«L’attuale modello agricolo e alimentare non solo non è in grado di nutrire a sufficienza e in modo sano tutte le persone, ma causa anche ingenti danni all’ambiente e al clima.»
Documento di posizione Caritas
Per un’alimentazione più equa e rispettosa del clima
In breve: La crisi del Covid-19 ha messo in evidenza la vulnerabilità del nostro mondo interconnesso. La pandemia colpisce tutti, ma non tutti allo stesso modo. Infatti in molti Paesi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia gli effetti sociali, economici e politici sono immensi. A livello mondiale la povertà, la disparità e la fame continuano ad aumentare. L’attuale modello agricolo e alimentare non solo non è in grado di nutrire a sufficienza e in modo sano tutte le persone, ma causa anche ingenti danni all’ambiente e al clima. Anziché combattere la carestia, il sistema alimentare è spinto dal profitto, dallo sfruttamento e dalla concentrazione del potere, come lo dimostrano le monocolture nell’agricoltura e l’allevamento intensivo di bestiame. Urge un cambiamento di rotta: nel quadro della comprovata cooperazione allo sviluppo bisogna incentivare ulteriormente l’agricoltura agroecologica. Puntando su metodi rispettosi del suolo e del clima, i contadini e le contadine del Sud possono ottenere raccolti e rendimenti maggiori e di conseguenza divenire più indipendenti. Poiché è risaputo che l’agroecologia è più resistente alle crisi rispetto a un’agricoltura che punta sulle monocolture, le persone sono allo stesso tempo pronte ad affrontare improvvisi crolli dell’economia e restrizioni commerciali nonché i sempre più frequenti periodi di siccità e le inondazioni causati dai cambiamenti climatici. In Svizzera il Consiglio federale e il Parlamento devono impegnarsi a favore di un’agricoltura e un’alimentazione sostenibili, tenendo conto di come vengono prodotti, lavorati, trasportati, venduti e smaltiti i generi alimentari. L’obiettivo: rendere più economici e concorrenziali gli alimenti ecologici, sani ed equi. Il Consiglio federale e il Parlamento devono altresì perseguire una politica commerciale equa e rispettosa del clima, volta a rafforzare i diritti umani dei piccoli agricoltori e produttori nonché a favorire la sicurezza e sovranità alimentare nei Paesi più poveri.
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Il sistema alimentare globale: tutt’altro che sostenibile e a prova di crisi Dopo anni di contrazione, da sei anni a questa parte ha ripreso ad aumentare la fame nel mondo. Particolarmente colpiti sono i Paesi del Sud asiatico, dell’America Latina e soprattutto dell’Africa subsahariana. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), l’aumento della carestia è da ricondurre alla povertà e disparità, alla situazione incerta in molte regioni segnate da conflitti nonché, sempre di più, all’inarrestabile riscaldamento ambientale: per l’ONU, gli shock climatici costituiscono già ora una delle cause principali delle grandi crisi alimentari. Catastrofi come ondate di caldo, siccità e inondazioni sono raddoppiate dall’inizio degli anni ’90. A soffrirne sono maggiormente i contadini e le contadine delle regioni rurali. I devastanti effetti climatici distruggono il loro raccolto e bestiame, le loro case e fattorie, in altre parole i loro mezzi di sussistenza. La crisi climatica rischia di trasformarsi sempre più in una catastrofe alimentare. A questo si aggiunge una crisi economica e sanitaria mondiale frutto della pandemia del Covid-19. Per la prima volta dagli anni ’90 ha ripreso ad aumentare il numero di persone estremamente povere. Secondo la Banca mondiale, entro la fine del 2021 saranno ben 150 milioni di persone in più a lottare per la sopravvivenza. Nella peggiore delle ipotesi, le Nazioni Unite (ONU) prevedono un aumento di quasi 400 milioni. Il numero di persone che vivono con meno di 2 franchi al giorno salirebbe così a oltre un miliardo. Come sempre, anche la crisi attuale colpisce particolarmente le persone più indigenti e vulnerabili. Già in tempi normali sono costrette a vivere alla giornata. Ora la crisi fa precipitare i più poveri nella fame e nell’emergenza più assoluta. Soffrono dei coprifuochi imposti dallo Stato e del declino economico. Di conseguenza molti hanno perso il lavoro e il loro reddito. Allo stesso tempo ne risentono dei prezzi più elevati per i prodotti alimentari e del fatto che i loro parenti all’estero riescono a mandare sempre meno soldi a casa. Se mancano rapporti di lavoro regolamentati e non ci sono risparmi, da un giorno all’altro importanti generi alimentari diventano impagabili per milioni di commercianti ambulanti, braccianti e piccoli imprenditori. Senza un aiuto pubblico e sistemi di protezione sociali, queste persone perdono ogni speranza in un’alimentazione adeguata e una vita dignitosa.
