Verso una politica di lotta alla povertà efficace e sostenibile

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Verso una politica di lotta alla povertà efficace e sostenibile

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Una Svizzera senza povertà è possibile


Combattere con efficacia la povertà

• Pari possibilità per le famiglie e i figli: è necessaria un’offerta completa di servizi per l’assistenza all’infanzia complementare alla famiglia e alla scuola di buona qualità, accessibile e finanziariamente sostenibile. L’istruzione per

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• Pari opportunità educative: l’accesso in termini di formazione di recupero, formazione continua e riqualificazione professionale deve essere garantito a tutti. A tal fine, è richiesto un maggiore impegno dei datori di lavoro e stipendi che assicurino il fabbisogno vitale.

• Alloggio a prezzi accessibili: i Cantoni e i Comuni devono mettere a disposizione un numero sufficiente di alloggi a pigione moderata. Vanno inoltre promosse le offerte che sostengono le famiglie socialmente svantaggiate nella ricerca di un alloggio e che forniscono garanzie ai locatori.

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• Lavoro dignitoso: occorrono stipendi che permettano di garantire l’esistenza, modelli e orari di lavoro favorevoli alle famiglie e una sicurezza sociale per tutte le persone in Svizzera. Nel nostro Paese c’è lavoro per tutti, ma in molti casi non è (sufficientemente) retribuito.

• Garanzia del minimo vitale: occorre garantire i mezzi di sussistenza a livello di prestazioni complementari a tutte le persone il cui reddito è inferiore al minimo vitale. Il legame giuridico tra statuto di dimora e garanzia della sussistenza deve essere abolito.

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Le richieste di Caritas:

• Sistema sanitario privo di barriere: i costi per i premi della cassa malati non devono superare l’8 per cento del reddito imponibile di una famiglia. Questo corrisponde all’obiettivo fissato dal Consiglio federale nell’ambito della revisione dell’assicurazione malattia nel 1991. La franchigia non deve altresì ostacolare il ricorso alle prestazioni mediche necessarie.

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Questa situazione è insostenibile in un Paese benestante come la Svizzera. Caritas invita la Confederazione, i Cantoni, i Comuni e il mondo economico a riconoscere finalmente la lotta alla povertà come la sfida socio-politica più importante della nostra epoca e ad agire di conseguenza. In tale contesto, ha anche lanciato l’Appello per una Svizzera senza povertà.

la prima infanzia deve essere riconosciuta come parte del mandato di formazione pubblico e va sostenuta in maniera significativa dallo Stato.

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La crisi del coronavirus ha palesato e aggravato il fenomeno della povertà in Svizzera. Già prima della pandemia, oltre 1,3 milioni di persone in Svizzera vivevano nell’indigenza o appena al di sopra della soglia di povertà ufficiale in condizioni finanziarie precarie. Sempre più soggetti non riescono ad assicurarsi il proprio sostentamento con un’attività retribuita, perché non trovano un lavoro o percepiscono uno stipendio basso e non hanno una sicurezza sociale. Particolarmente esposte a questo rischio sono le persone con un livello di istruzione basso o una formazione non riconosciuta. È quindi ancora più sconcertante il fatto che le pari opportunità di accesso a un’istruzione e a una formazione continua di buona qualità non siano garantite a tutti in Svizzera. Anche molti genitori con bambini piccoli hanno difficoltà a garantire il sostentamento della propria famiglia, perché il grado di conciliabilità tra lavoro e famiglia è ancora insufficiente e i servizi per la custodia extrafamiliare dei bambini sono troppo costosi nel nostro Paese. Infine, anche le spese per i premi della cassa malati e per l’alloggio sono aumentate sensibilmente negli ultimi vent’anni e rappresentano un onere eccessivo per le famiglie a basso reddito.

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Per una Svizzera senza povertà: firmate l’appello congiunto! www.caritas.ch/appello

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«La forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri» Il tasso di povertà è in crescita ormai da anni In Svizzera si registra un aumento della povertà dal 2014. Secondo l’Ufficio federale di statistica, nel 2019 si contavano circa 735 000 indigenti, pari a quasi il 9 per cento della popolazione. All’incirca altre 600 000 persone vivevano appena al di sopra del minimo vitale in condizioni finanziarie precarie. In altre parole, già prima della crisi del coronavirus più di una persona su sei in Svizzera riusciva a fatica a sbarcare il lunario, viveva in condizioni abitative precarie o doveva limitare il proprio stile di vita a tal punto da rendere più difficili i contatti sociali e la partecipazione alla vita sociale. Particolarmente colpiti sono i bambini, le famiglie numerose, le famiglie monoparentali, le persone prive di una formazione post-obbligatoria e i soggetti senza reddito. Malgrado abbia reso visibile il fenomeno della povertà in Svizzera, la pandemia non ha reso precaria la vita di molta gente, ma ha solo aggravato i problemi già esistenti. Le persone che prima dell’emergenza sanitaria riuscivano a garantirsi a malapena il proprio sostentamento si sono ritrovate da un giorno all’altro in uno stato di bisogno in seguito a una perdita di reddito contenuta. E coloro che già facevano fatica a trovare un posto in una situazione economica favorevole avranno ancora più difficoltà a (ri)entrare nel mercato del lavoro in questi tempi di incertezza. Nello stesso periodo, per contro, molte economie domestiche agiate hanno potuto addirittura aumentare i propri risparmi. Numerosi studi sono giunti alla conclusione che la crisi del coronavirus abbia accresciuto la disuguaglianza sociale ed economica in Svizzera.

Aumenta anche la disuguaglianza Il fenomeno della disuguaglianza non si è però amplificato solo con l’arrivo dell’emergenza sanitaria. Nella maggior parte dei Paesi ricchi, fra cui anche la Svizzera, la disuguaglianza economica si è già rafforzata negli ultimi decenni. Anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) si dice preoccupata e ritiene che il modello economico degli scorsi decenni sia il principale motore della crescente disuguaglianza e che la redistribuzione dello stato sociale non sia più sufficiente per contrastare tale fenomeno. In Svizzera la disuguaglianza è particolarmente marcata in termini di ricchezza, segnando un aumento significativo negli ultimi anni. Se nel 2003 il 3 per cento della popolazione contribuente possedeva la metà della sostanza complessiva, nel 2016 questa cifra si attestava solamente all’1,9 per cento. Ciò significa che nemmeno il 2 per cento dei contribuenti possiede tanto quanto il restante 98 per cento messo insieme. Questo sviluppo è dovuto perlopiù alle agevolazioni fiscali applicate sui redditi e i patrimoni elevati, così come alla rivalutazione degli investimenti. Le disparità sono tendenzialmente in aumento anche a livello retributivo. Negli scorsi due decenni, i salari del quintile di reddito più alto sono saliti di circa il triplo rispetto a quelli del quintile di reddito medio e basso. Questi ultimi sono addirittura diminuiti in termini reali negli ultimi anni. Siccome i premi della cassa malati e i costi per l’alloggio sono aumentati sensibilmente nello stesso periodo, nel 2019 le famiglie a basso reddito disponevano di minori risorse finanziarie rispetto al 2000. Il fatto che sempre più persone non riescano a garantirsi il proprio sostentamento, mentre altre incrementano la loro ricchezza, costituisce un doppio problema: sul piano individuale, perché le persone indigenti non hanno quasi nessuna prospettiva di azione né la possibilità di partecipare alla vita sociale; a livello di società, perché una parte crescente della popolazione non beneficia del progresso economico e la coesione sociale si sta sgretolando. I raffronti internazionali indicano che le società con un maggior grado di pari opportunità e mobilità sociale sono più realizzate sotto molti aspetti.

