Voce dei Giovani - speciale Meeting di Rimini 2012

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Anno XLVIII - n. 1

PROTAGONISTI DELLA PROPRIA EDUCAZIONE

SPECIALE MEETING 2012 EDITORIALE

È cambiato tutto, ma siamo sempre noi In quest’anno che segna la storia del CdG, siamo tornati con tante cose nuove e con tanta voglia di dire la nostra Avete tra le mani una nuova Voce dei Giovani. Un’edizione che rispetto al passato esprime un cambiamento significativo sotto tanti punti di vista. Lo vedete da voi. I motivi sono più d’uno e provo a ripercorrerli insieme a voi in queste righe. In primo luogo, abbiamo preso al balzo la palla del cinquantesimo anniversario del Comune dei Giovani e del centenario dalla nascita del nostro fondatore, don Didimo Mantiero. Il cinquantesimo, in modo particolare, è una ricorrenza che fa parte della nostra tradizione. Tante volte infatti, nelle riunioni, negli incontri e nelle occasioni formali e non, ci siamo sentiti ripetere l’affermazione che il prof. Francesco Carnelutti fece a don Didimo quando questi gli confessò l’intenzione di dare vita a una realtà del genere. “Il Comune dei Giovani – disse Carnelutti – è nato 50 anni prima del tempo”. Ogni volta che questo aneddoto ci veniva raccontato, nasceva in noi un vago senso di aspettativa, come se dovesse succedere chissà che cosa. Quegli anni sono passati e ciò che dev’essere del CdG lo sa solo la Provvidenza. Per il momento spegniamo queste 50 candeline con gioia e con la consapevolezza che, senza quella Provvidenza, un’associazione fatta di giovani che collaborano con gli adulti non sarebbe durata a lungo, probabilmente. In questo contesto, noi della Voce dei Giovani abbiamo deciso di festeggiare apportando un cambiamento innanzitutto nel formato. Un cambiamento che in realtà è un ritorno alle origini, al formato scelto dai fondatori di questo giornale per diffondere le loro idee e per parlare delle loro attività.

E se c’è una cosa che al CdG non manca, quelle sono le attività. Ne parleremo il più diffusamente possibile, e un assaggio lo avete già in questo numero che esce in contemporanea al Meeting, dove siamo presenti con una mostra che ha richiesto un immenso sforzo non solo organizzativo, ma anche di riflessione sul carisma di don Didimo, di ricerca delle fonti e dei documenti, di selezione dei contenuti, di sintesi, di progettazione e allestimento. Soprattutto faremo in modo che non manchino anche le nostre opinioni. I valori che ci sono stati trasmessi dalle nostre famiglie e dai nostri maestri ci consentono di vedere la realtà e di dare un giudizio a ciò che ci accade intorno in un modo che si differenzia dal solito e che non si appiattisce sui luoghi comuni da campagna da social network. Speriamo di riuscire nell’intento di dimostrare che – nonostante si parli più male che bene dei “giovani di oggi” e faccia più notizia ciò che fanno di cattivo rispetto a quanto fanno di buono – ci sono ragazzi che hanno qualcosa da dire e riescono a farlo con argomentazioni ragionevoli, valide, fondate. Se qualche volta non saremo all’altezza, ce ne scusiamo in anticipo. Ci riconoscerete l’onore delle armi di averci almeno provato e di esserci messi in gioco. Nei prossimi numeri la Voce si arricchirà anche di nuove rubriche. Parleremo un linguaggio agile, senza tanti fronzoli. Insomma, c’è diversa carne sul fuoco. Ci siamo fatti attendere più del previsto, è vero. Ma secondo noi ne è valsa la pena.

Andrea Mariotto

hooligans

Bisogna saper (anche) vincere Tanti motivi per cui un anno così ce lo teniamo stretto

Promozione in Prima Categoria per la Prima Squadra, vittoria del Campionato Locale per gli Juniores, promozione in Prima Divisione per la Seconda Divisione Femminile, promozione al Campionato Under 20 per l’Under 18, promozione in Seconda Divisione per l’Under 16. Questo il ricco palmares dell’annata sportiva 2011/2012 dell’A.S.D. S. Croce Sezione Calcio e Pallavolo. Una stagione da incorniciare, altro che “zero tituli” per dirla alla Josè Mourinho. In questi giorni di Olimpiadi londinesi rivedo negli occhi degli atleti azzurri del fioretto a squadre la stessa gioia di quelli biancoverdi di qualche mese fa. Una gioia che porta con sé i ricordi di qualche annata meno felice di questa, di sofferenze, di piccoli e grandi sacrifici ma soprattutto di sorrisi e di amicizie vere. Il minimo comune denominatore di questi cinque grandi successi è la forza del gruppo. Un gruppo dentro e fuori dai campi di allenamento e dalle palestre che si è formato nelle taverne, nei ritiri a Fiera di Primiero e a Monaco di Baviera anche grazie alla priorità che si sono dati i dirigenti Egidio Zilio, Simone Fietta, Matteo Artuso, Mariangela Bertoncello, Anna Beraldin nell’attenzione alla persona e a suoi bisogni prima di tutto. Un altro aspetto determinante per la buona riuscita della stagione è la professionalità dei tecnici Giancarlo Citton, Fabio Mariotto, Nicola Sartore, Mauro Lorenzon, Gianpietro

