Voce dei Giovani - Marzo 2013

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Anno XLVIII - n. 3 - Marzo 2013

PROTAGONISTI DELLA PROPRIA EDUCAZIONE

IL MEGLIO DEVE ANCORA VENIRE Tutte le ricorrenze importanti meritano una grande festa, e di certo il Comune dei Giovani non si è fatto mancare nulla nell’anno dei cinquant’anni dalla sua nascita e dei cento da quella del suo fondatore, don Didimo Mantiero. E così il 30 Novembre l’associazione ha voluto organizzare un Gran Galà conclusivo. Invitati tutti quelli che fino ad oggi hanno dato il loro contributo da "ministro", segretario o sindaco, e hanno così permesso di far nascere, crescere, progredire e migliorare questa scuola di formazione e responsabilità. La serata, presentata dal giornalista Fabio Carraro, è iniziata con la consegna delle cittadinanze onorarie a cinque personaggi che il CdG ha incontrato nella sua strada e

che si sono fatti promotori e portatori del suo motto “Voglio fare di me un Uno”. Il primo a ricevere questo riconoscimento è stato Bruno Martino, ex presidente dell'istituto Pirani-Cremona di Bassano e attualmente membro a Treviso della Commissione Diocesana per i Nuovi Stili di Vita e Salvaguardia del Creato. La seconda cittadinanza onoraria è stata assegnata a mons. Giuseppe Bonato, referente diocesano da anni vicino al Comune dei Giovani e alle sue molteplici attività. A seguire, è stato don Daniele dal Bosco ad essere insignito del titolo di “cittadino onorario”. Sacerdote a Desenzano del Garda, don Daniele si è avvicinato al CdG attraverso un’altra esperienza legata al carisma di don Mantiero, La Dieci, divenendone sostenitore ed animatore in terra veronese. “Grazie al suo modo di porsi così appropriato, grazie ai suoi modi di fare e al suo essere così semplice, chiaro e concreto è nato fin da subito un legame di amicizia molto forte”, si legge nella motivazione della cittadinanza. È stato poi il turno di Mary Ann Glendon, docente di Diritto all’Università di Harvard, già Presidente della

EDITORIALE

Viva il Papa. Sempre. Letterina di benvenuto a Papa Francesco. Ora lo amano tutti, ma quando arriverà l’artiglieria pesante serviranno soldati. Siamo pronti ad andare in trincea, fosse anche solo con una preghiera Caro Papa Francesco, siamo felici che ti abbiano eletto. Li hai spiazzati tutti, quelli che vedono complotti dappertutto, quelli che tengono una copia di “Sua Santità” sul comodino sempre a portata di mano, quelli che credono in Dio ma la Chiesa no, per carità, non serve a nulla. Hai spiazzato un po’ anche noi, a dire il vero. Eravamo abituati a sentire le peggiori cose sul Papa e sulla Curia, invece con te va tutto bene. “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno, e mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”, sta scritto, ma in questi primi giorni sono arrivati solo complimenti. Sei arrivato tu, e tutti ti amano. Hai fatto il pieno di consensi. Come si dice, hai sfondato. Ti hanno presentato come il Papa dei poveri, il Papa del cambiamento “venuto dalla fine del mondo” e tante altre cose, tutte vere peraltro. E poi prendevi la metro quand’eri in Argentina, ti piace il tango e avevi la fidanzatina, a 12 anni. (Sono andati ad intervistarla, e c’è da dire che rispetto a lei tu i tuoi 76 anni li porti alla grande, segno che lo Spirito Santo agisce eccome). Al Manifesto quando venne eletto Ratzinger fecero una prima pagina intitolata “Il Pastore tedesco”, non proprio un complimento. Con te invece no, e anche a Repubblica e l’Unità sono stati piuttosto soft.

Forse si erano illusi che tu fossi un liberal di sinistra per il solo fatto che ti chiami Francesco e che non hai l’accento tedesco. Quando hai detto “Buonasera” li hai conquistati. Hai fatto addirittura recitare un Pater-Ave-Gloria a qualche milione di persone in prime time, un’impresa. Abituati a tutt’altro trattamento – dicevamo – siamo rimasti un po’ disorientati anche noi da tutti questi consensi. E gli insulti, quando vengono?, ci chiedevamo. Eppure non hai posizioni diverse da quelle del tuo predecessore. Nessuna apertura ai matrimoni e alle adozioni gay, tanto per dire. Anzi, le hai definite frutto dell’invidia del Demonio. Nella tua prima omelia hai detto che se non professiamo Gesù Cristo “diventeremo una Ong pietosa, ma non la Chiesa”, e poi hai ribadito che “quando non si confessa Gesù Cristo si confessa la mondanità del diavolo”. Ma niente, nessun editoriale di maître à penser che si straccia le vesti. Allora abbiamo concluso che è solo questione di tempo, che quando si accorgeranno che non sei un pauperista pappamolle ma un pastore gagliardo arriveranno le bordate. Nel nostro piccolo, parteciperemo alla battaglia. Caro Papa Francesco, camminiamo con te.

