Voce dei giovani - giugno 2013

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Anno XLVIII - n. 4 - Giugno 2013

PROTAGONISTI DELLA PROPRIA EDUCAZIONE Associazione senza fini di lucro – Spedizione in Abbonamento Postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 convertito in Legge 27/02/2004 n°46) art 1, comma 2, DCB Bassano del Grappa

MEZZO EDITORIALE, MEZZO DIARIO

Movimenti, ecco quello che dovete fare. Firmato Francesco Incontro, preghiera, testimonianza e un incessante riferimento a Cristo. Resoconto tra il serio e il faceto di una giornata in compagnia del Papa, di amici e di altre svariate decine di migliaia di persone L’amico prete che viene da lontano (una piccola parrocchia della provincia di Roma) era stato chiaro, in quella Messa dei primi giorni di aprile. Al momento degli avvisi il suo avvertimento era suonato tra il semplice annuncio e l’ordine perentorio: "Il 18 maggio c’è la Giornata dei Movimenti a Roma". Come a dire: mettete insieme una delegazione che sia presente con il minimo indispensabile oltre all’entusiasmo, cioè viveri, acqua e uno striscione. Arrivato il giorno fatidico e partiamo per Roma. Il viaggio di andata trascorre senza infamia e senza lode. Arriviamo in anticipo, cosa già di per sé straordinaria, vista la nostra tradizione. Ci uniamo agli amici di Arcinazzo Romano e Bellegra guidati da don Paolo (l’amico prete che viene da lontano) alla chiesa del Quo Vadis per una Messa di inizio giornata. Dopo il pranzo frugale all’Istituto delle Suore di S. Sisto, l’ordine di servizio trasmesso è il seguente: "Ci troviamo nella Sala del Capitolo per il rosario, poi partenza verso S. Pietro". In questa Sala dell’Istituto ci sono tre affreschi che raccontano di tre miracoli di S. Domenico. Don Paolo chiede alla suora che ci accompagna di descrivere brevemente le tre risurrezioni illustrate negli affreschi. La suora è talmente breve che a un certo punto dobbiamo interromperla per poter recitare almeno una decina, visto che ormai tempo del rosario è filato via; "il resto lo reciteremo in bus". All’arrivo in piazza S. Pietro, inizia la trafila per trovare posto a sedere per quaranta persone. Ad un tratto ci avvisano che alcuni di noi si devono trasferire sul sagrato, a pochi metri dal Papa. Dopo un’ora, sul sagrato ci sono tutte le quaranta persone della comitiva. (A chi dovesse chiedere spiegazioni su come abbiamo fatto, risponderemo che è stato lo Spirito Santo, così nessuno avrà nulla da ridire.) Dal sagrato la piazza che brulica di persone e le bandiere che sventolano in ogni dove è un’esperienza che chissà quando si ripeterà in vita. A riportarci alla concretezza è, all’improvviso, il richiamo di un gabbiano, che planando deposita il suo souvenir sulla spalla di uno di noi. Lapidario il commento di don Paolo: "Tranquillo, non è lo Spirito Santo che scende". In effetti, quello che era sceso non aveva le sembianze di una lingua di fuoco. Arriva il Papa, e il suo è un intervento spettacolare sotto tutti i punti di vista. Il nostro gruppo è composto da allenatori, animato-

ri, responsabili di attività a vario titolo, e le parole di Francesco sono un’indicazione chiara su ciò che degli educatori devono fare, una bussola con indicati i punti cardinali. Il Papa ricorda uno dei giorni per lui più importanti, il 21 settembre 1953. "Era la festa dello studente e sono passato dalla mia parrocchia. Ho trovato un prete, che non conoscevo, e ho sentito la necessità di confessarmi. Questa è stata per me un’esperienza di incontro: ho trovato che qualcuno mi aspettava. Ma non so cosa sia successo, non ricordo, non so proprio perché fosse quel prete là, perché avessi sentito questa voglia di confessarmi, ma la verità è che qualcuno m’aspettava". Prima di tutto, quindi, c’è l’importanza di suscitare e di cercare un incontro. Poi le tre parole con cui si comunica la fede: Gesù, preghiera, testimonianza. "Se andiamo avanti con l’organizzazione ma senza Gesù non va bene", dice Francesco, e Gesù si comunica "solo testimoniando il Vangelo attraverso la vita di tutti i giorni. La Chiesa ha bisogno non tanto di maestri, ma di testimoni". Non servono tante parole, ma l’esempio, "parlare con la vita", senza l’eccessiva preoccupazione di essere efficienti. "Fate attenzione al pericolo dell’efficientismo", ha detto il Papa prima di esortare tutti ad aprirsi, perché "quando la Chiesa si chiude, si ammala. Dobbiamo parlare con persone che non la pensano come noi, che credono ad altro. Tenendo bene presente che anche loro sono figli di Dio, esattamente come noi". Durante l’intervento del Papa le teste di tanti di noi annuiscono e registrano il messaggio. Sentiamo che il Papa ci è vicino e prega per noi, anche quando nella preghiera - lo ammette lui stesso - si "addormenta un pochettino". Rientriamo a Bassano. Sono passate giusto 24 ore dalla partenza e torniamo con qualcosa in più nello zaino, oltre alla comprensibile stanchezza. Sono gioia, gratitudine, speranza. E c'è anche la bussola che ci ha lasciato Papa Francesco.