Serve una crescita sostenibile e inclusiva Da molti decenni l’ONU si impegna per uno sviluppo sostenibile. Sotto l’egida dell’OCSE, persino le 38 Nazioni economicamente più forti chiedono ormai una crescita sostenibile e inclusiva per tutti. Il coronavirus ha tuttavia messo in evidenza che il mondo non è ancora sulla giusta rotta. Basta dare uno sguardo all’alimentazione: i metodi di produzione agricoli prevalenti nonché il modo in cui ci nutriamo a livello mondiale – in altre parole l’intero sistema alimentare – non sono né socialmente né ecologicamente sostenibili né tanto meno a prova di crisi. Tre sono le spiegazioni: • Molti Paesi del Sud puntano sulle monocolture estese in cui i contadini e le contadine producono per i mercati mondiali. Questo approccio non tiene tuttavia conto della sicurezza alimentare della popolazione indigena. • Considerata la posizione dominante di grandi aziende agricole, gli agricoltori del Sud rischiano di perdere il controllo delle sementi e quindi la loro indipendenza. Pochi Gruppi internazionali dominano il mercato mondiale delle sementi commerciali e dei pesticidi sintetici. • Nell’agricoltura industriale predominante e nell’attuale sistema alimentare mondiale ramificato gravi danni ambientali, conflitti locali e violazioni del diritto del lavoro sono all’ordine del giorno.
I Paesi indigenti producono per i mercati mondiali Molti Paesi in via di sviluppo producono pochi prodotti agricoli destinati all’esportazione, come era stato loro consigliato di fare negli anni ’80 e ’90 dalla Banca mondiale, da Think Tank neoliberali e potenti governi, tra i primi gli Stati Uniti. Anziché produrre per i mercati locali e occuparsi dell’alimentazione nazionale, i contadini e le contadine di molti Paesi continuano a puntare su «cash crop» per il commercio internazionale. La pandemia del coronavirus dimostra ancora una volta quanto questa strategia di esportazione sia esposta ai rischi di una crisi. In molti Paesi sono state chiuse le frontiere, bloccate le rotte commerciali, interrotte le catene di approvvigionamento globali e sospese le produzioni. Anche se molte di queste misure non sono durate a lungo, la situazione alimentare nel Sud è drammaticamente peggiorata.
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La chiusura dei confini e le limitazioni commerciali si ripercuotono sempre sull’intero ciclo alimentare: dalla produzione al raccolto, dall’immagazzinaggio alla distribuzione fino al consumo e allo smaltimento dei generi alimentari. Particolarmente colpiti sono gli «anelli più deboli» delle catene di fornitura agricola e alimentare ramificate a livello globale. Tra queste rientrano piccoli produttori, braccianti e lavoratori nelle piantagioni che coltivano, raccolgono e lavorano frutta, verdura e materie prime agricole come cereali, patate, colza, caffè o cotone. Se la domanda e i prezzi del cacao crollano all’improvviso, a soffrirne sono centinaia di migliaia di braccianti nel Ghana o nella Costa d’Avorio, in Ecuador o in Indonesia. Diversamente dai tre giganti della lavorazione del cacao con sede principale a Zurigo o con stabilimenti commerciali a Ginevra, i braccianti nel Sud non hanno praticamente nessuna possibilità di reagire alle oscillazioni di prezzo. La situazione è paragonabile alla coltivazione di banane in Colombia, Panama, Perù ed Ecuador, di caffè in Vietnam, Indonesia, Guatemala ed Etiopia, di fiori in Kenya, Tanzania e Uganda o di soia in Brasile e Argentina.