Ahò, ma che state a di’? Rassegna di opinioni di cui non avremmo sentito la mancanza

Ora che abbiamo un nuovo Papa e siamo tutti più sereni, vogliamo farci una risata. Dopo ogni grande avvenimento, parte la gara delle dichiarazioni. Politici, intellettuali, professori di ogni ordine e grado, poco importa se qualificati o meno: sentono tutti indistintamente il bisogno impellente di dire la loro e, soprattutto, è fondamentale che il pubblico ne venga messo a conoscenza. Per la gioia di agenzie e di quotidiani, che ci fanno sopra i titoli e gli articoli. Spesso però la gara della dichiarazione diventa una corsa a chi la spara più grossa. Lunedì 11 febbraio, Benedetto XVI comunica la sua rinuncia. Apriti cielo. Scatto collettivo dai blocchi di partenza. Roberto Saviano brucia tutti sul tempo. Sul suo profilo Facebook ne fa una questione elettorale e immagina che il Papa abbia deciso di lasciare per “chiedere compattezza al voto cattolico”. Dan Brown, in confronto, è un principiante. A tallonarlo arriva subito Gianni Vattimo, filosofo del pensiero debole, ma così debole da chiedersi se di fronte alle truppe del nemico, Benedetto XVI non abbia avuto un attacco di debolezza pure lui. “E se avessero vinto davvero Flores e Odifreddi,

e i tanti scientisti dogmatici come loro, determinando nel povero papa Benedetto XVI una crisi di fede tale da indurlo a dimettersi?”, si chiede Vattimo sul Fatto quotidiano. E, non contento, aggiunge: “Si è probabilmente reso conto (il Papa, ndr) che, nella situazione della Chiesa oggi, le dimissioni sono la sola cosa che un papa può seriamente fare; invece di continuare a lottare per sottrarre il Vaticano all’Ici, o a scomunicare preservativi, omosessuali, unioni civili”. Chissà cos’avrà pensato Corrado Augias, escluso dall’elenco degli scientisti dogmatici. Lo sprint finale è tutto di Dario Fo. Sempre sul Fatto quotidiano, il futuro candidato Presidente della grillina Repubblica tratteggia lo scenario inquietante: “La Chiesa da una parte ricatta e dall’altra è ricattata. Vive per tenere nascosti gli affari più torbidi e per ignorare i crimini più palesi”. Oddio, Se queste sono le premesse, stai a vedere. Infatti, ecco la bomba (è legittimo il sospetto che gliel’abbia riferita lo stesso Saviano, esperto in materia): “L’equilibrio, nella Chiesa, viene dalla gestione di denaro che arriva da luoghi oscuri, come la mafia”. Aridatece i Maya.

Pontificia Accademia delle Scienze Sociali ed ex Ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso la Santa Sede. Nel 1995, è diventata la prima donna a guidare una delegazione vaticana nella Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle donne a

Pechino, assumendosi le più alte responsabilità e rivendicando il ruolo della tradizione cristiana nella formulazione dei diritti dell’uomo. Anche nel caso di Mary Ann Glendon l’avvicinamento al movimento fondato da don Didimo è stato attraverso

un’altra realtà, la Scuola di Cultura Cattolica, che l’ha insignita del Premio Internazionale alla Cultura Cattolica nel 2008. Anche con Etsuro Sotoo, maestro e scultore della Sagrada Familia di Barcellona premiato nel 2011, è stato “amore a prima

vista”. Per questo il CdG ha voluto farlo cittadino onorario: per “l'attenzione e il desiderio che ha avuto di trasmettere quello che ha vissuto e sta vivendo, l'emozione nel raccontare il suo passato e la continua tensione al Bello e al Vero come se volesse essere maestro nella speciale bottega dell'educazione alla vita”. A terminare la serata il discorso del sindaco Nicola Cerantola, che grazie al suo “sì” sta vivendo un’esperienza senza pari, e un video ricco di foto, volti e persone che hanno calcato il palco di questa grande esperienza viva da cinquant’anni. Per concludere, una suggestiva rassegna di tutti i Sindaci e i Segretari che si sono succe-

duti in 50 anni di storia. Don Didimo, riguardo al Comune dei Giovani, scriveva così: “Chi vuole può venire, vedere, toccare con le proprie mani. Qui non si nasconde niente a nessuno; non c’è chiusura, né sottopotere di nessuno, c’è collaborazione, comprensione, responsabilità, gioia e tanto amore”. Questo è il clima respirato al Gran Galà, questo è quello che il Comune dei giovani offre. Si sono incontrati amici che non si vedevano da tempo, riuniti per una sera in nome di un ideale condiviso. E adesso? Si riparte, perché il meglio deve ancora venire. Michela Meneghetti

Le cittadinanze onorarie BRUNO MARTINO

Perché nel momento del bisogno ha accolto il CdG senza pregiudizi mettendo a disposizione alcune aule e la Chiesa del Cremona e poi negli anni ha poi approfondito questa conoscenza, apprezzando il Comune dei Giovani, coinvolgendolo in alcune attività e offrendo la sua completa collaborazione”.

MONS. GIUSEPPE BONATO

Con le sue riflessioni sulle Opere di don Didimo Mantiero ha fatto riscoprire la ricchezza del progetto educativo di don Didimo Mantiero, la forza del suo carisma, l’importanza della preghiera vissuta nell’esperienza de La Dieci, la scuola di vita del Comune dei Giovani, il ruolo peculiare del confronto continuo tra generazioni diverse e la consapevolezza che in questo movimento si può essere discepoli ed educatori allo stesso tempo”.

eventi

A tu per tu con Renato Goretta Nota a margine di un incontro tra giovani che credono in Dio e un uomo alla ricerca Il 27 gennaio la sala conferenze dell’hotel Palladio di Bassano ha ospitato il primo incontro organizzato dal Ministero della Cultura del Comune dei Giovani. Ospite Renato Goretta, manager e imprenditore di successo. Già dal pomeriggio in compagnia lungo le vie di Bassano si respirava aria di complicità, rafforzatasi poi in una serata informale e arricchente per tutti. La motivazione è alla base del miglioramento, personale e collettivo e questo succede anche quando ci si scambiano idee: ognuno ne esce arricchito con qualcosa in più. Ed è proprio quello che è successo tra Comune dei Giovani e Renato Goretta. Per concludere un incontro ma non un’amicizia, ecco l’ultimo regalo di Renato. Ciao ragazzi, eccomi. Beh che dire… Serata magnifica e accoglienza magnifica. In questi giorni non ho smesso di pensare a voi, alle vostre domande, alla passione che c’avete messo nell’organizzare la conferenza e tutto il resto. Anche mia figlia Ginevra è entusiasta di avervi conosciuti. Abbiamo apprezzato il vostro gruppo e tutte le attività che fate. Ma soprattutto ciò che traspare sono l’entusiasmo, l’intelligenza singola e collettiva, la voglia di aiutare a crescere, rapporti umani che sono difficilmente riscontrabili e l’appoggio dei più adulti e dei vostri genitori. Siete una ricchezza sociale.

