Arte Sacra Contemporanea
La
Via Crucis di
Giovanni Paolo II Agello (Pg) Chiesa della Madonna del Rosario
Quaderni del Volontariato
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Edizione 2013
Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provicia di Perugia Via Campo di Marte, 9 06124 Perugia tel. 075.5271976 Sito Internet: www.pgcesvol.net Visita anche la nostra pagina su
Info e contatti pubblicazioni@pgcesvol.net Con il Patrocinio della Regione Umbria Edizione: Ottobre 2013 Progetto grafico e videoimpaginazione: Chiara Gagliano La copertina è stata ideata da Filippo Dentini Stampa Digital Point (Ponte Felcino)
Tutti i diritti sono riservati Ogni riproduzione, anche parziale è vietata
ISBN: 978-88-96649-23-7
ARTE SACRA CONTEMPORANEA Agello - Chiesa Madonna del Rosario a cura di Eugenio GiannĂŹ e Gianni Dentini
Le stazioni della Via Crucis di Giovanni Paolo II Omaggio a Luciano Capetti
Arte Sacra Contemporanea: Agello - Chiesa Madonna del Rosario
Sommario G. Dentini, Presentazione Progetto
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Lettera invito
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Comunicato stampa Archidiocesi di Perugia
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Stazioni e nominativi degli artisti invitati
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Per una storia della Via Crucis
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E. GiannĂŹ, Ricordo di un artista: Luciano Capetti
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Gli artisti: 1. Franco Bellardi 2. Roberto Bellucci 3. Luciano Capetti 4. Luciano Crisostomi 5. Fernando Dominioni 6. Giuseppe Fioroni 7. Franco Fiorucci 8. Luigi Francescangeli 9. Bruno Marcelloni 10. Giampiero Nucciarelli 11. Rodolfo Pantaleoni 12. Sergio Poddighe 13. Ferruccio Ramadori 14. Placido Scandurra 15. Raffaele Tarpani 16. Giulio Viscione 5
Arte Sacra Contemporanea: Agello - Chiesa Madonna del Rosario
Presentazione del Progetto Nel 2012 si sono tenute ad Agello le Feste Giubilari del SS Crocifisso: una tappa importante nella storia del nostro paese tanto che gli agellesi di tutte le età e diversa sensibilità si sono impegnati nella preparazione di questo appuntamento che è soprattutto di carattere religioso. Le Feste Giubilari, tenute nel secolo scorso, sono state anche un’opportunità di crescita del nostro paese lasciando un profondo ricordo ed una testimonianza alle generazioni chiamate ad organizzare le feste successive. Per questo abbiamo sentito il dovere di impegnarci in questo progetto che potrebbe diventare, una volta completato e realizzato, un fiore all’occhiello della nostra comunità ed una opportunità per far conoscere ed apprezzare il nostro territorio. La scelta è caduta sulle stazioni della “Via Crucis” così come suggerite dall’indimenticato papa Giovanni Paolo II, proprio in concomitanza con la Sua beatificazione. Gli artisti che hanno aderito sono tutti amici di un pittore umbro profondamente legato ad Agello e recentemente scomparso. Si tratta di Luciano Capetti, i cui amici hanno voluto ricordarlo in occasione delle Feste Giubilari, dato che lo stesso era stato l’animatore di una simile iniziativa a Civitella del Lago. Luciano Capetti aveva poi voluto trasferire temporaneamente le opere ad Agello in occasione della Pasqua di qualche anno fa.
Gianni Dentini
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Lettera invito Gent. mo artista, in occasione delle Feste Giubilari del SS Crocifisso che si terranno ad Agello nel 2012 e per onorare l’artista Luciano Capetti, deceduto prematuramente a dicembre del 2011, il Presidente della Pro Loco Agello, Gianni Dentini, ha manifestato il desiderio di realizzare le 15 Stazioni della Via Crucis (fino a qualche anno fa 14) da collocare nella chiesa della Madonna del Rosario di Agello e farne un punto di riferimento “museale” per la zona del Trasimeno. La stessa, infatti, sarà inserita nell’itinerario attualmente previsto e permetterà ai visitatori di prendere visione delle opere di alcuni dei maggiori artisti operanti nel territorio umbro-toscano-marchigiano-laziale, località in cui è stato presente, per attività varie, anche Luciano Capetti. Gli artisti interessati sono chiamati a realizzare in forma gratuita un’opera su tela dalla dimensione cm 50x70 con libertà di tecnica. Raccolte le opere, il Presidente si prenderà cura di collocare le stesse all’interno della chiesa dopo averle munite di un’adeguata cornice. Allo scopo di far conoscere in Italia e all’estero l’esistenza di tale “museo”, sarà realizzato un catalogo comprendente la riproduzione delle opere, una nota introduttiva e la sintesi biografica degli artisti presenti; per tale ragione si chiede ai diretti interessati di provvedere tre foto a colori relative al processo di elaborazione dell’opera ed alcuni bozzetti che potranno essere inseriti in funzione alle pagine a disposizione. Sarà inoltre realizzato un pieghevole, sempre a colori, da offrire gratuitamente ai visitatori e agli studenti della provincia. La nota di presentazione e la cura del catalogo è affidata all’estetologo e teorico dell’arte Eugenio Giannì.
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Arcidiocesi di Perugia – Città della Pieve Ufficio diocesano beni culturali Ecclesiastici Comunicato Stampa Durante il periodo pasquale sarà possibile visitare, nella Sala del Dottorato presso il Museo del Capitolo della Cattedrale di Perugia, la mostra di arte sacra “la Via Crucis nei dipinti di 15 artisti contemporanei”. Promotore del progetto è Gianni Dentini, presidente della Pro Loco Agello, in onore del pittore ternano Luciano Capetti, recentemente scomparso, a cui hanno aderito 15 artisti affermati in Umbria e nelle regioni limitrofe. Ogni artista ha realizzato ed offerto gratuitamente un quadro ispirato al tema delle Stazioni della “Via Crucis” sui testi dettati da S.S. Papa Giovanni Paolo II. La Pro Loco Agello, con la direzione artistica di Eugenio Giannì, sta portando a compimento l’iniziativa che prevede la definitiva collocazione della collezione nella Chiesa della Madonna del Rosario in Agello in occasione delle Feste Giubilari del SS Crocifisso che si terranno dal 14 al 24 giugno 2012. Il Capitolo della Cattedrale di Perugia, considerato il profondo significato religioso della raccolta artistica, ha ritenuto di collaborare alla piena riuscita della mostra ospitandola, in anteprima, nel proprio Museo capitolare. L’evento vuole rimarcare lo stretto rapporto, presente anche nella società moderna, che lega l’arte alla fonte ispiratrice rappresentata dal messaggio evangelico. La Chiesa, come ebbe a sottolineare Papa Giovanni Paolo II nell’incontro giubilare con gli artisti, al fine di trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, ha bisogno dell’arte. “L’arte deve rendere percepibile e, per quanto possibile, affascinante il mondo dello spirito, dell’invisibile, di Dio. Deve dunque trasferire in formule significative ciò che è in se stesso ineffabile. L’arte ha una capacità unica di prendere uno o l’altro aspetto del messaggio 8
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traducendolo in colori, forme, suoni che assecondano l’intuizione di chi guarda o ascolta. E questo senza privare il messaggio stesso del suo valore trascendente e del suo alone di mistero.” È questo lo spirito che ha animato la mostra, riuscendo, in tal modo, a coinvolgere un numero così elevato e qualificato di artisti, enti religiosi (Diocesi, Capitolo San Lorenzo, Parrocchia di Agello), istituzioni pubbliche e private. S.E.za l’Arcivescovo, rallegrandosi per l’iniziativa, invita l’intera comunità diocesana a visitare la mostra. Perugia, aprile 2012
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Stazioni e nominativi degli artisti invitati 1. Gesù nell’orto degli ulivi Giulio Viscione 2. Gesù, tradito da Giuda, è arrestato Franco Bellardi 3. Gesù condannato dal sinedrio Giuseppe Fioroni 4. Gesù tradito da Pietro Rodolfo Pantaleoni 5. Gesù giudicato da Pilato Giampiero Nucciarelli 6. Gesù flagellato e coronato di spine Franco Fiorucci 7. Gesù caricato della croce Luciano Crisostomi 8. Gesù aiutato dal Cireneo a portare la croce Ferruccio Ramadori 9. Gesù incontra le donne di Gerusalemme Luigi Francescangeli 10. Gesù crocifisso Raffaele Tarpani
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11. Ges첫 promette il suo regno al buon ladrone Roberto Bellucci 12. Ges첫 in croce, la madre e il discepolo Placido Scandurra 13. Ges첫 muore sulla croce Bruno Marcelloni 14. Ges첫 deposto nel sepolcro Sergio Poddighe 15. Resurrezione di Cristo Fernando Dominioni
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Per una storia della Via Crucis Non abbiamo molti elementi a nostra disposizione per una storia della Via Crucis, se non delle esperienze di fede di molti personaggi consacrati a Dio che hanno vissuto in prima persona le diverse “stazioni” (successivamente ridotte a quattordici) sia traducendole nella loro vita come forme di esperienze terrene, sia come viaggio spirituale dell’itinerario di Cristo seguendone le orme. Per alcuni tutto sembra risalire al desiderio di Maria di ripercorrere il tratto che dal Pretorio di Pilato porta al Calvario, quasi come a soddisfare una passione interiore, ma anche di abbracciare idealmente il Figlio che nel fisico e nello spirito aveva percorso nella sofferenza e nell’ubbidienza al Padre. Per altri sembra avere origine nel V secolo per opera di San Petronio, e per altri ancora nella devozione di Francesco d’Assisi o comunque nella tradizione francescana. Di certo sappiamo che nel 1294 Rinaldo di Monte Crucis, frate domenicano, descrive la sua salita al Santo Sepolcro per intervalli che definisce “stazioni”, cioè luoghi di sosta e di riflessione sui punti in cui Cristo si è fermato. Tutto si origina dal bisogno di recarsi individualmente in visita nei luoghi in cui Cristo aveva sofferto e poi morto sul legno della croce. Poiché tale pellegrinaggio nei luoghi santi per molti rappresentava solo un miraggio per le difficoltà che esso comportava, si pensò di rappresentare tale tragitto segnandolo in “stazioni” e percorrendolo idealmente. Segnandolo con i vari episodi della vita di Gesù, il credente veniva coinvolto nella realtà del momento sino a viverlo come compartecipe della storia. Diffusa principalmente dai Frati Minori Francescani e dai pellegrini di ritorno da Gerusalemme, la Via Crucis nel 1420 si diffonde in Spagna per opera di Alvaro da Cordoba e nella metà del 1600 viene istituita ufficialmente nei luoghi dei Minori Osservanti e Riformati. Nel 1731, Clemente XII estende la facoltà di istituire la Via Crucis in tutti gli altri luoghi, lasciandone il privilegio della sua istituzione all’ordine francescano. Nel 1937 Brin12
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kmann di Fulda trasferisce per la prima volta la Via Crucis all’aperto, la stessa che ancora oggi troviamo svolgersi nelle strade delle nostre città. Nel 1991, Giovanni Paolo II, nella Via Crucis al Colosseo, modifica l’ordine tradizionale delle quattordici stazioni a favore della quindicesima relativa alla Resurrezione di Gesù. Non poteva, difatti, concludersi il percorso della redenzione con l’arresto e la morte di Cristo quando lo scopo ultimo è la salvezza del genere umano. La Resurrezione resta infatti l’atto più glorioso compiuto dal Padre sul Figlio.
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Eugenio Giannì Ricordo di un artista: Luciano Capetti Nulla delle filosofie dell’arte del tempo influenza l’opera di Luciano Capetti: Informale, Espressionismo astratto e poi le dialettiche che hanno dato vita alla cosiddetta Arte Contemporanea degli anni Sessanta, dalla Poesia Visuale al Nuovo Realismo, passano lasciando alle spalle solo poche tracce. Urbino, la città in cui nel 1936 Capetti è nato, costituisce un’oasi entro cui si generano atteggiamenti artistici isolati che trovano forti agganci nella cultura classica, senza tuttavia togliere lo sguardo su alcuni momenti salienti del primo Novecento, quali Metafisica e Surrealismo. Ciò che si respira è il silenzio della natura e la sua forte spiritualità, che non vuol dire “religiosità” ma sentimento arcano che aleggia sul creato, ed è ciò che infatti si sedimenta nella memoria, quali impulsi, sensazioni ed emozioni che si elevano dal respiro del tempo e si stratificano nella vita dell’artista. Capetti è destinato ad un progetto di vita studiato dai genitori, ma che non trova accoglienza nello spirito che lo sostiene, certo d’essere destinato ad altri scopi. Da probabile impiegato delle poste si avvia ad un percorso considerato difficile, quello dell’arte. Ma è l’arte che lo motiva e sceglie di accettare, grazie alle indicazioni dell’amico artista Franco Fiorucci, le difficoltà che essa presenta. Le prime opere attestano una capacità tecnica piuttosto rara congiunta ad una fascinosa creatività. Non guarda il passato, anche se n’è pervaso, ma il presente, vale a dire la realtà che lo circonda e le mutazioni della natura. La campagna è un altare dell’arte. Ma anche gli oggetti che lo attorniano si offrono con la medesima aura spirituale. Rappresentano la vita a fianco dei genitori e questi si imprimono nella memoria per diventare un archivio di immagini, di sensazioni, di gioie, ma anche di delusioni, di disgregazione, che è 14
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dell’uomo come degli oggetti; ciò che tuttavia predomina è la fede, ovvero un sentimento sacro che esala da ogni immagine, da ogni forma, da ogni complesso. Questo impulso non lo abbandona mai, neppure quando, successivamente, si trasferisce a Terni e qui opera fra la moltitudine delle persone e lo strepitio della città. Terni non è Urbino, ma ciò che continua a fornirgli sostegno è il senso dell’immaterialità di Urbino, del suo territorio e del ricordo che della storia conserva, come testimonia il suo successivo ritiro a Collestatte, piccolo borgo montano in provincia di Terni. Capetti non si spoglia dei suoi abiti per metterne altri; al contrario, continua a vivere come se continuasse ad avere davanti a sé la campagna urbinate, come se fosse circondato dall’arcano silenzio che lo aveva modellato nello spirito. La città si agita nel dialogo, ma Capetti vive una realtà del tutto diversa: taciturno, quasi distaccato dai dibattiti sull’arte, è però silenziosamente presente nei momenti delle grandi manifestazioni culturali. Passa da solitario, ma vive una vita densa, piena ed armoniosa con lo spirito che lo agita interiormente. Ciò che realizza è solo ciò che desidera comunicare: lo fa con poche parole e affida all’arte la sua eloquenza. Sono un esempio le opere che presenta alla mostra realizzata all’Accademia di Romania a Roma nell’ottobre del 2001 con il titolo “Senza titolo” e che pongono in difficoltà chi volesse comprenderne la poetica di base. Senza titolo presuppone, infatti, una difficoltà di “collocazione”; diciamo che rende difficile portare in superficie le implicazioni letterarie, filosofiche ed artistiche che hanno reso possibile l’opera e che Capetti risolve mediante la vacua definizione di un titolo che serve solo alla sua enumerazione temporale. Il contenuto, quello che si cela nel profondo, è tutto da scoprire, poiché le informazioni sono piuttosto labili e superficiali, considerato che non permettono di entrare nel “mistero” di un’azione fatta Arte. È vero che l’artista ha fornito di titoli i suoi lavori, ma “Senza titolo” è sintomatico della sua intera attività, e anche quando l’opera offre all’osservatore immagini come lo spaventa15
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passeri, nidi di uccelli, grate, persiane ed altro ancora, risulta gravoso coglierne il senso ultimo. Spesso usa termini come sofferenza, privazione, dolore, ecc. ma non permettono di penetrare l’animo dell’artista. Un esempio è lo Spaventapasseri: immagine inquietante della campagna avvolta nel silenzio che si offre anche come segno di una religiosità mai venuta meno, poiché rimanda al simbolo del Crocefisso. Un simbolo che è di sofferenza e di timore, come lo spaventapasseri per gli uccelli, ma è anche di redenzione, come per gli uccelli quando si abituano all’immagine e in esso trovano rifugio e protezione per i loro piccoli. Si potrebbe pensare che tale habitat modifichi il senso dello spaventapasseri, in realtà non è così, poiché la presenza degli uccelli al suo interno non sempre costituisce un ambiente in cui il rapporto si fortifichi; accade invece, nella maggioranza dei casi, che esso non si instauri e la presenza della “coppia” è solo l’insieme di singoli elementi, come confermano le immagini speculari delle teste rivolte in direzione opposta. Certo, nella coppia vi è vicinanza formale, ma viene meno la comunicazione; vicinanza fisica, ma non rapporto, quello per cui è bene stare insieme. Assenza di comunicazione, perciò, ma anche di tempo e di spazio. Questa è solitudine, oltre che inquietudine. Un altro aspetto che merita rilevare della poetica di Capetti è la presenza esagitata che riveste l’immagine della serratura e che implica la presenza di una porta. L’apertura di quella porta è una speranza, ma anche un motivo di angoscia. Da quella serratura si può solo sbirciare, farsi un’idea di ciò che separa il qua dal di là. Ed è forse meglio che rimanga chiusa, a testimoniare una separazione che non sempre risulta ostile. Senza titolo, spaventapasseri, nidi di uccelli, serrature, serrande, teste di bambole ed altri oggetti ancora sono codici di lettura che fanno del silenzio il vero senso dell’opera; un silenzio arcano, perché causato dal mistero della vita, ma proprio per questo sublime. È questa la ragione del fascino che permea l’intera produzione; un fascino di cui sentiamo 16
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una grande attrazione e che offre di cogliervi la poesia che l’artista tesseva ad arte. Una mirabile conferma si ha nell’opera Spaventapasseri con colomba, firmata e non datata (donata alla chiesa della Madonna del Rosario di Agello) con la quale chiudiamo questo “ricordo” e che segna la maggior concentrazione dello spirito in uno spaccato di esperienze che hanno come enigma della vita l’abbraccio delle ali della colomba e una figura che è emblema della sua stessa salvezza, lo spaventapasseri. Abbraccio che è difesa e attenuazione del dolore delle spine sul capo, ma anche emblema di una storia che ha rivoluzionato il modo di pensare Dio.
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Gli artisti e le opere La storia dell’arte è uno scrigno di bellezza visiva che ruota sulla vita e la passione di Cristo. Pittori, scultori, registi, ecc. hanno colto i punti salienti di tale percorso e ne hanno magnificato i momenti con maestria e competenza tecnica. Bastano i soli nomi di Albrecht Dürer e Giandomenico Tiepolo per comprendere il senso della loro religiosità, spesso legata ad una cultura platonica, come quella di Dürer, che sosteneva il principio che “L’arte ha ragion d’essere, se è indirizzata ad onorare il Signore”, come confermano molte delle opere realizzate sulla vita di Cristo, quali Il tradimento di Giuda, La flagellazione, Compianto su Cristo, oggi al Hessisches Landesmuseum di Darmstadt, o il Polittico dei Sette Dolori per la Schlosskirche di Wittenberg, ad esempio, ma anche innovativa e moderna come quella di Tiepolo realizzata nel 1747 per l’Oratorio del Crocefisso a S. Polo o quella per la Chiesa dei Frari a Venezia, con la quale si chiude una tradizione pittorica tutta italiana. A questi e ai tanti personaggi che hanno tempestato la galassia dell’arte, dal medioevo ai giorni nostri, vanno annoverati gli artisti che, uniti nello spirito, continuano a far “rivivere, all’interno della chiesa della Madonna del Rosario di Agello, e con una diversità tipologica e creativa, gli atti più inquietanti della vita di Gesù.
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1. Giulio Viscione
Gesù nell’orto degli ulivi Giunsero intanto a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: “Sedetevi qui, mentre io prego”. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. Poi, andato un po’ innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse oltre da lui quell’ora. E diceva: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi” (Marco 14,32-36).
Viscione, personaggio di grande cultura, capace di cogliere nell’evolversi delle stagioni dell’arte il senso che la comunicazione assume nei riguardi dello spettatore, non si lascia tradire dalle speculazioni teologiche e filosofiche che un soggetto come Gesù nell’orto degli ulivi ha registrato nel corso della storia; e non tanto nella sua impostazione formale, sovente descrittiva e spesse volte didascalica, quanto nel rapporto inter-dialettico che l’opera è chiamata ad instaurare in relazione alla propria realtà. Per Viscione l’opera costituisce una sfida concettuale sia nel modo di interpretare e proporre il soggetto, sia nella scelta della materia pittorica, la quale non asservisce la piattezza della pittura tradizionale ma armonizza la stessa con soluzioni plastiche. Ciò che si determina non è perciò un gioco spaziale causato dai diversi rapporti tonali, ma una plasticità formale che trova sostegno nella variabile cromatica della luce che invade il soggetto; per l’artista ciò che esalta il senso del tema, che ruota tra la paura e l’angoscia del Cristo nel Getsèmani nel superare tale momento e il desiderio di compiere la volontà del Padre, non è tanto l’angoscia quanto il senso di solitudine che si instaura tra il Cristo e i discepoli. Non a caso per l’artista la presenza di questi ultimi non è presa in considerazione; nell’opera non compaiono, restano fuori dal “campo”, incapaci di determinare una corretta connessione spirituale col Cristo, che li ha voluti non tanto come testimoni quanto come sostegno spirituale, ma che risultano, alla fine, una specie di 19
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zavorra, da come si deduce dalle parole di Gesù a Pietro dopo aver pregato: Simone, dormi tu? Non sei stato capace di vegliare un’ora? (Mt 14, 37). Per Viscione, infatti, non è necessario che quest’apparato scenografico faccia parte della composizione, poiché il suo intento è immettere l’osservatore a contatto diretto con il senso reale del soggetto, ovvero con la genesi dell’angoscia. E qui il gioco si fa particolarmente affascinante, poiché l’osservatore è posto davanti alla triade terra-luce-cielo. Il Cristo è il “medio” di questa triade, di cui Egli stesso fa parte, la luce. Ma è una parte piuttosto ridotta rispetto alla dimensione spaziale dell’albero davanti a cui sta il Cristo. L’albero, che gioca un ruolo non secondario, non tanto per la sua dimensione ma soprattutto per il suo significato simbolico, poiché rappresenta, nella sua plasticità cromatica, il genere umano, è il perno attorno a cui ruota il messaggio e che ha come punto nodale proprio il sacrificio di Cristo. È perciò questa umanità, posta tra terra e cielo, che necessita della chiarezza interiore che Gesù può donare e solo per la quale è possibile accedere al regno del Padre. Il Cristo di Viscione, in altri termini, non si presenta sotto il profilo della paura e dell’angoscia interiore ma nell’atto della meditazione di fronte all’alberoumanità. E si esalta proprio in virtù della luce di cui è circondato. Immagine che in Viscione trascende la percezione iconografica a cui il passato ci aveva abituati (pensiamo ai mosaici paleocristiani nel duomo di Monreale o in San Paolo fuori le mura a Roma) per trasformasi in pura iconologia, ovvero in una libera e dettagliata interpretazione dei simboli dei quali il soggetto si compone.
