Amo solo te e i dinosauri

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Amo solo te e i dinosauri

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sociale Centro Servizi per il Volontariato Perugia Terni

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Quaderni del volontariato 10

Edizione 2017


Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 fax 075 5287998 www.pgcesvol.net pubblicazioni@pgcesvol.net

Edizione Novembre 2017 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Stampa Digital Editor - Umbertide

tutti i diritti sono riservati ogni produzione, anche parziale, è vietata ISBN 9788896649657


Il coraggio della testimonianza Non soffermatevi adesso su questa breve introduzione. Tornateci dopo. Quando avrete colto senza mediazioni di sorta, il significato o i significati dei quali chi ha scritto il libro ha voluto renderci partecipi. In qualche caso anche senza troppa consapevolezza, il che, se possibile, rende questa trasmissione di saperi e conoscenze ancora più preziosa, in quanto naturale ed “istintiva”. Ma di cosa stiamo parlando? Di una scelta coraggiosa. Gli autori di questi testi, di questi racconti, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza. Ma in quale tipo di società? Una società per la quale forse queste esperienze rimangono tutt’altro che virali (usando un termine contemporaneo) e spesso rischiano di rimanere nell’ombra. Una società che ha fra i propri tratti dominanti dei suoi componenti una innegabile riduzione del senso di appartenenza alla comunità, ad un gruppo allargato che sia in grado di condividere non solo ideali e visioni, ma anche obiettivi e cose da fare insieme per il bene comune. Certamente il quadro è stato complicato ed accelerato dalla individualizzazione della comunicazione nella scatola dei social, che hanno creato di fatto una nuova forma di relazione, che per qualcuno integra la relazione pre-digitale, per altri l’ha completamente sostituita. Ebbene, quale sarebbe questa scelta coraggiosa? Questi autori non si sono limitati ad un inutile e sterile lamento che parlasse dei bei tempi che furono, di quando c’era la piazza, di quando il Welfare era in un certo senso il vicinato, la famiglia allargata, la comunità solidale per natura. Di fronte al nuovo adagio che “non c’è più nessuno o nessun organismo sociale e relazionale che sia in grado di restituire alla nostra


società la flebile speranza di quello che potremmo definire un umanesimo post-moderno” che “stiamo coltivando la cultura del nemico”, chi ha scritto questo libro ha capito che l’organismo sociale e relazionale in grado di ricomporre e tenere unito il tessuto connettivo più profondo delle nostre comunità può essere ancora il fare associazionismo. Mettersi in relazione con altre persone per condividere una certa visione della realtà, dare senso al proprio tempo valorizzando quello che ognuno sa fare per metterlo in circolo nella propria comunità, occuparsi del prossimo o, più laicamente, dedicarsi alla relazione d’aiuto. Sono tutte azioni possibili, visto che una certa fetta della popolazione, in Italia ed in Umbria, sembra dedicarsi con una certa continuità ad un qualche tipo di impegno “solidale” e di cittadinanza attiva. E lo fa traendo linfa vitale dalla “dotazione di base di ogni persona”, da quel patrimonio di umanità e di empatia che, ognuno porta con sé dalla nascita. Quella sorta di componente genetica di solidarismo, che non tutti hanno la fortuna di concretizzare per vicende personali o per altre esperienze del proprio vissuto che, ad un certo punto della vita, ci rendono forse troppo attenti a noi stessi, al nostro individualismo.. e ci fanno perdere di vista l’altro, l’affresco complessivo delle relazioni, il cosiddetto bene comune. E allora? Cogliamo il valore di queste esperienze dal racconto diretto di chi le pratica nel suo quotidiano. E’ uno dei modi possibili per apprezzare il significato sotteso di queste testimonianze e per prendere consapevolezza che oggi, più di sempre, dedicarsi al volontariato, all’associazionismo e, più in generale all’impegno di cittadinanza attiva resta una scelta, adesso sì, coraggiosa. Salvatore Fabrizio Cesvol Perugia I Quaderni del Volontariato


AMO SOLO TE E I DINOSAURI

di

Chiara Bacci


Amo solo te e i dinosauri

Francesco ha otto anni, ama tutti gli animali, in particolare i dinosauri di cui conosce ogni caratteristica. Lo incuriosisce la religione e s’interessa di geografia, astronomia e mitologia greca. Il suo passatempo preferito è guardare video su YouTube e organizzare laboratori creativi; il disegno è la sua passione. Mangia tutto ma i cibi nel piatto non si devono toccare tra loro; va matto per le patatine fritte, la pizza al rosmarino e i wurstel. Ha paura del buio ma basta un adulto in camera perché si addormenti. Dorme volentieri a casa dei nonni, degli zii e anche di qualche amichetto. Non ha gusti particolari nel vestire, indossa volentieri ogni indumento. È sensibile alle temperature: il caldo eccessivo lo innervosisce. Non tollera gli ambienti rumorosi, ha paura degli applausi e delle urla. Gli piace il cinema, giocare all’aperto con gli amici e andare a cavallo, ha imparato a nuotare da solo perché non si fidava degli adulti. Discute con sua sorella dentro casa, ma fuori la difende e ne diventa geloso.

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Caterina ha quattro anni, le piace giocare alla “famiglia” e con le bambole ma sempre in compagnia di qualcuno. I vestiti se li sceglie da sola, le etichette le danno fastidio e anche i pantaloni troppo stretti. Le magliette devono essere scollate e non gradisce né cappello né sciarpe; quando si esce la domenica, indossa rigorosamente il vestito o la gonna abbinati a un cerchietto per capelli e scarpe in tinta. Non esce di casa senza rossetto e profumo; ha paura del buio e di restare da sola in una stanza. Rispetto al fratello le piace la cucina più elaborata; non mangia la pasta rossa ma i broccoli sì; vuole la frittata solo con le zucchine; beve solo acqua frizzante; le posate sul tavolo devono essere sempre le stesse: cucchiaio piccolo e forchetta, il coltello non ci deve essere. Il bicchiere deve essere rosa. I cibi non si devono toccare nel piatto e ogni pietanza deve essere servita in un piatto diverso. Bravissima nella danza, le piace molto la musica. Discute spesso con suo fratello dentro casa ma fuori lo difende e ne diventa gelosa. Uno di loro due ha la sindrome di Asperger.

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Capitolo 1 Ci sono piccoli occhi che ogni giorno osserveranno quello che tu farai… giovani orecchie che ogni giorno ascolteranno quello che tu dirai… mani esperte che vorranno imitare ciò che tu mostrerai… C’è un bambino che ogni giorno sogna di diventare come te. Tu sei l’esempio per un piccolo uomo che vuole crescere nel modo in cui tu sei cresciuto e per questo non dubita mai di tutto quello che fai. I suoi occhi sono spalancati su di te e la sua giovane mente è convinta che tu hai sempre ragione… Sii una buona guida per chi vuole crescere e diventare “GRANDE”. Anonimo Il volo per Las Vegas si era rivelato più impegnativo del solito, tra nausea e mal di pancia non riuscivo a godermi il famoso atterraggio di notte nella celebre città. Era la nostra ultima tappa di un meraviglioso viaggio di nozze e il mio “puntino” già si faceva sentire; mi sembrava un sogno averti già dentro di me e nel momento in cui ho capito che stavi arrivando, qualcosa è cambiato per sempre. Eri lì, ancora così piccolo eppure così potente, al sicuro nella mia pancia ti proteggevo dal mondo esterno. Solo io e 9


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te, il tuo cuore dentro il mio, e questo pensiero mi rendeva immensamente felice. Sapevo già che saresti stato un maschietto e che avresti portato il nome di tuo nonno che tanto ho amato: Francesco. Ricordo la gioia dei mesi che passavano, la mia pancia che cresceva, la scelta delle tutine, la culla, il bagnetto e ricordo anche gli strilli di zia Filo quando, con un pancione di sette mesi, mi sono messa a dipingere la tua cameretta: prima di un arancio color del sole, poi di un verde acqua perché è un colore più rilassante – mi dicevo. Immaginavo con papà a chi saresti assomigliato di più, fantasticando su come sarebbero stati i tuoi occhi e le tue manine; non vedevamo l’ora di stringerti forte a noi! Eravamo pronti a rivoluzionare abitudini e vita, a cambiare pannolini, preparare biberon e restare svegli la notte, confidando ovviamente in Dio, o chi per Lui, che tu nascessi sano e forte. Non abbiamo mai dovuto riflettere su cosa fare nel caso in cui qualcosa non fosse andata per il verso giusto: ti volevamo così com’eri. Eri già nostro figlio, eri già soprattutto il mio bambino. La gravidanza procedeva bene, i soliti fastidi legati alla digestione e all’insonnia; una minaccia d’aborto a cinque mesi che il riposo aveva subito risolto, per il resto trascorrevo le giornate lavorando e sferruzzando qualche copertina aspettando il tuo arrivo. Eri grande e forte, ma non ero per niente spaventata all’idea di partorire; l’hanno fatto tutte – mi dicevo; ti sognavo a occhi aperti e non avevo tempo per prepararmi all’eventualità che potesse essere un parto difficile. 10


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Arrivò il momento di mettermi a riposo e organizzai le giornate che mancavano al tuo arrivo leggendo libri su neonati e allattamento e facendo lunghi bagni caldi ascoltando Mozart, era anche l’unico modo per farti stare fermo, tu che scalciavi tutto il giorno e anche la notte senza farmi dormire! Ma ogni tuo calcetto mi ricordava che non sarei stata mai più sola, un bimbo stava per arrivare e una nuova mamma stava nascendo! L’inverno con le sue giornate grigie lasciò finalmente il posto alla primavera e con i primi fiori arrivarono anche le contrazioni. Era una sera di aprile quando, tra l’impazienza e la paura, presi la valigia e andai in ospedale accompagnata da papà. Ero convinta che saresti nato da lì a poche ore, invece camminai su e giù per il corridoio dell’ospedale per un tempo che mi sembrò infinito: passarono ventiquattro ore durante le quali i dolori non cessavano e tu non ne volevi sapere di nascere. Arrivò il momento di andare in sala parto, c’era silenzio quella notte, era Pasqua ed eravamo solo io, te, papà e l’ostetrica; mi ritrovai sfinita dopo tante ore senza dormire mentre in sala d’attesa i nonni e gli zii ti aspettavano con trepidazione. Dopo ore e ore di spinte e infiniti: «Non mollare!», finalmente mi misero tra le braccia un fagottino urlante e non riuscendo neanche a muovermi tanta era la stanchezza, iniziai ad accarezzare ogni parte del tuo corpo come se quei movimenti fossero gli unici in grado di rassicurarmi che tutto era a posto. Con la poca forza che mi era rimasta alzai la testa per guardarti e, nel momento esatto in cui i tuoi occhioni grandi incrociarono i miei, capii di aver incontrato 11


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l’amore assoluto e infinito di tutta una vita! Mi aspettavo che avessi gli occhi chiusi, invece li avevi spalancati su di me come a dire: «Ciao mamma, sono Francesco!». Quel momento così perfetto, quando ti dimentichi il dolore e la paura ma ti rendi conto di non aver mai amato veramente prima d’allora, rimarrà per sempre impresso nel mio cuore! Eri identico a papà, gli assomigliavi così tanto che sembrava lo avessimo rimpicciolito! I giorni trascorsi in ospedale li ricordo con un po’ di malinconia: il parto era stato lungo e difficile e io non riuscii a godermi quei primi momenti della tua vita. Iniziò cosi il nostro viaggio, tra felicità e dubbi, perplessità, paure e un malessere che ostacolò per tanto tempo il nostro nuovo equilibrio. La chiamano depressione post-parto, quando hai paura di restare sola con tuo figlio, quando piangi tutto il giorno e senti che le forze ti abbandonano, quando ti viene l’ansia al pensiero di affrontare un nuovo giorno e quando le critiche per tutto quello che fai ti fanno sentire sempre più inadeguata. Poi c’erano le notti, quelle in cui le coliche non ti facevano dormire e nel silenzio della casa passeggiavo con te in braccio tra lacrime silenziose e mani sul tuo pancino. Attimi intensi e ore che non scorrono mai, paura di non farcela e domande senza risposte. Guardavo fuori dalla finestra aspettando le prime luci dell’alba e con esse un buon caffè che nascondesse i segni della notte appena trascorsa. Nessuno ti dà le istruzioni, è una cosa innata, ti dicono, si chiama istinto materno ed è così in effetti; non sai fare nulla ma ti ritrovi a saper fare tutto – o perlomeno è quello 12


