TimeLess Magazine SS2021

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“Ogni arte intende colmare le lacune della natura.” “Art completes what nature cannot bring to finish” Aristotele.



NATURA E ARTE, UN RAPPORTO DI SOMIGLIANZA ASIMMETRICO.

Perché, vi starete chiedendo, abbiamo scelto di parlarvi della relazione tra natura e arte? Perché, semplicemente, la nostra opera quotidiana, fatta di lavoro manuale che tende a creare opere d’artigianato uniche, trae costantemente ispirazioni virtuose dal valore estetico ed etico della natura stessa. Nel tentativo costante e circolare di performare la natura stessa dell’estetica maschile. Scoprendo così di essere propriamente aristotelici! Dal punto di vista ontologico, il rapporto di somiglianza fra costruzioni naturali e artistiche è asimmetrico. Sono le seconde a imitare le prime e non viceversa. L’immagine assomiglia al modello e non il contrario. Invece pròs hemâs, come dice Aristotele, per noi, ossia dal punto di vista gnoseologico, la somiglianza è reciproca. Noi comprendiamo i processi naturali teleologicamente, ossia in analogia con quelli che sono messi in moto da noi, siamo pieni di ammirazione per come la natura lavori con l’arte, per poi nuovamente imitare la natura che abbiamo compreso così. Ciò che rimane della natura non sono gli esseri naturali, ma leggi fisiche strutturali, ossia proprio quello che Aristotele chiama non phýsis ma anánke, necessità. E con ciò siamo arrivati a qualcosa di non simulabile, ma d’indifferente alla distinzione fra natura e simulazione. Per questo modo di considerare le cose, il concetto d’imitazione della natura perde tutto il suo significato. Ciò che è veramente phýsei non può essere imitato, e tutto ciò che può essere imitato non è già altro che perfetta simulazione. In che cosa si differenziano, allora, natura e artificio? A quanto pare non solo per il fatto che la prima non è opera dell’uomo. Anche il caso e la necessità non lo sono. Ciò che i moderni critici del concetto di natura respingono è piuttosto l’idea di un arché kinéseos, ossia l’idea che il movimento caratteristico di ciascuna specie si fondi su di un principio interno alle realtà naturali e non consista ultimamente nella funzione di un parallelogramma universale di forze in reciproca collisione. Ciò che si respinge è l’idea che gli oggetti naturali siano autonomi, se tale autonomia implica l’emancipazione dalle condizioni generative. E ciò che ha in mente Nietzsche allorché afferma che l’ultimo antropomorfismo che rimane da superare è l’idea che le cose siano delle unità naturali. E Nietzsche ha compiuto anche l’ultimo passo in tal senso: anche l’immaginarsi come unità, l’idea stessa della propria identità, è antropomorfa, e l’uomo stesso non è altro che antropomorfismo. Non dobbiamo pensare le cose in analogia con noi stessi, ma piuttosto noi stessi in analogia con le cose. Ma sono proprio le cose a non esserci, in quanto solo pensate in analogia con noi stessi.

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Why, you will be asking, have we chosen to talk to you about the relationship between nature and art? Because, quite simply, our everyday work, consisting of manual work that aims to create unique works of craftsmanship, constantly draws its best inspiration from the aesthetic and ethical value of nature itself. In the constant and circular attempt to achieve the nature of the masculine aesthetic itself. Thus discovering that we are genuine Aristotelians! From the ontological point of view, the relationship of resemblance between natural constructions and artistic ones is asymmetrical. It is the latter that imitate the former and not vice versa. The image resembles the model and not the other way round. But pròs hemâs, as Aristotle says, that is, for us, or in other words from the gnosiological point of view, the resemblance is reciprocal. We understand the natural processes teleologically, or by comparing them with those that we have set in motion ourselves. We are full of admiration for how nature works with such great art, only to imitate again the nature that we have thus understood. What remains of nature are not the natural beings, but structural physical laws, in other words exactly what Aristotle calls not phýsis but anánke, necessity. And thus we have arrived at something that cannot be imitated, but that is indifferent to the distinction between nature and imitation. Considering things in this way, the concept of the imitation of nature loses all its meaning. What is truly phýsei cannot be imitated, and everything that can be imitated is already none other than perfect simulation. So how do nature and artifice differ? Not simply in the fact that the former is not the work of man, it would seem. Chance and necessity are not either. What modern critics of the concept of nature reject is rather the idea of an arché kinéseos, that is, the idea that the movement typical of all species is based on a principle within the real natural world and does not ultimately consist in the function of a universal parallelogram of forces in reciprocal collision. What is rejected is the idea that natural objects are autonomous, if such autonomy entails emancipation from generative conditions. And it is what Nietzsche had in mind when he affirmed that the last anthropomorphism that remains to be overcome is the idea that things are natural units. And Nietzsche completed the last step in that sense: even imagining oneself as a unit, the idea of one’s own identity itself, is anthropomorphic, and man himself is none other than anthropomorphism. We must not think about things in comparison to ourselves, but rather ourselves in comparison to things. But it is the things themselves that don't exist, since they are only thought of in comparison with ourselves.

