totale. Con siderando solo il 2018, emerge che più di tre quarti dei 140 000 immigrati arrivavano da Paesi europei e meno del 5 % da Stati africani. La situazione è diversa nel settore dell’asilo: nel primo semestre del 2019 sono state inoltrate 7029 domande di asilo, il 10 % in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel 2018 in Svizzera sono state presentate 15 255 domande di asilo, 24 268 in meno r ispetto al 2015. Si tratta della cifra più bassa dal 2007. A fine novembre 2019, poco meno di 60 000 persone erano in procedura di asilo, molte delle quali provenienti da Stati asiatici e africani. In termini di popolazione residente, i richiedenti asilo e i rifugiati ammessi provvisoriamente rappresentano circa lo 0,7 %. La maggioranza dei richiedenti asilo giunge da Eritrea, Siria, Afghanistan, Turchia, Georgia, Algeria, Sri Lanka, Iraq, Somalia e Nigeria. Le domande di questi cittadini corrispondono a più di due terzi del totale delle domande di asilo. Questi Paesi sono segnati da guerre e violazioni dei diritti umani o sono vittime di turbolenze politiche e fragilità.
La risposta europea alle sfide migratorie Il processo di integrazione europea degli anni Novanta ha reso le frontiere più permeabili all’interno, ovvero tra gli Stati membri dell’UE. Per consentire la realizzazione di uno spazio di sicurezza, giustizia e libertà unitario sono stati aboliti i controlli alle frontiere interne ed è stata introdotta la libera circolazione delle persone. Allo stesso tempo, l’UE (compresa la Svizzera) si è sempre più isolata dal mondo esterno, ad esempio dai Paesi africani. Gli europei e le persone altamente qualificate o molto facoltose di tutti i continenti sono tuttavia sempre ben accolti, così come i rifugiati (riconosciuti) prove nienti dalle zone di guerra. I migranti del lavoro o le persone che migrano perché vittime della povertà con origini africane, asiatiche o dell’America Latina, invece, sono sempre più percepiti come una m inaccia per la prosperità e la sicurezza. Siccome non possono m igrare legalmente in Europa, il più delle volte attraversano i confini nazionali con l’aiuto di passatori, utilizzando gli stessi corri doi di fuga dei rifugiati attraverso l’Africa e il Medio Oriente. Coloro che riescono ad arrivare in Europa chiedono asilo
per ottenere un permesso di soggiorno regolare. Se non lo ricevono, proseguono il loro viaggio oppure soggiornano «irregolarmente» nel Paese come sans-papiers.
La disumanizzazione della politica migratoria internazionale Nel 2015 circa un milione di persone è entrato in Europa, il quadruplo rispetto all’anno precedente. Questa cifra corrisponde allo 0,2 % della popolazione residente nell’UE, che conta 512 milioni di abitanti. Da allora le statistiche dell’UNHCR hanno registrato un calo significativo: nel 2016 gli ingressi registrati erano poco meno di 374 000, nel 2017 poco più di 185 000 e nel 2018 si sono attestati a 141 000. Nel 2019 il numero delle persone giunte in Europa è diminuito ulteriormente. I motivi che hanno portato a questa flessione sono svariati.
