CLAUDIO MAZZENGA POESIE Introduzione di Walter Mauro
RIVISTA di EQUIPèCO CARMINE MARIO MULIERE EDITORE
INDICE Dalla raccolta Epos e thanatos - p.13 Mi sussurrarono: vola! - Ho nuotato - Il vento sconvolge Laggiú - Una ragnatela - Il mare s’è alzato al cielo Corriamo a cercare ... - Abbiamo seminato sogni - Gridano gli occhi ancora - Appena opaca è la luna - Scheletro di cielo Dalla raccolta Cosmogonie e Cosmoagonie - p.25 Gli oracoli hanno cantato - Occhi aperti verso il cielo Angeli nuovi - Angeli immobili - Acqua nuova - Sul muro Incredulo - Gabbiani impazienti - Abbiamo aspettato Siamo rimasti cosí - La notte ha sorpreso tutti - La pagina è aperta - Anime piegate - Rumori di colori, soli - Abbiamo pianto - Il sole violenta il cielo - Bianchi rossi azzurri Colloqui con l’ombra - Il mio viaggio inizia qui Dalla raccolta Segnisogni - p.49 Dei cieli, dei mari, delle nuvole - La costa è cratere di luna piena - La magia fu interrotta - Il muro si sgretola, ogni volta
Claudio Mazzenga, del luglio 1953, è nato a Roma dove svolge attività di insegnante, storico dell’arte, saggista e poeta. 7
Introduzione
orre lungo il tracciato di questo percorso poetico di Claudio Mazzenga una primaria tensione verso la ricomposizione di elementi slabbrati e di componenti che tendono a dilatarsi -e distanziarsi l’una dall’altra- piuttosto che a raccogliersi entro una forza unitaria salvifica. Di qui la dualità che esprimono le prime due sezioni della silloge, Epos / Thanatos e Cosmogonie / Cosmoagonie, incrocio che va ben oltre il gioco linguistico, pur se lo scambio e l’assunto della vocale in piú servono a meglio -piú sottesamente- individuare le componenti, gli elementi della discordanza e della diversità, tanto piú rafforzate nella misura in cui la terza sezione tende drammaticamente a ricomporre, nel tentativo poeticamente molto valido e suasivo, di reperire un comune terreno d’intesa fra il segno poetico come autentico, inesorabile segnale, e il perseguimento di un irreale che convalidi la percezione della realtà: presto si ricompone, / dinanzi, dietro, sopra, sotto, / tutto si sgretola tutto si ricompone. / Il pozzo è profondo come un mare… Ma torniamo ai primi due percorsi di questo viaggio che
C
9
tanto poco e svogliatamente si accosta alla navigazione mediatica del nostro tempo: a fronte delle certezze e della sicurezza (tutt’altro che interiore…) che possa offrire il tracciato tecnocratico, il cui vizio d’infanzia si disvela per intero all’occhio percettivo del poeta che non lascia occasione per evidenziarne la vacuità, ben oltre, allora, emerge e prende sostanza e coscienza il volo come viaggio in fuga verso un ignoto ben piú evidente e visibile di quanto non si possa credere, e sono proprio le parole, la lingua poetica fruita, ad esibire il senso della conoscenza, il sobbalzo del rinvenimento: Il vento sconvolge / il grano delle colline / e noi pur pesanti d’anni / andiamo leggeri con lui / fin dove si curva il mondo / alti a cercare oltre le nuvole / per vedere cose invisibili… Il disvelamento si accentua e recupera il proprio interno equilibrio nel momento stesso in cui la parola si fa poesia e lascia esplodere la riflessione illuminante che tutto riconduce al dominio dell’essere: ostacoli, impedimenti, rovesciamenti, tutti i segmenti dell’umano divenire mentale oscillano al vivo dell’essere che subito si traduce nell’esistere per restituirsi vergine e innocente alla pura essenza: tornano “voglie antiche”, sogni disseminati che adesso esigono una decisa ricomposizione, perché l’”horror vacui” è lí ad incombere e a non concedere alcuna tregua al cospetto di un paesaggio che va sempre piú assumendo una parvenza lunare. L’andamento, il ritmo interiore che si traduce in parole, non può che proiettarsi verso la “grecità” della parola, come un antico coro innestato nel contesto della tragedia. Si destano le forze della natura, e impongono quel senso di paura che sole e terra legittimano con il 10