Il 90 per cento del commercio agricolo mondiale è nelle mani di sole dieci aziende. Nel frattempo il 90 per cento del commercio agricolo mondiale è nelle mani di sole dieci aziende. Tutti i maggiori commercianti agricoli conducono affari globali attraverso la Svizzera (v. riquadro). Dettano i prezzi e le condizioni commerciali e influiscono sulle decisioni politiche. Mentre la situazione diventa sempre più difficile per gli agricoltori e le agricoltrici come pure i lavoratori e le lavoratrici nelle piantagioni del Sud esposti alla pressione sui prezzi e al rischio di sfruttamento.
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La Svizzera come piattaforma internazionale Per i grandi Gruppi di commercio agricolo, la Svizzera è un Paese allettante. Il settore che qui beneficia di regimi fiscali su misura e scarsa regolamentazione nell’ambito delle materie prime è tutt’altro che trasparente e molto riservato. Pochi sanno che almeno la metà dei cereali, il 40 per cento dello zucchero, un chicco di cacao e di caffè su tre, il 25 per cento del cotone e il 15 per cento del succo d’arancia commercializzati a livello mondiale passano per un trader in Svizzera. A questo si aggiunge che le imprese commerciali continuano a estendere le loro attività e la loro sfera d’influenza. A volte penetrano fino alla coltivazione delle materie prime. In questo modo possono influire notevolmente sulle decisioni relative alle condizioni di produzione lungo le catene di fornitura – ad esempio dalla coltivazione delle arance nelle piantagioni alla produzione di succo fino all’imbottigliamento per la vendita. Alcuni Gruppi stabiliscono sempre più cosa viene coltivato, raccolto, lavorato, commercializzato e distribuito e a quali condizioni. La penetrazione dei commercianti di materie prime fino alla coltivazione di materie prime agricole mette in luce il grande divario del potere nell’industria agricola e alimentare: milioni di agricoltori, piccoli produttori e lavoratori si trovano di fronte a poche ma potenti aziende. Grandi Gruppi che vogliono un accesso sicuro alle materie prime e sempre più controllo dei prezzi e delle condizioni di produzione.
A beneficiarne sono i Gruppi internazionali che producono sementi
Danni ambientali, conflitti interni e violazioni dei diritti umani
Sistemi di sementi di contadini locali con una vasta varietà costituiscono la base fondamentale per la sicurezza alimentare nei Paesi in via di sviluppo. Ciononostante, dall’inizio del XX secolo il controllo sulle sementi si è spostato, lontano dagli agricoltori e dalle agricoltrici, verso i Gruppi agricoli internazionali. Negli ultimi decenni questi ultimi hanno coltivato cereali e sviluppato varietà geneticamente modificate con cui aumentare la produttività, a condizione che vengano applicati concimi minerali e pesticidi a sufficienza. La produzione mondiale di cereali ha così potuto essere aumentata grazie all’agricoltura industriale, anche se non ovunque. Questo aumento è però da considerarsi tutt’altro che ecologicamente e socialmente sostenibile. Su molte superfici in cui veniva coltivato mais, riso, frumento o soia il raccolto non ha potuto essere aumentato, in altri casi la coltivazione è collassata. Allo stesso tempo si sono diffuse sempre più erbacce pericolosamente resistenti.
L’agricoltura globalizzata è ormai la principale forza motrice della deforestazione mondiale – con conseguenze drammatiche per la natura e la biodiversità nonché per il clima mondiale. Nella foresta pluviale dell’Amazzonia l’agricoltura commerciale, in particolar modo l’allevamento di bestiame e la coltivazione di soia su ampia scala, orientata all’esportazione, è responsabile dell’80 per cento dell’abbattimento di alberi.
