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trimestrale di ricerca e documentazione artistica e culturale_inverno 2008
€.10,00 9 771824 899002
ItAlIcs
50016 ISSN 1824-8993
Focus sull’Arte PolAccA - 11. MostrA InternAzIonAle dI ArchItetturA
cArAvAggIo - collezIone MArAMottI MAn rAy - shozo shIMAMoto - BIll vIolA - rIchArd long - Penone John cAge e MIke BongIorno - creedence cleArwAter revIvAl I MultI unIversI e Il teMPo IMMAgInArIo - AreA 51
lABorAtorIo
I MultI unIversI
e Il
dI
MessAggI
teMPo IMMAgInArIo
Considerazioni di Pirofilo
Una bella opera d’Arte risuona anche con le forme contenute nelle sfere individuali degli altri esseri viventi, generando ordine e armonia. Tutto questo avviene, con grande probabilità, per risonanza con le forme superiori che fanno parte del patrimonio delle forme entro la nostra sfera.
Premessa
A
l momento attuale esistono sul mercato scientifico due ipotesi teoriche che possono essere di particolare importanza per concepire una piú chiara visione di carattere esistenziale dell’universo. tale nuova visione assume un significato un pó speciale soprattutto per quelli che interiormente aspirano alla trascendenza. cerchiamo di vedere insieme di cosa si tratta. la prima ipotesi riguarda l’esistenza di infiniti universi paralleli, mentre la seconda prende in esame la possibilità di esistenza di un tempo immaginario. Prese separatamente hanno un loro intrinseco valore di ipotesi scientifica. Ma, prese insieme, il loro valore aumenta vertiginosamente. senza entrare in dettagli, che possono essere trovati in alcuni libri di divulgazione, la prima ipotesi nasce dal fatto, indiscutibilmente riscontrato, dell’in-fluenza di un osservatore sui fenomeni osservati. esaminando l’ipotesi solo dal punto di vista della Fisica, essa può essere in un primo momento considerata come una semi stravaganza, utile agli addetti ai lavori. Il fatto che ogni osservazione generi un mondo parallelo specifico e irreversibile, uno fra gli infiniti possibili, potrebbe anche sembrare una comoda via di uscita per cercare di spiegare un tutto talvolta scomodo, accettando ogni osservazione come un atto entro una realtà potenziale fatta di infiniti mondi. ognuno dei mondi può prendere un’esistenza in atto in una manifestazione particolare, che inizia di fatto dall’osservazione e interpretazione di un evento. A partire da quel punto ogni mondo particolare evolve in funzione delle osservazioni degli eventi che susseguono, generando ogni volta un nuovo mondo individuale che dipende dalla prima osservazione fatta e da quelle susseguenti. ogni scelta o interpretazione iniziale determina un cono di tutte le relative future manifestazioni, che non consente di passare ad altri coni generati da osservazioni del medesimo evento effettuate però secondo differenti punti di vista. ogni mondo parallelo è perciò indipendente dagli altri coni e le rispettive successive evoluzioni divergono. Perciò, agli effetti pratici un osservatore non può sapere quali sarebbero state le conseguenze di una sua scelta diversa. Per questo ogni altra scelta di manifestazione prende un aspetto astrattamente irreale, dal momento che non diventa piú percorribile. e neanche realmente immaginabi-
le, e questo già dopo solo pochissimi eventi successivi. la seconda ipotesi, che sembra nasca dal tentativo di eliminare le singolarità al momento del Big Bang, considera l’esistenza di un tempo immaginario. si assume l’esistenza, relativamente al tempo, di uno Spazio globale complesso dove il tempo normale si trova sull’asse delle ascisse (come per i numeri reali), mentre il tempo immaginario si colloca nello spazio matematico circostante. come nel caso dei numeri immaginari un tale tempo non ha una realtà fisica ma solo esistenziale. un simile spazio, chiuso in se stesso come su una sfera, consentirebbe l’esistenza contemporanea degli infiniti mondi paralleli dei quali si è detto prima. risolverebbe anche altri problemi. oltre a molte altre cose veramente importanti delle quali cercheremo di parlare in seguito. siamo evidentemente al limite del comprensibile e forse del credibile. Anche se fossimo capaci di seguire le elucubrazioni matematiche alla base di tali ipotesi, saremmo