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Per questo motivo, il messaggio principale dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile esige che la politica venga orientata maggiormente verso i gruppi socialmente svantaggiati e «non lasci indietro nessuno» («leaving no one behind»). Questo obiettivo vale per ogni singolo Paese. Con la sottoscrizione dell’Agenda 2030, la Svizzera si è impegnata a porre fine alla povertà, alla discriminazione e all’esclusione in tutte le loro forme e a eliminare le disuguaglianze esistenti. Così facendo, sottolinea il principio guida della Costituzione federale secondo cui «la forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri». La Confederazione, i Cantoni e i Comuni devono finalmente prendere sul serio tale criterio come principio per l’azione istituzionale. La crisi climatica, la pandemia del coronavirus e le trasformazioni nel mercato del lavoro dovute alla digitalizzazione ci pongono dinanzi a sfide profonde a livello economico, sociale e ambientale che rischiano di emarginare sempre più persone. Ciononostante, non siamo in balia di questi sviluppi, ma abbiamo i mezzi per reagire. Dobbiamo trasformare le crisi odierne in un’opportunità per ripensare il nostro vivere insieme e i nostri obiettivi come società. Oggi ci troviamo di fronte a un bivio. È giunto il momento di gettare le basi per un’economia e uno stile di vita con al centro l’essere umano e il suo ambiente. Bisogna strutturare la politica a ogni livello istituzionale in modo che tutte le persone nel nostro Paese dispongano di mezzi sufficienti per vivere. E come sancito anche dalla Costituzione federale: possano lavorare in condizioni adeguate e abbiano la possibilità di ricevere un’istruzione in base ai loro interessi e alle loro capacità, possano accedere ai beni di base come la salute e l’alloggio e partecipare alla vita sociale e abbiano il diritto garantito a condurre una vita dignitosa. Affinché questi principi rimangano tali anche per le generazioni future, è necessario attribuire la massima priorità alla protezione del clima.

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La responsabilità non spetta solo alla Confederazione, ai Cantoni e ai Comuni, bensì anche al settore privato e alle organizzazioni della società civile. Se una parte della popolazione svizzera non ha abbastanza denaro per vivere ed è esclusa dalla vita sociale, è un problema che riguarda tutti noi.


La povertà ha cause strutturali Il nostro obiettivo come società deve essere quello di ridurre il rischio di povertà e quindi di evitare innanzitutto che le persone finiscano in miseria. L’esperienza della povertà è associata a molte sofferenze e crisi personali e chi l’ha vissuta sulla propria pelle riesce a uscirne solo con grandi sforzi. Molti soggetti indigenti si indebitano per pagare le fatture e questo può farli finire velocemente nel vortice dell’indebitamento. La povertà si perpetua spesso anche tra generazioni. I bambini che crescono in condizioni precarie sono maggiormente esposti al rischio di essere colpiti dalla povertà anche in età adulta. In Svizzera vi è inoltre un numero significativo di persone che non sono ufficialmente considerate povere, ma che vivono in condizioni precarie. La Scuola universitaria professionale di Berna ha condotto insieme a Caritas un’analisi sulla situazione finanziaria delle famiglie nel Canton Berna. Dai risultati è emerso che un numero relativamente elevato di economie domestiche vive appena al di sopra della soglia di povertà. Il loro margine di manovra finanziario è molto ridotto e basta poco per metterle in difficoltà. La prevenzione della povertà è quindi il presupposto per una politica di lotta alla povertà lungimirante. Questo significa in primo luogo eliminare le cause strutturali della povertà. La povertà, infatti, è in gran parte una conseguenza delle condizioni quadro sfavorevoli sul piano sociale, politico ed economico, come ad esempio il costo elevato delle strutture per l’assistenza all’infanzia, il lavoro precario, la mancanza di pari opportunità nel sistema educativo, le misure di risparmio nelle assicurazioni sociali e i sistemi fiscali cantonali che favoriscono i redditi e i patrimoni elevati. Gli sforzi compiuti negli ultimi anni per migliorare tali condizioni si sono rivelati troppo limitati. Gli strumenti adottati per prevenire la povertà sono stati in parte addirittura aboliti, come nel caso della riduzione ordinaria dei premi.

Cos’è la povertà e come si misura? La soglia di povertà si basa sul minimo esistenziale sociale secondo la Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale (COSAS). Si tratta di una definizione politica e stabilisce ciò che le persone in difficoltà hanno il diritto di ricevere in termini di risorse finanziarie minime. Il livello del minimo esistenziale definito dalla COSAS si basa sul consumo delle economie domestiche che si trovano nel decile più basso di reddito (il 10 per cento dei redditi più bassi). Uno studio condotto dall’Ufficio di studi di politica del lavoro e di politica sociale BASS nel 2018 ha tuttavia evidenziato che il fabbisogno di base per il mantenimento secondo la COSAS è troppo basso del 10 per cento circa, o di 100 franchi, rispetto alle spese sostenute dalle economie domestiche nel decile più basso di reddito. La soglia di povertà in Svizzera è quindi stabilita in modo molto restrittivo. Il fabbisogno minimo a cui fa riferimento non garantisce l’esistenza. Questo significa che anche le economie domestiche che si trovano appena al di sopra della soglia di povertà e non sono ufficialmente considerate povere non dispongono di risorse finanziarie sufficienti per vivere.

Garanzia della sussistenza Essere poveri significa non avere abbastanza denaro per vivere. Ma non solo. La mancanza di risorse finanziarie va spesso di pari passo con condizioni di vita generalmente precarie, caratterizzate, ad esempio, da minori opportunità di accesso a un’istruzione di qualità o a un lavoro che garantisca l’esistenza e da una situazione abitativa sfavorevole. Le persone con meno denaro hanno sovente più problemi di salute rispetto a quelle con maggiori risorse finanziarie, il che può avere conseguenze negative sull’integrazione professionale. I problemi di salute si ripercuotono anche sulla generazione successiva: le opportunità dei figli nell’ambito della salute dipendono fortemente dallo statuto dei loro genitori, che influisce a sua volta sul loro diritto alla migliore salute possibile. I soggetti colpiti dalla povertà sono quindi svantaggiati ed esclusi sotto molti aspetti. Tuttavia, il denaro è una risorsa centrale. Solo chi dispone di abbastanza soldi può organizzare attivamente la propria vita e realizzare le opportunità che gli si presentano. Se manca la copertura dei bisogni primari, mancano anche le prospettive di azione. È quindi fondamentale che tutti coloro che vivono nel nostro Paese dispongano