A questi sviluppi si aggiungono gli effetti negativi sulla società e la salute: se i raccolti non bastano a coprire gli elevati costi di produzione a causa dell’acquisto di sementi commerciali e di relativi pesticidi necessari, molti contadini rischiano di finire nel vortice dei debiti da cui non trovano più una via d’uscita. Inoltre, a molti Paesi in via di sviluppo vengono vendute sostanze reputate probabilmente cancerogene o tossiche per la riproduzione dalle autorità nazionali o internazionali. Fino a 40 000 persone muoiono ogni anno per avvelenamento da pesticidi sul lavoro, tutte residenti in Paesi in via di sviluppo. L’evidente iniquità nei rapporti di potere nel sistema dell’alimentazione mondiale è nettamente peggiorata negli ultimi vent’anni. Nel frattempo tre Gruppi internazionali controllano il 60 per cento del mercato mondiale di sementi commerciali e il 70 per cento del mercato dei pesticidi. I governi nel Nord tutelano i profitti del Gruppo in accordi commerciali, ad esempio attraverso brevetti e rigide leggi sulle sementi, a scapito di (piccoli) produttori agricoli nei Paesi in via di sviluppo.
Nella corsa per accaparrarsi superfici agricole, la produzione di generi alimentari ha sempre più spesso la peggio fra le comunità locali. Nella corsa per accaparrarsi superfici agricole, la produzione di generi alimentari ha sempre più spesso la peggio fra le comunità locali. Già circa un terzo delle superfici mondiali coltivate viene utilizzato per la produzione di mangime. Così facendo, la produzione industriale di materie prime agricole (soia per mangimi, canna da zucchero per combustibili, olio di palma per barrette di cioccolato) per il consumo statunitense, cinese ed europeo compete sempre di più con la coltivazione di piante volte a garantire la sicurezza alimentare delle persone nel Sud del mondo. Sono sempre più frequenti pericolosi conflitti interni, ad esempio quando Gruppi agricoli internazionali acquistano grandi terreni per la coltivazione di soia, olio di palma o canna da zucchero. Soltanto un quinto del terreno coltivato da comunità rurali e popoli indigeni nei Paesi in via di sviluppo è protetto per legge dalla sottrazione della proprietà da parte di governi e imprese. Spesso vengono violati i diritti umani e del lavoro e si registra sempre di più lavoro forzato o infantile.
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Cambiamenti climatici, agricoltura e alimentazione E come se non bastassero i problemi già discussi – grande dipendenza dal Nord, impiego di pesticidi nocivi per la salute, gravi violazioni dei diritti ambientali e umani – il sistema globale dell’alimentazione, ossia il modo in cui ci alimentiamo, fa avanzare rapidamente il riscaldamento climatico. L’estesa agricoltura intensiva diffusa e la distruzione delle foreste pluviali causano infatti molti gas serra nocivi per il clima.
Il sistema globale dell’alimentazione, ossia il modo in cui ci alimentiamo, fa avanzare rapidamente il riscaldamento climatico. Allo stesso tempo l’agricoltura praticata dai (piccoli) contadini e l’approvvigionamento alimentare sono già in larga misura compromessi dagli effetti negativi del riscaldamento globale. Secondo il rapporto speciale del 2019 «Cambiamenti climatici e sistemi nazionali» del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’ONU, il riscaldamento globale minaccia sempre più l’esistenza e il benessere delle persone. Dagli anni ’60 a questa parte, la superficie colpita da siccità è aumentata di oltre l’1 per cento all’anno. Circa mezzo miliardo di persone oggi vivono in regioni sempre meno fertili, soprattutto nell’Asia meridionale, nella regione intorno al Sahara e nell’Africa settentrionale. La conclusione tratta dall’ONU non lascia alcun dubbio: urge un’inversione di rotta nell’industria alimentare e nell’agricoltura globale. Serve un’agricoltura in grado di produrre cibo buono a sufficienza. Un’agricoltura che emetta meno gas serra nocivi. Un’agricoltura in grado di adattarsi e di sopportare i cambiamenti climatici, i crescenti fenomeni di siccità e le inondazioni. Secondo la FAO, un tassello indispensabile per un sistema agrario e alimentare funzionante è un’agricoltura che punta su un utilizzo agroambientale del suolo. Anche la Direzione dello sviluppo e della cooperazione DSC in Svizzera ritiene che l’agroecologia sia l’approccio più adatto per un sistema alimentare sostenibile. Al fine di sostenere la trasformazione in un’agricoltura rispettosa del clima e un sistema alimentare più equo, la comunità internazionale e la Svizzera con l’agenda 2030 si sono impegnate a favore di uno sviluppo sostenibile (v. riquadro).