sempre in grande difficoltà nel concepire, mediante ragionamenti normali, la nostra esistenza collocata in un simile universo globale. se proviamo a seguire le nostre normali regole della conoscenza, basate sulle cause e gli effetti, entriamo in un dedalo sconcertante di ragionamenti che non conducono a nulla di coerente, se non forse alla rinuncia da parte nostra del nostro fondamentale dovere di essere veramente liberi ricercatori. l’alternativa è una passiva rassegnazione intellettuale. la nostra propensione a considerare le manifestazioni degli eventi come sorgente primaria delle nostre elucubrazioni ci porta fatalmente all’impossibilità di risolvere razionalmente i quesiti di fondo. la conoscenza, come viene concepita allo stato attuale, non riesce a risolvere i conflitti della nostra esistenza. Parte perciò da presupposti errati. Molto diverse e assolutamente piú promettenti, invece, appaiono le cose se le consideriamo in una forma ribaltata. se abbandoniamo la manifestazione (Atto) come unica fonte di sorgente primaria ed obiettiva della nostra conoscenza e consideriamo, invece, la Potenza come unica fonte primaria legittima, allora le cose ci possono apparire sotto una luce estremamente convincente. Paradossalmente dobbiamo accettare l’immaterialità come unica solida base di partenza. 5
AreA 51
the dreAM lAnd di luca valeri
1968, la rivoluzione che parte dai Creedence: il revival di Alan Santarelli
Quarant’anni fa, nell’estate del concitato Sessantotto californiano, i Creedence Clearwater Revival aprono la via ad un successo musicale che li consacrerà nella Storia del Rock
Arte contemporanea in Polonia
Male, dunque bene di stach szablowski
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o stato dell’arte polacca è molto buono, oppure è molto cattivo. In Polonia i pareri in merito sono divergenti. si tratta piuttosto di una sorta di schizofrenia, di una coesistenza di entrambe le opinioni, come dimostra il caso del Museo d’Arte Moderna di varsavia. la decisione di creare questo centro è stata accolta come il maggiore successo istituzionale dell’ambiente artistico polacco dopo la caduta del comunismo. Per le dimensioni il Museo eguaglierà il louvre e la tate Modern. la sua ambizione sarà quella di essere un luogo chiave per il riesame della piú recente storia dell’arte dell’europa centrorientale, e anche per l’attuale discorso artistico nella regione. la sua collocazione è nella zona migliore del centro della capitale, in prossimità dell’edificio piú emblematico di varsavia: il Palazzo della cultura, la Disneyland stalinista del socialismo reale. già ora il Museo impegna la crema dei curatori polacchi. Per ora lavorano in una sede temporanea, in un locale di taglio modernista anticamente occupato da un negozio di mobili. la postazione è strategica: le finestre della sede temporanea danno sulla piazza dove sorgerà il futuro edificio; lo scenario piú ottimistico prevede che si riuscirà a terminare il museo nel 2012.
nella versione piú pessimistica sarà realizzato piú tardi. o forse non si farà affatto. la costruzione del Museo è stata promessa dalle piú alte autorità nazionali e locali. la volontà di costruire è forte, ma altrettanto forte – se non piú forte – è la volontà di non costruire. dapprima, con l’aiuto di assurde procedure, sono state cacciate dal concorso internazionale stelle dell’architettura mondiale come zaha hadid e eisenmann. Alla fine il concorso per il progetto di costruzione del Museo è stato vinto dallo svizzero christian kerez. Il vincitore in Polonia è dovuto passare sotto le forche caudine della burocrazia; il poveretto è dovuto volare a varsavia un giorno sí e uno no, si è sottoposto a interrogatori, ha cambiato, corretto e adattato, naturalmente peggiorando sempre di piú la propria situazione. Il vantaggioso sito, che avrebbe dovuto essere uno dei punti di forza del Museo, si è invece rivelato una palla al piede che spinge l’istituzione sul fondo della vistola. troppo tardi le autorità cittadine si sono ricordate che si tratta di un terreno di grande valore, per il quale è in corso un’aspra contesa: al tavolo da gioco siedono il mondo degli affari, gli investitori, i politici, gli speculatori edilizi.