Bertoncello, Franco Poggesi, Gabriele Bizzotto, Chiara Bernardi, Paolo Dal Monte e Cristina Bizzotto, veri e propri esempi di presenza, puntualità e dedizione. Alla base di tutto poi c’è una società sana con dei valori guidata da un presidente alla prima esperienza, Giovanni Meneghetti, ed uno in scadenza di mandato, Nadia Baggio, con storie diverse ma obiettivi e programmi comuni. Non ci sarebbe stata alcuna vittoria senza lo straordinario supporto dei ragazzi del settore giovanile pronti a macinare chilometri per sostenere ed urlare per i loro beniamini nelle trasferte più lontane scendendo idealmente con loro in campo con la casacca biancoverde. Nell’anno del 50° del Comune dei Giovani e del 100° dalla sua nascita mi piace immaginare il don Didimo sportivo (che aspettava i risultati di calcio in chiesa o in canonica e che si divertiva a giocare a pallavolo in campeggio con la sua lunga veste nera) tifare per le sue squadre dall’alto. Non sarà facile ripetere una serie di imprese come quelle di quest’anno, ma vedere i piccoli atleti della società sportiva imitare le punizioni dell’attaccante della Prima Squadra e i bagher del libero della Prima Divisone con la passione e l’innocenza che è sola dei bambini, infonde tanta speranza.

Due anniversari in Uno

Centenario della nascita di don Didimo Mantiero e 50 anni di vita per il Comune dei Giovani. Per le Opere di don Didimo il 2012 è un anno storico, vissuto all’insegna di incontri speciali, celebrazioni, approfondimenti. E non è ancora finita 31 marzo

30 gennaio - 1 febbraio

"Vi porto nel cuore" - Le Opere incontrano il Papa L'udienza da Papa Benedetto XVI è stato il primo passo di tutto il cammino di festeggiamenti che fino a fine anno vedrà impegnate le Opere di don Didimo Mantiero. Mercoledì 1 febbraio un gruppo di 100 persone ha partecipato all'udienza generale di Sua Santità. Serviva una benedizione particolare, e il Pontefice non l'ha fatta mancare. Salutando Nicola Cerantola (Sindaco del Comune dei Giovani), Sergio Martinelli (Presidente del Consiglio delle Opere di don Didimo Mantiero) e Giovanni Scalco (responsabile del Comitato dei Festeggiamenti e primo Sindaco del CdG

nel 1962), Papa Ratzinger ha ricordato i suoi trascorsi a Bassano in occasione delle conferenze e del Premio Internazionale organizzati dalla Scuola di Cultura Cattolica. “È da tanto tempo che non ci vediamo – ha detto –, ma vi porto sempre nel cuore”.

Il Papa dei giovani - Il CdG si affida a Giovanni Paolo II In occasione dell'annuale pellegrinaggio al Santuario della Madonna del Covolo, a Crespano del Grappa, il Comune dei Giovani ha deciso di affidarsi a Papa Giovanni Paolo II. L'atto di affidamento al Beato Wojtyla arriva dopo 15 anni dalla consacrazione dell'associazione al Cuore Immacolato di Maria. Anche in quella circostanza, l'iniziativa era legata alla celebrazione di un "compleanno" del CdG, il trentacinquesimo.

19 Febbraio - 6 Maggio

La storia, gli episodi, le immagini – Gli aperitivi storici È stata una sorta di chiamata a raccolta di tutti coloro che, a diverso titolo, nella loro vita hanno percorso il sentiero del Comune dei Giovani. Un’idea semplice ma efficace: sedersi assieme e confrontarsi ripercorrendo la storia attraverso l’esperienza diretta degli ex-cittadini dell’associazione. Ne sono nati momenti appassionanti di condivisione, tra racconti di aneddoti sconosciuti ai giovani di oggi e riflessioni dei partecipanti sul significato che ha rivestito l’esperienza del CdG nel proprio cammino di educazione e di crescita personale.

24 marzo

“Per noi uomini e per la nostra salvezza” Convegno sul carisma di don Didimo Mantiero Uno spazio significativo nel programma delle celebrazioni è stato dedicato all’Opera che con la preghiera dà “linfa” a tutte le altre, La Dieci. In un convegno tenutosi presso il Centro San Giovanni Calabria di Verona si è voluto approfondire questo dono che Dio ha ispirato a don Didimo attraverso la lettura della Genesi, nel passaggio in cui Abramo “scende a patti” con il Signore per la salvezza di Sodoma e Gomorra. Il convegno ha visto la partecipazione di mons. Giuseppe Zenti, Vescovo di Verona, di don Andrea Brugnoli, che ha spiegato il ruolo de La Dieci nella nuova evangelizzazione, e di Ludmila Grygiel, che ha tenuto un interventi sul valore della preghiera di intercessione. Don Giancarlo Grandis, inoltre, ha sviluppato una relazione dal titolo “Per noi uomini e per la nostra salvezza”. “Del carisma del La Dieci – ha sottolineato don Grandis – si possono rinvenire almeno quattro note di spiritualità”. Una spiritualità dell’offerta, cioè “della partecipazione alla Pasqua di Cristo, attraverso il dono di tutto se stessi”; una spiritualità della preghiera, soprattutto quella a Maria (“al recupero della preghiera mariana, don Didimo

22 giugno

“Le opere buone di don Didimo” – S. Messa con il Vescovo di Vicenza

arriva attraverso l’intuizione, che ha generato La Dieci, quella di offrire se stessi ‘al posto di’ per la salvezza della città”). La terza “nota di spiritualità”, ha notato don Grandis, è la spiritualità della comunione e della missione. “Se si vuole essere a servizio della missione della Chiesa – ha sottolineato – bisogna coltivare la comunione. Senza impegno per la comunione non si fa molta strada come cristiani”. Infine, la spiritualità della cultura e della gioia a servizio della fede, che si innerva soprattutto nel CdG e nella Scuola di Cultura Cattolica, “esperienze, queste, che permettono all’uomo di crescere ed essere ‘più uomo’”.

