L'In-Volontario, Storia nr. 12 tratta da "Storytelling di volontariato"

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Storia nr.12



incontri L’in-volontario La mia storia di volontario non ha un inizio e non lo ha, non perché si perda nel tempo, in quanto non è mai cominciata e non è in fondo la storia di un volontario. Sarebbe troppa cosa. È solo la mia storia e in quanto tale non è un granché se non fosse per un fatto che riguarda tutti. Ognuno incontra, almeno una volta nella vita, una persona che lo può rendere migliore, ne sono convinto ed è questo quello che è successo a me. Niente di più. Mi ero appena laureato in Scienze Politiche, quella Facoltà “di mezzo” che ancora adesso mio padre all’età di 86 anni e con dolce sarcasmo apostrofa così : “Ma che c… di lavoro fa quello che si laurea in Scienze Politiche?”, quando iniziai a fare le mie prime esperienze come volontario grazie ad un corso di italiano per stranieri presso quella che ancora oggi è la mia Onlus del cuore, il Cidis di Perugia. Finito il corso, per qualche mese, insegnaii italiano ai bambini e alle bambine Rom (già considerate “ragazze” e alle quali spesso i genitori vietavano le lezioni) presso un campo vicino ad Assisi, la città di San Francesco. Assisi, quale luogo migliore per iniziare ad aiutare gli ultimi. Fu un’esperienza molto forte che ancora adesso, a distanza di 25 anni, ricordo bene. Insegnavo l’alfabeto in una stalla, tra cavalli, forconi e balle di fieno. Per farmi accettare dalle famiglie più diffidenti, a volte, mi fermavo a cena tra una roulotte e l’altra a mangiare gallina in brodo e insalata poco condita. In fondo anche mia nonna Ida, umbra di Costacciaro trasferitasi poi a Cortoghiana in Sardegna, me la cucinava spesso quando andavo a trovarla con la mia famiglia di Nùoro. Certo, forse faceva un po’ più attenzione al servizio, ma nei campi rom quello era. L’estate di quell’anno, poi, la passai con il Servizio Civile Internazionale in un campo sul Monte Tezio, sempre in Umbria, ad accogliere alcuni ragazzi e ragazze che fuggivano dalla terribile guerra in Bosnia ed Erzegovina. Bella esperienza anche questa. Erano ragazzi poco più giovani di me. Ed è proprio quando incontri ragazzi della tua età che ti rendi conto di quale fortuna si ha a nascere e crescere in un paese come l’Italia. Ma questo spesso ce lo dimentichiamo e pensiamo che i barconi arrivino da Marte. Ma come dicevo la mia storia non è propriamente quella di un vo60


incontri lontario. Con la laurea in tasca e per giunta dopo un altro anno passato (vorrei usare il termine “buttato” ma non lo farò…) a fare il militare (all’epoca ancora c’era e non era certo volontario), decisi che era ora di pensare al mio futuro lavorativo. Smisi di fare il volontario, come se ciò mi precludesse altre vie, ma in realtà non era così: fui semplicemente egoista. Solo dopo l’ho capito. Dovevo però trovare lavoro. Feci allora un Master in economia aziendale e, dopo uno stage, cominciai subito a lavorare. Non c’era tempo per altro, o forse ce ne era solo per quello che mi faceva più comodo: il calcio e la vita da ragazzo. Il tempo è una variabile che, se non sai gestire, ti fa mettere da parte quello che è meno comodo, ma, a volte, quello che è più importante. Feci anch’io così. Oltre 15 anni senza fare “un’acca” per gli altri. Per me però sì. In quegli anni ho costruito la mia vita. Lavoro, amici, compagna, figlia. È tutto in fondo. È veramente tanto. Per questo mi ritengo un uomo fortunato. Fortunato ad aver incontrato Francesca, la mia compagna di vita, che nel 2009 darà alla luce e mi regalerà la gioia più grande: nostra figlia Costanza. Noi siamo anche le persone che incontriamo e la mia fortuna è aver incontrato loro. La vita però a volte non è una favola, neppure quando è lì a due passi dal fartelo credere. Quello che voglio dire e che a quest’ora della notte indugio a scrivere, è che nel giro di due anni dal 2010 al 2012 un tumore mi ha portato via Francesca. L’ha portata via a me e alla sua piccola creatura, Costanza, che ora mentre scrivo dorme qui vicino a me. L’ha portata via alla sua mamma Marisa, che ora mi aiuta a far crescere la piccola e l’ha portata via a tante persone che le volevano bene. A distanza di sei anni, da quel 16 maggio del 2012, non ho mai scritto di questo. Un po’ perché della morte, dei propri cari poi, è già difficile parlarne, figuriamoci scriverne. Un po’ perché non ho mai trovato un vero motivo per farlo. Ne ho parlato tanto, quello sì, e a qualcuno potrà essere sembrato troppo. Ma così ho fatto. Aprirmi è stato un elemento fondamentale per andare avanti. Ma ecco scriverne no, non l’ho mai fatto. Quando si ha una perdita così grave, così personale e così tua, credo che nessuno e niente ti possa dire cosa fare e come reagire. Prima occorre capire ed io ho dovuto aspettare un anno. Poi ho dovuto solo vedere bene negli occhi di Costanza per capire cosa fare: vivere e aiutare gli altri in base alle mie possibilità. “Non vivere con la rabbia e il dolore di chi è stato privato della per61