tomasz Mroz, More And More, 2004-2005, installazione, silicone, mecchanismi, proiezione, carne, courtesy centro d’Arte contemporanea zamek ujzadowski, varsavia. nella pagina di sinistra: radek szlaga, Teamgeist, 2008, sculture in legno dipinto, courtesy centro d’Arte contemporanea zamek ujzadowski, varsavia
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l’architettura oltre il costruire di Massimo Palumbo
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a sfida. cosí PaoIo Baratta, presidente dell’ente Biennale, definisce l’undicesima edizione della Mostra Internazionale d’Architettura ed a venezia, quest’anno, non abbiamo trovato progetti o documentazione di edifici già esistenti. Quel che si è voluto fare è sfidare, andare oltre il costruire. ed è proprio Paolo Baratta a sottolineare quanto voluto dal curatore Aaron Betsky alla vigilia dell’apertura di questa Mostra: facciamo vedere Architettura, dopo aver chiarito che architettura non vuol dire realizzare un edificio ma dar vita allo spazio che ci circonda, quello immediatamente intorno a noi e quello della nostra vita sociale. Ed ancora il considerare l’architettura come volontà per un richiamo ad un piú completo umanesimo moderno: l’uomo, la sua vita, i suoi luoghi. c’è un messaggio laico positivo per la diaspora che abita le immense distese delle città-non città e l’invito è a non disperare anche se si è prigionieri nel vivere nel piú squallido sprawl. volevamo esserci a venezia. I motivi tanti: dal clamore per il ponte di calatrava non inaugurato ai segnali non tutti concordi tra i pro e i contro a questa biennale d’architetturaundicesima edizione… senza progetti. All’Arsenale, alle Artiglierie e lungo l’affascinante camminamento delle corderie non abbiamo trovato progetti o maquette di edifici realizzati o in costruzione, ma una lunga sequenza di installazioni. È il fare arte che ha preso il sopravvento sul fare architettura?! eravamo a venezia anche sull’onda degli echi diciamo non eccessivi e avevamo letto da qualche parte renato nicolini, l’assessore delle estati romane, che a proposito di echi della biennale veneziana di questi giorni dice: «…anche ad appoggiare l’orecchio per terra come i pellirossa, non se ne sentono troppi…». Bisognava verificare! e venezia come suo solito ci appare un pó umida, ma sempre animata da un’atmosfera di festa: stupore per un nuovo ponte, per una nuova mostra da scoprire e anche, ovviamente, per la Biennale inaugurata. cosí tra l’Arsenale e i giardini vediamo subito cosa troviamo di nuovo. 46
Aaron Betsky, (XXIII UIA World Congress of Architecture Torino 2008), foto daniele ratti, courtesy Fondazione la Biennale di venezia
out there: Architecture Beyond Building si legge un pó ovunque, raccogliere e incoraggiare la sperimentazione: quella delle strutture effimere, delle visioni di altri mondi o di prove tangibili di un mondo migliore: …C’è bisogno di icone e di enigmi per farci ragionare. Di esperimenti, di qualche struttura provvisoria, qualche schizzo e qualche mappa che ci indichi come muoverci al di là della costruzione e della costrizione degli edifici, per creare un’architettura che non risolva problemi, ma li ponga, li evidenzi e li articoli. Ci serve un’architettura che interroghi la realtà… ed è proprio questa la sfida di questa edizione. …Poiché l’architettura lavora nell’incontro tra visione e realtà, ed è immaginazione applicata all’organizzazione dei luoghi che abitiamo e che viviamo, ne segue che l’opera dell’architetto sta innanzitutto nel suo sperimentare ed immaginare. Betsky, il curatore della Mostra e attuale direttore del cincinnati Art Museum dice che «gli edifici sono la tomba dell’architettura, ciò che resta del desiderio di costruire un
ITALICS gli orizzonti dell’arte italiana fra 1968 e 2008 Venezia Palazzo Grassi di Marco Minuz
luciano Fabro, L’Italia d’oro, 1971, Bronzo dorato, 92×45 cm, collection ArtIs
