Romanzo

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GIORGIA M. RIGHI

LA CHIAVE

RIVISTA

DI

DELLA

EQUIPÈCO

CARMINE MARIO MULIERE EDITORE

VITA


La Chiave della Vita

Capitoli

Pagina

1- L’alba........................................ 11 2- Città del Messico....................... 13 3- L’omicidio.................................. 29 4- L’indagine.................................. 33 5- Giada Mancini........................... 45 6- Il prof. Damiani.......................... 53 7- Il karma..................................... 67 8- I servi di Dio.............................. 71 9- Quetzalcoatl.............................. 75 10- Il secondo omicidio................... 87 11- La svolta................................... 99 12- Un giorno difficile...................... 111 13- La conferenza stampa................ 113 14- Un rischio calcolato................... 119 15- Il Messia................................... 129 16- Un messaggio misterioso........... 135 17- Il Cairo.................................... 151 18- L’Ambasciata italiana................. 171 19- I Papiri e la Bibbia..................... 185 20- I sionisti.................................... 195 21- L’assassino................................ 207 22- La resa dei conti........................ 211 23- La verità................................... 223 Apocalisse 22 - La Parola è Vita... 239

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Capitolo 1

La Chiave della Vita

L’alba primi raggi del sole illuminano una fredda mattina d’inverno. I viali Icalda alberati si rischiarano lentamente, i lampioni si spengono e la luce colpisce i vetri lucidi delle finestre dei palazzi. La città vede nascere un nuovo giorno. Sul volto dell’assassino dalla pelle scura si possono leggere i segni macabri della follia, le sue pupille sono dilatate, i denti scoperti in un ghigno crudele. Tutt’intorno si sente l’odore acre delle torce, mentre l’uomo viene investito dalla luce vivida dei raggi del sole. Allarga le braccia per accoglierla, se ne riempie, ne gode. Lentamente, innalza le braccia brune verso la luce, in mano tiene qualcosa... gocciola, si muove… alle sue spalle… l’orrore… la morte.

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Capitolo 2

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Ciudad de México l Boeing 747 dell’Alitalia volava alto sul Golfo del Messico, dominanIalcune do un panorama marino sconfinato e ripetitivo. Mancavano ancora ore all’atterraggio e Massimo Tedesco se ne stava abbandonato contro lo schienale della poltrona, cercando un diversivo per combattere la noia. Ormai era in volo da quasi undici ore, escludendo la sosta a Miami e cominciava ad averne abbastanza anche della business class. Stava andando a Città del Messico per partecipare al prestigioso congresso annuale della World Association of International Studies sull’irrisolto mistero delle Piramidi. Tra i partecipanti erano previste eminenti personalità nel campo dell’archeologia, provenienti dalle piú importanti Università del mondo ed uno dei relatori, l’egittologo Abdul Salir, era un suo caro amico. Tedesco era nato a Glasgow trent’otto anni fa, ma aveva vissuto quasi sempre a Roma. Primo del suo corso all’Istituto Superiore di Polizia, la sua carriera era stata tutta in discesa. Dopo la laurea in Legge, ne era seguita un’altra in Egittologia e proprio quella passione lo aveva reso famoso. Al Congresso non partecipava in veste di addetto ai lavori, ma semplicemente come studioso interessato. Amava considerasi un esperto detective del passato e quando non si occupava di archeologia, dirigeva il Commissariato Flaminio di Roma. Con un gesto d’insofferenza gettò il libro che stava leggendo da una parte e si alzò per andare alle toilettes. Dopo essersi chiuso la porta alle spalle, i suoi occhi color del mare fissarono l’immagine che gli rimandava lo specchio sopra il lavabo. Si passò una mano sulla mascella forte, coperta dalla barba corta e ben curata e si ravviò indietro i capelli scuri sospirando rumorosamente. Se la giornalista di Magazine mi vedesse oggi!, disse ironicamente pensando ad alta voce. Alcune settimane prima, un periodico a tiratura nazionale aveva pubblicato un servizio particolareggiato sul riassetto della Polizia di Stato, sulle nuove strutture e le tecnologie rivoluzionarie impiegate nella lotta al crimine. L’articolo si premurava di mettere in risalto il valore degli 13