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che vuoi credere. Diventare genitori non è solo questione di rinunce o di cambiamenti; quando diventi mamma cambia la percezione del mondo intorno a te. Annusare il tuo profumo e addormentarmi con la tua manina nella mia mi riempivano la vita più di qualunque cosa. Capii che fare un figlio con un’altra persona è un legame indissolubile e una scelta di condivisione e di responsabilità per tutta la vita. Dovevo imparare a conoscere la mia nuova “me”: il ritmo del mio cuore era cambiato adesso che tu eri al mondo, dipendevi da me in tutto e io volevo crescerti nel migliore dei modi. Sentivo spesso il bisogno di essere rassicurata e consigliata, ero una figlia che era diventata mamma, e senza modelli o esempi da seguire questo compito mi risultava ancora più difficile. Potevo solo imparare dagli errori di una donna alla quale non avrei mai voluto assomigliare. Dai ricordi della mia infanzia, da subito un po’ complicata, emergeva spesso e prepotentemente l’immagine di tua nonna, che aveva preferito altri interessi a quelli di crescere e accudire me. Nel suo mondo ristretto non c’era posto per i giochi o per le favole, nemmeno per le coccole e i baci; i vari problemi di salute e la dipendenza dall’alcool le avevano attribuito un egoismo così grande da perdere l’interesse e il sentimento per gli affetti più cari. A modo suo mi amava, anche se lo capii tardi, e lo dimostrava nella maniera più sbagliata, ma l’unica che conosceva. Nonno Francesco invece, così buono e intelligente, riusciva con quel poco che aveva a rendere speciale ogni cosa. 13


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A Natale i mandarini e le pinoccate che trovavo sotto l’albero mi sembravano più preziosi di qualsiasi giocattolo, un vestito nuovo non mancava mai e in un’occasione anche la bambola che tanto mi piaceva e che il nonno aveva comprato con tanti sacrifici. Con lui vicino dimenticavo la tristezza di certe giornate, ero felice in sua compagnia, mi divertivo ad accompagnarlo al bar ed era una festa quando il giorno del mio compleanno mi svegliava con l’ovetto di cioccolato rinunciando alla sua amata caccia per stare con me, organizzando in diverse occasioni anche una merenda con le mie amiche. Mi insegnò l’onestà e il rispetto, il sacrificio e la dedizione al lavoro, ad apprezzare le piccole cose importanti della vita e a pensare sempre in autonomia senza preoccuparmi del giudizio altrui. Gli stessi valori che volevo insegnare a te. La malattia se lo portò via che ero solo una ragazzina e mi ritrovai a crescere con un buco enorme nel cuore, che nessuno sarebbe stato in grado di riempire per tanti anni a venire. Per questi motivi volevo essere la mamma migliore del mondo per te, donarti tutto quello che a me era mancato; dovevo riprendermi la mia rivincita sulla vita, come figlia, come donna e ora come mamma. Tu eri il mio più grande sogno realizzato.

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Capitolo 2 La cosa più importante che i genitori possono insegnare ai loro figli è come andare avanti senza di loro. Frank A. Clark Imparai fin da subito a fare tantissime cose in pochissimo tempo, a rinunciare a tutto quello che mi toglieva dei momenti da passare con te, a gestire i problemi legati all’allattamento, al pianto e al sonno. Riscoprirmi bambina e imparare canzoncine, filastrocche e ninne nanne; a fare i conti con le classiche malattie dell’infanzia e risolvere i dilemmi legati alle varie fasi di crescita; a sbrigare le faccende domestiche mentre la casa si riempiva mese dopo mese di giocattoli, peluche, trenini e libri. Arrivò il momento di tornare al lavoro, tu crescevi come un fiore e piano piano quelle che erano giornate frenetiche senza il tempo di fare nulla a parte accudire te, si trasformarono in una nuova routine: al mattino ti lasciavo con nonna Paola per poi rivederti nel tardo pomeriggio tra corse affannate per fare la spesa, preparare la cena e occuparmi di te. Avevo paura che la mia assenza ti facesse dimenticare chi fossi, come se quelle poche ore che mi restavano per stare con te non fossero sufficienti a reclamare il mio ruolo di mamma. Passavano i mesi e ti sentivo sempre più lontano; nella tua precocità bruciavi così tante tappe che quando arrivavo a insegnarti qualcosa mi accorgevo che già la sapevi fare! A quattro mesi hai mangiato la prima pappa: la mela ti 15


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piaceva, la pera proprio no! Facevi delle facce buffissime! Nonna Paola si dedicò con passione e devozione al tuo svezzamento: tutto era sano, fatto in casa e cucinato fresco per te. Mangiavi tutto con appetito e continuavi a crescere bene. Sorridevi sempre quando incontravi altri bambini e ridevi come un matto a chi ti faceva il verso degli animali. La sera ti mettevamo nel tuo lettino con il cd delle ninne nanne e tu, abbracciato al tuo coniglietto DouDou, ti addormentavi sereno nella tua cameretta e dormivi tutta la notte. Te lo aveva regalato zia Simonetta quando ancora scalciavi nella pancia e messo la prima volta vicino alla tua guancia non lo hai più lasciato. Era il tuo migliore amico, lo portavi ovunque, era il cerotto sulla ferita e la carezza dopo le lacrime. Era la tisana della buonanotte e lo scudo dalle cose brutte. Ancora oggi non te ne separi mai, ma adesso sei un po’ più ometto e ti vergogni a portarlo in giro, così lo tieni sotto il cuscino del tuo letto e i DouDou (che nel frattempo sono diventati tre) ti aspettano ogni sera per accompagnarti nei tuoi sogni più belli! Una sera – me lo ricordo bene – avevi nove mesi, io e papà guardavamo la TV e tu eri seduto sul tappeto ai nostri piedi, quando ti sei alzato e trotterellando sei arrivato fino alla camera! Papà si è voltato verso me e mi ha chiesto sbalordito: «Ma quello che è passato era Francy?». Da quel momento hai tirato fuori tutta la tua energia e vivacità e sei diventato un bimbo incontenibile ed esuberante! Davo la colpa alla nostra assenza, al fatto che lavorando tutto il giorno ti potevamo seguire poco, ma quando chiudevamo la porta di casa era davvero faticoso tenerti a bada. Le regole non ti piacevano, stare seduto ti annoiava e quan16


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do ti parlavamo non sembravi per niente interessato ai nostri discorsi. «Si deve sfogare» diceva papà. «Ha dormito tanto oggi pomeriggio, ora ha voglia di giocare» rispondevo io, e così la scelta dell’asilo nido, all’età di 17 mesi, è venuta naturale. Ti ho seguito nell’ambientamento mentre al mattino ti guardavo esplorare l’asilo tra giochi sonori e angoli morbidi senza alcuna esitazione. Ti mostravi tranquillo e raramente cercavi il contatto fisico o visivo con me. Solo un po’ di tempo dopo hai iniziato a sentire il distacco e ti lasciavo nelle braccia delle maestre con gli occhi pieni di lacrime; ma la tua routine si consolidò presto, accettavi di sederti per la colazione e mangiavi tutto quello che ti veniva offerto. Qualche perplessità invece per il momento del pranzo ce l’avevi ancora e solo il guardare i tuoi amici seduti ti ha convinto a imitarli; anche se la tua resistenza arrivava solo fino al primo piatto di pasta, dopodiché era difficile trattenerti a tavola! Non amavi molto essere toccato al momento della pulizia personale ma piano piano le educatrici si sono guadagnate la tua fiducia e tu, da bravo bambino che eri, ti mettevi in fila con i tuoi compagni per farti cambiare il pannolino e a fine novembre – avevi 20 mesi – eri già pronto per il vasino. Ti piaceva muoverti in libertà, senza restrizioni di tempo e di spazio; in particolare nel giardino della scuola, dove ti nascondevi dietro i cespugli. Gradivi molto l’angolo del falegname, dove trascorrevi tanto tempo a svitare, avvitare e martellare e il gioco delle costruzioni dove completavi incastri complessi per la tua età. Ma per la maggior parte del tempo i tuoi giochi erano solitari; ci sono voluti diversi mesi per avvicinarti ai tuoi com17


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pagni e per accettare la loro presenza vicino a te. Hai partecipato energicamente a tutte le attivitĂ del nido: dalle manipolazioni con le farine, al progetto di psicomotricitĂ fino a quello di musica, collezionando progressi e autonomie. A fine anno scolastico il tuo linguaggio era sempre piĂš ricco e iniziavi a formulare frasi complete, ripetevi tutto quello che sentivi ed esprimevi senza difficoltĂ i tuoi bisogni a noi adulti.

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Capitolo 3 I bambini sono fiori da non mettere nel vaso crescon meglio stando fuori con il sole in pieno naso. Con il sole sulla fronte e i capelli ventilati i bambini sono fiori da fare crescere nei prati. Roberto Piumini Grazie a un progetto del Comune, fu aperto uno spazio dove i genitori in difficoltà potevano rivolgersi a esperti per avere risposte, consigli e sciogliere i dubbi riguardo i loro figli. La psicologa coinvolta nel progetto iniziò a trascorrere delle giornate all’interno dei nidi della zona e con il suo arrivo all’istituto che tu frequentavi giunse anche la telefonata a casa con la quale ci invitò a un incontro alla presenza sua e delle maestre. Me lo ricordo come se fosse ieri, il suo tono un po’ grave ma discreto e dolce, ma soprattutto ricordo la mia confusione quando sentii queste parole: «È in grado di svolgere giochi complessi per la sua età», «Questo bimbo ha le caratteristiche del piccolo genio», oppure: «Ha una proprietà di linguaggio davvero inusuale per avere due anni», e ancora: «Frequenta un doposcuola?». A due anni? Santo cielo, certo che no! Io non capivo, non vedevo niente di strano nell’avere un bambino fuori dagli schemi, non mi sembrava preoccupante il fatto che così piccolo fossi in grado di scegliere in maniera autonoma se fare un gioco o un altro. Non credevo neanche fosse un problema se tu preferivi stare per conto tuo e solo raramente giocavi con altri bambini. 19


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Ma la psicologa tenne a precisare che bambini così dotati avevano solitamente carenze sul piano relazionale-affettivo e sarebbe stato opportuno approfondire la questione. Io e papà prendemmo tempo per riflettere su questo incontro; nel frattempo arrivò settembre che ti trovò molto cresciuto; al mattino quando ti lasciavo all’asilo, mi salutavi sorridente e correvi verso i tuoi compagni per giocare. La tua attrazione preferita era la vasca con le palline dove ti tuffavi sempre con gioia; alternavi giorni sereni ad altri più difficili, dove era necessario portare con te DouDou. Per il tuo compleanno – il 12 Aprile – ci avevi chiesto in regalo il Trenino Thomas che era diventato una costante delle tue giornate e sarebbe rimasta tale per tanti compleanni a venire. Eri molto geloso della tua collezione e non sopportavi che qualche bambino al nido toccasse i tuoi trenini e se per sbaglio succedeva finiva in pianti disperati. Le regole non le rispettavi volentieri e tolleravi poco la frustrazione di essere ripreso, spesso reagendo con il pianto; oppure ti allontanavi pur di non fare quello che ti veniva richiesto. Quanto eri preciso e paziente nel disegnare, colorare, tagliuzzare e realizzare torri altissime con le costruzioni, tanto eri disinteressato e svogliato in tutte quelle attività che ti venivano proposte ma che tu non avevi intenzione di svolgere. Scegliemmo di aspettare l’ingresso alla scuola materna pensando che forse iniziavi ad annoiarti al nido e che trovando nuovi stimoli queste difficoltà sarebbero scomparse. Ma la realtà fu molto più dura di ogni immaginazione. Non solo l’ambiente era un po’ troppo rigido per te, ma chi aveva il compito di aiutarti a crescere si trovò ad affrontare dinamiche molto spesso sconosciute e così le difficoltà 20


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aumentarono. La dolcezza mista a severità delle tue maestre ti accompagnò per tutti e tre gli anni, consolandoti al bisogno e studiando ogni giorno una nuova strategia per aiutarti a sviluppare nuove autonomie. Ogni colloquio mi vedeva tornare a casa in lacrime, niente di quello che avrei voluto sentire mi veniva detto: tutti si aspettavano da te comportamenti e reazioni che tu non potevi avere. Era arrivato il momento di chiedere aiuto.