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Le decisioni dell’Unione europea adottate al Vertice de La Valletta del novembre 2015 forniscono una spiegazione significativa. Fino ad allora, Frontex era una piccola agenzia dell’UE che coordinava le attività dei propri membri alle fron tiere esterne. Nel 2016, è diventata l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera e ha acquisito competenze più ampie. Alla fine del 2018, su insistenza degli Stati membri, l’UE ha proposto di incrementare le risorse umane e finan ziarie di Frontex. Si prevede un nuovo massiccio aumento del budget. All’epoca si era deciso anche di offrire assistenza alla Libia attraverso una rigorosa sorveglianza delle frontiere. Mentre l’UE fornisce sostegno finanziario al governo di Tripoli, la Libia deve garantire che i rifugiati e i migranti dell’Africa subsaha riana (in particolare Eritrea, Gambia, Nigeria, Sudan e Costa d’Avorio) vengano intercettati dalla guardia costiera e inviati in centri di detenzione. Il numero di prigionieri in questi campi non è noto. Ma ben note sono le condizioni disumane in cui vivono. Gli ex detenuti riferiscono di grave sovraffollamento, fame e torture. All’inizio del 2016 è seguito l’accordo con la Turchia. Tutti i migranti irregolari approdati sulle isole greche sono stati portati in Turchia a spese dell’UE. In cambio, quest’ultima si è impegnata a reinsediare nell’UE i rifugiati siriani ricono sciuti dalla Turchia. La Turchia ha rafforzato la protezione delle frontiere sulla costa, per la quale l’UE ha previsto sei miliardi di euro (la somma erogata finora è stata meno della metà). Il Paese sul Bosforo è così passato da Paese di transito a Paese cuscinetto alle frontiere esterne dell’Europa. A prescindere da ciò, attualmente circa 40 000 donne, uomini e bambini (provenienti soprattutto da Afghanistan, Iraq e Siria) lottano per oltrepassare i punti caldi sulle isole greche di Lesbo, Samos, Kos e Lero e nel distretto di Evros. Molti vivono sotto teloni di plastica, attorniati da rifiuti e feci. L’UNHCR costruisce rifugi con il sostegno dell’UE, ma i fondi sono ben lungi dall’essere sufficienti. Anche numerose organizzazioni umanitarie si sono attivate. Tuttavia, i bisogni superano le loro possibilità. Una situazione simile si presenta anche altrove, ad esempio in Bosnia, dove sono arrivati almeno 7000 profughi. Anche lì i campi di accoglienza sono sovraffollati e le condizioni di vita molto precarie.
Politica di sviluppo al servizio degli interessi della sicurezza Nel 2015 l’UE invitò nella capitale di Malta più di 30 capi di Stato di Paesi africani situati tra il Mediterraneo e l’equatore, compresi i rappresentanti di dittature rimaste a lungo iso late come l’Eritrea e il Sudan. I leader governativi promisero «sforzi congiunti nella lotta contro l’immigrazione irregolare», come risulta nel documento di 17 pagine denominato sem plicemente «Piano d’azione». In cambio, fu istituito il Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa. Il fondo sostiene molti progetti di sviluppo validi e crea quindi prospettive sul
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Tragitto sempre più pericoloso Il numero degli arrivi in Europa è fortemente diminuito, così come la relativa copertura mediatica. Nel contempo, la percentuale di coloro che non sopravvivono alla fuga si è moltiplicata dal 2015. Nel 2018, ogni giorno sono annegate sei persone nel tentativo di attraversare il Me diterraneo. In totale si sono registrati 2277 decessi e il numero di casi non segnalati è molto più elevato. A titolo di paragone, nel 2015 sono morti 3711 esseri umani su un numero sette volte maggiore di persone che chiedono protezione. La situazione sulla rotta del Mediterraneo centrale è particolarmente drammatica, non da ultimo perché l’UE ha interrotto le operazioni di salvataggio in mare all’inizio del 2019 e gli aiuti forniti dalla società civile vengono sempre più spesso ostacolati e criminalizzati. L’ONU si dimostra critica a riguardo. Ma i suoi appelli a favore di soluzioni praticabili restano inascoltati. Molti Stati membri hanno espresso la volontà politica di non trarre in salvo un numero maggiore di rifugiati. È ovvio che non tutte le persone che migrano nella spe ranza di trovare un’esistenza migliore possono restare in Europa. Ma impedire ai soccorritori privati di salvare delle vite in mare non solo è una violazione dei diritti umani e del diritto internazionale, ma è anche un modo di agire inumano. I politici europei sono invitati ad agire, com presa la Svizzera. Devono elaborare una strategia efficace per contrastare la fuga e l’espulsione, anziché lasciare annegare i migranti allo scopo di conseguire un effetto dissuasivo.