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agenti di polizia, uomini e donne che rischiavano quotidianamente la vita sulle strade delle città italiane e in un riquadro intitolato Professionalità e Fascino, l’autrice del reportage aveva messo una sua foto a sovrastare un articolo in cui lo descriveva come un poliziotto la cui competenza era eguagliata unicamente dal suo indiscutibile fascino. Le solite cose da giornalisti, aveva pensato Tedesco infastidito. Finalmente il Boeing era entrato nello spazio aereo del Distrito Federal, ma non per questo stava cominciando la discesa verso la capitale messicana. Ciudad de México sorgeva sulle rovine dell’antica Tenochtitlàn ed era una città immane che contava all’ultimo censimento ben ventiquattro milioni di abitanti, con spaventosi problemi di traffico e di inquinamento. Era talmente sconfinata, che il 747 la sorvolò per piú di un’ora, prima di iniziare la discesa verso l’Aeropuerto Internacional. Disponendo solo del bagaglio a mano, Tedesco si diresse velocemente verso il posteggio dei taxi, eludendo con difficoltà uno stuolo di volenterosi facchini che gli offrivano ogni sorta di servizi. Buenas stardes señor, donde vamos?, gli chiese il tassista girandosi verso di lui. Camino Real, por favor. Está bien. El Camino Real era un lussuosissimo albergo situato nella zona dei musei del Bosque de Chapultepec e Tedesco lo aveva scelto per la sua vicinanza al Museo Nacional de Antropologìa, sede del Congresso. Il tragitto fino all’albergo era stato interminabile e sperò che quella fosse l’ultima tortura a cui avrebbe dovuto sottoporsi per quel giorno. Quando il taxi si fermò ai piedi dell’imponente entrata dell’hotel, mise in mano una banconota al tassista e scese senza indugio. Muchas gracias, señor!, esclamò l’autista valutando l’entità della mancia. De nada, rispose tra i denti. Buenas stardes señor, Tedesco disse un uomo in spagnolo, con un elegante completo blu ed un cartellino che lo identificava come membro dell’organizzazione. El señor Salir la sta aspettando al bar per un aperitivo. Se intanto vuole darmi il suo passaporto, sbrigherò io tutte le formalità per la camera. 14


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Benché il suo spagnolo fosse un pó arrugginito, Tedesco gli porse il documento e la borsa. Me la fa portare in camera, por favor?. Seguro, dia a me. Guardò verso il bar cercando di scorgere la figura esile ed elegante del prof. Abdul Salir e lo vide impegnato in un’accesa conversazione con due famosi egittologi della Harvard University. Non lo vedeva da un paio di mesi e sperava di trascorrere un pó di tempo con lui. Ciao Abdul!, disse sorprendendolo alle spalle mentre stava salutando gli altri due studiosi. Massimo!, esclamò riconoscendo il suo accento scozzese. Ti stavo aspettando, come stai?, aggiunse tendendogli le braccia. Bene e tu?. Non c’è male, ma questi lunghi viaggi mi riducono uno strofinaccio. Abdul Mustapha Salir era uno dei piú rispettati egittologi della comunità scientifica. I suoi saggi sul periodo amarniano erano stati tradotti in un centinaio di lingue. Prenota un tavolo, Abdul, gli disse mentre indietreggiava in direzione degli ascensori. Voglio mangiare qualcosa di decente, ma prima vado a farmi una doccia. Già fatto, e… ti dispiace se invito una persona alla nostra tavola?. Basta che non sia una donna che cerchi di farmi conoscere. Ma chi lo vuole un orso come te!. Non posso mica rovinarmi la reputazione solo per trovarti qualcosa da fare. Bravo, cosí va bene. Mentre saliva in ascensore sorrise ripensando con affetto all’amico. Si erano conosciuti due anni prima in Egitto, durante un viaggio che purtroppo era finito in tragedia. La figlia del suo piú caro amico e collega, Stefano Marconi, era stata uccisa al posto suo e quella disgrazia aveva cambiato la sua vita per sempre. Verso le nove, Tedesco si era cambiato ed era sceso al bar certo di trovare il prof. Salir esattamente dove lo aveva lasciato. Come aveva previsto, era coinvolto in un’accesa conversazione con un altro studioso suo coetaneo. Ah!, Giuseppe, eccolo, disse l’egittologo al suo interlocutore vedendolo arrivare. 15