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Capitolo 4 Non hai avuto modo di scegliere i genitori che ti sei trovato, ma hai modo di poter scegliere quale genitore potrai essere. Marian Wright Edelman Ci affidammo al centro di neuropsichiatria infantile della nostra città, e lì iniziarono le prime visite, i primi test su di te, gli incontri con la psicologa e la logopedista che da quel momento in poi ti avrebbero seguito. Ricordo i colloqui insieme a papà quando volti estranei cercavano, attraverso questionari, di individuare un’eventuale crisi coniugale o incompatibilità nella tua educazione per trovare la causa ai tuoi comportamenti non standardizzati. Rispondevamo sempre di essere una famiglia come tante altre: eravamo innamorati, si discuteva e si faceva la pace, parlavamo ore e ore dopo che tu ti eri addormentato; cercavamo un confronto l’uno con l’altro con l’intento di trovare un modo che potesse aiutarti a crescere sereno, ma spesso avevamo la spiacevole sensazione di non essere creduti. A giugno 2014 arrivò la prima diagnosi: Disturbo Emozionale. Nella relazione clinica si parlava di uno “sviluppo psicologico caratterizzato da disarmonie e modalità immature di espressione affettiva e relazionale, importanti difficoltà di regolazione emotiva, estrema vulnerabilità alla frustrazione, tendenza a perseguire i propri obiettivi con scarsa attenzione alle richieste dell’adulto, difficoltà ad adattare il proprio comportamento alle esigenze del contesto sociale”. La competenza e la ricchezza di linguaggio sono sempre state tue caratteristiche sebbene preferivi focalizzarti su ar22


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gomenti di tuo interesse quando qualcuno parlava con te. Mostravi disagio nelle situazioni di gruppo e difficoltà a mantenere un comportamento adeguato all’attività in corso. In queste situazioni diventavi iperattivo e rumoroso. La relazione si concludeva con: “... difficoltà ad adattarsi alle richieste del contesto sociale nonostante disponga di buone risorse e capacità. Tali difficoltà appaiono fortemente ancorate a una problematica di crescita nell’area affettivo-relazionale e in particolare alle difficoltà di regolazione emotiva”. Fu data parte della responsabilità alla mia depressione post-parto, ma a me sembrava semplicemente un tentativo di voler dare un nome ai tuoi problemi solo perché la vera diagnosi era ancora lontana. Non avevo scelto io di stare male, furono mesi difficili ma anche nei miei momenti peggiori avevo ben chiaro il mio ruolo e le mie responsabilità di madre e mai una volta avevo messo in discussione il tuo benessere. Papà non mi lasciò mai sola e grazie al suo amore e tanta pazienza, capii di aver bisogno di aiuto e in pochi mesi tornai a essere la mamma forte e sorridente di sempre.

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Capitolo 5 Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano. Antoine de Saint-Exupéry Fummo inseriti in un programma rivolto ai genitori che prevedeva incontri settimanali insieme ad altre coppie che avevano bambini con caratteristiche simili alle tue. Fu una bella esperienza: confrontarci con altre persone ci aiutò ad analizzare in maniera più obiettiva la nostra situazione; ci rendemmo conto di non essere soli ad affrontare queste difficoltà, anche perché alcuni genitori erano in difficoltà molto più di noi! Ricordo che il primo esercizio che ci fu consigliato fu quello di scrivere tutte le qualità e i punti di forza del proprio bambino, poiché troppo spesso ci si concentrava su quello che il proprio figlio non sapeva fare, piuttosto che sulle sue abilità. Cercavamo un sistema che ci permettesse di comunicare con te. Costruimmo un tabellone a premi che doveva servire a stimolare le tue autonomie e noi tre insieme stabilimmo dei premi che furono associati a diversi obiettivi da raggiungere: • lavarsi le mani = 1 stellina; • sedersi a tavola e mangiare = 2 stelline; • lavarsi i denti e mettere il pigiama = 3 stelline; • stare seduto in macchina con la cintura allacciata = 4 stelline. 24


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Le stelline sommate tra di loro davano diritto a questi premi: • • • •

un giro sul trattore del nonno; una passeggiata tutti insieme; uscire in paese a mangiare il gelato; dormire nel lettone con mamma e papà.

Quando tutte le autonomie sarebbero state consolidate, il premio finale era il viaggio a Parigi che desideravi tanto! Il tabellone fu un valido aiuto per assimilare tutte le azioni della vita quotidiana, e una volta archiviato come metodo di apprendimento ci ritrovammo a studiare altri metodi e sistemi di comunicazione in vista di nuovi obiettivi, spesso andando avanti con quello che l’intuito ci suggeriva. Nel frattempo le difficoltà alla scuola materna non mancavano: faticavi tanto ad accettare le regole e le limitazioni imposte; l’ora di musica era insopportabile per te, le recite fonte di ansia e nervosismo. Ricordo l’ultima, quando poche ore prima dell’inizio ancora pensavo a come calmarti; ti proposi un bagno rilassante dicendoti: «Francy, oggi è un momento di festa, canta, balla e divertiti; qualunque cosa farai mamma e papà sono fieri di te! Ma se per qualche motivo tu non dovessi avere voglia di continuare, corri in braccio da me e ce ne andremo via insieme!». Avevamo riguardato le foto delle recite precedenti, ti avevo spiegato come si sarebbe svolto il pomeriggio e pregando che tu riuscissi a stare sereno ci avviammo verso la scuola materna, dove poche ore più tardi recitasti la tua parte senza esitazione e con gli occhi che ti brillavano! La nostra gioia era tanta così come il nostro orgoglio, ma al 25


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tempo stesso io e papà capimmo che dovevamo fare di più perché tu potessi vivere le esperienze future con maggiore consapevolezza e serenità. Continuai le mie ricerche su internet, chiesi informazioni a medici, insegnanti e pediatri e mentre aspettavo nuove idee decidemmo che la prima cosa da fare, la più importante, fosse non lasciarti solo! Ed ecco che un altro minuscolo “puntino” non tardò ad arrivare! La tua felicità nell’avere una sorellina era indescrivibile e la tua dolcezza infinita. Mentre la mia pancia cresceva, tu sempre al mio fianco allargavi i tuoi orizzonti approfondendo la conoscenza di dinosauri e animali di ogni genere, di treni, ferrovie ma anche di religione. Ti piaceva molto ascoltare storie sulla Bibbia e guardare film in bianco e nero, spesso in lingua straniera, sulla vita di Gesù; ti avevamo regalato l’edizione della Bibbia per bambini e ogni sera prima di dormire leggevamo una storia. Un libro sui santi regalato da nonno Carlo occupò parte dei tuoi pomeriggi fino a quando, avendo memorizzato ogni storia, sei passato a dedicarti all’Arca di Noè! Ne avevi una di legno e ci giocavi per tante ore inventando le tue storie di fantasia. Eri talmente coinvolto da questo passatempo che quasi non riuscivi più a distinguere la finzione dalla realtà, e la sera ti scoprivo scrutare il cielo aspettando il diluvio universale! Un po’ mi inquietai, la ripetizione continua e ripetitiva di alcuni interessi e il bisogno di tradurre in immagini tutto quello che sentivi faceva parte della tua particolarità, ma 26


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dovevamo aiutarti a focalizzare la tua attenzione anche verso nuovi orizzonti. Ci aiutò il disegno, con il quale potevi esprimere liberamente la tua fantasia: trascorrevi pomeriggi interi in compagnia di nonno Carlo a ritrarre ogni tipo di animale, mammifero o rettile e quando il tempo lo permetteva nonno ti portava al campo insieme a lui insegnandoti tante cose sull’agricoltura e la gestione degli animali da allevamento. Ogni vitellino, mucca e gatto selvatico avevano un nome! A casa intanto continuavano i preparativi per l’arrivo di tua sorella: la nuova cameretta era pronta, avevamo scelto insieme i suoi primi vestiti e letto storie sui fratelli maggiori, fino a quando un giorno, tornando da scuola, hai esordito dicendo: «Si chiamerà Caterina!».

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Capitolo 6 Signore, Ti preghiamo per lei. Per la nostra bambina. È nata come una pagina tutta bianca. Nessuno vi scarabocchi sopra: non i compagni, non la scuola, non la televisione... È nata originale, unica, irripetibile. Conservi sempre la sua mente per pensare, il suo cuore per amare! È nata piena di voglia di vivere. Fa’ che non perda mai forza e che viva la vita e non la subisca! È nata aperta a Te. Nessuno le sbarri la strada, nessuno le rubi la bussola. È nata preziosa. Perché più figlia Tua che figlia nostra. Custodiscila Signore e amala come sai amare Tu, che sei nei cieli, ma in terra vivi nel cuore nuovo di ogni bimbo, che al mondo doni. Preghiera per il battesimo Caterina arrivò il 14 febbraio 2013, con semplicità e naturalezza nel giorno dedicato all’amore! Abbracciai quel fagottino aspettandomi di vedere una bimba con i capelli scuri, un’altra “capinera” – così mi chiamava tuo nonno Francesco – e invece fece capolino una testina bionda con due guancette rosa che erano una meraviglia. A casa, Francesco, ti avevamo preparato dei piccoli regali tanti quanti erano i giorni che mi sarei assentata per il ricovero, così che tu potessi renderti conto del tempo che scorreva. Non vedevo l’ora che tu arrivassi in ospedale per farti conoscere tua sorella; un’altra sorpresa ti aspettava: dentro la 28


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culla erano nascosti alcuni dei tuoi amati treni! Ricordo ancora la tua gioia: seduto sul letto ti abbiamo dato Caterina tra le braccia e tu l’hai guardata un po’ perplesso, come se avessi paura di “romperla”, poi hai detto: «Questi treni me li ha regalati mia sorella? Che carina… ma viene a vivere con noi?». Da quel giorno diventò tutto ancora più meraviglioso. E più complicato. Caterina era una bambina bravissima e tu la amavi tanto, senza gelosie e senza mai reclamare lo spazio che adesso era condiviso; accettavi volentieri che io mi occupassi di lei e spesso mi aiutavi con biberon e pannolini. Mentre papà lavorava noi tre ce la cavavamo piuttosto bene insieme, le giornate trascorrevano spensierate anche se faticose, tra faccende domestiche, cartoni animati e giochi sul tappeto. Tu da bravo ometto non hai mai dimostrato fastidio per le attenzioni che dedicavo a tua sorella, le accendevi il carillon se lei piangeva oppure la cullavi nel passeggino. Caterina diventò con il tempo lo specchio di un mondo parallelo che noi adulti non riuscivamo a spiegarti e che tu faticavi ad accettare. Ti osservava con occhi adoranti ed era contentissima quando decidevi di giocare con lei. Un giorno eravate nel lettone a giocare e tu le presentavi i tuoi dinosauri, quando a un certo punto le dicesti: «Caty, io amo solo te e i dinosauri!». Mi bloccai sulla porta stupita da questa frase e ti chiesi: «Francy… e mamma e papà?». «A voi vi voglio molto bene, ma lei la amo.» E l’amavi davvero, perché con il tempo hai accettato di ascoltare la musica e lasciato che lei cantasse a squarciagola per tutta la casa nonostante la tua estrema sensibilità agli 29


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stimoli sonori. Hai imparato a condividere la camera e lo spazio in casa, piano piano hai preso consapevolezza di avere accanto a te quella metà di te stesso a cui poter chiedere aiuto e complicità in qualunque momento. Per il suo primo Natale hai chiesto come regalo un letto matrimoniale dove poter dormire insieme a lei. Papà, da sempre bravo nei lavori manuali, con legno e chiodi alla mano, costruì un meraviglioso letto stile montessoriano, sulla cui testata spiccavano incisi i vostri nomi. La sera, dopo aver letto una delle nostre storie, vi lasciavamo un momento solo per voi e quando ti sentii dire: «Caty, vuoi stare sempre vicino a me? Ti voglio tanto bene», «Anche io, Tato», capii che quella biondina tutto pepe aveva in sé la chiave della tua felicità. Cercava sempre di dormire vicino a te, ma non ti piaceva molto il contatto fisico così lei se ne stava dalla sua parte finché non ti addormentavi, poi ti rotolava al fianco e spesso al mattino vi ritrovavamo a dormire mano nella mano. Di Caterina sei stato sempre geloso, non permettevi a nessuno di farla piangere e ancora oggi rimproveri noi se la sgridiamo per qualcosa. Ricordo ancora quando al parco un bambino le tolse il bambolotto dalle mani e tu gridasti: «Non toccare mia sorella!». Essere il fratello maggiore però era a volte molto faticoso: Caterina voleva stare sempre insieme a te e imitarti in ogni cosa, così a volte perdevi la pazienza e ti arrabbiavi ma la perdonavi sempre per timore di qualche punizione da parte nostra. Una mattina, mentre io le pettinavo i capelli, tu le dicesti: 30


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«Caty, come sei bella! Hai i capelli gialli come un angelo!». E lei orgogliosa sorrideva felice. La sua indipendenza e il suo carattere così solare mi aiutarono a “prendere le misure” con i tuoi bisogni, e a capire ancora di più in che modo aiutarti. Avevamo cambiato le nostre abitudini in maniera radicale, le punizioni erano bandite perché tu dicevi sempre: «Mamma e papà, se mi dite le cose da arrabbiati io non capisco e divento triste. Se mi mettete in punizione mi arrabbio e non ottenete nulla». Con te era sempre una trattativa alla pari, esponevi le tue ragioni e la maggior parte delle volte erano incontestabili. Cambiavano le tue esigenze, si modificavano i tuoi comportamenti e noi faticavamo a volte a seguirti. A rumori improvvisi sobbalzavi e ti mettevi le mani sulle orecchie come a proteggerti, la confusione ti mandava in tilt. Tutto quello che non era programmato ti innervosiva e diventavi iperattivo. Scoppiavi a ridere nei momenti meno opportuni e senza una ragione apparente; non sentivi il freddo e la tua tolleranza al dolore era altissima. Ogni cosa, persona o situazione fuori dal tuo modo di pensare dava vita a vere e proprie crisi di rabbia che duravano anche ore. La sera ti mettevo a letto e tu parlottavi da solo; se venivi chiamato non rispondevi e spesso in tante situazioni vedevo nei tuoi occhi lo smarrimento di chi viene da un pianeta lontano. Un giorno dissi a papà: «Sembra che Francy non sia felice, non sorride mai». E quando la mia parte razionale comprese il significato di quello che avevo detto, il mio cuore tremò.