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Gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 dell’ONU «Porre fine alla fame entro il 2030» – questo è l’obiettivo ambizioso fissato dalla comunità internazionale nel 2015 nel quadro dell’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile. Entro il 2030 vogliono infatti aver superato qualsiasi forma di fame e denutrizione nel mondo. Affinché gli obiettivi di sviluppo sostenibile «Povertà zero» (1), «Fame zero» (2), «Consumo e produzione responsabili» (12) nonché «La vita sulla terra» (15) possano essere raggiunti, l’agenda esige un’agricoltura sostenibile e una ristrutturazione sostanziale del sistema alimentare. Devono essere promosse pratiche agricole adeguate al posto volte a promuovere la produttività e la salute dell’essere umano, a preservare la sostenibilità ecologica e a incentivare le basi esistenziali nelle zone rurali nonché la stabilità sociale. Nell’estate 2021 il Consiglio federale ha approvato la Strategia per uno sviluppo sostenibile (SSS 2030), in cui la Confederazione evidenzia come la Svizzera dovrà attuare l’agenda delle trasformazioni entro il 2030. Tra le altre cose, la Confederazione vuole «promuovere la trasformazione verso dei sistemi alimentari più sostenibili» sia in Svizzera che all’estero. Concretamente, il Consiglio federale riconosce nella strategia le opportunità dell’agroecologia. Riconosce che la trasformazione verso un sistema alimentare sostenibile comporta numerose sfide lungo l’intera catena di creazione di valore a livello nazionale e internazionale. Di conseguenza, l’obiettivo della strategia è di ridurre il più possibile gli effetti negativi del consumo elvetico sulla biodiversità all’estero. Ora si tratta di mettere in atto detta strategia e di far seguire i fatti alle parole.
Agroecologia: fa bene all’uomo e all’ambiente L’idea dell’agroecologia diffusa dall’ONU può essere considerata un modello antagonista dell’agricoltura industriale estesa e del sistema alimentare sotto l’egida dei grandi Gruppi. L’agroecologia prevede una forma di agricoltura sostenibile da un punto di vista sociale, ecologico ed economico che mira a consentire alla gente sul posto di avere abbastanza alimenti per nutrirsi in modo sano. A tale scopo serve un sistema alimentare equo che tenga conto sia dei limiti ecologici e dei diritti umani che degli interessi culturali ed economici di tutte le persone coinvolte.
L’agroecologia prevede una forma di agricoltura sostenibile da un punto di vista sociale, ecologico ed economico. L’agroecologia è fondata sulle conoscenze tradizionali locali e sulle rispettive culture collegate alle nozioni e ai metodi della scienza moderna. Il suo punto di forza è la combinazione di ecologia, biologia e scienze agrarie, ma anche di scienza nutrizionale, medicina e scienze sociali. L’agroecologia punta sulle conoscenze di tutte le parti coinvolte. Determinante è il loro contributo pratico a migliorare la situazione alimentare con le risorse disponibili sul posto – oltre a sole, acqua e suolo anche le varietà naturali coltivate. Gli approcci agroecologici si concentrano sulla preservazione di suoli sani nonché sulla rigenerazione di suoli degradati, garantendo così maggiore biodiversità sopra e sotto la superficie del suolo. L’attività agricola e l’allevamento di bestiame spesso vengono gestiti in modo misto e integrato. Questo crea maggiore diversità nell’alimentazione e maggiore stabilità rispetto agli influssi esterni quali catastrofi naturali o shock economici.