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2. Franco Bellardi
Gesù, tradito da Giuda, è arrestato E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Chi lo tradiva aveva dato loro questo segno: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta”. Allora gli si accostò dicendo: “Rabbì” e lo baciò. Essi gli misero addosso le mani e lo arrestarono. Uno dei presenti estratta la spada, colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise l’orecchio. Allora Gesù disse loro: “Come contro un brigante, con spade e bastoni siete venuti a prendermi. Ogni giorno ero in mezzo a voi a insegnare nel tempio, e non mi avete arrestato. Si adempiano così dunque le Scritture!” (Marco 14,43-46).
Anche in questo caso, per Bellardi il fulcro del passaggio descrittivo di Marco non risiede nella presenza dei sommi sacerdoti, né nella folla armata di spade e bastoni, ma nel dialogo, nel rapporto a due tra Giuda e Gesù. L’artista non ama scendere nei dettagli perché è consapevole come sovente un allargamento dell’orizzonte non sempre comporta una maggiore comprensione ma, al contrario, una dispersione dell’atto comunicativo. Bellardi sceglie di spogliare il soggetto dai contorni che risultano essere negativi, sia dal punto di vista percettivo che descrittivo, ed incentra l’informazione sull’opposizione formale dei due personaggi. Il saluto sarcastico di Giuda è sostenuto non solo dall’aspetto iconografico (le labbra semiaperte, gli occhi rivolti verso il Cristo, quasi in un momento di inaspettato incontro) ma in particolare dall’incisione verbale posta tra i due: Salve Rabbi! Dall’altra parte il Cristo, assorto, pur tuttavia consapevole della presenza inquietante alle spalle (quella del traditore), a cui non rivolge uno sguardo o un rimprovero, poiché di per sé già presenza sgradevole. Dato non secondario è la scelta cromatica dei due: quella del Cristo, centrata su delle tonalità calde, come l’arancio e il rosso, con note di chiaroscuro che vanno dal verde all’azzurro (conseguenza di effusione del sarcasmo demoniaco di Giuda) e quella di quest’ultimo, tessuto tra la scala del giallo, verde e azzurro, e un 21
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fondale che sembra figurare quello di una scena teatrale, atta a nascondere, a proteggere la natura “creata” entro la quale si svolge l’azione. Ciò che infatti merita offrire all’attenzione dell’osservatore per l’artista non è l’ambiente, non la folla e neppure l’atto del bacio su cui Giuda affida il suo voltafaccia, quanto il dato psicologico che carica l’evento: quello mefistofelico e carnale della persona di Giuda e quello ascetico e spirituale di Gesù, chiamato ad obbedire e portare a compimento la missione della salvezza; una scelta compositiva, perciò, di grande impatto visivo, che l’osservatore non può non cogliere come nota dominante dell’intero itinerario cristiano. Ma vi è un altro elemento che occorre rilevare, vale a dire la particolare capacità dell’artista di tratteggiare il soggetto con forza facendo emergere dal segno lasciato dalla pennellata, veloce e vigorosa, un tratteggio nel modo che si deduce dal testo di uno scrittore. L’artista abbozza, delimita e fa crescere il soggetto muovendolo dal bozzolo della coscienza per fornirgli una vita propria e abbandonarlo successivamente alla contemplazione dello spettatore. Ciò che si concede è la dinamica di tale processo, la quale con forza fisica e ascetica blocca l’osservatore di fronte all’opera. Non è il suo aspetto iconografico (d’altronde mai presentato dagli artisti che si sono cimentati attorno a tale soggetto) ma è la sua potenzialità interna a smuovere dalle incrostazioni lo spirito dell’uomo e a permettergli di afferrare il senso della sofferenza che trafigge quando una persona, di cui si ha fiducia, si trasforma in un inguaribile nemico e tende a nascondersi sotto la maschera beffarda della dolcezza. Bellardi non è nuovo a tali temi, considerato che da anni non ha fatto che proporre, con la sua ineguagliabile tecnica, soggetti religiosi di grande intensità emotiva in diversi locali di culto come quelli della Chiesa di Santa Maria Maddalena in Colli sul Velino. Al pari di quelle, contrassegnate da una forma di “comunicazione rappresentata” e da un’iconografia individuata sul territorio, quest’ultima formella, Gesù, tradito da Giuda, è arrestato, oltre a non allontanarsi da tale linguaggio, ha il merito di aver dato una nuova 22
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lettura al tema trasformando il senso tormentoso della solitudine esistenziale in valenza spirituale.
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3. Giuseppe Fioroni
Gesù condannato dal sinedrio Intanto i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano […] Allora il sommo sacerdote, levatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: “Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?”. Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”. Gesù rispose: “Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo”. Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: “Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?”. Tutti sentenziarono che era reo di morte (Marco 14,55.60-64).
Il terzo atto, con il quale si sentenzia la colpevolezza di Gesù, pone sul banco degli accusatori il clero, ovvero quella parte di potere che ha la supremazia su quello politico. Al sommo sacerdote non interessa “conoscere” la verità rileggendo con accuratezza i testi in cui si annuncia la venuta del Messia, ma eliminare chi potrebbe minare il fondamento stesso del potere religioso. Non sono le testimonianze false ad indurre alla condanna, non a caso non trovano risposta nel silenzio di Gesù, ma “identificarsi” con Dio, il Padre, è la colpa che porta alla condanna. Fioroni non si limita a presentare sul banco dell’accusa il solo sommo sacerdote, ma tutto il sinedrio (capi sacerdoti, anziani e scribi), vale a dire anche coloro che con il loro silenzio hanno aderito al giudizio sentenziato da Caifa. A Fioroni, comunque, non bastano questi semplici accenni, occorre far comprendere che tra la casta sacerdotale è pure presente un rappresentante del potere politico, e cioè un soldato pretoriano del procuratore della Giudea, Ponzio Pilato, il quale ammanetta Gesù per condurlo presso il luogo del giudizio “politico”. La scena di Fioroni è minuziosamente descrittiva; un racconto diligente da impedire una diversa lettura, la presentazione di un sinedrio all’interno del tempio impassibile di fronte alla condanna a morte, rivestiti dei loro son24
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tuosi abiti e riconoscibili dei loro singoli poteri e della loro appartenenza grazie alla cura dei particolari che l’artista tratteggia con libertà tecnica offrendoci un quadro caratterizzato da una stesura attenta ai dettagli del colore, e da un primo piano dove a qualificarsi, per la loro inequivocabile descrizione, è il sommo sacerdote seduto a sinistra, il soldato al centro e Gesù coperto da una tunica color rosso, da cui traspare il blu del manto sottostante. E’ il rosso della veste del Cristo che esalta la figura in primo piano, luminoso rispetto al color porpora degli abiti di alcuni membri del Sinedrio, quale quello del sommo sacerdote, e simbolicamente invasivo per il senso che assume nella storia dell’arte sacra. Fa da sfondo l’interno del tempio, con le sue colonne e il soffitto a carena di nave color giallo che con vigore esalta i contrasti visivi. Fioroni, per quanto raramente si è cimentato con soggetti religiosi, non si lascia deviare dal tipo di racconto. E’ consapevole che questa storia è simile a tante altre in cui l’uomo innocente si trova a dover pagare un prezzo per la verità: uomini semplici, lontani da ogni forma di potere; uomini indifesi, posti ai margini della società, ma di grande levatura morale, consapevoli di una libertà che vale ogni tesoro. Sono circensi, donne abbandonate, famiglie che vivono nella privazione, ma che accettano tale stato con la stessa spiritualità francescana di persone che sanno che esiste un bene più grande e che a loro non può essere precluso.
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4. Rodolfo Pantaleoni
Gesù tradito da Pietro Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una serva del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo fissò e gli disse: “Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù”. Ma egli negò: Non so e non capisco quello che vuoi dire”. Uscì quindi fuori del cortile e il gallo cantò. E la serva, vedendolo, cominciò a dire ai presenti: “costui è di quelli”. Ma egli negò di nuovo. Dopo un poco i presenti dissero di nuovo a Pietro: “Tu sei certo di quelli, perché sei Galileo”. Ma egli cominciò ad imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo che voi dite”. Per la seconda volta un gallo cantò. Allora Pietro si ricordò di quella parola che Gesù aveva detto: “Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte”. E scoppiò in pianto (Marco 14,66-72).
Anche nel caso dell’opera di Pantaleoni la scelta si indirizza sull’esclusiva presenza dei due protagonisti, Pietro e Gesù, in uno spazio aperto, qual è l’orto del Getsèmani, e in lontananza le prime abitazioni della città di Gerusalemme avvolte in un pacato e misterioso silenzio. L’artista non tratteggia le reazioni dei singoli individui di cui si narra nel racconto, né descrive lo spazio entro cui si svolge l’azione, come la presenza del fuoco attorno a cui ruotano i personaggi, ma solo la presenza inquietante del gallo chiuso in una gabbia come a sussurrare il suono del suo canto all’orecchio di Pietro. Pantaleoni rileva i momenti salienti del racconto con i tre protagonisti principali, Gesù-Pietro e il gallo, punto culminante di un’angoscia iniziata al Getsèmani e conclusa con un amaro pianto al canto del gallo. Tutto il resto è secondario, poiché ciò che merita esaltare è l’inquietudine che pervade la scena. Creando un particolare distacco fisico tra Gesù e Pietro, quasi un dialogo in lontananza affidato allo sguardo, all’ottenebrato volto di Pietro (immerso nei suoi pensieri su quanto gli è stato comunicato in precedenza dal Maestro) e ad un cielo che si abbassa turbinoso sulla natura da porsi come immagine speculare della parte inferiore dell’opera (su cui si estende il 26
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medesimo contrasto cromatico), l’artista tende a determinare una forte tensione che si traduce nell’osservatore in una sofferenza psicologica. Anche la tecnica merita una particolare attenzione, poiché Pantaleoni non si lascia coinvolgere dal potere del segno con il quale tratteggia la composizione ma cerca di fonderlo e amalgamarlo armoniosamente alla morbida stesura acquerellabile del colore. Un procedimento di gran rilievo, se si considera la ricchezza spirituale con cui descrive tale episodio e la profusione dei toni della suggestiva tavolozza cromatica, i cui accordi, contrapposti in caldi e freddi, generano sensazioni di particolare intensità emotiva.
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5. Giampiero Nucciarelli
Gesù giudicato da Pilato Pilato replicò: “Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?”. Ed essi di nuovo gridarono: “Crocifiggilo!”. Ma Pilato diceva loro: “Che male ha fatto?”. Allora essi gridarono più forte: “Crocifiggilo!”. E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso (Marco 15,12-15).
L’opera di Nucciarelli esce dalla scena per infrangere le barriere dell’arte tradizionale e muoversi all’interno di un territorio ove aspetti espressionisti convivono in stretta simbiosi con elementi di natura astrattiva; da una parte, infatti, la figura di Pilato, proposta in grigio nell’angolo superiore sinistro del quadro e nervosamente elaborata nelle parti come una statua di marmo, dall’altra quella di Gesù, rivestita di un abito giallo da trasformare l’intero componimento evangelico in un giallo della storia sacra. A separare la figura del Cristo in primo piano (piano americano) da quella posta sul piano gradinato di Pilato, come ad avvalorare la differenza di stato tra i due, si interpone il pavimento mattonellato in bianco e nero ed uno sfondo amorfo da far pensare ad una parete aperta, indefinibile e perciò priva di una connotazione ambientale. L’atmosfera non è certamente rasserenante; è già implicito il verdetto di condanna, oltre l’incapacità di Pilato di instaurare un corretto rapporto. Tutto sembra indurre ad una forma di angoscia: il luogo come la presenza dei due “attori”, pervaso oltre che da un’atmosfera di solitudine anche da un interiore segno di sofferenza. Una forte attenzione, come si è accennato, è rivolta dall’artista al monocromatismo, al suo potere di risvegliare forme di paure ancestrali, alla inequivocabile perdita di una possibile protezione e all’angoscia dello spirito colto dal sopruso e dalla violenza fisica. Sono questi i momenti rilevanti che l’opera di Nucciarelli pone in essere, tanto evidenti da trovare dei corrispettivi nell’attuale condizione della vita umana. 28
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L’artista non intende, dunque, trasferire l’osservatore in un particolare luogo della terra, né indurlo a rivedere un momento della storia, ma offrirgli la possibilità di leggere il passato attraverso il presente, che nulla appare cambiato nella lotta tra il bene e il male. A confermare l’ingombrante senso di angoscia è la perdita d’identità dei due personaggi, la difficile lettura dei loro volti, sfaldati in piani spigolosi ed informi, duri, pietrificati, in contrapposizione alla realistica elaborazione della catena che tiene legate le mani del Cristo. Una storia umanamente ingombrante, difficile, ma una costante nell’opera pittorica di Nucciarelli, se si considera che si è sempre nutrita alla fonte dello spirito di Ensor e a quello affranto ed angosciante di Bacon.
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6. Franco Fiorucci
Gesù Flagellato e coronato di spine Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la coorte. Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo. Cominciarono poi a salutarlo: “Salve, re dei Giudei!”. E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui. (Marco 15,16-19).
Cogliere l’essenza dello spirito che ha mosso l’artista a pensare, progettare e realizzare l’opera Gesù flagellato e coronato di spine, non è solo un fatto culturale ma un’azione interiore che l’osservatore deve compiere identificandosi con l’uomo-artista e ripercorrere nello spirito il tracciato da lui realizzato nel corso degli anni. Occorre infatti partire dai tempi in cui studiava ad Urbino, e perciò dalla spiritualità del luogo e dagli influssi esercitati da molti artisti che hanno lasciato la loro impronta sulle pareti di molti edifici, poi aprirsi un varco mentale e penetrare psicologicamente nel mondo delle avare terre di Moltefeltro e della gravosa vita della popolazione, rappresentata in larga misura da pastori, contadini, allevatori di bestiame, ecc. percepirne le luminescenze, la pesantezza fisica del paesaggio, la lotta contro le intemperie, per poi affacciarsi verso il mare, l’Adriatico, e qui continuare ad osservare la spossatezza dei pescatori, la lotta per la sopravvivenza contro i capricci della natura, e tanto altro ancora. Quanto da questo spaccato emerge, e che accomuna a livello sensitivo l’intera produzione di Fiorucci, è la durezza del colore, i toni ottenebrati, non rassicuranti, la violenza pittorica del tratto, la pennellata vibrante, veloce, pesante: un pugno nello stomaco. E si potrebbe pensare che l’artista esca dalla difficile trattazione quando dal paesaggio passa ai soggetti di natura religiosa; al contrario, la violenza dei toni è così accesa che sembra impossibile pensare ad un operato dello spirito, ovvero che sia questi la forza motrice di quel sentimento che vede in Dio Colui che ama. Se si dovesse co30
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gliere una qualche impressione sul senso dell’amore, nel modo che è stato insegnato dagli artisti del passato, l’osservatore rimarrebbe altamente deluso: tutto sembra concentrarsi più sul senso della sofferenza che non su quello dell’amore. E, ripetiamo, non è solo nel caso di soggetti che hanno come tema la natura o l’uomo (Quelli che ritornano, del 2004, o Sotto il bosco, 1999, Per Memoria, 1989, Alle reti, 1980, ecc.), ma anche in quelle che hanno come tema eventi di natura religiosa, come le opere realizzate per la Chiesa di “Cristo Risorto” a Pesaro (L’ultima cena, Il bacio di Giuda, La crocifissione, ecc.): in tutte, ciò che si pone in primo piano è la natura della sofferenza, sia fisica che spirituale, una forte partecipazione che sembra vissuta in prima persona. Anche nel caso del Gesù flagellato e coronato di spine l’artista non si esime dal mettere a fuoco la gravità della sofferenza ed elabora una composizione in cui il Cristo appare lottare contro la materia confusa, aggressiva ed inglobante dello spazio, a cui concorrono alcuni particolari che sembrano emergere dal nulla, i colori fortemente cupi, sbiaditi della loro vera natura, e forme-informe inqualificabili per mancanza di identità e crudezza con cui l’artista le definisce. E’ solo il groviglio degli elementi dalle tonalità chiare e contrassegnate dal rosso-sangue, con il quale Fiorucci tratteggia la figura del Cristo incoronato, ad emergere in primo piano e creare valenza spaziale; il resto giace all’interno di un conflitto che vede contrapporsi la natura e lo spirito: uno spaccato dove ad affiorare non è solo l’angoscia e il dolore fisico ma il senso stesso della vita. Fiorucci, che non ha mai perso di vista le sue origini e la sua cultura religiosa, si immerge nelle profondità dello spirito per portare in superficie le ragioni del progetto già esposte da Dio in Genesi, le quali testimoniano, più che del dolore, del superamento della vita stessa. Ciò che difatti l’opera intende porre sul piano dell’osservazione non è tanto un’identificazione di natura storica, e perciò emozionale, ma una compartecipazione spirituale alla vita del Cristo.
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7. Luciano Crisostomi
Gesù caricato della croce Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti… (Marco 15,20). Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota…(Giovanni 19,17).
Improntata ad una denuncia sociale, ad un’indagine psicologica della natura umana e alla sua inquietudine, la pittura di Crisostomi conserva i segni di un’impostazione formale e di una tecnica che trova sostegno nella cultura del primo Quattrocento. Il fatto, poi, che ogni opera nasce da una forma di “empatia” con gli artisti del rinascimento, ha permesso a Crisostomi di cogliere nell’angoscia il profondo ed universale fremito della condizione umana. Mediare la propria sensibilità ascoltando il battito dello spirito del tempo, infatti, permette all’artista di far rivivere sulla tela gli attimi silenziosi dei momenti cruciali della vita umana. Lo ha fatto con Potere e violenza, mostra realizzata nel 1971 a Terni, lo ha fatto con Donna. Da soggetto a pretesto di una mostra nel 1975 a Terni, e lo ha fatto con Paradeisos nel 1990 alla Pinacoteca di Terni. Nel caso di Gesù caricato della croce Crisostomi torna a ripercorrere il vecchio sentiero proponendoci, appunto, un particolare evento della vita di Cristo con lo sguardo rivolto al passato, a quella cultura che lo ha sempre ispirato e che lo ha reso sensibile ad alcuni temi di carattere religioso. L’impostazione piramidale del soggetto conferma, difatti, il desiderio di uniformare la propria visione a quella ormai resa storica nella cultura sacra. Questo non solo gli permette di evidenziare alcuni aspetti simbolici della natura divina di Gesù nella formulazione triangolare della scena, ma gli offre la possibilità di registrare un parallelo con i tre personaggi che occupano lo spazio visivo. Il “Tre”, presente nella maggioranza delle opere a sfondo religioso, si rafforza, in questo caso, sia con l’impostazione obliqua 32
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dell’asse portante della croce e quella verticale del Cristo, sia con i tre bracci offerti dalla croce stessa (due del braccio orizzontale e uno di quello verticale), sia col numero dei personaggi. La diagonale della croce rompe quella che invece potrebbe apparire uno stato di stasi, come rivela l’eterea espressione del volto del Cristo, ma rompe anche l’arcano silenzio in cui versa la natura. Se non fosse per questo virtuale dinamismo, l’opera si offrirebbe come semplice blocco di un fotogramma cinematografico. All’artista, infatti, non interessa porre l’enfasi sulla sofferenza fisica, poiché l’accettazione della croce da parte di Gesù è il paradigma della liberazione, la sconfitta della morte. Non è un caso la scelta tecnica, la quale rende evidente, grazie alle distinte velature cromatiche, la “normalità” dell’evento e colloca in secondo piano il senso dell’angoscia e del tormento. La fuoriuscita dal campo visivo dei soldati romani permette all’artista, inoltre, di ridurre l’impatto con il pathos della scena e la formazione di un effetto pungente con la docile immagine del Cristo: sostituendoli con due umili personaggi, infatti, ha messo ha tacere gli aspetti reattivi e conservato l’alone di mistero che permea la scena.
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8. Ferruccio Ramadori
Gesù aiutato dal Cireneo a portare la croce Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce (Marco 15,21).