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Capitolo 7 Una diagnosi di autismo non è la fine del mondo... È l’inizio di un nuovo mondo. Don Marco Pagniello Al centro di neuropsichiatria infantile, con l’aiuto degli specialisti, avevamo eseguito altri test e, nell’attesa dei risultati, dentro di me si faceva strada una consapevolezza che mi spaventava da morire; quando iniziai a mettere insieme tutte le tessere di un puzzle confuso e complicato non avevo quasi più dubbi. I tuoi interessi non erano molto ristretti ma comunque se ti piaceva un gioco tu lo approfondivi fino a quando esaurivi tutta la voglia di sapere su quell’argomento specifico, e queste tue passioni duravano mesi, nel caso dei trenini addirittura anni! Approfondii le mie ricerche nel campo dell’omeopatia, nella quale ho sempre creduto molto, confidando in qualche rimedio naturale che potesse alleviare la tua iperattività e ti aiutasse a dormire meglio. Mi misi in contatto con l’Istituto di Medicina Naturale di Urbino e proposi a papà di portarti lì per una visita; ovviamente mi disse di sì e partimmo un lunedì mattina. La dottoressa che ti visitò concordò con la cura omeopatica che già seguivamo a casa e approvò la mia scelta di optare per un prodotto naturale che un’amica mi aveva tanto consigliato: un alga che cresce nel mare dell’Oregon e vanta oltre cento nutrienti tra vitamine, sali minerali e omega-3: i risultati furono sorprendenti! Era migliorata l’attenzione, 32


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ti addormentavi con più facilità, il tuo umore era molto più stabile e le crisi di nervi erano quasi scomparse! A volte neanche ti riconoscevamo in quel bambino così rilassato e tranquillo! Ovviamente per proseguire sulla strada giusta era necessaria una diagnosi e così, per non lasciare niente di intentato, ti portammo in una clinica specializzata in Toscana dove gentilezza e disponibilità si univano a competenza e professionalità. La sala d’attesa era attrezzata con puzzle e giochi di ogni tipo, mentre logopedisti, psicologi, infermieri e maestre d’asilo si alternavano tra prelievi di sangue e test pedagogici. Il primario – una persona stupenda – si occupò personalmente della parte sanitaria indagando su eventuali intolleranze alimentari, eseguendo un elettroencefalogramma per scongiurare il pericolo di attacchi epilettici e fu la prima persona che attribuì alla tua iperattività un disturbo fisico e non solo psicologico: il reflusso. Questo spiegava anche la salivazione eccessiva. Iniziammo la cura e i risultati non tardarono ad arrivare: eri più sereno, il cuscino al mattino era asciutto, mangiavi senza difficoltà e i rumori di gola erano spariti. La diagnosi dal centro di neuropsichiatria infantile di Perugia arrivò insieme a quella di Siena – in perfetta sintonia, erano i primi di aprile del 2015 – e noi eravamo in Toscana per il secondo day hospital: il primario si avvicinò a noi e nel modo più delicato possibile mi disse: «Signora, si tratta di autismo ad alto funzionamento, detto anche sindrome di Asperger». Quella parola, lì in mezzo a noi, stava per distruggere il nostro sogno e le nostre vite. Mi sembrò che 33


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il mondo intorno si stesse sgretolando, le lacrime scendevano senza che io potessi fermarle, mentre il medico guardandomi dritto negli occhi mi ripeteva: «… ad alto funzionamento! È una bellissima notizia, potrà avere una vita come tutti i ragazzi della sua età e potrà diventare chiunque da grande». Ma il mio cuore era a pezzi, papà mi abbracciava mentre intorno a me diventava tutto buio. Non sopportavo l’idea che tu dovessi affrontare queste difficoltà in un mondo in cui noi non saremmo stati presenti per sempre. Il pensiero di quante lacrime avresti dovuto versare per conquistarti quella libertà che la maggior parte dei tuoi coetanei raggiungeva senza sforzo mi straziava. Eri il mio bambino, io ti avevo dato la vita, e quella stessa vita adesso faceva la stronza con te.

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Capitolo 8 Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido. Albert Einstein La relazione clinica parlava di: “… ristrettezze di interessi, ipersensibilità agli stimoli sonori, difficoltà a mantenere la posizione seduta, lievi anomalie nel tono del linguaggio che appare piuttosto piatto e cantilenante, scarso contatto oculare e manierismo delle mani. In conclusione il bambino rientra in un quadro di Disturbo dello Spettro Autistico. Si consiglia un percorso riabilitativo che aiuti a incrementare e stimolare la cognizione sociale”. Eri il primo figlio e il primo nipote di una famiglia che vedeva in te tutte le cose più belle che la vita può darti. Per papà fu un duro colpo, vedevo nei suoi occhi lo smarrimento e la paura per un futuro che risultava incerto e complicato. Ebbe bisogno di molto più tempo di me per metabolizzare la notizia, e nonostante il grande amore che ci ha sempre unito, abbiamo affrontato questo viaggio percorrendo strade diverse. La mia esperienza nel volontariato e il percorso da operatore socio-sanitario mi aiutarono a gestire in maniera più pratica la situazione e a vedere in poco tempo le infinite possibilità che ci si aprivano davanti. La sua conoscenza si fermava ai banchi di scuola e di conseguenza era più preoccupato e ansioso di me. Andai avanti in questa avventura così inaspettata e difficile con lui sempre al mio fianco, spesso chiuso nel silenzio che da sempre fa parte di lui, ma continuando a tenermi 35


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per mano. Io l’aspettai, a volte criticando il suo comportamento, ma vedevo il suo amore per te crescere giorno dopo giorno e questo lo aiutò a superare le sue paure, permettendogli di elaborare e organizzare insieme a me nuovi metodi e strategie per aiutarti a raggiungere le tue autonomie. Mi appoggiò sempre, incondizionatamente, senza mai mettere in discussione nessuna mia scelta. Eravamo entrambi frastornati, tristi e scoraggiati; sentivamo il bisogno di essere consolati e ci ritrovammo invece a dover combattere contro pregiudizi e contro chi non sapeva niente ma contestava le nostre scelte. Per noi era dura da accettare ma per chi ti stava accanto sembrava impossibile. L’autismo in sé non è una cosa brutta; non avere persone che capiscono tuo figlio e non ricevere l’aiuto necessario a renderlo felice è una cosa brutta. È triste dover combattere con l’ignoranza di chi non conosce e pensa di saperne più di te e provavo pietà per chi mi diceva: «A me sembra un bambino normale». Come se la normalità esistesse davvero… Classificarti col termine “autistico” significava dare a quel disturbo un potere che non meritava e un ruolo che non gli apparteneva. Stavamo combattendo una battaglia più grande di noi; decisi di lasciare il lavoro e investire tutto il mio tempo nella crescita tua e di tua sorella. Confusa e preoccupata, non trovavo in nessuno consolazione e sostegno, ma l’affetto e la stima di tante persone ci aiutarono a ritrovare la forza e l’ottimismo per affrontare quei momenti così difficili. Qualunque cosa leggessi sembrava che nessuno, scienzia36


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to, medico o psicologo, credeva alla possibilità di guarire dall’autismo Io con papà avrei dimostrato il contrario, ero la tua mamma e non potevo fallire. Presi consapevolezza che la tua vita non era in pericolo, e partendo da questa certezza così importante ritrovai la grinta e la voglia di lottare. Dovevamo lavorare per trasformare questa tua particolarità in un punto di forza! Adattarti a tutti i costi a un sistema standardizzato significava condannarti all’infelicità e all’insoddisfazione, mentre quello che volevamo era farti conquistare il tuo posto nel mondo. Non avrei cancellato l’autismo ma potevo renderti un bambino felice! Ripartimmo da zero con le routine e le abitudini: al mattino ti seguivo ripetendoti le azioni che dovevi memorizzare, come lavarti e vestirti, fare colazione e prepararti per andare a scuola. Il pomeriggio era equamente suddiviso tra gioco libero, merenda, compiti e ancora gioco ma strutturato, come letture mirate alla conoscenza della signora Pazienza o del signor Rabbia, e qualunque altro argomento utile a comprendere e gestire le regole sociali. I giochi da tavolo ci servivano per allenarti all’attesa e al gioco di squadra, acqua e farina stimolavano la tua manualità e quando il tempo lo permetteva l’esercizio si estendeva al fare la spesa e rispettare la fila, andare al parco e imparare a giocare con bambini che non conoscevi o a qualche festa di compleanno con Caterina al nostro fianco che partecipava sempre felice e gioiosa. Furono mesi molto impegnativi che misero a dura prova 37


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tutta la famiglia, il dialogo risultava difficile e spesso il nervosismo e la stanchezza vincevano su di noi. Nel frattempo avevamo traslocato in una casa più grande e più comoda e nonna Pina era venuta a vivere con noi. La salute non le permetteva di abitare più da sola e papà si dimostrò ancora una volta un uomo di cui essere orgogliosi prendendo lui stesso questa decisione così importante. Io all’inizio non ero d’accordo, sapevo di dover combattere ogni giorno con questo drago che ti portava lontano da noi, non ero sicura di riuscire anche ad affrontare e accettare sotto lo stesso tetto la persona che era stata per quasi tutta la mia vita la causa dei miei dispiaceri. Il mio coraggio però fu premiato e diventò addirittura bello vivere tutti insieme. Io mi sforzai di ritrovare in quella donna ormai anziana e malata la mamma che non c’era mai stata e dando a lei un’altra possibilità la diedi anche a me stessa. Riscoprii il piacere della sua compagnia mentre guardavamo un film oppure cucinavamo un dolce. Nonna Pina vi amava molto, e nonostante il suo carattere tanto difficile si occupò della casa e anche di voi quando era necessario. Non avevamo vinto la guerra ma una battaglia contro l’alcool sì e lei dimostrò di aver riconquistato diverse autonomie. Con nonna Pina Caterina instaurò un legame speciale, spesso tornando dal lavoro le trovavo sedute sul divano con tua sorella che le aveva messo in testa ogni tipo di bigodino o fiocco per capelli! Si divertivano insieme, tra cartoni animati e giochi con le bambole. Caterina aveva la sua compagna di giochi e ne era felice. Con te aveva un po’ più difficoltà, soffriva nel vederti durante i tuoi momenti “no”, ti guardava in silenzio e ogni volta gli occhi le si inu38


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midivano di lacrime. Si sentiva impotente, un po’ come tutti noi. Io e papà a volte avevamo l’impressione di tornare sempre al punto di partenza, non capivamo il punto di vista dell’altro e l’amore non bastava a risolvere le incomprensioni, dovevamo a tutti i costi trovare un punto d’incontro e ricostruire un equilibrio che si era spezzato. Nel frattempo ero diventata molto gelosa di te: non mi fidavo di nessuno, non sopportavo vederti piangere e cercavo in ogni modo di non scatenare la tua rabbia. Leggevo tantissimo, in particolare libri che parlavano di autismo e di questa sindrome chiamata Asperger. Storie vere, libri universitari, volumi consigliati per la scuola; seguivo congressi su YouTube, forum on-line e dibattiti tra medici e psicologici; volevo essere più informata possibile per non trovarmi impreparata. Mentre le mie serate scorrevano al computer o leggendo qualche libro, papà disegnava dinosauri e mostri marini che tanto ti piacevano, con a fianco Caterina che, nel frattempo, come capendo questo tuo bisogno speciale, cresceva ubbidiente e collaborativa ma al tempo stesso con un carattere molto forte e impegnativo da gestire. In lei vedevo il posto in cui rifugiarmi nei momenti più duri, così intelligente e autonoma cresceva a vista d’occhio e imparava in modo naturale tutto quello che noi a fatica cercavamo invece di insegnarti. I mesi trascorrevano tra alti e bassi, tu facevi progressi e a volte anche diversi passi indietro. Ogni conquista era il risultato di mesi e mesi di lavoro; ci mettevi tanto ad assimilare una regola e un attimo a dimenticarla. Non potevamo rilassarci mai, né potevamo interrompere la nostra routine: 39


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eri ancora troppo intollerante ai cambiamenti. Io e papà studiammo un modo per organizzare le tue attività giornaliere affinché fossero il più prevedibili possibile; non amavi le improvvisazioni e, per quanto era difficile riuscire ad anticipare ogni tua giornata, cercavamo di illustrarti ogni sera quello che sarebbe successo il mattino seguente. Tra le varie letture avevo approfondito lo studio su l’efficacia del metodo ABA, un sistema educativo applicabile a bambini affetti da diverse problematiche quali autismo, sindrome di down, iperattività; un metodo che aveva lo scopo di ridurre comportamenti disfunzionali e di migliorare e aumentare la comunicazione, l’apprendimento e i comportamenti socialmente appropriati. Quello che risultò necessario al tuo allenamento fu fornirti sempre un aiuto o un indizio per ottenere un determinato comportamento, per poi ridurlo o eliminarlo una volta raggiunto l’obiettivo; dovevamo rinforzare con stimoli positivi le autonomie acquisite e utilizzare sequenze comportamentali per favorire l’apprendimento. Organizzai, per ogni autonomia da raggiungere, una sequenza di immagini: in bagno la raffigurazione di un bambino ti mostrava come ci si lavano i denti e come ci si occupa dell’igiene personale. In camera, l’immagine di due bambini ti mostrava tutti i passaggi da eseguire per fare la nanna: dal riordinare la cameretta al momento di togliere gli abiti fino a mettere il pigiama. A tavola, vicino al tuo piatto, altre sequenze di immagini proponevano le azioni da eseguire duranti i pasti. Sul frigorifero delle faccine colorate insegnavano a riconoscere le emozioni: quelle strane creature che tutt’oggi ti mandano in confusione e con le quali ogni giorno com40


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battiamo cercando di insegnarti come gestirle. Le strategie visive diventarono delle alleate preziose per te che pensavi con le immagini e non con le parole, poi crescendo hai imparato a conoscerti e chiedere aiuto quando ti trovavi in difficoltĂ .