posto, ma nel contempo una parte sostanziale del denaro è destinata ai ministri dell’interno e della difesa di vari Paesi subsahariani allo scopo di impedire i flussi migratori. Il povero Stato desertico del Niger, fino ad allora ignorato dall’UE, è diventato uno dei partner chiave dell’Europa nella lotta contro l’immigrazione irregolare. Con l’ausilio di imma gini satellitari ad alta risoluzione, Frontex localizza le tracce di pneumatici sulla sabbia del deserto direttamente dalla sua sede centrale a Varsavia. L’UE ha promesso molto denaro in caso di fermo dei migranti e arresto dei passatori e nel frat tempo ha concluso accordi sulla migrazione con una trentina di altri Stati africani. L’obiettivo rimane immutato: impedire la migrazione irregolare attraverso una migliore gestione delle frontiere locali. Il tentativo di fermare i migranti in viaggio verso l’Europa inizia quindi molto prima del loro arrivo sulle coste del Mediterraneo. Tuttavia, negli ultimi anni si è constatato che una strategia europea per l’Africa volta a dissuadere e impedire la migra zione causa molte sofferenze umane. Essa, inoltre, non solo comporta uno spostamento dei flussi di profughi, ma preclude anche l’importante migrazione della manodopera regionale e lo stile di vita nomade comune a molte società africane.
L’impegno della Svizzera nell’ambito della politica migratoria estera La Confederazione persegue una politica estera attiva e interdipartimentale in materia di migrazione con l’intento di conciliare gli interessi della politica migratoria nazionale con gli obiettivi della politica di sviluppo a livello mondiale. In tale contesto, la politica migratoria estera si trova tra due fuochi: da un lato vi è la cooperazione allo sviluppo della DSC, uno degli strumenti principali utilizzati dalla politica migratoria estera, che mira ad apportare un contributo costruttivo per rendere la migrazione internazionale equa, dignitosa e orien tata allo sviluppo. Dall’altro, nel Parlamento svizzero molti sono invece del parere che la politica estera in materia di migrazione debba essere orientata alla dissuasione e alla prevenzione. Il suo scopo primario è impedire la migrazione «indesiderata» (dall’Africa) verso la Svizzera.
Regolamentare la migrazione … La cooperazione internazionale (CI) della Svizzera è un pilastro importante della politica estera in materia di migrazione. Essa comprende la cooperazione allo sviluppo a lungo termine, l’aiuto umanitario d’emergenza e progetti volti a rafforzare la pace e i diritti umani. La Confederazione adotta questi strumenti per ridurre le cause della fuga e della migrazione forzata, per offrire ai rifugiati una migliore protezione nelle loro regioni di origine e per promuovere soluzioni sostenibili per gli sfollati interni. La Confederazione ricorre alla CI anche per garantire una migrazione più regolamentata e sicura. Contrastando la lotta alla povertà e all’esclusione e sostenendo un’azione di governo vicina ai cittadini, l’aiuto allo sviluppo intende consentire alle persone di assicurarsi i mezzi per il sostentamento nel proprio Paese e schiudere così nuove opportunità di vita anche ai più bisognosi. In Somalia, ad esempio, la CI della Svizzera favorisce l’integrazione dei giovani nel mercato del lavoro locale. Attraverso gli interventi di aiuto umanitario, la Confederazione favorisce una migliore prote zione degli sfollati e dei migranti nelle loro regioni di origine. In Sudan sostiene progetti volti a ridurre l’esposizione dei rifugiati alla violenza e agli abusi. E in Siria cofinanzia progetti che forniscono agli sfollati interni alloggi adeguati, acqua, assistenza medica e mezzi per il sostentamento. Milioni di rifugiati e sfollati interni attendono da anni o addirittura da decenni una soluzione sostenibile. La Confederazione intende avvalersi sempre più spesso della propria CI per migliorare le prospettive sociali ed economiche nei Paesi di prima ac coglienza, così da permettere a queste persone di vivere in modo sicuro e dignitoso. In Kenya, la CI si adopera per ga rantire ai rifugiati l’accesso all’istruzione e migliori opportunità occupazionali.
La Svizzera partecipa al dialogo internazionale sulla migrazione sotto l’egida delle Nazioni Unite (ONU). Attraverso tale dialogo s’intende cercare soluzioni per strutturare la migrazione in modo tale che possa favorire positivamente lo sviluppo sia nei Paesi di origine che in quelli di destina zione. Sia i migranti che i rifugiati devono godere degli stessi diritti umani universali e delle stesse libertà fondamentali. La politica estera della Svizzera e la DSC hanno svolto un ruolo cruciale nella creazione e nell’elaborazione dei contenuti del Patto mondiale per la migrazione. Questo documento mira a garantire la sicurezza, a stabilire condizioni di lavoro e di integrazione dignitose e a regolamentare le questioni relative allo status e al rimpatrio. L’obiettivo ultimo è gestire i flussi migratori con equità e dignità. Malgrado l’Assemblea generale delle Nazioni Unite abbia approvato il Patto nel dicembre 2018, la maggioranza del Parlamento ha rinviato l’adesione della Svizzera al Patto.