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di mezzi sufficienti per assicurarsi il proprio mantenimento. La copertura dei bisogni primari è garantita dall’articolo 12 della Costituzione federale, secondo cui tutte le persone in Svizzera hanno il diritto di essere aiutate e assistite e di ricevere i mezzi indispensabili per un’esistenza dignitosa. Questa copertura è incondizionata e si applica a tutti, indipendentemente dal motivo per cui hanno bisogno di un sostegno e dal loro statuto di dimora. L’attività professionale non protegge sempre dalla povertà Il mezzo più importante per garantire la sussistenza è il reddito da lavoro. La maggior parte degli adulti in Svizzera riesce a finanziare il proprio sostentamento mediante un lavoro retribuito. Ma ci sono sempre più persone alle quali questa possibilità è preclusa, perché sono escluse dal mercato del lavoro o la loro attività non è sufficientemente remunerata. I soggetti con qualifiche non (più) sufficienti, non (più) richieste o non riconosciute hanno sempre più difficoltà a trovare un impiego. Questo, da un lato, per le crescenti richieste in materia di competenze dei lavoratori e, dall’altro, perché a volte i datori di lavoro non sono disposti a investire nell’integrazione e nella formazione continua dei loro dipendenti. Le persone senza una formazione post-obbligatoria sono maggiormente esposte al rischio di diventare disoccupati di lunga durata rispetto a quelle con qualifiche più elevate. Anche per i lavoratori anziani è sempre più difficile rientrare nel mercato del lavoro dopo aver perso l’impiego. Il numero dei disoccupati di lunga durata è aumentato nettamente nell’ultimo decennio. Sempre più persone restano disoccupate per mesi, se non addirittura per anni. E la crisi del coronavirus non ha fatto altro che consolidare ancora di più questo andamento. Il Parlamento federale ha in sostanza riconosciuto la difficile situazione dei disoccupati anziani. Dall’estate del 2021, i disoccupati ultrasessantenni ricevono prestazioni transitorie che garantiscono il fabbisogno vitale fino al raggiungimento dell’età di pensionamento. Tuttavia, a causa dei rigorosi criteri applicati per la determinazione del limite di età e della sostanza, solo una piccola parte dei disoccupati di lunga durata più anziani riceve questa prestazione.

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Ma anche chi percepisce un reddito da lavoro non sempre riesce ad assicurarsi il proprio sostentamento. Secondo l’Ufficio federale di statistica, nel 2019 si contavano 155 000 lavoratori poveri (working poor). Si tratta di persone con un salario troppo basso o che non riescono a generare un reddito sufficiente perché lavorano poche ore a settimana. La quota dei soggetti sottoccupati, ossia che lavorano involontariamente a tempo parziale, è aumentata significativamente nell’ultimo decennio. Il fenomeno della sottoccupazione interessa maggiormente le donne. Nel raffronto europeo, la Svizzera registra non solo il tasso di sottoccupazione più elevato, pari al 7,5 per cento delle persone attive, ma anche la maggiore differenza tra donne e uomini: nel nostro Paese, infatti, il numero di donne sottoccupate è tre volte superiore a quello degli uomini. La differenza tra i sessi è ampia anche nell’ambito delle retribuzioni basse: nel 2018, le donne con uno stipendio basso (quasi il 17 per cento) erano due volte più numerose degli uomini. Infine, anche le persone che lavorano su richiesta o a ore percepiscono difficilmente un reddito sufficiente per vivere. La maggior parte di questi soggetti non ha un numero minimo di ore lavorative garantito e deve comunque tenersi sempre a disposizione. Il loro salario varia da mese a mese. Questo significa che non sono mai sicuri di riuscire a pagare l’affitto e altre spese fisse nel mese successivo. In una categoria analoga rientrano anche i lavori di pulizia e di consegna a domicilio, per i quali le aziende si limitano a offrire il lavoro tramite piattaforme online ma non agiscono come datori di lavoro (economia delle piattaforme). La pandemia ha accelerato la tendenza verso condizioni di lavoro precarie e instabili che offrono ai datori di lavoro la massima flessibilità possibile e la possibilità di ridurre rapidamente i costi salariali in periodi di crisi. E allo stesso tempo, molte persone le accettano perché hanno urgentemente bisogno di un’entrata. Un lavoro dignitoso per tutti Il lavoro significa ben più che «ricevere un salario». Il lavoro dà un senso alla vita e favorisce l’integrazione sociale. Pertanto, tutte le persone dovrebbero, nella misura del possibile, poter partecipare al mercato del lavoro e contribuirvi con le proprie capacità e i propri interessi. Nella nostra società il lavoro sostanzialmente non manca. La questione riguarda piuttosto la distribuzione del lavoro, la sua qualità e la sua (sufficiente) retribuzione.


Il nostro obiettivo è di fare in modo che tutte le persone in Svizzera possano svolgere un lavoro adeguato. Il diritto a un lavoro «adeguato» o «dignitoso» è costituito nella Dichiarazione universale dei diritti umani (art. 23). Ciononostante, la Svizzera lo ha sancito anche nella Costituzione federale (art. 41 lett. d) e lo ha riaffermato con la sottoscrizione dell’Agenda 2030 (OSS 8). Secondo queste fonti, un lavoro dignitoso significa una retribuzione adeguata, orari di lavoro dignitosi e favorevoli alle famiglie nonché sicurezza sociale. Un lavoro dignitoso significa però anche prendere sul serio i lavoratori e tenere conto della loro motivazione e delle loro qualifiche.

In Svizzera devono essere versati salari che siano sufficienti per vivere. Per questo, da un lato, si rende necessaria l’introduzione di un salario minimo legale a livello nazionale e, dall’altro, i datori di lavoro devono offrire modelli di lavoro con retribuzioni che garantiscano la sussistenza e una sicurezza sociale sufficiente. Questo si applica anche al lavoro a tempo parziale.

La promozione del lavoro a tempo parziale con un reddito che copre il fabbisogno di base costituisce inoltre un contributo importante per consentire al maggior numero possibile di persone di partecipare al mercato del lavoro: la distribuzione del lavoro tra più persone, infatti, migliora la conciliabilità tra famiglia e lavoro (cfr. anche: Conciliabilità tra famiglia e vita professionale). Oggi il valore di un lavoro viene misurato principalmente in base alla sua creazione di valore. Come la crisi del coronavirus ha più volte evidenziato, esistono numerosi lavori che non sono considerati produttivi, ma che risultano particolarmente preziosi per la collettività e centrali per il funzionamento di una società (sistemicamente importanti). Oltre alle attività nel settore dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria, questi includono in particolare le attività nel settore Care, ovvero l’assistenza e la cura di minori e altre persone bisognose di sostegno. Si tratta di lavori incentrati sull’essere umano, che spesso vengono svolti da donne, sono poco valorizzati e mal retribuiti. Questa situazione va cambiata con urgenza.

I criteri per la retribuzione lavorativa vanno ripensati. Le attività che assicurano i bisogni di base delle persone, e che quindi contribuiscono in modo decisivo alla coesione sociale, devono essere considerate come particolarmente preziose.

Nel contesto dell’integrazione professionale, un lavoro dignitoso significa anche non obbligare le persone a seguire programmi occupazionali inutili. Occorre piuttosto elaborare le prospettive insieme agli interessati, tenendo conto delle loro capacità e dei loro interessi, favorire misure educative in caso di bisogno e sostenere la ricerca di un lavoro adeguato (cfr. anche: Opportunità educative). Va inoltre semplificato il riconoscimento delle qualifiche acquisite all’estero.

Esempio pratico Nell’ambito del progetto pilota FokusArbeit promosso dalla città di Bienne, i beneficiari dell’aiuto sociale sviluppano delle prospettive in gruppi formati con gli altri partecipanti sull’arco di più settimane. La possibilità di riprendere in mano il proprio destino e di condividere la situazione personale con altre persone consente loro di rafforzare la motivazione e le principali competenze di base. Il progetto funge da integrazione ai servizi di consulenza e di sostegno individuale e mira a coinvolgere, nella misura del possibile, tutti i beneficiari dell’assistenza sociale.