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Capitolo 9 You can be anything you want to be. Freddy Mercury Il tuo allenamento si estese a ogni azione della vita quotidiana: per aumentare la tolleranza al rumore e al fastidio dei luoghi pubblici come il centro commerciale, iniziammo ad andarci a intervalli regolari tutte le settimane. Le prime volte eri disorientato e confuso e spesso dopo pochi minuti dovevamo scappare via; però mano a mano che le uscite si intensificavano il tempo di permanenza aumentava e tu familiarizzavi sempre più con gli stimoli che ti circondavano. Dopo qualche mese eri in grado di giocare nella sala giochi con tua sorella e dopo qualche tempo ancora ti abbiamo osservato con orgoglio mentre guardavi il tuo primo film al cinema. Con papà avevamo deciso di portarti ogni anno in vacanza in un posto diverso, per darti la possibilità di conoscere altre realtà e abitudini. Era il momento ideale in cui potevamo dedicarti tutto il tempo necessario per allenarti a situazioni nuove non programmate. Il risultato, seppur faticoso, è sempre stato eccellente! Le parole e anche il tono di voce usati per spiegarti determinati concetti venivano accuratamente scelti: una modalità sbagliata non avrebbe catturato la tua attenzione. Serviva un mezzo di comunicazione funzionale oppure il mondo sarebbe diventato un posto infernale per tutti noi. Ti veniva descritta la nuova pizzeria dove saremmo andati a cena, oppure elencati i nomi delle persone che avresti in42


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contrato a casa della nonna; cercavamo di parlarti dei nostri sentimenti aiutando te a fare lo stesso. Non mi aveva mai interessato il giudizio delle altre persone, anche se spesso notavo perplessità dinanzi a certi tuoi comportamenti. Non mi interessava neanche se tu eri l’unico bambino ad alzarsi da tavola: sapevo che per te stare seduto era solo una sofferenza, andavano rispettati i tuoi bisogni. Le regole sociali non erano conciliabili con le tue esigenze, le parole erano pesanti da sopportare e da capire. Ci sono voluti mesi e mesi di lavoro su noi stessi per modificare quei modi di fare e di pensare che non erano adeguati ai tuoi bisogni. Abbiamo sbagliato così tante volte, e tante volte sei stato proprio tu ad aiutare noi, come quando alla milionesima volta che ti chiedevo di mettere la cintura in macchina, tu hai risposto: «Mamma, io mi dimentico! Mettimi un disegno di un bambino con la cintura allacciata qui sul sedile e io non mi scordo più». Troppe volte ho alzato la voce scambiando il tuo disagio per un capriccio, tante altre ho finito la pazienza e la forza anche solo per leggere le favole della buonanotte, ma quei “no” che ti facevano piangere, sapevo ti avrebbero reso un bambino migliore. Il tempo trascorso insieme non era mai abbastanza, ogni volta che ti ero lontana una strana inquietudine si impossessava di me. Mi resi conto che non potevo essere onnipresente e nemmeno riuscire a cavarmela da sola, così tornai a fidarmi anche di altre persone lasciando spazio ad altri affetti e concedendo loro la possibilità di volerti bene a modo loro. A volte farmi da parte significava lasciarti quella libertà di cui avevi bisogno per crescere e fortificarti. 43


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Ci furono cosĂŹ un susseguirsi di esperienze che ti fecero diventare sempre piĂš grande: dai pomeriggi trascorsi a giocare a casa di qualche amico, alle giornate in piscina con il centro estivo, al dormire nei weekend a casa di zia Francesca mentre mamma e papĂ si concedevano una cena romantica o una serata alle terme.

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Capitolo 10 Per arrivare all’alba non vi è altra via che la notte… Gibran Khalil Arrivò la tanta temuta prima elementare. Ero letteralmente terrorizzata all’idea di dover iniziare di nuovo un percorso faticoso e impegnativo, con persone che non conoscevano te e la tua storia; la mia speranza era che le nuove maestre riuscissero ad essere all’altezza dei tuoi bisogni. Non fui delusa; la maestra Daniela ci accolse a scuola pochi giorni prima dell’inizio delle lezioni e ti fece conoscere quella che sarebbe stata per i successivi cinque anni la tua seconda casa. La sua infinita dolcezza placò i miei timori e quel primo giorno di scuola, quando lei ti accolse in classe mi sentii per la prima volta serena. Tutte le insegnanti ti accolsero con affetto e da subito dimostrarono un grande rispetto per la tua storia, con impegno e anche fatica in poco tempo riuscirono a farti integrare molto bene. Silvia, la maestra di sostegno creò con te un legame molto forte e tutti ne eravamo felici. Il lavoro di squadra portò risultati importanti e finalmente ai tuoi primi colloqui uscii in lacrime, ma stavolta di gioia! Gli obiettivi erano stati raggiunti, le maestre avevano trasformato la tua sensibilità in un punto di forza. La tua fantasia aumentava così come i tuoi interessi, durante le tue pause in biblioteca avevi riscoperto la passione per l’astronomia e ogni giorno tornavi con qualcosa da spiegare o raccontare. Ricordo ancora la tua felicità quando la 45


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maestra Silvia ti regalò il sistema solare da appendere sul soffitto della tua cameretta, e passammo una serata intera a montarlo insieme a lei. Poi fu la volta della mitologia greca: una sera mentre ti guardavamo disegnare, te ne sei uscito chiedendo: «Mamma mi disegni Andromeda?». Io ti guardai stupita da questa domanda, e tu come se fosse la cosa più naturale del mondo rispondesti: «Ma dai, possibile che non la conosci? Stava per essere mangiata da un mostro ma arrivò Perseo che la salvò». Ed ecco che la nostra libreria si riempì di libri su mostri mitologici mentre ascoltavamo ogni sera le tue storie su battaglie, eroi e mostri a due teste. Solo l’anno prima era per te impossibile pensare in maniera astratta: tutto quello che vedevi e sentivi era per te assolutamente reale. Non capivi il gioco della finzione e ti arrabbiavi quando i tuoi amici giocavano a fare finta di essere qualche personaggio dei cartoni animati. Dovevamo allenarti a capire questo concetto, così ogni sera, con l’aiuto di Caterina, alla quale è sempre piaciuto fingersi una principessa, inventavamo un gioco di ruoli e, giorno dopo giorno, la tua fantasia ha messo le ali, distruggendo tutte quelle barriere che ti impedivano di giocare con i bambini della tua età. Ci furono anche i giorni da “cuore spezzato”, come quella volta in cui tornando da scuola mi hai chiesto: «Mamma, io sono diverso? Una mia compagna mi ha detto che i bambini come me hanno una malattia». Sentii una pugnalata al cuore ma ti diedi la risposta che in quel momento mi sembrava più giusta: «Certo Francy, tutti siamo diversi gli uni dagli altri. Tu sei diverso da Caterina per il colore dei capelli e per il modo di vestire, ti piace andare a cavallo 46


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mentre alcuni tuoi amici preferiscono giocare a pallone: ogni persona è diversa da un’altra». Iniziò quel giorno l’esercizio su come capire e individuare le differenze tra la gente che ti circondava. Non potevamo proteggerti da tutto e, soprattutto, dovevamo insegnarti a difenderti dalla cattiveria ingenua degli altri bambini e da quella meno giustificabile degli adulti ignoranti; per quanto mi facessero soffrire certe situazioni dovevi riuscire a cavartela da solo. Il mondo non sarebbe cambiato per te ma eravamo noi che dovevamo prepararti ad affrontare il mondo. Capimmo con l’esperienza che a innescare le tue crisi di nervi non era mai un capriccio: era il tuo modo di comunicare che stavi soffrendo, un sovraccarico sensoriale che ti mandava in tilt e in quei momenti avevi bisogno di tempo per ricaricarti. Tante sfumature del mondo sociale non le comprendevi, come i modi di dire, le metafore, gli scherzi e le espressioni facciali, ma di sicuro la tua grande sensibilità ti faceva capire all’istante se la persona che avevi di fronte ti accettava o ti giudicava e, di conseguenza, se ti piaceva oppure no. A scuola le cose continuavano a procedere bene, ma non senza fatica. La maestra Daniela riusciva a tenere testa ai tuoi sbalzi d’umore e al tuo carattere testardo, quando ti metti in mente una cosa non c’è proprio modo di farti cambiare idea! Spesso torni a casa arrabbiato perché hai ricevuto un rifiuto o ti è stato chiesto in modo perentorio di terminare un lavoro, e la tua frustrazione aumenta quando non trovi sostegno in noi, poiché ti ripetiamo sempre di ascoltare le tue maestre, di essere rispettoso e fare ciò che ti viene 47


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chiesto; loro sanno cosa è giusto per te, sono lĂŹ per aiutarti e insegnarti a diventare grande. Forse sei ancora troppo piccolo per capire e renderti conto dell’impegno straordinario delle tue insegnanti e dei traguardi raggiunti grazie al grande lavoro di squadra tra noi, la scuola e gli specialisti.

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Capitolo 11 Non ha confini il coraggio che nasce dall’amore e per amore si realizza. Non tiene conto di alcun pericolo. Non ascolta nessuna forma di raziocinio. Pretende di muovere le montagne e spesso le muove. Oriana Fallaci Tra le tante letture che mi hanno accompagnato lungo la conoscenza dell’Asperger, una in particolare mi colpì: uno scritto di Angel Rivière, psicologo spagnolo, che dopo aver dedicato tutta la sua vita professionale all’autismo, ha trasformato in parole ciò che i bambini con autismo tentano di comunicarci ogni giorno con i loro comportamenti. Questo è un riassunto del suo pensiero: 1. Aiutami a capire. Organizza il mio mondo e facilitami le cose in modo che possa anticipare quello che sta per succedere. Dammi ordini, strutture e non caos. 2. Rispetta il mio ritmo. Non angustiarti con me, perché mi angustio. Potrai sempre relazionarti con me se comprendi le mie necessità e il mio modo speciale di capire la realtà. Non deprimerti, normalmente avanzo e mi sviluppo ogni volta di più. 3. Non parlarmi troppo e troppo in fretta. Le parole sono “aria” per te, ma possono essere un carico molto pesante per me. Molte volte non sono il modo migliore di relazionarti con me. 4. Come gli altri bambini, come gli altri adulti, ho bisogno di condividere il piacere, e mi piace fare le cose bene, sebbene non sempre 49


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ci riesco. Fammi sapere in qualche modo quando ho fatto bene le cose e aiutami a farle senza errori. Quando faccio troppi errori mi succede come a te: m’irrito e finisco con rifiutare di fare le cose. 5. Necessito più ordine di quello di cui hai bisogno tu, più prevedibilità nel contesto di quella che richiedi tu. Dobbiamo negoziare i miei rituali per convivere. 6. Mi è difficile comprendere il senso di molte delle cose che mi chiedi che faccia. Aiutami a capirlo. Cerca di chiedermi cose che possano avere un senso concreto e decifrabile per me. Non permettere che mi annoi o resti inattivo. 7. Non invadermi eccessivamente. A volte le persone sono troppo imprevedibili, troppo rumorose, troppo stimolanti, rispetta le distanze di cui ho bisogno, ma senza lasciarmi da solo. 8. Ciò che faccio non è contro di te. Quando ho un attacco di rabbia o mi do colpi, se rompo qualcosa o mi muovo troppo, quando mi è difficile prestare attenzione, o fare quello che mi chiedi, non sto cercando di farti dispiacere. Visto che ho un problema di intenzioni non attribuirmi cattive intenzioni! 9. Il mio sviluppo non è assurdo, anche se non è facile da capire. Ha una sua logica e molte delle condotte che definite “alterate” sono modi di affrontare il mondo nel mio modo speciale d’essere e percepire. Fai uno sforzo per capirmi.