Nessuna parvenza di immagini che possa offrire all’osservatore la possibilità di percepire il senso del soggetto, da cui si vorrebbe rilevare almeno la presenza di Simone di Cirene. Neppure una definizione del luogo, del paesaggio o di un particolare tale da permettere una possibile trascrizione “visiva” della storia di Gesù. Nulla, nulla che possa offrire nello specifico una chiara definizione del momento in cui Gesù si trova ad abbandonare la croce con il suo sovrabbondante peso sulla spalla del cireneo o una sua breve definizione. Nulla che possa determinare una relazione formale con le usuali “stazioni” che si trovano ad illustrare tale percorso, ma solo un’interessante e complessa trattazione esoterica del soggetto. Ad essa l’artista connette le tre lettere dell’alfabeto, A, B e C, posizionate nel modo di un triangolo virtuale, all’interno del quale prende posto la croce come in uno scrigno. Il significato delle lettere si impone non solo come simbolo della Trinità, e dunque il Padre che non lascia cadere nel vuoto la domanda del Figlio: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mr 15, 34), ma anche come inizio e luogo del linguaggio cristiano. Ad esse si lega anche un significato che è di perfezione sia numerica che sacrale: il tre. Tutta la storia sacra attesta, difatti, l’importanza del tre, non solo quella giudaica (si pensi ad Abramo avvicinato da tre uomini che lo invitano ad allontanarsi da Sodoma e Gomorra (Gn 18,2); al comando di celebrare tre volte l’anno una festa a Dio (Es 23,14); a Giona che fu nel ventre del pesce tre giorni (Gn 2, 1), ecc. ma anche quella cristiana come si rileva non solo nell’unità di Padre, Figlio e Spirito ma anche nelle tre cose che, secondo Paolo, perdurano: fede, speranza e carità (1Co 13,13). A tutto ciò è da associare la lettera “V” alla base dell’opera, che sta come Vittoria sul male 34
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(Cristo adempie, infatti, la legge con la sua morte e permette all’uomo di accogliere la vita eterna come un dono), ma anche come numero romano, cinque, il quale, congiunto alle tre linee verticali (rafforzamento visivo della Trinità), permette di definire “numericamente” l’ottava stazione. Merita rilevare inoltre che al di là del richiamo al popolo ebraico del numero “tre”, e dunque alla loro partecipazione alla morte di Gesù, vi sono da annoverare anche i Romani, a cui la lettera-numero, appunto, allude. Tale struttura risulta essere anche formalmente necessaria all’intera composizione in quanto permette una maggiore dinamicità dell’opera ed una maggiore coesione simbolica tra la croce e le tre linee proposte come fasce che dal basso si irradiano verso l’alto. Un breve richiamo l’impone anche lo sfondo, che l’artista elabora con minuziosa tecnica informandoci sullo spettro che davanti a Gesù doveva presentarsi: quello della collina del “Teschio” o Golgota. La croce, infatti, pare impiantarsi mirabilmente nel suolo della collina come eterea immagine di un evento intriso di storia ma anche emergere con potenza dalle nebbie della memoria.
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9. Luigi Francescangeli
Gesù incontra le donne di Gerusalemme Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli (Luca 23,27-28).
Francescangeli non è nuovo alla trattazione di temi in cui la sofferenza e la perdita dei valori costituiscono la base portante del suo itinerario artistico. Ma contrariamente a quanto realizzato in precedenza, dove il disagio sociale, la paura e la stessa inanità trasformano l’essere umano in un informale insieme di immagini, in questo caso, il cui soggetto ha carattere religioso, l’artista, pur muovendosi sempre all’interno di un’esposizione di tipo espressionista, espone i suoi personaggi con un volto ed un’espressione da cui è possibile percepire direttamente il senso del dolore. Non più il ricorso ad una “informale” presenza dell’uomo, né ad una indefinibile descrizione del luogo, ma (convinto che una particolareggiata trasposizione del testo in immagine sia il modo più appropriato per veicolare il contenuto) un adeguamento storico al sistema di rappresentazione. Ovviamente, l’opera di Francescangeli non ripropone “fedelmente” il testo da cui è tratta, non instaura il suo messaggio all’interno dello spazio-tempo in cui l’evangelista inserisce la scena, ma si preoccupa di fornire una “trattazione” fuori tempo”, se si considera che le due croci che si elevano sullo sfondo e collegano terra e cielo con la loro formazione a “V” – come a confermare in anticipo la vittoria sulla morte – appartengono ad un momento successivo. L’artista, infatti, non è incline ad una semplice registrazione storica, poiché il senso nascosto che il particolare evento intende mettere in primo piano non è il movimento successivo, vale a dire la crocifissione di Gesù, quanto le conseguenze del suo ritorno al Padre e del vuoto che sarebbe stato riempito dal male. 36
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L’espressione con cui l’artista descrive i singoli personaggi femminili posti alla sua destra conferma che l’angoscia non è che conseguenza delle parole rivolte a loro: Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Vi è un altro aspetto che merita una particolare annotazione, e cioè la struttura compositiva; certo, anche in questo caso si può parlare di un fotogramma cinematografico “rubato” alla storia, ma un fotogramma che in sé rappresenta l’intero, non una parziale veduta. E l’interezza è data dalla centralità del volto di Gesù e dalle braccia della croce: da una parte il braccio minore, che crea un effetto di parallelismo con l’inclinazione della seconda croce, facendo emergere come dato prioritario non il due dei crocifissi ma il tre quale numero perfetto, dall’altro il braccio lungo tende ad opporsi all’inclinazione del crocifisso proponendosi come contrafforte, forza di contenimento; al di là di tale rinforzo o barriera, ecco un nuovo contrappeso di figure che tendono ad equilibrare quello delle donne alla destra di Gesù. Dunque, un elaborato minuzioso di pesi e contrappesi che mette in evidenza come Francescangeli si sia preoccupato a fornire un unitario corpo d’insieme. Anche il colore, e non poteva essere diversamente - considerato che l’artista ama trasferire nella trattazione della superficie cromatica lo stesso pathos che rileviamo nei personaggi – , si adegua alla spoliazione dei valori dell’essere: impallidito, anzi sporco, perché è impedito che lo stesso possa amalgamarsi al fine di creare un accordo, indefinito, ma anche posto in modo da determinare facili contrasti visivi. In molti casi la figura è semplicemente “tratteggiata”, fusa con altre forme da impedire un’adeguata lettura. Ma è, in fondo, la caratteristica prioritaria di Francescangeli, la sua chiave “politica” di porre il problema, un metodo che permette di suscitare una profonda riflessione su un tema che costituisce una costante nella vita dell’uomo.
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10. Raffaele Tarpani
Gesù crocifisso Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero (Marco 15,24-25).
Nel modo in cui Marco tratteggia la crocifissione di Gesù e nella puntualizzazione dell’ora del mattino, Tarpani cristallizza il soggetto, piuttosto nitido agli osservatori del tempo, con una serie di tratteggi e luminescenze cromatiche da indurre lo spettatore di oggi a ripercorrere col pensiero il particolare momento che ha segnato per sempre la storia dell’umanità. Non il Cristo al centro dell’universo formale, ma al centro delle croci rimosse a sinistra ed in primo piano, rispetto a quelle dei malfattori, collocate in modo da creare un supporto prospettico tale da porlo in posizione avanzata ed offrire una meritevole ed appropriata riflessione spirituale. L’opera, infatti, è costruita su due registri: se quello inferiore ruota sulla rappresentazione decentrata del Cristo, quello superiore, pur mantenendo la medesima impostazione visiva, trova il suo nodo strutturale nell’immagine del sole avvolto da tormentose nuvole che rendono ancor più stringente il connubio delle due parti. Spazio dal forte potere invasivo rappresentato da note dorate e da un giallo che gradualmente si scioglie verso le estremità, lasciando aree innocue di bianco, quale necessaria pausa visiva, ma anche tracce morfologiche del terreno che sembra partecipare all’evento quale riscatto per la vita. Lo stesso Paolo, nella lettera ai Romani, non fa che ribadire il desiderio di attesa della Natura di liberarsi dai legami imposti dalla disubbidienza dell’uomo “per entrare nella libertà della gloria” (Rm 8,19-21). Non è solo l’uomo, dunque, a fruire del beneficio della morte di Gesù, ma l’intera creazione che “geme e travaglia” fin dalle origini. L’artista non si lascia sfuggire il nesso che intercorre tra uomo e natura e a questi due “mondi” affida parte 38
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del supporto spaziale perché possa emergere il senso universale della missione di Cristo. Tutto si sviluppa attorno a poche note cromatiche come l’oro, è vero, ma queste perdono molte delle qualità specifiche e si alterano con l’aggiunta di elementi eterogenei sino a trasformare la nitidezza del tono in una mistura di essenze qualificabile solo dal punto di vista psicologico. Che l’opera sia intrisa di un partecipato sentimento spirituale non è atteggiamento nuovo per l’artista: la piana di Assisi, i boschi che coronano la città di San Francesco, le acque che percorrono il territorio e lo rinverdiscono nei suoi colori, i profumi, che sembrano riportarci indietro nel tempo, creano uno stato di estasi che rende ancor più fulgido l’impulso mistico a quanti lo percorrono o vi operano. Tarpani, artista sensibile alla cultura del luogo, non si lascia sfuggire l’occasione di porre ancora una volta in primo piano tale sentimento quale conseguenza osmotica di una vita adombrata dallo spirito.
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11. Roberto Bellucci
Gesù promette il suo regno al buon ladrone Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso” (Luca 23,39-43).
Se vi è un’opera in cui è possibile ravvisare l’intero percorso artistico di Roberto Bellucci è sicuramente questa formella. Impianto strutturale della Scuola Romana, tagli formali di derivazione postcubista, richiami tecnici di origine astrattive e approccio sensitivo di formazione postespressionista sono gli elementi che si pongono nella loro problematica armonia. Dopo tutto Bellucci non può dimenticare che se la Scuola Romana lo ha in qualche modo formato nel rigore e nella compostezza del complesso degli elementi formali, l’avvicinamento alle poetiche di derivazione astrattiva non poteva non indurlo ad un’azione di sintesi tale da realizzare una composizione dalle valenze espressioniste. Una delle ragioni sembra emergere dal desiderio di veicolare un’informazione spuria da equivoci interpretativi ma, nello stesso tempo, che non lo obbligasse ad infrangere le barriere della cultura di artista in continuo progresso, capace di accogliere gli influssi e di trasformarli in azioni visive. Le tre croci, su cui il testo di Luca impernia il dialogo, si pongono sotto tre gradi di emulazione visiva, a cui corrispondono: quella al centro del Cristo, quella a lato destro dello stesso, e quello a lato sinistro; tre gradi colti nelle tre dimensioni che appaiono davanti all’osservatore e che imprimono valore al rapporto dialettico tra Gesù e il malfattore. A fare da fondale ecco un tumultuoso cielo che rafforza la tempestosa angoscia in cui si trovano proiettati i tre personaggi, due fasce luminose (fuori campo) che invadono il volto di Cristo e 40
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del ladrone pentito, la visione altrettanto tumultuosa delle montagne (come da contrappeso) che circondano il Golgota, con in primo piano le teste di due soldati romani: il primo visto da dietro, il secondo colto di profilo; in lontananza, le tonalità rosee delle montagne, le quali sembrano attestare un evento circoscritto all’interno di un punto preciso dello spazio. Come si è detto, l’artista tratteggia le figure la cui impostazione rivela la sua formazione culturale nella Scuola Romana. Tale accenno non solo conferma che l’influsso non è mai venuto meno, nonostante le trasformazioni subite nel corso degli anni per intervento di poetiche innovative, ma che rimane alla base di ogni costrutto di natura artistica; la stessa stesura postcubista che il paesaggio mette a fuoco, seppure scarno nella descrizione dei particolari, conferma che può esserci “osmosi” tra le regole proposte dalle teorie cubiste e quelle della Scuola Romana. Va da sé che anche la visione postespressionista che aleggia all’interno degli elementi compositivi appare di grande portata, se si considera il senso del religioso che il soggetto promana. Bellucci in qualche modo coordina le sfere del sensibile e dello spirito per fornire una visione accattivante, attraente, del momento cruciale della morte trasformando, paradossalmente, il sentimento del dolore in azione beatificante. Di certo, il peso delle figure di Cristo e del ladrone pentito perde gravità; le figure sono eteree, sostenute da un’invisibile forza che le eleva verso l’alto, eccetto quella del secondo ladrone, che manifesta irrequietezza formale ed una visibile pesantezza fisica. A dividere la triade compositiva sono le teste dei due romani, la prima anonima, e perciò non classificabile, quella tra il ladrone pentito e Cristo; la seconda, dal volto discernibile, e dunque classificabile, quella tra il Cristo e il secondo ladrone. La simbolica permette di cogliere, nella non classificabilità del primo, una forma di empatia tra il desiderio del ladrone e la certezza offerta da Cristo; nel secondo, l’incredulità tipica dell’uomo che crede solo ciò che vede. A chiudere la complessa elaborazione “poetica” sono due rapide pennellate rosse re41
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lative alle piume degli elmi del soldati posti a creare una virtuale struttura triangolare il cui vertice è il rosso della fronte di Gesù. Un lavoro dalle molte valenze, se si pensa alla invisibile presenza delle tre Persone della Trinità, al suo significato di sacro e di puro, e al suo valore universale di sangue versato per redimere l’uomo.
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12. Placido Scandurra
Gesù in croce, la madre e il discepolo Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E dal quel momento il discepolo la prese nella sua casa (Giovanni 19,25-27).
Ciò che induce l’artista a spogliare la scena da ogni sovrastruttura e da ogni peso è il desiderio di offrire allo spettatore non una descrizione dettagliata del luogo (anche se metaforicamente richiamato dalla presenza del teschio) o dei personaggi presenti al momento, ma il dialogo (spurio da ogni contaminazione formale) tra Gesù, la madre e Giovanni l’evangelista. Nessun altro elemento deve poter allontanare lo spettatore dalla partecipazione al sacro dialogo, l’ultimo, in termini umani, avuto con la madre che, con pacata sofferenza, ha vissuto non solo i momenti terminali del Figlio ma l’intera sua esistenza. Non perciò una dettagliata descrizione dell’evento, ma una simbolica sintesi divenuta un modello nella storia dell’arte dei vari paesi. In particolare in Oriente, oltre che in quella italiana. Non è difficile non percepire qualche allusione, ad esempio, all’iconologia del Perugino, che su questo tema ha lasciato opere di gran prestigio. Ma è nella simbolica orientale che Scandurra affonda le sue radici, e non tanto sulla triade dei personaggi, Maria, Gesù e Giovanni, quanto nei colori con i quali tratteggia le due figure: da una parte Maria, che riveste con un abito color rosso, a testimonianza del divino che è in lei, e dunque la sua appartenenza a Dio e la sua missione di “beata fra le donne”, e da un manto color azzurro, che la lega al terreno, alla sua natura di donna creata. Dall’altra la figura di Giovanni, il cui color rosso del manto non solo richiama quello di Maria e ne fa un simbolo di “protezione” divina per aver partecipato alla vita di Gesù nella sua missione terrena, ma diviene un ne43
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cessario punto di equilibrio dei pesi compositivi. La veste sottostante di color verde è quella che lo lega alla terra e lo pone come fonte di benedizione e di sostegno al genere umano. Merita rilevare inoltre che, nel richiamare la simbolica orientale, Scandurra pone una differenza sostanziale tra la natura di Maria, rappresentata dalla veste color rosso, e dunque la sua appartenenza sin dalla nascita confermata dalle parole dell’angelo Gabriele, Ti saluto, o favorita dalla grazia (Lc 1,28), e quella di Giovanni, la cui natura è terrena (veste verde), ma elevata grazie al suo rapporto con Gesù, di cui il manto rosso lo pone come “protetto”. Altro elemento, su cui merita porre l’attenzione, sono le mani del Cristo: la mano destra, sotto la quale vi è Maria, è rappresentata con tre dita aperte e due chiuse; quella sinistra, dove si trova Giovanni, con due dita aperte e tre chiuse. Nella simbolica orientale troviamo, infatti, il tre come segno del sacro, del perfetto, del puro (di cui la sacralità della Trinità), perciò Maria è già considerata della stessa purezza del Figlio; Giovanni, invece, sotto il segno del due, nonostante la sua “protezione” divina, soggiace ancora alla sua natura terrena. La struttura “quadrilatera” della composizione, costituita dal braccio orizzontale della croce e dalle due figure alla base, impedisce che si determini ogni possibile forza dinamica. Tutto si pone sotto il segno della placidità formale, di quiete spirituale, tanto da permettere di superare con attenuazione la crudezza del momento e le tensioni interiori. A tal equilibrio si contrappone lo “spacco” luminoso del cielo che, come un abbraccio a “V”, sembra contenere le sofferenze e confermare la presenza del Padre. In opposizione, invece, la parte inferiore, quella terrena, che nei suoi toni oscuri e tenebrosi permette di percepire le ultime dimore della città di Gerusalemme. Infine la figura del teschio posto in primo piano quale simbolo della morte e della decomposizione della natura umana, ma anche luogo delle crocifissioni o Golgota (in ebraico, cranio) deputato dai Romani come il luogo del giudizio. Una composizione calibrata, dunque, 44
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misurata nelle sue parti, sia a livello formale che coloristico, ma anche una composizione in cui aspetti spirituali e terreni si amalgamano in stretta simbiosi.
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13. Bruno Marcelloni
Gesù muore sulla croce Venuto mezzogiorno, si fece buio sulla terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabctàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: “Ecco, chiama Elia!”. Uno corse ad inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: “Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce”. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio di squarciò in due, dall’alto in basso. Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: “Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio!” (Marco 15,3339).
Marcelloni si muove nel profondo dell’essere, sul dato psicologico, quello nascosto e molte volte insondabile. Nell’aria aleggia solo il suono di parole indecifrabili, che richiede una “traduzione” come risulta dai testi del vangelo. È solo il creato che accoglie il senso dell’angoscia che la morte genera, e per esso si altera, diventa informe, un cielo in cui il suono si dilaga e lo rende avulso d’ogni sana attrazione. Su questo cielo, deteriorato, si eleva la croce, sulla quale non vi è traccia dell’Uomo sofferente, ma segni che confermano un passato registrato nella memoria dell’uomo, simboli, come il triangolo che occupa il posto in cui poggiava la testa del sofferente, ma anche tracce lasciate da un corpo lacerato, di un mondo logorato, solchi di un percorso di vita reale, difficile, ma vera, concreta. Dell’uomo che si è dato per il bene dell’umanità, del Messia che ha voluto coniugare il presente col passato ebraico, rinnovare l’alleanza con l’Eterno, più volte calpestata da Israele, la grande nazione promessa ad Abramo, ma mai contratta con i Gentili, ecco, non rimane che una fragile memoria, un’immagine che testimonia dell’unità di Padre, Figlio e Spirito. Un atto di amore per un’umanità ribelle, protesa più verso il male che il bene, eppure bisognosa di amore. Di tutto ciò nell’opera di Marcelloni vi è una sintesi accuratamente elaborata e profondamente vissuta in prima persona. L’artista, pur 46
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muovendosi all’interno di un repertorio largamente condiviso, va oltre e scopre che non tanto la forma ma il concetto è ciò che permette di cogliere le variabili che il testo pone di fronte al lettore. Una trasposizione formale, infatti, non avrebbe permesso l’accesso nelle profondità di una storia, che sembra essersi ammantata di magia, ma un’elaborazione mentale, concettuale, seppure psicologicamente sofferta, è percepita dall’artista come la sola ad impedire la fuoriuscita di elementi esteriori tali da deformare il senso della morte. Non, perciò, una figura dalle sembianze umane, come testimonia la storia dell’arte sacra, ma la nostra immagine, l’emblema del nostro IO è quella che prende forma e si proietta su noi stessi. Di certo è solo la croce, che rappresenta un itinerario di vita più che di morte: su questa si possono scrivere tutte le singole storie ed essa si riflette sulla storia. Ineguagliabile permane in Marcelloni la proiezione della croce su un fondo in cui è possibile individuare un paesaggio come lo stesso universo. Ecco, già quest’immagine che riverbera la creazione, trascende la consueta visione del Cristo morente. Cristo vive perché Figlio di Dio, come testimonia il centurione ai suoi commilitoni: Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio! Quel veramente ha assunto nell’opera di Marcelloni un pathos profondamente personale, una modalità d’amore compartecipativa all’atto divino: una fusione di spirito. L’opera, tuttavia, si muove su due binari: da una parte quello della figurazione, rappresentata dall’immagine della croce, e dalla sua “regolarità” geometrica (ogni modulo contiene le tracce quali particolari “ingombranti” dell’evento), dall’altra quello antirealistico, psichico, immateriale; il tutto all’interno di una tecnica lignea tradizionale (richiamo materico della croce) quale indissolubile legame con la spiritualità del passato.
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14. Sergio Poddighe
Gesù deposto nel sepolcro C’erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salomè, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme. Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatèa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro (Marco 15,40-46).
Anche in questo caso l’artista allontana dalla rappresentazione tutti gli orpelli su cui, invece, l’evangelista Matteo si sofferma per proporre alla contemplazione dello spettatore la cruda realtà di un “sacrificio”, di cui si fa cenno nel VT, e che costituisce un punto inamovibile dell’alleanza contratta sia con il popolo ebraico che con l’altra parte dell’umanità, ovvero i Gentili. La portata universale di tale olocausto permane per Poddighe un elemento così importante che nulla dei particolari di cui si compone la scena proposta dall’evangelista possa costituire un elemento di disturbo, un sovrappeso alla trascrizione visiva. È stato sacrificato il “Figlio dell’uomo”, così com’è definito dal profeta Isaia, ma anche Dio stesso, se si considera il rapporto filiale che Gesù non ha mai mancato di acclamare e per la quale il clero e il popolo lo hanno condannato al supplizio della croce. Il corpo di Gesù, perciò, rimane nascosto alla vista, non necessita di una visione d’insieme, poiché è il suo volto ad irradiare quel sentimento di solitudine di cui era stato pervaso e l’angoscia non lenita dalla presenza degli apostoli nel giardino del Getsèmani, appesantiti dal peso terreno del sonno. Come un eroe che si offre 48
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in sacrificio, pur di difendere la libertà degli uomini, il volto di Gesù si caratterizza per questa volontà di compiere sino in fondo l’atto “liberatorio” che un tempo, nella tradizione ebraica, spettava all’agnello. Oggi è la sua persona ad occupare la mente dei fedeli, e come in tutte le storie che l’umanità ha dovuto fronteggiare a motivo del male, ciò che permane nella memoria è il volto (quello che un tempo è stato deriso ed oggi contemplato), a conferma del messaggio lasciato agli “uomini di buona volontà”: Se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto (Gv 12,24). Posto il volto del Cristo in primo piano, l’artista si abbandona ad una vera indagine psicologica del personaggio relazionando la figura con dettagli di gran fascino e pudore. La maestosità che ne scaturisce – in particolare per l’esclusiva posizione rivolta verso il basso – impone all’osservatore un’oculata riflessione sul senso spirituale della morte, sulla sua metamorfosi e sull’esempio di Gesù come orma su cui il fedele è chiamato ad incamminarsi. Le stesse tonalità cromatiche su cui si innerva la pennellata, a rilevare il dato pregnante che caratterizza il cambiamento di colore della carne e rilevare la trasformazione tipica della natura umana, sono proposte dall’artista con gran garbo e sensibilità spirituale grazie ad un senso di responsabilità rappresentativa che non lo coinvolge nella forza ossessionante della decomposizione della materia, così come si percepisce alla morte dell’uomo. L’imponenza del volto, a cui concorre senza dubbio anche la vistosa capigliatura, non solo fa intuire la massiccia figura spirituale di Cristo ma si impone come un’immagine schiacciante, un peso incorporeo che grava sull’uomo: Gesù-eroe è morto, è vero, ma le sue parole pronunciate alla croce, È compiuto!, restano un perpetuo richiamo perché l’uomo non dimentichi.