Spero, e mi piace pensare, di avervi dato un piccolo contributo di riflessione insieme a qualche spunto per pensare in modo diverso ai vostri sogni. Per pensare e progettare il percorso per poterli concretizzare. Voi avete anche la forza del gruppo, un tesoro che in pochi hanno. Siatene consapevoli e orgogliosi. Non avrei più smesso di parlare con voi; di rispondere alle vostre domande e alla vostre curiosità; di ascoltare i vostri consigli e le vostre critiche (dei quali e delle quali ho fatto tesoro). Vi ho parlato sinceramente al limite della brutalità ma sono fatto così. Immaginavo che potesse venir fuori la questione di Dio e della religione e spero che per voi non abbia rappresentato una delusione ma non mi sarei mai perdonato parole ingannevoli. Ho ripetuto mentalmente tutto il mio intervento e insieme alle vostre considerazioni, alle vostre domande e alle cose che ci siamo detti a tavola durante la cena che ha seguito la conferenza, ho trovato spunti di miglioramento. La prossima volta farò meglio e questo grazie a voi. Spero di potervi incontrare di nuovo. A presto! Renatofarò meglio e questo grazie a voi. Spero di potervi incontrare di nuovo. A presto! Renato

Beatrice Lorenzato

DON DANIELE DAL BOSCO

Con lui un legame di forte amicizia fondato su una vicendevole benevolenza ed un interesse schietto e spontaneo. La sua disponibilità a seguire il Comune negli incontri è per i giovani fonte di gioia e promessa di arricchimento personale”.

MARY ANN GLENDON

Una donna molto impegnata a favore dei diritti naturali dell’uomo, la difesa della vita e la promozione della famiglia”. Il suo esempio “insegna che in una democrazia non possiamo imporre, ma abbiamo il diritto e il dovere di proporre le nostre ragioni, provando a convincere gli altri”.

ETSURO SOTOO

L'arte dona la felicità; quando è bella è lo splendore della Verità”. Tutti i giovani ricordano la sua continua esortazione a rimanere nella luce di Cristo, a migliorarsi: “L’uomo non può lasciare i gradini più alti o più bassi, deve salire gradino su gradino, in intelligenza, in virtù, in forza. Bisogna sempre superare se stessi”.

TUTTI A TEATRO

CAMBIO AL VERTICE

Musica e parole per un incontro che scuote la vita

Gabriele Alessio nuovo Presidente del Consiglio delle Opere

In un anno tanto speciale, ci siamo fatti pure il recital. Tutto fatto in casa, tra amici, con esiti godibilissimi. “Ti racconto una storia perché sento che c’è oggi tanto bisogno di parole vere”, ha cantato il coro del Comune dei Giovani nell’incipit del recital “C’è un grosso affare in vista”. La storia portata in scena è quella di un umile parroco che ha dedicato tutto se stesso ai giovani: don Didimo Mantiero. E peccato se forse non è stato tutto perfetto, ma fatto sta che questa rappresentazione ha lasciato il segno. E chiunque, chi più, chi meno, è stato scosso da qualcosa di vero, reale e tangibile, da un’esperienza che ha cambiato la vita di tanti o che solo è servita per far pensare a come viverla appieno. Una grande sfida, quando due anni fa si è cominciato a riflettere su come poter ringraziare don Didimo, su come far capire a tutti la grandezza e l’unicità delle sue opere. E perché non farlo in un recital, hanno pensato gli organizzatori, che coinvolgesse ragazzi, giovani e adulti nel prepararlo, tipico dell’intergenerazionalità tanto cara al sacerdote? Così di buona lena c’è chi si è messo a scrivere la sceneggiatura, chi a pensare alle scenografie, chi è stato ingaggiato per scrivere musica e testi, chi ha composto i video, chi ha pensato ai balletti da realizzare e chi ha dato una spinta perché tutto procedesse al meglio. Ne è venuta fuori una storia tra presente e passato, tra ricordi ed emozioni. Seguendo il percorso di Marco e Lucia, i due protagonisti, ogni spettatore ha avuto l’occasione di fare un percorso, dallo scetticismo iniziale sulla realtà conosciuta per poi finire con l’esclamare “Voglio far di me un Uno”. Nel mezzo, gli episodi veri della vita di don Didimo: la mamma sempre attenta a far capire ai suoi bambini l’importanza di fare del bene agli altri, l’incontro con la vecchi-

na morente che gli confida la missione che Dio gli ha affidato tra la gioventù, i sogni, l’attenzione per la formazione dei ragazzi, l’amicizia profonda con Gesù Cristo. E poi la conoscenza del Consiglio direttivo e delle attività dell’attuale Comune dei Giovani, che seppure vecchio di cinquant’anni riesce ad essere ancora attuale. L’importanza di questo recital non ha riguardato solo i molti che hanno avuto il desiderio di vederlo, ma anche chi passo passo l’ha costruito, senza grandi pretese. È fatto di tanti volti, di tante storie, di tante persone, lì perché desiderose di trasmettere la bellezza di un incontro: quello personale con don Didimo, quello con il Comune dei Giovani e infine con Dio che, come dice il titolo, è sempre in attesa che l’uomo bussi alla sua casa per metterLo in mezzo ai suoi affari. Per il resto si può solo rendere grazie. Marina Bizzotto