NATURE AND ART: AN ASYMMETRICAL RELATIONSHIP OF RESEMBLANCE.


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Se il Barocco incontra la macchia mediterranea.

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L’identificazione di uno specifico stile barocco siciliano si deve principalmente ad uno studio di Anthony Blunt nel suo “Barocco siciliano”, del 1968. Il barocco arrivò in Sicilia con qualche decennio di ritardo rispetto a Roma ed agli altri centri di diffusione. Tuttavia, nei primi decenni del XVII secolo alcune realizzazioni anticipano in qualche modo alcuni temi del barocco. Pur con un linguaggio architettonico riferibile al tardo manierismo ed al classicismo, tali esempi possiedono una delle caratteristiche specifiche del nuovo stile che si andava formandosi a Roma: “il forte senso della teatralità, attuata mediante la ricerca prospettica e scenografica a scala urbanistica”. La caratteristica principale dell’architettura barocca in Sicilia è stata una grande esuberanza decorativa, caratterizzata da particolari

caratteristiche di calore, gioia espressiva e libertà. Intorno al 1730 il Barocco siciliano cominciò gradualmente a distanziarsi dallo stile definitosi a Roma e guadagnò una individualità anche più forte per due ragioni: in questo periodo la corsa a ricostruire, dopo il terremoto della Val di Noto del 1693, stava cominciando a scemare e la costruzione stava divenendo più tranquilla e meditata; e un nuovo manipolo di architetti siciliani veniva alla ribalta, adattando i loro progetti a bisogni e tradizioni locali, con uno stile spesso follemente creativo. Il Barocco siciliano è stato definito come: “affascinante o repellente ma, comunque il singolo spettatore possa reagire, questo stile è una manifestazione caratteristica di esuberanza siciliana, e va classificato tra le più importanti e originali creazioni di arte sull’isola”.

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The recognition of a specific Sicilian style of Baroque is largely down to a survey by Anthony Blunt in his Sicilian Baroque, which came out in 1968. The Baroque came to Sicily several decades after it had spread to Rome and other cities. Despite that, several buildings of the early part of the 17th century foreshadow baroque themes in some ways. These examples, while attributable to Late Renaissance and classical architectural forms, possess a characteristic specific to the new style developed in Rome: “the strong sense of theatricality, achieved through experimenting with perspective and scenography on an urban scale.” The main feature of Baroque architecture in Sicily was a great decorative exuberance, marked by a particular warmth, expressive joy, and freedom.

Around 1730, the Sicilian Baroque gradually began to diverge from the style developed in Rome; and two factors helped establish its uniqueness. First, after the earthquake that had struck the Val di Noto in 1693, the race to rebuild was subsiding, with construction work entering a calmer and more deliberate phase. Second, a new group of Sicilian architects was coming to the fore, adapting their projects to local needs and traditions with an often manically creative style. One definition of Sicilian Baroque is the following: “whether those viewing it find it charming or repellent, this style is a characteristic demonstration of Sicilian exuberance, and should be counted among the most important and original artistic creations on the island.”

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Dalle cattedrali naturali a quelle architetturali.


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Gli ulivi sono stati da sempre definiti le cattedrali naturali del territorio pugliese, monumenti che si stagliano tra cielo e terra, con i loro tronchi contorti, erosi dalla pioggia e dal vento, scavati da rughe secolari che hanno lasciato la loro impronta. Ricordano il lavoro dei campi, nelle giornate assolate durante la calura estiva, la raccolta fatta a mano con le reti, il rumore dei frantoi ed il profumo dell’olio appena spremuto. Questa pianta sembra essere giunta sulle coste pugliesi dall’Oriente, dove si rintracciano le prime citazioni storiche riguardo alla coltivazione dell’olivo. Osservando le piane ulivetate dalle alture, non è difficile restare incantati da quella che è una vera e propria opera d’architettura naturale composta da soli ulivi secolari, enormi distese di verde scuro che giungono fino al blu del mare.