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15. Fernando Dominioni
Resurrezione di Gesù Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salomè comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: “Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?”. Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito di una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto (Marco 16,26).
La quindicesima stazione della Via Crucis, per la prima volta inserita nel percorso come corretta conclusione di un itinerario in cui ha fatto da colonna portante la sofferenza, quella del tradimento, della condanna e della crocifissione, finalmente trova giustificazione nell’atto finale dell’intervento di Dio sulla terra facendo risorgere il Figlio offerto in sacrificio per la salvezza dell’umanità. L’opera di Dominioni, personaggio capace di cogliere il senso profondo di ogni evento religioso, capace di tradurre in immagine visiva ogni trascrizione verbale e di offrire allo spettatore il soffio dello spirito che esala da ogni composizione, sembra proiettarci indietro per proporci un legame indissolubile tra la crocifissione e la resurrezione. Questa volta non è la sofferenza a fare da supporto ma la gioia che il Crocefisso ha vinto il potere dell’alterazione e della decomposizione. Innervandosi con braccia elevate verso l’alto, continua tuttavia a mantenere la medesima struttura formale dell’uomo inchiodato alla croce, libero dal peso corporeo ma profondamente umano. La formella, realizzata in terracotta, con soggetto scavato all’interno, come ancorato alla tomba, è elaborata con consapevolezza di tratto ed una plasticità che, pur non allontanandosi dall’archetipo tradizionale, richiama la cultura plastica del primo Novecento. La sua è, infatti, una ricerca analitica, operata al di fuori di ogni corrente 50
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artistica e con un rigore poetico di grande intensità emotiva. L’artista, pur prediligendo il legno, ma non disdegnando altri materiali come il marmo, non si allontana dagli argini della figurazione, ma non impedisce che aspetti innovativi intervengano a modificare il quadro tecnico e culturale. Il suo è un atteggiamento di tipo espressionistico, ma l’accoglienza di piani formali taglienti e spigolosi fa intuire un necessario approccio a quelle esperienze che furono dei cubisti e degli astrattisti. Mai, in ogni modo, un superamento dei limiti, poiché ciò che lo muove non è solo il fascino del divino e del religioso che gravita sulla sua persona, ma è anche il dono di un linguaggio non trasgressivo della comunicazione: quanto l’opera deve trasmettere al lettore-osservatore è l’attrazione del mistero che lega l’uomo a Dio, il finito all’infinito. Dominioni lo fa tessendo all’interno del piano spaziale la figura arcuata del Cristo, che permette di esaltare l’evento e rendere dinamica la composizione. Ciò che viene fuori non è tanto la tensione emotiva che troviamo in altre opere, come Angelo e Abbraccio, ma il senso dello spirituale che è nell’uomo, il suo attaccamento al divino, la consapevolezza che una metamorfosi è possibile a condizione che il “seme” muoia. Ecco, Dominioni può anche essere considerato un artista dalla gran manualità, ma è soprattutto un uomo dal respiro spirituale.
Perugia, dicembre 2012
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Foto delle opere
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I° stazione: Gesù nell’orto degli ulivi Giulio Viscione 53
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II° stazione: Gesù, tradito da Giuda, è arrestato Franco Bellardi 54
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III째 stazione: Ges첫 condannato dal sinedrio Giuseppe Fioroni 55
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IV째 stazione: Ges첫 tradito da Pietro Rodolfo Pantaleoni 56
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V째 stazione: Ges첫 giudicato da Pilato Giampiero Nucciarelli 57
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VI째 stazione: Ges첫 flagellato e coronato di spine Franco Fiorucci 58
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VII째 stazione: Ges첫 caricato della croce Luciano Crisostomi 59
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VIII째 stazione: Ges첫 aiutato dal Cireneo a portare la croce Ferruccio Ramadori 60
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IX stazione: Ges첫 incontra le donne di Gerusalemme Luigi Francescangeli 61
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X째 stazione: Ges첫 crocifisso Raffaele Tarpani 62
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XI째 stazione: Ges첫 promette il suo regno al buon ladrone Roberto Bellucci 63
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XII째 stazione: Ges첫 in croce, la madre e il discepolo Placido Scandurra 64
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XIII째 stazione: Ges첫 muore sulla croce Bruno Marcelloni 65
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XIV째 stazione: Ges첫 deposto nel sepolcro Sergio Poddighe 66
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XV째 stazione: Resurrezione di Cristo Fernando Dominioni 67
Note Biografiche
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Franco Bellardi nasce a Reggio Emilia nel 1934 e trascorre l’adolescenza nella città di Ferrara. Negli anni della giovinezza e fino al 1970 vive a Rieti impegnandosi nell’attività artistica e didattica; successivamente si trasferisce Roma dedicandosi totalmente al lavoro di pittore e di incisore con studio in Trastevere. Attualmente vive a Colli sul Velino, Rieti. Ha tenuto mostre personali in diverse città italiane e all’estero. Ha partecipato a Rassegne Nazionali e Internazionali. Nel 1991 e nel 1992 una mostra antologica è stata ospitata nel Castello di L’Aquila e nella Casa di D’Annunzio a Pescara (a cura della soprintendenza ai Beni A.A.A.S. per l’Abruzzo) e nel Palazzo Vescovile di Rieti. L’Ente Manifestazioni Castellarte nel 1992 ha allestito un’esposizione delle sue opere nel Palazzo del Turismo di Città del Guatemala. Nel 1992 ha avuto il Premio Internazionale “S. Valentino d’oro”. Nel 1993, in occasione di “Castellarte 93”, ha presentato una rassegna antologica del suo lavoro a Castelbasso (TE). Dal 1995 ha dato vita ad un centro di preparazione e ricerca di pittura, incisione, ceramica e scultura, “La Schola”, nella città di Rieti. Nel 1997 è stato invitato con un’opera alla Mostra Nazionale “Omaggio a Giovanni Boccaccio” tenutasi a Certaldo. Nello stesso anno il Comune di Pianella (Pescara) gli ha dedicato una SalaOmaggio nell’ambito della II Rassegna Ricerche Contemporanee; sempre nel 1997 ha completato, con il grande Giudizio Universale, il ciclo pittorico nella chiesa di S. Maria Maddalena a Colli sul Velino. Nel 1998 ha realizzato a tempera il soffitto della Cappella delle Suore Missionarie Cappuccine di S. Pietro in Poggio Bustone (RI). Nel 1999 il Comune di Collelongo (AQ) gli ha dedicato una sala per l’inaugurazione della Torre Comunale nell’ambito di una rassegna con altri quattro artisti; nello stesso anno, a cura dell’Amministrazione Provinciale di Rieti e della Regione Lazio, una mostra antologica dei suoi lavori è stata allestita nell’abbazia di S. Salvatore a Concerviano (RI) e la Città Cherasco ha curato una vasta esposi69
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zione delle sue opere su carta. Nel 2000 è stato invitato al Festival di Corciano (PG), al Festival Valentiniano di Labro (RI) e al Festival Mondiale delle opere su carta a Kranj (Slovenia). Nel 2001 è stato invitato ad esporre all’Accademia di Romania in Roma nella Mostra “Arteincontro” – dialogo tra artisti rumeni e italiani. Dal 22 settembre all’11 ottobre 2001 è stata allestita una mostra delle opere su carta nel Chiostro del complesso di S. Giovanni in Orvieto con il Patrocinio della Provincia di Terni e della Provincia di Rieti. Nel 2001 ha realizzato in quattordici formelle in ceramica la Via Crucis per la Chiesa Vecchia di S. Maria Maddalena in Colli sul Velino. Nel maggio del 2002 ha realizzato una grande maiolica con “La Madonna dell’uva” per il Santuario francescano della foresta a Rieti; è stato inoltre invitato a partecipare alla Rassegna “Pittura umbra del 900” nella città di Recanati. Nel mese di luglio ha terminato le quattordici formelle in ceramica con l’interpretazione del Cantico delle creature per la chiesa di S. Francesco di Cepparo di Rivodutri (RI). Nell’agosto 2002 una vasta esposizione delle sue acqueforti “la melagrana di carta” è stata curata dall’Amministrazione Comunale nel Palazzo della Corgna di Città della Pieve; nello stesso mese una mostra delle sue tele e dei suoi disegni più recenti è stata allestita a Castel di Sangro, nel Museo Civico “Aufidenate”, nell’ambito della Rassegna “l’anima del corpo” a cura di Lino Alviani. Nel 2003 è stato invitato con un’opera alla rassegna “LE STANZE DELL’EROS – L’erotismo nell’immaginario artistico contemporaneo”, nella Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di Piombino e presso la Fiera dell’Arte di Reggio Emilia. Sempre nel 2003 una sua opera è stata acquisita nel Museo Civico “L’Arte nella Resistenza” di Caldarola. Nei mesi di settembre e ottobre è stato invitato con una mostra personale al Festival MONTEMERARTE di Montemerano. 70
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Nel dicembre 2003 e nel gennaio 2004 ha esposto nella Rassegna: ARTISTI CONTEMPORANEI A TERNI. Diverse cartelle con le sue incisioni ad acquaforte sono state pubblicate da Enti pubblici e privati. Le sue opere sono presenti in diversi musei del mondo.
Roberto Bellucci è nato a Gubbio, ma vive e lavora a Terni. Fin dalla fanciullezza, trascorsa nel paese nativo, ha rivelato un’incipiente sensibilità per il disegno e ogni espressione artistica. Trasferitosi a Roma con la famiglia, dopo i primi insegnamenti paterni, ha scoperto la sua vera vocazione per l’arte, coltivata tenacemente nel tempo. Dopo la maturità, conseguita presso il Liceo Artistico, ha seguito il corso di pittura all’Accademia di Belle Arti sotto l’insegnamento di Amerigo Batoli, vincendo una borsa di studio al terzo anno; ha inoltre frequentato il corso di incisore con Umberto Principe e Mino Maccari. La sua formazione è avvenuta nella “Scuola Romana”, allievo di Giuseppe Caporossi e Roberto Melli. Dal 1954 al 1967 ha insegnato “Figura disegnata” presso il Liceo Artistico “N. Copernico” di Roma e dal 1968 al 1992 “Discipline pittoriche” presso l’Istituto d’Arte “Leoncillo Leopardi” di Spoleto. Attualmente è docente di Storia dell’Arte e Discipline pittorico-plastiche all’Università delle Tre Età di Terni. Dal 1951 ad oggi ha svolto la sua attività con mostre personali e collettive in Italia e all’estero, conseguendo premi di “pittura” quali: “Premio di pittura” bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1956; diploma di benemerenza con medaglia d’oro conferitogli dal centro Studi Antonio Manieri, Roma 1969; “Terzo premio Dominizia”, 1973; “Premio Giorgio Vasari”, Milano 1989; “Premio Internazionale San Valentino d’Oro”, Terni 1991. Nel 1952 il Comune di Roma gli acquista un’opera per il museo di Roma. Dal 1971 al 71
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1974 ha collaborato con le sue acqueforti a corredo di pregiate pubblicazioni dei poeti Arthur Praillet, Libero de Libero e Giovanni Ferri e, nel 1998, del poeta Franco Prete. Nel 1991 è stato incaricato di realizzare, con altri sei pittori, delle tele riguardanti il complesso delle quattordici stazioni della Via Crucis per la Chiesa della Madonna del Prato di Civitella del Lago. Nel 1997 una scultura (San Francesco e il Lupo) è stata collocata a lato della facciata della chiesa di San Francesco a Gubbio. Sue opere figurano in importanti collezioni e musei italiani e stranieri.
Luciano Capetti è nato a Urbino nel 1936. Si diploma all’Istituto d’Arte di Urbino nel 1959 e partecipa alle prime mostre didattiche dell’Istituto a Pesaro, Carrara e Firenze. Partecipa nel 1959 e vince il primo premio di pittura “Giovani pittori” a Roma. Effettua la sua prima mostra personale nel 1960 alla Bottega G. Santi “Casa Raffaello” ad Urbino e, l’anno seguente, partecipa ad alcune mostre nazionali fra cui il “Premio Marche” ad Ancona. Inizia ad insegnare nel 1962 all’Istituto d’Arte di Terni. Nel 1963 vince il 1° premio ex aequo di pittura “Anselmo Bucci” ed ottiene la medaglia d’oro della Presidenza del Consiglio. Partecipa successivamente a varie rassegne che si tengono in Umbria (Sangemini, Acquasparta, Todi, Spoleto, Perugia, Terni, Narni) e propone nel 1968 una sua personale alla galleria “La Carrozza” di Roma. Nel 1970 è invitato alla Manifestazione d’Arte Internazionale “Alla ricerca dell’uomo” che si tiene a Londra. Espone nel 1974 alla mostra dal titolo “Tre linee di ricerca” al Politeana di Terni e l’anno successivo è invitato dai critici d’arte Franca Calzavacca e Mino Valeri alla rassegna dal titolo “Sui tempi di solitudine...” che si tiene a Todi nella Sala delle Pietre. 72
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Vince nel 1977 il trofeo “Giovani 2000”, il premio “Arte sacra” a Terni, il trofeo all’Università di Urbino e alla XXVII rassegna “Salvi” a Sassoferrato. Espone ancora ad Arezzo, Urbino, La Spezia e vince nel 1981 il premio Città della Spezia. E’ invitato nel 1983 da Franca Calzavacca, Piero Dorazio e Duccio Travaglia alla prima selezione d’arte umbra, organizzata dall’Associazione Piazza Maggiore di Todi. Nel 1984 è invitato dalla galleria d’arte S. Givenale di Perugia alla rassegna di pittura umbra; nel 2000 partecipa alla XXXVI Edizione di Agosto Corcianese, “Il Genio creativo: tra manualità e tecnologia”, a cura di Eugenio Giannì, e nel 2005, a cura dello stesso, alla Quinta Annuale di Grafica Internazionale di Agello: “Dialettica dei segni”.
Luciano Crisostomi nasce a Terni il 25 ottobre 1936. Nel 1952, da giovane autodidatta, si avvicina alla pittura – all’inizio vagamente liberty – e tiene la sua prima mostra personale nel 1965 alla galleria Barberini di Terni, presentata da Felice Fatati. Dal 1967 al 1970 espone a Spoleto, Monaco di Baviera, San Felice Circeo, Terni, Orvieto. Nel 1971 – anno in cui si trasferisce a Belluno per esigenze familiari - alla Sala XX Settembre a Terni espone una serie di opere sul tema “Potere e violenza” che ripropone poi nel 1973 a Bologna, dove risiede dal 1972 al 1978. Sempre nel 1973 allestisce a Terni la mostra “Morire di classe” dove affronta la condizione manicomiale con 32 dipinti ispirati alle fotografie di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin che corredano il libro di Franco Basaglia. Questa mostra è poi riproposta l’anno successivo a Spoleto. Nel 1975 allestisce un’altra interessante mostra nella Sala XX Settembre, questa volta dedicata alle donne, dal titolo “Donna. Da soggetto a pretesto di una mostra”. La produzione pittorica di Crisostomi è ora di forte impegno sociale, improntata alla denuncia. Le varie sfac73
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cettature dell’angoscia umana vengono rese con figurazioni dirette ed incisive, con segni netti e precisi, senza ripensamenti. E’ una pittura di forte impatto. Tra le mostre degli ultimi anni ricordiamo “Paradeisos” del 1990 alla Pinacoteca comunale di Terni, in cui propone la vita di Cristo attraverso la rilettura di opere di grandi maestri dal ‘400 al ‘600, da Masaccio al Caravaggio; “Pittura scrittura: un gioco di coincidenze” del 2003 allestita insieme allo scrittore Aldo D’Amore in un ambiente in cui è stata ricreata una casa di tolleranza, con foto erotiche della Alterocca del primo Novecento ingrandite con un processo di fotoriproduzione e colorate a mano. Nel 1993 realizza una composizione decorativa per l’allora Bibliomediateca: nella parete di fondo della ultime due rampe dello scalone di accesso alla loggia dell’ultimo piano, in due fasce sovrapposte rappresenta figure tratte da dipinti del Quattrocento e del Cinquecento. Come ha avuto modo di dire lo stesso Crisostomi, “io medio tra la mia sensibilità e le opere che mi danno delle forti sensazioni”. Ha anche illustrato alcune pubblicazioni e disegnato le copertine di vari volumi. In collaborazione con Fabio Maestri e Gian Carlo Calidori realizza l’opera “Memoria di un amico” dedicata a Sergio Secci, vittima della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Nel 1991 riceve il premio internazionale “San Valentino d’oro”. Bibliografia essenziale: G. C. Calidori, Ricordi e ricognizioni (per una memoria di Luciano Crisostomi, da vivo), Tipolitografia Visconti, Terni 1988; A. Capasso, Tori: viaggio nella pittura di Luciano Crisostomi, Tipolitografia Visconti, Terni 2000; F. Santaniello, La ritrattistica di Luciano Crisostomi tra impegno civile e rivisitazioni pittoriche, in Atti del convegno di studi “La rappresentazione del volto nel Novecento” II edizione, Tipolitografia Rotastampa, Roma 2004.
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Fernando Dominioni nasce a Terni nel ‘39. Laureato in Pedagogia, insegna per 31. Per le sue figure assorte, predilige come materia il legno, esprimendo sensualità e insieme senso del sacro. Incontri, abbracci e dialoghi silenziosi, madri e soprattutto pietà sono i temi cari allo scultore che sente il suo lavoro come una preghiera . Nel 1993 realizza una “Pietà” in granito per il Comune di Orgosolo (NU) e nel 1997 un “Monumento ai Caduti sul Lavoro” per la città di Terni. Due suoi bronzetti sono stati acquisiti dal Museo di Saint Ouen. Nel 2001una sua “Pietà” in bronzo è collocata in un parco di Alghero (SS) e nel 2004 un “Abbraccio” in legno di ginepro nella Bibliomediateca di Terni. Dominioni ha esposto i suoi “Soggetti Sacri” in una importante personale tenuta per l’anno giubilare 2000 nel Chiostro della Basilica di S. Francesco d’Assisi la cui Sala d’Accoglienza ospita permanentemente un suo Francesco in noce mentre un esemplare in bronzo è stato collocato presso Basilica della Natività a Betlemme. Sempre nel 2000, è invitato alla mostra “Angelus Novus” alla Rocca Paolina di Perugia. La personale più prestigiosa è stata l’esposizione delle sue opere in legno al Museo Miejskie di Wroclaw (Breslavia), in Polonia, nell’aprile 2002; la più recente è del maggio 2004, “La Scultura della Pace”, al Videocentro di Terni, in occasione della realizzazione del suo “Monumento ai Resistenti”, opera in bronzo acciaio e pietra, alta m. 6, inaugurata nel 60° della Liberazione della città. Partecipa alla rassegna “Sentieri Glocali” tenutasi a Palazzo Primavera a Terni nel 2005 e al Museo Faina di Orvieto nel 2006. Il 4 ottobre 2006 è stata inaugurata una sua grande scultura, Cantico, un Francesco danzante che accoglie a braccia aperte i visitatori che giungono alla Romita di Cesi. Nel 2007 partecipa con una Pietà in gelso all’importante rassegna TERRA DI MAESTRI. Artisti umbri del 900 (VI), Spello. È presente alla mostra del 2010 presso il Museo diocesano con un Cristo risorto alto circa m 3 in quercia, e sempre al Museo diocesano, nel 2011, partecipa alla mostra “Annuncia75
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zione”. Importante è la sua presenza a San Domenico di Narni nel 2011 con la Crocifissione e ben 5 sculture alte 3 metri in tiglio facenti parte dell’opera “vuoto contemporaneo”.
Giuseppe Fioroni nasce Perugia il 19 marzo 1938. Fin da giovane frequenta l’ambiente artistico umbro, particolarmente ricco di fermenti culturali anche per la presenza a Perugia di una tra le più antiche e prestigiose Accademie di Belle Arti. Alla pratica della pittura affianca quella della ceramica, sulla scia dell’antica tradizione umbra. Nel ’78 espone a Perugia nella galleria S. Severo del Palazzo dei Priori; nello stesso anno a Spoleto in occasione del “Festival dei Due Mondi” dove torna anche l’anno successivo. Dal 1980 al 1985 espone in diverse gallerie pubbliche e private d’Italia. Nel 1986 è presenta alla undicesima edizione di “Arte e Sport” a Palazzo Strozzi di Firenze e a quella itinerante “Trecento artisti per la pace” ad Assisi; nel 1987 e nel 1988 a due edizioni di “Poggibonsi Arte”. Nel 1990, in occasione dei Giochi Olimpici ad Atene, partecipa alla “Biennale Mediterranea di Arti Grafiche”. Nel 1994 partecipa alla collettiva “Fano Jazz by the Sea”. In quella occasione il suo dipinto “Omaggio a Lionel Hampton” viene particolarmente apprezzato dagli organizzatori, tanto che sarà poi utilizzato per pubblicizzare il concerto del grande jazzista. Nel 2000, in occasione del Giubileo, viene incaricato di affrescare lo stendardo per la famosa rievocazione storica “Le Gaite di Bevagna” con il titolo “Pellegrinaggio verso il Medio Evo”. Nell’anno 2003, dall’Assessorato alla Cultura di Ferrara, viene invitato ad esporre presso la Galleria Comunale di Pontelagoscuro. Lo stesso anno viene invitato a Potsdam (Germania) dove ottiene un grande successo nell’ambito della rassegna “Fiabe e fantasticherie”. Nel 2004, in occasione della presentazione della sua monografia “Fioroni trent’anni di opere” recensita da Vittorio Sgarbi, tiene una personale alla Galleria Artemisia di Perugia. 76
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Nel 2005 espone a Washington al centro Bell’Italia e alla Discovery Gallery; nel 2006 a Madrid al Fauna’s Galleria e a Santillana del Mar al Parador Gil Blase. Nel 2007 la direzione artistica della manifestazione internazionale “Umbria Jazz” gli commissiona la realizzazione del manifesto ufficiale. Dal 1995 è Accademico di merito dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia. Nel giugno 2008 il Foundling Museum di Londra ospita la sua mostra “Myths, Fairy Tales, Reality and Illusion” con il patrocinio di Sir Denis Mahon e la presentazione critica di J. T. Spike; contemporaneamente l’Istituto Italiano per la Cultura di Londra organizza la mostra “the whims of painting” a cura della Dott.ssa Rossana Piattelli.