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10. Le altre persone sono troppo complicate. Il mio mondo non è complesso e chiuso, ma semplice. Anche se ti sembra strano ciò che ti dico, il mio mondo è tanto aperto, tanto, senza inganni e bugie, tanto ingenuamente esposto a chiunque sia, che risulta difficile penetrare in esso. Non vivo in una “fortezza vuota” ma in una pianura tanto aperta da sembrare inaccessibile. Ho molte meno complicazioni delle persone che voi considerate normali. 11. Non chiedermi sempre le stesse cose e non esigere da me le stesse routine. Non devi diventare tu autistico per aiutarmi. L’autistico sono io, non tu. 12. Non sono solo autistico. Sono anche un bambino, un adolescente o un adulto. Condivido molte cose con i bambini, adolescenti o adulti che voi definite “normali”. Mi piace giocare e divertirmi, voglio bene ai miei genitori e alle persone vicine, mi sento soddisfatto quando faccio bene le cose. È più quello che abbiamo in comune di ciò che ci divide. 13. Vale la pena di vivere con me. Posso darti tante soddisfazioni come altre persone, sebbene non siano le stesse. Può arrivare un momento nella tua vita, in cui io che sono autistico, sia la tua maggiore e migliore compagnia. 14. Non aggredirmi chimicamente. Se ti hanno detto che devo prendere una medicina fai in modo che sia controllata periodicamente dallo specialista. 15. Né i miei genitori né io abbiamo colpa di ciò che mi succede. Tanto meno ce l’hanno gli specialisti che mi aiutano. Non serve 51


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a niente che vi diate la colpa uno con l’altro. A volte le mie reazioni e i miei comportamenti possono essere difficili da capire e da affrontare ma non è colpa di nessuno. L’idea di colpa non produce altro che sofferenza in relazione al mio problema. 16. Non mi chiedere continuamente più di quello che sono capace di fare, ma chiedimi quello che posso fare. Aiutami a divenire più autonomo, a capire meglio, ma non aiutarmi di più di quello che necessito. 17. Non devi cambiare la tua vita per il fatto di vivere con una persona autistica. A me non serve a niente che tu stia male, che ti rinchiuda e ti deprima. Necessito benessere e stabilità emotiva intorno a me per stare meglio. Pensa che nemmeno il tuo partner ha colpa di ciò che mi accade. 18. Aiutami con naturalezza, senza farne un’ossessione. Per potermi aiutare, devi avere dei momenti tuoi in cui riposi o ti dedichi alle tue attività. Avvicinati a me, non andartene, ma non sentirti sottomesso a un peso insopportabile. Nella mia vita ho avuto periodi brutti, ma posso stare sempre meglio. 19. Accettami come sono. Non condizionare la tua accettazione al fatto che io smetta di essere autistico. Sii ottimista senza crearti illusioni. La mia situazione normalmente migliora anche se per il momento non c’è una cura. 20. Sebbene mi sia difficile comunicare o non riesca a capire le sottigliezze sociali, ho alcuni vantaggi rispetto a voi che vi definite “normali”. Faccio fatica a comunicare ma non sono solito ingan52


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nare. Non comprendo le sottigliezze sociali, ma non partecipo nemmeno alle doppie intenzioni o ai sentimenti pericolosi cosĂŹ frequenti nella vita sociale. Questo è tutto ciò che mamma e papĂ con amore e costanza hanno cercato di costruire in questi primi anni della tua vita e che continueranno a fare negli anni a venire, grazie all’aiuto e al sostegno di tutte le persone che fanno parte della nostra vita.

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Capitolo 12 Mai ti è dato un desiderio senza che ti sia dato anche il potere di realizzarlo. Richard Bach Ci regalammo quel viaggio a Parigi tanto meritato e preparai il tuo primo “diario di bordo” che conteneva, giorno dopo giorno, tutte le immagini dei posti che avremmo visitato. Per il resto lasciammo tutto all’istinto e all’improvvisazione, consapevoli che gli stimoli da gestire erano davvero tanti. Fu un’esperienza meravigliosa! Tu e Caterina eravate eccitati all’idea di volare per la prima volta e nei giorni seguenti l’entusiasmo non vi abbandonò mai! Fu un successo vederti sopportare la fila per ben quattro ore sotto la Torre Eiffel senza mai lamentarti. Tornammo a casa estasiati da tutte le cose belle che avevamo visto! Oggi il mio cuore è pieno di ricordi bellissimi, di momenti che mai vorrei dimenticare, come quella sera che dal tuo lettino mi hai detto: «Mamma abbracciami, voglio fare pensieri felici». Te li racconterò i tuoi pensieri felici, ogni volta che vorrai. Ti racconterò delle tue feste di compleanno, sempre allegre e con tanti bambini, delle torte di pasta di zucchero che mi commissionavi e che mi tenevano alzata fino a tarda notte, ma che soddisfazione al mattino quando guardando il mio lavoro esclamavi: «Grazie mamma, è bellissima!». Ti racconterò di come l’amore può compiere miracoli e che ogni cosa è impossibile solo se pensi che lo sia davvero. 54


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Ti racconterò di tutte le cose belle che sono state fatte per te, dell’affetto di zia Filo che non può stare senza vedervi più di qualche giorno, e del suo augurio per i tuoi otto anni: La prima volta mi hai emozionata chiamandomi “zia Pio” e da quel momento di emozioni hai iniziato a darmene tante. Grazie a te mi sono fatta una cultura tra il Trenino Thomas e Peppa Pig, adoro il modo in cui pronunci la lettera “R” e mi sciolgo quando tu e Caty mi chiedete: «Ci racconti una delle tue favole strane?». Mi lasci a bocca aperta quando mi parli di cose che non conosco: il sistema ferroviario, i dinosauri, i mostri marini, l’universo, il sistema solare e mi riempi di gioia quando ti chiedo un bacio e tu non ci pensi due volte a darmene uno. Mi diverto come una matta quando dici: «Facciamo questo esperimento» e la tua mamma, anche se sono le 10 di sera, prende forbici, calzini, cannucce, detersivo e cose anche più assurde e tutti insieme ci trasformiamo in scienziati matti! Quando sei felice hai un sorriso che ti arriva fin dietro le orecchie e ti trasformi in un grillo e inizi a saltellare all’impazzata... e la tua gioia contagia anche me. Ti dico spesso: «La smetti di crescere?», e tu mi rispondi: «zia Filo sono un bambino, e i bambini crescono, mica restano piccoli per sempre, non lo decido io». Ti chiamo Polpetta da sempre ma ora ti dà un pochino più fastidio. Ma anche nonno Francesco lo chiamavano cosi ed era tanto amato dalla tua mamma, quindi un motivo ci sarà se continuo. Ti voglio bene Polpetta Mia. Tantissimi auguri Zia Pio! 55


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Dicono che il Signore dia le battaglie ai suoi soldati migliori e anche gli strumenti necessari per combatterle. Mi piace pensare che siamo stati scelti per svolgere un compito così importante perché meritevoli di crescere un bambino così speciale. Ti ho visto ridere per la prima volta e poi ho visto quel sorriso sparire dal tuo bel faccino, ti ho visto spaventato e in difficoltà nel compiere i gesti più banali, nasconderti sotto il letto quando il rumore era insopportabile e urlare tutta la tua rabbia quando non potevi più contenere tutto il fastidio di un mondo rumoroso e confusionario. Ma ho visto anche l’entusiasmo, il coraggio, la fantasia e l’intelligenza di un bambino che oggi è consapevole della sua vita e delle sue capacità: ora sono certa che tu da grande potrai fare qualunque cosa e diventare ciò che vuoi, come mi disse un signore qualche tempo fa. Credo davvero che l’eredità più bella che si possa lasciare a un figlio sia un fratello o una sorella, e io farò in modo che voi possiate amarvi sempre, perché quando vi vedo abbracciati e complici il mio cuore è pieno di gioia! La vita vi farà dimenticare le ninna nanne, le carezze prima di addormentarvi, i baci dopo le cadute, gli inseguimenti per mettere il pigiama, le trattative per fare i compiti o per scegliere cosa indossare, i muri scarabocchiati e i baci sporchi di cioccolata, le gite allo zoo e le pareti di casa tappezzate con i vostri disegni… ma quello che non passerà mai sarà l’amore: farà parte della vostra vita sempre, perché noi ve lo insegniamo ogni giorno. Non sempre andremo d’accordo, spesso contesterò le vostre scelte e magari voi le mie, arriverà il momento che non cercherete più la mia mano per dormire e ci saranno volte 56


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che i miei baci vi daranno fastidio. Ma non accadrà mai che io non sia qui ad aspettarvi. Quei chili di troppo mi ricordano di aver messo al mondo la mia più grande opera d’arte, e non importa se non ho mai il tempo per l’estetista o la palestra. . Oggi ti guardo fare il bagno da solo insieme a tua sorella; prepararti per andare a dormire senza bisogno che ti dica nulla; sorrido quando con entusiasmo mi dite: «Mamma chiudi gli occhi, ti facciamo una sorpresa!», e dopo pochi minuti vedo la camera perfettamente in ordine; vi guardo farvi il solletico sul divano e giocare spensierati ai supereroi, litigare perché non siete d’accordo su quale cartone guardare, discutere su chi deve dormire vicino a me perché adesso siete tremendamente gelosi l’uno dell’altro. Poi capita che io ti dica: «Francy, oggi andiamo al parco giochi?», e tu rispondi: «Sì mamma, speriamo di incontrare dei bambini nuovi con cui giocare!». Oggi io e papà riusciamo a disinnescare le tue crisi, Francesco, riconoscere un tuo disagio e anticipare i tuoi pensieri. Se ci troviamo in un luogo affollato, anche se distante e in mezzo al rumore, tu ti volti al suono della mia voce, e spesso è l’unica capace di arrivare al tuo cuore. Ecco, in questi momenti, sento di averla vinta almeno una battaglia.

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Francesco, Caterina, non avete scelto voi di venire al mondo; nessun bambino lo sceglie. Io e papà vi abbiamo desiderati e vi abbiamo amati dal primo istante. Non ci interessava che foste bruni o biondi, timidi o socievoli. Ogni bambino è prezioso e perfetto ed è il dono più bello che si possa ricevere. E va accettato così com’è. Asperger... questa parola così dura e difficile da pronunciare... all’inizio ci ha spaventati. Non perché fosse una cosa brutta, ma solo perché era una cosa “fuori dagli schemi”. Inaspettata. Un mostro da combattere, la paura di uscirne sconfitti. Già, anche gli adulti hanno paura dei mostri. E mentre costruivamo la nostra armatura per difenderci ci siamo resi conto che gli scudi ce li avevamo già: voi due. Francesco... tu ci hai insegnato che Asperger è solo una parola che non definisce una persona. Tu non sei l’Asperger. Tu sei il nostro Francy. Non ti avremmo voluto diverso da così. Caterina... tu ci hai insegnato che l’amore supera ogni barriera. Non hai mai visto tuo fratello come se fosse diverso, non gli hai mai fatto sconti... se c’era bisogno di fargli un dispetto, glielo facevi! Come ogni sorella minore fa. Ebbene sì: siete stati proprio voi bambini a darci coraggio e insegnarci a non aver paura. Noi ci preparavamo a combattere, ma... il mostro l’avete sconfitto voi. Con tutto l’amore del mondo per sempre mamma.