L'avvocato Gabriele Alessio giovedì 7 marzo è stato eletto nuovo Presidente del Consiglio delle Opere di don Didimo Mantiero, l'organismo che raccoglie l'eredità spirituale ed educativa del fondatore del Comune dei Giovani. Alessio prende il posto di Sergio Martinelli, fin da subito uno dei principali collaboratori di don Didimo nella sua attività pastorale a Bassano ed in particolare nella parrocchia di Santa Croce. Già Sindaco del Comune dei Giovani, il nuovo Presidente del Consiglio delle Opere ha alle spalle anche un triennio da Presidente della Scuola di Cultura Cattolica. "Sento il peso di questa grande responsabilità – ha dichiarato Alessio dopo l'elezione – ma so di essere parte di una squadra che mi aiuterà nello svolgere il mio compito". Non ha nascosto "la sensazione di inadeguatezza, vista l'importanza dell'incarico" ma, ha anche aggiunto, “nei tanti anni di impegno nel Comune dei Giovani ho imparato che quando si riceve una chiamata bisogna rispondere". Al nuovo Presidente i migliori auguri di buon lavoro da parte di tutta la redazione della Voce dei Giovani.


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prEmio internazionale cultura cattolica

La scienza, la fede e l’uomo Ugo Amaldi e il modello di uomo “tetraedrico”, una piramide che è sintesi dei tre elementi costitutivi della persona: razionalità scientifica, razionalità filosofica e ragionevolezza sapienziale Venerdì sera davanti ad un enorme platea al Premio Internazionale Cultura Cattolica, il giorno dopo davanti a una curiosa studentessa. Ugo Amaldi, scienziato di fama internazionale, si presenta sorridente, disponibile e curioso di come era andato a finire la serata precedente, nei festeggiamenti post-Premio celebrati nelle accoglienti taverne amiche. Lasciate le chiacchiere, la voglia di scrutare questa personalità interessante e colma di idee è troppa e quindi pongo la prima domanda. Pascal dice “Perché, infine, che cos’è l’uomo di fronte nella natura? Un nulla al confronto dell’infinito, un tutto a confronto del nulla, una via di mezzo tra il nulla e il tutto. Infinitamente lontano dal comprendere questi estremi, la fine delle cose e il loro principio sono per lui invincibilmente celati in un segreto impenetrabile”. Lei si occupa di protoni ed elettroni, di acceleratori di particel-

le, di materia e antimateria. Qual è il limite per l’uomo, se c’è? C’è davvero un segreto impenetrabile in Natura? Sicuramente l’uomo non arriverà mai a costruire una teoria fisica, chimica, biologica dell’insieme della natura. Noi costruiamo in ciascun ambito della ricerca delle teorie, o meglio, dei modelli che descrivono per quanto bene possibile la più ampia quantità di fenomeni osservabili. L’avanzare della scienza consiste nell’area di copertura di un certo modello, però è mia convinzione che non vi sarà mai un solo modello che coprirà tutti i fenomeni naturali, sarà sempre un “patchwork” tra modelli diversi. L’uomo si dovrà sempre accontentare di descrivere il mondo naturale come un insieme di modelli, magari coerenti, che avranno sempre dei bordi indefiniti. Dio ha creato un mondo che si fa da sé nella sua globalità ed è il nostro bisogno di capire ed indagare che fa sì che l’uomo si crea modelli per interpretare la realtà. Tutti gli esseri viventi si fanno dei

modelli del mondo esterno e quindi il fatto che il mondo esterno sia comprensibile non è una prova dell’esistenza di Dio perché semplicemente è intrinseco all’evoluzione. Una cosa però rimane misteriosa: convinti del fatto che l’uomo crea dei modelli rimane da spiegare perché la parte fondamentale della scienza, il mondo fisico, possa essere descritta con la matematica, che è un invenzione dell’uomo. In una persona come Lei che esplora la natura ha avuto più peso la conoscenza o la fede? Sono due gambe diverse che ci portano dalla stessa parte. Le radici della nostra fede, secondo me, sono la conoscenza sapienziale, i testimoni credibili, la lettura delle sacre scritture. Invece per quanto riguarda la scienza, essa è si una passione ma è determinata dalla razionalità scientifica. I pensieri che abitano le tre facce del mio modello di “uomo tetraedrico” non sono distaccate ma vanno di pari passo per giungere alla Verità. È però un cammino che si costruisce aggiungendo pezzi e distruggendone altri. Anche i più grandi esempi di persone credenti come Madre Teresa di Calcutta hanno avuto i loro dubbi in merito alla fede, e questi in uno scienziato credente sono leggermente più amplificati a causa dell’interferenza tra i pensieri della razionalità scientifica e quelli della ragionevolezza sapienziale. Pensa di aver avuto una sorta di vocazione, di chiamata nell’offrire tutto il suo sapere scientifico agli altri tenendo sempre ben presente il naturalismo duale (Natura-Dio) di cui lei parla? Mi son accorto che mancano, soprattutto in Italia, persone che capiscono abbastanza di scienza e che si pongano questi problemi con una certa volontà di dedicarci dell’attenzione. Avendo avuto la fortuna di aver avuto tutto nella vita – sono nato in una famiglia che poi mi ha lasciato un