Franco Fiorucci nasce a Urbino nel 1936 e compie gli studi presso l’Istituto di Belle Arti per il Libro nella città natale specializzandosi nella tecnica litografica. Titolare della cattedra di Disegno della Moda e Costume dal 1957 presso l’Istituto d’Arte di Pesaro, ottiene importanti premi e riconoscimenti in Italia e all’estero. Selezione delle più importanti mostre e attività varie: 1964. 15 artisti italiani, Sele Arte Moderna, Milano. 1965. Artisti contemporanei, Azienda Autonoma di Soggiorno, Porto San Giorgio. 1966. VII Biennale Nazionale d’Arte Sacra Contemporanea, Antoniano, Bologna; Concorso Internazionale Fondazione “G. Rossini” per un’opera lirica, Pesaro. 1968. Edizione particolare con incisione litografica per la Banca Popolare Pescarese. 1969. Incisori, Comune di Venezia, Opera Bevilacqua La Masa, Venezia. 77
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1976. Mostra dell’acquerello, Centro Studi Artistici di Vienna, Bruxelles, Lugano, Londra. 1978. Artisti marchigiani, Comune di Ancona, Ancona; Mostra dell’acquerello, Centro Studi Artistici di Vienna, Bruxelles, Lugano, Londra. 1980. Salone delle Nazioni, Parigi; Mostra dell’acquerello, Centro Studi Artistici di Vienna, Bruxelles, Lugano, Londra. 1982. Mostra dell’acquerello, Centro Studi Artistici di Vienna, Bruxelles, Lugano, Londra. 1984. Mostra dell’acquerello, Centro Studi Artistici di Vienna, Bruxelles, Lugano, Londra; Cartella Venti artisti per Trebbiantico, Ed. La Pergola, Pesaro. 1985. Mostra Grandi Maestri, Galleria Arcangeli; è nominato membro dell’Accademia Raffaello di Urbino. 1986. Salone delle Nazioni, Parigi; Mostra dell’acquerello, Centro Studi Artistici di Vienna, Bruxelles, Lugano, Londra. 1987. Per il quaderno su Italo Calvino pubblica quattro illustrazioni, Ed. Il gusto dei contemporanei, Urbino. 1989. Mostra Grandi Maestri, Galleria Arcangeli. 1991. Mostra personale presso “Emporio della cornice” di E. Astuni, Fano; Mostra personale Galleria “La Medusa”, Pesaro; 1992. Mostra personale presso “Emporio della cornice” di E. Astuni, Fano; 1994. Le acque delle Marche, Inter Firm, Ancona. 1995. Artisti Contemporanei, Sala Vincioli, Agello; Personale alla galleria “La Pergola”, Pesaro. 1997. Artisti Marchigiani, Pio Sodalizio dei Piceni, Roma. 1988. Medaglia d’oro per l’attività artistica – Premio Poesia – Senigallia. 2000. Il genio creativo tra manualità e tecnologia, XXXVI Edizione Agosto Corcianese, Corciano. Dal 1984 dirige un corso per acquarello a Pesaro.
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Luigi Francescangeli nasce a Montebuono (Rieti). All’età di un anno si trasferisce con la famiglia a Terni, dove vive e lavora. Esordisce nel 1954 con la “Mostra selettiva d’artisti del Centro Italia” alla Camera di Commercio di Terni ed è prescelto per la “Rassegna alla sala dei Notari” a Perugia. Da allora partecipa a numerose ed importanti collettive e rassegne regionali e nazionali ottenendo consensi e vari premi. Di queste ricordiamo: Pinacoteca di Terni. Museo Faina di Orvieto. Pinacoteca Terni, “Quelli degli anni ‘70”. Comune di Terni, “Caricature”. Palazzo di Primavera, Terni, “Sentieri Glocali” 2005. 1° premio per la grafica all’”Ottava festa Popolare Insieme”,Terni 1994. 1° premio nazionale S. Valentino per la pittura, Terni 1998. Le sue opere sono esposte in varie gallerie fra cui “Gallery Urbani”.
Bruno Marcelloni nasce ad Assisi nel 1942; nel 1959 si diploma all’Istituto Magistrale e nello stesso tempo è allievo del maestro del disegno E. Dragutescu; nel 1961 si diploma all’Istituto d’Arte di Perugia. Nel 1962 inizia a frequentare l’Accademia di Belle Arti di Roma dove è allievo di L. Montanarini.Negli anni 1963 - 64 - 65 vince il I, il II e il IV premio del concorso “Mad. Olivo” ad Assisi. Dal 1964, per 4 anni è allievo per il disegno e la pittura dell'artista americano W. Congdon (ne apprende l’essenzialità del disegno e la sinteticità della forma pittorica). Nel 1966 è premiato con lo medaglia città di Roma alla IV MostraNazionale d’Arte Mariana ad Assisi. Nel 1968 tiene una mostra personale di disegni a Parigi alla Galleria R. Duncan. Nel 1969 viaggia negli USA, visita il Museo d'Arte Moderna di New York; viene a diretto contatto con le opere degli astrattisti americani: B. Newman, 79
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E. Kelly, K. Noland, Rotko, Dibenkorn, F. Stella, e conosce il graphic designer del MoMA H. Rosenthal e lo scultore F. Carlson. Nel 1971 conosce A. Pace che presenterà la sua mostra alla Galleria AL 2 di Roma; espone poi insieme a E. Montuori, l’architetto della Stazione Termini di Roma. Nel 1973, dopo un lungo viaggio negli USA, espone a Caserta le “strutture spaziali” con i saggi critici di A. Bovi, L. Marziano, A. Pace, V. Saviantoni e I. Tomassoni. Alla fine degli anni ‘70 si laurea in Psicologia ed inoltre si specializza al Centro Italiano di psicologia Clinica di Roma. Nel 1978 conosce L. Patella che gli presenterà il libro di poesia visiva “L’Agio Conta”. (commenti di S. Orienti, A. Gilardi, B. Munari, G. Dorfles). Nel 1988 è invitato dal Presidente della Repubblica di Cipro (Nord) a tenere una mostra personale nella capitale dell’isola. Nel 1990 B. Corà presenta i suoi lavori alla Rocca Paolina di Perugia, in un catalogo che raccoglie 25 anni di attività. Nel 2005 partecipa ad una mostra collettiva in Perugia con gli artisti: P. Dorazio, M. Staccioli, N. Caruso, ecc. Sempre nello stesso anno organizza ad Assisi una mostra antologica presentata da Vittorio Sgarbi. Dal 2005 al 2011 vince tre primi premi in mostre nazionali. Nel 2011 partecipa alla Biennale di Venezia (sezione Umbria). Indirizzo mail: bruno@marcelloni.com Indirizzo Web: www.marcelloni.com
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Giampiero Nucciarelli nasce a Terni nel 1938. I suoi impegni di lavoro lo portano, giovanissimo, a vivere per quasi un decennio in Alto Adige per cui la pittura di quegli anni, come scrive Franca Calzavacca, “[...] ha risentito dell’impatto determinante con l’espressionismo violento e sacrificale dei territori d’oltralpe e dei paesi nordici, per ancorarsi in un certo senso alla profonda depressione baconiana che ha violato corpi ed anima con rimandi drammatici [...]” e lascerà un segno profondo nel suo fare artistico negli anni a venire. Nel 1973 fa definitivamente ritorno nella sua città natale. Nel 1990 aderisce all’Associazione “Atelier liberi” che in un quinquennio realizza una serie di mostre nelle sedi più prestigiose dell’Umbria, tra cui Todi, Sala delle Pietre; Gubbio, Palazzo dei Consoli; Narni, Chiesa di S. Domenico; Perugia, Ipso Art Gallery; Terni, Chiesa del Carmine; Acquasparta, Palazzo Cesi, in cui, unitamente alle opere degli artisti facenti parte dell’Associazione, vengono presentate le scultore di Sol Lewitt, gli eccezionali lavori di Leoncillo e una scultura inedita dello stesso. Nel 1992 realizza una “Via Crucis” per la chiesa dell’antico borgo di Sogna, frazione del Comune di Bucine (AR) un piccolo centro completamente ristrutturato un paio di anni prima del suo intervento. Le 14 stazioni sono state realizzate ad olio su tele di notevoli dimensioni (cm 100x70). Nel 1994 partecipa al premio “Arte Mondadori”, manifestazione biennale ideata e realizzata dall’omonima rivista edita dalla Giorgio Mondadori, con l’opera “Rapaci”, selezionata dalla giuria tra 1400 concorrenti e premiata con targa d’argento a conclusione della mostra delle opere vincitrici allestita presso la Finarte Casa d’Aste di Milano. In seguito la pittura di Nucciarelli procede per cicli. Da ricordare quello realizzato nel 2004, “IRAQ – prigionieri ed ostaggi”, in cui ritroviamo tutta la forza espressiva, sia nel disegno che nel colore, dei dipinti degli anni ’80 – ’90 e “[...] dai quali emerge, come elemento angoscioso, la violenza dell’uomo sull’uomo” (M. Valeri). 81
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Dei lavori più recenti, così come scrive Francesco Santaniello, “[...] Nucciarelli ha stemperato i toni sia contenutistici che cromatici; ha ridotto la tavolozza rinunciando alle accese cromie dei suoi celebri rossi, proponendo, inoltre, una riflessione meno urlata e più intimista sulla realtà, costantemente filtrata attraverso una sensibilità di chiara matrice esistenzialista [...].” Oltre alle già citate mostre realizzate con l’Associazione “Atelier liberi”, ricordiamo quelle di Spoleto, Rieti, Firenze, Milano, SaintOuen, Terni, Orvieto, Roma. Dal 2006 fa parte del gruppo “Pittura Cinque”.
Rodolfo Pantaleoni nasce a Terni nel 1944 e completa gli studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti a Roma. Dal 1969 al 1974 insegna Educazione Visiva presso l’Istituto Statale d’Arte di Reggio Emilia, dove gli viene affidata la cattedra nei corsi sperimentali. Partecipa attivamente alla vita culturale ed artistica emiliana e lombarda. Nel 1974 torna a Terni, dove insegna pittura e modellato presso l’Istituto Statale d’Arte. Espone le sue opere in mostre personali e collettive all’estero e in Italia, fra cui: 1975. Galleria Sistina, Roma. 1976. Biennale d’Arte di Madrid. 1984. Galleria “Legiandre”, Livorno. 1986. Mundial di Barcellona. 1988. Biennale d’Arte Sacra, Fermo-Ascoli Piceno. 1996. XXXII Salone di Sain-Ouen, Parigi. 2001. Mostra di arte contemporanea Blaj, Romania; Arteincontro, Accademia di Romania, Roma. 2002. Museo d’Arte Contemporanea, Recanati, Ancona. 2006. F.C.I. International GMBH, Salisburgo, Austria; Museo Claudio Faina, Orvieto; Villa Fidelia, Spello. 2007. Chiesa degli artisti, Roma; Chiostro di S. Giovanni, Orvieto. 82
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Espone, inoltre, a Palermo, Firenze, Spoleto, Narni, Amelia, S. Vittoria in Monterano, S. Severino, Ostia antica, Agello, Todi. È tra i fondatori del movimento artistico “Iride”. Ottiene significativi riconoscimenti tra cui: Premio Città di Terni, 1996; Primo premio assoluto nella manifestazione ufficiale dello Stato di Santhià, 1980; Primo premio Internazionale “S. Valentino d’oro”, 1992. Nel gennaio del 2008 è invitato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Perugia ad esporre le sue opre negli spazi di Santa Maria della Misericordia con il patrocinio del Comune di Perugia. Contatti: www.rodolfopantaleoni.it e-mail: info@rodolfopantaleoni.it
Sergio Poddighe è nato a Palermo nel 1955. Il cognome, evidentemente sardo, è dovuto al padre genovese ma di origini sarde. Si è diplomato al Liceo Artistico della sua città e, in seguito, presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Insegna Discipline Pittoriche presso l’Istituto Statale D’Arte di Arezzo, città dove vive e lavora dal 1990. Si è interessato agli aspetti simbolici e psicologici del segno grafico (per questo ha frequentato per un anno l’Istituto di Studi Grafologici di Urbino), come anche alle espressioni legate al mondo dell’illustrazione, del fumetto e della pubblicità. Ha prestato la sua opera per l'esecuzione di decorazioni, copertine di libri, manifesti legati a spettacoli ed eventi culturali, scenografie teatrali, ecc. Ultimamente sta sperimentando percorsi espressivi che tendono alla sintesi tra strumenti digitali e pittura propriamente detta. Ha all’attivo numerose personali e partecipazioni a rassegne d’arte contemporanea in Italia e all’estero (Francia, Belgio, Svizzera, Austria, Romania, Stati Uniti).Ultimamente ha esposto in USA al pa83
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diglione italiano di Art Basel Miami (edizione 2010) e a “EUART”, venti artisti internazionali a Palazzo Borromeo, Milano. Sue opere fanno parte d’innumerevoli collezioni, private e pubbliche. Selezione delle principali mostre: 1975. Gran Premio Nazionale “Trofeo Calabria”: opera segnalata. 1976. Prix International de Peinture de la Ville de Cannes “France-Italie”: segnalazione speciale; VI° Concorso Nazionale di Pittura e Grafica “Colori d’Inverno” (7° premio per la sezione grafica), Viareggio; Rassegna Nazionale di Pittura “Colleverde”, Agrigento. 1981. “ITINERARI GRAFICI”, Personale presso la galleria “Arte e Rinascita”, Palermo. 1986. “Coppie”, Personale presso la galleria “La Bottega di Hefesto”, Palermo; Personale presso il Centro Culturale “L’Isola di Maré”, Palermo. 1987. “Dai Tarocchi”, Personale presso la galleria “l’Altro”, Palermo; Rassegna d’Arte Contemporanea “Premio Fimis” (vincitore coppa “Paschi di Siena”), Isola delle Femmine, Palermo; Personale presso il Centro Culturale “L’Aquilone”, Liège (Belgio). 1988. Rassegna Nazionale d’Arte Contemporanea “Premio Fimis”, Isola delle Femmine, Palermo; Personale presso la galleria “Studio 71”, Palermo. 1989. Rassegna Nazionale d’arte contemporanea “Premio Fimis” (1° premio), Isola delle Femmine, Palermo. 1990. Partecipazione a “Il Diavolo: Immagini e bibliografia dell’avversario”, Galleria “Bottega di Hefesto”, Palermo; “Creattività”, Rassegna d’Arte Multiespressiva, Roccamena, Palermo; “Fermata Metropolitana n°3”, Galleria “Studio 71”, Palermo; “Zoo”, Personale patrocinata dalla Biblioteca Comunale della Città di Palermo (complesso di Casa Professa). 1992. Personale presso la Sala Espositiva de “Le Chiroux”, Liège (Belgio). 84
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1993. Rassegna d’Arte “Histories divines”, Salle Communale de Montgnèe, Liege (Belgio). 1995. Personale presso la sala espositiva di Palazzo Pretorio, Comune di Sansepolcro (AR); Personale presso “Immaginaria Arti Visive, Arezzo; Personale presso la “sala espositiva dell' Azienda Turismo Comune di Menaggio”, Como. 1996. VI ediz. “Altre Luci”, S. Giustino Valdarno (AR). 1997. “Biennale di Figurazione Fantastica e Meravigliosa”, Castello dei Conti Guidi, Poppi (AR); VII ediz. “Altre Luci”, S.Giustino Valdarno (AR); Personale in appendice al Simposio “Basi biologiche ed aspetti clinici della Depressione”, Torgiano (PG). 1998. “Tres, espressione della totalità”, Settimana dell’arte Sacra, Comune di San Giustino (PG); Personale presso “villagalleria”, Foiano Della Chiana (AR). 1999. “Face to Face”, doppia Personale (con altro artista) presso Palazzo Ferretti, Assessorato alla Cultura di Cortona (AR); Partecipazione alla “Settimana dell’Arte Sacra”, Comune di S. Giustino (PG); “Taumaturgia”, Personale presso la galleria “Quintocortile”, Milano; “Horrida irridentia”, Personale presso “Le Stanze del Tenente”, Bologna; “Profili di donna: antropomorfismo e concettualismo nell’arte contemporanea, Corciano (PG). 2000. “En Cent Metamorphoses la Femme”, Centre International de L’Art Fantastique, Castello di Gruyères, Frigurgo (Svizzera); “La Donna nell’Arte Fantastica Europea” nell’ambito di “Immagina”, Fiera d’Arte Contemporanea, Reggio Emilia. 2001. “Stati alterati”, personale con altri due artisti, Castello Aldobrandesco, Arcidosso GR); Simposio e mostra per la promozione e l’incremento dell’arte contemporanea, presso il museo Micu Klein di Blaj, Transilvania, Romania (un’opera in collezione permanente); “Arte Incontro: dialogo tra artisti romeni e italiani”, Accademia di Romania, Roma; “Troni Angelici”, rassegna presso la galleria “Quintocortile”, Milano. 2002. “Corpi in vendita”, rassegna multiespressiva Comune di Spo85
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leto; “Operazione controguerra”, rassegna d’arte e costituzione del Museo Internazionale di Mail Art presso il Palazzetto dei Nobili, L’Aquila; “Il Mistero del Sacro”, rassegna relativa alla settimana del sacro, S. Giustino umbro (PG); Rassegna per la costituzione della prima sezione d’Arte contemporanea del Museo Civico di Recanati, complesso di S. Agostino (un’opera in collezione permanente), Recanati (MC); Personale presso la Torre civica di Recanati (MC). 2003. “Animacchine”, automi in forma di bestiario. Personale presso le sale della Cassa di Risparmio, agenzia 23, di Ferrara; “Animalidi”, rassegna contemporanea presso la galleria Quintocortile, Milano. 2004. “Wege in und zu Europa” (nove artisti europei), Rumanisches kultirinstitut, Vienna; Personale, con il patrocinio ed il contributo della Provincia di Palermo presso la palazzina liberty del Circolo Ufficiale, Palermo. 2005. Personale presso “Transit, Arte Visiva”, Arezzo. 2006. esposizione presso “Thommes Studio”, Stuart, Florida, USA; “Travestiti”, rassegna d’arte contemporanea presso la galleria Quintocortile, Milano; “Linguaggi incrociati”, Annuale di Grafica Internazionale, Agello (PG). 2007. Esposizione presso “Beyond Art Gallery”, Palm Beach, Florida, USA; “Ceruleans Gallery”, Watercolor, Santa Rosa Beach, Florida, USA; “Holos”, rassegna contemporanea intorno al mito del cavallo, Assessorato alla Cultura di Laives, Bolzano. 2008. Nell’ambito di poesiarte Milano, “Segni resistenti” tra luoghi e nonluoghi, galleria Quintocortile, Milano; “Navigatori dell’Infinito”, pittura fantastica e visionaria, Sale del Palagio Fiorentino, Stia (AR); Personale “La parzialità dell’Essere, antropologia delle parti mancanti”, presso il Teatro Rosini, con il patrocinio ed il contributo del Comune di Lucignano (AR); “Artisti Tecniche e Stili a confronto”, Sala Comunale Polivalente, Mandela (RM). 2010. Padiglione italiano di Art Basel Miami, USA; “EUART”, venti artisti internazionali a Palazzo Borromeo, Milano. sergiopoddighe@alice.it www.sergiopoddighe.it 86