Garantire la sussistenza a tutti a livello di prestazioni complementari In realtà l’attività lavorativa non protegge sempre, o protegge sempre meno, dalla povertà. Va inoltre considerato che ci sono anche persone che non possono lavorare (temporaneamente), ad esempio perché hanno limitazioni dovute a ragioni di salute o sono impegnate in compiti di assistenza. In Svizzera esistono diverse assicurazioni e prestazioni sociali che in questi casi garantiscono il sostegno necessario a tutte le persone che vivono nel nostro Paese. La pandemia ha tuttavia evidenziato che il sistema di sicurezza sociale presenta delle lacune e non protegge tutte le persone dalla povertà in tutte le situazioni. Le prestazioni attuali sono a volte troppo basse. Le prestazioni dell’assicurazione contro la disoccupazione corrispondono al 70 o all’80 per cento dell’ultimo reddito, a seconda della situazione individuale. Anche l’indennità per lavoro ridotto ammonta di norma all’80 per cento dello stipendio. Du-

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rante la crisi del coronavirus questa indennità è stata estesa al 100 per cento del reddito computabile per i lavoratori con un reddito modesto. Tale aumento è però temporaneo e il limite è molto basso.

più stretto tra statuto di dimora e garanzia della sussistenza induce quindi molti stranieri a rinunciare agli aiuti sociali per paura di perdere il permesso di soggiorno.

Una perdita di reddito del 20 per cento può costituire una minaccia per l’esistenza delle famiglie con salari esigui. Inoltre, le componenti del reddito non assicurate, come ad esempio le mance in alcuni settori a bassa remunerazione, costituiscono una parte rilevante del guadagno. Se quest’ultima viene a mancare, la situazione reddituale peggiora sensibilmente malgrado il versamento delle indennità giornaliere.

Non è la nazionalità che stabilisce se una persona dispone o meno di mezzi sufficienti per vivere in Svizzera. Il legame giuridico tra statuto di dimora e garanzia della sussistenza deve essere abolito immediatamente.

In futuro, le prestazioni dell’assicurazione contro la disoccupazione dovranno corrispondere in ogni caso almeno al livello delle prestazioni complementari all’AVS e all’AI. È intollerabile che le indennità di disoccupazione non riescano a garantire il sostentamento di una parte degli assicurati.

Il fabbisogno di base nell’assistenza sociale ha subito una netta diminuzione in termini reali dall’inizio del millennio e oggi è così basso che i beneficiari devono risparmiare sui beni di prima necessità come il cibo. In alcuni casi, le spese vitali sono coperte anche dalle cosiddette prestazioni circostanziali. La determinazione delle spese sostenute varia però da Cantone a Cantone. Inoltre, la decisione di erogare o meno le prestazioni circostanziali è, in una certa misura, a discrezione dell’autorità competente. Le prestazioni sono a un livello così basso perché l’aiuto sociale era originariamente inteso come misura transitoria a breve termine per far fronte alle situazioni di bisogno. Oggi, invece, provvedono al fabbisogno vitale di sempre più persone per un lungo periodo, e a volte per anni. Ma un importo di base basso non garantisce i mezzi di sussistenza e ai beneficiari dell’assistenza sociale viene di fatto negata la possibilità di partecipare alla vita sociale. L’accesso alle prestazioni è inoltre limitato per certi gruppi di persone e forme di lavoro. Chi lavora su chiamata oppure offre i propri servizi attraverso una piattaforma, nonché i lavoratori autonomi non hanno diritto, o soltanto in parte, alle indennità di disoccupazione. I sans-papiers non possono accedere all’intero sistema di sicurezza sociale perché non dispongono di uno statuto di dimora regolare. E le persone senza passaporto svizzero in possesso di un permesso di soggiorno si vedono negare, non per legge ma di fatto, il diritto alla garanzia dei mezzi di sussistenza: il legame sempre

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Alla fine, i soggetti bisognosi di aiuto passano da un servizio di sostegno sociale all’altro e questo genera controversie quando si tratta di definire le responsabilità e l’assunzione del finanziamento. Le misure di risparmio adottate nelle prestazioni anteposte comportano regolarmente un trasferimento di persone e di costi nell’aiuto sociale. Le problematiche menzionate evidenziano che il nostro sistema di sicurezza sociale presenta delle lacune e che in alcuni casi le prestazioni non garantiscono l’esistenza.

Invece di operare singoli correttivi e creare così nuovi problemi altrove, occorre cambiare radicalmente il sistema, ovvero introdurre una prestazione legata al bisogno che copra il minimo vitale, nonché un’offerta di sostegno e consulenza da un’unica fonte per tutte le persone il cui reddito non è sufficiente a coprire il fabbisogno vitale. E questo a prescindere da quale sia la ragione per cui un soggetto percepisce un reddito insufficiente – compiti di assistenza, invalidità, malattia, disoccupazione, salario troppo basso o altro – come pure a prescindere dalla situazione lavorativa e dallo statuto di dimora. L’importo della prestazione deve basarsi sul minimo esistenziale secondo le prestazioni complementari (PC) all’AVS e all’AI. La politica riconosce il fabbisogno vitale minimo secondo le PC come l’importo minimo di cui le famiglie hanno bisogno per vivere in Svizzera.

Quattro Cantoni hanno già introdotto le prestazioni complementari per le famiglie, uno strumento che ha permesso di ridurre significativamente il rischio di povertà tra i bambini e i giovani e migliorare durevolmente la situazione di molte economie domestiche in condizioni finanziarie ristrette. Tutte le famiglie in Svizzera dovrebbero poter beneficiare di questo modello che si è rivelato di successo.


Opportunità educative I dati sulla povertà dimostrano che esiste un legame diretto tra la mancanza di istruzione e la povertà. Le persone senza una formazione post-obbligatoria sono esposte a un rischio di povertà notevolmente maggiore rispetto a quelle con un diploma professionale o una formazione terziaria. Nel 2019, quasi una persona su sei che ha concluso solo la scuola dell’obbligo è stata colpita dalla povertà. Per i soggetti con una formazione professionale di base o terziaria, il rapporto era di uno su dieci rispettivamente uno su 16. Una situazione analoga è presente anche nell’aiuto sociale: quasi la metà degli adulti beneficiari non ha ottenuto un diploma professionale. L’istruzione riveste pertanto un ruolo chiave nella prevenzione della povertà. Tuttavia, il sistema educativo svizzero non riduce le disuguaglianze sociali, ma piuttosto le rafforza. Diversi studi condotti negli ultimi anni indicano che il successo scolastico in Svizzera dipende fortemente dal reddito e dal livello di istruzione dei genitori e che la mobilità nazionale nella formazione è bassa anche nel confronto internazionale. Il sostegno alla prima infanzia è decisivo per le opportunità educative Le pari opportunità non sono (più) garantite già all’inizio della scuola dell’infanzia. I bambini provenienti da famiglie socialmente svantaggiate hanno minori opportunità di partenza rispetto a quelli provenienti da famiglie privilegiate e istruite. Spesso non hanno la possibilità di muoversi a sufficienza, di scoprire e di sperimentare sotto la guida di una persona adulta. I primi anni di vita sono fondamentali per lo sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo del bambino. I ritardi nello sviluppo, che diventano evidenti all’inizio dell’asilo, di solito non possono più essere recuperati durante il percorso scolastico. Il sostegno alla prima infanzia ha un ruolo particolarmente importante nel miglioramento delle opportunità educative e quindi nella prevenzione della povertà. Negli ultimi anni, molti Cantoni e Comuni hanno ampliato le offerte nel settore della formazione, dell’educazione e dell’accoglienza della prima infanzia, non da ultimo grazie agli incentivi finanziari (finora di durata limitata) della Confederazione. Questo contributo federale è prezioso. Tuttavia, per fornire un sostegno mirato ai bambini provenienti da famiglie socialmente svantaggiate e aumentare le loro possibilità di suc-