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Signori… buonasera. Massimo, vorrei presentarti il prof. Giuseppe Damiani, docente di Storia delle Civiltà Precolombiane all’Università di Roma. Ricordi che ti avevo parlato di due miei cari amici ai quali volevo raccontare quello che è successo due anni fa sul Monte Gebel Nugrus?. Lui è uno dei due, disse il professore con enfasi. Tedesco annuí in silenzio. Trovava ancora difficile ripensare a quei fatti e ricordarli lo costringeva ad ammettere che erano accaduti veramente. Ma non era solo per la morte di Erika. Dopo trentaquattro secoli, aveva scoperto una verità inaccettabile, un mistero vecchio di migliaia di anni che aveva attraversato le barriere del tempo. Piacere di conoscerla, professore, disse riemergendo dai suoi pensieri e stringendogli la mano. Il piacere è mio, Mr. Tedesco, mi creda. Il prof. Salir fece strada verso il ristorante, commentando con entusiasmo la scoperta della cucina messicana. Vi consiglio di prendere una enchiladas, signori, suggerí l’egittologo porgendo loro i menu. È squisita. Mr. Tedesco, disse lo storico versandosi una minerale, Abdul mi stava dicendo che il Servizio delle Antichità egiziano le ha offerto un incarico da consulente. Sí, un paio di mesi fa. Me l’aspettavo. Il nuovo Direttore Generale sta continuando la tradizione dei suoi predecessori di servirsi solo dei migliori. Grazie io… esitò Tedesco a disagio. Il mio non era un complimento Mr. Tedesco, ma una constatazione. Ho letto alcuni dei suoi articoli sulla prestigiosa rivista del National Geographic e ci tengo a farle i miei complimenti per le teorie rivoluzionarie sul Faraone del Sole. Mi piacerebbe discuterne con lei quando ha tempo. Senz’altro professore. Vede, continuò lo storico con una flemma quasi inglese, sono rimasto molto impressionato dal metodo con cui ha condotto la sua ricerca. È razionale ed assolutamente non convenzionale. Forse, perché non sono un vero egittologo, ma un poliziotto. La verità è che la mia è stata piú… un’indagine. Appunto!. La lucidità con cui ha affrontato determinati argomenti mi ha 16


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messo quasi in imbarazzo, glielo confesso. Tedesco sorrise distogliendo lo sguardo. Non era timido, ma i complimenti lo mettevano a disagio. Peccato che Lorenzo non sia qui anche lui, interloquí il prof. Salir con un’alzata di spalle. Lorenzo?, disse Tedesco aggrottando le sopracciglia. Sí, non lo conosci ancora, è un egittologo italiano arrivato al Cairo solo sei mesi fa, prima lavorava per il British Museum. È molto in gamba, il Museo gli ha offerto un ottimo incarico. La serata trascorse serenamente. Tedesco si rilassò gustando una squisita enchiladas: dei tacos ricoperti di chile e farciti di carne, serviti con della panna acida. Dopo una meritata tequila, si ritirò relativamente presto. Il Congresso sarebbe iniziato non prima di due giorni e si era programmato uno scrupoloso giro turistico. Il taxi era diretto a nord-est dello Zòcalo, lungo la calle Semenaria, l’area archeologica che ospitava el Templo Mayor. Quando Tedesco si trovò di fronte all’antico monumento, ricordò di aver letto in rete, che l’intero recinto sacro rifletteva la visione azteca dell’universo ed el Templo Mayor ne era il centro. Visitò i vari livelli costruttivi ed apprese che era strutturato in nove piani che in senso verticale scendevano nel regno dei morti e tredici salivano verso i livelli celesti. Il basamento del Templo Mayor rappresentava il livello terrestre, mentre la costruzione stessa costituiva la rappresentazione dei tredici cieli. La seconda meta della visita era quella che aveva atteso di piú. Il complesso archeologico di Teotihuacàn gli ricordava quello di Giza, benché fosse inserito in un panorama assolutamente diverso. Gli edifici erano rivestiti di stucco e decorati con pitture e statue i cui nomi, spesso illeggibili, erano diversi da quelli generalmente conosciuti. Molte definizioni erano il frutto delle arbitrarie interpretazioni che gli Aztechi o gli Spagnoli avevano dato alle loro funzioni. Il primo edificio, definito Ciudadela, ospitava el Templo de Quetzalcoàtl e Tedesco, attraversandolo, provò una strana sensazione di disagio. Qualcosa di simile, e nello stesso tempo diverso, a ciò che provò due anni prima in Egitto, entrando nella tomba del Capitano Rama. Una volta fuori all’aperto, avvertí un profondo senso di sollievo, come quando ci si libera di una 17