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Ferruccio Ramadori è nato il 26 marzo del 1952 a Scheggino (Perugia). Accademico di Merito e laureato in Sociologia presso l’Università degli Studi di Urbino, inizia ad occuparsi di arte nel 1967 e di poesia dialettale nel 1970. Ciò che lo qualifica non è tanto l’ambiente territoriale nel quale si è formato, la Valnerina, quanto la cultura della gente, la loro semplicità fatta poesia. Non è un caso se della sua arte si parla di “poesia pittorica”. L’attività espositiva vera e propria risale comunque al 1982; ed è a Corciano che irrompe alla mostra “Il tempo della pittura e la pittura del tempo” (XVIII Agosto corcianese) con delle opere di particolare interesse. Quelle proposte, ma in particolare Ombrelloni, fanno recensire un’accoglienza benevole non soltanto da parte del pubblico ma soprattutto della critica. È però nel 1983, in occasione del “XVI Festival dei due mondi” di Spoleto, che l’artista riceve i primi riconoscimenti ed un giudizio che va al di fuori d’ogni malleabilità. Ramadori si presenta con delle opere che non solo testimoniano di una piena maturità ma anche di una consapevolezza nella ricerca senza cadere nei tranelli delle vacue diatribe del momento. Da Spoleto a Milano il passo è breve. Nello stesso anno, infatti, espone allo studio-galleria di Giorgio de Dauli e, successivamente, a Corciano in occasione della “XX edizione Agosto corcianese”. Nel 1985 torna ad esporre a Spoleto, sempre in occasione del “XVIII Festival dei due mondi”. Nel 1986 è invitato a Bolzano ad esporre alla galleria Chanches De l’Arts. Duccio Travaglia, che già l’anno precedente l’aveva presentato a Fontignano in occasione de “Il polittico della luna”, registra che la pittura di Ramadori non concede alla devozione lirica o alla liturgia del concetto ma investe tutta la motivazione di quello che è dentro di noi trasferendovi non una nozione figurale o un pegno estetico sebbene uno sconvolgimento di frequenze, l’interruzione delle armonie, la divisione asimmetrica dei volumi fino alla dissezione dell’immaginabile. Lo stesso anno lo troviamo a Perugia alla mostra “La stazione, l’arte, la suggestione”. Curata da Travaglia, Ponti e Bonomi, Ramadori si presenta con Annunciazione anno 2000, Uccello del paradiso, Nudi di spalle, Amanti offese, ecc. 87
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Sempre nel 1986, Travaglia lo presenta a Milano al “Centro Culturale Italo-Brasialiano”. Nel 1988 espone al Centro Espositivo Rocca Paolina della Provincia di Perugia. Qui viene menzionato come artista con una forte autonomia, capace di toccare ed emozionare col colore gli osservatori. Le opere, Miniera, Mura della città, Appunti per un paesaggio, Sinfonia in verde, ecc. attestano una ricchezza cromatica come non mai. Nello stesso hanno è a Verona, alla galleria Prisma, mostra curata da Marisa Varotto, e l’anno successivo ancora una volta a Bolzano, alla galleria “Chanches De l’Arts”. Nel 1990 ci riprova, questa volta allo studio Kun, sala Gries (Bolzano). Nel 1991 è a Roma dove G. Maradei lo presenta a Palazzo Valentini e Antonello Tonelli alla galleria Crac. Nel 1991 Maradei lo presenta a Gubbio in occasione della mostra “L’oggetto, il segno, il desiderio” al Palazzo del Capitan del Popolo. Un successo che lo porterà a ripetere l’esperienza l’anno successivo, questa volta al Palazzo dei Consoli. Dopo le esperienze di Perugia all’Accademia dei Filedoni (1992) e di Foligno nel 1994, eccolo a Postdam, all’Altes Rathaus-Kulturhaus. I testi, curati da Nardon, Carlo Ponti, Bonomi e Travaglia, pongono in evidenza la strada percorsa dall’artista e le peculiarità di una pittura segnata dall’astrazione. Un’esperienza che si ripeterà nel 1997 alla galleria Sperl e nel 2001 al Burgerhaus an schaatz. Nel 1999 è a Corciano alla mostra “Profili di donna” e l’anno successivo a “Il genio creativo tra manualità e tecnologia”. La Ricchezza cromatica, la varietà formale, ma anche le forti vibrazioni della materia dorata sono le caratteristiche peculiari dell’opera... . Uscito da un lungo periodo che lo ha visto ruotare attorno alla figura umana, l’attuale produzione sembra promuovere un sentimento di respiro spaziale adombrato da passaggi tonali piuttosto variegati e di forte timbro materico. Fantasmagoria di colori, in alcuni casi (...), ma anche tenue sovrapposizioni di piani cromatici (...) da cui emergono tracce lineari come ad avvertire l’attività liberatoria dell’artista. Il sentimento che trascende la reale presenza formale dell’opera è per Ramadori la ragione di fondo, ciò che sostanzia l’attività, poiché è nel sentimento che si incontrano e compenetrano le suggestioni, 88
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le sensazioni, i luoghi della memoria. Di qui la poetica dell’artista, fatta sì di vibrazioni cromatiche, ma soprattutto di interiorità e di conoscenza 1 Ritmi cromatici, Armonie notturne, Frammenti musicali, Segno parola e musica sono alcune delle opere che contrassegneranno ad Androdoco, nel 2003, l’apice della ricerca. Esposte nello spazio dell’ex chiesa di Sant’Agostino, la pittura di Ramadori ha “colorato” le giornate ed arricchito la festività di “Agosto antrodocano”. Una sinfonia musicale che ha entusiasmato quanti hanno avuto modo di soffermarsi per qualche momento. La cura, che l’artista manifesta nel rilevare i corretti rapporti tra l’azione fecondatrice della natura e quelle creative dell’uomo, è la stessa che attua quando si trova ad operare all’interno dello spazio compositivo. Se l’unitarietà dell’opera si ha, secondo Kandinsky, esprimendo ciò che è peculiare all’artista, secondo lo spirito dell’epoca e dell’arte in generale, il modo di operare di Ramadori è certamente il più consono. L’armonia che l’artista stabilisce tra toni diversi è la stessa che realizza tra il colore e la linea. Non solo accordo tra i primari mediante l’apporto dei secondari, ma anche tra le sensazioni. L’apprensione che sovente una nota cromatica suscita nell’osservatore, sia di eccitazione (come il giallo), sia di passione (come il rosso), sia di freddo o di distacco (come il blu), dimostra l’intento di fornire un insieme nel quale è racchiusa la totalità della percezione. Questo rapporto d’insieme comporta nell’opera un altro movimento: quello della dinamicità o della staticità del soggetto. Il movimento conseguito mediante l’ausilio di strutture che si portano al di fuori del campo tracciando dei percorsi in diagonale, si innesta e si armonizza con quello delle orizzontali in accordo anche al distacco tonale dei primari e dei complementari. Tale accordo consegue a ridurre in parte sia l’eccesso di movimento delle forze oblique sia di quelle orizzontali e verticali. Così il giallo si intensifica sino a perdersi nel verde; il blu si irrobustisce quando si accosta al rosso o al giallo, mentre viene a perdere consistenza quando si fonde col bianco2. 1 2
E. Giannì, Il Genio creativo tra manualità e tecnologia, Corciano 2000, p. 28 E. Giannì, “Tensione, armonia e ritmi cromatici in “Ramadori”, Ed. Benucci, Perugia 2003, p. 11
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Del 2005 sono da segnalare le due mostre: la prima al Foyer Teatro Aula Magna di Laives (a cura dell’Associazione “La Goccia” e del Comune di Laives), inaugurata il 3 febbraio; la seconda alla galleria enoteca “Vino Veris” di Bolzano (a cura dell’Associazione “Arte e Cultura”), Casa della Pesa, il 15 dello stesso mese. Selezione delle principali mostre: 1982. Corciano, XVIII Agosto Corcianese, Il tempo della pittura e la pittura del tempo; Perugia, Ipso Arts Gallery; Mugnano, Incontri a Mugnano; Spoleto, XVI Festival dei Due Mondi; Milano, galleria-studio Pelazzi di Giorgio De Pauli. 1983. Milano, galleria-studio Palazzi di Giorgio de Dauli. 1984. Perugia, galleria Cecchini, Palazzo Baldeschi, Ritmi e colori della Valnerina; Mugnano. Incontri a Mugnano; Corciano, XX Edizione Agosto Corcianese. 1985. Perugia, Ipso Arts Gallery; Spoleto, galleria Duomo, XVIII Festival dei Due Mondi; Mugnano, Incontri a Mugnano; Perugia, galleria La Luna; Foligno, Sala Comunale Santa Maria di Betlemme. 1986. Perugia, sala Jet Set Art Gallery; Bolzano, galleria le Changes de l’Arts; Scheggino, Sala Comunale; Perugia, Stazione ferroviaria, La stazione, l’arte, la suggestione; Milano, Centro Culturale Italo-Brasiliano. 1987. Perugia, sala Arca di Noè, Inverno 2; Spello, Sala Comunale La cripta, Incontri per le strade; Parigi, Maison de l’UNUSCO, Linee d’Umbria: dieci artisti umbri. 1988. Corciano, XXIV Agosto Corcianese; Perugia, Centro Espositivo Rocca Paolina; Verona, galleria Prisma; Bolzano, galleria Le Chanches de l’Arts, Umbria 5 presenze. 1989. Bolzano, galleria Le Chanches De l’Arts; Scheggino, Palazzo Comunale, Estate schegginese. 1990. Pordenone, galleria La Roggia; Bolzano, Kun Studio, sala Gries. 90
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1991. Roma Palazzo Valentini; Roma, galleria Crac; Gubbio, Palazzo del Capitano del Popolo, L’oggetto, il segno, il desiderio; Scheggino; Magione, Palazzo Comunale. 1992. Gubbio, Palazzo dei Consoli; Perugia, Accademia dei Filedoni. 1993. Perugia, Centro Congressi Hotel Trinità; Laives, Rassegna premio Città di Laives. 1994. Foligno, Rione Cassero, Laives, galleria La Goccia. 1995. Potsdam, Altes Rathaus-Kulturhaus; Bevagna, Logge del Mercato Coperto, Agosto Bevanate; Berlino, salone dell’Alfa Romeo. 1996. Perugia, galleria Sole; Spoleto, galleria Fontana. 1997. Perugia, Show Room Loreti-Poltrona Frau, Arte e oggetto; Potsdam, galleria Sperl; Bolzano, Sala Capitolare; Perugia, galleria Enoteca Giò; Berna, galleria Stufembau. 1998. Laives, galleria La Goccia; Los Angeles, Brewerry “Travelers”. 1999. Appiano (Eppan), galleria Scherer; Bolzano, Castel Mareccio, Connotazioni verdi terre. 2000. Erfurt, Palazzo Deutche Kreditbank, Sulle tracce della memoria; Perugia, Spazio Arte. 2001. Potsdam, Burgerhaus an schlaatz. 2002. Scheggino, I° ed. Sfida dei castelli; Bolzano. Sala Trevi, Dipingere poesia; Laives, Premio Internazionale Città di Laives; Perugia, Inventario di colori, Centro Espositivo Rocca Paolina, a cura di Emidio De Albentiis. 2003. Antrodoco, Agosto Antrodocano; Solomeo, Sala della Filarmonica, Ritmi musicali. 2004. Arezzo, galleria Transit, Armonia e ritmi cromatici; San giustino, Rassegna d’Arte Sacra, a cura di Michele Loffredo. 2005. Laives, Armonie cromatiche, Foyer Teatro; Bolzano; Armonie cromatiche, Casa della Pesa; Bolzano, Vino veris, a cura dell’associazione la Pesa; Perugia, galleria Artemisia mostra personale a cura di E. Giannì; Collazzone, Palazzo comunale, mostra personale a cura di E. Giannì; Deruta, galleria l’Antica di Moretti, collezione Moretti; 91
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San Mrtino in Campo, mostra collettiva, Sala polivalente, a cura della Pro-loco; Gubbio, Hotel Cappuccini, “COLACEM ARTE”, a cura di E. Giannì; Perugia, Sculture in corso, Comune di Perugia, a cura di E. Giannì. 2006. Umbertide, Mostra collettiva, Comune di Umbertine, a cura di E. Giannì; Spello, Terra di maestri, Villa Fidelia, a cura di A. Carlo Ponti; Agello, Annuale di Grafica Internazionale, Palazzo Vincioli, a cura di E. Giannì; Arcidosso, Annuale di Grafica Internazionale, Castello Aldobrandesco, a cura di E. Giannì; Castiglion del lago, Annuale di Grafica Internazionale, Palazzo comunale, a cura di E. Giannì. 2007. Marsciano, Annuale di Grafica Internazionale, Palazzo comunale, a cura di E. Giannì; Perugia, Università per stranieri, Aula Magna, Uomini, angeli e demoni, a cura di A. D’Atanasio; Lipari, Uomini, angeli e demoni, a cura di A. D’Atanasio; Spello, Terra di maestri, Villa Fidelia, a cura di A. Carlo Ponti; Bolzano, Sculture nel parco, Associazione Culturale “Casa della Pesa”, a cura di E. Giannì; Laives, Mito Cavallo, a cura di E. Giannì; Perugia, Galleria Artemisia, Mostra collettiva La poesia e l’arte, a cura dell’Associazione POSTIERLA; Spello, Palazzo comunale, Mostra collettiva Uomini, angeli e demoni, a cura di A. D’Atanasio; Potsdam, Palazzo comunale, Conoscere la tua città: mostra delle opere originali per il calendario Potsdam-Perugia, a cura dell’ Associazione IL PONTE. 2008. Milano, Palazzo della Triennale, Uomini, angeli e demoni, cura di A. D’Atanasio; Venezia, Palazzo Mondadori, Piazza San Marco, Uomini, angeli e demoni, a cura di A. D’Atanasio; Perugia, Complesso monumentale di Santa Giuliana, Omaggio a Venanti, a cura di Eugenio Giannì 2009. Perugia, Galleria Artemisia, Formato ridotto, a cura di Eugenio Giannì; Monte Castello di Vibio, Teatro della Concordia, Piccolo formato, a cura di Eugenio Giannì 2010. Teltow, Bürgerhaus, Alchimie della materia, a cura di “Il Ponte”. Testo di Eugenio Giannì; Trieste, Conestabo-Artgallery, Armonie, a cura di Eugenio Giannì. 92
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2011. Perugia, Galleria Artemisia, La danza del colore, a cura di Eugenio Giannì; Ferriera di Forgiano, Show Room Mandarini Mobili - Spazio Città Futuro - Armonie, a cura di Eugenio Giannì. Cenni bibliografici: A. C. Ponti (a cura di), Almanacco umbro, Supplemento al n. 2 di “Qui Umbria”, Perugia 1982. AA.VV., Il polittico della luna, Fontignano 1985. AA.VV., La stazione, l’arte, la suggestione, Perugia 1986. G. Bonomi, Linee d’Umbria, ArtinUmbria, A. IV, n. 12, Perugia 1987. Linea Mentis. Artisti e grafica contemporanea in Umbria, Electa/Editori Umbri Associati, Perugia 1990. E. Di Grazia, Plastiche armonie, Editrice Grafica L’Etruria, Cortona 1990. E. Di Grazia, Ricognizione in Umbria, Bronzolo 1990. E. Giannì, Ferruccio Ramadori: un romantico della neofigurazione, Umbria Sport, n. 4, agosto 1991. E. Giannì, Profili di donna, antropomorfismo e concettualismo nell’arte contemporanea, Corciano 1999. E. Giannì, Il genio creativo tra manualità e tecnologia, Corciano 2000. E. Giannì (a cura di), Ramadori, Ed. Benucci, Perugia 2003. A. C. Ponti, Ferruccio Ramadori, in “Ramadori”, Ed. Benucci, Perugia 2003. G. Mariani, Ferruccio Ramadori: il treno e il Trasimeno e Ferruccio Ramadori: la memoria dell’acqua in “Ramadori”, Ed. Benucci, Perugia 2003. P. Nardon, Ramadori, Tra progettazione pittorica e poesia cromatica, Tip. Grifo, Perugia 1995, ora in “Ramadori”, Ed. Benucci, Perugia 2003. D. Travaglia, Ferruccio Ramadori in “Ramadori”, Ed. Benucci, Perugia 2003. E. Di Mauro, Ferruccio Ramadori, Tip. Grifo, Perugia 1992, ora in “Ramadori”, Ed. Benucci, Perugia 2003. 93
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A. Tonelli, Ferruccio Ramadori è un poeta, in “Ramadori”, Ed. Benucci, Perugia 2003 L. Cancelloni, Considerazione sull’amico pittore Ferruccio Ramadori in “Ramadori”, Ed. Benucci, Perugia 2003. Testi di poesia dialettale: F. Ramadori, Gente bastarda, Umbria Editrice, Perugia 1975. F. Ramadori, Attenti al treno, Ed. Sigra Tre, Perugia 1983. F. Ramadori, Coordinate, Ed. Guerra-Guru, Perugia 2001. Sulla poesia dialettale di Ramadori: AA.VV., Prospettive culturali, Soc. Ed. Napoletana, Napoli 1980. G. Severini, A. C. Ponti, G. Prosperi, Poeti dell’Umbria, Forum/Quinta Generazione, Castelbolognese 1981. R. Zuccherini, Nui volemo la pace e mai la guerra, I quaderni del Bartoccio, Perugia 1984. C. Vivaldi (a cura di), Diverse lingue, Rivista semestrale, Campanotto Editore, Udine 1986. R. Zuccherini, La poesia dialettale in Umbria, Ed. Thyrus, Aronne 1988. P. Tuscano, Letteratura delle regioni d’Italia. Storia e testi. Umbria, Ed. La Scuola, Brescia 1988. F. Brevini, Le parole perdute, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1990. A. Serrao (a cura di), Via terra. Antologia di poesia neodialettale. Arte e carte, Campanotto Editore, Udine 1992. L. Reina e M. Ravesila (a cura di), Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Salerno Editore, Roma 2000. L. Bonaffini e A. Serrao, Dialect Poetry of Northern e Central Italy, Ed. Legas, Quebec, Canada, 2001.