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Lettera della maestra Daniela Qui di seguito ti lascio un ricordo che ti è stato regalato dalla persona che ti prese per mano il primo giorno di scuola e non ti ha più lasciato. Ero in classe, con i piccoli di prima, la porta aperta come spesso capita. Vedo il volto del dirigente scolastico affacciarsi, mi chiede con garbo se può presentarmi una persona. Un po’ sorpresa, do indicazioni ai bambini per completare il lavoro al quale sono intenti e mi affaccio appena fuori dall’aula. «Vorrei presentarle Chiara, è la mamma di un bambino che a settembre frequenterà la classe prima. Desidera vedere la scuola e avere informazioni su come è organizzata.» Chiara stringe con forza la mia mano nel saluto; i suoi occhi scuri e profondi mi osservano con intensità, soffermandosi sulla stampella alla quale mi appoggio. «Niente di serio… solo un po’ di mal di schiena» spiego sorridendo. Ho conosciuto così la tua mamma, Francesco. Oggi i suoi occhi scuri, ugualmente intensi e attenti, hanno perso l’inquietudine di quel giorno, ma non la determinazione. Probabilmente, Francesco, il nostro viaggio insieme è cominciato allora, anche se non ci eravamo ancora visti e io non sapevo che sarei stata la tua insegnante. Sì, è iniziato già in quel momento, perché gli occhi della tua mamma quel giorno erano pieni di te. Qualche tempo dopo ho chiesto informazioni su quella giovane signora così attenta ed esigente da voler visitare la futura scuola del figlio con tanto anticipo. Così ho capito la ragione dell’ombra che avevo colto nel suo sguardo. Da allora i giorni hanno continuato a succedersi nella operosa quotidianità scolastica, poi nella calda sospensione estiva. Finché è arrivato di nuovo settembre e sono stati assegnati gli insegnanti alle classi: sa61


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rei diventata la maestra del figlio di Chiara, una delle tue insegnanti, Francesco. Cosa ho provato? Un misto di ansia e curiosità, credo. Con te una nuova sfida stava per iniziare, certamente un’occasione di crescita umana e professionale per me. E questo mi piaceva. Subito sono stata colta da preoccupazione, nel significato etimologico del termine: PRAE-OCCUPARE, OCCUPARSI PRIMA, PREVENIRE. Questa è la mia personale strategia di controllo dell’ansia: di fronte a situazioni che possono presentare delle criticità, cerco le possibili soluzioni per affrontarle. Così ho cominciato a documentarmi. Non volevo “classificarti”, cercavo informazioni che mi permettessero di accoglierti nel migliore dei modi possibili; l’ingresso a scuola deve essere un momento piacevole, un ricordo che meriti di essere conservato. Sull’autismo possedevo già delle conoscenze che – allora – mi sembravano adeguate, mentre sapevo poco sulla specificità della sindrome di Asperger. E comunque non avevo mai conosciuto persone con questa modalità di funzionamento. Tra le tante informazioni reperite, una in particolare ho capito di dover tenere subito presente per la tua accoglienza: l’Asperger può comportare difficoltà di adattamento a situazioni nuove. Ho valutato che, per un bambino, l’ingresso in una nuova scuola rappresenta un cambiamento “epocale”, un vero e proprio evento: cambia il luogo, cambiano le persone con cui entra in contatto, cambiano le attività e i ritmi quotidiani; diverse sono le richieste. E tutto questo “contemporaneamente”. Dovevo fare qualcosa per rendere più morbido il passaggio, perciò ho chiamato mamma Chiara. «Signora, volevo chiederle di accompagnare Francesco a scuola qualche giorno prima dell’inizio delle lezioni, credo che potrebbe essere utile fargli prendere confidenza con il nuovo ambiente.» «Stavo pensando la stessa cosa» mi ha risposto lei con prontezza. Ecco, Francesco, questo è importante che tu lo sappia: con la tua mamma e il tuo papà è subito iniziata un’intesa, nella consapevo62


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lezza tacita di dover costruire una rete intorno al progetto di cui tu saresti stato il protagonista; una rete di relazioni tra tutte le persone coinvolte, per trovare sintonia e reciproco sostegno. Così sei arrivato e ti ho conosciuto. Sei entrato nell’aula come un vento, e come un vento hai cominciato a correre, veloce e leggero, tra i banchi disposti in modo ancora improbabile; spostavi lo sguardo rapidamente, a toccare ogni punto dell’aula, cogliendo con urgenza ogni dimensione di quello spazio tutto nuovo per te. Ecco, se dovessi descrivere con una parola la sensazione che hai suscitato in me quel giorno, userei proprio questa: velocità. Non mi hai guardata in viso e io non ti ho certo forzato, sapevo di non doverlo fare anche se, per ragioni non solo professionali, cerco sempre lo sguardo di chi mi ascolta o parla con me. Pure su questo punto, più tardi, mi hai sorpreso. Sì, perché tu sei sempre una sorpresa, e questo spesso è bello, sicuramente stimolante… a volte molto faticoso! Hai continuato a esplorare gli spazi esterni all’aula, ti ho lasciato fare parlando un po’ con mamma e papà, mentre ti osservavamo con la coda dell’occhio; finché ho capito che il tuo interesse si stava allentando: poteva bastare. Rapidamente ti ho spiegato cosa sarebbe accaduto il primo giorno di scuola, la disposizione dei banchi che avresti trovato e ti ho indicato la collocazione che proponevo per te. Hai annuito e sei corso via. Veloce come il vento. È arrivato poi il primo giorno di scuola, con lo straordinario carico di emozioni che porta con sé, per i bambini, per i genitori e… pure per le maestre! Siete entrati nell’aula, un bimbo alla volta per ridurre, quanto possibile, confusione e rumore. A ciascuno ho consegnato una medaglia perché sentiste con orgoglio il vostro essere “diventati grandi”. Tu sei stato il primo a entrare, ti sei seduto al posto che avevamo scelto; sembravi sereno. I genitori hanno scritto un pensiero d’augurio sul vostro primo quaderno, che ha aspettato lì per essere successivamente letto da voi. Poi sono usciti e siamo rimasti noi. Vi 63


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ho letto la poesia che è scritta sulla porta della nostra aula, una sorta di “dichiarazione di princìpi” che ci accompagnerà per tutto il periodo della scuola primaria. I bambini sono come Farfalle: Ognuno vola a suo modo Ognuno porta i suoi colori Tutti diversi… tutti speciali… ... insieme dipingono i cieli. Proprio così: i bambini sono tutti diversi; le persone sono diverse. Ma cosa significa “essere diverso”? A chi non è capitato almeno una volta di sentirsi perso, smarrito, solo nel mondo, incompreso? E a chi non è capitato anche di sentirsi speciale, almeno una volta nella vita? Sembrano sensazioni contraddittorie, ma possono vivere nella stessa persona, perché ogni individuo è unico, quindi diverso da chiunque altro e perciò stesso necessariamente speciale. Siamo tutti diversi, sì, di una diversità che a volte ci fa soffrire, per il senso di estraniamento che porta con sé; ma altre volte ci rende felici, per il senso di unicità che contiene. Ecco, Francesco, anche tu sei diverso e perciò sei speciale. E questa “speciale diversità” a volte ti farà soffrire, altre volte ti renderà felice. Di certo sarai felice per la rapidità con cui riesci ad apprendere e per la forza della tua memoria; ti renderà felice l’originalità del tuo punto di vista quando potrai vedere la sorpresa e l’interesse che suscita in chi ti ascolta; probabilmente sarai felice per “specialità” che ancora non si sono manifestate, ma già esistono in te; anche il non chiederti sempre cosa gli altri pensino di te ti aiuterà a essere felice. E verranno anche i dispiaceri, ma sapere che ci saranno, metterli in conto, ti aiuterà a superarli. Sai, Francesco, io mi sono resa conto di un fatto, però: spesso a causarci sofferenza non è tanto la nostra diversità, ma il fatto che 64


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gli altri non la comprendano o la percepiscano addirittura come una forma di imperfezione. E questo accade quasi sempre per ignoranza, per mancanza di conoscenza. Bisogna che noi, tutti, impariamo a riconoscere la nostra personale diversità; poi potremmo anche aiutare gli altri a comprenderla e accoglierla, noi che la viviamo. Dopo il primo giorno a scuola ne sono seguiti naturalmente altri ed è iniziato il viaggio. Leggere, scrivere, contare, certo, ma anche condividere, stare insieme… quanto c’è da imparare! L’apprendimento della lettura – centrale in classe prima – si è sviluppato per te in modo naturale e rapido; hai imparato a leggere senza difficoltà, aiutato anche da un interesse particolare per il racconto che ci ha accompagnato nell’acquisizione di questa competenza; una storia di animali, spesso arricchita inserendo personaggi proposti da te: abbiamo tappezzato le pareti dell’aula di immagini, un costante riferimento per te e per i tuoi compagni. Sull’“imparare a stare insieme”, c’è stato subito da lavorare. È questa la sfida più grande, quella che chiede e chiederà di più, a te e a noi che ti accompagniamo. La comprensione e l’interazione con il mondo sociale sono per te difficoltose, ma la scuola è il luogo giusto per sostenerne gli apprendimenti: la scuola è “un mondo sociale piccolo”, una palestra ideale, quindi, per sviluppare quelle competenze relazionali che sono indispensabili nella vita. Per te questi apprendimenti funzionano in un modo specifico ed è necessario che gli “allenatori” della scuola-palestra ne siano consapevoli. Per questo, insieme alle altre maestre, ho conosciuto le dottoresse Susanna e Daniela; con loro abbiamo iniziato a tessere altri fili per quella “rete” di cui ti ho detto prima, che così si è allargata: la tua famiglia; la scuola; gli “esperti”. E tu al centro. La dottoressa Daniela ha anche organizzato un corso per aiutare noi insegnanti a conoscere e riconoscere le specificità delle persone con Asperger. Gli incontri con le dottoresse e il corso di formazione sono 65


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stati importanti; mi hanno permesso di acquisire conoscenze, nuove e più approfondite, che ho capito essere indispensabili, ma soltanto se lette e interpretate su di te. L’autismo, e nello specifico la sindrome di Asperger, non è una condizione unitaria, non esiste un modello unico. Le manifestazioni di questa sindrome (non è una parolaccia, Francesco, e neanche il nome di una malattia contagiosa: è un termine che indica una serie di caratteristiche e condizioni che appartengono a certe persone e non ad altre) sono specifiche in ogni individuo e non sono comprensibili con immediatezza; senza considerare che possono essere addirittura contrastanti. I rumori, per esempio, ti infastidiscono, eppure capita che sia proprio tu ad alzare la voce; ora conosco le ragioni di questo comportamento perciò, quando capita, cerco di capire quale sia il rumore che ti infastidisce e che, alzando il tono di voce, cerchi di coprire. Fai rumore per coprire un rumore. Già… ma anche no! Dopo circa una settimana dall’inizio delle lezioni ho notato che, pur sembrando sereno all’arrivo a scuola, già alla prima ora manifestavi una certa insofferenza, un fastidio non riconducibile a stanchezza o ad accadimenti precedenti. Poi, una mattina, mentre tutti eravate intenti in un’attività individuale, nella classe è sceso un silenzio inusuale; improvvisamente mi sono resa conto che quel silenzio non era in realtà del tutto silenzioso. Zzz. Il funzionamento della LIM produceva un sibilo lievissimo, quasi impercettibile. Allora ho ricordato: ipersensibilità ai suoni. «Bambini, è piacevole lavorare con questo silenzio, vero? … Provate ad ascoltarlo». Uno fra voi a quel punto ha osservato: «Maestra, però non è proprio silenzioso questo silenzio… si sente un rumorino piccolo!». «Hai ragione, è la LIM.» Mentre fornivo questa spiegazione tu, che non avevi interrotto l’attività in cui eri intento, hai sollevato lo sguardo: avevi un’espressione che non scorderò mai, i tuoi occhi dicevano: «Adesso ho capito». Da allora non hai più manifestato quel particolare “nervosismo d’inizio lezione”, conoscerne la causa ti ha permesso di riconoscerla e di adat66


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tarti a essa. Questa è una tua caratteristica che hai più volte confermato: affronti e superi meglio situazioni potenzialmente critiche se ti vengono esplicitate, possibilmente in anticipo. Così è, ad esempio, per i cambiamenti di insegnanti o per le variazioni nell’orario delle lezioni, che purtroppo a scuola capitano. Il confronto con le dottoresse è stato decisivo, tra l’altro, per farmi accettare il fatto che in certi momenti tu debba uscire dalla classe. Te lo confesso: l’idea non mi piaceva proprio, anche perché – almeno all’inizio – non piaceva neppure a te! Ma è necessario: devi avere la possibilità di soddisfare il bisogno di movimento, che per te può essere particolarmente forte; devi avere uno spazio temporale, organizzato nei tempi e nei modi, per accompagnarti nei momenti di passaggio ad attività diverse, per riequilibrarti dalla fatica di certe situazioni o apprendimenti. La conoscenza e il riconoscimento dei tuoi bisogni ci hanno permesso di costruire una relazione significativa ed efficace, fatta anche di punti ben fermi. Il tono perentorio che a volte assumo, la fermezza con cui esigo lo svolgimento di attività concordate e organizzate, sono dettati da una duplice esigenza: quella di non privarti di occasioni di crescita, decidendo a priori che lo sforzo richiesto sarebbe eccessivo: tante volte ci hai stupito dimostrando risorse inaspettate; c’è poi l’esigenza di mantenere credibilità ai tuoi occhi: come potresti fidarti e affidarti altrimenti? A volte è stato difficile decidere di insistere, cercando di riconoscere il tuo confine per capire se fosse il momento giusto per spingerti appena un po’ oltre e permetterti così di superare il limite, nel rispetto dovuto ai tuoi bisogni. L’ho fatto quando ho ritenuto che lo sforzo richiesto fosse per te sostenibile e utile; l’ho fatto quando era necessario perché io non perdessi ai tuoi occhi autorevolezza e affidabilità. D’altra parte, come al solito, indicazioni e conferme sono arrivate da te. Sul finire della classe prima ci siamo trovati da soli per svolgere alcune prove. Le hai completate, anche con sicurezza, fornendomi le 67