Venerdì 22 giugno, nel giorno preciso della nascita di don Didimo Mantiero, nella chiesa della parrocchia di S. Croce gremita per l’occasione, si è celebrata la S. Messa solenne presieduta dal Vescovo di Vicenza mons. Beniamino Pizziol. Ad affiancarlo nella celebrazione erano presenti don Paolo Traverso, parroco di Santa Croce, l’abate di Bassano mons. Renato Tomasi e altri numerosi sacerdoti che negli anni hanno conosciuto don Mantiero e le sue Opere. “Opere buone”, come le ha definite mons. Pizziol durante la sua omelia. Al termine della celebrazione il Vescovo si è intrattenuto con i presenti per un momento conviviale, durante il quale si è interessato alle attività svolte dall’associazione e ha scambiato qualche battuta con i ragazzi membri del Consiglio Direttivo del CdG.

Buone nuove sul fronte editoriale Segnaliamo due importanti novità editoriali relative agli anniversari celebrati nel 2012 dalle Opere di don Didimo Mantiero

La prima è la riedizione da parte dei tipi di Lindau dei diari di don Mantiero. La nuova versione dei diari (che ha mantenuto il titolo "Il volto più vero") si presenta arricchita di una prefazione della giornalista e scrittrice Marina Corradi, di un'interessante sezione fotografica che ripercorre gli anni in cui il sacerdote meditò, elaborò e realizzò le sue Opere, dando vita prima a La Dieci e successivamente al Comune dei Giovani. L’editore ha inoltre integrato al volume un intervento dell'allora cardinale Joseph Ratzinger (che il futuro Papa scrisse come prefazione al libro “La Dieci” di Ludmila Grygiel), un profilo biografico di don Didimo curato dal giornalista Lorenzo Fazzini e due lettere facenti parte dell’epistolario tra don Mantiero e San Giovanni Calabria. Tra i due, infatti, vi fu un rapporto epistolare intenso, che durò dal 1936 fino alla morte del sacerdote veronese, nel 1954. (Didimo Mantiero, Il Volto più vero - Diari, Lindau 2012, € 21,00)

Nel più stretto panorama cittadino, invece, è significativa l'attenzione che l'Editrice Artistica Bassanese ha voluto dedicare a don Didimo attraverso la stampa di un numero di una delle sue pubblicazioni di punta, L'Illustre Bassanese. L'obiettivo della casa editrice diretta da Andrea Minchio è quello di dare risalto alle personalità che nei diversi campi dell'esperienza umana abbiano lasciato una traccia indelebile nel tessuto sociale e culturale della città di Bassano. Il nome di don Didimo Mantiero, dunque, si aggiunge a una lunghissima schiera di personaggi ed istituzioni che hanno fatto, nel vero senso della parola, la storia della città. La presentazione del fascicolo si è tenuta domenica 10 giugno, all'interno dell'animata cornice della Giovaninfesta, la kermesse organizzata dal Comune dei Giovani, con la partecipazione del giornalista Gianni Celi, curatore dei testi della pubblicazione, e dello stesso editore Andrea Minchio.

giovaninfesta 2012

“Ci vogliono pane e idee” Divertimento, cultura, incontri. È la festa formato CdG. Pane e idee, lo diceva anche don Didimo

Matteo Bozzetto

La Giovaninfesta è un evento organizzato dal Comune dei Giovani che anche quest’anno, come ormai da cinque anni, si è svolta in Prato Santa Caterina a Bassano del Grappa dal 7 al 10 Giugno. Non si può definire semplicemente una festa, né una sagra o una ricorrenza, ma è un vero e proprio evento in cui si mescolano musica, cultura e sport. A dare il via alle danze è stata la conferenza di venerdì 1 giugno in sala Martinovich con il gruppo musicale The Sun, che hanno raccontato la loro storia e il modo in cui hanno preso in mano la loro vita quando si sono resi conto che non la stavano vivendo in pienez-

za: erano infatti una band hard rock-punk, si chiamavano Sun Eats Hours e avevano prodotto ben sei album, girando il mondo, collezionando centinaia di concerti e condividendo il palco con artisti molto famosi. Avevano tutto, ma in realtà non avevano niente e così quando hanno capito che i soldi, il successo e l’alcool li stava distruggendo, hanno deciso di rinascere consapevoli della loro unicità e di affidarsi a quel Qualcuno che ha riempito i loro giorni di gioie e soddisfazioni, dando un senso alla loro vita; hanno cambiato il nome in The Sun, hanno raffinato il genere rock, hanno composto solamente brani in italiano