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mesi che l’hanno preceduta sono stati caratterizzati da un’accessa polemica mediatica; si aveva solo una vaga idea delle precise scelte curatoriali che l’avrebbero animata eppure la mostra Italics era già diventato il luogo di un serrato confronto in grado di animare pagine di quotidiani. Il curatore Francesco Bonami era diventato bersaglio di numerose e vivaci critiche da parte di artisti, critici e storici dell’arte. non si trattava di semplici perplessità, bensí la preoccupazione di un revisionismo critico della storia e delle vicende dell’arte italiana del secondo dopoguerra, quelle vicende che hanno accompagnato e a volte anticipato il lento maturare dell’esperienza repubblicana del nostro paese. tutto questo avveniva quando le porte di Palazzo grassi erano ancora chiuse e dei contenuti della mostra si avevano solo frammentarie notizie. l’attesa inaugurazione di Italics ha permesso di confrontarsi direttamente con questa mostra che tante attese aveva suscitato. Il progetto espositivo innanzittutto è frutto della collaborazione fra il Museo d’Arte contemporanea di chicago, istituto dove Bonami riveste la carica di senior curator e il centro espositivo veneziano di Palazzo grassi presieduto dal collezionista francese François Pinault. la mostra era inizialmente stata pensata solo per il museo di chicago come lo stesso Bonami riferisce all’interno del catalogo. la mostra Italics è nata infatti tre anni fa quando l’allora direttore del Museo di Arte contemporanea di chicago, robert Fitzpatrick, stimolò Francesco Bonami a intraprendere un progetto finalizzato a leggere, con una visione globale e distaccata, la scena artistica italiana in questione. lo stesso titolo, suggerito dal direttore Fitzpatrick, rappresenta per il curatore la migliore sintesi per riassumere esattamente il suo progetto, ovvero far conoscere al pubblico statunitense una realtà, quella dell’arte italiana, spesso presentata in maniera frammentaria e incompleta. nasce pertanto solo successivamente l’opportunità di antici58
pare la mostra in America all’interno degli spazi espositivi di Palazzo grassi. È un elemento questo non trascurabile, fondamentale per analizzare la mostra; si tratta infatti di un progetto pensato ed organizzato proprio per rapportarsi in primis al contesto americano. non è un caso che venga preso come punto di riferimento la mostra di germano celant realizzata nel 1995 all’interno degli spazi del guggenheim Museum di new york. una retrospettiva che, anche grazie all’allestimento di gae Aulenti in grado di interrompere e scansionare la continuità degli spazi di wright, è riuscita a fare epoca e rendersi punto di riferimento per ulteriori approfondimenti. una mostra focalizzata in un periodo compreso fra il 1943 e il 1968 e finalizzata a far conoscere al contesto americano una situazione artistica prevalentemente sconosciuta, monopolizzata solo da figure come Fontana, Burri, Marini e da quei pochi artisti italiani che attraverso la mediazione di illuminati galleristi americani, in primis catherine viviano, erano riusciti ad affacciarsi e imporsi nel collezionismo americano. la mostra Italics prende avvio proprio dal 1968, dall’anno scelto da celant per concludere il suo progetto espositivo. Bonami decide di avviare la sua analisi proprio dall’istante in cui l’arte italiana diventa platealmente elemento partecipativo; l’anno in cui la contestazione si riflette nella 34ª Biennale d’Arte di venezia, ricordata come la Biennale poliziotta. l’anno dove l’America si autosottraeva il sogno sociale di Martin luther king e l’europa rimaneva orfana della visionarietà di Marcel duchamp e lucio Fontana. l’obiettivo dichiarato di Italics è quello di leggere questi anni passati in un’ottica distaccata, rompendo alcuni schemi precostituiti e apparentemente immodificabili, attraverso una visione esterna in grado di porsi come rinnegatrice di false letture storiche. In quest’ottica la direttrice di Palazzo grassi, Monique veaute, considera la scelta del curatore della mostra,
BIll vIolA – visioni interiori di elisa Perseo