eredità non solo intellettuale e culturale ma soprattutto morale ed etica molto forte, ho incontrato mia moglie, donna straordinaria da cui ho avuto degli splendidi figli – mi son sentito come uno che avendo tante ricchezze si mette a fare del volontariato. Sì, il mio è volontariato a pensare, ad interrogarmi su queste cose e ne è uscito il modello di “uomo tetraedrico”. Non è tanto una vocazione, ma il frutto di un cammino in cui, avendo avuto queste fortune e anche una certa sensibilità per i temi religiosi, mi è sembrato di trovarmi su un confine in cui potevo dire qualche cosa che potesse essere utile a me e agli altri. Ogni uomo cerca di capire se stesso, di dare risposte alle sue esigenze di felicità, di amore e di verità. Qual è il modo per conciliare le due cose? È la conciliazione tra l’intelletto e il cuore, la ratio (che è l’insieme di tutti i modi di porsi davanti alle diverse realtà) e il sentimento, l’io profondo (che è costituito dalla nostra esperienza esistenziale). È chiaro che ognuno cerca la felicità, che il momento in cui la sintesi tra il cuore e l’intelletto è all’apice, quindi non c’è contrapposizione tra sentimenti e comprensione dell’universo. Il modello dell’uomo tetraedrico mette in conto l’unità dell’uomo (l’unita tra intelletto sentimenti e volontà) ma spiega

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LA STANZA DI SHERLOCK HOLMES

anche che l’interno di questa unità occupa molto spazio e quindi ha molto peso: i pensieri, i sentimenti, l’io profondo. Amaldi umilmente ribadisce più volte che il suo pensiero è ancora “work in progress”, sempre alla ricerca di nuove idee da confermare o da confutare. Sicuramente è un esempio di come si possa tentare di andare a fondo nel tentare di dare una risposta alle “grandi domande” che ognuno porta nel cuore; d’altronde, basta leggere il Siracide 14,20-21: “beato l’uomo che medita sulla sapienza e ragiona con l’intelligenza, considera nel cuore le sue vie, ne penetra con la mente i segreti”. Giulia Fietta

FARE DELLA FEDE CULTURA Il prof. Gianfranco Morra racconta trent'anni trascorsi a celebrare il matrimonio di fides e ratio “Meminisse juvabit”, ha ragione Virgilio. Ricordare è gradito. Trent’anni dopo, se penso a quei tre decenni trascorsi da quando nacque il Premio di Cultura cattolica, sono preso dalla dolcezza del ricordo. Un impegno svolto in non causale conformità con l’insegnamento di due pontefici assai benemeriti per l’incitamento a riscoprire, promuovere, comunicare quel matrimonio di fides et ratio in cui consiste la cultura cattolica. I trent’anni del nostro premio coincidono con i cinquanta del Concilio Vaticano II, un grande evento al quale ci siamo sempre ispirati e che l’alto magistero di Giovanni Paolo II e ora di Benedetto XVI ci consente di capire pienamente: oggi, infatti, l’autenticità del Concilio sta emergendo dalle nebbie non poche, con cui non di rado il postconcilio lo aveva confuso e mistificato. Il Premio Cultura cattolica è nato pochi anni dopo l’elezione di papa Wojtyla e ha inteso riconoscersi nella linea portante

del suo pontificato: ristabilire quella continuità, che da sempre è la ricchezza della Chiesa, una Chiesa è sempre nuova perché sempre riscoperta e rinnovata, e sempre vecchia perché mai superata o dimenticata. La scelta dei premiati ha sempre evitato l’artefatta contrapposizione tra cattolici aperti e progressisti, e pertanto “buoni” da un lato, e cattolici chiusi e conservatori, e pertanto “cattivi” dall’altro, uno schema che può nutrire l’industria culturale laicista, ma è del tutto inadatto per capire e vivere dall’interno la vita della Chiesa. Se rileggo quei ventinove nomi (escludo ovviamente il primo) li vedo tutti impegnati nella modernità, ma non impregnati di modernità. Uomini capaci, secondo la formula di Giovanni Paolo II, di “fare della fede cultura”, in quanto fides et ratio sono distinte e complementari: aprirsi al mondo non significa inginocchiarsi davanti al mondo; il cristianesimo è umanesimo, ma non si risolve e non si dissolve in esso; tutto

ciò che è cristiano è anche umano, ma non sempre è vero il contrario; la civiltà cristiana ha favorito al massimo l’emancipazione sociale, ma il destino ultimo dell’uomo va oltre; la redenzione dell’uomo non può essere confusa con la sua liberazione dalla miseria, anche se di certo deve favorirla; la previdenza non sostituisce la provvidenza; il vangelo è certo una rivoluzione, ma tante rivoluzioni sono inammissibili per il cristiano. Abbiamo goduto, in questi trent’anni, dei frutti positivi e cospicui del Concilio. Basterebbe pensare alla riscoperta della Bibbia, alla caduta delle eccessive burocrazie ecclesiastiche, al superamento di non pochi formalismi, alla semplificazione dei rapporti tra pastori e fedeli, al ruolo ecclesiale del laicato maschile e femminile. Tuttavia le nubi non sono mancate. La frequenza ai riti continua a diminuire, le vocazioni religiose sono rare e non pochi ordini debbono chiudere, la morale dei cattolici in

molti paesi appare difforme dalle verità riaffermate dal Concilio e pratiche incompatibili col Vangelo come divorzio, aborto, eutanasia, manipolazioni genetiche sono ormai entrate non solo nella legislazione, ma anche nella coscienza di non pochi fedeli. E i cattolici, nel mondo, anche se hanno sostituito, come giustamente chiedeva il Concilio, la spada col ramoscello d’ulivo, sono in più nazioni oggetto quasi ogni giorno di persecuzioni e anche di stragi. Lo spirito del Concilio è ancora valido, ma i fatti che lo hanno seguito non sono stati sempre positivi. Per fortuna oggi non convincono più molti quegli slogan da mercato delle pulci, dai quali gli autentici uomini di cultura da noi premiati si sono sempre mantenuti lontani: l’epoca costantiniana, il dialogo, l’ortoprassi, la Chiesa che si fa mondo, la deellenizzazione e la deromanizzazione, e si potrebbe continuare a lungo. Non per rifiutare quanto di valido anch’essi esprimevano, ma per trasferirlo dalla