Astr LAB

cdg work in progress

orienta la tua vita

Presentato il nuovo tema 2013 del Comune dei Giovani. Obiettivo puntato sulle scelte e sulla capacità di sapersi orientare nel mare della vita Durante uno degli ultimi Festival Giovane, il momento che riunisce tutti i cittadini e i simpatizzanti del Comune dei Giovani, oltre al punto delle attività della scorsa annata, sono stati presentati alcuni dei principali avvenimenti che l’associazione ha programmato quest’anno, come il Bassano Rock Festival e la Giovaninfesta, appuntamento usuale che si aprirà lunedì 3 giugno e proseguirà dal 6 al 9 giugno all’insegna di musica, cultura e divertimento (il programma completo in basso nella pagina). Ma non è stato solo questo. Infatti si è anche concluso il tema che ha accompagnato il CdG negli ultimi due anni, “Voglio fare di me un UNO”, attraverso il quale i giovani hanno capito che ciascuno dovrebbe desiderare di diventare protagonista della propria vita, ispirandosi all’Uno per

eccellenza, Cristo. Spazio, dunque, ad un nuovo tema. Per affrontarlo, bisogna fare qualche passo indietro e porsi qualche domanda: come si diventa degli “Uno”? Si può fare da soli? Qual è il cammino da affrontare? Quali scelte dobbiamo intraprendere? Proprio le scelte sono il punto chiave: come dobbiamo scegliere nella nostra vita per poterci orientare al suo interno? È così che nasce il nome del tema per il 2013: AstroLAB, come l’astrolabio, lo strumento che in antichità serviva per misurare l’altezza e la posizione delle stelle, per potersi così orientare in mezzo al mare. Le scelte che operiamo ogni giorno, anche le più piccole, finiscono per influenzare il nostro futuro. Basti pensare, per esempio, a come un semplice incontro, un imprevisto o una decisione presa fuori dagli schemi convenzionali possa del tutto sconvolgere tutto e cambiarci la vita. Essendo un tema molto ampio che com-

prende vari argomenti, nel nome risultano in maiuscolo le lettere LAB, segno che ciascuno può dare il suo contributo per approfondire e costruire tutti insieme questa tematica, per comprendere la scelta più importante: voglio fare di me il protagonista della mia vita? Come posso farlo? Le nostre decisioni hanno spesso a che fare con temi che il Comune dei Giovani ha trattato anche negli anni scorsi, come la libertà, la ricerca della felicità, l’amore. Non un amore come può essere quello tra uomo e donna, ma quello che spinge ad amare gli altri per condurli alla vera realizzazione della loro vita. È un viaggio lungo e complicato, che nessuno può intraprendere da solo. Ognuno ha bisogno di avere delle guide e di farsi a sua volta guida per gli altri, ha bisogno di amici che vogliano il suo bene e compagni che guardino al suo stesso obiettivo. Filippo Mariotto

Un foglio bianco, un progetto, una compagnia Avere carta bianca davanti ad una proposta vuol dire poter lasciarsi ispirare dal proprio entusiasmo, dalle proprie fantasie, per creare qualcosa di grande. Questo “grande” di cui si parla assume ancora più importanza se condizionerà il percorso educativo di molti giovani. Tutto nelle tue mani. Qui. Ora. I ragazzi del Comune dei Giovani sono abituati a questo tipo di richieste e, non si sa come, riescono quasi sempre a prendere la scelta giusta. Magari non al primo colpo, magari non a quindici anni, ma quando succede, è un gran successo. Prendere la decisione corretta non sempre è facile e le domande (via via più esasperate) sbocciano una dietro l’altra, predominate da un unico interrogativo: come?