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l Palaexpo ha offerto l’occasione di intraprendere uno straordinario viaggio nel nostro mondo interiore guidati dall’arte visionaria di Bill viola. si tratta della piú grande retrospettiva mai tenuta in europa sul lavoro di uno dei maggiori artisti contemporanei che ha portato la videoarte ad un altissimo livello, sia in termini di ricerca tecnologica, sia riguardo ai contenuti stilistici e di contenuto. Bill viola in ogni ambiente della prima parte del percorso ci afferra con dolcezza ma con decisione e ci trascina nella profondità del suo mondo in cui la visione, il tempo, i suoni, risultano dilatati come in un sogno che riconosciamo nostro. Anche le immagini ci rimandano ad una pittura che conosciamo e che ci cattura subito; la composizione delle figure, classica, perfettamente equilibrata, minuziosamente curata nei particolari, è illuminata da una luce che contribuisce a trasformare ogni inquadratura in un quadro, donandogli un tocco di eternità. la profonda spiritualità in cui sono immerse le sue opere è universale perché attinge a diverse tradizioni, dal buddismo al misticismo cristiano. Per preparare le prime opere Bill viola ha passato lunghi periodi in viaggio per il mondo, catturando, con telecamere e registratori, visioni e suoni. ora in studio coinvolge gli attori in un desiderio di ricerca personale che traspare nell’intensità con cui partecipano ai suoi video. la scelta di iniziare da The Crossing, una delle opere piú coinvolgenti, ci immerge subito nell’atmosfera di ricerca, di meditazione sulla nostra essenza. due grandi schermi collocati dorso a dorso al centro di un grande ambiente buio. su ognuno viene proiettata la lenta camminata di un uomo che avanza verso lo spettatore fino a fermarsi. In uno dei film davanti ai piedi dell’attore appare una minuscola fiammella che divampa presto in un fuoco che lo distrugge. nell’altro film è l’acqua l’elemento che prima con una goccia e alla fine con una cascata scrosciante cade sull’attore. I due elementi purificano il corpo fino ad annientarlo. e l’elemento acqua ricorre in molte delle sue opere. 62
In Departing angel, dove il passaggio tra la vita e la morte per annegamento si svolge a ritroso diventando rinascita verso la luce dell’immortalità. In Surrender due schermi montati in verticale mostrano due figure con espressioni di dolore e angoscia crescenti che sembrano incontrarsi in un inchino. e nell’acqua si gioca l’illusione con cui crediamo di capire la realtà. ci accorgiamo prima che non si stanno avvicinando, ma ognuno immerge il viso nell’acqua, e poi che la realtà è ancora diversa perché le figure si increspano fino a sparire. stavamo guardando non le persone, ma le loro immagini riflesse. l’intero percorso si chiude con la video installazione Ocean without a shore, dove in una processione continua gli attori, uno dopo l’altro, avanzano dall’ombra, raggiungono una soglia d’acqua, un muro trasparente che devono attraversare per entrare nella vita ordinaria. Ma questa è una realtà di breve durata: devono presto accettare di voltare le spalle al mondo materiale per varcare di nuovo la soglia e tornare nell’ombra. In alcune opere sono evidenti i richiami alla pittura classica che Bill viola ha imparato ad amare fin dal suo giovanile soggiorno a Firenze. The Greeting è un tributo alla Visitazione del Pontormo. le donne si incontrano e la ripresa che dovrebbe durare poco piú di trenta secondi viene dilatata ad oltre dieci minuti, e diventa una miniatura di gesti, di occhiate, di movimenti, e ad ogni minimo cambiamento dell’atmosfera del luogo e degli atteggiamenti lo spettatore aggiunge qualcosa alla sua interpretazione del significato della scena. In Emergence un uomo affiora pian piano da una fonte battesimale di marmo facendo traboccare l’acqua. due donne sedute ai lati lo accolgono prontamente tra le loro braccia mentre l’uomo vacilla. e quella nascita si trasforma in una deposizione. nella seconda parte del percorso Bill viola indaga stati emotivi complessi e, attraverso la dilatazione temporale dei movimenti del corpo e del cambiamento impercettibile delle espressioni del viso, dimostra quanto di noi stessi e della
docuMentAzIone
lA voltA che cAge rAddoPPIò cinquant’anni fa John cage partecipò al programma Lascia o Raddoppia? di Mike Bongiorno racconto di un incontro incredibile con la trascrizione dell’unico dialogo integrale apparso nel 1975 su gong di Alan santarelli John cage, Nova musicha n. 1, 1974, cramps records. Foto a sinistra: John cage, 1967/68, in Photographs of Composers, ritratto di william gedney