… o impedire la migrazione? Agli impulsi allo sviluppo forniti dalla cooperazione interna zionale si contrappongono le attività di politica interna che mirano a «prevenire la migrazione». A titolo di esempio, la Svizzera partecipa ufficialmente al processo di Khartoum, il cui intento primario è arginare la migrazione dall’Africa all’Eu ropa rafforzando la gestione delle frontiere nei Paesi africani mediante un incremento degli aiuti finanziari e materiali de stinati alle guardie di frontiera e alla polizia. Questo modo di agire porta ad accordi discutibili con i governanti africani. Tra i suoi partner negoziali l’UE conta anche despoti di lunga data che, proprio a causa della loro politica inadeguata e improntata allo sfruttamento, sono responsabili della fuga e dell’emigrazione. Negli ultimi tre anni il numero di richiedenti asilo in Europa è sceso ai minimi storici. Ciononostante, l’UE sta potenziando le proprie forze di polizia e militari per spostare ancora di più le sue frontiere esterne verso l’Africa settentrionale. In linea di principio, la Svizzera agisce in questo modo: sostiene le attività di Frontex ed è una sostenitrice della guardia costiera libica. La Svizzera ha destinato milioni per formare ed equipaggiare questa «flotta difensiva contro i rifugiati». Gli ultimi anni hanno dimostrato che questa politica non ferma il problema della migrazione, ma lo sposta solamente. Le bande di scafisti non vengono sgominate e le tragedie umane aumentano. La Confederazione ha concluso accordi di riammissione con una cinquantina di Paesi. Solamente negli ultimi dieci anni, la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) ha sottoscritto 25 accordi in materia di rimpatrio, la maggior parte dei quali
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con i Paesi in via di sviluppo. Tra i Paesi d’origine che do vrebbero garantire una riammissione rapida e sicura delle persone in situazione irregolare vi sono anche molti governi non democratici. Gli accordi definiscono le modalità di ese cuzione e i termini di rinvio applicabili alla Svizzera e al Paese di origine interessato. Per contro, ciò che accade nel loro Paese di origine a coloro che vengono espulsi non è oggetto di discussione. Dal 2009 la Svizzera mantiene un partenariato in materia di migrazione con sei Paesi. Grazie al loro approc cio globale, essi presentano un grande potenziale, non solo in termini di riammissione rapida e assistenza per il reinse rimento nel Paese di origine, ma anche di protezione delle frontiere, rafforzamento delle istituzioni preposte alla gestione dei flussi migratori e lotta alla tratta di esseri umani. Purtroppo la Svizzera è ancora restìa quando si tratta di elaborare solu zioni interessanti per le persone di questi Paesi, ad esempio per seguire una formazione o uno stage o svolgere un lavoro temporaneo in Svizzera. Infine, la Svizzera è uno dei Paesi «più efficienti» per quanto riguarda l’esecuzione dell’allontanamento, non solo verso i Paesi di origine, ma anche nel quadro della procedura di Dublino: da dieci anni il governo federale rinvia le persone in cerca di protezione nei Paesi europei in cui i richiedenti asilo hanno presentato la loro prima domanda. Grazie alla sua posizione al centro dell’Europa, la Svizzera trae vantaggio più di qualunque altro Paese dal fatto che può trasferire più richiedenti asilo verso altri Stati membri dell’UE di quanti ne debba accogliere. A subirne le conseguenze sono donne, uomini e bambini che vengono spostati da un Paese all’altro come semplici pedine. La maggior parte di loro viene espulsa in Italia, dove molti sono riconosciuti come rifugiati, ma poi finiscono per strada perché lo Stato non offre né assistenza né alloggio. Altri tornano di nuovo in Bulgaria, dove sono minacciati di espulsione verso la poco sicura Turchia.