Ogni persona desidera essere felice, e chi non l’ha capito! Il vero problema è: come? Quando? Destra o sinistra? Alto o basso? Sì o no? Le domande sono tante, ma a volte la risposta è una sola. Basta sapersi orientare. Guarda caso, l’uomo solitario non troverà mai ciò che cerca: concentrato com’è a dedicarsi a se stesso, potrebbe esserci passato vicino senza accorgersene. Chi pone fiducia nell’altro e, soprattutto, in chi gli vuole bene, sarà quantomeno avvantaggiato nel cammino della vita. Chi ama, non solo di un amore carnale, sa quanto la felicità vada custodita e anche donata. Li chiamiamo maestri, coloro che vogliono il nostro bene e che ci aiutano a raggiun-

gerlo. Quando un ragazzo si trova a dover creare da una “carta bianca” un grande progetto, queste figure diventano fondamentali. Per quanto possa essere emozionante partorire un’idea completamente nuova, il salto nel vuoto soli e bendati è per gli ingenui: con una buona guida e le idee libere di evolversi, si può edificare il proprio sogno con solide fondamenta. Il processo è stato lo stesso per l’ideazione del nuovo tema del Comune dei Giovani: una squadra ha lavorato assieme in simbiosi, diventando così uno maestro dell’altro, tracciando, insieme, un percorso tutto da scoprire. Beatrice Lorenzato

sport & EDUCAZIONE

con il patrocinio dell’assessorato alle politiche giovanili del comune di bassano del grappa

L’importante non è solo partecipare. E’ anche educare

E L’ORGANIZZAZIONE DEL COMUNE DEI GIOVANI

La pratica sportiva non è sol fatica, impegno e risultato. È anche tensione al bello e attenzione alla persona, al suo compimento e alla sua realizzazione. Serve uno sguardo diverso, su se stessi e sugli altri

Qual è la domanda educativa oggi? Quali sono i più grandi problemi, nella società e – di riflesso – anche nello sport? Una prima analisi porterebbe a concludere che non sappiamo più educare: gli adulti sono deboli e poco chiari nel rispetto delle regole in famiglia e fuori, e si verificano situazioni distorte come nel caso dei “genitori sindacalisti” citati da Antonio Polito nel libro “Contro i papà”, che descrive proprio questo fenomeno. Ad affrontare il tema l’Associazione Sportiva S. Croce ha invitato in due diversi incontri rivolti ad allenatori e dirigenti Giancarlo Ronchi (foto a sinistra), membro della Compagnia delle Opere Sport, e Antonello Bolis (foto a destra), docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione all’Università Cattolica di Milano e responsabile dell’Area Pedagogica della Scuola Calcio Milan. Ronchi ha sottolineato che il primo obiet-

tivo dello sport è di essere un mezzo per incrementare il valore della persona, della sua umanità. Una cosa che accomuna tutti i ragazzi è la passione per il bello che è il grande motore della vita perché “non sarebbe possibile affrontare disinteressatamente le fatiche della vita sui monti se le forze fisiche e muscolari, a ciò necessarie, non fossero sostenute da una tenace volontà e da un’intelligente passione per il bello”, ha detto Ronchi citando Giovanni Paolo II. Sfide, fatiche, impegno e tenacia sono solo alcune delle cose che servono per ottenere risultati e soprattutto per crescere il ragazzo più completo, perché un palleggio ben fatto o un tiro in porta ben riuscito esprimono una bellezza la fatica fatta per ottenerli. L’occhio di riguardo bisogna averlo, quindi, non alla voglia di vincere e di ottenere solo risultati ma alla voglia di compimento di crescita e di realizzazione del bambino o ragazzo che pratica un’atti-

vità sportiva. Antonello Bolis ha invece rimarcato l’importanza, attraverso la pratica sportiva, di educare al reale, di far prevalere l’esperienza sulla virtualità di cui è intrisa la vita dei giovani. E questo per diversi motivi: “per imparare ad accettare il limite come un dato e riuscire a trasformarlo in opportunità”, per esaltare la dimensione relazionale dello sport e per “riscoprire un rapporto corretto con l’adulto”. Quest’ultimo è fondamentale perché è la guida attraverso cui il ragazzo riscopre il desiderio di bene, di felicità che c’è in ogni persona. “Il compito di voi allenatori – ha commentato Ronchi – è di aver cura dei ragazzi tenendo presente tutta la persona. Questo è molto importante perché di solito, nello sport, i ragazzi vengono trattati e considerati solo per il particolare su cui sono coinvolti; invece da un particolare si incontra tutta la persona”. Però l’allenatore non può avere uno sguardo sugli altri se non ha lo stesso sguardo su di sé, se non vive quello sguardo su se stesso. Come nel caso di Will, protagonista del cortometraggio “Il Circo della Farfalla”. Nato senza arti e impiegato come fenomeno da baraccone in un circo, Will un giorno incontra Mèndez, capo del Circo della Farfalla, che vedendolo esclama stupito “Tu sei meraviglioso!” e gli fa capire di avere un valore irriducibile, nonostante il suo essere senza gambe né braccia. Inizia così un percorso di crescita e di educazione che porta il protagonista al suo compimento, a dare un senso a una vita che prima era piena di tristezza a causa della sua situazione. Tutto grazie a quell’iniziale sguardo di Mèndez, grazie a quel “Tu sei meraviglioso!”. Giulia Fietta