e hanno fatto emergere la nuova identità del gruppo, riuscendo a coniugare una musica rock potente e melodica con messaggi riconducibili all'etica, alla concretezza e alla spiritualità. Tutto questo cade a pennello con il tema scelto per accompagnare la Giovaninfesta di questi ultimi due anni: “Voglio fare di me un Uno”, voglio dare il mio contributo unico e irripetibile, voglio essere un qualcuno, non voglio adagiarmi in un quieto vivere, ma vivere ogni situazione, ogni incontro e ogni occasione al massimo, consapevole che ciò che posso dare io non lo può dare nessun’altra persona al mondo. L’incontro è stato, quindi, il giusto inizio per proseguire con gli altri quattro giorni di festa. Ogni sera concerti con band di diverso genere, aperitivi “colorati” e cucina sempre a disposizione. Oltre alla musica lo sport: il sabato, infatti, è stato organizzato un torneo di 12 ore di calcetto, la domenica mattina un torneo amichevole di pulcini e tutti i giorni c’era la possibilità di giocare a paintball. Ai giovani però non sono stati offerti solo svaghi e divertimento; per questo, ogni sera c’era un “aperitivo culturale”, un momento in cui veniva dato spazio ad un’altra associazione del bassanese, prima Cantieri Giovani e poi la Cooperativa Adelante, e veniva loro permesso di raccontare chi erano, cosa facevano e come loro intendevano “fare di sé un Uno”. Il 2012, però, non è un anno come tutti gli altri. Ricorre infatti il 50° anniversario della nascita del Comune dei Giovani e il cen-

tenario dalla nascita del fondatore don Didimo Mantiero. Proprio per questa speciale ricorrenza è stato organizzato un momento all’interno della Giovaninfesta, dedicato al CdG. È stata presentata l’edizione dell’Illustre Bassanese (una speciale pubblicazione monografica che presenta le personalità che più hanno dato alla città di Bassano) dedicata a don Didimo e, con diverse testimonianze, il CdG ha potuto parlare di sé e di come, anche dopo tanti anni, esso sia un’associazione più viva che mai. Proprio come diceva don Mantiero: “nel nostro Comune si aiutano i giovani a diventare persone civili mettendo a loro disposizione le migliori idee”. Questo è quello che si è visto in Prato Santa Caterina, questo è quello che il CdG fa da ormai cinquant’anni.

Michela Meneghetti

foto a sinistra il consiglio direttivo del comune dei giovani con la rockband “the sun”

foto in basso un momento del concerto dei “the sun”


Uno spettacolo di ritiro

La stanza di Sherlock Holmes

Il breviario scomparso

L’inizio scoppiettante dell’anno del 50° Che spettacolo! Da 50 anni il Comune dei Giovani vede salire continuamente sul suo palco giovani carichi di voglia di essere protagonisti. Protagonisti veri: ognuno con il suo zaino in spalla pieno di domande, ma sempre pronto a liberare spazio per tornare a casa con qualcosa in più. E non c'è trucco, non c'è inganno. Tutto è profondamente ancorato nel desiderio più instancabile del cuore dell'uomo: la ricerca della Verità. Non è uno spettacolo di personaggi preparati e programmati. Non c'è menzogna, non c'è titubanza. È vero. È così che quasi 90 iscritti e simpatizzanti del CdG sono saliti a inizio anno a Passo Cereda per una due giorni di divertimento, di enogastronomia che nemmeno su Masterchef, di confronti e approfondimenti. Si è festeggiato un "compleanno" che durerà tutta l'annata: i 50 anni del CdG. È straordinario che un'associazione con un funzionamento così a staffetta (ogni anno cambia tutto), in un panorama così variabile come quello giovanile, raggiunga i 50 anni d'età e

dimostri di poter continuare a viaggiare ancora a lungo restando ancorata sulle solide certezze da cui è partita e da cui costantemente attinge. Così vive ogni giorno questa realtà: lasciandosi portare avanti da facce nuove ogni giorno, facendosi costruire e modellare continuamente da tutti i giovani che per volontà di sentirsi protagonisti veri ne fanno parte, ognuno con i propri limiti e i propri difetti, ma con un'ardente desiderio di diventare ogni giorno sempre più uomo. Il ritiro appena concluso ha permesso di comprimere, di mettere a contatto tutti i giovani che vivono questa realtà e di dare visibilità a quel prodigio che è il CdG. È una realtà di giovani come molte altre, magari, con un funzionamento singolare. Ciò che distingue la nostra associazione – però – la sua singolarità, è la sua ambizione di ricercare la Verità e di viverla. Dopo 50 anni non siamo stanchi di continuare a crescere. Non siamo stanchi di ricercare la Verità. GB