sfera superficiale dell’emozione a quella della razionalità. Le nostre scelte sono state animate dall’imperativo perenne della Chiesa, quello della notissima espressione del vangelo secondo Matteo (Mt 13, 52): il tesoro della Chiesa è un insieme di “nova et vetera”, di cose nuove e di cose vecchie. E anche la cultura cattolica è una sintesi inscindibile di continuità e rinnovamento. Dato che senza il rinnovamento, le cose vecchie sono da gettare; senza la tradizione, le cose nuove sono effimere, perché prive di fondamento.

Gianfranco Morra

Scienziati credenti Astronomia, biologia, genetica, matemati- umano, e nello stesso tempo a vietare gli ca e non solo. In tutti i campi del sapere, la eccessi storia dimostra che la fede non è un osta- I primi studiosi di ottica? I francescani mecolo all'indagine scientifica. Gli esempi si dievali dell’università di Oxford. Il padre del magnetismo? Recenti indagini sprecano. Eccone alcuni. Si sente dire spesso che vi sarebbe contra- dimostrano che gli studi del gesuita Leosto tra scienza e fede cristiana. Eppure è nardo Garzoni, il suo Trattati della calachiaro che le cose non stanno così: la scien- mita, anticipa l’opera del della Porta e di za moderna nacque in Europa, e, soprat- Gilbert. E la moderna astronomia? tutto, in Italia, cioè proprio L’età nuova inizia con Nicladdove si era affermata la colò Copernico, un ecclecultura cristiana e dove più siastico che studia diritto forte era l’influenza ecclecanonico ed astronomia, siastica. a Bologna e a Ferrara (anDove nasce l’anatomia cora una volta nello stato moderna? Prima a Bolopontificio), e che lavora a gna, nello Stato Pontifipiù riprese presso la cancio, con il devoto cattolico celleria papale e la catteMondino de Liuzzi; poi a drale della sua città. Dopo Padova, grazie all’opera di Copernico? Il cattolico Gavari anatomisti italiani e al lilei, sulla cui fede nessuno contributo del fiammingo storico ha mai dubitato, Vesalius. Mentre in Italia ed una serie infinita di sasi dissezionano i cadaveri, cerdoti, da Giuseppe Piazin gran parte del mondo, e Scienziati, dunque credenti di Francesco Agnoli zi, scopritore del primo persino d’Europa, questo Edizioni Cantagalli asteroide, a padre Angelo non avviene. È la Chiesa Pag. 185 - Prezzo 14 € Secchi, padre della speta farsi garante della possitroscopia e uno dei fondabilità di indagare il corpo Direttore responsabile: Andrea Mariotto Ministro del giornale: Jacopo Bertoncello Redazione: Antonio Artuso, Claudio Battaglia, Giovanni Battaglia, Martina Battaglia, Nicolò Bertoncello, Marina Bizzotto, Matteo Bozzetto, Enrico Fietta, Giulia Fietta, Beatrice Lorenzato, Paolo Mariotto, Michela Meneghetti, Andrea Menegon, Laura Peruzzo, Alberto Scalco, Luca Torresan, Francesco Zugno Impaginazione: ministero della comunicazione - Comune dei Giovani Direzione e amministrazione: Bassano del Grappa (VI), casella postale n. 220, Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana. Autorizzazione: Tribunale di Bassano del Grappa, 7 Agosto 1964, n. 2. Pubblicità inferiore al 45% Scriveteci all’indirizzo: c.p. 220, 36061 Bassano del Grappa (VI), oppure a info@comunedeigiovani.it www.comunedeigiovani.it facebook.com/comunedeigiovani twitter.com/cdgbassano

tori dell’astrofisica, sino, per farla breve, a Georges Edouard Lemaître, il gesuita belga che per primo propose l’espansione delle galassie e la teoria del Big bang! Se dall’astronomia passiamo alla geologia, il padre universalmente riconosciuto di questa scienza è Niccolò Stenone, un danese protestante, che lavora in Italia nel XVII secolo, e che una volta contribuito a scoperte eccezionali nei campi più svariati, diviene sacerdote cattolico, vescovo e beato. Al nome di Stenone, si affianca di solito quello di Renè Just Haüy (1743-1822), amico di Lavoisier, che proseguendo sulla strada dell’illustre danese, fonda la Cristallografia e la Mineralogia moderne. Quanto alla biologia, è universalmente riconosciuto a padre Lazzaro Spallanzani, sacerdote nativo di Scandiano (1729-1799), il titolo di “principe dei biologi”, di “Galilei della biologia”, per aver dato, per primo, contributi nei campi più svariati di questa disciplina (e di altre: è considerato anche uno dei padri della vulcanologia). Il padre della aeronautica? Il gesuita bresciano Francesco Lana de Terzi (17311687), il primo a proporre l’applicazione della legge di Archimede anche per il volo nel cielo.