Lun. 3 giugno 20:45

Incontro culturale

Sammy Basso

Ven. 7 giugno 18:30 Happy hour con aperitivo colorato 19:00 Incontro culturale

Marco Verzè

Promotore di iniziative per aiutare la ricerca sulla sua malattia, la Progeria Architetto e scrittore, Presso sala Martinovich autore di "Il senso ultimo delle cose" 20:00 18:30 Happy hour con aperitivo colorato 19:00 Incontro culturale Rock 22:00

Giov. 6 giugno

Marydolls

Riccardo Tinozzi

Tutor psicologo nella Juventus, Settore Giovanile 20:00

Good for one day

Alternative / Rock 22:00

Down to ground

Pop-rock

Plan de fuga

Rock

Sab. 8 giugno

Dom. 9 giugno

dalle 8:00 alle 20:00

18:30 Happy hour con aperitivo colorato Torneo di calcio a 5 di 12 ore 19:00 Incontro culturale da mezzogiorno

Gif Soccer Gif Volley

Torneo di green volley 4x4 misto 17:00 Happy hour con aperitivo colorato dalle 17:00

Gif Deejay

Dj contest con premio al migliore 20:30

Premio Pubblico

Sceglierà il pubblico tra le band del Bassano Rock Festival, quella da portare sul palco 22:00

Vanilla Sky

Alternative punk rock

Gabriele Falconi

Centro Aiuto alla Vita 20:00

The Shimmer

British new wave 22:00

Phinx

Electronic / Psychedelic


L’INTERVISTA

LA STANZA DI SHERLOCK HOLMES

Cristiani, un massacro continuo

Un grosso affare (seconda parte)

Parla Massimo Introvigne, invitato a Bassano per una conferenza sulle persecuzioni religiose. Sono decine di migliaia nel mondo i cristiani che perdono la vita per la fede, e sui colpevoli spesso cala il silenzio Abituati a vivere in ambienti lontani da certi argomenti, la parte della persecuzione e della discriminazione della nostra fede scivola in secondo piano, anche se in realtà si rivela molto vicina a noi. Quando si comincia a parlare di cristianofobia ed emergono certe cifre si apre una grande, attualissima questione. Una visione realistica e molto analitica dei fatti ce l’ha offerta Massimo Introvigne,

uno dei maggiori conoscitori di questo argomento. Personalmente anche io, quando ho letto nel volantino che si sarebbe parlato di “Libertà religiosa, cristianofobia e persecuzione”, mi sono trovato un po’ spiazzato. Con ancora il dubbio che mi gira in testa, non mi resta altro che chiedere un’introduzione direttamente a Introvigne.

Cominciamo. Potrebbe chiarire con qualche cifra cosa intende per persecuzione dei cristiani nel mondo? La prima, e forse la più sconcertante, è 105 mila. Sono i cristiani che ogni anno muoiono. Se volessimo fare alcuni conti più dettagliati, equivarrebbe ad un decesso ogni cinque minuti. E questo basta per far capire le dimensioni del problema. Facendo un conteggio storico, dai tempi delle persecuzioni dei primi discepoli di Cristo ad oggi le vittime ammontano a 70 milioni. Ma il dato più sconcertante è che di questi settanta milioni, 45 si collocano solo nel ventesimo secolo. Attualmente, dopo la fine del conflitto in Sud Sudan sono molto diminuiti. È sicuramente difficile però trovare governi esplicitamente contro la libertà religiosa o che attualmente compiono stragi di credenti. O almeno è quello che la società ricca e avanzata non ci fa vedere. Chi li uccide? Chi o che cosa si può identificare come responsabile di tali cifre? Nominare chi sono gli assassini è pericoloso. Spesso sono coloro che ci comprano i buoni del tesoro, quelli che ci vendono il petrolio. È molto più sottile di quanto si creda, questa persecuzione, almeno quella attuale. Diciamo che si tenderebbe a intenerirsi sul morto ma a non voler prendere in esame chi è l’assassino. I responsabili si possono identificare in ideologie, prima tra tutte l’ultrafondamentalismo islamico: questo pensiero è radicato in alcuni stati, che si manifesta attraverso il contagio delle leggi, come possono essere quelle contro l’apostasia, la blasfemia o il delitto d’ono-