AMICI DEL CDG

Una giornata con delle facce familiari Bresso (Milano), 2 giugno 2012. Il Papa incontra le famiglie e tra queste ce ne sono parecchie partite da Bassano. Diario semiserio di una giornata al Family Day C’è il Papa a Milano al Family Day. Gli Amici del Comune dei Giovani (Associazione vigorosamente capitanata da Noemi Alessio) organizzano un pullman per essere presenti. Tengo famiglia numerosa (nella media) e non posso mancare. Le adunate oceaniche, dalle Giornate Mondiali della Gioventù in poi, mi piacciono. Cause di forza maggiore mi costringono però, assieme ad un altro paio di amici, ad andarci da solo e per una toccata e fuga. Quando vedo la lista dei partecipanti, scopro che tanti altri amici con famiglie numerose (ben oltre la media) sono lì con tutta la prole. Bravi, penso non senza un po’ di ammirazione. Dopo un secondo realizzo che se al Family Day non ci porti la family la vivi solo a metà. Le previsioni meteo danno bel tempo. La realtà è che già alla prima sosta all’Autogrill c’è quello che Renato Pozzetto avrebbe chiamato un caldodellamadonna. Poco importa, la sosta ristoro è luculliana, e il caldo passa in secondo piano. Con i miei due compagni di viaggio arriviamo a Bresso, e scopriamo che tra lavori stradali e ZTL sembra sia impossibile parcheggiare la macchina dove avevamo previsto. Poi – miracolo – la macchina si ferma proprio lì dove volevamo. Speriamo che la ZTL abbia chiuso gli occhi quando siamo passati noi. Zaino in spalla e via, raggiungiamo gli altri che con il pullman si sono diretti al luogo di pernottamento. Do il mio modesto contributo allo scarico dei bagagli, e intanto guardo le facce dei miei amici. Chissà quanto è stato impegnativo domare decine di bambini dentro un pullman. Già a casa talvolta sembrano incontrollabili, pensa in bus con in corpo l’entusiasmo da gita. Invece sono tutti contenti. Aiuto a sistemare i materassini tra un figlio che corre dietro all’altro, tra un “vieni qua, non andare in giro” e un “papà, devo andare

in bagno” - “ok, chiedi alla mamma”. Dopo pranzo ci avviamo verso l’aeroporto di Bresso. In metropolitana una mamma del nostro gruppo seduta davanti a me ha una bimba a destra, una a sinistra e il bimbo di un anno nel passeggino davanti a lei. Le due più grandi le si sono letteralmente addormentate sulle spalle e al piccolo manca poco. Lei sorride. Potrebbe lamentarsi di un sacco di cose, che fa caldo, che siamo stretti, che siamo sudati, invece sorride. Scendiamo dalla metro e ci aspettano diversi chilometri a piedi. Io ho il compito di portare lo striscione fatto per l’occasione, e mi presto volentieri. Lo striscione che all’inizio pesava quasi nulla, al terzo km inizia a farsi sentire. Quando decidiamo di aprirlo in tutti i suoi 6 metri di estensione pensando di essere arrivati, non sappiamo che abbiamo davanti almeno un altro paio di chilometri sotto la canicola. Penso che lo striscione è nulla rispetto alla fatica di chi è lì tra decine di migliaia di persone con 4 o 5 figli, con un bambino in braccio, uno per mano e nella testa la speranza che gli altri non vadano a cacciarsi nei guai. Eppure, nonostante tutto, ha voluto esserci, magari solo per sentire il Papa e sperare di vederlo passare vicino con la Papamobile, o forse per dare la propria testimonianza in difesa di una realtà, la famiglia, che oggi sembra indifendibile, sotto attacco com’è tra uno Stato che ti complica la vita più che può e un pensiero dominante che vuole convincerti che possa chiamarsi famiglia qualsiasi assembramento dell’umanità più varia. Anche noi eravamo lì per dire “ci siamo” con tutti i nostri difetti, non perché abbiamo il tagliando di famiglia modello, anzi. Eravamo dal Papa proprio perché non ce l’abbiamo, per ringraziare di essere parte di questa “tribù” di facce familiari a cui è toccata una grazia speciale. AM

Uomo: desiderio di infinito

“Il volo di Icaro” di Matisse è una di quelle opere d’arte che sembra far di tutto pur di non esserlo Rappresenta una figura d’ombra, vagamente umana, che vola, o meglio annaspa, in un cielo blu elettrico ingemmato di astri incandescenti. È la rappresentazione di Icaro, il figlio di Dedalo, che nel mito del Minotauro per fuggire dal labirinto vola sopra il mare con ali di penne d’uccello e cera. Il mito racconta che Icaro, volendo volare troppo in alto, si avvicina al sole tanto da fondere la cera che teneva incollate le ali per poi precipitare in acqua. Dalla mitologia greca l’episodio di Icaro è stato continuamente ripreso da moltissimi artisti di differenti epoche e correnti per la sua umanità. Henri Émile Benoît Matisse è tra questi: nel 1947, a 78 anni, dipinse per un libro-raccolta sul jazz “Il volo di Icaro” e successivamente “La caduta di Icaro”. Sette anni dopo, alla fine di una carriera artistica che lo portò a divenire l’esponente di spicco del genere “fauves”, Henri Matisse morì. Il disegno è singolare, prima di tutto per lo stile: Matisse applicò la tecnica del “papiers découpés”, essenzialmente foglietti di carta colorata incollati l’uno sull’altro. Una scelta che lo portò così a restringere la tavolozza dei colori a quattro tinte piatte, prive di sfumature. Si tratta di un’opera incredibilmente semplice sia dal punto di vista tecnico, che dal punto di vista descrittivo: un uomo in un cielo stel-

lato. Potrebbe averla fatta un bimbo dell’asilo. La cosa sorprendente è invece che Matisse la fece negli ultimi anni della sua vita. Matisse non dipinge il mare e il sole, i due pericoli, ed ignora le ali, il limite. Il protagonista del quadro di Matisse, non è il cielo, non son le stelle e non è neanche l’uomo d’ombra, quasi un buco nero incapace di riflettere la luce. Il centro dell’opera di Matisse, l’imbattuto premio Oscar come attore protagonista da alcuni millenni ad oggi, l’infinito “motore” della realtà finita dell’universo è quel rozzo puntino rosso: il cuore dell’uomo. Spesso tra giovani sentiamo di avere le redini della nostra vita strette tra le mani: sappiamo che la forza delle nostre convinzioni è la spinta che ogni giorno ci permette di portare avanti i nostri progetti individuali e, in ridotta misura, il bene della collettività. Siamo consapevoli di non poter fare il buono e il cattivo tempo in ogni cosa, ma sappiamo che la nostra determinazione, il nostro desiderare, il nostro volere ci permetteranno di superare gli ostacoli e di migliorarci sempre. Il quadro in questione supera questa affermazione e descrive l’essenza dell’uomo nella sua più profonda verità: Icaro nella forma nera al centro del quadro non sembra stia volando con l’eleganza di un angelo; è sgraziato, appare trascinato, quasi a disagio nel