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grande responsabilità e ci si sente piú leggeri. Dopo pochi passi, la maestosità delle grandi piramidi assorbirono tutta la sua attenzione. L’intero complesso archeologico era distribuito lungo l’asse nord-sud della calzada de los Muertos, lungo circa un chilometro e mezzo. Superati alcuni edifici, sulla destra si ergeva imponente la Piràmide del Sol, alta 63 metri e costituita dalla diversa inclinazione dei vari livelli collegati tutti da scale, che conducevano fino alla sua sommità. Il complesso si concludeva sulla piazza antistante la Piràmide de la Luna, alta 45 metri e circondata da piramidi minori. Tedesco raggiunse la vetta di entrambe, godendo del panorama meraviglioso che si poteva ammirare dall’apice di ognuna. Era sera quando decise di rientrare in albergo sublimemente stanco. Il taxi procedeva lentamente nel traffico paralizzato del Paseo de la Reforma e il rumore ripetitivo del motore quasi lo fece appisolare. Al Camino Real trovò un messaggio del prof. Salir col quale si scusava di non poter trascorrere la serata con lui, giacché doveva partecipare a una riunione dei relatori del Congresso. Non se ne rammaricò. Tutto quello che desiderava era una doccia ed una notte di sonno. La mattina seguente fece colazione con il prof. Salir in una delle verande panoramiche dell’albergo e mentre gustavano una varietà squisita di frutta tropicale, parlarono del piú e del meno. Come sta Aziz?, domandò Tedesco con noncuranza. È un pó che non lo vedo. Benone. Lavora anche lui per il Museo adesso. Mi fa piacere. Sí, l’anno scorso ha recuperato alcuni reperti provenienti dalla tomba di Tuthmosi III. Oggetti che erano stati rubati piú di dieci anni fa dal magazzino, pare da un guardiano corrotto e cosí l’hanno assunto. Sai, vivendo al mercato… . Tedesco infatti lo aveva conosciuto proprio al mercato, pochi giorni dopo il suo arrivo con Erika al Cairo. Qualcuno gli aveva detto che se cercava qualcosa, Aziz era l’uomo giusto per trovarla. L’egiziano se ne stava accucciato in un angolo a leggere, vestito di stracci, ma dignitosamente pulito. I suoi occhi brillavano d’intelligenza e non si accordavano assolutamente con il suo aspetto dimesso. Tu sei lo straniero, gli aveva detto l’egiziano alzando lo sguardo su di lui. 18


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Tedesco aveva annuito. Da quel giorno Aziz gli aveva dimostrato una lealtà assoluta, senza chiedere nulla in cambio. Abdul Salir sospirò tamponandosi le labbra con il tovagliolo. Aziz non lo ammetterà mai, ma sono certo che ha accettato questo lavoro perché spera d’incappare nel tizio che ha rubato il papiro del Capitano Rama. Un papiro. Erika era stata uccisa per un maledetto papiro. Un rotolo di carta vecchio di trentaquattro secoli, nascosto in una tomba dimenticata da tutti, incuneata tra i monti dell’Alto Egitto. Andiamo via di qui, mormorò il professore accigliato. Ogni volta che ripensava a quella faccenda, perdeva il buonumore. Quella povera ragazza in definitiva, era morta per niente. El Bosque de Chapultepec era il parco piú grande de Ciudad de México, un oasi di verde nel mezzo della caotica metropoli. El Paseo de la Reforma, l’arteria piú prestigiosa della città, in linea con i piú moderni criteri urbanistici delle capitali europee, lo attraversava lungo il suo settore settentrionale e costituiva la meta preferita delle famiglie in cerca di svago ed ossigeno. Tra i suoi alberi secolari c’era un laghetto, lo zoo, il giardino botanico, dei campi sportivi ed alcuni piccoli musei. Proseguendo per i viali alberati, superarono la collina sulla sommità della quale sorgeva el Castillo de Chapultepec, la residenza imperiale di Massimiliano d’Asburgo. In fondo, subito dopo il Monolito Tlàloc, appariva l’enorme edificio del Museo Nacional de Antropologìa. Il Congresso non è ancora iniziato ed io sono già stanco, sbuffò l’anziano egittologo asciugandosi la fronte con il fazzoletto. Siamo quasi arrivati, lo consolò Tedesco con dei colpetti sulla spalla. Le Sale Congressi sono laggiú. Sí, ma io non ho le tue gambe lunghe. Quando sarò arrivato laggiú… mi servirà la bombola di ossigeno. Questo posto è smisurato!. E io che speravo di convincerti a visitarlo con me. Neanche morto!. Sono troppo vecchio per fare il turista. Queste faticacce le lascio a te che sei giovane. Tedesco sorrise affondando le mani nelle tasche. Il prof. Salir non perdeva mai il suo senso dell’umorismo, era un uomo colto e spiritoso. Un connubio davvero raro. 19


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