re. Esclusi questi casi, non si può neanche dire che non esistano altri governi esplicitamente contro la religione cristiana. Come secondi grandi responsabili infatti possiamo identificare i regimi comunisti, dei quali sopravvivono i regimi asiatici, come la Corea del Nord, che secondo alcune stime in dieci anni è stata responsabile della morte di 300 mila cristiani, e la Cina, nazione priva dei diritti umani che talvolta nomina vescovi nemmeno credenti. Come terzo e ultimo grande responsabile vi sono le forme di nazionalismo religioso, come l’induismo e il buddismo, una mezza via tra nazione unita a religione. Insisto ancora sulle ideologie, cioè su tutte quelle forme di comportamento molto meno evidenti rispetto ai precedenti casi. Come si comportano questi colpevoli silenziosi? È il quarto aspetto della cristianofobia, diverso dai precedenti. Si tratta della discriminazione e dell’intolleranza, slegate dai sistemi giuridici di una nazione e da situazioni apertamente ostili, ma intesi come fenomeno esclusivamente culturale. Probabilmente è l’aspetto più vicino alla nostra vita, rispetto all’ultrafondamentalismo islamico e ai regimi estremisti, che possono sembrare estranei alla nostra società. Il cattolicesimo è come il fumo: non si può abolire, ma è meglio evitarlo. Questo sentimento negativo si sta lentamente infilando in Occidente. L’anticattolicesimo è l’ultimo degli aspetti fastidiosi, ma dall’intolleranza si passa poi alla legge, come già accade fuori dall’Europa. Allora quali sono i motivi che porta-

no all’intolleranza? Probabilmente questo aspetto è molto più recente, in quanto non si tratta apertamente di una lotta o di un contrasto. Per quale motivo sarebbe meglio “evitare” il cattolicesimo? I cristiani non fanno proselitismo e non sono una religione militante, e questo li rende vulnerabili. Allo stesso tempo però il Cristianesimo contesta le ideologie in ambito civile. Infastidisce. Concludiamo. Dopo queste osservazioni, quali sono le considerazioni da fare e che cosa si può fare? Spesso la silenziosa diplomazia può salvare molte vite umane. Ci sono metodi alternativi alla televisione e ai giornali: il più grande social network sono le parrocchie. Bisogna mobilitarle e renderle attive. Attualmente manca clero, e prima di dichiarare grandi nemici esterni sarebbe il caso di volgere uno sguardo a quelli interni, ai cattolici che si vergognano di esserlo e a quelli ultraconservatori. È necessario stabilire un dialogo con le altre religioni, specie con l’Islam. Questo già lo sostenne l’emerito Benedetto XVI. Sono un miliardo e mezzo, è necessario dialogare! Bisogna trovare degli interlocutori con cui discutere su almeno tre punti comuni: la rinuncia al terrorismo, la difesa dei diritti umani secondo criteri di ragione e l’uguaglianza tra uomo e donna.

Jacopo Bertoncello

INCONTRI / 1

“Sembrano una grande famiglia” Nelle ultime settimane il CdG ha ricevuto visite di amici vogliosi di andare a fondo su questa originale esperienza educativa

Ciò che ci muove è il desiderio di incontro, di scambio, di testimonianza, la voglia di creare delle nuove e vere amicizie. Questo ha spinto una classe di catechismo della parrocchia del Duomo di Mestre (VE) a venire a Bassano per conoscere l’esperienza del Comune dei Giovani e la vita di don Didimo Mantiero. Su iniziativa del loro cappellano don Lorenzo, che aveva letto la biografia del sacerdote vicentino, tredici ragazzi accompagnati da tre animatori e da Francesca, la catechista, hanno incontrato alcuni ministri e cittadini del CdG che li hanno accompagnati nel percorso della mostra su don

Didimo presentata allo scorso Meeting, percorso che si snoda tra i tre fondamenti della realtà bassanese: preghiera, formazione e responsabilità. Bastano le parole di questi giovani alla ricerca, raccolte “a caldo” nel treno del ritorno, per raccontare la bellezza di questa esperienza. “Mi hanno colpito le idee di don Didimo: sia quella dei dieci giusti che quella dei tre pilastri: formazione integrale, fede, responsabilità”. “E’ stato bello perché abbiamo avuto un confronto, loro hanno un modo diverso: fanno molte cose e ci mettono tutte le loro forze”.