mare di stelle. Ma è mosso ad avventurarsi in questo cielo dal suo cuore, quasi come se la figura dell’uomo sia strascicato avanti a forza dal piccolo punto rosso. Il cuore rappresenta la coscienza, o meglio l’essenza dell’uomo. Già, perché intuendo ma non comprendendo la propria natura, l’uomo ha da sempre sentito il “prurito” di rappresentare la propria vera essenza, quasi per relegarla nello spazio e nel tempo, ridimensionandola per farla più “umana”. E nelle arti figurative (e non solo), la metafora più sintetica per l’essere umano è il cuore. Cuore che continua ad essere la scintilla scatenante in ogni atto umano e il più grande mistero nell’universo. Ogni uomo che nasce si tuffa nell’universo, pian piano, cercando di comprendere la propria natura attraverso la realtà, e più la intuisce, più è portato ad amplificare la propria ricerca. Matisse con quelle pennellate di rosso ci ha come lasciato detto questo: tu, uomo, sei intramontabile desiderio. Non tentare di determinare il tuo volere o il tuo ardore. Il ciliegio non pretende di fare albicocche. Non puoi scegliere o frenare la tua natura. Tu, uomo, sei domanda di infinito.

Giovanni Battaglia

“VOGLIO FARE DI ME UN UNO. L’ESPERIENZA EDUCATIVA DI DON DIDIMO MANTIERO”

Il Comune dei Giovani si mostra al Meeting Quest’anno il CdG fa le cose in grande: al Meeting di CL una mostra sull’esperienza educativa di don Didimo Mantiero

Direttore responsabile: Andrea Mariotto Ministro del giornale: Marco Fietta Redazione: Antonio Artuso, Claudio Battaglia, Giovanni Battaglia, Martina Battaglia, Nicolò Bertoncello, Marina Bizzotto, Matteo Bozzetto, Enrico Fietta, Giulia Fietta, Beatrice Lorenzato, Paolo Mariotto, Michela Meneghetti, Andrea Menegon, Laura Peruzzo, Alberto Scalco, Luca Torresan, Francesco Zugno Impaginazione: ministero della comunicazione - Comune dei Giovani Direzione e amministrazione: Bassano del Grappa (VI), casella postale n. 220, Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana. Autorizzazione: Tribunale di Bassano del Grappa, 7 Agosto 1964, n. 2. Pubblicità inferiore al 45% Scriveteci all’indirizzo: c.p. 220, 36061 Bassano del Grappa (VI), oppure a info@comunedeigiovani.it www.comunedeigiovani.it facebook.com/comunedeigiovani twitter.com/cdgbassano

Il Comune dei Giovani e Comunione e Liberazione, pur nelle loro specificità, sono due realtà vicine, come si sentivano affini i due fondatori, don Didimo Mantiero e don Luigi Giussani. In occasione del “doppio compleanno” che si festeggia a Bassano, è stata realizzata una mostra che è presente in questi giorni al Meeting di Rimini, il festival estivo di incontri, mostre, musica e spettacolo più visitato al mondo che ha aperto i battenti domenica. Con le sue 700.000 visite di media ogni anno e il suo programma di mostre ed incontri – già nella giornata inaugurale c’è stato l’intervento del Presidente del Consiglio Mario Monti su “I giovani per la crescita” – questo evento è seguito dai maggiori media nazionali che quotidianamente trattano argomenti emersi durante i vari appuntamenti del Meeting. Per questi motivi il Comitato dei Festeggiamenti presieduto da Giovanni Scalco, ha accettato l’invito a realizzare uno spazio espositivo sull’esperienza educativa di Don Didimo e sulle opere ad esso collegate nate negli anni. Essere presenti all’interno di una manifestazione che, per visibilità e tematiche trattate, risulta la più importante nel panorama cattolico nazionale e non solo, è per la realtà bassanese motivo di grande orgoglio e un’opportunità unica per far conoscere il proprio metodo, attraverso il quale i giovani sono protagonisti della propria educazione. Il titolo della mostra “Voglio fare di me un