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La politica estera della Svizzera in materia di migrazione La base della politica migratoria estera della Svizzera è costituita dal Rapporto sulla cooperazione in materia di migrazione internazionale, approvato dal Consiglio federale nel 2011. La Svizzera si impegna a osservare i seguenti principi: • la Svizzera persegue un approccio globale alla migra zione e si impegna a tenere conto sia delle opportunità economiche, sociali e culturali che questa rappresenta sia delle sfide che pone; • la Svizzera promuove una collaborazione in forma di partenariato tra i Paesi di provenienza, di transito e di destinazione dei migranti e prende in considerazione gli interessi di tutti gli attori; • gli organi competenti dell’Amministrazione federale lavorano in stretta collaborazione su un piano interdi partimentale. I principali attori sono: la Direzione politica (DP), la Dire zione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) e la Di rezione degli affari europei (DAE) del Dipartimento fede rale degli affari esteri DFAE, la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) e l’Ufficio federale di polizia (fedpol) del Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP) nonché la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) del Dipar timento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR). Fonte: Dipartimento federale degli affari esteri DFAE
Gli elementi centrali di una politica migratoria di successo Per contribuire nel modo più positivo ed efficace possibile ad affrontare le sfide globali della migrazione, la Svizzera ha bisogno di una politica migratoria estera orientata all’essere umano, alle cause e allo sviluppo. Secondo Caritas, tale politica dovrebbe essere impostata in base ai seguenti quat tro principi fondamentali:
1. Ridurre le disuguaglianze e creare prospettive sul posto Né i controlli più severi alle frontiere, né l’aumento dei costi richiesti dai passatori, né la rischiosa traversata del Mediter raneo impediranno alle persone di migrare finché non avranno la prospettiva di una vita più sicura e dignitosa nel loro Paese di origine. È quanto mai necessario avviare dei progetti volti ad accrescere le opportunità di sviluppo nel proprio Paese e nel contempo affrontare le cause principali della migrazione. Con i suoi progetti di sviluppo a lungo termine, la Svizzera combatte la povertà e la disuguaglianza, consentendo così alle persone migliori prospettive in termini di reddito e di qualità di vita sul posto. Particolarmente importante è favorire ai soggetti più poveri l’accesso alla formazione scolastica e professionale e a un’assistenza sanitaria adeguata. Anche i progetti che mirano al rafforzamento delle donne o alla pro mozione di uno sviluppo sostenibile nelle zone rurali riducono la tendenza alla migrazione. Infine, le condizioni di vita delle persone migliorano quando, grazie a un aiuto allo sviluppo mirato, l’amministrazione di un Paese partner diventa più efficiente e il governo si assume maggiori responsabilità nei confronti della popolazione. L’incremento e la precarietà dei flussi di profughi dalle zone di conflitto sono fonte di nuovi compiti supplementari per la cooperazione allo sviluppo. L’obiettivo è sempre più spesso quello di meglio proteggere e sostenere i migranti lungo i corridoi di fuga e le rotte migratorie. In caso di crisi prolungate, i progetti di sviluppo possono aiutare a migliorare le condi zioni di vita nelle strutture di accoglienza e schiudere nuove prospettive nelle regioni di destinazione. I Paesi ospitanti e di transito, come la Giordania e il Libano, il Perù e l’Ecuador o il Burkina Faso, la Mauritania, il Niger, il Ciad e l’Uganda, necessitano di un sostegno adeguato nella gestione dei rifu giati e dei migranti.
2. Investire in una migrazione dignitosa e favorevole allo sviluppo L’obiettivo della politica di sviluppo è fare in modo che coloro che soggiornano nel nostro Paese trovino condizioni di vita e prospettive economiche migliori. E chi decide di lasciarlo, deve poterlo fare in modo sicuro e dignitoso. Ora più che mai è opportuno promuovere gli aspetti positivi della migrazione e combattere quelli negativi. Nell’ambito dell’aiuto allo sviluppo della Svizzera occorrono progetti mirati che, come prefis sato dal Patto mondiale per la migrazione, contribuiscano a rendere la migrazione occupazionale (indotta dalla povertà) sicura e dignitosa. Se la Svizzera vuole sostenere maggior mente il potenziale di sviluppo della migrazione, non può fare a meno di aderire al Patto per la migrazione dell’ONU, riacquistando così la credibilità che rivendica nei negoziati internazionali in materia di migrazione. I progetti validi ed efficaci sono numerosi. Le persone che hanno deciso di emigrare devono già essere informate sui loro diritti nel loro Paese di origine (ad es. nello Sri Lanka) in modo che possano proteggersi meglio dallo sfruttamento e dalla tratta di esseri umani nei Paesi di destinazione (ad es. gli Stati del Golfo). Occorre inoltre agevolare il trasferimento di denaro dei lavoratori migranti verso i loro Paesi di origine per la creazione di imprese, la formazione e il perfezionamento professionale e altri futuri progetti di investimento sostenibili da parte di parenti e conoscenti. Infine, è importante aiutare le persone rientrate in patria a reintegrarsi, cosicché le com petenze acquisite all’estero fungano da sostegno al cambia mento sociale e politico.