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“Ci torniamo? Mi è piaciuto molto che il lunedì non ci sia nulla perché tutti fanno formazione, non mi è piaciuto che ci sia la divisione tra maschi e femmine fino ai 18 anni”. “Mi ha colpito l’impegno, quanto ci credono, la loro passione. Ad un amico direi di venire qui per l’esempio di accoglienza, al di là di quel che dicono”. “Mi porto dentro la loro serietà e dedizione. Penso che non si capisca bene il Comune dei Giovani se non si va a vederlo, perché sono stati chiari e diretti. Sono stati veri”. “Sembrano una grande famiglia”.

Galeotto fu il sito Come nella storia di Marco e Lucia, protagonisti del recital sulla vita e le opere di don Didimo Mantiero, anche il novello sacerdote don Andrea Mattuzzi e alcuni degli animatori della sua parrocchia di Domegliara (Verona) hanno conosciuto attraverso il sito internet www.comunedeigiovani. it l’esperienza del Comune dei Giovani e hanno deciso di recarsi ai piedi del Grappa per incontrare una parte del Consiglio dei ministri e alcuni collaboratori. Domenica 14 aprile una delegazione di giovani veronesi ha raggiunto Bassano e, attraverso la mostra allestita appositamente e il racconto dei ragazzi di Bassano, ha avuto modo di capire come si svolgono le attività e quali sono i principi fondanti del CdG, della Dieci e della Scuola di Cultura

Cattolica. Poi, siccome è davanti ad una tavola apparecchiata che si condividono le cose migliori, un succulento pranzo e via ai racconti della vita e delle esperienze reciproche. L’emozione è stata grande da entrambe le parti: per gli uni perché hanno potuto conoscere un’esperienza diversa dalle solite, concreta, vissuta e attenta al bisogno dei più giovani come dei più adulti; per gli altri perché essere testimoni di questi incontri e di questi scambi spinge a mettersi in gioco con maggiore forza, a migliorarsi continuamente e rendersi conto della fortuna che ha rappresentato l'incontro con don Didimo.

Direttore responsabile: Andrea Mariotto Ministro del giornale: Jacopo Bertoncello Redazione: Antonio Artuso, Claudio Battaglia, Giovanni Battaglia, Martina Battaglia, Nicolò Bertoncello, Marina Bizzotto, Matteo Bozzetto, Enrico Fietta, Giulia Fietta, Beatrice Lorenzato, Paolo Mariotto, Michela Meneghetti, Andrea Menegon, Laura Peruzzo, Alberto Scalco, Luca Torresan, Francesco Zugno Impaginazione: Giovanni Battaglia Direzione e amministrazione: Bassano del Grappa (VI), casella postale n. 220, Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana. Autorizzazione: Tribunale di Bassano del Grappa, 7 Agosto 1964, n. 2. Pubblicità inferiore al 45% Scriveteci all’indirizzo: c.p. 220, 36061 Bassano del Grappa (VI), oppure a info@comunedeigiovani.it www.comunedeigiovani.it facebook.com/comunedeigiovani twitter.com/cdgbassano

MB

“Bello il fatto che non siano soli in questa impresa, che siano sostenuti, che riescano a proporre tantissime iniziative e che venga data importanza ai giovani, perché loro hanno delle responsabilità! Mi è piaciuto molto il loro simbolo, il fatto che siano uniti (con gli adulti, ndr)”. “Sono ragazzi normali, non santerellini, e immagino che sia difficile vivere insieme, che litighino, ma hanno dato l’idea di essere un bel gruppo. Perché questa cosa duri da cinquant’anni deve esserci Qualcosa di più grande che li muove. Questa esperienza ti fa capire quanto sia importante per un giovane avere delle responsabilità, a volte