senso del mistero che finiscono per promanare: di qui il canto degli oracoli che infittiscono il mistero dell’essere e dell’esistere, e forse non basta il volo dei gabbiani ad accompagnare l’arduo conflitto dell’uomo con la sua ombra: Gli oracoli hanno cantato / vecchi di polvere nera / soffiano nel cielo pioggia e terra / carri di fuoco rabbiosi / illuminano pesanti la notte / nei loro quotidiani giochi di guerra. La terza sezione di questa silloge, cosí partecipe ad un trauma esistenziale che di continuo, tenacemente si scioglie in poesia, la parte finale insomma in cui il segno, pur conservando il privilegiamento del suono, dell’armonia della parola, non può che avvertire il sobbalzo del risveglio, invita e coinvolge il ritorno alla terra, il recupero di uno spezzone di realtà difficile da vivere e da tollerare, ma inevitabile, al contempo, se il senso del vero civile e umano debba necessariamente avviarsi verso il recupero di se stesso: Nel vagone siamo in tanti / a respirare a sospirare / la macchia d’inchiostro si spande sulla camicia / come sangue per lo scoppio del proiettile, / parole esplodono / schizzano disordinate nell’aria indesiderate / inseguite dagli sguardi di tutti / che viaggiamo sempre sull’ultimo treno della notte… Il ritorno al pianeta incita al disinganno per l’accentuarsi del disagio, raddoppiato nei confronti di tutto quanto era visibile e percettivo all’avvio del volo: …Il muro si sgretola, ogni volta, / il muro si ricompone, ogni volta, / ed ogni volta continuo a correre / fra le nebbie e le nuvole corro, corro comunque / inseguo il vento 11
sempre piú leggero, / mi innalzo, mi abbasso fra le molecole veloci… Il ricomporsi del tutto si concreta nella sola percezione del rimbombo del mio correre… È difficile, al tempo d’oggi, trovare un poeta che meglio di cosí abbia saputo fermare, in tutte queste “stazioni”, un viaggio che si svolge fra una infinità di rischi e di pericoli. Walter Mauro
12
Epos e thanatos Mi sussurrarono: vola! ed io stupito volai un dio lo voleva ed io mi alzai lasciai le acque e le terre le rocce e le spiagge e le gocce si staccarono dai miei piedi e fui leggero e le sabbie caddero dalle mie mani e tenendola per i fianchi portai con me il mio amore e la mia morte fino in alto per conoscere i camminamenti del cielo dove ogni cosa ha il suo posto ogni anima la sua terrazza sul mondo mi accoglieva nuovo angelo alato l’infinito e l’aria era dolce ed il volo libero ed io ero vento ed io ero nuvola ed io ero luce tutto era silenzio e l’eterno mia meta.
13
Epos e thanatos Ho nuotato e conosco bene in quei cieli profondi infilato nel cuore di nuvole aguzze e su ali di gabbiano ho disteso la mia mente e all’aria piú alta ho affidato il mio corpo e il vento l’ha portato e l’immenso l’ha nascosto cosí ho navigato l’infinito ho respirato l’eterno ho toccato gli dei in quei cieli profondi e pur ho voluto tornare qui dove tutto davvero non esiste.
14
Epos e thanatos Il vento sconvolge il grano delle colline e noi pur pesanti d’anni andiamo leggeri con lui fin dove si curva il mondo alti a cercare oltre le nuvole per vedere cose invisibili ora il vento aggroviglia il buio fa dura la notte e squarcia di nero le pupille ma ormai gli occhi hanno saputo e le mani indicano scaliamo tralicci ossidati insieme file d’ombra in catena per legare il cielo alla terra là dove tutto sfugge e le cose sono davvero invisibili.
15