Essere ed esistere - Storia nr. 41 tratta da "Storytelling di Volontariato"

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Per ripartire Insieme Storia nr.41



incontri Essere ed esistere La mia esperienza di volontariato ha origini lontane, credo. Si materializza ufficialmente nel 2001, in seguito alla necessità di condivisione di spazi fisici e mentali. Una volta ultimate le pratiche necessarie si è passati alla creazione di situazioni, dove persone vengono coinvolte a fare una cosa. E’ un po’ come prestare il proprio tempo per dedicarsi a un’attitudine. A me viene bene l’espressione culturale, è un settore che si confà alla mia voglia di scoprire mondi, non per forza belli. Anzi, la scomodità a volte genera varchi impensabili, soglie, crepe da cui radunare le macerie e organizzarle in modo che, forse, il tutto è migliore delle singole parti che lo compongono. Ciò che voglio dire, o forse ancora non sono pronto per dirlo, è che il piccolo futuro ce lo costruiamo col tempo, che batte il solco e insieme ci porta. La parte irrazionale e istintiva trova terreno fertile nella volontà di potenza, intesa nel ribadire che Io esisto per un po’, poi no, scompaio. Fin quando ci sono scelgo. Le possibilità ci sono. Essere ed esistere. Essere degni di non esistere, anche. Un invisibile è qualcuno che non si vede, ma c’è. Ha meno diritti? Un sans papier è un essere umano, semplice. Eppure deve lottare duro. Il mondo del lavoro è cambiato, si è frazionato. La percezione delle giornate è diversa, non si ha voglia di scrivere una lettera a mano, imbustarla e spedirla. I gesti son diversi, in quest’epoca infinita di neo liberismo. La parola precariato non si usa più. A livello sociale, per me, il mio galeone è Arrivo. Mi si chiede di parlare di solidarietà. Va da sé, è logico parlarne quando si riceve, per capirne le molle, i meccanismi e l’inceppo, per poi dare. Dare alle stampe il proprio pensiero in forma narrativa, letteraria non è un calcolo matematico, o esce o no. Ecco, un’esperienza che condivido volentieri risale al 2005 e riguarda il settore della psichiatria e del teatro. Si fece un progetto. Personalmente ho molto materiale dell’esperienza, che ho catalogato. Io in quel progetto ero volontario, puro. Davo me stesso perché ci credevo fino in fondo. Nel corso dei due anni di esercizi di teatro abbiamo affrontato la nostra psiconautica dando forma al nostro sentire inte195


incontri riore e intimo. Si entra in uno stato in cui i pensieri si placano e rivivi un’emozione sola, una alla volta. Oggi sto affrontando un patto di cura volontario. Mi sembra importante. Ora scrivo dalla stanza, col pc, captando un ascolto. Forse ci vuole un po’ di musica, che non sia quella dei tasti. Fa tardi per battere quelli della macchina per scrivere. Immagino il fruscio della matita e pure quello della penna quando è calda. Si possono costruire periodi, frasi nuove ogni volta. Ci si può affermare, lo spazio è negato solo nel bianco del foglio. Quello che voglio dire è che il fatto di scrivere è un gesto regalato che va confezionato e compiuto. A volte si è narcisi ed egoici, ci si mette al centro del mondo pensando che esso ruoti intorno a noi. Per esempio, perché una persona debba leggerci? Anche lei regala il suo tempo all’autore, o forse glielo restituisce. L’autore è uno, chi legge anche, ma può essere più di uno a seconda di quante copie esistono e di quante, ancora, vengono raccolte e accolte. Il passaparola non basta, secondo me è questione di energia, generata dalle parole, che attira o respinge. Pensiamo a quanti libri in biblioteca che non abbiamo sfiorato, non era il momento giusto. Per qualcuno non è cosa. Per me è come avere la barba. Non ho riferimenti utili. Non mi sento in grado di raccontare in maniera organica una storia. Sarei ridondante e barocco. Di momenti difficili ne passo e ne ho passati, io volevo pubblicare, fare spettacoli, festival e una mensa per poveri. Qualcosa ho fatto, ma sono prototipi. Sembra quasi di giocare, invece di essere adulti e concretizzare si fa un passo in avanti e basta, dai, quelli indietro sono lo stesso in avanti, basta cambiare la direzione. Si va, sempre. Io son fermo, immobile, incollato sullo schermo a dire il contrario. Posso farlo, è permesso. Fare arte ha senso sempre di più. Saper coniugare l’esperienza di un vissuto dando una forma, un verso, è salutare. Ora, tra l’altro, dobbiamo lasciarci perché lo spazio/tempo concessoci sta per esaurirsi. Vorrei ringraziare Hermes e omaggiarlo. Seguirò le fasi di questa impresa, se posso. Alla prossima, mamma. 196