uno. L’esperienza educativa di Don Didimo Mantiero” nasce da una frase del prete nato a Novoledo, una frazione di Villaverla in provincia di Vicenza, 100 anni fa: “Non volli mai essere un ‘uno qualunque’, né adagiarmi in un quieto vivere che non rompe mai la regola, che non viene mai meno a quell’apparente rispetto che qualche volta rasenta il servilismo. Volevo fare di me un Uno”. In un altro suo scritto, lo stesso sacerdote aggiungeva: “è vero, molta gente scrive e parla della gioventù, ma lo fa come se si trattasse di una cosa ora utile, ora fastidiosa, ora dannosa. E intanto la gioventù, quella vera che ci cresce intorno, non ha più dove posare la testa”. A partire da questa constatazione don Didimo fondò 50 anni fa a Bassano del Grappa, il Comune dei Giovani. Un’esperienza per i giovani dai 15 ai 30 anni, fatta per renderli capaci di vivere senza fratture e ribellioni nella sequenza degli adulti che li hanno preceduti, i quali vivono oggi una realtà più matura e compiuta nella Scuola di Cultura Cattolica. Nell’anno in cui ricorrono anche i 100 anni dalla nascita di don Mantiero, la mostra vuole presentare al visitatore la figura di questo umile parroco veneto del Novecento, promotore di una costellazione di attività (La Dieci, la Scuola di Cultura Cattolica e il Comune dei Giovani, che combina al suo interno diverse realtà sportive, culturali e formative) il cui fine è fare di sé un Uno.

#vogliofaredimeununo Stare a Bassano in questi giorni è come stare a Rimini. Non per il caldo, perché se fa caldo ai piedi del Grappa figuriamoci in riviera romagnola. (Ti sbagli – direte voi – al mare è più arieggiato, si sta meglio, il caldo è più sopportabile. Sarà, ma sempre caldo è, e 40 gradi sono tanti dappertutto.) Bassano è come Rimini per un altro motivo. Perché chi avesse un minimo di dimestichezza con la tecnologia, potrebbe seguire tutto su Twitter e su Facebook. Basta seguire l’hashtag #vogliofaredimeununo e ci si trova catapultati nel bel mezzo della mostra, tra una maglietta sudata e l’altra dei volontari addetti al montaggio. Fin dal giorno della calata a Rimini gli aggiornamenti su internet non sono mancati. Non c’è pannello, guida, visitatore, che non sia finito dentro una foto. Addirittura l’inaugurazione della mostra, con tanto di Lambretta originale come quella di don Didimo e taglio del nastro. Non sei a Rimini a vederla dal vivo? Tranquillo, seguila su Twitter. AM

Alessandro Maso

La mostra a Bassano La mostra su don Didimo Mantiero e le sue Opere sarà a Bassano nei prossimi mesi.

Don Didimo era tornato stanco a bordo della sua lambretta dalla curia di Vicenza. Il caldo afoso di maggio e un colloquio alquanto teso con mons. Borsato in curia per via della dottrina cristiana che a Santa Croce, a sentire il prelato, non si faceva, avevano fiaccato la dose di resistenza quotidiana del prete di campagna. Non che gli mancassero elementi di conforto, ma sentire i suoi superiori, ben protetti dagli attacchi della scristianizzazione, che lo rimproveravano per aver fatto troppo e al di fuori degli schemi studiati a tavolino dai professori di teologia, lo rendevano nervoso. La perpetua Edvige, vedendolo scendere dalla motocicletta con difficoltà, aveva subito capito che non tirava una buona aria. Gli sottopose un mestolo di minestra di fagioli, tanto per rompere la cappa di umidità che soffocava la canonica, sperando in un benefico effetto sulle viscere del prevosto. Don Didimo non chiese nulla, mugugnò qualche incomprensibile parola e se ne andò a fare il pisolino quotidiano. Edvige staccò il campanello ad evitare che qualche buon’anima si intrufolasse nella privacy, sorrise ai canarini che la imbeccavano con i loro cinguettii e si ritirò nel retrocucina a rammendare alcune malmesse vesti talari del suo capo. La quiete regnava sovrana. Verso le quattro del pomeriggio il prete si alzò dal suo giaciglio. Scese le scale con le sopracciglia aggrottate. Era il segno del “vade retro”. Quando l’occhio del padrone era arrossato significava che la pace era in pericolo. Don Didimo entrò nel suo studio. Si sedette alla sua scrivania, come suo solito, inforcò gli occhiali, raddrizzò l’inseparabile tricorno e allungò automaticamente il braccio verso il breviario che aveva posato sulla sua destra prima di andare a Vicenza. Ma, con sua grande meraviglia, scorse solo la custodia. Il breviario era sparito. Si passò la mano sulla fronte per raccogliere le idee, per valutare se veramente l’aveva lasciato sulla scrivania o l’avesse posato altrove. Gli pareva di essere sicuro che il breviario, dopo la recita del mattutino, era stato posato accanto allo scrittoio, ma non entro la custodia. E ora la custodia era ancora lì, ma non il “breviarium romanum” che gli era stato donato il giorno del suo ingresso, il 26 aprile 1953, dal popolo di Santa Croce. Si trattava di un’elegante edizione rilegata in pelle e pagine bordate in oro, rigorosamente in latino. Se lo ricordava, quel giorno di aprile, quando proveniente dall’amata Valdagno era stato accolto all’inizio di viale S. Croce, il lunghissimo viale dei cipressi che conduce al cimitero di Bassano, tra due inquietanti siepi di spine. Lo avevano accolto con gioia i suoi parrocchiani, che gli avevano fatto una gran festa. Ma lui, sempre ostico alle cerimonie, aveva tratto l’impressione di essere stato messo al confine da qualche potentato di Valdagno in accordo con la curia. Anche a S. Croce vi era un signor conte, anzi la contessa Giusti del Giardino, ma si trattava di una nobile possidente terriera. Niente a che vedere con il conte Gaetano Marzotto, patron di Valdagno, con cui il giovane prete ebbe più di qualche incontro, o scontro. Valdagno, anzi San Clemente di Valdagno, era una parrocchia cittadina che inglobava i grandi stabilimenti tessili di Marzotto, pioniere dell’industrializzazione con Rossi di Schio. Anche gli abitanti di Valdagno erano diversi dai nuovi parrocchiani. A Valdagno vi erano due squadre di calcio, una di serie B, un enorme oratorio, scuole di ogni ordine e grado. Lì si poteva parlare di filosofia e di Dante. Era stato capito. Ma a Santa Croce? Non esisteva un centro parrocchiale. Solo la splendida Chiesa, la nuova canonica e l’enorme cimitero. Poi frazioni distanti dall’inesistente centro e collegate da viottoli di campagna polverosi e limitati da alte e paurose siepi. Che apostolato avrebbe potuto fare lui, quarantenne dalle grandi esperienze educative e grandi aspirazioni apostoliche? La gente era buona, ma si sa che i contadini, tutti mezzadri della contessa e di qualche altra potente famiglia proprietaria terriera, non si cibavano di poesia e di letteratura, fosse anche quella cristiana. Loro vivevano sobriamente ed erano buoni cristiani. Ma nulla toglie al fatto che per i contadini del tempo il vanto