siamo sottovalutati, invece questa è una prima esperienza per affrontare la maturità”. “Sembra che se la tirino un po’, ma è stato bello perché si vede che sono seri, che ci tengono e fondano tutto su Dio. Mi riferisco all’esperienza della Dieci”. “Mi sono divertita molto perché non è stata un’uscita tanto per fare, c’era un senso. E poi c’è un legame tra di noi, anche se non ci conosciamo ancora bene”. “Mi piacerebbe che anche nella nostra città ci fosse un’esperienza del genere, che fossimo più uniti, che ci trovassimo più spesso. Invece ci sono poche attività, poche presenze, poca voglia”. Dice Francesca: “Gli animatori sono stati entusiasti di aver vissuto questa esperienza, e sono rimasti colpiti dall’ospitalità e dalla ‘classe’ dell’accoglienza, dall’intima unione di una realtà puntata sull’azione con la dimensione del flusso continuo di preghiera generato dalla Dieci. Il protagonismo dei giovani, totalmente liberi e responsabili di un’organizzazione molto complessa, ha lasciato il suo segno, come anche la priorità data alla formazione nella gestione delle attività. Il tutto ha lasciato trasparire la gioia di una fede vissuta comunitariamente ed è stato testimonianza vera. La nostra gratitudine a tutti coloro che ci hanno seguito ed al Signore che ci ha guidato fin da loro”. L’operato del CdG ha senso solo se ci sono ragazzi come loro, ragazzi che vogliono andare alla ricerca della verità e che sono disposti a mettersi in gioco per diventare degli Uni, unici e irripetibili. Perciò alla fine siamo noi che dobbiamo ringraziare per l’opportunità che ci hanno dato.

Marina Bizzotto

Quando Giovanni Roaro si ammalò seriamente, don Luigi Tassoni, che di quell’anima era diventato il segugio, aveva tentato inutilmente di entrare nella camera di Roaro e tramite la sorella Teresa di cominciare a parlare di vita eterna, di resurrezione dai morti, di vita beata. Ma il malato era irremovibile. Sottomettersi ai preti e per di più di campagna era una umiliazione insopportabile. Il malato cominciò a vaneggiare e a perdere lucidità. Tra le altre cose non aveva neanche fatto testamento. Erano quelli i tempi in cui il diritto di famiglia era ancora al di là da venire. Come tutti i mediatori di bestiame, confessarsi e fare testamento costituiva un momento di debolezza. I familiari erano ancora fiduciosi sul testamento. Infatti avevano allertato il notaio Ziliotto, dichiaratosi sempre disponibile anche di notte per raccogliere le ultime volontà del morituro. Quanto alle questioni di anima, i familiari non potevano far niente. La signora Teresa si era affidata a don Luigi, il quale stremato dai continui tentativi si era arreso e ne aveva parlato con seria preoccupazione durante il pranzo al parroco don Didimo. Don Didimo era il prete meno indicato a parlare con Giovanni Roaro. Tra i due correva una antipatia reciproca. Uno “ruspio” e l’altro anticlericale. Don Didimo ebbe una fulminazione mentale e ne parlò a don Luigi. Il primo avrebbe giocato le sue carte con il Signore del tabernacolo, cosa che aveva fatto ancora per il passato, e l’altro si sarebbe immolato a precipitarsi in casa Roaro, se vi fosse stata una ben che minima possibilità. E intanto Giovanni Roaro si era ulteriormente aggravato. Anima persa, sospirarono i due sacerdoti. Si cominciò pure a parlare di come sarebbe stato il funerale. Purtuttavia don Didimo si recò in chiesa. Ed ebbe la sua sparata. “Signore – pregò – se la Dieci ti è gradita nella mia parrocchia dammi un segno: fa che Giovanni si confessi e muoia nella tua pace”. Sapeva di averla detta grossa. Primo perché gli sembrava di covare ancora il dispiacere di quando il Vescovo Zinato gli aveva ordinato di distruggere gli elenchi degli iscritti alla Dieci in tutta Italia e gli aveva consentito di riprenderla solo nella sua parrocchia di Santa Croce. E poi perché alla sua età di quarantasettenne parroco gli pareva ardito tentare il Signore come aveva fatto da giovane cappellano trentenne per avere un segno. Mons. Carlo Zinato, veneziano purosangue, era stato nominato vescovo di Vicenza nel settembre dell’anno 1943, dopo la morte del suo insigne predecessore mons. Ferdinando Rodolfi. Quest’ultimo era stato il vescovo che aveva consacrato sacerdote don Didimo Mantiero nella cattedrale di Vicenza il 22 maggio 1927. Di questo insigne vescovo don Didimo ebbe sempre una ammirazione incondizionata e ne aveva più di un motivo. Mons. Ferdinando Rodolfi era stato nominato vescovo di Vicenza nell’anno 1911 da Papa Pio X, che lo aveva anticipato ad un sacerdote della Diocesi, prima ancora della nomina, come “un vescovo che si muove e vi farà muovere”. Era stato un vero condottiero per la Diocesi, provata dalla prima guerra mondiale e dal periodo del fascismo, contro il quale il vescovo si scagliò con coraggio unanimemente riconosciuto. Rodolfi, professore di matematica e fisica, teologo, filosofo, era un organizzatore formidabile. Fra le attività sue predilette c’era l’insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli, che in diocesi di Vicenza organizzò capillarmente e con buona preparazione dei catechisti. Scrisse nel 1942 poco prima di morire: «Conchiudo, reverendissimi sacerdoti, raccomandandovi che senza trascurare alcuno degli altri doveri, tutti importanti, del vostro ministero, abbiate a tenere in somma considerazione la istruzione catechistica, come quella che consolida le basi delle fede e forma il carattere cristiano delle generazioni future».