cesso nel percorso formativo, la Confederazione e i Cantoni devono investire in misura nettamente maggiore. In questo contesto, la Svizzera non brilla di certo nel confronto internazionale. Nel frattempo, è stato sufficientemente dimostrato che gli investimenti nella prima infanzia sono utili non solo per la società, ma hanno anche un senso economico. I principali beneficiari di un’offerta di assistenza extrafamiliare di buona qualità sono in primo luogo i bambini provenienti da famiglie socialmente svantaggiate. Anche il Consiglio federale lo ha ribadito più volte, di recente nel suo rapporto sulla politica della prima infanzia. Oggi, però, sono principalmente le famiglie benestanti ad avvalersi di questi servizi. Secondo l’UNICEF, in Svizzera queste offerte sono utilizzate dal 64 per cento dei genitori con un reddito elevato, contro solo il 25 per cento dei genitori con un reddito modesto. Per le famiglie a basso reddito gli ostacoli sono notevoli: da un lato, le offerte sono spesso troppo care e, dall’altro, non rispondono sufficientemente alle esigenze dei genitori o non sono accessibili (cfr. anche: Conciliabilità tra famiglia e vita professionale). Nel quadro dell’Agenda 2030 dell’ONU, la Svizzera si è impegnata a garantire a tutti i bambini l’accesso a un’istruzione e a un’offerta di assistenza di qualità durante la prima infanzia (OSS 4.2). Siamo però ancora ben lungi dall’aver raggiunto questo obiettivo.

L’istruzione per la prima infanzia deve essere riconosciuta come parte del mandato di formazione pubblico e va sostenuta in maniera significativa dallo Stato. Solo in questo modo viene garantita la possibilità a tutti i bambini in tutta la Svizzera di beneficiare sin dalla nascita di un’offerta di assistenza complementare alla famiglia di buona qualità.

La mancanza di formazione professionale rappresenta un grosso fattore di rischio di povertà Come dimostrato in precedenza, la mancanza di una formazione professionale è uno dei maggiori rischi legati alla povertà in Svizzera. Per questo, l’obiettivo della politica della formazione della Confederazione e dei Cantoni, secondo cui il maggior numero possibile di giovani e giovani adulti (più del 95 per cento) dovrebbe possedere un titolo di studio post-obbligatorio, è di centrale importanza. Il passaggio dalla scuola al mondo del lavoro risulta però particolarmente difficile per i

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giovani socialmente svantaggiati. Negli ultimi decenni, tutti i Cantoni hanno allestito una serie di misure di accompagnamento per il passaggio dalla scuola dell’obbligo alla formazione professionale e dalla prima formazione alla vita lavorativa. Tuttavia, le offerte non sono ancora coordinate in modo adeguato ovunque e in alcuni casi sono insufficienti. Questo vale in special modo per i giovani che interrompono gli studi e i giovani adulti con responsabilità familiari. Inoltre, gli incentivi per i giovani e i giovani adulti beneficiari dell’aiuto sociale non sono stati fissati in modo corretto: le opportunità di rendersi rapidamente indipendente dall’aiuto sociale sono infatti solitamente più elevate se si accetta un lavoro poco qualificato anziché un apprendistato.

Affinché la formazione diventi l’opzione più allettante per gli adolescenti e i giovani adulti senza titolo di studio, è essenziale non solo finanziare la formazione, ma anche coprire i costi per il mantenimento del tenore di vita. Nella maggior parte dei casi, le borse di studio o i sussidi per la formazione elargiti dai Cantoni non garantisco le necessità di base.

Anche gli adulti che intraprendono una formazione professionale sono confrontati con problemi simili. Il salario di un apprendista solitamente non basta per coprire il fabbisogno vitale individuale, figuriamoci quello di un’intera famiglia. Nel quadro dell’iniziativa «Formazione professionale 2030», lanciata congiuntamente dai partner della formazione professionale, si sta pertanto esaminando in che modo i Cantoni possono contribuire ai cosiddetti costi di formazione indiretti sostenuti dagli adulti nell’ambito della formazione professionale di base.

L’accesso a borse di studio sufficienti a coprire il fabbisogno vitale deve essere garantito a tutti i giovani e a tutte le persone in età lavorativa che intraprendono una prima formazione, una formazione di recupero, una riqualificazione o un perfezionamento. Le borse di studio devono finanziare anche le spese per il sostentamento dei figli a carico del beneficiario.

Esempi pratici Nel 2006 il Canton Vaud ha lanciato FORJAD, un progetto che consente ai giovani adulti di ottenere una borsa di studio per finanziare i costi di formazione e di sostentamento. I partecipanti sono inoltre seguiti passo passo da un servizio di Case Management. Il programma vodese si è dimostrato efficace: nel corso del primo decennio, due terzi dei giovani adulti beneficiari hanno infatti completato con successo la loro formazione. Dal 2012 è accessibile anche agli adulti a partire dai 25 anni (FORMAD). Oltre a un aiuto per la formazione professionale classica, i partecipanti ricevono un sostegno anche per le formazioni professionali abbreviate con l’ottenimento di un certificato e la validazione degli apprendimenti acquisiti. Nel Cantone di Basilea Città, il progetto «Enter» (momentaneamente di durata limitata) è indirizzato ai beneficiari dell’aiuto sociale oltre i 25 anni di età che non hanno un diploma professionale e sono motivati a ottenerne uno. Il Case Management della formazione professionale cantonale li sostiene nella ricerca di un impiego e li accompagna lungo il percorso formativo. È inoltre previsto il rilascio di borse di studio.

