Per ripartire Insieme Storia nr.38
incontri Un incontro quasi casuale Il 2019 segna per me 12 anni di volontariato e Amicizia al Villaggio Leumann; si è trattato di un incontro casuale, ma in fondo fortemente voluto, perché penso che il destino si sia dato da fare per unire le nostre strade. Nel novembre 2007 frequentavo il primo anno di laurea specialistica in antropologia culturale ed etnologia e stavo frequentando un laboratorio di video etnografico; la docente chiese ad ognuno di cercare e scegliere un luogo in cui poter ambientare il proprio video etnografico; per me si trattava di una vera e propria prima ricerca etnografica sul campo. Ho sempre avuto molta curiosità per il Villaggio Leumann: fin da piccola la forma delle case così particolari mi ha sempre attratto moltissimo. Ricordo che chiedevo a mia madre che cosa fossero quelle casette e che cosa ci fosse al di là di quel cancello. Lei mi raccontava che nessuno poteva entrare al Villaggio perché era un mondo chiuso, un villaggio dove abitavano solo certe persone autorizzate che lavoravano nella fabbrica vicina e quindi non era un luogo che chiunque potesse visitare o dove si potesse entrare liberamente e passeggiare. Questi racconti non facevano che aumentare in me il senso di mistero e allo stesso tempo la volontà ferrea di entrare un giorno in quel villaggio e capire fino a che punto fosse veramente così inespugnabile. Non sapevo da che parte cominciare ad instaurare un contatto e la scadenza per scegliere l’oggetto del nostro video cominciava a premere minacciosamente, poi dopo un intero pomeriggio a cercare su internet un modo per entrare in contatto con il Villaggio, trovai il sito dell’Associazione Amici della Scuola Leumann. Inviai subito una e-mail spiegando che si trattava di un progetto in fase embrionale, che cosa avrei voluto proporre loro, per quale motivo desideravo entrare in contatto con quella realtà, qual era lo scopo della mia collaborazione e soprattutto perché chiedevo a loro la disponibilità di aiutarmi a portare avanti questo piccolo progetto 181
incontri universitario. Non avevo molta speranza di ricevere risposta, tuttavia, con mia sorpresa, nel giro di pochissime ore ricevetti una risposta e un invito per la sera stessa a partecipare alla riunione del Direttivo, di cui in seguito ne avrei fatto anche parte. Si era svolto tutto con una tale semplicità: un villaggio che mi era sempre stato descritto come una realtà chiusa, inaccessibile, ma apriva le sue porte a una persona che non aveva legami con Collegno, una giovane che probabilmente non conosceva nulla di quella realtà, ma avevano dimostrato una disponibilità e un’apertura alla collaborazione che mi avevano colpita. Fu così che mi preparai a partecipare a quella serata; non avevo con me quasi nessun appunto, potevo solo presentarmi come persona, come studentessa. Faceva freddo quella sera di novembre, presi la mia macchina mi misi in corsa verso il Villaggio, prima di imboccare il vialetto centrale, con sul fondo la chiesa di Santa Elisabetta, mi sentivo agitata e nervosa: soprattutto per quello che rappresentava per una torinese entrare in un luogo che era una sorta di sacrario della Storia del territorio; presi coraggio, percorsi il vialetto e seguendo le indicazioni trovai l’Associazione. Appena entrata, fui accolta in un clima di festa, di apertura e di gioia: c’erano molte persone l’atmosfera era quella di un luogo familiare e amichevole esattamente come riportava il nome dell’associazione. C’era un lunghissimo tavolo con a un capo la Presidente: Rosalbina Miglietti, ascoltai e mi resi conto di quanto lavoro c’è dietro alla gestione volontaria di un contesto culturale. Esauriti i punti all’ordine del giorno toccò a me: ero visibilmente agitata, perché tutti mi guardavano cercando di capire chi fossi e che cosa volessi da loro. Spiegai il mio progetto per sommi capi, dimostrandomi interessata a conoscere una realtà di volontariato operante in ambito culturale che lavorava intensamente per preservarlo e trasmetterlo alle nuove 182
incontri generazioni, ma la cosa che più mi colpì fu la domanda su che cosa loro potevano fare per me; si trattava di una dimostrazione di apertura collaborativa molto inusuale a cui non ero stata abituata. Uscii da quel primo incontro con un profondo senso di soddisfazione ma anche la sensazione di essere stata sospesa nel tempo e nello spazio: entrare al Villaggio Leumann significa entrare in una dimensione completamente diversa e per certi aspetti avulsa dal quadro urbano nel quale è incastonata. Si tratta di uno dei pochi luoghi dove veramente ho sentito e continuo a sentire in maniera molto forte il vero significato di associazione. Da quel giorno in poi fu l’inizio di una lunghissima relazione di fiducia reciproca, stima, volontariato, collaborazione, ma soprattutto arricchimento e crescita personale. Iniziai organizzando con alcuni soci le mie uscite sul territorio mi recavo a fare interviste alle persone anziane che vivevano ancora con una memoria storica e culturale del luogo, scattavo foto e registravo