L’agroecologia prevede soluzioni locali messe in atto da attori locali. I produttori agricoli devono poter disporre di sementi proprie e di basi esistenziali naturali. Il sistema promuove l’approvvigionamento locale con generi alimentari sani ed economici attraverso catene di commercializzazione regionali eque. I generi alimentari devono poter ottenere un prezzo equo per consentire ai produttori di provvedere al proprio sostentamento. Le conseguenze negative per l’ambiente che insorgono durante la produzione devono essere considerate nel prezzo. In fondo l’agroecologia fornisce un importante contributo per la lotta contro i cambiamenti climatici. Gli approcci agroecologici producono meno gas serra nocivi poiché vengono utilizzati meno fertilizzanti a base di azoto e così emesso anche meno protossido di azoto. Al contempo si rinuncia a un allevamento intensivo. Si riduce pertanto la quantità di metano emessa dai ruminanti e quella di ammoniaca contenuta nel letame. Nell’allevamento del bestiame si rinuncia anche a qualsiasi mangime industriale responsabile di un’elevata quantità di emissioni riconducibili all’abbattimento di alberi e a un’agricoltura intensiva.
Alimentazione variegata, sana e sufficiente
Meno asimmetrie di potere tra Nord e Sud, tra giganti agricoli e piccoli contadini
Minore vulnerabilità garantisce maggiore sovranità alimentare
Agroecologia Rafforzamento delle donne e bambine, delle comunità locali e delle popolazioni indigene
Aumento dei redditi al Sud grazie alla promozione dei mercati locali Migliore per la biodiversità, l’ambiente e il clima globale
Immagine 1: Vantaggi di un’agricoltura agroecologica sostenibile rispetto a un’agricoltura industriale orientata all’esportazione
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La ristrutturazione socioecologica dell’alimentazione La pandemia del coronavirus e la crisi climatica mettono in evidenza quanto sia urgente e indispensabile correggere il sistema alimentare globale. Affinché l’alimentazione diventi più equa, a prova di crisi e rispettosa del clima, servono due cose: maggiore sostenibilità nell’agricoltura e maggiore sostenibilità nel sistema alimentare mondiale.
Più sostenibilità nella produzione agricola L’agricoltura industriale incentrata sull’esportazione si trova in un vicolo cieco: si tenta di compensare le perdite di produzione dovute ai cambiamenti climatici con ulteriori intensificazioni. Ma l’uso di macchinari agricoli sempre più grandi e di combustibili fossili, di fertilizzanti artificiali, pesticidi sintetici e prodotti agrochimici fa aumentare anziché diminuire le emissioni di gas nocivi per il clima. Altri problemi legati all’agricoltura su ampia scala sono la deforestazione e la perdita di biodiversità, l’immenso consumo idrico e un inquinamento chimico nocivo per l’ambiente. In questo modo si accelera ulteriormente lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e aumenta la vulnerabilità delle persone più povere di fronte agli effetti climatici. Nel corso dei cambiamenti legati all’emergenza sanitaria del coronavirus si presenta la possibilità di orientare l’agricoltura mondiale alla sostenibilità. Serve un’agricoltura meno nociva per il clima globale e allo stesso tempo più resistente ai costanti mutamenti climatici. Altrettanto importante è un’agricoltura capace di garantire un’alimentazione sana anche per le persone più indigenti. Una gestione agroecologica del suolo è in grado di soddisfare tutti questi requisiti. Soprattutto nelle regioni del mondo spesso colpite dalla fame, grazie all’agroecologia possono essere complessivamente potenziati i rendimenti in modo sostenibile e resiliente nonché migliorata la base alimentare.