La formazione continua consolida le differenze a livello educativo Negli ultimi decenni il mercato del lavoro ha subito profondi mutamenti a causa della globalizzazione. La digitalizzazione, la crisi climatica e la pandemia andranno probabilmente a rafforzare e ad accelerare questa tendenza. I cambiamenti strutturali comportano innanzitutto nuove esigenze in materia di competenze. La richiesta di lavoratori ben qualificati è cresciuta sensibilmente, mentre le persone meno qualificate hanno sempre più difficoltà a trovare un impiego. I lavoratori devono inoltre essere pronti e in grado di adattarsi costantemente ai nuovi requisiti. La formazione continua assume quindi un’importanza sempre maggiore. Oggi tendono a perfezionarsi professionalmente coloro che hanno già un buon livello di istruzione. Le attività legate alla formazione continua e le ore ivi investite aumentano a seconda del grado di istruzione. Tuttavia, la necessità di formazione continua sarebbe più urgente per le persone senza una formazione post-obbligatoria. Oltre al tempo e al denaro, però, spesso manca loro il sostegno del datore di lavoro. A ciò si aggiunge il fatto che molte persone in Svizzera non dispongono nemmeno delle competenze di base che costituiscono un presupposto fondamentale per l’apprendimento permanente. Le stime parlano di 800 000 adulti con un livello di alfabetizzazione insufficiente. Oltre 400 000 persone hanno

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difficoltà a risolvere semplici calcoli matematici. E le competenze in materia di utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) di circa 1,5 milioni di adulti tra i 16 e i 65 anni sono scarse se non addirittura nulle. Oggi queste competenze sono fondamentali sia nel mercato del lavoro che per la partecipazione sociale, poiché molte attività e processi si svolgono solo online (partecipazione digitale). Alcuni Cantoni si sono già attivati nella promozione delle competenze digitali potenziando le offerte degli uffici regionali di collocamento. Anche il Consiglio federale ha riconosciuto la necessità d’intervento. In base alla legge federale sulla formazione continua, entrata in vigore nel 2017, intende promuovere l’acquisizione di competenze di base e migliorare le condizioni quadro per la formazione professionale continua. L’impegno finanziario della Confederazione presuppone tuttavia un contributo perlomeno uguale da parte dei Cantoni, che al momento hanno l’obbligo di mettere a disposizione i mezzi necessari per la promozione delle competenze di base.

La Confederazione e i Cantoni hanno la responsabilità di garantire la continuità delle opportunità educative. L’impegno dei datori di lavoro è però altresì cruciale per favorire l’accesso delle persone poco qualificate alle offerte di formazione commisurate al bisogno. Devono concedere ai propri dipendenti l’opportunità di fruire di corsi di formazione idonei durante il tempo di lavoro e sostenerli anche dal punto di vista finanziario. Questo vale specialmente per i lavoratori a tempo parziale con responsabilità familiari. Anch’essi devono poter beneficiare delle offerte di formazione continua senza dover sostenere costi aggiuntivi.

Infine, anche l’assicurazione contro la disoccupazione e l’assistenza sociale giocano un ruolo importante nell’ambito dell’acquisizione delle competenze di base nonché della formazione di recupero o della formazione continua. Tuttavia, poiché entrambe le istituzioni hanno il compito di (re)integrare quanto prima i disoccupati nel mercato del lavoro, le offerte di formazione vengono promosse con discrezione e solo in casi specifici, costringendo gli interessati ad accettare lavori precari e impedendo loro di aumentare le possibilità di trovare un impiego durevole. L’offensiva di formazione continua lanciata dalla Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale (COSAS) e dalla Federazione svizzera per la formazione continua (SVEB / FSEA) chiede di operare un cambiamento di paradigma, passando dal principio della reintegrazione rapida

a un’integrazione lavorativa sostenibile. I beneficiari dell’aiuto sociale devono in primo luogo avere l’opportunità di colmare le loro lacune a livello formativo. Si tratta di un’iniziativa assai apprezzabile.

L’attenzione focalizzata sulla formazione invece che su un’integrazione rapida nel mercato del lavoro deve essere applicata con rigore nell’aiuto sociale. Il mandato dell’assicurazione contro la disoccupazione va altresì adeguato di conseguenza. Inoltre, anche i lavoratori autonomi o i disoccupati che non ricevono prestazioni finanziarie devono poter beneficiare di misure di formazione.

Conciliabilità tra famiglia e vita professionale In Svizzera, la formazione di una famiglia non rappresenta di per sé un rischio di povertà. In alcune circostanze, tuttavia, avere dei figli può condurre alla povertà o consolidare una situazione di povertà già esistente. I nuclei monoparentali e le famiglie numerose sono tra i gruppi di popolazione più colpiti dalla povertà. Secondo l’Ufficio federale di statistica, nel 2019, 115 000 bambini vivevano in condizioni di povertà e quasi un bambino su cinque era a rischio di povertà in Svizzera. Va considerato che queste cifre risalgono al periodo precedente la crisi del coronavirus. Minore è l’età dei figli, maggiore è il rischio di povertà per le famiglie. I bambini piccoli necessitano di molta assistenza e questo limita la possibilità per i genitori di svolgere un’attività lucrativa. È quindi fondamentale che i genitori possano accedere alle offerte di assistenza all’infanzia complementari alla famiglia. Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, questi servizi sono comunque costosi e i sussidi erogati dalla maggior parte dei Cantoni e dei Comuni tuttora limitati (cfr. anche: Opportunità educative). Inoltre, gli orari di apertura degli asili nido corrispondono grosso modo a quelli degli uffici e questo sfavorisce i genitori che lavorano a orari irregolari o a turni. Molte famiglie a basso reddito, in special modo i nuclei monoparentali, non possono permettersi l’asilo nido o non hanno accesso a un’offerta commisurata alle loro esigenze e di buona qualità. Senza il sostegno della cerchia familiare o di conoscenti non possono lavorare o lo possono fare solo a una percentuale ridotta. E questo significa a sua volta guadagnare poco. Un circolo vizioso difficile da spezzare. 11


Affinché ogni genitore abbia la possibilità di lavorare un numero sufficiente di ore, è necessaria un’offerta di assistenza all’infanzia complementare alla famiglia e alla scuola che sia completa, di buona qualità, accessibile e finanziariamente sostenibile. I sussidi pubblici devono essere notevolmente potenziati e coprire la totalità dei costi almeno per le famiglie a basso reddito.

Per favorire la conciliabilità tra famiglia e professione non bastano però solo le strutture di custodia a livello nazionale. Anche le condizioni di lavoro favorevoli alla famiglia sono di importanza centrale, ma queste restano un privilegio riservato alle famiglie benestanti. Il numero delle persone con una formazione terziaria che beneficiano di orari di lavoro flessibili è superiore di oltre il doppio rispetto a quello delle persone senza una formazione post-obbligatoria. Gli impiegati del settore terziario e della vendita così come quelli non qualificati possono modificare molto più raramente l’orario di inizio e fine lavoro per motivi familiari rispetto a quelli che lavorano in ambito scientifico e ai dirigenti.

I datori di lavoro sono chiamati a riconoscere l’assistenza all’infanzia e ai familiari bisognosi di cure come un compito sociale fondamentale e a offrire modelli di lavoro compatibili con il lavoro di assistenza e cura per tutte le classi di stipendio e i profili professionali.

La mancanza di conciliabilità tra famiglia e lavoro ha conseguenze anche in età avanzata. In molte famiglie solitamente è la madre che riduce la percentuale lavorativa. Circa il 60 per cento delle donne con compiti di assistenza lavora a tempo parziale, di cui un quarto ha un grado di occupazione inferiore al 50 per cento. Quasi un quinto delle donne non esercita un’attività lucrativa. La quota degli uomini con responsabilità di assistenza e che lavorano a tempo parziale si attesta invece attorno al 12 per cento. Spesso le donne non attive professionalmente per un lungo periodo o che lavorano un numero ridotto di ore guadagnano troppo poco per potersi costituire una previdenza professionale. Un quarto delle donne in età pensionabile percepisce solo una rendita AVS e non ha diritto ad alcuna prestazione del secondo e terzo pilastro dopo il pensionamento. Molte ricevono unicamente una rendita minima e devono ricorrere alle prestazioni complementari. Questo riguarda quasi un

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sesto delle donne a partire dai 65 anni di età e quasi un quinto delle donne a partire dagli 80 anni di età. In tale contesto, occorre considerare che non tutti i pensionati percepiscono prestazioni complementari, anche se ne avrebbero diritto. Secondo uno studio condotto per il Cantone di Basilea Città, il tasso di non riscorso alle prestazioni complementari all’AVS è di circa il 30 per cento.