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Placido Scandurra è nato il 9 marzo del 1947 a S.M. di Licodia (Catania). La sua vita, sofferta per la difficile condizione sociale, segna il passo con l’arte del secolo. Non è un caso se dividiamo in quattro fasi la sua lunga attività di pittore, incisore e acquerellista di talento. a – Il primo periodo è relativo agli anni ‘62-63. Seppure giovane, s’intravede nell’arte una sorta di ricerca formale congiunta ad un forte senso di fascino per la natura morta e il ritratto. È solo a partire dal 1965 che apprende, nell’atelier di Antonino Villani, le conoscenze tecniche e compositive che lo porteranno ad un’arte di rara sensibilità e respiro spaziale. Il merito di Villani sta nell’iniziare Scandurra alla tecnica pittorica e nel trasmettergli “la” cultura del Primo Novecento, considerata l’amicizia con Casorati, Previati ed altri. Inoltre si sono rivelati importanti per la formazione giovanile dell’artista gli insegnamenti del restauratore Giovanni Nicolosi e del pittore Mario Siragusa dai quali apprende i metodi della pittura dal vero. Trasferito a Roma nel 1967, oltre a frequentare la Scuola libera del Nudo presso l’Accademia di Belle Arti, sotto la guida di Beppe Guzzi e Andrea Spadini, e il corso d’incisione e di calcografia di Attilio Giuliani, presso la Scuola di Arti Ornamentali del Comune di Roma, incontra spesso il pittore Saro Mirabella – amico di Guttuso e protagonista indiscusso del neorealismo – per mezzo del quale s’inserisce nel mondo culturale romano. Qui conosce Guccione, Cordio, Caruso, Tornabuoni, Maccari, Ciarrocchi, Marzullo ecc. Si potrebbe affermare che se da Nicolosi apprende le tecniche e da Villani il senso poetico ed estetico del colore, da Siragusa l’attenzione ad una lettura meditata della realtà: un insieme di conoscenze che lo segnano per la vita. La prima formazione è legata all’ambiente familiare, alla Sicilia, che lo ha visto maturare, anche se per ragioni di studio – e poi di trasferimento – è costretto a lasciare ma non ad abbandonare spiritualmente. Se si analizzano le opere del momento, ci si accorge che 95
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la realtà che ha in mente si distacca dall’oggettività vera e propria per trasformarsi in soggettività meditata. Non a caso ritroveremo nel corso dell’indagine questo lato “privato” dell’artista; una sensibilità cara sotto diversi aspetti: per le cose semplici, oggetti di famiglia o visioni paesaggistiche, per le persone a lui vicine e molte volte sofferenti, ecc. Si pensi, ad esempio, a Paesaggio S. M. di Licodia, 1965; Natura ferma, 1965; Ritratto della nonna Rosa, 1967; Ritratto di mio padre, 1969; Ritratto di Maria Elena Ronderos 1969, e così via, nelle quali è possibile ravvisare una serie d’esperienze maturate dalle innumerevoli visite ai musei di Roma, Firenze, Torino, Milano, ecc. b – Il secondo periodo è contrassegnato dall’interesse per la Scuola Romana e per il Novecento italiano, in particolare per Valori Plastici, le cui “poetiche” lo allontaneranno dal torrente dell’arte ufficiale. Tale condivisione è causa di seri problemi di sopravvivenza; non a caso si ammala per un forte esaurimento nervoso ed è ricoverato presso la Casa di cura “Salus” di Roma. Aldilà del problema sociale, ciò che merita rilevare è l’amore per lo studio della psicologia extra-umana, vale a dire il senso di religiosità alchemica ed esoterica che Scandurra successivamente mette a fuoco. Lo fa frequentando convegni, mostre e gallerie private, sia in territorio nazionale sia a Parigi. Qui oltre a maturare le capacità pittoriche porta a compimento anche quelle “culturali” attraverso artisti come Hayter, Assadour (incisore di rilievo) e il maestro Orfeo Tamburi, di cui è riportata una rara e preziosa testimonianza. Questo è anche il periodo in cui l’artista matura la tecnica del restauro frequentando, appunto, l’Istituto Centrale del Restauro di Roma le cui conoscenze gli permettono non solo di sopravvivere ma anche di dare “corpo” ad una pittura già carica di sensi “poetici”. La conferma è data dalle opere degli anni successivi quando, nel ‘74-75, inizia ad interessarsi di Yòga, esoterismo e alchimia – meglio definita “immaginazione alchemico-surreale” – rapportandoli sia alla psicologia di Jung sia alla religione cristiana. 96
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A far crescere la passione è un viaggio in Siria nel 1970, effettuato con la missione archeologica di Paolo Matthia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Le opere che realizza hanno, infatti, in comune un dato: da una parte il senso dell’amore per ciò che lo ha formato e fatto – ecco perciò Ritratto di mia madre, 1972; Ritratto di Clara (la moglie), 1974 – dall’altra una forte carica metafisica – ed ecco Ettore e Andromaca, 1976; Totem, 1977; Figure archetipiche, 1978; ecc... . Saranno questi gli aspetti preponderanti dell’arte di Scandurra, i quali trovano in Bestiario, ciclo realizzato a seguito d’alcuni viaggi a Parigi e a Brugge (Belgio) e dell’amicizia degli scultori Stefan Depoit e Livia Canestraro, la premessa allo sviluppo esoterico degli Archetipi. c – Il terzo periodo, Bestiario, ha la sua fioritura a cavallo degli anni ’70, è vero, ma l’interesse cresce col passare degli anni, tanto che nel 1992 si rende concreto in una mostra a Montecelio col nome di “Ecologia incisa”. Il testo di Fiorella Puglia, con l’inserimento di un intervento di Willi Van de Boussche, pubblicato nel 1974 in occasione della mostra alla galleria “Flat 5” di Brugge – per quanto successivo alla realizzazione delle prime opere – ,coglie il punto essenziale dell’arte incisoria di Scandurra: “Perché la scelta di questi temi? Perché l’attenzione di Scandurra è volta alle piccole cose della vita quotidiana: queste possono essere ritratti familiari, fiori recisi, sedie, bambole rotte, che (...) per lui non sono altro che il documento visuale, la cui decifrazione lo aiuta a scoprire e raggiungere il paese delle meraviglie della poesia. [...] Anche nella grafica non si ferma al facile effetto, né si abbandona all’improvvisazione, col suo segno sottile, preciso entra invece nelle cose per conoscerne la realtà. Egli indaga, scopre, partecipa della vita degli insetti, degli animali o dell’aspetto più intimo e nascosto di quella degli uomini”. Che Bestiario rappresenti un momento fondamentale nel pensiero evolutivo di Scandurra, è confermato dalla mostra alla galleria “Flat 5” di Brugge nel 1974. L’importanza è percepita dagli italiani e da giornalisti e critici internazionali. Indicativo è il testo di John Hart 97
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quando, su Daily American del 21 giugno 1977, scrive: “Scandurra, sebbene provenga da uno stile iniziale esplicitamente figurativo, è come sempre fantasioso”, vale a dire “ricco d’immaginazione”, “visionario”. Un artista “alterato” dalla fruttuosa capacità dello spirito e pronto a percepire nelle piccole cose – come potrebbe essere un insetto – la magnificenza del creato. Una sensibilità non sconosciuta ad un altro critico di rilievo, Elio Mercuri, che lo aiuta a superare alcuni momenti di crisi e a realizzare a Roma una mostra d’acquerelli alla galleria “Trifalco” appena aperta. “La sua pittura – scrive Mercuri – è tutta percorsa dallo splendore mediterraneo e della luce della sua terra; è intessuta dei suoi colori più limpidi e meridiani, come la sua immaginazione è nutrita di storie e presenze popolari, di avventure fantastiche, di visioni, che egli porta con straordinaria tensione creativa a diventare simboli incancellabili della civiltà europea”.3 Siamo, ovviamente, ancora nel ’72, ma di lì a poco ha inizio, nel ’76, la cosiddetta “ricerca introspettiva”. Scandurra non abbandona lo sguardo verso la realtà, non dimentica la lezione di Siragusa, ma fa in modo che non diventi una “necessità necessitante”, poiché ciò che “vede” è quanto sente dentro. Una sorta di poetica espressionista; è tale può essere intesa. Non va tuttavia dimenticata l’essenza d’esoterismo che la lettura d’alcuni scritti e i viaggi in India rendono tangibile. Un “espressionismo”, se vogliamo, alla Kandinsky, ma anche sociale. Per Scandurra “non è la pietra che si trasforma in oro ma la bestia dentro di noi che diventa uomo”. È questa “bestia” che rincorrerà nel suo pellegrinaggio artistico. Lo fa inizialmente da solo, ma anche in seguito con una guida spirituale indiana, che lo inizia alla metamorfosi della mente e dello spirito attraverso la meditazione. Questo “camminare” tra la ricerca del sé e dell’arte non può che condurre ad un responsabile senso del potere spirituale: man mano che si supera la “bestia” che si ha in sé, si esorcizza la bruttezza e il male del mondo. 3
Elio Mercuri. L’Orca; 24 Gennaio 1981
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d – L’ultimo periodo, l’attuale, ha inizio con queste premesse. Coinvolta è la figura umana e il paesaggio: tutto il creato subisce l’influenza della “trasformazione”. Il cosiddetto “paesaggio primordiale” non è altro che la ripresa dell’immaginario che si conserva nel bambino. Così il “paesaggio siciliano”, che spesso è presente nell’opera (Paesaggio con forme primarie, 1980; Paesaggio primordiale, 1981), non è più “l’alcova” entro cui ritrovarsi intimamente ma l’arcano senso della paura. Primordiale, come i paesaggi che l’Etna crea con la fuoriuscita della lava, ancestrale, dunque misterioso. Un mistero che nell’artista si assomma alla già difficile condizione di vita e alla morte della moglie. Urlo, l’opera nata appena dopo aver appreso del male inguaribile della moglie Clara, non è conseguenza di una penuria fisica e psichica ma l’esplosione di ciò che è umano, la repulsione della bestia che si agita nell’intimo, rigettata e definitivamente annientata. Gli Archetipi nascono dal bisogno di liberarsi dai mostri dell’inconscio, i quali, resi percepibili dall’arte, sono neutralizzati dall’azione catartica dello spirito. La sua grandezza, in fondo, sta qui: 1. nella visione di un mondo introverso, che implica la volontà di scandagliare l’impercettibile; 2. nell’unitaria visione di psicologia, filosofia e religione. Selezione delle mostre personali e collettive 1970. Bogotà (Colombia), Istituto Italiano di Cultura, a cura di M. Elena Ronderos. 1971. Roma, La Casetta Medioevale, pieghevole con testo di Ildebrando Pataria. 1972. Roma, Galleria Ancora, pieghevole e presentazione di Andrea Spadini; Roma, Galleria Il Trifalco, Salus. 40 Acquerelli con testo critico di Elio Mercuri, a cura di Giannina Angioletti; Torre Annunziata (NA), Centro D’Arte Oplonti, catalogo di Mario Maiorino. 1973. Frosinone, Centro D’Arte La Saletta, pieghevole con testo di Giovanni Filocamo. 99
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1974. Brugge (Belgio), Galleria Flat5, presentata da W. Van den Busche; Damasco (Siria), Galleria Urnina, a cura di M. Dadouch; Roma, Galleria Il Trifalco, “Placido Scandurra”, a cura di Giannina Angioletti, catalogo con testo di Piero Gruccione. 1975, Matera, Centro D’Arte Labirinto, “Placido Scandurra”, presentazione di Vito Riviello, a cura di Rocco Fontana; Roma, Centro D’Arte Albore, mostra di grafica a cura di Nietta Fernandel. 1977. Roma, Galleria Il Trifalco, “Placido Scandurra” Personale di Grafica presentata da Carlo Bertelli, a cura di Giannina Angioletti; Roma, studio dell’artista a Via degli Zingari, Studi Aperti. Ricerca su Lastre. 1979. Roma, Galleria Il Trifalco, “Pastorali” ,a cura di Giannina Angioletti. Catalogo con testo di Guido Giuffrè; Parigi, Galleria Camille Renault, “Pastorali”, a cura di M.me Czanesky e Alfio Scandurra. Catalogo con testo di Guido Giuffrè. 1981. Roma, Galleria Astrolabio, “Archetipi”; Parigi, Galleria Camille Renault, “Archetipi”, a cura di M.me Czanesky e Alfio Scandurra 1982. Roma, Galleria Astrolabio, pieghevole con testi di Pasquale Rotondi e Sergio Rossi. 1983. Palermo, Centro D’Arte Il Paladino, pieghevole con testo di Giovanni Bonnano; Parigi, Galleria Camille Renault, “Una Magia nel Mondo”, presentata da Orfeo Tamburi, a cura di M.me Czanesky e Alfio Scandurra; Roma, Galleria Il Trifalco, “Una Magia nel Mondo”, testo di Orfeo Tamburi e Pasquale Rotondi, a cura di Giannina Angioletti. 1986. Capodorlando, Galleria D’Arte Moderna Agatirio, “Emergenze Anni ‘80”, a cura di Angelo di Florio, pieghevole con testo di Diana Tarshes; Roma, Centro Artistico Culturale Velca, “Oli, Acquerelli, Incisioni”, a cura di M. Grazia Annibali. 1988. Roma, Galleria Il Trifalco, “L’Archetipo e la Spiaggia Libera”, catalogo con testi di Claudio Strinati e Rosanna Barbiellini Amidei, a cura di Giannina Angioletti. 1992. Montecelio (Roma), Studio D’Arte I Capocroci, “Ecologia Incisa”, catalogo con testi di Fiorella Puglia e W. Van den Busche. 100
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1999. Roma, Libreria De Miranda, “Bagnanti e Cani”, a cura di Giorgio Fiume, pieghevole e presentazione di Fiorella Puglia. 2002. Roma, Lavatoio Contumaciale, “Folli tra le Folle”, a cura di Elio Mercuri; Roma, Gran Cafè La Caffettiera, “Visioni”, a cura di Laura Monachesi, catalogo con testo Claudio Crescentini, presentazione di Carlo Savini; Recanati (AN), Torre Civica, “Placido Scandurra”, a cura di Antonio Perticarini. 2003. Amburgo (Germania), Istituto Italiano di Cultura, “Visionen”, a cura di Daniela Papenberg, pieghevole con testo di Sonja Peter. 2004. Torino, Aeroporto Torino Caselle Sala Vip Vittorio Alfieri, “Alitalia per l’Arte”, a cura di Salvatore Colantuoni, pieghevole con testo di Eugenio Giannì; Sarteano, Stanze Segrete di Palazzo Fanelli, “Archetipi”, a cura di Eugenio Giannì; Nettuno, Ristorante Uvarara, “X Inciso”, a cura di Ada Impalara. 2005. Cerreto Laziale, Galleria comunale, “Archetipi”, a cura di Orlando Serpietri. 2006. Roma, Tempio di Adriano. Elogio al Nero. In occasione della Presentazione del catalogo su Maguerite Yourcenar. Tra le maggiori esposizioni: 1969. Roma, Centro Internazionale Amici della Scuola, “Mostra del Piccolo Formato”; Catania, Club della Stampa, “La Luna e l’Arte”; Roma, Galleria d’Arte La Sula, “Mostra Collettiva di Pittura”. 1970. Roma, Centro d’Arte Piazza Trinità dei Pellegrini, a cura di Gino Vlahovic. 1971. Roma, Galleria d’Arte S. Giacomo, “Mostra d’Incisione”, a cura di Adriana Gai. 1972. Roma, Sala delle Mostre dell’ENAL Provinciale, “L’Abbruzzo nelle Tele”, a cura dell’Associazione Figli d’Abbruzzo; Ribera (AG), Biblioteca Comunale A. Gramsci, “3° Concorso Regionale d’Arte Giovanile; Roma, Galleria d’Arte Incontri; Dublino (Irlanda), Isti101
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tuto Italiano di Cultura; Roma, Palazzo delle Esposizioni, “Mostra degli Allievi”, presentata da Mario Rivosecchi, a cura della Scuola delle Arti Ornamentali del Comune di Roma; Damasco (Siria), Galleria Urnina, “Rassegna Internazionale d’Arte, presentazione di Aziz Alloun; Sulmona (poi Pescocostanazo), Galleria d’Arte La Stadera, “Mostra natalizia del Piccolo Formato”; Roma, Galleria d’Arte L’Etrusca, “Collettiva d’Artisti Contemporanei”. 1973. Roma, Galleria d’Arte Il Sigillo, presentazione di Vinicio Saviantoni; Torre Annunziata (NA), centro d'Arte Oplonti, “Pittori ad Oplonti: “Un Quadro Uno Specchio”, testo critico da Mario Maiorino e Elio Mercuri; Roma, Galleria l’Accento; Damasco (Siria), Galleria Urnina, “7 Artisti”, a cura di Aziz Aloun. 1975. Matera, Centro d’Arte Labirinto, “Gli Artisti del Labirinto”, a cura di Rocco Fontana; Roma, Centro Iniziative Culturali Avvezzano, “Inco Art 75 Roma. Fiera Internazionale di Roma”; Roma, Centro Artistico Culturale La Pigna, “Incisioni, Litografie e Sculture d’Allievi Dell’Accademia di Belle Arti di Roma”. 1976. Roma, Centro Artistico Culturale La Pigna, “Incisioni, Litografie e Sculture d’Allievi Dell’Accademia di belle Arti di Roma”. 1977. Amalfi (SA), Centro Storico, “Amalfi by Night”, a cura dall'Azienda di Soggiorno e Turismo; Conegliano Veneto (VE), Sala Comunale, “Sicilia in Arte. 1ª Rassegna d’Arte”, a cura di Turi Sottile. 1978. Firenze, Centro Arti Visive Perseo, “Collettiva di Grafica”; Palermo, Discoteca Universitaria, “Il Canto della Terra. Ecologia '83”, a cura di Aurelio Pes; Lecce, Centro Polivalente Salesiani, “3ª Rassegna Internazionale della Grafica”; Roma, Centro Artistico Culturale La Pigna, “Incisioni, Litografie e Sculture d'Allievi Dell’Accademia di belle Arti di Roma”. 1980. Terni, Galleria d’Arte Sagittarius, Artisti Umbri, presentazione di Bruno Sestile. 1982. Narni (TR), Palazzo Eroli, “Mostra d'Arte. Recital di Poesia Tavola Rotonda”, a cura di Franca Calzavacca. 102
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1983. La Spezia, “3ª Biennale d'Arte Città di La Spezia”, catalogo a cura di Occhipinti Editore; Roma, Museo delle Arti e tradizioni Popolari, “Danze Popolari Italiane”; Todi, Sala delle Pietre, “Opere Recenti di 7 Pittori e 3 Scultori”. 1985. Todi, Galleria Primo Piano, “Disegni Inediti di Pittori, Scultori, Incisori”; Palermo, Orto Botanico, “Oriente Mediterraneo e Occidente”, a cura di Aurelio Pes; Roma, Galleria d’Arte Il Trifalco, “Idea di Roma”, a cura di Giannina Angioletti. 1986. Ospedalicchio di Bastia Umbra (PG), Sala Congressi Lo Spedalicchio, “La Mano e l’Immagine. 5 Artisti Contemporanei”; Colli su Velino (RI), Pro Loco, “Prima Biennale di Grafica d’Arte: l’Acquaforte”, catalogo a cura di Franco Bellardi; Roma, Accademia Studi Arte nel Mondo Leonardo da Vinci, “4 Artisti a Confronto”, catalogo con testo di Valeria Palombo; Messina,Chiesa di S. Francesco l’Immacolata, “Incontro d’Arte. Dimensione Ecologica e Semplicità di Vita nel Cantico delle Creature”, con testo di Pepè Spatri; Roma, Il Canovaccio, Studio del Canova, “Anni ‘80: Emergenze”, catalogo a cura di Angelo de Florio. 1987. Roma, Centro Artistico Culturale Velca, “Ars Regia”, catalogo a cura di M. Grazia Annibali. 1988. Galluzzo (FI), trattoria All’Insegna del Gallo, “Arte in Trattoria”, a cura di E. Costantino; Roma, Accademia di Romania, “Due Artisti a Confronto. Horea Cucerzan e Placido Scandurra”. 1989. Roma, Complesso Monumentale S. Michele, “Presenze Siciliane:Arte nel XX. Secolo”, catalogo a cura di Claudio Strinati, Sergio Rossi e Gianfranco Proietti. 1992. Roma, Palazzo dei Congressi, “Arte Roma 92. De Pictura o dell’Immagine”, catalogo a cura di Claudio Strinati. 1993. Mantova (poi a Praga, Berlino e Amsterdam), Palazzo Ducale, “Guido Io Vorrei”, a cura di Guido Novi Editore. 1994. Montecelio (RM), Salone La Pace, I Capocroci, a cura di Fiorella Puglia; Roma, S. Onofrio al Gianicolo, “Folgorati sulla Via di Damasco”, catalogo con testi di Claudio Crescentini e Carlo Savini, a cura del Centro Internazionale Antinoo per l’Arte. 103
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1995. Montecelio (RM), Salone La Pace, “Due Artisti a Confronto: Rinaldo Fedeli e Placido Scandurra”; Roma, Galleria d’Arte Il Trifalco, “Eco e Narciso”, a cura di Giannina Angioletti - Roma, Café Notegen, I Capocroci. Sguardo sul Mistero Donna”, a cura dell'associazione P.A.N.D.A.; Roma, Museo Internazionale della Microincisione, a cura di Ferruccio Massimi. 1996. Roma, Galleria d’Arte Because I Love, “Le cadavere Exquis”, a cura di Guido Novi Editore. 1997. Roma, Associazione Culturale Drome, “Ansia Divina. Placido Scandurra, Venera Finocchiaro, Wolfgango Telis”, a cura di Giorgio Fiume, testo di Roberto Piada; Roma, Caruso Café (Testaccio), “Arte Testaccio” a cura di Giorgio Fiume; Roma, Roof Garden del Palazzo dell’Esposizione, “I Grandi Personaggi Femminili della Letteratura nell’Interpretazione dell’Arte Contemporanea”, presentazione di Ferruccio Ulivi, a cura del Centro internazionale Antinoo per l’Arte. 1998. Blaj (Romania), Museo d’Arte Moderna, “2° Simposio d'Arte Contemporanea Micu Klein”, a cura di Horea Cucerzan; Montecelio(RM), Salone la Pace, “Due Artisti a Confronto. Rinaldo Fedeli e Placido Scandurra”. 1999. Roma, Galleria La Tartaruga, “Compresse Contro la Depressione”, a cura di Ferruccio Massimi; Roma, Libreria De Miranda, “Le Pagine dell’Arte, a cura dell’associazione Pontedoro; Montecelio (RM), Salone La Pace, Logodeus”, a cura di Giorgio Fiume e Placido Scandurra, catalogo con testi di Roberto Piada e Fiorella Puglia. 2000. Roma, chiesa di S. Maria di Montesanto, “Sacrum 2000”, catalogo a cura di Bruno Sestile; Corciano (PG), Agosto Corcianese, “Il Genio Creativo”, catalogo a cura di Eugenio Giannì; Roma, Banca Popolare di Milano, “Valcare la Soglia”, a cura di Eugenia Serafini e Niccolò Brancato; Montecelio, Centro Culturale I Capocroci, “Collettiva di Artisti Italiani e Romeni”, presentazione con testo di Roberto Piada. 104
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2001. Centro Luigi di Sarro, “Il Bestiario Poetico”, catalogo con testo di Giorgio Fiume; Arcidosso, Castello Aldobrandesco. Stati Alterati: Poddighe, Rocchetti, Scandurra, catalogo a cura di Eugenio Giannì; Roma, Accademia di Romania, Arte Incontro, catalogo a cura di Eugenio Giannì. 2002. Recanati, Chiostro di Sant’Agostino, “Artisti Umbri o dell’Emigrazione”, a cura di Paolo Cecchini; Roma, Foro Italico (Estate Romana), “Due Artisti a Confronto. Placido Scandurra e Carla Guidi”, a cura del Centro Internazionale Antinoo per l’Arte; Agello, Sala Vincioli, Il futuro ieri, a cura di E. Giannì. Annuale di Grafica Internazionale. Seconda Edizione; Rieti, Complesso Sant’Agostino, “Massimo Rinaldi nei Luoghi della Memoria e della sua Opera”, a cura di Franco Bellardi, catalogo con testo di Franca Calzavacca. 2003. Roma, Basilica Santa Maria degli Angeli, “Artisti della Città della Pace”, a cura del Centro Internazionale Antinoo per l’Arte; Roma, Complesso S. Gregorio al Celio, “La Guerra,la Pace, la Solitudine”, catalogo a cura del Centro internazionale Antinoo per l’Arte; Latina, Istituto Comprensivo Vito Fabiano, “Segnalibri”, a cura di Massimo Pompeo; Montecelio, Centro Culturale I Capocroci, “Weekend con l’Artista: Collettiva di Artisti Italiani e Romeni”, a cura di Placido Scandurra; Roma, Studi Arte Fuori Centro, “Emergenze Epifaniche”, pieghevole a cura di Lucrezia Rubini. 2004. Roma, Remix Art Café, “ Mythos e Realtà”, pieghevole a cura di Fabiola Mercandetti; Montecelio(RM), Salone La Pace, “La Luna nel Pozzo: Mostra d’Arte collettiva Italo-Argentina”, a cura di Carmen Ramallo Annibali; Vienna, Rumänisches Kulturinstitut, Wege in und zu Europa. Mostra di artisti italiani, romeni e austriaci; Arrezzo, Galleria Transit, Placido Scandurra, pieghevole a cura di Eugenio Giannì. 2005. Latina, libreria Piermario&Co, “Immagine di Tascabile”; Colle Fiorito di Guidonia (RM), Palestra dell’Istituto Comprensivo di Colle Fiorito, “Colle Fiorito: Arte in Piazza, pieghevole a cura di Lucrezia Rubini; Pozzaglia Sabina (RI), Sala Consigliare del Co105
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mune, “Segno/Sogno della Realtà”, catalogo a cura di Fabiola Mercandetti; Roma, Archivio Centrale dello Stato, “Mediterraneo d’Arte”, catalogo a cura di Claudio Crescentini; Montecelio(RM), Chiostro dell’ex convento di San Michele, “Arte in Piazza: dentro/ fuori/attraverso”, catalogo a cura di Lucrezia Rubini; Roma, Ministero Affari Esteri La magia di Placido Scandurra, Roma, a cura di Antonella Perna. 2006. Agello, Sala Vincioli, Linguaggi incrociati, a cura di Eugenio Giannì. Annuale di Grafica Internazionale. Sesta Edizione; Vejano, Alituscia, In Volo sopra il Mondo, mostra collettiva in memoria di Angelo d’Arrigo. Catalogo a cura di Claudio Crescentini, Marta Savini e Laura Monachesi; La magia di Placido Scandurra, Associazione Culturale Italo-Irlandese, Roma, a cura di Antonella Perna. 2007. Potenza, Atelier “Il Santo Cral”, Chalkòs. Segni d’autore, a cura di Rocco Santacroce e Vito Palladino; Roma, Sala Consiliare, “Piacentina Lo Mastro”, XI Municipio, Equibri; Roma, Castel Sant’Angelo, Baltico Mediterraneo. Italia e Finlandia in confronto, catalogo a cura di Sergio Rossi; Roma M.I.C.R.O., In Cartis. Il meraviglioso Mondo della Carta, a cura di Massimo Pompeo; Roma, Archivio di Stato, Placido Scandurra. Dalla figura all’archetipo, a cura di M.H. Sonja Peter e Laura Monachesi. 2008. Tivoli, Scuderie Estensi, Placido Scandurra. Opere pittoriche e grafiche dal 1970 al 2005, a cura di Marco Testi; Mandela, Sala Polivalente Comunale, Artisti, tecniche e stili a confronto, a cura di M.H. Sonja Peter.; Roma, Biblioteca Vallicelliana, “Haliéus – Mare e Pescatori nell’Arte Contemporanea”, a cura di A. Bagnato; Palermo, Orto Botanico, “Amicizia nell’Arte”, a cura di V.Sciamè; Mandela,Sala Polivalente Comunale, “Artisti, Tecniche e Stili a Confronto”, a cura di Sonja Peter; Montecelio (RM), Chiostro dell’ex convento di San Michele,”Aria/Vento/Volo: Dimensioni Eteree del Volo”, IV edizione del ciclo “Arte in Piazza”, a cura di L. Rubini; Perugia, Complesso monumentale di San Giuliani, “60 Anni in Mostra. Raffaele tarpani, 46 maestri dell’Arte Contemporanea UmbroToscani”, a cura di Eugenio Giannì. 106
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2009. Cesano Maderno (MI), Palazzo Arese Borromeo, “1000 artisti a Palazzo”, a cura di Luciano Caramel; Civitanova Marche (MC), Sala Mostra Vincenzo Foresi, “Arte a scuola SEGNIXLIBRI rettangoli d’amore”, a cura di Massimo Pompeo; Roma, Palazzo dei Dioscuri al Quirinale (4 giugno – 3 luglio), “RURITALIA.it. Agricoltura e lavoro nell’arte del Novecento dal Futurismo a Facebook”; Tarquinia (VT), Palazzo dei Priori (10 luglio – 30 settembre); Palermo, Orto Botanico (27 giugno – 18 luglio) “Amicizia nell’Arte”, a cura di di Vincenzo Scamò; Catania, Palazzo della Cultura (28 agosto – 14 settembre); Latina, “Arte e Scuola. In Cartis. Una Carta Conquistata”, a cura di Massimo Pompeo; Capo d’Orlando(ME), Pinacoteca Comunale, “Omaggio a Lucio Piccolo nel 40° anniversario della sua scomparsa”, a cura del Centro d’ Arte Moderna “Agatirio”; Roma, Biblioteca Vallicelliana, “Artisti Contemporanei per N.V.Gogol”, a cura di A.Bagnato; Roma, Biblioteca Vallicelliana, “Figure Femminili nell’Arte Greca”, a cura di Agostino Bagnato; Roma, Archivio centrale dello Stato, “Collezione d’Arte Contemporanea”, a cura di Massimo Domenicucci, Cristina Mosillo e Franco Papale; Montecelio, Chiostro dell’ex convento di San Michele (19 – 29 dicembre), “Dalla terra al cielo: dall’primordiale all’infinito”, a cura di Lucrezia Rubini. 2010. Volta Mantovana (MN), Palazzo Conzaga (30 aprile – 3 maggio), “Il Vino Inciso. La Vite, l’Uva, il Vino ”, a cura di Anna Sartori; Velletri, Museo Diocesano (13 –21 marzo), “Placido Scandurra. Opera Prima (1968 – 1976)”, a cura di Claudia Zaccagnini; Roma, Accademia di Romania (21 ott. – 12 nov.), “ Incontro Dorato – Intalnire de Aur” a cura di Giorgio Fiume, Iulian M. Damian, Gabriella Molcsan; Roma, Complesso dei Dioscuri del Quirinale (25 nov. – 6 dic.), “Tolstoi. Celebrazione per il Centinario della Morte”, a cura di Agostino Bagnato e Claudio Crescentini; Montecelio, Chiostro dell’ex convento di San Michele (28 nov. - 5 dic.), “Il gruppo degli artisti del San Michele. Collezione e Primo Manifesto”, a cura di Lucrezia Rubini; Tarquinia, Palazzo dei Priori (8 dic.-16 gen. 2011), “Tolstoi”, a cura di Agostino Bagnato. 107
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2011. Veroli, Galleria Comunale “La Catena”(5 - 20 feb.), “Tolstoi”, a cura di Agostino Bagnato; Roma, galleria Agostiniana, “Le Tecniche Artistiche tra tradizione e modernità”, a cura di Simone Virdia; Rocchetta Volturno, Museo di Arte Contemporanea, “150 Artisti per l’Unità d’Italia”, a cura di Michele Peri; Roma, Complesso dei Dioscuri al Quirinale (29 nov. – 6. dic.),”150° anniversario dell’Unità d’Italia. NOI CREDEVAMAO il 1861 nel 2011”, a cura di Agostino bagnato, Claudio Crescentini, Ida Mitrano.