più grande era quello di avere una cantina fornita di buone soppresse e salami ed un poderoso letamaio accanto alle finestre di casa. Era il segno del benessere. E guai a toccare questi due beni di lusso. Ben lo sapevano quei giovani scapestrati dell’Azione cattolica, che lungo via Ca’ Dolfin, di notte, all’altezza delle case Zen, spostarono un intero letamaio dalla sinistra alla destra della strada, su proprietà diverse per far bisticciare le rispettive famiglie. E ben conoscevano il fascino della sopressa quegli illustri bassanesi che calavano come colombi sull’aia della casa colonica dell’amato zio Piero “el madego”. Ma da queste realtà il nuovo parroco non era affatto attratto. Uno dei pochi vantaggi della nuova sistemazione pastorale era la assoluta tranquillità del luogo e la straordinaria generosità del popolo, che il precedente parroco don Antonio Magnaguagno aveva coltivato con invidiabile amore. Quel breviarium romanum, in quattro volumi a seconda dei tempi liturgici, era per Don Didimo un chiaro segno che il suo compito a santa Croce era principalmente la preghiera. E di questo segno ringraziava Dio e la comunità cristiana. Ma chi avrebbe potuto essere interessato al suo breviario, se effettivamente qualcuno l’aveva furtivamente sottratto dalla sua scrivania? Era la domanda che cominciò a turbare il parroco. Il Breviario, libro della preghiera liturgica quotidiana per i preti, era il lingua latina e nessuno a Santa Croce conosceva quella lingua. Si cantavano i vespri in Chiesa, in latino, ma tanti erano gli strafalcioni che uscivano dalla bocca dei suoi parrocchiani, che talvolta si doveva per forza sorridere. Don Didimo pensò anche ad un dispetto. Ma un tale dispetto doveva essere frutto di una intelligenza raffinata. E a Santa Croce di intelligenze di quel tipo ne conosceva molto poche. Dopo qualche momento di riflessione si alzò e rovistò tra la sua collezione di breviari. Ne possedeva tre, tutti ricevuti in dono. Il primo ricevuto in occasione delle sua ordinazione sacerdotale il 22 maggio 1937, in carta ordinaria visti i difficili tempi economici. Il secondo, ricevuto al suo ingresso a Valdagno nel 1946, era anch’esso in carta ordinaria. Ma il più prezioso era quello donatogli dalla comunità e dalla fabbriceria di Santa Croce. Di quest’ultimo mancava il volume su cui aveva recitato il mattutino alla mattina. Era sicuro di averlo chiuso alla pagina in cui vi aveva inserito la fotografia dell’amato zio vescovo di Treviso. Il prete, allora in preda ad un comprensibile nervosismo, sottopose ad interrogatorio la fida perpetua, che tutto sapeva, per conoscere le visite della mattinata in cui lui era stato a Vicenza. Edvige verbalizzò sotto giuramento che quel mattino nessuno era entrato in canonica, che lei l’avesse visto. Era sempre rimasta in cucina e la porta d’ingresso era chiusa. Il cappellano era agli esercizi spirituali. Lei si era assentata solamente verso le dieci per qualche minuto per andare nell’orto a prendere la salvia. Possibile che qualcuno si fosse infilato nella porta socchiusa, e avesse puntato dritto alla scrivania del parroco per sottrargli il breviario? Neanche fosse d’oro. Quel fatto segnò la conversazione per molti anni. Un libro di preghiere in latinorum sparito nel nulla. Qualcuno dell’enturage suggerì a don Didimo persino di recitare i sequeri (“Si quaeris…”), metodo infallibile per trovare le cose perdute o per far ritornare le rubate. Tutto fu inutile. L’enigma non ebbe risposta né il breviarium ricomparve. Il prete si mise il cuore in pace. Continuò a recitare le sue preghiere sugli altri breviari. Terminò il suo servizio alla parrocchia di Santa Croce. Si ritirò in un piccolo appartamento. Portò con sé i suoi libri più cari. Fece attenzione se nel trasloco il breviario fosse ricomparso, magari frammisto agli altro volumi della sua nutrita biblioteca. Nessuna risposta al suo desiderio. Morì la perpetua Edvige e morì anche don Didimo. FINE PRIMA PARTE

Sherlock


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