incontri Non è finita. No, perché mi batto per i miei diritti. In una società alienante come quella attuale, dove la depressione mangia l’anima dei fragili e il sistema è sempre più opprimente, un barlume di speranza è dato dal volenteroso. Cercare di avere un reddito dignitoso, un’abitazione, una famiglia, degli affetti e degli amici, le cose basilari. I momenti felici nel volontariato ci sono stati. Ogni volta che si progetta un evento è una soddisfazione. Quelli più riusciti son quelli dedicati a qualcuno in particolare, una persona che si è distinta, che è venuta a mancare, che non sta bene o che ha successo. Il mio sogno è di andare, un giorno, a vivere in Africa, perché lì è un continuo volontariato e solidarietà. Tutti per uno e uno per tutti. Ci si aiuta, si condividono gioie e dolori e si allevia la sofferenza. Se muore una persona, partecipa tutto il quartiere. Penso a volte alla morte, la livella nostra. Per celebrare la vita occorre pensare al contrario. In mezzo ci stiamo noi, tentennanti e insicuri. Il sociale è un settore riconosciuto, oggi ci sono cooperative dedite agli anziani, ai minori, alla salute mentale, alle dipendenze. Come Presidente rappresento un’associazione culturale. Devo “tenere” agli associati, motivarli, esserne il porta parola. Individuare argomenti. La mia idea rimane di lavorare sugli aspetti più nascosti, sul non detto, sul disagio. E’ il mio ruolo intellettuale. E’ ciò che mi fa stare bene. Non è problem solving. E’ cura, diagnosi, rimedio, percorso. Una scelta. Un piccolo, grande, medio dovere. Mi affido a dottori, medici e operatori. Ho un’invalidità che va gestita, con la speranza di ridurla fino alla totale guarigione. La strada è lunga e ci vuole pazienza. A volte la perdo, a volte la ritrovo. Ci lavoro. Ci sudo. Quello che mi da forza è l’amore. Per me, per l’altro, per l’attimo fuggente, per il creato. Accoglienza dell’altrui pensiero e stile, purché non sia invasivo, offensivo. Non parlo di decoro, sia chiaro. Piuttosto di dignità. Talvolta la voglia viene meno, ci si rifugia in noi stessi, cercando di apprezzare e valorizzare ciò che si ha e si è. Seguire la musica del nostro cuore, e lasciare che la fantasia si espandi, libera. Non avranno mai le nostre menti. Di compromessi da accettare ce ne saranno sempre. 197


incontri Vorrei tanto che le categorie protette, e quelle a rischio, siano considerate di più. Dobbiamo combattere contro lo stigma di chi ha bisogno ed è nel bisogno. Chi è utente riceve spesso decisioni calate dall’alto, quando invece dovrebbe essere coinvolto in prima persona nel processo. Penso proprio che mi fermerò qui, per ora, nei ragionamenti perché non è compito mio andare oltre. La pratica delle idee comporta sedimentazione affinché possano attecchire nel terreno fertile della pratica. Il mio compito volge quindi al termine, e spero di aver reso una veridica testimonianza dell’argomento in questione. Questo contributo non è esaustivo, sono degli spunti di avanzamento verso una meta mai chiara fino in fondo, e qui sta il bello. La nebbia va accettata, non combattuta, altrimenti non si vede più nulla e pur se nel buio bisogna imparare ad aguzzare i sensi e il sole tornerà, vincitore, abbracciando la luna. Grazie per avermi dato questo spazio libero. La poesia è in tutte le stagioni e non basta. Nicola Castellini Associazione Arrivo Promozione della cultura

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