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informazioni di cui avevo bisogno rispetto a certi apprendimenti. Subito dopo ti sei riposato un po’ disegnando; eri sereno, assorto fra forme e colori, ma vigile rispetto al contesto. Sentivo che eri disponibile. «Francy, vorrei che mi guardassi negli occhi» ti ho chiesto. Di solito non lo fai spontaneamente, lo fai se alla richiesta è associata una ragione valida. «Sai perché te lo chiedo?» «Sì, per capire se ti ascolto», questa è la “ragione valida” che abbiamo concordato. «Infatti. Ho da dirti una cosa importante. Devi sapere che sono molto contenta di come hai lavorato. Hai completato l’attività rimanendo sempre concentrato, e l’hai anche svolta correttamente. Sono proprio felice.» «Perché sei felice?» «Perché ci tengo a te, ti voglio bene e voglio il tuo bene.» «Lo so.» «Allora vorrei dirti che ci tengo a te anche quando ti sgrido.» «Lo so.» «E sai perché ti sgrido?» «Sì, perché tu vuoi che io imparo.» «Infatti… e anche quando capita che alzo la voce ci tengo a te.» «Lo so, pure io a volte alzo la voce con i miei compagni e bisticciamo, ma gli voglio bene lo stesso.» Queste parole e la naturalezza con cui le hai pronunciate continuando a disegnare, sono uno di quei ricordi che meritano di essere conservati. E me l’hai regalato tu. Uno degli aspetti sul quale cerco di “spingere” un po’ è la condivisione dei percorsi di apprendimento con i tuoi compagni, non perché tu debba fare ciò che fanno gli altri necessariamente nel modo in cui gli altri lo fanno, ma perché tu possa sperimentare momenti di condivisione e imparare a riconoscere, in essi, le regole dello stare insieme. Un passo alla volta, anche piccolo e senza pretendere che sia definitivo: spesso capita di tornare indietro per poi andare avanti. Utilizzare i tuoi 68


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interessi è stato ed è molto efficace da questo punto di vista: i tuoi compagni rimanevano a bocca aperta quando gli parlavi delle tante specie di animali marini che conosci e immagino cosa accadrà quest’anno con i dinosauri! Per non parlare del “bestiario” infinito che ami collezionare: quando arrivi al mattino ti piace parlare un po’ di questi strani esseri gommosi – con cui mi risulta che tu abbia invaso casa! Dopo avermi spiegato le loro caratteristiche, sei più disponibile a iniziare le attività con i tuoi compagni, ma solo se senti che c’è interesse vero per ciò che racconti. Se io vengo da te, poi tu mi segui e vieni da noi. Vi guardo, te e i tuoi compagni, mentre insieme state imparando a stare insieme; vedo affinare sensibilità, capacità di mediazione e anche creatività nel cercare soluzioni per ricomporre i conflitti che a volte si creano. Tu sei importante per loro, almeno quanto loro lo sono per te. In questo secondo anno di scuola primaria sei molto cresciuto; per esempio, sei riuscito a condividere alcuni momenti di lavoro in coppia, seguendo indicazioni operative definite. E poi… ricordi il progetto del “Viaggio in treno”? Durante la prima attività di “circle time” sei rimasto in disparte, infastidito: non ti piace aspettare il tuo turno per parlare, anzi, non ti piace proprio il dover aspettare in generale! Ma nel succedersi dei nostri appuntamenti con il treno, il tuo atteggiamento si è lentamente modificato. E quando si è trattato di rappresentare un proprio paesaggio fantastico per poi descriverlo ai compagni, tu hai ascoltato il racconto di tutti aiutando ciascuno a sorreggere il proprio lavoro per mostrarlo; hai più volte chiesto spiegazioni sulle ragioni per cui erano stati scelti certi soggetti o certi colori, rimanendo coinvolto per un tempo impensabile. Impensabile, già… ogni tanto riguardo il video di quella giornata. Certo, abbiamo da fare ancora molta strada, qualche tratto è stato e sarà più arduo da superare, ma insieme ce la possiamo fare. Hai anche iniziato a riconoscere i tuoi bisogni e a esplicitarli, questa sarà un’importante conquista. Alla fine dell’anno scolastico, non hai vo69


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luto partecipare al saggio di musica, dicendo che non ti piacciono gli applausi, non li sopporti proprio. Mi è dispiaciuto non vederti lì, con i tuoi compagni; ho provato anche a proporti di partecipare solo assistendo fra il pubblico, ma tu hai deciso che no, non saresti venuto. È stato giusto così, hai scelto non per un capriccio ma perché questo era il tuo bisogno. E il prossimo anno si vedrà… potresti di nuovo stupirmi! (Perdonami, Francesco, io non mi arrendo mai!) La tua maestra Daniela

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Curiosità Hans Asperger era un pediatra austriaco, che da bambino dimostrò un particolare talento per la letteratura e notevoli difficoltà nel fare amicizia. Alcuni scritti raccontano infatti di un’infanzia solitaria; nel 1944 pubblicò un saggio che divenne un punto di riferimento per descrivere l’autismo e i suoi sintomi. Il suo modello di comportamento non trovò il giusto riconoscimento poiché morì prima che potesse divulgare gli studi fatti, per questo motivo nell’ultima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders la definizione “sindrome di Asperger” fu sostituita con “Disturbo dello spettro autistico”. Secondo alcuni studiosi, molti personaggi famosi di ieri e di oggi mostrerebbero alcune caratteristiche della sindrome di Asperger, come ad esempio l’interesse verso un solo campo e problemi nelle relazioni sociali. Tra questi figurano: • Wolfgang Amadeus Mozart: compositore e pianista austriaco • Bob Dylan: cantautore e compositore statunitense • Steve Jobs: imprenditore, informatico e creatore della Apple • Alfred Hitchcock: regista cinematografico britannico • Henry Ford: imprenditore e fondatore della Ford Motor Company • Graham Bell: inventore del telefono scozzese-americano 71


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• Michelangelo Buonarroti: scultore, pittore, architetto e poeta italiano • Thomas Jefferson: terzo presidente degli Stati Uniti d’America • Albert Einstein: fisico e filosofo, ha mutato per sempre il modello di interpretazione del mondo fisico • Vincent Van Gogh: pittore impressionista fiammingo • Charles Darwin: naturalista, celebre per aver formulato la teoria dell’evoluzione • Isaac Newton: matematico, fisico, filosofo naturale, astronomo, teologo inglese • Alan Mathison Turing: matematico, logico e crittoanalista britannico, considerato uno dei padri dell’informatica e uno dei più grandi matematici del XX secolo • Ludwig Josef Johann Wittgenstein: filosofo e logico austriaco, autore in particolare di contributi di capitale importanza alla fondazione della logica e alla filosofia del linguaggio • Glenn Herbert Gould: pianista, compositore, clavicembalista e organista, è ricordato soprattutto per le sue registrazioni di musiche di Bach, ma anche di Beethoven, Mozart e del repertorio pianistico del XX secolo • Roger Keith “Syd” Barrett: musicista, cantante e artista, cofondatore dei Pink Floyd e primo leader dal 1965 al 1968 72


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• Craig Nicholls: cantante, compositore e chitarrista australiano, leader del gruppo alternative rock The Vines • Satoshi Tajiri: informatico giapponese. È il creatore della serie di videogiochi Pokémon • Bram Cohen: informatico statunitense, è conosciuto come l’autore del programma e protocollo BitTorrent peer-to-peer (P2P) di condivisione file. È anche il co-fondatore di CodeCon, organizzatore degli incontri degli hacker-P2P dell’Area della Baia di San Francisco meeting e coautore di Codeville • Bertrand Arthur William Russell: filosofo, logico e matematico • Hans Christian Andersen: scrittore e poeta danese, celebre soprattutto per le sue fiabe.

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Ringraziamenti Scrivere questo libro è stato come fare un viaggio indietro nel tempo, dove ricordi ed emozioni si sono susseguiti parola dopo parola. Raccontare la storia di tuo figlio è un po’ come farlo nascere una seconda volta, trasformando però le difficoltà vissute in opportunità. Grazie a lui, per me così straordinario, ho imparato ad amare senza confini e pregiudizi, in un modo infinitamente più bello. Grazie a mia figlia Caterina, che con il suo sorriso e la sua dolcezza colora ogni giorno le nostre vite portando sempre una ventata di allegria. Entrambi mi rendono ogni momento fiera e orgogliosa di loro. Grazie a mio marito Daniele, perché l’amore esiste anche al di là dei nostri limiti e nonostante sostenga sempre quanto sia impegnativo amarmi, è sempre lì, accanto a me, rispettando ogni giorno della nostra vita insieme le promesse fatte dieci anni fa nella nostra piccola chiesa di paese. Grazie a Simonetta e Francesca, per i consigli da “mamma”: anche se la vita prova sempre a dividerci, il vostro “esserci” resta per me importante. Grazie a tutti gli amici e a mia cognata, per credere sempre in me e sostenermi a ogni mio nuovo progetto, certi che ce la farò! Ai miei suoceri, per tutto quello che ci hanno dato in questi anni: forse loro non sanno quante volte ci hanno “salvato” regalandoci piccoli, fondamentali momenti di libertà. Grazie a “zia Filo”, perché avere un’amica del cuore come 75


Amo solo te e i dinosauri

te ti fa amare ancora di più la vita. Grazie a Elisa e Federico, per esserci sempre, in ogni occasione, con quel sorriso che vi rende così speciali: la stima e l’affetto che provo per voi sono smisurati. Grazie a Gabriele, che mi ha insegnato l’importanza dei sogni e come realizzarli, e per il tempo che investe nel farmi crescere, anche se ha sempre ragione e sa quanto questo mi urti! Grazie a Elisabetta e Stefania, per aver creduto con tanto entusiasmo nel mio progetto aiutandomi a trasformarlo in realtà. Grazie di cuore a tutte le insegnanti che hanno accompagnato Francesco in questi anni e al nostro preside sempre così attento e disponibile. Grazie ad Aurora per la dolcezza e la bravura con cui ha esaudito le richieste di Francesco nel creare la copertina di questo libro. Grazie a Marilù per la pazienza e la professionalità con cui si è dedicata alla correzione del mio lavoro. Grazie a mio padre e mia madre, per quello che mi hanno lasciato e per quello che da lassù continuano a darmi, anche se ormai quel buco nel cuore non si chiuderà mai più. Infine grazie a tutte le persone che contribuiscono nei modi più diversi ma tutti importanti a trasformare AltrEmenti - Insieme per l’Asperger, in una bellissima realtà. La vita, per quanto strana, complicata, imprevedibile, resta sempre il dono più bello e noi abbiamo il dovere di rispettarla.

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Amo solo te e i dinosauri

AltrEmenti nasce nel luglio del 2017 da un’idea di Chiara e Daniele, genitori di Francesco e Caterina. L’associazione, senza scopo di lucro, ha l’obiettivo di sostenere genitori di ragazzi con disturbo dello spettro autistico tra cui la sindrome di Asperger, fornendo tutti i servizi necessari a promuovere l’autonomia e le relazioni sociali. Un gruppo di professionisti si occupa di attività specifiche come psicomotricità, logopedia, musicoterapia, gruppi di ascolto e incontri individuali o di gruppo. Trasmettere un messaggio positivo e d’amore è la missione di AltrEmenti, perché la sindrome di Asperger non venga più trattata come disabilità ma vissuta per quello che è: UN MODO DIVERSO DI SENTIRE E AMARE. Sede legale: Via A. Graff n. 8, 06073 Corciano (Pg) Sede operativa: c/o Oratorio Astrolabio strada Ponte D’oddi n.8, 06125 Perugia Codice Fiscale: 94165660542 altrementi.asperger@gmail.com AltrEmenti insieme per l’Asperger 77



Amo solo te e i dinosauri

Sommario Capitolo 1 p.9 Capitolo 2 p.15 Capitolo 3 p.19 Capitolo 4 p.22 Capitolo 5 p.24 Capitolo 6 p.28 Capitolo 7 p.32 Capitolo 8 p.35 Capitolo 9 p.42 Capitolo 10 p.45 Capitolo 11 p.49 Capitolo 12 p.54 Lettera della maestra Daniela

p.61

CuriositĂ p.71 Ringraziamenti p.75 Informazioni Associazione p.77

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Chiara Bacci nasce il 5 settembre 1981 a Castiglione del Lago. Fin da ragazzina intraprende la professione di parrucchiera alternando lavoro e studio che la porta a conseguire un diploma da educatrice e una qualifica da Operatore Socio Sanitario. Vive a Corciano con il marito e i suoi due figli, di cui uno con Sindrome di Asperger.


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