Diritto all’alloggio e all’assistenza sanitaria I costi per l’alloggio e i premi della cassa malati sono le due voci di spesa principali per le famiglie a basso reddito e stanno diventando un onere finanziario sempre più pesante. Questo mette ulteriormente in discussione la fornitura dei beni di prima necessita per le persone meno privilegiate. La carenza di alloggi accessibili è un problema irrisolto L’alloggio rappresenta di regola la spesa maggiore per le famiglie bisognose o a rischio di povertà. I prezzi degli affitti sono molto elevati soprattutto negli agglomerati urbani. Le famiglie più povere corrono il rischio di essere allontanate dalle città e questo genera spesso un aumento dei costi per la mobilità e rafforza l’esclusione sociale. Siccome una gran parte del reddito disponibile è destinata al pagamento dell’affitto, le famiglie con un budget ridotto devono ridurre notevolmente l’acquisto di altri prodotti per l’uso quotidiano. Molte persone rinunciano ad esempio a un’alimentazione sana o alle prestazioni sanitarie. Ogni minima variazione a livello di reddito può sconvolgere il bilancio familiare. Durante l’emergenza sanitaria molte famiglie con un reddito modesto non riuscivano più a pagare l’affitto perché la loro situazione reddituale era peggiorata. Molte persone vivono nella costante paura di perdere il posto di lavoro.

La promozione di alloggi a prezzi accessibili e di buona qualità nelle città è un compito urgente. I Cantoni e i Comuni dispongono di varie opzioni in questo senso: possono prescrivere una quota minima di alloggi accessibili tramite disposizioni a livello pianificatorio o di legge oppure creare incentivi finanziari. Un’altra possibilità è quella di promuovere la costruzione di abitazioni di utilità pubblica tramite sovvenzioni per l’acquisto di fondi o proprietà.


In alcuni casi, tuttavia, non si tratta solo di mancanza di offerta. Le persone che vivono in condizioni precarie hanno spesso difficoltà a trovare un alloggio adeguato perché non hanno una rete di contatti, che è importante specialmente in caso di carenza di alloggi. In aggiunta, il pagamento del deposito cauzionale di un mese rappresenta già una grande sfida per numerose famiglie a basso reddito e in molte città il deposito ammonta al limite massimo legale di tre mensilità.

La sola promozione di spazi abitativi a prezzi accessibili non è sufficiente. L’accesso all’alloggio deve essere facilitato anche alle economie domestiche con un margine di manovra finanziario limitato e non solo a quelle che ricevono prestazioni in caso di necessità come l’assistenza sociale. Le offerte che sostengono le famiglie socialmente svantaggiate nella ricerca di un alloggio e l’assunzione di garanzie vanno promosse dallo Stato.

Esempio pratico Su incarico della città di Zurigo, la Fondazione Domicil offre servizi di intermediazione di alloggi a prezzi accessibili per persone socialmente svantaggiate e risponde solidalmente per fornire una garanzia finanziaria ai proprietari. Nella Svizzera nordoccidentale, il Fondo di solidarietà della Fondazione Edith Maryon si fa carico dei depositi cauzionali e delle garanzie di affitto per le persone in ristrettezze finanziarie.

A causa dei prezzi elevati degli affitti nelle regioni urbane, le persone indigenti vivono sovente in vecchi appartamenti in pessimo stato e in posizione sfavorevole, ad esempio con una scarsa isolazione, la presenza di muffa, un inquinamento acustico elevato, lontano dagli spazi verdi o in prossimità di strade trafficate. Inoltre, le condizioni abitative sono il più delle volte molto anguste. Secondo il Rapporto nazionale sulla salute 2020, ben l’83 per cento delle famiglie colpite dalla povertà e il 57 per cento delle famiglie in situazione precaria non dispongono di un alloggio adeguato. I bambini e i giovani indigenti percepiscono la situazione abitativa precaria come il problema maggiore nella loro vita; non hanno un posto dove stare da soli e in taluni casi crescono in un contesto caratterizzato da vandalismo e criminalità.

Ridurre significativamente l’onere dei costi sanitari Anche i costi per la salute incidono sempre di più sulle finanze delle categorie a basso reddito. Dall’introduzione dell’attuale legge federale sull’assicurazione malattia (LAMal) nel 1996, la media dei premi è più che raddoppiata. Siccome i premi della cassa malati non sono stabiliti in funzione del reddito, l’onere che ne deriva grava maggiormente sulle famiglie a basso reddito. Allo stesso tempo, sia la riduzione compensativa dei premi individuali che i salari sono aumentati in misura minore. Molte famiglie in condizioni modeste non riescono quasi più a pagare i premi della cassa malati. Nel 2019, ad esempio, circa il 14 per cento delle economie domestiche nel quintile di reddito più basso ha ammesso di essere in ritardo con il pagamento dei premi. L’accesso ai servizi sanitari di base in Svizzera è nel complesso buono e sostanzialmente garantito a tutti. Ciò malgrado, le pari opportunità nel campo della salute non sono date. Questo è dovuto non solo, ma in gran parte, ai costi. Molte persone con un budget limitato rinunciano alle prestazioni sanitarie necessarie perché già il costo della franchigia del dieci per cento supera le loro possibilità finanziarie. Inoltre, molti scelgono una franchigia elevata per risparmiare sui premi. In caso di grave malattia, tuttavia, non riescono a far fronte alle spese mediche e sono costretti a indebitarsi. Le economie domestiche a basso reddito che non beneficiano di prestazioni sociali in funzione del bisogno non riescono più a sostenere i costi per la salute, in particolare quelli per i premi della cassa malati. Oggi, le famiglie nel quintile di reddito più basso spendono in media più del 14 per cento del reddito disponibile per i premi dell’assicurazione di base. Se si considerano anche i premi per le assicurazioni complementari, il tasso supera addirittura il 16 per cento. L’onere per un’economia domestica media corrisponde a circa la metà.

I costi per i premi della cassa malati vanno ridotti sensibilmente. Nel suo messaggio concernente la revisione dell’assicurazione malattia nel 1991, il Consiglio federale aveva stabilito che i premi dopo la riduzione non avrebbero dovuto superare l’8 per cento del reddito imponibile di un’economia domestica. Tale obiettivo deve diventare vincolante. Oltre a ciò, la franchigia non deve ostacolare il ricorso alle prestazioni mediche.