3. Rafforzare la società civile invece dei regimi autoritari Affinché rimanga uno strumento efficace e credibile, la co operazione allo sviluppo della Svizzera non deve essere subordinata agli obiettivi della politica nazionale ed estera in materia di migrazione e di asilo. I fondi per lo sviluppo non devono essere utilizzati né per rafforzare la protezione delle frontiere e il controllo delle migrazioni negli Stati autoritari (ad es. l’Etiopia), né come base diplomatica per la stipulazione di accordi migratori con autocrati o addirittura dittatori (ad es. l’Eritrea). In questi casi, la Svizzera dovrebbe instaurare una stretta e ufficiale collaborazione proprio con quei regimi che, a seguito delle loro politiche fuorvianti, contrarie allo sviluppo e repressive, sono la causa principale della migrazione forzata verso l’estero. Una cooperazione allo sviluppo proficua con un Paese partner non può essere interrotta (o minacciata di
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esserlo) anche se la Svizzera ritenesse che il relativo governo dia prova di scarsa collaborazione in materia di rimpatrio. Questo modo di agire non solo sarebbe sproporzionato e danneggerebbe la reputazione del nostro Paese come part ner affidabile nell’aiuto allo sviluppo, ma renderebbe le popo lazioni più povere di questi Paesi vittime dirette di una politica di sviluppo così miope (e che solleverebbe molti dubbi dal punto di vista diplomatico). Un importante obiettivo di sviluppo, soprattutto nei Paesi con governi repressivi, è il potenziamento o almeno il manteni mento del margine di manovra della società civile. Il passato dimostra che i regimi autoritari si trasformano in democrazie innanzitutto a seguito della pressione esercitata dal loro po polo. Sarebbe più che mai opportuno coadiuvare le ONG locali, gli attivisti per i diritti umani, i movimenti femministi, gli ambientalisti e gli altri attori della società civile che generano o accrescono questa pressione. Ciò può avvenire attraverso il rafforzamento delle conoscenze e delle capacità, come pure attraverso interventi politici e giuridici per i diritti e le questioni degli interessati. In ultima analisi, rientra nell’interesse della politica migratoria estera della Svizzera plasmare il processo di sviluppo nei Paesi più poveri in modo tale che ne traggano vantaggio non solo le élite politiche ed economiche, bensì tutti, nella misura del possibile, creando così delle alternative alla migrazione.
4. Includere le politiche migratorie nella politica estera in materia di migrazione La cooperazione allo sviluppo ha un effetto positivo sulle prospettive di vita delle persone più indigenti e contribuisce ad affrontare le cause della migrazione volontaria e forzata. Più decisivo dell’aiuto allo sviluppo, tuttavia, è il modo in cui i Paesi del Sud progrediscono . E questo, a sua volta, dipende in larga misura dal contesto politico e dalle relazioni economiche internazionali, nonché dalle conseguenze del progressivo cambiamento climatico. Anche la Svizzera ha una responsabilità in questo ambito: attraverso discutibili transa zioni nell’estrazione di materie prime, la vendita di materiale bellico, misure commerciali basate sugli interessi e incentivi sleali per i trasferimenti di profitti di natura fiscale delle società multinazionali, essa promuove la disuguaglianza e le tensioni all’interno della società. Questo modo di agire, a sua volta, riduce le opportunità di sviluppo nel Sud.