Immagine 2: Requisiti per una ristrutturazione sociale ed ecologica dell’alimentazione
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Più sostenibilità nel sistema alimentare mondiale L’economia elvetica è fortemente coinvolta nell’industria mondiale dell’agricoltura e dell’alimentazione. Molti importanti produttori di sementi, pesticidi e generi alimentari hanno la loro sede in Svizzera. Inoltre, molte aziende commerciali che trattano con materie prime agricole svolgono i loro affari da Ginevra o Zugo. Tutti i loro modelli aziendali dipendono dal potenziamento continuo di un sistema alimentare basato sulle monocolture e specializzato sull’esportazione. Considerato il loro potere di mercato, le aziende commerciali svizzere sono corresponsabili della situazione spesso insostenibile nell’ambito della coltivazione di materie prime agricole nonché di frutta e verdura nei Paesi in via di sviluppo. Infatti, gli stipendi sono miseri e dipendono dall’output della giornata, l’irrorazione di pesticidi mette a rischio la salute, i lavori fisici sono pesanti e (in alcuni casi) il lavoro viene svolto dai bambini. La crisi del Covid-19 mostra quanto sia necessario riformare gli aspetti problematici dell’attuale sistema alimentare globale. Bisogna riuscire a rendere la popolazione dei Paesi in via di sviluppo meno dipendente dalle catene di produzione di valore globali e dalla definizione dei prezzi internazionale nell’ambito delle materie prime agricole. Si tratta sempre più spesso di promuovere sistemi di sicurezza sociale nonché garantire condizioni lavorative dignitose e stipendi che assicurino la sussistenza. Non sono invece negoziabili il diritto a un’alimentazione appropriata, il diritto ai diritti umani dei braccianti e del popolo indigeno né tantomeno la protezione della natura e del clima.
Più sostenibilità nella produzione agricola
• Le persone al Nord e al Sud devono potersi nutrire a sufficienza in modo sano. • La coltivazione e l’elaborazione di prodotti agricoli deve adeguarsi al clima in costante mutamento e al tempo stesso produrre meno gas serra nocivi per il clima.
Più sostenibilità nel sistema alimentare mondiale • Vanno consolidati i diritti delle persone al Sud e incentivate la loro autodeterminazione nonché sovranità alimentare. • Devono essere eliminate le interdipendenze internazionali e potenziato il valore aggiunto sul posto.
La politica agricola in Svizzera Ogni anno la Confederazione sostiene l’agricoltura nazionale con 3,5 miliardi di franchi. Decisamente di più di quanto viene stanziato per gli aiuti allo sviluppo e i progetti climatici internazionali nei Paesi più poveri. Con la «Politica agricola 2022» (PA 22+) la Svizzera ha avuto l’occasione di rendere la propria agricoltura e industria alimentare più sociale, rispettosa del clima ed equa nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Purtroppo il progetto non ha incontrato la maggioranza nel Parlamento. Nell’estate 2021 sono state respinte anche due iniziative agricole i cui principi andavano in una direzione improntata al rispetto dell’ambiente: doveva essere promosso l’approvvigionamento della popolazione con generi alimentari sani e acqua potabile pulita. Sarebbero state sostenute aziende agricole che puntano su una produzione priva di pesticidi chimico-sintetici e sono in grado di nutrire il proprio bestiame con il mangime prodotto nell’azienda stessa. A prescindere dall’occasione persa per un riorientamento della politica agricola, con SSS 2030 la Svizzera si è posta chiari obiettivi in materia di sostenibilità. Sulla base degli impegni internazionali (Agenda 2030, Accordo di Parigi) e nel proprio interesse, la Confederazione deve rendere la politica agricola e alimentare della Svizzera socialmente responsabile, ecologica e rispettosa del clima: poiché l’agricoltura convenzionale costituisce tuttora oltre l’80 per cento della produzione, la coltivazione biologica deve essere ulteriormente promossa. Al contempo bisogna sostenere maggiormente l’importazione di generi alimentari prodotti in modo sostenibile ed equo. Altrettanto importanti sono le misure contro lo spreco alimentare e per un consumo di carne consapevole. «Input» nocivi quali mangimi concentrati, fertilizzanti minerali e pesticidi artificiali nell’agricoltura devono essere fortemente ridotti.