video. Nel frattempo, ogni lunedì, partecipavo alla vita dell’associazione. Capii che cosa significhi gestire un’associazione, essere persone che condividono gli stessi intenti, gli stessi bisogni, gli stessi desideri e le stesse speranze. Ebbi la possibilità di ricostruire la rete sociale che si trovava all’interno di quella comunità e grazie alla grande capacità dei membri e dei soci cominciai a sentirmi sempre più parte di quel mondo e così, io che credevo che il Villaggio Leumann fosse un mondo chiuso, visibilmente inaccessibile, mentre io straniera torinese, non soltanto venivo accolta all’interno della comunità, ma ebbi l’occasione di diventarne sempre più parte integrante. Fare volontariato in un’associazione culturale significa mettere a disposizione della comunità il proprio sapere, le proprie competenze, per il fine comune di preservare e trasmettere nel tempo e nello spazio la conoscenza culturale e la memoria storica di quel luogo. Durante l’importante e prestigiosa manifestazione annuale di Filo lungo filo, un nodo si farà, mi occupo di fare visite guidate all’interno 183
incontri della Casa Museo che diventano la grande occasione per far comprendere ai visitatori che si trovano in un laboratorio sociale e culturale a cielo aperto, un museo, un ecomuseo: qualcosa che racconta il passato vivendo fermamente nel presente e proiettandosi altrettanto fermamente nel futuro. È un momento di prestigio umano e sociale, perché tutto quello che viene condiviso in quei tre giorni è il risultato del credere profondamente in una cultura della condivisione, e della trasmissione del sapere; è il risultato della caparbietà con cui coloro che hanno fondato questa associazione continuano a mantenerla in vita e mantenendo in vita la memoria Il mondo del tessile è ancora oggi il più importante simbolo del Villaggio Leumann, la dimensione metaforica della tessitura rappresenta il grande gancio di collegamento tra passato, presente e futuro. Come antropologa le mie competenze sono state messe a servizio dell’associazione per convegni, visite guidate, incontri, progetti per sottolineare questo utilizzo metaforico del filo, dell’ordito, della trama e di tutto quello a cui può rimandare una spoletta di filo che in realtà racchiude il senso della cultura e della società umana: così come i reticoli delle relazioni sono fili che si intrecciano e si uniscono. Esistono fili che noi possiamo intrecciare sul momento, ma ci sono fili che ci portano indietro nel passato di secoli, ci sono fili che possiamo lanciare e annodare per connetterci con un futuro che, se ancora non esiste, possiamo almeno immaginare partendo da quello che possiamo fare oggi: ed è esattamente quello che fanno tutti i giorni i soci e membri dell’Associazione Amici della scuola Leumann. Già, scuola. Ma scuola perché? La scuola è uno dei primi luoghi in cui si socializza, in cui si creano degli amici, ci si crea delle reti di relazioni ed è soprattutto un luogo dove il sapere viene acquisito e viene trasmesso. Anche se non si sono frequentate le stesse classi degli altri soci, si ha comunque l’impressione di fare parte della stessa classe, di essere inseriti all’interno di una stessa comunità che condivide valori culturali e prospettive; per una persona giovane tutto questo non è da sottovalutare: si tratta di un arricchimento che in pochi altri ambiti e 184
incontri contesti ho potuto sperimentare. L’anno associativo degli Amici della Scuola Leumann è pieno di iniziative e di attività che si rivolgono a tutti i tipi di utenza, sono momenti in cui villaggio incontra il mondo, ma soprattutto il mondo incontra il villaggio. I turisti che arrivano da ogni parte d’Italia e d’Europa,diversi per età, storia e origine geografica, osservando oggetti di uso comune che sono appartenuti o transitati nelle case e nelle vite di tutti, possono ritrovarsi e condividere questi ricordi, in modo da costruire una narrazione condivisa. Tra tutte le realtà di volontariato che ho frequentato, l’Associazione Amici della Scuola Leumann è quella con cui ho realizzato una relazione più duratura nel corso del tempo. Forse perché qui c’è davvero una bella storia umana autentica, intesa, realmente sentita, dove i membri dell’associazione sono stati capaci di farmi sentire da subito accolta, valorizzata e parte integrante di quel tessuto. È una cosa che non si riesce a spiegare, se non la si vive. Vorrei concludere richiamando una citazione per me fondamentale, che credo debba guidare il credo di un volontario, in qualsiasi ambito operi e che nei confronti di questa Associazione assume uno specifico valore: Per non far andare via bisogna dare un motivo per restare L’associazione mi ha dato tante dimostrazioni e tanti diversi motivi per restare, facendolo nella maniera più delicata, discreta, naturale e spontanea possibile: quella che solo gli Amici veri possono dimostrare.
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Maria Chiara Miduri Associazione Amici della Scuola Leumann Valorizza e vive il Villaggio Leumann come uno spazio in cui incontrarsi 186