Da tale esempio don Didimo trasse il suo progetto di catechismo fino al servizio militare di cui fu intrepido, quanto inascoltato, propugnatore. Mons. Rodolfi santamente morì consumato da un tumore il 12 gennaio 1943. Della Dieci, sorta nel 1941 a Santorso, don Didimo non aveva potuto parlare approfonditamente con Mons. Rodolfi, già minato nella salute. Con mons. Zinato don Didimo affrontò il problema a più riprese, ma il Vescovo, da buon veneziano, navigò al largo. Non disse mai che l’associazione non gli andava a genio. Ma neppure aveva il coraggio di eliminarla (“Guai ad eliminare una luce che nasce nella Diocesi”) considerandola una stravaganza del giovane don Didimo. Una volta nominato parroco a Santa Croce nel 1953, don Mantiero chiese devotamente al Vescovo se poteva riprendere la Dieci nella sua parrocchia. Il Vescovo Zinato glielo consentì. Ma tra lui e don Mantiero vi fu sempre una scarsa simpatia, aggravata anche da un episodio clamoroso che don Didimo raccontava ai suoi stretti collaboratori. Durante la prima visita, don Didimo parroco, per l’amministrazione della cresima nel periodo caldo dell’anno, dopo la cerimonia il Vescovo incontrò il gruppo dei fabbriceri parrocchiali. Nella sala da pranzo la perpetua Edvige aveva preparato un vassoio con una bottiglia di vino e una di grappa fatta in casa. Al momento del brindisi il Vescovo declinò l’invito a sorseggiare il vino e vista la bottiglia bianca se ne versò mezzo bicchiere e lo tracannò tutto d’un fiato, visto che aveva molta sete, pensandola acqua. Fece un salto all’indietro e sputò per terra quel rinomato prodotto bassanese esclamando: “mi volete avvelenare!”. Sgomento e panico tra i presenti, tra cui il parroco, che si prosternò in scuse e riverenze. Ma ormai la frittata era stata fatta. Alla luce della scarsa simpatia con il Vescovo, don Didimo nutriva qualche dubbio anche sulla Dieci. Naturale che di fronte all’aggravarsi della malattia di Giovanni Roaro don Didimo, come Abramo, fosse colto dal desiderio di tentare il Signore. Pregò, dunque, ed attese. Era la fine dell’anno 1959. Roaro cominciò a perdere ogni tanto la lucidità. Di fare testamento neanche la più lontana idea. Di confessarsi men che meno. Aveva solo 60 anni. Era fuori luogo pensare alla morte. Don Luigi Tassoni passava quotidianamente chiedendo alla signora Teresa notizie del malato e se vi era stato qualche segnale di avvicinamento ai sacramenti. Risposta inesorabilmente negativa. E durante un notte burrascosa il Giovanni entrò in coma. Don Luigi e don Didimo persero le speranze di salvare quell’anima per la quale avevano impegnato tante attenzioni. Ma al mattino verso il mezzogiorno don Didimo ricevette una telefonata in canonica. Il moribondo si era risvegliato dal coma e pareva disposto a confessarsi. I parenti avevano inoltrato la stessa comunicazione al notaio. Don Luigi Tassoni si precipitò con il suo Galletto Guzzi in contrada Merlo. Entrò nella casa del Roaro e ne uscì dopo oltre due ore, tutto sudato. Giovanni Raoaro si era finalmente confessato. Entrò pure il notaio per il testamento, ma il Giovanni rientrò nel coma e dopo poco morì. Era il 31 dicembre 1959. Don Didimo considerò quell’episodio come un segno del Signore, che per le intercessioni di tante preghiere aveva concesso a Giovanni Raoaro il tempo per confessarsi ma non per fare testamento. E Giovanni Roaro, da buon mediatore, se ne andò in pace con Dio e perdonato dai contadini. Finalmente aveva fatto un grosso affare, con la mediazione non sua ma di altre sconosciute anime oranti, come insegna la sana dottrina cattolica. FINE

Sherlock


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