Raffaele Tarpani è nato a Perugia nel 1949. Ha studiato e risiede in Umbria, si è diplomato presso l’Istituto d’Arte Bernardino di Betto di Perugia nel 1966, abilitato all’insegnamento. Ha iniziato la sua attività artistica nel 1962 partecipando a varie mostre regionali e nazionali ottenendo premi e riconoscimenti da vero mattatore dell’arte contemporanea. Nell’autunno 1968 allestisce la sua prima mostra personale a Perugia, ottenendo consensi positivi dalla critica e dal pubblico. L’anno seguente è presente con una personale a Spoleto nell’ambito della XII edizione del Festival dei Due Mondi. Nel 1971 si conferma come una tra le promesse più interessanti nel panorama artistico italiano, esponendo alla Galleria Barbaroux di Milano. Nel 1972 è di nuovo a Perugiacon una personale e viene invitato a far parte di istituzioni culturali quali l’Accademia dei Cinquecento e l’Accademia Tiberina. Dopo una fase di ricerca e di riflessioni sulle sue modalità espressive, raccoglie l’invito a partecipare ad una collettiva presso ilSalone delle Nazioni a Parigi nel 1982. L’anno dopo, è invitato a Mugnano, dove esegue un apprezzato murale. Contemporaneamente vi tiene una personale. Nel 1985 ridipinge all’interno della chiesa del Trebbio di Pila una Madonna con Bambino e angeli. In questo periodo sperimenta altre forme espressive, prediligendo vecchi legni come supporti per una 108
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materia di colori e immagini sinteticamente eloquenti, testimoniando un’inesauribile vena creativa. Successivamente la sua ricerca, sempre nell’ambito della sperimentazione, partendo dalla lezione informale, coniugata con l’irriducibile vocazione a conservare un’impronta d’iconocità, si sposta ad esaltare la materia, come la juta e la carta per arrivare alla fusione della plastica. Dopo una selezione a livello nazionale è tra i venti artisti invitati alla VII edizione della manifestazione “Pittoriin ribalta” a Nardò (Le), alla conclusione della quale ricevette l’onorificenza di “Maestro del pennello”. L’anno dopo, si ripresenta alla settimana del colore a Marina di Ravenna dove partecipa a sei concorsi, ottenendo la premiazione in ben quattro gare tra cui la “Tavolozza d’oro”. Nel 1991 alla XXVII edizione dell’Agosto Corcianese, idea e realizza una performance a favore dell’UNICEF. In quell’anno viene invitato a Mugnano ad allestire la mostra ufficiale della manifestazione “In...contriamoci” ereditando così il testimone da pittori di chiara fama. Realizza anche un murale a Bagnaia, al di sotto di una struttura architettonica ad arco, antistante la chiesa del paese. Nel 1992 organizza diverse mostre, fra cui tre personali. In aprile a Santa Maria degli Angeli, poi a Talla (Ar) d ove su invito della Pro Loco, inaugura nella scuola elementare del posto un’altra personale. In dicembre si presenta al pubblico di Bastia Umbra, nella sala espositiva S. Croce, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune. Nel 1993 si precisa la ricerca espressiva dell’artista, riscoprendo quelle tematiche che lo avevano da sempre affascinato come il paesaggio, abbandonando così le ricerche materiche astratte. In settembre, nell’ambito della rassegna delle sagre a S. Sisto di Perugia, esegue un pannello offerto poi in asta, il cui ricavato è stato devoluto all’associazione “Daniele Chianelli” Comitato per la vita. Al termine di quell’anno, allestisce una personale presso il circolo culturale “Insula Romana” di Bastia Umbra, riproponendosi ancora nel 1994, 1995 e 1996 con nuove opere, dimostrando ancora una volta la sua perizia tecnica e l’affezione a quei temi costanti nella 109
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sua produzione, quali il paesaggio umbro, nudi femminili e sperimentazioni su ceramica. Nei primi anni novanta è alle prese con la tecnica dell’affresco. Realizza una pittura murale nel locale Mikiflowers di Bastia Umbra; un’opera lignea a favore della Pro Loco di Mugnano a ricordo di un carissimo collega scomparso;decora poi il salone di una casa privata a Pila ed allestisce due mostre personali a Mugnano. Nel 1995 realizza il Palio in occasione della Festa di San Michele Arcangelo patrono di Bastia Umbra che, escludendo una facile narrazione pittorica, si caratterizza per un virtuosismo compositivo dai sapienti contrasti cromatici che sottolineano efficacemente i significati religiosi. Sono varie le opere eseguite per contribuire ad aste di beneficenza, oltre a quelle ricordate anche a Foligno, Bastia, Santa Maria degli Angeli, Perugia ecc. Nel 1997 nella sala espositiva S. Croce di Bastia Umbra, con la presentazione del critico d’arte dott. Massimo Duranti, si ripropone al pubblico, con una monografia che racchiude significative opere dal 1968 al 1997. Quaranta opere che hanno ripercorso ed illustrato la via seguita dall’artista in quasi quaranta anni di attività. Nel 1997 realizza una mostra personale in Valtopina (Umbria) presso la sede della Pro Loco e partecipa, vincendo, al concorso di Trevi (Umbria) per la realizzazione del dipinto “Palio dei Terzieri”. Nel 1998 realizza due mostre personali rispettivamente in Assisi sala “Via del corso” ed in Bastia Umbra in occasione dell’“Expo regalo” (mostra internazionale di articoli regalo). Nel 2000 realizza tre mostre personali : ad Assisi nella “Locanda degli Artisti”, a Palazzo di Assisi nella “Sala del Castello” ed a Bastia Umbra in occasione dell’”Expo regalo”. Nel 2002 è presente a Todi, presso l’ex chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, con una importante personale, seguita sempre nello stesso anno a Bastia Umbra dalla manifestazione “Arte in vetrina”, esperienza, ripetuta, anche nel 2003. Nel 2003 è promotore di due importanti collettive legate al Gruppo “éART” e corredate entrambe da importanti cataloghi: la prima è a Bettona e la seconda, dal titolo “...& segni”, a Roma presso l’Ora110
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torio di S. Francesco Saverio. Il 2004 è un anno importante, infatti a San Sano (SI) gli viene assegnata la “Rana d’oro” e nel corso dell’anno è protagonista di tre significative personali, ad Ospedalicchio presso l’“Olivera Inn”; a Trevi presso “Il Frantoio” e a Spello presso l’”Hotel Altavilla”. Nel 2005 partecipa a “In Chartis Mevaniae”, prima a Bevagna e poi a Perugia presso il CERP. Nel 2006 e nel 2007 è protagonista ancora una volta a Mugnano con una personale per la manifestazione “In...contriamoci” e tra la fine del 2006 ed i primi del 2007, nella ricorrenza dei suoi 44 anni di pittura, tiene una splendida mostra presso le Logge di Braccio in Perugia alla presenza di autorità regionali e del meglio della critica umbra. Sempre nel 2006 è autore del “Palio della Quintanella” di Scafali (PG) e del “Piatto di Sant’Antonio” per la omonima manifestazione a Santa Maria degli Angeli; ancora nello stesso anno è protagonista di una personale ad Amelia, Palazzo Petrignani, dal titolo “Pomeriggio con Rossini”. Ancora del 2007 è invitato a Rodi Garganico ad esporre con altri 24 artisti selezionati a livello nazionale, così come entra nel novero dei 30 artisti ospitati dall’Associazione Alkaest di Città di Castello per una collettiva; sempre in questo anno è coordinatore della “Via Crucis” a Spello dove partecipa anch’egli, unitamente ad altri 13 artisti da lui selezionati, con una significativa opera. Tra la fine del 2007 ed i primi del 2008 espone a Spello presso il Palazzo Comunale sempre con l’intervento di autorità e noti critici. Nel 2008 è autore del manifesto per i 25 anni de “I Vinarelli” di Torgiano, manifestazione alla quale ha sempre costantemente partecipato; sempre nel 2008 partecipa alla significativa mostra, di cui è anche selezionatore dei pittori partecipanti, dedicata ai 700 anni della morte di Santa Chiara da Montefalco e dal titolo “Omaggio a Chiara” che si svolge presso il Monastero delle Agostiniane, in questa occasione il Comune di Montefalco gli acquista l’opera. Nel 2006, 2007 e 2008 è ancora invitato a Nardò (LE) alla manifestazione “Pittori in Ribalta” dove espongono 20 artisti selezionati da tutta Italia. 111
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Nel marzo 2008 espone a Montefalco presso la “Chiesa S.Maria” in Piazza del Comune, nello stesso anno allestisce una mostra personale a Foligno presso il locale “Piazzetta S. Vito”, successivamente è presente con una serie di opere recenti nei locali della “GARGOTTA” pub pizzeria a Bastia Umbra. Nell’anno 2009 realizza una mostra personale nei locali della B.N.L. di S. Maria degli Angeli in occasione delle giornate di Telethon. Nel 2010 espone le proprie opere nel locale “Pizzidea” di Bastia Umbra. Nello stesso anno è presente anche ad Assisi al “Camping Internazionale Assisi”. Nell’Agosto espone a Torgiano nella sala espositiva della “Fondazione Lungarotti”. Da dicembre fino a fine gennaio 2011 fa parte dei “10 Artisti a Corte” presso Palazzo della Corgna di Castiglione del Lago – Pg. Ad Aprile 2011 inaugura a Perugia presso la sala “S. Maria della Misericordia” una personale dal titolo “Cieli”. È animatore e coordinatore del Gruppo “éART”. È l’ideatore della manifestazione “50 metri di...Solidarietà” che da anni ha portato a Bastia Umbra, Trevi, Spello, Assisi, Perugia, Foligno e S. Maria degli Angeli. Dal 1991 è presente con un atelier a Bastia Umbra, dove vive e lavora. È docente in vari corsi di pittura in Umbria. Sue opere sono presenti in collezioni d’arte private e pubbliche in Italia, Spagna, Austria, Belgio, Svizzera, Olanda, Ungheria, Germania, Gran Bretagna, Francia, Danimarca e India (Museo “Gandhi”).
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Giulio Viscione è stato Preside dell’Istituto Statale d’Arte a Venezia dal 1974 al 1978, di quello di Terni dal 1979 al 1986, di quello di Spoleto dal 1986 al 1995, e nuovamente a Terni dal 1996 al 2000. Selezione delle più significative attività artistiche: 1958/59. Mostra Interregionale Ibernai, “La Quercia”. 1960. Biennale dell’Aquila. 1961. Prima Mostra d’Oltremare, Napoli. 1962. Seconda Mostra d’Oltremare, Napoli. 1963. Premio Nazionale, “La Soffitta”, Terni; Mostra “Galleria Vittoria”, Napoli. 1964. Mostra degli insegnanti artisti I.S.A., Terni. 1965. Biennale d’Arte del Metallo (Medaglia d’oro), Gubbio; Mostra Internazionale, “Maschio Angioino”, Napoli; Mostra d’Arte Sacra, “Palazzo dei Priori”, Perugia. 1966. Secondo Concorso Nazionale di Scultura, “Francesca da Rimini”, Rimini; Esposizione di alcune sculture in occasione della Mostra dei Vini, Orvieto. 1967. Terzo Concorso Nazionale di Scultura, “Francesca da Rimini”, Rimini; Biennale d’Arte del Metallo, Gubbio; Concorso “Uno a Erre”, Medaglia e Targa, Arezzo. 1968. Mostra d’Arte Contemporanea, Sangemini. 1969. Staf Organizzazione Rassegna di Pittura Città di Terni dal 1900 al 1969. 1973. Rassegna di Pittura e Scultura Contemporanea, Sangemini. 1974. Mostra Biennale di Pittura, “Dunarobba”, Terni; Mostra Incontro “Arte a Scuola”, Scuola Elementare “V. Veneto”, Terni; Mostra al “Madrigale” di Spoleto; Mostra antologica 1958-1974 di pittura, scultura, grafica e disegni, Galleria Erreci, Terni. 1979. Collettiva di pittura, Sangemini; Collettiva di “Sette Artisti di Terni a Spoleto”, Terni. 1980. Mostra Internazionale d’Arte Sacra, Spoleto; Mostra collettiva 113
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in occasione della Corsa dell’Anello, Narni; Biennale Nazionale d’Arte Città di La Spezia; Mostra di “Sette Artisti”, Galleria Sagittarius, Terni. 1981. Mostra collettiva “Pittura e Scultura”, Galleria Nuova Sagittarius, Terni; Premio Nazionale Città di La Spezia. 1982. Mostra Nazionale Salsomaggiore Terme; Mostra d’Arte figurativa di Artisti umbri, Palazzo Eroli, Terni; “Solo per chi ci ama”, Cappella S. Apollonia (in collaborazione con l’Università), Firenze. 1983. Biennale Nazionale d’Arte Città di La Spezia; Mostra antologica (25 anni di attività), Galleria l’Incontro, Via Cavour, Firenze; Mostra collettiva, Sala delle Pietre, Todi. 1985. Mostra collettiva, Sala delle Pietre, Todi; Mostra di pittura “La Riconciliazione”, Cenacolo S. Marco, Terni; Mostra d’incisione, Comune di Montefalco; Mostra collettiva di disegni, Todi; Premiato con S. Valentino d’oro, Terni; Mostra collettiva di disegni e pittura, Perugia. 1986. Mostra Nazionale di Pittura, Rocca Paolina, Perugia; Mostra Nazionale di Pittura e Grafica, ex Officine Bosco, Terni. 1987. “Rivivi la tua città”, Mostra Nazionale di Pittura, Rocca Paolina, Perugia. 1988. Mostra antologica di scultura, pittura e grafica organizzata dal Comune di Trevi; Mostra d’Arte Sacra, Spoleto; Biennale Nazionale d’Arte Sacra, Fermo. 1989. Mostra collettiva internazionale di opere in vetro (Fucina degli Angeli), Madrid, Spagna. 1990. Biennale Nazionale d’Arte “Fatati”, Arrone, Terni; Mostra antologica “Punto Eggi”, Spoleto; Direttore Artistico “Eggi 90”, Spoleto. 1991. Mostra Nazionale premiati “S. Valentino d’oro”, Terni. 1992. Mostra collettiva internazionale sculture in vetro (Fucina degli Angeli), Museo Cà Pesaro, Venezia. 1993. Mostra pesonale, Galleria Helicon Art, Roma; Mostra internazionale di sculture in vetro (Fucina degli Angeli), Museo Haaretz, Tel Aviv. 114
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1996. Fatti d’Arte, sculture in vetro (Fucina degli Angeli), Piacenza. 1997. Mostra collettiva dei docenti artisti degli Istituti d’Arte dell’Umbria, Terni. 1998. Mostra collettiva di sculture, Parco delle Acque Minerali, Sangemini; Mostra collettiva internazionale, “Per un Museo della Terracotta”, Marsciano, Perugia. 1999. Mostra personale di Scultura e Pittura, Parco delle Acque Minerali, Sangemini; Realizzazione di una grande scultura in travertino, Parco delle Acque Minerali, sangemini; Mostra collettiva, “La Maternità”, n° 4 sculture in terracotta. 2000. Mostra collettiva Artisti premiati “S. Valentino d’oro”, sale espositive Cepu, Terni. 2001. Mostra personale (bozzetti 1956-2000), Teatro Comunale, Narni. 2002. Mostra personale antologica 1956-2002, Teatro Comunale, Narni. Opere di pittura e scultura si trovano in collezioni e musei italiani ed esteri. Le opere sono pubblicate in cataloghi, libri, riviste ecc. Stampa e televisione si sono spesso occupati dell’attività artistica. Ha organizzato sovente delle attività artistiche e culturali. Attualmente è Presidente dell’Associazione Culturale “Echo Art”. Giulio Viscione, via Quattro Macine 3, Terni Tel. 0744.27584
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Eugenio Giannì Estetologo e teorico dell’arte, è nato a Comiso (RG) nel 1943. Laureato in Filosofia presso l’Università di Perugia, ha contribuito alla diffusione delle poetiche visuali con articoli, saggi e relazioni. Dal 1990, insieme ai fondatori Gabriele-Aldo Bertozzi e Laura AgaRossi, si è interessato allo sviluppo dell’INI (Internazionale Novatrice Infinitesimale) attraverso una serie di interventi che vanno dall’Estetologia alla CromoINIfonia. Opere principali: - Pòiesis. Ricerca poetica in Italia, I.S.A., Arezzo 1986, distribuito da G. Politi, Milano - Estetologia del colore. La dinamica del movimento nell’arte, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1993 - Ecuador’Art, Catalogo, Arezzo 1996 - Nuovi linguaggi delle poetiche visive contemporanee: l’Inismo, Melisciano Arte, San Giustino 1998 - Mail Art/Arte postale, Fotoinigrafia, Letteratura odeporica, Letteratura prêt-à-porter (in coll. con G.A. Bertozzi, L. Aga-Rossi, S. Stringini, N. D’Antuono, G. Agresti, F. Proia), Angelus Novus Edizioni, L’Aquila 1998 - Bertozzi (in coll. con A. Gasbarrini e L. Aga-Rossi), Electa Editore, Milano 2000 - AA.VV. La comunicazione. Il dizionario di scienze e tecniche, Editori Rai-Eri, Las, Elle Di Ci, Roma 2002 (Voce: Colore, Design) - Franco Venanti, (a cura di), v. 1 e 2, Guerra Edizioni, Perugia 200203 - Ferruccio Ramadori, Benucci Edizioni, Perugia 2003 - Percezione et comunicazione: dal reale al virtuale, Guerra Edizioni, Perugia 2005 116
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- Tanto di cappello: un artista tra capi e copri-capi. Rassegna di opere e cappelli d’epoca di Franco Venanti, Guerra Edizioni, Perugia 2006 - Ekhah. Le Lamentazioni del profeta, Guerra Edizioni, Perugia 2006 - Giacobbe Giusti, L’altra dimensione, Guerra Edizioni, Perugia 2008 - Ad Immagine. Arte e spiritualità, Guerra Edizioni, Perugia 2009 - Inisalmica. Itinerario di poesia visuale, Guerra Edizioni, Perugia 2010 - Miserendino: il canto della terra. Ceramiche 2006-2010, Guerra Edizioni, Perugia 2011 - Tarpani: 50 anni tra variabili cromie e isolamento dello spirito, Guerra Edizioni, 2012 - Le incisioni di Franco Bellardi, La medaglia del rovescio (a.c.), Rieti 2012 - Ennio Boccacci - Antologica (a cura di), Tipolito Properzio, Bastia 2013 Contemporary Art. Collana d’Arte Visuale, Guerra Edizioni, Perugia - Franco Venanti, 2001 - Sergio Poddighe, 2002 - Placido Scandurra, 2002 - Laura Aga-Rossi, 2003 - Marcello Diotallevi, 2003 - Ferruccio Ramadori, 2005 - Fulgor C. Silvi, 2005 - