EQUIPèCO 3

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EQUIPèCO RIVISTA di

Anno II n. 3 Primavera 2005 - € 10,00

CARTE

trimestrale di ricerca e documentazione artistica e culturale_www.rivistadiequipeco.it

LABORATORIO DI MESSAGGI_ARTI VISIVE_IDEE


EQUIPèCO

RIVISTA di

CARTE

Fondata e diretta da Carmine Mario Mulière

REDAZIONE AMMINISTRAZIONE PUBBLICITÀ 00030 S.Cesareo (RM) - C.P. 49 - Via Donnicciola 25 - telefono + fax 06 9570723 -

Collaboratori di questo numero

Anno II n. 3 Primavera 2005

SOMMARIO

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Mu si c Mia t Il ci olo è rre os Pirofilo so

Racconto

Festival senza Frontiere De Belvis

Architettura

Editore e Direttore responsabile: C. M. Mulière. Grafica e impaginazione: mcm art&copy. Stampa: Grafiche Effesei, Grosseto. Abbonamento: annuale (4 numeri)  34,00 Estero:  54,00 e può decorrere da qualsiasi numero. Versamento ContoBancoPosta n. 56774979 intestato a Carmine Mario Mulière , C. P. 49 - 00030 S. Cesareo (RM). Registro Tribunale di Tivoli n.11 del 15-7-04. Il materiale pervenuto, anche se non pubblicato, non verrà restituito. Distribuzione edicole: a cura dell’editore. Distribuzione librerie: Joo Distribuzione, Via F.

Lux-Zeuli Tomaso Binga

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Letteratura Il Costante

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Teatro

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Rampoldi Fontana

L’altra parte dell’arte

Viscardi Genova e le Arti

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Argelati, 35 Milano. © copyright: è vietata la riproduzione di scritti e immagini; sono consentite brevi citazioni indicando la fonte. Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quella della direzione della rivista. Per quanto riguarda i diritti di riproduzione, l’editore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte. Illustrazioni: Archivio Rivista di Equipèco: Courtesy: MLAC - Museo Laboratorio di Arte Contemporanea - Università La Sapienza, RIVISTA di EQUIPèCO_Autunno-Inverno 2004

Roma; MIFAV - Università Tor Vergata, Roma; Uff.stampa Musei Vaticani; Uff.stampa Mostra L. Fontana - CLP Relazioni Pubbliche, Milano; Uff.stampa Festivalsenzafrontiere e Massimo Stancanelli; Fondazione G.P. da Palestrina; Circolo Culturale Prenestino “R. Simeoni” e Pro Loco Palestrina; Timoteo Salomone; Floriano Cavanna; Augusto Mastrantoni; Vincenzo Adinolfi; Nicola Frangione; Daniela D’Ortenzio; Saramicol Viscardi; Luca Miti; Albert Mayr; Anna Zilli; Claudio Mazzenga; Piera Ianni; Paolo Civita; Gianluca e Gian Franco Cruciani; Luciano de Belvis. 1


EDITORIALE

COLLEGAMENTIATEMPORALI “Adunque la pittura è da essere preposta a tutte le operazioni, perché contenitrice di tutte le forme che sono, e di quelle che non sono in natura” (Leonardo da Vinci)

Mulière, Collegamentiatemporali, t.m. nell’acetato cm 77107,7, 1995

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ueste parole di Leonardo condensano l’alta qualità peculiare ad una osservazione che sconfina dai margini della riproduzione delle forme per individuare gli argini della creatività. Le ribadisco perché mi aiutano a chiarire quel che ho visto ed ho cercato di esprimere con i lavori raccolti nella tematica La forma che deve venire e che voglio innestare negli editoriali - per rendere nota la mia ricerca che, se dagli inizi figurativi non celava gli aspetti interiori, oggi è manifestamente essenziale, infatti, è configurata nei Collegamentiatemporali. Quindi, se la pittura tratta le forme codificate e quelle da codificare, è un medium che spazia fuori e dentro la forma. In questo modo, la forma è sostenuta dalla sostanza e viceversa. Ciò vale per poter dire consapevolmente che la sostanza del visibile è compresa nell’invisibile. Allo stesso modo possiamo asserire che la massima “chi ha tempo non aspetti tempo”, è un'affermazione astratta benché risulti sostanziata dalla possibilità di poter essere attualizzata. Da questa prospettiva assume rilievo assoluto la certezza contenuta nell’approfondimento che culmina in un consiglio - che, se condiviso, non può lasciare dubbio perché è inesorabilmente esatto. La riflessione su e nel Tempo ci ha indicato la scelta delle stagioni per accordarsi al ritmo dell’anno, che «è come del preciso contorno d’una stella sfarsi del fulgore che l’avvolge il quanto raffermato nelle qualitative vibrazioni l’esaurirsi d’un estasi per l’uragano che l’investe o un sogno coagulato per concentrazione di sostanza presto dileguato in moltitudini di brani sono immagini d’una bellezza come forma di totalità eppure che tormento in questa successione d’attimi la rosa breve che vorresti nella densità interminabile». (*) (*) Giulio PROSPERI PORTA, l’attimo la rosa la meteora - cap.III, L’Essere e il Tempo, LAUDA ORFICA, Variazioni sulla bellezza; in copertina e all’interno 9 disegni di C.M.Mulière, Ed. Lo Faro, Roma 1984. 2

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Quello che è in Alto - ScientificaMente

Misurare il tempo - 1. Note sul calendario di Gianluca Cruciani

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ra le molte tappe marcate dalla specie umana nel suo uscire dal buio della preistoria, una delle più importanti potrebbe scherzosamente essere così descritta: ad un certo punto, il Sig. Grunt e la Sig.ra Shriek si decisero per un appuntamento in Fratta Grande il giorno X alle ore Y; non essendo degli sprovveduti, si accorsero subito che, per non rischiare di darsi buca l’un l’altra, avrebbero fatto meglio a dotarsi di un paio di utili strumenti: il calendario e l’orologio. In questo numero ci occuperemo della prima di queste due invenzioni e ne tracceremo le tappe fondamentali segnate nel corso della vicenda umana. Il voler individuare relazioni geometrico-matematiche atte a prevedere il succedersi delle stagioni ed altri fenomeni ciclici di lungo periodo, rappresenta in modo efficace l’esigenza di “possedere” il tempo su larga scala, un fondamentale motore sociale e culturale per qualunque popolazione in ogni epoca, sia per le sue implicazioni di ordine pratico (sull’ordinamento della vita agricola, la scansione degli eventi collettivi politici, bellici, ecc.) che per il suo ruolo fondamentale nella vita religiosa (la stessa costituzione di una casta sacerdotale è stata spesso storicamente legata alle capacità di prevedere eventi-chiave quali il sorgere eliaco (v. nota 1) di stelle e costellazioni principali o, più tardi e solo per i popoli più evoluti nella scienza astronomica, il prodursi di un’eclisse di Sole o di Luna). Una trattazione a parte, poi, meriterebbe la spiegazione (o meglio, l’insieme delle ipotesi esplicative) dell’importanza acquisita dal ciclo lunare e della sua relazione (approssimata) con quello propriamente femminile, con tutto il relativo carico simbologico ed i possibili legami con la nascita delle paleosocietà matriarcali; ma questo è compito per antropologi ed archeosociologi, quindi lo tralasciamo in questa sede. Va, invece, subito chiarita la ragione per cui trovare una misura appropriata e conveniente nello scandire il moto di rivoluzione terrestre (oppure quello solare, se si resta nella pro-

spettiva cosiddetta geocentrica, cioè ispirata ad una cosmologia in cui la Terra è il centro dell’Universo) non è affatto banale: si tratta della sostanziale incommensurabilità fra i periodi orbitali dei due corpi celesti di riferimento (la Terra, ovvero il Sole, e la Luna), nonché fra questi e quello del moto di rotazione terrestre attorno al proprio asse, il “giorno” (dotato di varie definizioni, a seconda del riferimento angolare adottato). Questo significa che entro l’intervallo di tempo che rappresenta uno o più anni non può trascorrere una quantità esatta di giorni o di “mesi” (associati al moto lunare), ed è pertanto necessario che, dopo un tempo più o meno lungo, un aggiustamento contabile riporti più o meno in armonia i diversi computi orbitali (v. nota 2). Nella classificazione dei differenti tipi di calendario, un aspetto di primaria importanza è costituito dall’astro il cui moto apparente costituisce riferimento per il calcolo dei periodi temporali. In tal senso si hanno: * calendari solari, basati sull’individuazione dell’anno tropico e sulla sua suddivisione regolare; * calendari lunisolari, composti da mesi di durata variabile, entro un anno tropico; * calendari lunari, riferiti alle lunazioni mensili e periodicamente riallineati al ciclo stagionale; * calendari elio-stellari, basati sulle stagioni ma legati, in date fondamentali, al sorgere eliaco o al passaggio allo zenit (il culmine dell’arco notturno) di astri particolari, quali la stella Sirio (la più luminosa, dopo il Sole); * calendari planetari o stellari, di natura prettamente rituale, che prendono a riferimento i moti planetari quali quello di Venere, o di configurazioni tipiche di stelle, costellazioni o gruppi notevoli, come le Pleiadi. È chiaro che tale scelta dipende, essenzialmente, da fattori culturali generali. Ad esempio, un popolo preistorico di allevatori/raccoglitori, essendo principalmente interessato all’individuazione di scadenze

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stagionali, prenderà come riferimento principale il Sole, considerando i differenti punti del suo sorgere all’orizzonte da un riferimento fisso conveniente (un’altura in un paesaggio altrimenti pianeggiante, o comunque un luogo provvisto di una visuale sufficientemente sgombra) approntando un sistema di traguardi con dei massi opportunamente disposti in circolo: praticamente, abbiamo così sommariamente descritto la famosa installazione di Stonehenge, il cui scopo principale si ritiene essere stato per l’appunto quello di costituire un osservatorio calendariale per esigenze rituali ma anche “civili”. Venendo all’epoca Storica, molte delle prime grandi civiltà hanno attraversato fasi diverse, dal punto di vista dell’organizzazione del calendario. Quella egizia, ad esempio. Nella sua fase elio-stellare, il sorgere eliaco di Sotis (Sirio) fu scelto come evento-origine del computo annuale, per la sua relazione con le piene del Nilo, che determinavano altresì la divisione stagionale distinguendo i macro-mesi Akhet (riferito al periodo di inondazione), Peret (lo stato di precarietà che ne seguiva) e Shomu (il tempo del raccolto delle messi dai campi pervasi dal fertile limo); ma, in origine, il calendario era lunare ed era composto da 12 mesi di 29 e 30 giorni che iniziavano con la luna nuova. L’anno, dunque, durava 354 giorni ed era, quindi, necessario aggiungere un mese ogni tre anni. All’inizio del III millennio a.C. fu redatto un calendario lunisolare che è considerato l’ispiratore

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del nostro, essendo stato, più tardi, in parte adottato dai greci: l’anno civile (“vago”) durava 365 giorni raggruppati in 12 mesi da 30 giorni ciascuno, con 5 giorni supplementari. Il riallineamento al sorgere di Sirio era su base quadriennale ma gli astronomi egizi avevano già chiaro che non era comunque sufficiente a periodizzare con precisione le stagioni, che si riaccordavano al calendario ogni 1460 anni vaghi, formando il “grande anno cinico” o “sotiaco”. Un’acquisizione relativamente recente dell’archeologia astronomica è la constatazione che anche la civiltà celtica poteva usufruire di un calendario proprio. Si trattava di un classico calendario lunare di dodici mesi (non divisi in 6 da 30 e 6 da 29 giorni, però, bensì in 7 da 30 e 5 da 29, secondo alcuni per facilitare la predizione delle eclissi di Luna) con supplemento quinquennale di due mesi di 30 giorni. Il calendario cinese tradizionale, attribuito al monarca Hwang Te e che sarebbe da collocare addirittura nel 27° sec. a.C., è di tipo lunisolare e segue un doppio ciclo. Uno è di tipo denominativo con periodo 60, nel senso che ogni anno viene indicato con due termini (“tronco celeste” e “radice terrestre”) variabili in un doppio range di, rispettivamente, 10 e 12 elementi (60 è, per l’appunto, il minimo comune multiplo di 10 e 12 e segna l’intervallo di ricorrenza di una medesima coppia di nomi). Mentre i tronchi celesti sono intraducibili, le radici terrestri sono associate ad animali dal valore simbolico, che darebbero una sorta di “carattere” all’anno: Ze (anno del topo), Chu (del bue), Yin (della tigre), Maou (della lepre), Shin (del drago), Se (del serpente), Wu (del cavallo), We (della pecora), Shin (della scimmia), Yu (del gallo), Seou (del cane), Hai (del maiale). Per la cronaca, l’anno corrispondente al 2005 (che ha avuto inizio lo scorso 9 febbraio) è associato al secondo tronco celeste ed alla decima radice terrestre (“Yi Yu”) ed è il ventitreesimo del settantottesimo periodo. Il ciclo più prettamente lunisolare, invece,

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che determina l’organizzazione interna di ogni anno, è piuttosto complesso: può constare di anni di 353, 354 o 355 giorni suddivisi in 12 mesi e da anni (genericamente chiamati embolismatici (v. nota 3) o embolismici) di 383, 384 o 385 giorni suddivisi in 13 mesi, in uno schema (che tiene conto anche della posizione del sole nello zodiaco cinese, anch’esso di 12 segni) della durata complessiva di 19 anni, che riporta in accordo il computo delle lunazioni con quello stagionale. La civiltà Maya può dirsi soprattutto nota, ai giorni nostri, oltre che per la pratica dei sacrifici umani rituali, per la complessità della sua organizzazione calendariale. I Maya, in realtà, fecero uso di ben 17 calendari diversi, alcuni dei quali tarati per il calcolo temporale su 104 dei nostri anni, altri studiati per seguire il ciclo cosiddetto “di Saros” delle eclissi lunari (della durata di poco più di 18 anni solari) . I maggiori erano lo Tzolk’in (o Cholq’ij), di natura prettamente rituale, che divideva l’anno in 13 mesi di 20 giorni ciascuno, e il calendario civile (“Haab”), che aveva, invece, 18 mesi, sempre di 20 giorni, più 5 giorni supplementari, detti infausti o “Uayeb”. Questi calendari erano periodicamente riallineati al ciclo stagionale da un’apposita commissione di astronomi che utilizzava il passaggio in meridiano a mezzanotte di astri ritualmente sacri quali Alpha Tauri (dal nome arabo di “Aldebaran”) e la costellazione delle Pleiadi per decretare l’inizio di un nuovo macro-periodo calendariale (che i latini chiamano “saeculum”). Tornando nell’occidente classico, il merito principale dell’individuazione di una ricorrenza approssimata fra la successione degli anni tropici e quella dei mesi lunari è da ascriversi al calendario greco. Questo, in origine derivato da quello egizio senza l’aggiunta dei giorni supplementari (“epagomeni”, come si sarebbe detto allora), quindi di 360 giorni, si evolse, con Solone, in una forma lunare (anni di 354 giorni, suddivisi in mesi “cavi” e “pieni” di 29 o 30 giorni), aggiungendo 90 giorni supplementari ogni 8 anni, a scaglioni di 30, al termine del secondo, quarto ed ottavo anno del ciclo (la durata media annuale dell’ottetto così ricavato era, pertanto, di 365,25 giorni). Tuttavia la forma calendariale così ricavata non rispondeva alle esigenze rituali che volevano il ciclo della Luna fedelmente seguito dalla scansione mensile, che, invece, in questa forma scambiava luna piena con luna nuova e viceversa ogni 80 anni; fu il matematico Metone (V sec. a.C.) a trovare rimedio a

I nomi dei mesi in differenti calendari (in ordine non omogeneo) Romano

Celtico

Ebraico

Musulmano

Rivoluzionario

Ianuarius

Samonios

Tishri

Muharram

Pluviôse

Februarius

Dumannios

Heshvan

Safar

Ventôse

Martius

Rivros

Kislev

Rabi'a I

Germinal

Aprilis

Anagantios

Tevet

Rabi'a II

Floréal

Maius

Ogronios

Shevat

Jumada I

Prairial

Iunius

Cutios

Adar

Jumada II

Messidor

Julius

Giamonios

Nisan

Rajab

Thermidor

Augustus

Simivisonios Iyar

Sha'ban

Fructidor

September

Equos

Sivan

Ramadan

Vendémiaire

October

Elenbiuos

Tammuz

Shawal-Dhu Brumaire

November

Edrinios

Av

Dhu-al-Q'adah Frimaire

December

Cantlos

Elul

Dhu-al-Hijjah Nivôse

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questo inconveniente, allungando il ciclo a 19 anni con 125 mesi pieni e 110 cavi (si dirà che i Cinesi avevano raggiunto tale consapevolezza oltre duemila anni prima, come s’è visto, ma non vi sono prove che vi siano stati contatti sostanziali fra le due civiltà). Successivamente Callippo introdusse un ciclo di durata quadrupla diminuito di un giorno, rendendo ancor più precisa la corrispondenza tra lunazioni e stagioni, ma tale risultato non trovò applicazione pratica. Va rimarcato che il ciclo di Metone è alla base del calcolo ecclesiastico della data della Pasqua (come sancito dal Concilio di Nicea nel 325 d.C.) attraverso il cosiddetto “numero aureo”, riferito, per l’appunto, al resto della divisione del millesimo annuo, aumentato di uno, per 19, ma di questo argomento tratteremo in un prossimo numero. Il primo calendario romano storicamente consistente, attribuito a Numa Pompilio, era basato su quello greco, con, però, l’introduzione di mesi di 31 giorni al posto di quelli con 30 e di un mese di 28 giorni. L’anno civile durava 355 giorni e i mesi avevano i nomi seguenti: Martius (sacro a Marte), Aprilis (sacro ad una divinità di origine etrusca), Maius (sacro a Maia), Iunius (sacro a Giunone), Quintilis (il 5° mese dell’anno), Sexstilis (il 6°), September, October, November, December, Ianuarius (sacro a Giano) e Februarius (mese dei Februa, festa della purificazione di origine etrusca). Si aggiungeva, poi, ogni due anni un tredicesimo mese di 22 o 23 giorni (“mercedonio”), sopprimendo 4 o 5 giorni al febbraio. In 6

totale, la durata media dell’anno era di 366,25 giorni. I romani introdussero, inoltre, una scansione mensile dei giorni basata su “Kalendae” (il primo giorno del mese), “Nonae” (quinto o settimo) e il tredicesimo “Idus” (tredicesimo o quindicesimo), raggruppandoli in “Nundinae” (gruppi di 8). A seguito dell’errore accumulato dal calendario tradizionale, questo fu sostituito dal calendario Giuliano, introdotto da Giulio Cesare nel 46 a.C. su consiglio dell’astronomo egiziano Sosigene di Alessandria. Dopo aver recuperato i giorni di differenza, assegnando 445 giorni all’”ultimus annus confusionis”, la durata dell’anno comune venne stabilita in 365 giorni ed ogni 4 anni si doveva aggiungere un giorno, tra il 6° e il 5° giorno prima delle calende di Marzo (“bis sextus dies ante Kalendas Martias”). Il mese Quintilis venne ribattezzato Julius in onore di Cesare e successivamente il mese Sextilis fu cambiato in Augustus in onore di Augusto, portandone a 31 il numero dei giorni, invertendo il numero dei giorni dei mesi seguenti e togliendo un giorno a febbraio, distribuendo così le durate dei mesi come sono oggi adottate in tutto il mondo. Il Calendario ebraico tuttora in vigore è un calendario lunisolare adottato nel IV secolo d.C. e composto da anni comuni di 353, 354 o 355 giorni suddivisi in 12 mesi lunari e da anni embolismatici, di 383, 384 o 385 giorni suddivisi in 13 mesi lunari. Il ciclo è metonico (di 19 anni) ed è formato da 12 anni comuni e 7 embolismatici, che aggiungono un mese

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chiamato Ve-Adar (doppio Adar) prima del mese di Nisan. Il calendario musulmano è puramente lunare ed ha avuto un impulso decisivo dallo sviluppo dell’astronomia araba nel medioevo, quando in Occidente gli studi scientifici erano tornati a livelli pressoché nulli. Basti pensare che la perizia acquisita (con ricadute anche sul calcolo delle longitudini, di grande importanza per la cartografia e, quindi, le comunicazioni) da studiosi quali Ybn-Yunus del Cairo (X sec.) era tale da poter prevedere le eclissi di Luna e di Sole con un errore massimo di mezz’ora! Esso è composto da 12 mesi lunari di 29 e 30 giorni, che formano anni di 354 o 355 giorni. Gli anni lunari sono contati dall’Egira (la fuga di Maometto avvenuta il 16 luglio 622 d.C.) e nell’arco di 30 anni vi sono 11 anni “abbondanti”, in cui si aggiunge un giorno all’ultimo mese. Il nostro attuale calendario è quello Gregoriano, introdotto nel 1582, quando ormai, seguendo la riforma cesarea, l’equinozio di primavera cadeva verso l’undici di marzo. Il Papa Gregorio XIII, con la bolla “Inter gravissimas”, firmata nel salone d’onore di Villa Mondragone a Frascati, attuò la riforma del calendario Giuliano sopprimendo tre giorni bisestili ogni 400 anni. Nel sistema gregoriano restano bisestili tutti gli anni divisibili per 4, eccetto gli anni secolari, i quali restano bisestili soltanto se sono divisibili per 400. L’anno civile dura quindi 365,2425 giorni, più vicino alla durata di 365,2422 giorni dell’anno tropico. I 26 secondi di differenza comportano un giorno di spostamento ogni 3300 anni circa (un successivo aggiornamento della riforma ha sancito di non considerare bisestili gli anni divisibili per 4000, portando l’errore complessivo -sulla carta, ossia senza considerare gli effetti di rallentamento del moto rotazionale terrestre- ad un giorno ogni 20000 anni circa). Per attuare la riforma e riportare la concordanza con le stagioni vennero soppressi dieci giorni di calendario. Pertanto a Roma si passò da giovedì 4 ottobre 1582 a venerdì 15 ottobre e l’anno seguente venne fatto iniziare il 1 gennaio invece del 25 marzo come da tradizione romana. Il Portogallo fu il primo Stato ad adottare il nuovo calendario, contemporaneamente a Roma, mentre in Francia fu introdotto passando dal 9 dicembre 1582 al 20 dicembre. I paesi non Cattolici si convertirono al calendario Gregoriano con ritardo (e poco entusiasmo): in Prussia entrò in vigore nel 1610, in Gran Bretagna nel 1752, in Svezia nel 1753, in Giappone nel 1873, in Russia nel 1918, in Grecia nel 1923 e in Cina nel 1949. Come notazione finale, ricordiamo che per celebrare la rivoluzione francese del 1789 fu introdotto un calendario che restò in vigore dal 26/11/1793 al 31/12/1805. Gli anni erano conteggiati a partire dal 22/9/1792, data di fondazione della Repubblica, il capodanno cadeva quindi nell’equinozio di autunno e l’anno durava 365 o 366 giorni in modo da mantenere il capodanno nel giorno dell’equinozio, secondo il modello egizio-copto. Gli

anni erano suddivisi in 12 mesi di 30 giorni chiamati con nomi legati al ciclo delle stagioni e dopo l’ultimo mese c’erano 5 o 6 giorni aggiuntivi (“sansculottides”). Abolite le settimane, i mesi erano divisi in tre decadi di 10 giorni, numerati da 1 a 10, che iniziavano a mezzanotte.

NOTE: 1 - È così definito il ritorno annuale alla visibilità di un oggetto celeste, all’aurora, subito prima del sorgere del Sole. 2 - Non attiene lo scopo dell’articolo, ma andrebbe tenuto in debito conto il fatto che tale caratteristica di incommensurabilità è, per così dire, aggravata dal fatto che i moti celesti considerati non sono affatto costanti nel tempo: basti pensare al noto effetto di “precessione degli equinozi”, dovuto alla non perfetta sfericità della Terra, che determina lo spostamento ciclico dell’asse polare con un periodo di circa 26000 anni, alla base della discrepanza tra “anno siderale” (il tempo impiegato dal centro della Terra a percorrere un’intera orbita attorno al Sole, misurata rispetto ad una stella lontana), della durata attuale di 365d6h9m10s, ed “anno tropico” (la distanza temporale tra due equinozi di primavera successivi), più corto di circa 20m25s. 3 - Dal greco émbolos “cosa aggiunta”. IMMAGINI: Fig. 1 - Le due principali definizioni di mese: se il riferimento è costituito dal compimento di un giro completo della Luna attorno alla Terra, visto da un osservatore esterno al sistema, ovvero traguardato da una stella di riferimento, si parla di “mese siderale”; se, invece, si considera l’intervallo di tempo fra due medesime fasi lunari, e dunque si osservano, consecutivamente, due identiche configurazioni relative del sistema Sole-Terra-Luna, si allude al “mese sinodico”. A causa della concordanza di rivoluzione della Luna rispetto alla Terra (per il fatto, cioè, che i due corpi celesti percorrono la loro orbita attorno, rispettivamente, alla Terra ed al Sole, nello stesso verso), il secondo è più lungo del primo di circa due giorni e cinque ore, il che significa che l’angolo delta in figura vale, in realtà, poco più di 2°. Fig. 2 - Il calendario celtico di Coligny, ritrovato in frammenti nel 1897 e ricomposto nel Museo della Civiltà Gallo-Romana di Lione. Fig. 3 - Schema del sito di Stonehenge: all’interno del cerchio di buche che include i reperti litici maggiori, quattro punti marcati da pietre e tumuli paiono ricostruire gli allineamenti che indicano sull’orizzonte i punti di declinazione estrema della Luna e quelli solstiziali. Fig. 4 - Anche in un libro d’ore dai fini connessi al rituale cattolico è spesso presente un riferimento calendariale di tipo astronomico. (Da “Les très riches heures du Duc de Berry” Chantilly, Musée Condé). Fig. 5 - Rappresentazione schematica della connessione fra i due principali calendari Maya come frutto del movimento di un ingranaggio: il “Giro del calendario” per il quale la coincidenza di due denti si ripete dopo 52 anni. Ogni due coincidenze (104 anni) si verifica un riallineamento con il terzo calendario rituale più usato, quello che segue le fasi di Venere.

Gianluca Cruciani (Roma 1967). Si è laureato (con comodo) in fisica all’Università di Roma “La Sapienza” nel 1999 con una tesi di astrofisica relativistica sull’uso della Computer Algebra nel calcolo tensoriale. Ha conseguito il dottorato di ricerca in fisica presso l’Università di Perugia con una tesi sulle Onde Gravitazionali. Ha pubblicato alcuni articoli sulle maggiori riviste specializzate del settore nell’ambito della sua attività di ricercatore presso l’ICRA (International Centre for Relativistic Astrophysics) diretto dal Prof. Remo Ruffini.

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DOCUMENTAZIONE

ANTICO CALENDARIO TRADIZIONALE e tabelle delle effemeridi del sole a cura della redazione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32

Mese tradizionale

1° 2° 3° 4° 5° 6° 7° 8° 9° 10° 11° 12°

21 Aprile Toro 21 Maggio Gemelli 21 Giugno Cancro 22 Luglio Leone 23 Agosto Vergine 24 Settembre 23 Bilancia Scorpione Ottobre 23 Sagittario Novembre 23 Capricorno Dicembre 22 Gennaio 21 Acquario Febbraio 20 Pesci Ariete

Marzo

22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 1 22 23 24 25 26 27 28 29 30 1 2 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 1 23 24 25 26 27 28 29 30 1 2 3 24 25 26 27 28 29 30 31 1 2 3 25 26 27 28 29 30 31 1 2 3 4 24 25 26 27 28 29 30 1 2 3 4 24 25 26 27 28 29 30 31 1 2 3 24 25 26 27 28 29 30 1 2 3 4 23 24 25 26 27 28 29 30 31 1 2 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 1 21 22 23 24 25 26 27 28 1 2 3

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Aprile 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 Maggio 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 Giugno 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 Luglio 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 Agosto 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 Settembre 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 Ottobre 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 Novembre 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 Dicembre 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 Gennaio 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 Febbraio 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 Marzo 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

Effemeridi del sole

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Giorno

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ARCHIVIO_EVENTI

MARCEL DUCHAMP di Carmine Mario Mulière «...non vi è salvezza se non in un esoterismo» Marcel Duchamp «Marcel Duchamp è certamente una delle più importanti ed enigmatiche figure dell’arte di questo secolo. Le sue opere e i suoi scritti ne fanno un protagonista della cultura di tutti i tempi, stimolandoci con il loro stile rivoluzionario e creativo a pensare in modo nuovo e a oltrepassare i confini che tradizionalmente hanno definito l’arte e il ruolo dell’arte nella società. Egli fu il primo a dimostrare che l’artista non deve limitarsi a nessun particolare mezzo espressivo.» (1)

Q

ueste parole di Giovanni Agnelli esprimono in maniera efficace il valore e la qualità di un artista che ha oltrepassato la soglia del visibile com’è tangibile nella frase che abbiamo posto all’inizio. Il suo lavoro lo ha riposto e affidato nella «Boîte-en valise» che voglio tradurre ‘scatola nella valigia (a mano) lungo sacco di cuoio (da essere portato in groppa), e che è il fagotto del Matto, la carta numero zero e/o numero 22 dei Tarocchi cioè del Mutus Liber: Libro fatto di Immagini. L’immagine, a mio parere, contiene in sé il margine precipuo della Tolleranza: Virtú che affina i sensi impalpabili com’egli suggerisce con l’opera Temperatura, ‘colore’ del tatto, del 1921. Provate a trovare nella storia dell’arte un pittore che abbia saputo adoperare un colore con questa purezza interpretativa, per farlo dovremo far leva sopra e dentro una conoscenza da scoprire: una conoscenza esoterica appunto.

1 - With my Tongue in my Cheek A mio parere non vi è salvezza se non in un esoterismo. 2 - Auto-portrait de profil (dechiravit), 1959.

E lo stesso significante è immesso nei suoi Readymades. Si tratta di una scelta allegoricamente intuitiva perché egli la interconnette ad un sentiero ascendente da percorrere armonicamente dall’inizio per acquisire la scioltezza che consente un’andatura agile e poderosa che trasporti l’Apprendista nella luce del Sole: Avoir l’apprenti dans le Soleil, disegno raffigurante un ciclista realizzato sulla carta pentagrammata. È un’aspirazione mirante alla elevazione fisica e spirituale insieme: il gas illuminante la Strada del «fanciullo faro, una cometa con la coda in avanti che, essendo l’appendice del fanciullo faro, assorbe sbriciolandola polvere d’oro...», materiale nobilitato - «per separare il già fatto, in serie dal così trovato - lo scarto è una operazione» - da un procedimento alchemico di sublimazione...«frantumazione del gas illuminante: la lancetta polso deve avere la sua sorgente nel centro vita della Sposa. La Sposa ha un centro vita - gli scapoli non ne hanno. Essi vivono di carbone o altra materia prima derivata non da essi ma dal loro non essi... Il metallo (o materia) del carrello è emancipato, cioè ha un peso, ma una forza che agisce orizzontalmente sul carrello non deve sostenere questo peso. (Il peso del metallo non oppone resistenza a una trazione orizzontale - da sviluppare-). Il carrello è emancipato orizzontalmente... Sì, ma finalmente la caduta delle bottiglie è stata sostituita da una caduta d’acqua immaginaria».

3 - Il paese di Etival nel Giura.

Durante il suo ritorno da Etival a Parigi, nell’ottobre del 1912, M.D. scrisse questa nota: «Cet enfant phare pourra, graphiquement être une comète, qui aurait sa queue en avant, cette queue ètant appendice de l’enfant phare, appendice qui absorbe en l’émittant (poussière d’or, graphiquement) cette route Jura-Paris». Questo fanciullo faro potrà essere, graficamente, una cometa, con la coda in avanti che, essendo l’appendice del fanciullo faro, assorbe sbriciolandola (polvere d’oro, graficamente), questa strada Giura-Parigi.

Appare quindi chiaro che l’immaginazione è il risultato del lavoro compiuto. NOTE 1 - Giovanni Agnelli, Presentazione del Catalogo della Mostra realizzata a Palazzo Grassi - Venezia, ’Marcel Duchamp - Opera’, Editore BOMPIANI - Gruppo Editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas, S.p.A. Milano 1993. Un Libro fondamentale per conoscere l’opera di Duchamp. RIVISTA di EQUIPèCO_Primavera 2005

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M. D. con il taglio di capelli a cometa fatto da Georges de Zayas, 1919 ca.

La mariée mise à nu par ses célibataires même. La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche.

IL GRANDE VETRO «Sbocciare volontario in senso orizzontale della Sposa che viene incontro allo sbocciare in senso verticale della messa a nudo. Filamenti di carta trasparente che sbocciano dall’Impiccato sino alla palla del giocoliere e alternativamente tornano indietro come certi soffietti di festa a Neuilliy. Il movimento di tali filamenti è dovuto al magnete desiderio e costituisce lo sbocciare volontario in messa a nudo della Sposa». Frecce rivestite: viaggio del Gas illuminante - Frecce denudate: linguaggio della sposa. 1 - Carrello; 1a - Mulino ad acqua; 1b - Pignone; 1c Botola schiudentesi nel sottosuolo; 1d - Puleggia di capriola; 1e - Rivoluzione della bottiglia di Bénédictine; 1f - Pattini 12

della slitta; 1g - Sandows (Estensori); 2 - Cimitero delle uniformi e livree o Matrice di Eros; 2a - Prete; 2b - Fattorino dei grandi magazzini; 2c - Gendarme; 2d - Corazziere; 2e - Poliziotto; 2f - Becchino; 2g - Lacché; 2h - Garzone; 2i - Capostazione; 3 - Tubi capillari; 4 - Setacci; 5 Macinatrice di cioccolato; 5a - Telaio Luigi XV nichelato; 5b - Rulli; 5c - Cravatta; 5d - Baionetta; 6 - Forbici; 7 Sposa; 7a - Anello di sospensione dell’Impiccato femmina; 7b - Mortasa - Rotula; 7c - Asta recante la materia filamentosa; 7d - Vespa; 7e - Testa o occhi; 7f - Banderuola; 8 Via Lattea color carne; 9 - Pistoni della corrente d’aria; 10 - Zangola - Ventilatore; 11 - Pendii o piani di scorrimento; 12 - Fragori-spruzzo; 13 - Orizzonte - Vestito della Sposa; 13a - Punto di fuga della prospettiva celibe; 13b - Prisma con l’effetto Wilson-Lincoln e 9 buchi; 14 - Arieti nell’incontro di pugilato; 15 - Quadri d’oculista; 16 - Lente di Kodak; 17 - 9 spari; 18 - Curatore di gravità; 18a - Treppiede; 18b - Asta; 18c - Palla nera.

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I tre studi su vetro per il Grande Vetro, 1913-1919. Boîte-en valise, 1935-1941.

«È sempre stata mia intenzione ridurre il vetro a una illustrazione quanto mai succinta di tutte le idee della scatola verde che doveva essere una sorta di catalogo di tali idee, in altre parole il vetro non va guardato per se stesso ma solamente in funzione del catalogo che non ho mai fatto. Dal 1923 mi considero un ‘artista spretato’. L’arte era un sogno divenuto superfluo...»

Roue de bicyclette, 1913. Avoir l’apprenti dans le soleil, 1914. Temperatura, ‘colore’ del tatto, 1921. ‘Air de Paris’, 1919. 50cc air de Paris, per la Boîte-en valise,1941. Sculpture-morte, 1959

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Fountain, 1917. Fountain nella Boîte-en-valise, 1961.

Il caso Richard Mutt «Il punto di vista della ‘Society of Indipendent Artists’ è chiaramente assurdo, dato che esso parte dall’idea insostenibile che l’arte non possa nobilitare un oggetto e, nella fattispecie, lo nobilita, trasformandolo, in particolare, in Budda un oggetto di igiene e di toilette maschile. Checché se ne dica e a rischio di negare deliberatamente con la loro determinazione il ruolo e i diritti dell’immaginazione, gli Indipendenti di New York rifiutarono di esporre la fontana del Sig. Mutt. Così essi si mostrarono meno liberali degli Indépendants di Parigi che esposero il quadro di Boronali, i quali, pur sapendo bene che si trattava di una presa in giro o piuttosto di una macchinazione, lo esposero semplicemente perché coloro che avevano architettato il colpo avevano pagato i 25 franchi richiesti per esporre e, d’altra parte, essi non si riconoscevano neanche il diritto di impedire lo scherzo. (da Le cas de Richard Mutt, di Guillaume Apollinaire». In ‘Mercure de France’ Parigi, 16 giugno 1918.

Apolinère enameled - Ne pourrait-on pas traduire cet énigmatique message:

ANy - ACT - RED BY hER - TEN - OR - Epergne. par: «N’importe quel acte, quel lit, contenu surtout.»? 1916-1917 14

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ARTE

LUCIO FONTANA " …La superación de la pintura" SPAZIALISMO di FONTANA appunti di C. M. Mulière Quello che ho recepito dai ‘tagli ’ è il senso del taglio in sé che suggerisce il concetto basilare come approccio per lo sviluppo successivo del processo evolutivo dell ’opera di Fontana. Questa mia lettura scaturisce dal testo del «Manifesto blanco» redatto da Fontana nel 1946 a Buenos Aires anche se, come è scritto a margine del medesimo, non fu firmato dall ’artista, giacché redigere significa configurare e quindi formare. E forse non a caso il manifesto è bianco perché il bianco, nel concetto spaziale di Fontana assume e svela l ’antitesi sottesa nella normale tecnica pittorica che egli mette in atto operando i suoi tagli in quanto la pittura è l ’arte del mettere sulla tela o su altro materiale, i colori. Infatti, la tecnica pittorica è chiamata sottrattiva poiché, colorando una superficie, si sottrae alla luce la parte colorata. Invece la tecnica scultorea è chiamata additiva perché essendo una rappresentazione che si realizza nei volumi, dipende dalla luce. L ’interconnessione delle due tecniche ha consentito la sintesi raggiunta dal cinematografo: Colore Forma Movimento Luce. Lo spazio della immagine piatta della superficie della tela diventa per Fontana spazialità senza forma ed egli vi rinuncia operando quel taglio con il quale vorrebbe aprire l ’accesso ad un movimento di attuazioni di possibili concezioni e soluzioni che poi si sono verificate nell ’espressione delle avanguardie. Il testo del Manifesto inizia così: «L ’arte si trova in un periodo latente. Prendiamo l ’energia propria della materia, la sua necessità d ’essere e di svilupparsi... Postuliamo un ’arte libera da qualunque artificio estetico (non essenziale dunque)... Approfittiamo di ciò che l ’uomo ha di naturale, di reale. Ci troviamo così vicini alla natura come mai l ’arte lo è stata nel corso della storia. L ’amore per la natura ci spinge a copiarla... Il subcosciente (nel suo caso il taglio?) modella l ’individuo, lo integra, lo trasforma...». C ’è anche il riferimento alla musica: «Colore, l ’elemento dello spazio, Suono, l ’elemento del tempo, il Movimento che si sviluppa nel tempo e nello spazio (aggiungiamo per la Luce) sono le forme fondamentali dell ’arte nuova, che contiene le quattro (appunto con la Luce) dimensioni dell ’esistenza. L ’arte nuova richiede la funzione di tutte le energie dell ’uomo nella Creazione e nella Interpretazione. L ’essere si manifesta integralmente, con la pienezza della sua vitalità». Viene da chiedere: l ’invenzione non è forse Creazione sottratta all ’evento?

B

di Paola Rampoldi

en sapeva Lucio Fontana, (Rosario di Santa Fè, Argentina, 1899 - Comabbio, Varese, 1968), che abbandonare la sua perizia nel lavorare la ceramica o il marmo, per dedicarsi allo studio del vuoto e dell'assenza di materia, gli sarebbe costato e sarebbe stato

rischioso, ma a lui piaceva osare. Dal 1947, anno della sua prima opera spaziale, Fontana è infatti identificato come “quello dei buchi ”. A chi gli chiedeva “Me li vorrebbe spiegare i suoi buchi ”, egli rispondeva “Ma che cosa vuoi che ti spieghi? Ci metto, nei buchi, tutta la mia vita di artista e tu vuoi che in tre parole te li spieghi. E mentre credi di fare lo spiritoso con i miei buchi non ti accorgi neanche che buchi e tagli sono già entrati nel gusto del tempo, appaiono nelle decorazioni degli edifici, nella pubblicità, negli artisti ”. Il pubblico non fu in grado di comprendere il suo lavoro, anzi lo derise; e la critica, tranne alcuni esempi lungimiranti come Gillo Dorfles ed Enrico Crispolti, interpretò quei suoi RIVISTA di EQUIPèCO_PPrimavera 2005

“buchi ” e “tagli ” come provocatori. Oggi la figura di Fontana è stata decisamente rivalutata e si può dire che egli rappresenti uno dei più importanti esponenti dell ’arte del secondo dopoguerra. Aleggiano ancora ogni tanto nell ’aria frasi del tipo “beh … sarei capace di farlo anch ’io … cosa ci vuole a tagliare una tela … ”, ma per fortuna sono dei casi isolati che, come si suol dire, “lasciano il tempo che trovano ”. Per risalire all ’incipit dell ’esperienza spazialista, occorre fare un passo indietro nel tempo, e un salto oltreoceano. Il luogo è Buenos Aires, l ’anno, il 1946. Tra le righe del Manifesto Blanco, il primo manifesto tecnico dello spazialismo, redatto da un gruppo di giovani artisti, si legge: “ …Se requiere un cambio en la esencia y en la forma. Se requiere la superación de la pintura, de la escultura, de la poesia, de la música. Se necesita un arte mayor acorde con las exigencias del espiritu nuevo … ”. Con queste parole, Bernardo Airas, Horacio Cazeneuve e Marcos Fridman, con il contributo di Lucio Fontana - ritornato nel paese natale durante il secondo conflitto mondiale - esplicitano le loro convinzioni artistiche, e danno avvio all ’esperienza spazialista in Argentina. Da un punto di vista teorico, essi auspicano ad una svolta da attuare nel campo della produzione artistica. “ …Non si tratta più di un ’arte basata solo sulla ragione e sul calcolo ma l ’appello al subcosciente come livello intuitivo, di sondaggio di forze primordiali “ (Paolo Campiglio). A loro parere, il punto di rottura nei 15


intitolata “Queste attese mi danno la pace ”. I tagli, dicevamo, per l ’artista sono attese, “ …Attese come pause necessarie, mediante le quali egli vagheggia una sorta di luogo primario, assoluto, invocando quella atarassia del saggio, sempre più lontano dall ’accidentalità della materia … “ (Paolo Campiglio).

Immagini: 1 - Concetto spaziale attesa, 1963, idropittura su tela, cm 60×46. 2 - Concetto spaziale, 1957, pastelli e collage su tela, cm 125×101. 3 - Scultura spaziale, 1947, bronzo colorato cm 59×50×40. 4 - Concetto spaziale, 1959, olio, matita e buchi su tela, cm 46x55. 5 - Concetto spaziale,1951, terracotta colorata, cm 31x39. 6 - I quanta, 1960, idropittura su tela, nove elementi di formato diverso.

Quale simbolo della svolta degli anni Sessanta verso una concentrazione assoluta fatta di meditazione e silenzi, in mostra è presente Concetto spaziale, Attesa (1963), un unico taglio su fondo monocromo verde. “Oltre il quadro, la scena ”, è l ’ultima sezione della mostra. Si concentra sulla produzione degli anni Sessanta legata al concetto della scena e della “rappresentazione ”.

Mostra: Opere 1947 - 1965 - 6 novembre 2004 - 30 gennaio 2005- Palazzo Leone da Perego - Legnano (Mi). Catalogo Charta. Mostra collaterale: L ’immagine di Fontana in una raccolta di affiche - 4 novembre 2004 - 28 gennaio 2005 - Salone degli sportelli Legnano (Mi) Largo Tosi, 9. Conferenza: giovedì 25 novembre ore 21: “Conversazione su Lucio Fontana ” a cura di Paolo Campiglio e Fabrizio Rovesti.

Se i “Quanta ” evidenziano l ’intento di Fontana di superare il tema della cornice, creando delle tele differenti, in numero differente, da poter comporre sempre in un modo diverso, offrendo la possibilità di sempre nuove soluzioni; la serie dei “Teatrini ” con le loro cornici sagomate offrono la possibilità di giocare con la luce. In Concetto spaziale, Teatrino (1965), il bianco della cornice si proietta sul bianco della tela, come in un orientale teatro delle ombre.

PAOLA RAMPOLDI è nata a Rho (MI) l ’8/07/79; si è laureata presso l ’Università Statale degli Studi di Milano, in Lettere e Filosofia - indirizzo Storico-Artistico, con la tesi “Baruchello e Pistoletto: esempi di Fondazioni per l ’Arte contemporanea in Italia ”. Relatore: Prof.ssa M. T. Fiorio, docente di Museologia; correlatore Prof.ssa Silvia Bignami, docente di Storia dell ’Arte Contemporanea. Da febbraio 2004 collabora con il Museo Popoli e Culture del P.I.M.E. di Milano. Da luglio 2004 collabora con l ’attuale Amministrazione Comunale di Lainate (MI) per il settore Cultura, Educazione, Sport e Tempo Libero. Cura una sezione della rubrica di Arte della RIVISTA di EQUIPèCO.

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ARCHITETTURA

IL GRATTACIELO: è davvero non “naturale ”? di Luciano de Belvis

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rogettare un grattacielo, massima espressione dell ’edilizia civile, sembrerà banale, significa andare “in alto ”. Ciò comporta prendere degli accorgimenti che ne condizionano la progettazione: concentrare in alcune zone della pianta dell ’edificio le condotte degli impianti (per esempio termico, fognario, acqua potabile, antincendio, condizionamento, comunicazioni, ascensori e montacarichi) e progettare scale in maniera sufficiente a far defluire più velocemente possibile le persone presenti all ’interno in caso di emergenza. Fissata la posizione del sistema nervoso (che definiamo spazio servente), si organizza lo spazio servito, ovvero le funzioni e lo spazio interno. A differenza degli edifici con prevalente sviluppo orizzontale che permettono una organizzazione più flessibile degli spazi e delle funzioni, (gli spazi serventi non sono come una spada infissa nell ’oggetto architettonico, ma possono viaggiare indifferentemente in orizzontale e/o in verticale), la progettazione del grattacielo è rigidamente vincolata. I vincoli progettuali sono ancora più stringenti quanto più l ’immagine della scultura – grattacielo è originale e le soluzioni statiche ardite. Il grattacielo, come ogni grande opera dell ’Uomo scatena il fascino dell ’amore e dell ’odio. Questo fascino, questi sentimenti contrastanti, sono determinati dalle caratteristiche antropomorfiche (cima, centro, base), che il grattacielo ha?. Oppure è lo stupore del sublime “sui generis ” che il grattacielo genera nell ’uomo comune? O nell ’Uomo è l ’autocompiacimento della “potenza ” prometeica di un “atto ” davvero straordinario che fanno del grattacielo un ’opera stupefacente? Nei detrattori, il grattacielo è l ’effetto del morso che l ’architetto Adamo ha dato al frutto proibito città per controllarne l ’incontrollabile natura (l ’Eden degli urbanisti).

101 park avenue - new york - 1982 de Belvis, Progetto autografo - 1992 RIVISTA di EQUIPèCO_PPrimavera 2005

de Belvis, Senza titolo (da sopra); Spazi serviti e spazi serventi; World financial center - shanghai 1996 33


S

econdo costoro, può la città, massima espressione dell ’integrazione, sovrapposizione e interrelazione di relazioni e funzioni, avere al suo interno queste enormi “isole ”, separate, autonome che possono esistere a prescindere dall ’esistenza della città stessa?. Il dibattito tra gli uni e gli altri è sempre aperto e si ripete ciclicamente ad ogni bando di concorso, inaugurazione, riqualificazione urbana o sventramenti di vecchi quartieri. L ’una e l ’altra parte hanno le loro buone ragioni. Nati come contenitori essenzialmente di uffici, manifesti-sculture delle multinazionali che li commissionavano e che poi ne davano il nome (Chrysler Building, (William Van Alen, New York, 1928- 1930), Rockefeller Center (Raymond H. Wallace, K. Harrison e altri, New York, 1931 –1973), Seagram Building, (Ludwig Mies van der Rohe, New York, 1954 –1958), Pirellone (Giò Ponti, Milano, 1956 – 1960), alcuni esempi) i grattacieli, oggi hanno anche arricchito le funzioni di contenitori (hotel, supermercati, uffici, abitazioni, garage, cinema, auditorium, teatri). Nonostante un ’apparenza statica, si sono dinamicamente evoluti. Questi megacontenitori hanno permesso alle città moderne, svuotate dal lavoro produzione di prodotti e per divenire lavoro di produzione di servizi alocalizzati, di continuare a caratterizzare il proprio skyline con grattacieli più alti, più belli, più “manifesto ”. Il grattacielo non è più il simbolo “dell ’America ”, è stato globalizzato anch ’esso a Singapore, Shanghai, Duseeldorf, Riyadh, Francoforte, Osaka, Jakarta, Sao Paolo, Sidney. E l ’evoluzione è stata anche effetto della tecnologia che ha permesso ai grattacieli di crescere in altezza, grazie a nuovi materiali, a incastri fatti con macchine a controllo numerico, a pezzi pre-fabbricati industrialmente dalle forme più impensate. Ma i grattacieli (più precisamente i progettisti che lo hanno richiesto) hanno stimolato la tecnologia a migliorarsi per poter sviluppare soluzioni sempre più innovative. Non solo. Le moderne tecnologie informatiche consentono ai progettisti di: elaborare modelli concettuali sempre più arditi, tant ’è che l ’architettura dei grattacieli dagli anni 90 è uscita dalla forma dei primordi della scatola a parallelepipedo; - sviluppare modelli di calcolo strutturale improponibili manualmente, - verificare le portate e le potenze degli impianti creando modelli sempre più complicati e precisi; e successivamente, a costruzione finita, di controllare tutte le attività e gli impianti in maniera intelligente, precorrendo i tempi della domotica e badando, più di ogni altra costruzione al contenimento dei costi in generale e al risparmio energetico. Il grattacielo non è naturale.

181 west madison - chicago - 1990 (da sopra da sn) Century tower - tokyo - 1991 Jin mao tower - shanghai - 1998 Millenium tower - tokyo - 1989 311 south wacker drive - chicago Petronas towers - kuala lampur - 1998 Skyline di sidney - 2004 34

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ARTE M L A C - Museo Laboratorio di Arte Contemporanea - Università di Roma “La Sapienza ”

Il bacio balcanico di Brunilda Lekunda Gennaio 2005 a cura di Simonetta Lux. Intervista del 13 gennaio 2005, Simonetta Lux (S) a Brunilda Lekunda (B): S: Come sei nata come artista? B: Ogni volta nasco e rinasco. S: ? B: Sono nata da genitori e nonni attori, autori, registi, in tempi difficili. Voglio dire che vivo tre tempi. Il tempo della dittatura il tempo dell ’anarchia il tempo della democrazia (in Albania). E dopo possiamo andare in dettagli per spiegare meglio. Mio nonno Preng Lekunda, che ha recitato in molti dei primi film realizzati in Albania, nel 1968 è morto sulla scena recitando una parte del morire, in occasione dell ’inaugurazione di una centrale idroelettrica albanese costruita sul fiume della Drina. Una tragicommmedia, come è anche la mia. Diciamo che quando... S: Perché ricordi tanto queste cose? B: Fanno parte della mia storia, io che sono nata artista e porto proprio lo stesso cognome, Lekunda, che vuol dire terremoto e si trova in un piccolo paese Mirrdita (che vuol dire Buon giorno). Dunque io voglio dire “Buongiorno ter-

remoto ”. Mia madre poi è nata da un padre Blago Stankovich (1928) che è stato generale dell ’esercito di Tito, morto poi fucilato nel 1952 a seguito di uno dei processi farsa nati dal contrasto di Tito con Stalin (Infobureau) e dittatore albanese Enverxhogja per ben 50 anni. Voglio ricordare che mio nonno paterno si è dato il cognome riprendendolo dalla località dove è nato (Lekunda, località in campagna non lontano da Mirrdita). S: Anche qui si fanno sempre le prove di dittatura, (o militarizzazione o gerarchizzazione spinta) per tenere meglio il potere. B: Ma là la dittatura è stata terribile, perché non si poteva neanche fiatare, neanche vedere un canale tv diverso da quello di Stato. Il cognome del dittatore albanese indica una religione politica, l ’islamica. S: C ’erano le spie? B: I canali arrivavano, ma era tutto spiato e proibito. S: Avevi 9 anni quando è morto quel dittatore. B: Ho pianto così tanto, perché la mia maestra piangeva tanto. S: Tutto questo l ’hai capito dopo. B: Questa dittatura ha dato anche l ’obbligo di piangere e non piangere. S: Perché siete così duri? B: Perché siamo vissuti nella speranza, credendo sempre in Dio ma tutte le istituzioni che fanno propaganda... È solo da voi in Europa che sentiamo dire: “Porco D**! ”. Da noi solo i comunisti dicevano D** Merda. Il Papa dopo 50 anni di proibizione di Dio viene ad aprire la prima cattedrale postcomunista a Scutari … Prima della dittatura, i Gesuiti Anche mio nonno paterno studia con i Gesuiti e poi a Firenze nella scuola militare. S: Perché sei così interessata a Dio? B: Io prego Dio come una cattolica. Ma sono per l ’unità di tutte le religioni. Questo è per me il senso della vita. Quello che mi fa respirare, che mi fa dire quello che ho comunicato con Dio. S: Questo tuo lavoro che si chiama “Il bacio balcanico ” ha a che fare con tutto questo? B: Con il mio sangue da dove vengo io con la mia storia, con la mia origine. La prima volta che sono uscita, sono andata in Grecia, con il folklore albanese che si i incontrava con quello greco. Due culture due governi 1996 … S: E allora? B: Avevo 17 anni. Ma questa opera ha a che fare con la mia origine, nel senso di come mi sento oltre che di come so. Il folklore è la base della cultura di un popolo, almeno

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all ’epoca (ma anche oggi). Quando i politici si incontrano si vestono dei modi floklorici … S: Cosa del tutto inutile per me e ingannatrice talvolta, nella sostanziale vuotaggine. B: Comunque quando i politici si incontrano anche oggi si presentano nello stesso modo. S: In quale bosco eri? Perché gli scacchi? Perché oggi le bandiere, tre bandiere? Quella della exjugoslavia (Blago Stankovic) quella greca di tua nonna (Alipias) e quella albanese di tuo nonno (Preng Lekunda)? B: Nel tempo della dittatura dalla parte di mio padre (tra i suoi parenti di linea materna) furono uccisi tutti i maschi salvo un piccolo di 11 anni nascosti tra i rami di un albero. Per questo mio padre, vistosi tra i postcomunisti è fuggito in America, in quanto i socialisti oggi al potere hanno fatto parte del governo della precedente dittatura. Mio padre è un artista ironico del Teatr Migeni: se ne è andato per questa continuità della persecuzione. S: E oggi? B: C ’è Brunilda Lekunda. Che, finita l ’Accademia di Belle Arti in Montenegro & Serbia, che ha fatto l ’artista per sette anni, chiamata a esporre già durante gli studi, oggi viene in Europa per rimanere e vivere come cittadina europea, VIENE CIOÈ CON UN BACIO BALCANICO. All ’Europa come l ’unica comunicazione nei tempi di oggi. Il bacio del pensiero di amore invece della memoria dell ’odio. Punto e basta. S: Tu sottolinei: pensiero dell ’amore. B: Sì. S: Perché la pelle di pecora? B: Fin dalla bibbia l ’agnello è simbolo di un Sacrificio e di una testimonianza. Anche come la forma. La forma economica di vestirsi. L ’Albania è stata sempre il sacrificio degli altri popoli , non ha mai fatto la guerra di per sé. I Balcani sono sempre stati il SACRIFICIO DELL ’EUROPA. S:? B: Nei passaporti exjugoslavia c ’è ancora scritta la religione. Quando c ’è stata l ’anarchia in Albania. Nel 1997 i cattolici hanno preso il maiale e lo volevano portare dentro la Jaimia ed i musulmani vi hanno messo allora la dinamite. Il cardinale della cattedrale di Scutari è andato allora a dormire una notte nella jamia e l ’hoxha è andato a dormire nella cattedrale cattolica. E da allora un filo unisce tutte e due le istituzioni. (Pubblicato in www.luxflux.net, n.16, 2005)

EXPERIENCE, di Brunilda Lekunda Mi sono recata in un luogo aperto e sconosciuto per lavorare. Era primavera e indossavo dei sandali con grossi tacchi (ma prima di recarmi lì non mi ero resa conto di questo fatto). Le mie molecole e quelle della natura circostante si fondevano le une alle altre. Il viaggio per arrivare era durato un ’ora e mezza. Avevo camminato con i sandali sulle rocce. I miei piedi non stavano molto bene. Sedevo all ’ombra della roccia che copriva completamente il mio corpo. Alzando il capo toccai automaticamente i sandali, i piedi mi si erano indolenziti. Mi ritrovavo alle

pendici del monte Supotnica vicino Prijepolije. Il gorgoglio delle cascate d ’acqua provenienti da ogni parte di questo luogo verdeggiante trasmettevano delle sensazioni di lontananza e insicurezza. Un solo passo sbagliato e sarei potuta cadere cento metri sotto. Inconsciamente sorrisi e ghignai su questa consapevolezza. La natura mi trasmetteva delle sensazioni così potenti che non avevo mai percepito prima. Le molecole del mio corpo cominciavano a comunicare con le molecole della natura. Sentivo la natura come un organismo vivente. Le sue molecole trasmettevano energia nello stesso modo delle molecole dell ’organismo umano che respira aria e assorbe l ’energia del sole. Il meccanismo è lo stesso ma la tecnica è differente. La natura mi aveva chiamata per farmi sentire queste sensazioni in maniera profonda e tecnica, come se avesse aspettato 2002 anni. Perché questo colore verde (come fosse acquarellato)? È come un oggetto sessuale di comunicazione con varie sfumature di colori verdi naturali, quasi fosse un gioco provocante della natura; così ho capito che la natura assume degli aspetti innaturali all ’interno di se stessa. In modo da provocare e comunicare con queste caratteristiche della natura ho scelto volutamente i colori acquarellati. Perché la scacchiera? Ho messo la scacchiera perché è un po ’ il simbolo di queste relazioni strategiche che noi immaginiamo di giocare. Perché è un disegno?

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MUSICHE del LIMITE IL COLORE è ROSSO di Luca Miti “The colour is red ” L ’uomo con gli occhiali, dalla partitura di ‘Kisha ’ Due testi in qualche modo - in due modi diversi - emblematici. Varrà la pena dirne due parole. (Iniziando dalla cosa meno importante, la loro “storia ”: l ’uno, quello di Albert Mayr, inedito, allora destinato alla pubblicazione sul mai nato, per quanto ci risulta, catalogo della mostra “Viaggiatori sulla Flaminia ”, svoltasi tra Spoleto, Campello e Trevi, in Umbria, tra il giugno e l ’agosto del 1998; l ’altro, in qualche modo parte di una mia azione svoltasi a Tolentino, nelle Marche, durante il festival “Amodanea ” nel luglio 2002 e pubblicato parzialmente sulla rivista “Amodal ” n° 8 “speciale per Amodanea ”, una sorta di catalogo di quel festival. E questo basti come indicazione bibliografica[*].) Emblematici, dicevo: di un trovarsi in un luogo estremo, vicino al limite, o appena oltre quel limite; un luogo dove il linguaggio si supera - supera se stesso, oppure viene superato (dipende dal punto di osservazione). Di un fare musica che la supera, in una parola; di un andare oltre, insomma, che andrà pure, un giorno o l ’altro, spiegato nella sua “essenza ” (che finirà pure, un giorno o l ’altro, tra i “classici ”). Per dirne due parole, dunque, bisognerebbe risalire di molto - e qui citerò disordinatamente: dagli studi sull ’ambiente sonoro di R. Murray Schafer agli studi sinestetici “seri ” (pochi, a quanto mi si dice) sul rapporto tra colore e suono; dai quali, in qualche modo ancora più “oltre ”, si va verso studi sul tempo - le ricerche sulle “altre ” frequenze di Albert Mayr - o verso certe forme musicali “non più ” musicali - suoni ormai annidati nell ’immaterialità. Di un fare musica che la supera, dunque: ma forse quei quattro minuti abbondanti di John Cage avevano già detto molto, parecchi anni addietro: di un superamento linguistico, già in atto da tempo (da sempre?), dove più che della interdisciplinarietà si cercavano le regole, o le non regole, di un “esperanto ” che oggi è il campo nel quale ci troviamo, ci muoviamo, talvolta “ci contiamo ” fra noi. Non si tratta, infine, di un qualche limite da superare (per quello ci sono le “avanguardie ”): è una questione di oggi, di lottare “per la causa ”, come dice sempre Albert, di “necessarietà ”, come diceva qualcun altro.

Allora: quanto velleitarismo dettato da narcisimo c ’è in queste ricerche? Pochi nomi Aleksander Skrjabin, Olivier Messiaen, Luigi Veronesi, Günter Maas, la Cattedra di Sinestesia dell ’Università di Vienna, Kandisky (1): tutto (2) così come salta in mente: disordinatamente; ma sono le nostre radici. Sono le nostre radici? Sono nostre? Relazioni (= associazioni) Associando liberamente (3) colori e suoni, e, in qualche caso, gusti (4), si può ottenere la seguente tabella (5): L ’evidente ‘pendant ’ che ingloba, con una complessa rete di associazioni, oggetti (percezioni) apparentemente lontane fra loro presenta nella sua stessa ‘evidenza ’ l ’essenza della sua natura: associazioni (percettive) non sempre presenti a livello conscio. Esistono, e questo è un altro problema, associazioni che potremmo chiamare ‘geografiche ’, come nel caso dei datteri che sono di colore marrone e vengono prodotti nel Nord Africa dove si cantano e suonano determinate Canti algerini

datteri

Canti monaci tibe- Rosso (scuro) tani Raga indiani Verde (pallido)

burro di yak?

Glenn Miller

Verde (militare)

Divisa militare *

Ryuichi Sakamoto Verde (militare) (soundtrack ‘Furyo ’)

Divisa militare * * militaria (6)

(*) In realtà c ’è un testo - uno solo tra i tanti altri - che, per ragioni molteplici e in qualche modo talmente personali da diventare intime, va dato: AA.VV., Arte Immateriale Arte Vivente, Ravenna, Edizioni Essegi, 1994. Non è un testo specificamente musicale, forse non è neanche un testo d ’ ”arte ” - certamente è un testo che tocca “immaterialmente ” certi aspetti di quel limite (l ’oggi, “la causa ”, la “necessarietà ”). Cappello (antiartistico) Non facciamo storie. Però la tentazione è forte. C ’è una quantità enorme di ricerche effettuate nell ’ambito delle relazioni tra colore e musica, tra colore e suono. E scopriamo che quasi tutti gli autori di queste ricerche sono attivi in una delle due discipline coinvolte, arte visiva e musica - cioè sono ‘artisti ’ - a parte alcune illustri eccezioni, che si trovano nell ’ambito, ‘terzo incomodo ’, della ricerca scientifica. 42

Marrone

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musiche (e, continuando all ’infinito questo ‘gioco ’, dove la pelle degli indigeni è di colore altrettanto scuro e richiama, almeno come zona cromatica, le sabbie dei deserti e...), ma non in questo, o non esclusivamente in questo, risiede la natura di tali associazioni. Mettere in ordine, serializzare: probabilmente è in questo che risiede la natura - pensiamo al ‘concetto di ordine ’ secondo Chiari (7), che attiva una nuova prospettiva relazionale: un concetto, quello di ‘lavoro ’, appunto, o meglio quello di ‘ordine ’, si troverebbe alla base della ‘catalogazione ’ da noi effettuata, quindi delle relazioni tra colore e musica da noi credute di individuare. Ci si dovrà a questo punto chiedere quanto tali relazioni si collochino in un contesto culturale (e magari non in un altro), e dunque si metterà in discussione la presunta oggettività delle stesse, che si andrà a trovare in una posizione decisamente instabile. “Kisha ” Fu un mio lavoro per un flauto jugoslavo, uomo con gli occhiali ed altro composto in occasione della guerra in Serbia (o sarebbe più esatto dire ‘composto contro gli attacchi NATO in Serbia ’). Qui lo si cita per la presenza del colore rosso, enunciato all ’interno del pezzo (come testo) come frammento di vissuto (jugoslavo). Ovvero, come il colore, in un contesto musicale, possa assumere valenze etiche. Note (1) Devo alcune di queste informazioni ad Albert Mayr, autore di una lunga ed istruttiva telefonata con lo scrivente. (2) Invece è davvero poco, considerando anche la vitalità delle ricerche tuttora in corso: mi riferisco alle recentissime teorizzazioni di Alexander Korostelev, che da sole (ma non in solitudine) dimostrano una inequivocabile continuità storica in terra di Russia. A titolo esemplificativo delle ricerche più recenti, tutte piuttosto simili fra loro, si riporta, una delle tabelle basate sulle numerose teorie sviluppate dagli ultimi ricercatori; come si può facilmente osservare, non siamo in presenza di teorie rivoluzionarie, almeno rispetto alle intuizioni di, poniamo, uno Skrjabin o molto dissimili da quelle di un Veronesi. La tabella qui riportata è dovuta ad un gruppo di ricercatori tedeschi suggeritomi dal Korostelev. Si forniscono comunque, per chi volesse approfondire questo aspetto della ricerca, gli indirizzi - in rete - di Korostelev e del gruppo tedesco: http://www.theak.narod.ru - http://www.colormusic.de Qui non si vuole mettere in dubbio alcunché di tali teorie; certo è che, volenti o nolenti, si sarà costretti ad ammettere che il dubbio avanzato da uno dei miei ‘informatori ’ (del quale in questa nota non si rivelerà il nome per delicatezza nei suoi confronti; d ’altra parte, non gli sarà difficile riconoscersi in quanto affermato) - che la sinestesia sia solo una truffa (o quantomeno che i risultati raggiunti da questa siano poco accettabili anche dal punto di vista scientifico) - sia fondato. (3) Qui si è scelto un taglio libero, ovvero amodale, e il prescindere da un ’interpretazione (psico)analitica dei fatti è stato la naturale conseguenza di tale scelta. (4) Si ricordi che, storicamente, la ricerca sinestetica non si è sempre limitata ai soli colore e suono, cioè vista e udito, ma ha spesso considerato, o tentato di considerare, anche altri sensi come nel nostro caso, il gusto, dunque i sapori. (5) Non si consideri la tabella come esaustiva di tutte le possibilita; d ’altra parte il carattere assolutamente non scientifico, ma anzi fortemente connotato in senso immateriale o addiruttura inconscio ne devia il rigore in direzione (naturalmente!) amodale. (6) L ’orribile presenza del verde militare non fa che sottolineare l ’aspetto di artificiosità (patologica) di quel ‘concetto di ordine ’ che incontreremo tra poco. (7) La partitura verbale della composizione “Lavoro ” di Giuseppe

Chiari, del 1965, così prescrive: “l ’uomo ha molti oggetti / intorno a sé / li mette in ordine / secondo il suo concetto / di ordine ”. Bibliografia: Chiari, G., “Musica madre ”, Giampaolo Prearo Editore, Milano 1973. Dorfles, G. “Il metodo per suonare Giuseppe Chiari ”, Martano Ed., Torino 1976. Giolfo, M., “I suoni del deserto ”, Ananka, Torino 1998. Kandinsky, W., - Marc, F., “Il Cavaliere Azzurro ”, SE, Milano 1988. “La Nuova Enciclopedia della Musica ”, Garzanti, Milano 1991. Miti, L., “Kisha ”, partitura manoscritta. Touma, H.H., “La musica degli arabi ”, Sansoni, Firenze 1982. Veronesi, L., “Proposta per una ricerca sui rapporti fra suono e colore ”, s.d., Milano. I miei ringraziamenti, davvero sinceri, vanno naturalmente ad Albert Mayr per quella telefonata fatta ‘con quella generosità e con quella bontà che non sarà mai lodata abbastanza ’ (nonché per le sollecite e costose fotocopie del testo di Veronesi), ad Alexander Korostelev per le sue sollecitudini - checché lui ne dica - e simpatia e a Laura Marchetti per la traduzione in francese e la pazienza.

Pellegrinaggi e altre Musiche Sperimentali di Albert Mayr Cultura popolare e arti sperimentali Ho spesso cercato di spezzare una lancia per un dialogo tra cultura popolare e arti sperimentali. Per chiarire: per cultura popolare non è da intendersi quella che va incontro agli attuali gusti del popolo (o piuttosto ai gusti che l ’industria culturale abilmente perpetua), ma ciò che è rimasto di quanto si è più o meno organicamente formato nei diversi campi dell ’attività culturale pre-industriale bella loro interazione con le attività di sussistenza e con quelle sociali (in tedesco esiste l ’utilissima distinzione tra Volkskultur - che sarebbe la seconda - e volkstümlicher Kultur). Chiedendo al lettore di accontentarsi di questa definizione poco approfondita di cultura popolare (che inoltre non tiene conto delle nuove culture popolari urbane), ne do una pure approssimativa dell ’arte sperimentale: mi riferisco a quelle esperienze volutamente minimali, povere e automarginalizzanti, che cercano di rivedere radicalmente la teoria e la pratica di fare arte, minandone alla base, per così dire, le forme tradizionali. dopo un ’intensa fioritura negli anni 60 e 70 e un ’ibernazione di circa due decenni, esse da un pò di tempo si stanno riaffacciando sulla scena. Per avviare il discorso che seguirà propongo di dividere l ’insieme delle attività culturali in quattro settori: - La cultura popolare (CP), - La cultura di massa prodotta industrialmente (CIM), - La “alta cultura ” dell ’establishment (cito anche qui il più azzeccato termine tedesco, cioè bürgerliche Hochkultur) (CAB), e infine - Le arti sperimentali (AS). Tra questi settori è possibile fare un raffronto su vari parametri. Qui ne scelgo due che sono direttamente collegati con le riflessioni che seguono. Il primo parametro che prendo in considerazione è quello della reificazione-mercificazione dei prodotti. Questa, tra l ’altro, richiede opere “chiuse ”, univocamente distinguibili da ciò che le circonda (nel caso delle arti figurative) o avviene intorno ad esse (nel caso delle arti performative). La reificazione/mercificazione del prodotto richiede inoltre che per ogni opera vi sia un autore (o un gruppo di autori) chiaramente individuabile come tale e dunque legittimato a percepire diritti d ’autore. È evidente che questo parametro ha un valore alto per la CIM e la CAB, in quanto fondamentale per il funzionamento

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FOTOGRAFIA

TIMOTEO SALOMONE Istantanee in forma di ritratto di Vincenzo Mollica Per uno che fa il mio mestiere, che ha girato il mondo ed è stato testimone di situazioni diverse ed eclatanti, diventa quasi naturale voler mostrare agli altri le proprie sensazioni e i propri stati d’animo: “Scrivere con la luce è come scrivere con l’anima. Quell’attimo particolare, quel gesto, quello sguardo impressi su di un pezzo di carta incidono a volte più delle parole stesse”. (T.S.)

Abbiamo conosciuto Timoteo e la sintonia è stata ‘istantanea’ come i suoi clik. Insieme abbiamo concordato la pubblicazione delle sue fotografie esposte di recente e raccolte in un libro con note dell’autore e un testo di Vincenzo Mollica. Iniziamo con la prima sezione che testimonia la triste situazione di questa zona delle Filippine, ‘MANILA: gente di Tondo’. Scrive l’autore: ‘Il quartiere di Tondo a Manila, spero, riesca a darvi le stesse sensazioni che anch’io ho avuto mentre le fotografavo: è il posto peggiore che mi sia mai capitato di vedere al mondo, sia per i miasmi, sia per le condizioni igieniche in cui vive quella gente’. ***

T

imoteo Salomone ha ricevuto in dono un talento prezioso: l’arte di guardare. Mi riferisco in particolare alla capacità di saper distinguere e scegliere tra le mille sollecitazioni che ci arrivano dagli occhi, ma soprattutto a quella qualità, che non si compra nei supermercati, di saper cogliere le emozioni che vivono nelle immagini. Tutti hanno il privilegio di guardare una immagine che la vita ci regala, pochi sono quelli che riescono ad interpretarla e cioè a farci vedere meglio quello che avevamo sotto gli occhi e non riuscivamo a capire. Timoteo Salomone è uno di questi, se ha davanti agli occhi una cinepresa, una telecamera o una macchina fotografica riesce sempre a cogliere quello che vede con un punto di vista assolutamente personale che risponde al suo stile, alla sua cultura, alla sua anima. Ecco perché le immagini filtrate dallo sguardo di Salomone sulla vita

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sono uniche. Il suo è uno sguardo d’artista, di uno che ha visto tanto e tanto ha saputo raccontare dell’avventura umana con le sue immagini, di uno che si èsempre tenuto lontano dal gioco delle ambizioni per nutrirsi delle sensazioni e dei sentimenti che partono dal cuore. Nello sguardo di Timoteo vive la disarmante semplicità dei grandi, di RIVISTA di EQUIPèCO_Primavera 2005

quelli che sanno narrare senza il bisogno di complicazioni o di quegli illogici frullati mentali che vanno tanto di moda. Il suo sguardo è limpido perché mira all’essenza delle cose, dei fatti, delle persone attingendo al pozzo generoso della sua umanità, nel suo DNA non c’è traccia di retorica ed è per questo che gioia e dolore


gli camminano a fianco senza finzioni. Salomone non ha bisogno di trucchi per affrontare la realtà, non cerca distorsioni o trasgressioni, semmai la voglia di vivere ovunque si manifesti. Credo che le foto di questo libro siano lo specchio di tutto quello che ho scritto finora. Gli argomenti: il quartiere di Tondo (Manila) dove 100.000 persone sopravvivono su una discarica, Bhopal (India) la grande battaglia di Lapierre, un uomo coraggioso, le suggestioni del Marocco, il glamour rubato al Festival del cinema di Cannes, gli Angeli che questa terra rende visibili e basta saperli cerca-

re. Il risultato: le foto di Salomone sono dei racconti vivi e appassionanti, che possono essere vissuti come preghiere o inni alla vita, lampi di malinconia che fa rima anche con ironia o semenze di solidarietà. Considero un privilegio di fatto aver potuto vivere tante esperienze di lavoro al fianco di Timoteo Salomone, mi considero il suo Sancho Panza che scrive parole che sarebbero niente senza la forza delle sue immagini che segnano l’anima e non conoscono sfocature. Ho sempre detestato i cineoperatori che quando sbagliavano la messa RIVISTA di EQUIPèCO_Primavera 2005

a fuoco delle immagini mi volevano anche turlupinare parlando di sfocature artistiche. Questo tipo di atteggiamento non è mai appartenuto a Timoteo Salomone che ha il dono di muovere poco la telecamera, nel senso che privilegia sempre il gusto dell’inquadratura, rispetto al movimento di macchina, alle cosiddette zoomate. A questo proposito Federico Fellini diceva una cosa sacrosanta: “Quando un cineoperatore muove troppo la telecamera o la cinepresa vuoi dire che ha le idee molto confuse”. Timoteo Salomone ha sempre rispettato questa regola non scritta, soprattutto perché sa trovare naturalmente il giusto punto di vista, la giusta prospettiva da cui filmare il cuore della storia, la sostanza del racconto. Questo fa la differenza tra un cercatore d’immagini tarantolato e uno che cerca di filtrare e capire attraverso il proprio sguardo il mondo che gli gira intorno. Queste considerazioni che valgono per le immagini in movimento si possono applicare anche all’universo della fotografia. Quello che conta è lo spirito di ricerca insaziabile, piuttosto che la temporanea ebbrezza che può regalare il gioco delle apparenze. Confesso che preferisco la parola istantanea a fotografia, perché porta con sé in maniera chiara l’essenza di quest’arte e cioè la capacità di fermare un istante, ma non un qualsiasi frutto di centinaia di scatti fatti a mitraglia, bensì quell’unico istante che valeva la pena di essere fermato, quell’unico istante che riesce a racchiudere in sé una emozione che merita di essere tramandata. La passione per la fotografia non nasce mai da uno sfogo narcisistico, ma dalla necessità di trovare quell’istante, quell’attimo in cui la vita sembra mostrarsi con la sua faccia più vera. Per fare questo basta saper guardare, basta un solo scatto, che vale come la pennellata di un pittore che attraverso la tavolozza dei sentimenti cerca la luce giusta per non perdersi nel buio. Sono tante le riflessioni e le emozioni che nascono dalle istantanee di Timoteo Salomone, sono immagini che non si dimenticano, viste una 51


volta vanno ad arricchire il tesoro della nostra memoria, collocandosi dove vivono i pensieri a cui attingiamo per non perderci di vista, per non perdere di vista il senso del nostro destino, per evitare che i nostri giorni diventino una svista, per far sì che il nostro sguardo ci accompagni sempre come una camera con vista sul mondo, esattamente come ci insegna Timoteo Salomone con le sue poetiche istantanee. *** Il ricavato del catalogo sarà devoluto in beneficenza a: Parrocchia di San Pablo Apostolo di Tondo (Manila); Convento di San Francesco di Palestrina; Associazione Alfredo Agro per la cura e la prevenzione delle leucemie. TIMOTEO SALOMONE, (Palestrina, 1942). Dopo il diploma in ragioneria, frequenta la scuola di cinema e televisione in Roma dove inizia facendo l’assistente operatore e partecipando alle riprese di film western, tanto di moda negli anni 70. Con la crisi del cinema in Italia, inizia il cammino travolgente della televisione. Primi contratti con la RAI nel 1967 con due mesi di lavoro e sempre con la mansione di assistente operatore fino al 1969, quando vince il concorso e viene assunto a tempo indeterminato. Inizia l’attività di operatore di ripresa nel ‘79 il TG3. Tre anni dopo si trasferisce definitivamente al TG1. Ha lavorato i più importanti giornalisti televisivi come Sergio Zavoli, Andrea Barbato, Enzo Biagi, Sandro Mazzarella, Franco Catucci, Paolo Frajese, Antonio Caprarica, Fabrizio Del Noce, Dante Alimenti, Angela Buttiglione, Maria Luisa Busi, Lamberto Sposini, Paolo Digiannantonio, Daniela Tagliafico, Luigi Saitta, Fabio Zavattaro, Giuseppe De Carli e Vittorio Citterich, Clemente Mimun, Vincenzo Mollica ed altri. È stato testimone diretto nei conflitti in Nicaragua, Salvador, Afghanistan, la guerra del Golfo in Israele. Per circa otto anni ha effettuato riprese nelle peregrinazioni del Santo Padre Giovanni Paolo II, spostandosi nei vari continenti. Come telecineoperatore giornalista ed inviato del TG1, e dopo 35 anni di attività nel mondo televisivo dell’informazione d’attualità, ha voluto cimentarsi con la fotografia. La passione per l’istantanea è stata volutamente tenuta nascosta quasi per non disturbare l’amore per il reportage, finché non è esplosa con il coraggio di voler affrontare il pubblico con una mostra fotografica. 52

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LABORATORIO di MESSAGGI

L ’Isola dei Morti di Arnold Böcklin e i sette Pianeti di Paolo Civita

L

a Caverna di Platone ci ha suggerito l ’esistenza di un Universo percepibile solo indirettamente, tramite proiezioni di ombre sul fondo della caverna. In tal modo si suggerisce un modo di rappresentazione di una realtà superiore, della quale è possibile percepire la presenza nella nostra esistenza. È un pensiero molto ardito, promessa per una via verso quanto vienechiamato Trascendenza. Ma non è più una questione di semplice conoscenza. Dobbiamo domandarci come Platone sia arrivato alla formulazione di un tale pensiero. A nostra disposizione abbiamo solo congetture plausibili, che non possono essere certamente portate al livello di una inoppugnabile dimostrazione. Tuttavia, nella ricerca di congetture plausibili, possiamo proporre aspetti convincenti all ’attenzione dei lettori, in modo che essi possano valutare liberamente sulla fondatezza di tali congetture. Possiamo sicuramente proporre un “quasi ” assioma, dal quale partire: la sensibilità e l ’intelligenza degli uomini del passato erano certamente almeno alla pari con le nostre attuali. Nell ’antichità, però, non erano a disposizione riferimenti sicuri su tutta una serie di fenomeni fisici. Nella ricerca spesso si cercava un appoggio nella coscienza di qualcosa non Questo è il quadro originale senza modifiche grafiche. facilmente dimostrabile, piuttosto che nella conoscenza. Perciò è plausibile che gli antichi dedicassero più attenzione di noi alla osservazione e percezione di fenomeni non propriamente fisici, ma non di meno percepibili dalla coscienza. Sulla base di tali osservazioni, valutavano la presenza esistenziale di qualcosa che cercavano di “fissare ” nella mente attraverso l ’uso di simboli presi a prestito dalla realtà della manifestazione fisica. Sarebbe però grossolanamente assurdo da parte nostra interpretare alla lettera tali simboli, nel significato odierno. Le proposte del genere della Caverna, Questa immagine risulta sfocata rispetto alla precedente. suggeriscono riferimenti che non possono certamente essere presi alla lettera. In genere sono proposte che si riferiscono a interpretazioni artistiche di intuizioni particolarmente profonde, in correlazione analogica con altre cose più immediate della realtà fisica. In queste pagine, senza alcuna pretesa di costruire modelli di riferimento, vengono proposte indirettamente alcune idee, utilizzando immagini comparabili fra di loro. In tali immagini, tramite variazioni della grafica, appaiono differenze percepibili, delle quali è ben difficile dare spie- Questa invece è sfocata e contiene variazioni sui parametri dei colori. RIVISTA di EQUIPèCO_PPrimavera 2005

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