incontri sona più bella e cara della propria vita, ma con l’amore e l’aiuto che possiamo dare a chi ne ha più bisogno”. Con questa volontà ho rialzato la testa e ho guardato gli altri non con il lutto sul volto, ma con un sorriso. Ogni anno dal 2013, ai primi di giugno, ricordo Francesca, non in una chiesa, ma nel suo giardino. È nato così “Il Giardino di Francesca”. Un’iniziativa di raccolta fondi per sostenere persone bisognose e progetti nel campo del sociale e della salute. Il giardino era per Francesca il suo luogo più caro. “Per ricordare Francesca, viviamo insieme il suo giardino…”: sono queste le parole con cui invito vecchi e nuovi amici a stare insieme un doppio pomeriggio e provare a fare del bene per chi ne ha più bisogno. Ho sempre pensato che aver conosciuto Francesca e aver vissuto con lei undici anni della mia vita, dannatamente troppo pochi è vero, sia stato altrettanto dannatamente troppo bello. Aver avuto da lei Costanza è una fortuna così grande per la quale, ancora oggi, ogni mattina quando mi sveglio ringrazio il cielo. Sei anni fa scrissi: “Una delle cose che ho ammirato di Francesca, nell’affrontare la malattia, è stata quella di non aver avuto rabbia e chiudersi in sé, ma continuare ad amare chi le stava vicino”. Non l’ha fatto lei, non lo fanno le persone che ci lasciano, anche quando sono sconfitti dalla malattia, non lo dobbiamo fare noi. Un grande insegnamento in questo senso, qui a Perugia ce lo ha dato recentemente a tutti noi , anche a chi, come me, non ha avuto la fortuna di conoscerlo, il grande Leonardo Cenci, Associazione Avanti Tutta. Chi conosce o vorrà conoscere la sua storia imparerà molto della vita. Continuare ad amare è la cosa da cui sono ripartito. A cosa servirebbe fermarsi o andare dritti alla cieca nella direzione che gli eventi ti conducono? Bisogna trovare la propria strada, non quella che gli altri ti indicano. Forse neanche questa che sto scrivendo io qui, ma quella che ognuno trova in sé e per sé. Sei anni fa, io ho scelto di non chiudermi nel dolore ma di aprire il Giardino agli altri. Prima una volta all’anno, ora sempre più spesso. Per costruire qualcosa di importante per gli altri. Qualcosa anche di piccolo, forse, ma non importa. Le grandi imprese sono nate in un garage invece in questa storia qualcosa nasce in un piccolo giardino della periferia sud di Perugia, in Strada Tuderte 111. Non importa se l’impresa rimarrà piccola e aiuterà solo poche persone. A tante ha già aiutato e a noi, che aiutiamo, aiuta ogni volta. Insieme ai tanti amici, che ogni anno 62


incontri mi aiutano e riempiono con allegria e generosità il Giardino, abbiamo raccolto più di diecimila euro sostenendo così decine di piccoli ma reali progetti nel campo del sociale, della salute e della cultura, nella nostra Umbria e non solo. Nel sito web www.francescabellini.it e nella pagina facebook “Il Giardino di Francesca” scrivo quello che facciamo. È poco, forse in fondo nulla, ma non importa. Francesca mi ripeteva spesso: “Non importa dove ma con chi”. A ben vedere è così per tutto. Non importa quanto tempo, quanto denaro, non importa quanto. Importa cosa fai, importa per chi e come lo fai. In questo progetto ho la fortuna di aver al mio fianco persone fantastiche, in primo luogo quegli amici folli che sono i Cavalieri della Tavola Apparecchiata, senza i quali il Giardino con oltre 200 persone a cena, non sarebbe neppure immaginabile. E tanti altri che arrivano puntuali la mattina prima e la sera poi, a caricare e scaricare decine di pesanti tavoli e panche con cui trasformo il Giardino in una sorta di parco pubblico. Tutto quello che facciamo per gli altri, anche se poco, è tanto. La fatica, la stanchezza, il dolore, la rabbia, la nostalgia, la sconfitta non sono niente in confronto. Ma non è così. Il dolore è tanto, la rabbia non cessa mai. La nostalgia ti corrode dentro come un tarlo. Non smetterò mai di pensare a Francesca e la sera non smetterò mai di essere triste al suo ricordo. Ma penso che la mia stanchezza non sia niente in confronto al sorriso di chi aiutiamo. Anche se non sei lì a guardare il suo gioioso sguardo, anche se lo aiuti appena un po’ e, in fondo, sai benissimo anche tu, che lo fai per lui ma che lo fai, dannatamente, anche per te. Pietro Floris Il Giardino di Francesca Raccolta fondi per progetti e attività di beneficenza 63


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