Tronchi attorcigliati su loro stessi, a volte divisi a metà o in più parti, a volte ricurvi o piegati su un lato, quasi appoggiati sul terreno come a voler trovare un appoggio per riposarsi un po’ dopo centinaia e centinaia di anni di esposizione allo scorrere inesorabile del tempo. Ed è tra il verde delle loro chiome che si scorge un’altra opera d’architettura unica. Un’allegra macchia bianca, una cittadina della Murgia costiera che si sviluppa su tre colli, il più grande dei quali è occupato dal borgo medievale e cinto dalle mura aragonesi: Ostuni. Un gomitolo di stradine quasi inestricabile che rende la visita al Rione Terra una sorta di avvincente caccia al tesoro che si conclude solo all’arrivo dinanzi alla Cattedrale quattrocentesca caratterizzata da una stupefacente opera dell’uomo, la sua incredibile facciata tardogotica.

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In Puglia, olive trees have always been considered nature’s equivalent to cathedrals – silhouetted monuments between heaven and earth, with their knotty trunks worn down by the rain and the wind, and hollowed out by the wrinkles of countless centuries. They recall the work in the fields during the sun-drenched days of high summer, the harvest carried out by hand, with nets to catch the fruit, the noise of the mills, and the smell of fresh oil. The plant is thought to have arrived on the shores of Puglia from the East, where the first historical references to olive tree cultivation can be found. Observing the plains covered by olive groves from on high, it is hard not to be enchanted by this genuine work of natural architecture, one composed solely of centuries-old olive trees – enormous green

expanses that stretch right down to the blue of the sea. Their trunks twist around themselves, some split into several parts, some curved or bent to one side; almost leaning on the ground as if to rest after all those centuries witnessing the inexorable passage of time. And between their green canopy you catch a glimpse of another singular work of architecture. A bright white stain – a town in the coastal Murgia region that extends over three hills, the biggest of which is home to the medieval part, enclosed by its Aragonese walls: Ostuni. A hotchpotch of small, tangled streets that makes a visit to the Rione Terra quarter a compelling treasure hunt, one which only ends when you come to the 15th century cathedral. Here you will be amazed by an incredible human feat – its late Gothic facade.

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Incanto tra azzurro e policromia.

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Un nastro di terra che corre vivace attraverso i piccoli, colorati, borghi marinareschi, sfiorando il blu, il verde, l’indaco del mare. Mito. Icona. Un luogo sospeso nel tempo. Ecco cos’è la Costiera Amalfitana. I nomi dei suoi piccoli villaggi sono toponimi romani, derivando dai cognomi o dai nomi dei proprietari coevi delle ville patrizie che popolarono questa costa. Perciò, il nome della cittadina di Positano deriverebbe da quello del liberto Posides, che all’epoca di Claudio avrebbe ivi edificato una villa. Il nome del potente romano Ravelius sarebbe, invece, da collegare al toponimo Ravello e, di conseguenza, alla presunta presenza di una villa nella zona; il nome di Amalfi dalla gens Amarfia. Nomi di piccoli villaggi, di gemme preziose, che echeggiano ancor oggi, dopo centinaia e centinaia di anni, nell’immaginario collettivo, come citazioni ad un luogo dove le bellezze naturali e quelle architettoniche hanno fatto a gara a colpi di lemmi di estetica rara per

scrivere una storia unica che non finirà mai di affascinare. Un balcone sospeso tra il mare blu cobalto e le pendici dei monti Lattari, in un rincorrersi di vallate e promontori tra calette, spiagge e terrazze coltivate ad agrumi, viti e ulivi. Un ambiente unico, tutelato dall'Unesco in quanto perfetto esempio di paesaggio mediterraneo con uno scenario di grandissimo valore culturale e naturale dovuto alle sue caratteristiche topografiche e alla sua evoluzione storica. Le sue città e i suoi paesi sono uno diverso dall'altro, ognuno con le sue tradizioni e le sue peculiarità, tuttavia sono tutti caratterizzati da monumenti architettonici unici, tra cui la torre Saracena di Cetara, la cattedrale romanica di Amalfi e il suo “Chiostro del Paradiso” di chiara influenza orientale, la chiesa di San Salvatore de’ Bireto ad Atrani, dove storicamente veniva celebrata la cerimonia di investitura del Dogi amalfitani, e Ravello con la sua bella cattedrale e la superba Villa Rufolo.