Il fondatore della genetica? Il monaco agostiniano cecoslovacco, Gregor Mendel (1822-1884). Quanto alla meteorologia e alla sismologia, l’elenco dei contributi da parte non solo di credenti, ma addirittura di ecclesiastici diventa infinito: padre Benedetto Castelli, allievo e amico intimo di Galilei, riconosciuto come il padre dell’idraulica moderna, è per esempio l’inventore del pluviometro, mentre ad altri ecclesiastici sono attribuiti il primo igrometro ed il primo anemometro; padre Andrea Bina, monaco benedettino, è, nel 1751, l’inventore del primo sismografo a pendolo; padre Timoteo Bertelli, barnabita, è il padre della microsismologia; don Giuseppe Mercalli è il padre della scala sismica che da lui prende il nome. Se ci spostiamo nel campo dell’elettricità, troviamo i contributi pionieristici di gesuiti come Niccolò Cabeo, e la figura di padre Giovan Battista Beccarla, riconosciuto padre dell’elettricismo italiano. Dopo di loro, Alessandro Volta, formatosi alla scuola dei gesuiti, e sincero credente, per tutta la vita; Luigi Galvani, terziario francescano; Faraday, membro di una chiesa cristiana protestante; il sacerdote Giuseppe Zamboni, inventore della pila a secco; il francese

André-Marie Ampère, amico e collaboratore del beato Federico Ozanam. Pur dimenticando infiniti altri contributi di personalità della Chiesa - e tralasciando di parlare della devota fede cristiana di laici come Newton, Pasteur, lord Kelvin, ecc. -, ricordo soltanto alcune scoperte recenti: l’abbé Chappe, sacerdote francese, è l’inventore del primo telegrafo; padre Barsanti, barnabita italiano, è l’inventore del motore a scoppio; il sacerdote senese Giovanni Caselli, è il padre del pantelegrafo (antenato del fax), mentre il gesuita Roberto Busa è considerato un pioniere dell’informatica linguistica. Scienziati credenti, oggi? Il più importante matematico italiano vivente, Enrico Bombieri (medaglia Fields nel 1974); l’ultimo premio Nobel per la fisica italiano, Carlo Rubbia e grandi fisici come Amaldi e Zichichi; uno dei più celebri astrofisica italiani, Marco Bersanelli; il genetista che ha diretto il “Progetto genoma umano”, Francis Collins. Come diceva Pasteur, uomo di profonda fede, poca scienza allontana da Dio, mentre molta scienza vi conduce. Francesco Agnoli

Un grosso affare Il quartiere Merlo è oggi popolato di pensionati, professionisti, poeti e santi. È considerato uno dei quartieri all’avanguardia per gestione della cosa pubblica, per l’esuberanza delle iniziative e per la vivacità delle comunicazioni sociali. Ma un tempo la contrà Merlo era considerata un sottoprodotto della città. Era una borgata della già poco considerata frazione Santa Croce. Bassano era la città. Il Merlo era la “tettoia” di villa Giusti, ove trovavano riparo i mezzadri della contessa e qualche disperso della montagna. Pochi i poeti, meno ancora i pensionati, qualche navigante. Al Merlo si arrivava per via Travettore, una strada sterrata ove transitavano le biciclette dei pendolari che si recavano dai paesi del “caivo” a lavorare alle smalterie metallurgiche venete. Lavorare dai Westen a fare pentole era un privilegio che a pochi era concesso. Si entrava solo con la raccomandazione del Vescovo. Al Merlo qualcuno lavorava alle smalterie. Ma la maggioranza delle poche famiglie si cibava dei resti che cadevano dalla mensa Giusti del Giardino e da qualche bicchiere di latte succhiato nottetempo dalle vacche a mezzadria che il fattore controllava come sue concubine. Le poche bestie da stalla libere dagli occhi del padrone erano un patrimonio prezioso. Giovanni “Roaro” era arciconosciuto. Mediatore di bestiame nella contrada Merlo era un signore temuto e ammirato. Era un omone di quasi un metro e novanta, spalle larghe, pugno ferreo, mano pesante. Era temuto perché era facile a decantare poesie sia al mattutino che alla sera. E quelle erano bestemmie di vario genere,cesellate fino ai minimi particolari con un repertorio da far invidia a Boccaccio. Roba da far tremare le fondamenta della casa ove abitava con la sorella Teresa, sulla curva del Merlo, di fronte al capitello della Madonna Assunta, alla cui realizzazione aveva perfino contribuito. Il mediatore “Roaro”, negli ambienti agricoli di Bassano era una istituzione. Non si sa di che origini fosse, vista la statura. Probabilmente era disceso dalle oscure vallate del trentino popolate di orsi e aquile, non si sa se a piedi o in barca. Ed era approdato nella insignificante, almeno allora, frazione del Merlo. Quivi aveva trovato dimora nel punto strategico della frazione. Nella curva. Così poteva controllare i passanti che in curva dovevano rallentare. Non che il traffico fosse intenso. Qualche bicicletta e qualche carro di contadini. Salvo il mezzo di Mario “el pessaro”. Che oltre alla qualità di vendere “masanete” aveva quella di avere una bellissima figlia, andata poi in sposa al Mayer padre del contemporaneo e noto musicista Giovanni. Non si sa se tra i due, Giovanni e Mario, uno interessato alle “masanete” e uno al commercio di animali, fosse corso buon sangue. Sicuramente buon vino, e tanto. Giovanni “Roaro” era un notissimo mediatore di bestiame. Una professione temuta e ammirata. I Contadini lo vedevano arrivare e dipendeva da lui la valutazione di mesi e mesi di lavoro nella stalla. Sua Signoria Roaro diventava giudice assoluto. A Santa Croce contava più della contessa Giusti del Giardino. Quando entrava in una stalla per vedere l’animale da vendere, i contadini tremavano. Poi si sputavano sulla mano e concludevano l’impegno a vendere al miglior prezzo. Quello naturalmente che il mediatore aveva in testa. E giù qualche buona e sconosciuta bestemmia se il contadino non accettava. I poveri cristiani di fronte agli improperi accettavano. E poi si brindava con vino da botte. Tanto vino. Le processioni solenni che la parrocchia di Santa Croce organizzava durante la primavera e l’estate vedevano la partecipazione