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L’attenzione è concentrata in particolare sulle materie prime e sul clima: la Svizzera è la più importante piazza mondiale nella negoziazione delle materie prime. Con una quota di mercato mondiale del 35 % per il petrolio greggio, del 50 % per lo zucchero e i cereali e del 60 % per il caffè e i metalli, la sua responsabilità è grande. Sebbene i progetti di sviluppo favoriscano l’incremento della creazione di valore in loco e di posti di lavoro e prospettive sostenibili nell’estrazione di materie prime nelle piccole miniere (ad es. di oro), molto più determinante, tuttavia, è il fatto che le multinazionali in Svizzera e le loro filiali esigano in modo sistematico l’obbligo di diligenza nel settore dei diritti umani e della tutela ambien tale in conformità con i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani. Secondo l’attuale relazione speciale 2019 del gruppo inter governativo di esperti sul cambiamento climatico dell’ONU, attualmente circa mezzo miliardo di persone vive in regioni che stanno gradualmente diventando improduttive, soprat tutto nell’Asia meridionale e orientale, nella regione del Sahara e nell’Africa settentrionale. L’incremento della frequenza e dell’intensità delle tempeste, la crescente siccità e la scar sità dei raccolti dovrebbero portare in futuro ad un aumento significativo non solo della migrazione interna, ma anche di quella transnazionale nel Sud. Se vuole alleviare la pressione migratoria creata dal riscaldamento globale di origine antro pica, la Svizzera deve avviare immediatamente una politica climatica ambiziosa e sostenere maggiormente le misure urgenti nel Sud per permettere alle persone di adattarsi al cambiamento climatico.
Caritas chiede di regolamentare la migrazione anziché prevenirla Sulla base dei suddetti principi fondamentali per una politica migratoria estera umana, orientata alle cause e coerente, Caritas avanza le seguenti richieste al Parlamento, al Consi glio federale e all’Amministrazione federale.
1. Nessun accordo migratorio a scapito di profughi e migranti La politica estera in materia di migrazione della Svizzera non deve essere finalizzata, attraverso motivazioni di politica interna, a dissuadere o a rimpatriare i lavoratori migranti e le persone che fuggono dalla povertà. Gli aiuti finanziari della DSC o altri fondi per lo sviluppo non devono essere vincolati a condizioni nel settore del rimpatrio o offerti in cambio di controlli repressivi alle frontiere e di altre misure di preven zione della migrazione. Gli autocrati dell’Africa settentrionale, occidentale o orientale non devono ricevere sostegno finan ziario e materiale a livello bilaterale o dall’Unione europea per trattenere, con la forza e contro la loro volontà, le persone che intendono emigrare. Dietro l’ispirazione della politica di sviluppo, la politica estera in materia di migrazione deve essere incentrata sull’aiuto umanitario e sulla protezione di donne, uomini e bambini sul posto e lungo i corridoi di fuga e le rotte migratorie. Allo stesso tempo è necessario regolamentare equamente e rendere sicura la gestione dei flussi migratori internazionali. L’obiettivo a lungo termine è quello di affrontare le possibili cause della migrazione forzata in modo tale che le persone abbiano migliori opportunità di vita nel proprio Paese di origine.
2. Alleviare le sofferenze dei rifugiati attraverso l’aiuto umanitario Il numero di persone in fuga dalla guerra, dalla distruzione o dalla repressione statale nel proprio Paese o al di là delle frontiere sale ogni anno. La richiesta di aiuti umanitari aumenta in tutto il mondo. Nel contempo, i fondi messi a disposizione sono ben lungi dall’essere sufficienti. La Svizzera deve fornire maggiori aiuti per salvare vite umane nei Paesi dilaniati dalla guerra come Siria, Yemen e Libia e per ridurre le sofferenze in Paesi ospitanti fra cui Libano, Giordania, Uganda, Kenya ed Etiopia. L’aiuto umanitario viene fornito in modo incondizionato e rapido. Esso non serve ad affrontare le cause più profonde che portano alla fuga e all’espulsione. In questo ambito occorre piuttosto un impegno politico da parte della Svizzera
in materia di pace e di diritti umani: nel quadro degli incontri bilaterali la Confederazione deve esigere sistematicamente un’azione di governo valida e trasparente. Allo stesso tempo, la diplomazia deve condannare fermamente la repressione statale e le violazioni dei diritti umani, ovunque esse siano perpetrate. Oggi più che mai, la Confederazione deve offrire i suoi buoni uffici per una risoluzione pacifica dei conflitti. Le forniture di armi in regioni del mondo non sicure vanno proibite.