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A strip of land that pulses through small, colourful coastal villages nestled next to the blue, green, and indigo of the sea. A myth. An icon. A place suspended in time. This is the Amalfi Coast. The names of its small villages date back to Roman times and derive from the owners of the aristocratic villas that were dotted along the coast. So the town of Positano owes its name to a freed slave, Posides, who is thought to have built a villa there during Claudius’ reign. And the name of a powerful Roman, Ravelius, is believed to be the source of Ravello, and to have owned a villa in the area; and Amalfi to have come from gens Amarfia. The names of these small, precious gems of villages have echoed down through the ages in the collective imagination, as references to a place where natural and architectural beauty have competed to draw aesthetic praise. The result? A unique history, and one that will never

cease to charm. Like a platform suspended between the cobalt-blue sea and the slopes of the Lattari mountains, its succession of valleys and promontories are set against a backdrop of small bays, beaches, and citrus, grape and olivegrowing terraces. This unique environment is protected by UNESCO as a perfect example of the Mediterranean landscape, and one of enormous cultural and natural value resulting from its geographical features and evolution over time. Its towns and villages are all different, each with its own traditions and peculiarities. Yet all feature unique architecture, including Cetara’s Saracen tower; the Romanesque cathedral in Amalfi and its Chiostro del Paradiso – a cloister with strong oriental influences; the church of San Salvatore de’ Bireto in Atrani, where the investiture ceremony for Amalfi’s dogi took place; and Ravello with its beautiful cathedral and magnificent Villa Rufolo.

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Monolitica armonia.

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Siamo nella terra del marmo bianco di Carrara, il marmo per antonomasia. Questa roccia è stata, fin dalla sua scoperta, la più apprezzata da artisti ed architetti che l’hanno utilizzata per la realizzazione di alcune delle opere e dei monumenti più famosi al mondo. Le cave di Carrara si trovano all’interno di un contesto geologico-minerario molto ampio, quello delle Alpi Apuane, di cui occupano però solamente il 2% dell’intera superficie. Questo territorio è caratterizzato dalla presenza di immensi giacimenti di marmo pregiato, originatosi nel Giurassico Inferiore, quando ancora buona parte della regione era ricoperta da un vasto mare dal fondo calcareo, dal quale ha poi avuto origine una piattaforma carbonatica. La scoperta dei giacimenti marmorei di Carrara risale al 155 a.C. circa. Nei secoli questo nuovo materiale ha catturato l’attenzione di importanti

artisti e mecenati, tra questi: Nicola Pisano si recò a Carrara nel 1256 per selezionare i marmi per la realizzazione del pulpito del Duomo di Siena; più tardi, nel 1497, il giovane Michelangelo Buonarroti visitò le cave per trovare il marmo più adatto alla realizzazione della Pietà. Proprio il Quattrocento è stato il secolo che ha segnato il grande successo del marmo di Carrara. In questo periodo, infatti, tantissimi artisti come Donatello, Bernini e Canova scelsero il marmo di Carrara per realizzare le loro grandi opere. Intorno alle cave di Carrara ruota tutta la storia di questo territorio, che ha fatto dell’estrazione del marmo il suo principale punto di forza. Grazie al lavoro di numerose generazioni di cavatori, oggi i marmi toscani sono conosciuti, ricercati e presenti in tutto il mondo e sono il simbolo di un intero comparto produttivo del nostro paese.