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Combattere la povertà in modo efficace grazie a obiettivi misurabili e dati affidabili La lotta alla povertà e la prevenzione della povertà sono un mandato costituzionale: la Costituzione federale stabilisce infatti che tutte le persone in Svizzera hanno diritto all’aiuto e all’assistenza in situazioni di bisogno (articolo 12). Essa obbliga la Confederazione e i Cantoni ad adoperarsi per garantire la sicurezza sociale a tutte le persone, la possibilità di lavorare in condizioni adeguate, la protezione e il sostegno delle famiglie e dei bambini, la disponibilità di un alloggio per tutti, l’istruzione dei giovani e la possibilità di proseguire la formazione per coloro che sono in età lavorativa (articolo 41). Con la sottoscrizione dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile nel 2015, la Svizzera si è altresì impegnata a ridurre almeno della metà la povertà entro il 2030 (OSS 1.2), a garantire la parità di accesso al lavoro (OSS 8), all’istruzione (OSS 4) e alla salute (OSS 3) e a ridurre le disuguaglianze (OSS 10). Negli ultimi anni il Consiglio federale ha sottolineato più volte la necessità d’intervento nell’ambito della lotta alla povertà, ad esempio nel rapporto finale del Programma nazionale di prevenzione e lotta alla povertà 2014 – 2018 o più di recente nella sua Strategia per uno sviluppo sostenibile 2030. In entrambi vengono puntualizzate ancora una volta le sfide principali: il cambiamento strutturale del mercato del lavoro dovuto alla digitalizzazione e le crescenti difficoltà delle persone poco qualificate per conquistarsi una posizione durevole nel mercato del lavoro; la disparità di accesso a uno stile di vita che promuova un buono stato di salute e alle prestazioni mediche a causa dei costi elevati; l’importanza di un’offerta di alloggi a prezzi accessibili così come gli svantaggi strutturali tuttora esistenti nel sistema educativo. Tuttavia, a oggi, mancano ancora obiettivi concreti e quantificati in materia di lotta alla povertà validi per tutta la Svizzera. La Strategia per uno sviluppo sostenibile 2030 stabilisce una riduzione del tasso di povertà entro il 2030. Di quanto, però, non si sa. Eppure, l’obiettivo di ridurre almeno della metà la povertà in Svizzera è stato fissato da tempo nell’Agenda 2030 dell’ONU.

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Occorre una strategia di lotta alla povertà a livello nazionale La Confederazione, i Cantoni, i Comuni, il mondo economico e la società civile devono intensificare considerevolmente gli sforzi per prevenire e combattere la povertà e fare fronte comune. Caritas chiede da anni una strategia nazionale contro la povertà volta a garantire i mezzi di sussistenza e la partecipazione sociale a tutte le persone in Svizzera. Una strategia nazionale contro la povertà deve concentrare maggiormente l’attenzione sulla prevenzione della povertà. Questo significa in particolare eliminare tutte le barriere strutturali in termini di istruzione, mercato del lavoro, alloggio e salute che impediscono un accesso equo alle risorse e alle infrastrutture, come pure rafforzare il margine di manovra finanziario delle economie domestiche a basso reddito mediante un sostegno mirato. Questo è particolarmente importante anche per quanto riguarda una protezione del clima efficace: le misure necessarie e urgenti per ridurre le emissioni di gas serra non devono gravare ulteriormente sulle famiglie con budget modesti, ma devono offrire la possibilità di agire nel rispetto dell’ambiente. Infine, una strategia di lotta alla povertà deve definire obiettivi vincolanti e misurabili e stabilire provvedimenti concreti per raggiungerli. Solo una chiara formulazione degli obiettivi consente di verificare se le misure adottate raggiungono effettivamente l’effetto desiderato.

L’esempio del Cantone di Basilea Campagna Alla base della strategia di lotta alla povertà implementata dal Cantone di Basilea Campagna nel 2020 vi è una visione multidimensionale della povertà. Di conseguenza, sono stati definiti cinque settori di intervento – opportunità educative, integrazione nel mercato del lavoro, offerta di alloggi, partecipazione alla vita sociale e gestione della vita quotidiana nonché garanzia di un’esistenza sociale – per l’orientamento della politica in materia di lotta alla povertà in cui la prevenzione della povertà è tra le priorità principali. Per ogni settore sono menzionate le necessità di intervento e le corrispondenti misure, ma non gli obiettivi concreti e quantificati, per cui non è possibile verificare il successo dei provvedimenti adottati.


Il monitoraggio della povertà come base per la politica nazionale di lotta alla povertà Per definire obiettivi chiari in materia di politica di lotta alla povertà dobbiamo sapere quante persone sono colpite dalla povertà, quali sono le cause e di quali presupposti e prospettive di azione necessitano gli interessati. L’immagine che abbiamo oggi della situazione della povertà in Svizzera è però molto frammentaria. I dati sulla povertà pubblicati annualmente dall’Ufficio federale di statistica non possono essere analizzati a livello cantonale a causa delle dimensioni del campione. Una buona metà dei Cantoni pubblica più o meno regolarmente dati o rapporti sulla situazione finanziaria delle famiglie o sulla povertà, la cui qualità varia notevolmente perché poggiano su definizioni e dati diversi. Ciò significa che mancano informazioni rilevanti sulla situazione nei singoli Cantoni. Tuttavia, queste informazioni sarebbero estremamente importanti, perché la responsabilità per la lotta alla povertà spetta in primo luogo ai Cantoni. Le differenze nell’impostazione degli aiuti sociali sono di conseguenza grandi. Soprattutto nell’ambito della garanzia dei mezzi di sussistenza, i diritti e le prestazioni variano da Cantone a Cantone. Un’analisi della situazione della povertà in Svizzera e in particolare dell’impatto delle misure politiche e delle prestazioni sociali deve quindi essere effettuata necessariamente e in prima linea a livello cantonale.

Caritas Svizzera e la Scuola universitaria professionale di Berna hanno sviluppato un modello di monitoraggio della povertà che consente ai Cantoni di osservare, a intervalli regolari, la situazione e l’evoluzione della povertà su basi comparabili. Il modello poggia sui dati fiscali e altri dati disponibili e può essere implementato da tutti i Cantoni senza grandi sforzi. Alcuni di loro hanno già iniziato a introdurre un monitoraggio secondo tale modello. Il rapporto nazionale può fondarsi su questi sistemi cantonali di monitoraggio della povertà, come richiesto dal Parlamento federale. I dati e i rapporti cantonali sulla povertà sono un complemento ideale ai dati sulla povertà in Svizzera pubblicati annualmente dall’Ufficio federale di statistica. Solo combinando le analisi a livello federale e cantonale si potrà finalmente creare la necessaria e urgente panoramica sulla situazione della povertà in tutto il Paese. Questo quadro completo, basato su dati statistici affidabili, è il presupposto per una politica di lotta alla povertà lungimirante, efficace e sostenibile che mira a garantire a tutte le persone in Svizzera la possibilità di partecipare alla vita sociale. Una Svizzera senza povertà è possibile.

Il fatto che, in seguito alla pressione esercitata dalle Camere federali, il Consiglio federale abbia istituito ora un sistema nazionale di monitoraggio della povertà fa ben sperare. In questo modo, si assume la responsabilità in materia di politica di lotta alla povertà e assicura un’analisi coordinata a livello nazionale. L’attuazione di un monitoraggio nazionale della povertà non esime però i Cantoni dalla responsabilità di indagare la situazione della povertà sul loro territorio in modo completo, regolare e secondo criteri comuni.

Dicembre 2021 Autrice: Aline Masé, Servizio Politica sociale E-mail amase@caritas.ch, telefono 041 419 23 37 Al link www.caritas.ch/appello è possibile scaricare il presente documento di posizione e reperire ulteriori informazioni.

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«La prevenzione della povertà è il presupposto per una politica di lotta alla povertà lungimirante. Questo significa in primo luogo eliminare le cause strutturali della povertà»

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