di tutti, ma non di Roaro. Si passava davanti al capitello e quindi a casa sua, ma l’uomo continuava imperterrito a lavorare. Manco si levava il cappello al passaggio del Santissimo. Guardava di sottecchi il parroco don Didimo Mantiero, verso cui nutriva una innata antipatia. Con il giovane cappellano don Luigi Tassoni riusciva invece a malapena a esprimere un saluto di pura cortesia, per rispetto della sorella Teresa che del cappellano aveva una grande stima. Ma per Giovanni Roaro venne anzitempo il momento del rendiconto. La vita da mediatore di bestiame e la doverosa devozione al vino di qualsiasi tipo e provenienza minò il suo organismo, che cominciò a dare segni di cedimento: probabile cirrosi epatica. Una malattia micidiale nonostante il nome da ballerina. Don Luigi Tassoni era un giovane e aitante cappellano. Era giunto a Santa Croce dopo alcune esperienza pastorali a Vicenza e a Marostica. Si era subito imposto per il suo fare brillante, moderno estroverso. Tutto l’opposto del parroco don Didimo Mantiero, uomo “ruspio” e riservato. A don Luigi era stata affidata la pastorale giovanile. Una delle prime moto in circolazione a Santa Croce, la famosa RUMI era stata benedetta e provata lungamente dal dinamico sacerdote. Pensando di non dare scandalo alle buone famiglie della parrocchia il cappellano si era poi arreso a comperare il Galletto Guzzi di colore bianco, manutenuta alla perfezione dal capo-meccanici Corrado Mariotto in Via Verci, con cui scorrazzava per le stradine polverose di Santa Croce per la visita agli ammalati e anziani o per portare a spasso i suoi giovani. E di giovani ne aveva tanti. Il luogo di ritrovo era la vecchia e cadente canonica e la chiesa vecchia, resa disponibile come luogo di incontro e spettacoli dopo la costruzione della maestosa chiesa nuova. La vecchia chiesa e la vecchia canonica erano state teatro di eventi eccezionali e di colorati episodi. Già ai tempi del precedente cappellano don Primo Bertoldi, uomo impulsivo e generoso, circolavano voci su scherzi che rasentavano la dissacrazione. Famoso resta quello in cui con a capo don Primo, furono usate le vesti della Madonna Addolorata, sostituita da una statua in legno, per imbastire una processione nel mese di ottobre in casa di “Chichi” Simonetto durante le operazioni di scartocciamento del granoturco sotto il portico. “Chichi” Simonetto indignato per la sceneggiata colpì con un grosso pugno il primo della processione coperto da un mantello nero. Ed era proprio il cappellano don Primo. Per cui il povero “Chichi” continuava a confessarsi di aver picchiato un prete. Questo era il terreno su cui don Luigi era chiamato a prestare la sua opera educativa. E in pochi anni riuscì a risollevare le sorti dell’Azione Cattolica, del coro parrocchiale, delle Acli e di tante altre attività. A dispetto delle sue origini ad Alonte nella bassa vicentina, che rievocava luoghi dell’inferno dantesco, il cappellano si inserì magnificamente anche nel tessuto cittadino. Grazie alla sua amabilità, dialogava con tutti, compresi i massoni e i senza Dio. Tra i suoi “lontani” vi era pure Giovanni “Roaro”. Don Luigi, considerato il carattere del mediatore di bestiame e della sua avversione a qualsiasi forma esterna di pratica religiosa aveva fatto leva sulla sorella di Giovanni, la signora Teresa, discreta e di maniere signorili. Tramite la signora Teresa aveva tentato inutilmente di avvicinare Giovanni nella speranza di ammansirlo e di avvicinarlo ai sacramenti. Erano quelli i tempi in cui i preti si preoccupavano della sorte delle anime loro affidate. Fine prima parte Sherlock

SPAZZOLINO E DENTIFRICIO - riflessioni allo specchio prima di andare a dormire

Un incontro insolito e indimenticabile Francesca, 38 anni, 3 figli, un marito e la dignità di vivere una malattia che se la porta via Questa sera non riesco a togliermi di mente l’incontro fatto oggi. Ho conosciuto una persona meravigliosa, una di quelle che ciascuno di noi vorrebbe vicino ogni giorno. Ho conosciuto Francesca. L’ho conosciuta attraverso il mensile di Comunione e Liberazione Tracce. Ma perchè questo incontro è stato così straor-

dinario? Francesca è una donna e una mamma di 38 anni. Da quando ne aveva 36 ha dovuto affrontare una tumore alle ossa che l’ha portata alla morte lasciando in questo mondo il marito e i tre figli di 10, 7 e 3 anni. I dialoghi raccontati dal marito nell’articolo mi hanno fatto venire i brividi. Addi-

rittura negli ultimi giorni di vita il marito Vincenzo si è sentito dire queste parole: “Guarda, devi stare tranquillo. Io sono contenta. Sono in pace. Sono certa di Gesù.” Allo stesso tempo questo incontro mi ha fatto pensare, e non lo è mai abbastanza, a quanto la nostra presenza in questo mondo sia fugace.

Ho pensato nuovamente a come spendo le mie giornate, al tempo che spreco, alla necessità di adoperarsi per qualcosa di buono e grande perchè altrimenti la nostra esistenza non avrà alcun senso. Ringrazio il Signore che ci dona uomini e donne veri come Francesca. Ringrazio Francesca che pur non avendo sicuramente cercato la malattia, ha saputo affrontarla con dignità e forza.

Esperienze e presenze come quella di Francesca fanno bene al cuore ed allo spirito e ci fanno credere che si può vivere così. Sciacquo e vado a letto. Notte.

L’incisivo


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