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We travel now to the land whose white marble is known all over the world: Carrara. Since its discovery, artists and architects have prized this stone above all others and have used it to create some of the world’s most famous works and monuments. Carrara’s marble caves are located in the extensive geological and mineral complex of the Apuan Alps, occupying however just 2% of the overall surface area. One of the features of this area is the presence of huge deposits of high-quality marble. They were formed in the early Jurassic period when a large part of the region was still covered by a vast sea with a limestone floor, giving rise to a carbonate platform. The discovery of marble deposits in Carrara was made in around 155 BC. Over the centuries the new material captured the attention of famous artists and patrons of the arts, such as: Nicola Pisano, who went to Carrara in 1256 to

select marble for the creation of the pulpit in the Cathedral of Siena; and, later, in 1497, the young Michelangelo Buonarroti, who visited the caves to look for the most suitable marble to use for his PietĂ . But it was the 15th century that sealed the great fame of Carrara marble. It was during this period that many artists, such as Donatello, Bernini and Canova flocked to Carrara, choosing its marble to create their great works of art. The whole history of this region, which has built its fortunes on marble quarrying, swirls around the caves of Carrara. Thanks to the work of many generations of quarrymen, Tuscan marble is now recognised and prized all over the world, a symbol of an entire Italian manufacturing sector.

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Specchiarsi tra nuvole e bellezza.

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Suggestioni per guardare al Lago di Como, con le sue ville e i suoi giardini, con occhi nuovi. Per conoscerne gli incomparabili tesori d’arte e di natura che qui convivono fin dall’antichità in perfetta armonia. Per coglierne le suggestioni letterarie, musicali, poetiche e cinematografiche che hanno contribuito a rendere questi luoghi unici al mondo. “Che notizie ci sono di Como, mia e tua delizia, e della bellissima villa suburbana? Di quel portico dove è sempre primavera?”, queste le parole, ricche di affettuosa ammirazione, con cui Plinio il Giovane, nipote del grande naturalista, in una lettera all’amico Canino Rufo celebrava per primo nella storia, le bellezze e i pregi della vita sul lago di Como e tratteggiava quell’atmosfera propria della civiltà della villa del Lario, destinata a conoscere grande fortuna nei secoli, presso intere generazioni di residenti e viaggiatori. Da quanto riportato nel prosieguo di quella lettera, databile tra il 96 e 100 d.C., e

in altre testimonianze coeve, è possibile avere anche un’idea piuttosto precisa della struttura della villa romana e del rapporto che questo genere di edifici manteneva con il paesaggio circostante: accanto a saloni conviviali, salotti per studi e conversazioni, camere per il riposo, si sviluppavano infatti ininterrotte serie di portici aperti al sole, al panorama delle acque, al verde dei giardini. Luogo sereno di ozio intellettuale, spazio di riferimento per attività fisiche e venatorie, buone letture e conversazione: è nell’età imperiale che nasce il mito del Lario basato sull’esaltazione della vita di villa all’interno di un particolare contesto ambientale frutto del miracoloso contrasto tra il clima mediterraneo del lago e il rigido inverno alpino delle montagne circostanti, tra la magnificenza della natura e quella delle opere dell’uomo.

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Some suggestions for seeing Lake Como, with its villas and gardens, in a new light, to discover the incomparable artistic and natural treasures that have existed since antiquity in perfect harmony, and to capture the literary, musical, poetic and cinematic influences that have helped make these places unique. “What news from Como, mine and your delight? And of your beautiful suburban villa? And the eternal springtime of your porch?”. With these deeply affectionate and admiring words penned in a letter to his friend Canino Rufo, Pliny the Younger, the nephew of the great naturalist, conveyed for the first time the beauty and benefits of life on Lake Como and described the atmosphere that belonged to the tradition of the typical Lake Como villa, which was to enjoy great success over the centuries with generations of residents and travellers. The remainder of the letter, which dates to between 96 and 100 AD, and

other contemporary accounts give us a fairly precise idea of the Roman villa’s structure, and the relationship that this type of building had with the surrounding landscape. Next to the meeting rooms, study and conversation spaces, and rooms for sleeping, were a whole series of continuous porticoes open to the sun, with views of the water, and the green of the gardens. Conceived as a peaceful location for intellectual pursuits, a space for physical activity and hunting, good reading and conversation, it was during the Roman era that the legend of the Lake Como villa was born. This legend was based on a celebration of villa life within a particular environment – one that was a miraculous contrast between the Mediterranean climate of the lake and the harsh alpine winter of the surrounding mountains, and between the splendour of nature and the work of man.

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Production design: Living Brands | www.livingbrands.it Editing and copywriting: Francesco Antinolfi Art Direction: Alessandro Doria Shooting Production: Living Brands Photography: Stefano Pasini The use of all images and texts within this publication is subject to prior approval by Cesare Attolini S.p.A. Printed in January 2021. Garment colours may be subject to slight changes during photo shoots.

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