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Richieste di Caritas Per rendere l’alimentazione più equa, a prova di crisi e rispettosa del clima, Caritas Svizzera chiede alla Politica e all’Amministrazione federale quanto segue: • Nel quadro della sua comprovata cooperazione allo sviluppo, la DSC deve promuovere metodi di coltivazione ecologici e sociali nell’agricoltura agroecologica. Grazie a pratiche agroecologiche, proprio del Sud del mondo le strutture di piccoli contadini e le aziende agricole medio-grandi possono produrre di più e realizzare maggiori redditi salvaguardando il suolo e contenendo le emissioni. Siccome l’agroecologia è più resistente al riscaldamento globale, le persone sono anche preparate meglio ad affrontare eventi meteorologici estremi come siccità e piogge torrenziali. • Il Consiglio federale e il Parlamento devono perseguire una politica commerciale equa e rispettosa del clima che favorisca la sicurezza alimentare nei Paesi partner. Né può essere promossa l’agricoltura industriale dedita alla monocoltura, né può la politica commerciale ostacolare una produzione agroecologica e impedire ai contadini locali l’accesso alle sementi. Gli accordi commerciali devono tenere maggiormente conto delle condizioni di vita e delle esigenze della gente più povera nonché dei potenziali dei produttori nei Paesi in via di sviluppo e incentivarli. Devono inoltre contenere disposizioni volte a garantire che i Paesi partner mettano effettivamente in atto le norme ambientali e lavorative a cui si sono vincolati. • Caritas si aspetta che il Consiglio federale adotti misure affinché gli effetti dei nostri modelli di produzione e consumo vengano rispettati al fine di garantire la sicurezza alimentare alle persone nel Sud del mondo. Generi alimentari prodotti in maniera sostenibile e nel rispetto dei diritti umani devono diventare più economici e concorrenziali. A tale scopo servono maggiori incentivi in questo senso. Il Consiglio federale e il Parlamento devono impegnarsi a favore di un’economia circolare socio-ecologica con catene di valore sostenibili ed eque – un’industria alimentare che tenga conto del modo in cui viene prodotto, elaborato, trasportato, venduto e smaltito il cibo.
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• Il Consiglio federale e il Parlamento devono impegnarsi affinché i Gruppi con sede in Svizzera rispettino a livello mondiale i diritti dei minori e i diritti umani nonché gli standard ambientali e sociali nella produzione di prodotti agricoli e nelle catene di valore di generi alimentari. Tramite una regolamentazione vincolante bisogna garantire che le aziende alimentari e i commercianti di materie prime residenti in Svizzera mettano in atto la due diligence in merito ai diritti umani e all’ambiente come specificato nei principi dell’ONU relativi all’economia e ai diritti umani. Per nessuna ragione il commercio agricolo svizzero deve compromettere la sicurezza alimentare nel Sud del mondo. • Dall’attuale rapporto sul clima del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici emerge che il riscaldamento ambientale avanza inarrestabile. Ogni mezzo grado in più comporta notevoli temperature estreme, aumenta l’intensità di forti precipitazioni, intensifica i periodi di siccità in molte regioni e peggiora la base alimentare dei più indigenti. La Svizzera deve assumersi le sue responsabilità e agire nel rispetto del clima. Il Consiglio federale e il Parlamento devono impegnarsi affinché la Svizzera adegui progressivamente, in modo ambizioso e socialmente equo i requisiti dell’Accordo di Parigi e potenzi la sua cooperazione internazionale (CI) rendendo disponibili i mezzi aggiuntivi per la protezione del clima e per le misure di adeguamento tanto urgenti nei Paesi in via di sviluppo. In fondo è nell’interesse della Svizzera sostenere maggiormente i Paesi più poveri a perseguire una linea di sviluppo a basse emissioni di CO2 e adeguata al clima.
Settembre 2021 Autore: Patrik Berlinger, Servizio Politica di sviluppo E-mail pberlinger@caritas.ch, telefono 041 419 23 95 Il presente documento di posizione può essere scaricato su www.caritas.ch/documenti-di-posizione
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