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er oltre dieci anni, a partire dai primi anni cinquanta, il popolare presentatore della cBs garry Moore ha condotto con sagacia, il consueto appuntamento settimanale degli americani con I’ve Got A Secret. negli anni il famoso gioco televisivo ha abituato il pubblico televisivo americano ad incontri con ospiti inediti e molto particolari. durante una trasmissione nel gennaio del 1960 l’invitato si presenta: John cage da new york. In quel periodo cage è insegnante di composizione sperimentale alla New York City’s New School e da poco è stato pubblicato un suo nuovo album. Per la televisione commerciale, il compositore esegue Water Walk, un brano realizzato con una ventina di strumenti inediti selezionati per la loro attinenza con il mondo dell’acqua. nello studio il set strumentale si compone di una brocca, una pentola a pressione in ebollizione, un richiamo per oche, una bottiglia di vino, un frullatore, un fischietto, un innaffiatoio, dei cubetti di ghiaccio, due piatti da batteria, un pesce meccanico, un richiamo per quaglie, una papera di gomma, un registratore, un vaso di rose, un sifone del seltz, cinque radio, una vasca da bagno e un pianoforte a coda. tre minuti di profonda concentrazione da parte dell’artista che, muovendosi da un oggetto all’altro, esegue la propria musica con il cronometro alla mano. Il pubblico alterna invece le clap di convenienza a risate di grande ilarità. la testimonianza della performance, preziosissima, è fortunatamente documentata da un video dell’epoca facilmente reperibile anche su Internet. se spostassimo a un anno prima l’episodio e provassimo ad ambientare cage negli studi della rai di Milano, affiancandogli la sagoma e la voce inconfondibili di Mike Bongiorno, avremmo il contenuto della medesima performance a Lascia o Raddoppia? tra la fine del 1958 e gennaio del 1959, il compositore americano partecipò infatti a cinque puntate del popolare quiz a premi italiano candidandosi come esperto micologo. Proviamo ad immaginare dunque un americano che si esprime in inglese nella televisione nazionale di cinquant’anni fa. Al pubblico in studio e a casa dicono che sia anche un compositore d’avanguardia, un innovatore insomma, e di ciò ne
darà prova in piú di un’apparizione televisiva producendo una musica strambissima. con Mike Bongiorno invece si scambia nozioni sui funghi: elenca liste interminabili di nomi in latino, disquisisce di spore ed è sempre pronto a raddoppiare. In studio, oltre al bravo presentatore e all’eccentrico concorrente, c’è anche una valletta (la prima della televisione italiana), un grande orologio che gira, una cabina e un pulsante.1 la scena descritta, benché verosimile, sembrerebbe lo sketch assurdo e un pó comico dei film di Monicelli, di comencini o di nanni loy; materiale insomma di una brillante sceneggiatura del cinema di quegli anni. In effetti la figura di John cage dovette apparire, agli autori della trasmissione e a Bongiorno, quella di un personaggio irreale e dunque un eccellente pretesto sul quale costruire un piccolo fenomeno di costume. le tinte dell’evento ebbero davvero dell’assurdo; ce lo testimonia un lunga trascrizione dei dialoghi fra i due protagonisti pubblicata nel 1975 dalla rivista di musica e cultura alternativa Gong. l’esercizio di fantasia suggerito poc’anzi, non è qui solamente un artifizio richiesto dal metalinguaggio della scrittura per descrivere la sintassi di un vecchio video, ma è soprattutto un atto reso necessario dalla mancanza di una concreta documentazione audio o video. Fino ad ora infatti di Water Walk, come di tutte le altre performance realizzate in trasmissione dal compositore, non si ha traccia. A quel tempo, a quanto pare, la rai non registrava ogni trasmissione in modo integrale ma si limitava a conservare in archivio solo alcuni frammenti. In ogni caso va ricordato che in quel periodo al Centro di Fonologia della rai di Milano lavoravano figure del calibro di luciano Berio e Bruno Maderna, nonché personaggi del mondo intellettuale come umberto eco, ai quali non sarà sicuramente sfuggita l’occasione di riprendere il sonoro dell’evento. Attorno al ritrovamento di questi video, e ai nastri audio, si sono costruite negli anni supposizioni e ipotesi che continuano ad alimentare il fascino di un mito pieno di attese. su Internet, ad esempio, proliferano blog di semplici curiosi o di ammiratori del compositore americano che si scambia93