3. Migliorare le opportunità di vita mediante l’aiuto allo sviluppo La cooperazione allo sviluppo a lungo termine ha sempre dato un importante contributo per mitigare le cause delle migrazioni, sia all’interno del Sud che verso l’Europa. È quindi fortemente nell’interesse della Svizzera incrementare globalmente l’aiuto allo sviluppo, sia a titolo preventivo nei Paesi partner con scarsa migrazione, sia in quelli con un’emigra zione indotta dalla povertà. Come stabilito nel Patto mondiale per la migrazione, occor rono fondi supplementari destinati a progetti migratori efficaci nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Un contributo ancora più incisivo deve essere fornito dalla DSC e dalla SECO allo scopo di garantire una migrazione sicura e digni tosa. I lavoratori migranti devono disporre di strumenti che consentono loro di proteggersi meglio dallo sfruttamento. Le comunità della diaspora dei Paesi in crisi devono ricevere un sostegno maggiore affinché possano promuovere la pace e lo sviluppo nella loro vecchia patria. E le persone rientrate in patria vanno incoraggiate nella realizzazione di idee impren ditoriali interessanti attraverso le conoscenze acquisite all’e stero. Il Parlamento è invitato ad approvare la raccomanda zione del Consiglio federale e a votare a favore dell’adesione della Svizzera al Patto per la migrazione.
4. Creare corridoi umani per i rifugiati e consentire rotte migratorie legali La Svizzera deve impegnarsi per il miglioramento delle condizioni nei campi profughi. Le persone nel bisogno non devono diventare vittime di abusi, sfruttamento e violenza sessuale. Occorre incrementare il sostegno all’UNHCR, al Comitato internazionale della Croce Rossa e all’Organizza zione internazionale per le migrazioni (OIM), nonché agli enti caritativi che lottano contro le condizioni disumane nei centri di detenzione, forniscono una migliore protezione lungo le
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rotte migratorie, dove a volte i migranti mettono a repentaglio la loro vita, o offrono importanti servizi di aiuto al ritorno e per la reintegrazione. La Svizzera, inoltre, può accogliere un mag gior numero di rifugiati bisognosi di protezione direttamente dalle zone di crisi e fornire un contributo più sostanziale nella redistribuzione tra i vari Paesi dei profughi tratti in salvo nel Mediterraneo. Per attenuare l’invecchiamento della propria popolazione e mantenere vivi alcuni settori economici, la Svizzera dipende dai lavoratori migranti, provenienti non solo dall’UE. La Con federazione è invitata ad adoperarsi ulteriormente per pro muovere la migrazione regolare al di fuori dei confini europei. È opportuno consentire e facilitare l’ingresso a un numero limitato di persone che vogliono trasferirsi temporaneamente nel nostro Paese per motivi professionali o di studio. In tale contesto vanno considerati gli interessi dell’economia locale, ma soprattutto quelli delle comunità di origine. Fra questi vi sono i diritti e le esigenze dei migranti nonché la questione relativa al genere di competenze e di know-how necessari per favorire uno sviluppo (economico) sostenibile di questi Paesi. Allo stesso tempo, le imprese svizzere devono essere responsabilizzate maggiormente in merito al rispetto delle norme del lavoro e dei diritti dei lavoratori nelle loro strutture e nelle loro catene di approvvigionamento.
5. Assumersi la responsabilità nell’ambito del commercio delle materie prime e delle armi, nonché della politica fiscale e climatica Per alleviare le sfide poste dalla migrazione è necessario che la Svizzera si impegni con serietà e coerenza per una politica favorevole allo sviluppo che vada oltre la coopera zione internazionale (CI). Il Consiglio federale e il Parlamento sono chiamati a impostare la politica economica estera e delle materie prime, la politica in materia ambientale e dei diritti umani, la politica climatica, nonché la politica fiscale e finan ziaria in modo tale da promuovere lo sviluppo sostenibile in Svizzera e nel mondo. Nel suo rapporto annuale sulla politica estera in materia di migrazione, la Confederazione dovrebbe rendere conto in futuro dei progressi compiuti in tutti gli ambiti politici connessi alla migrazione.
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Febbraio 2020 Autore: Patrik Berlinger, Servizio Politica dello sviluppo, Caritas Svizzera, e-mail: pberlinger@caritas.ch, telefono: 041 419 23 95 Il presente documento di posizione può essere scaricato su www.caritas.ch/documenti-di-posizione.
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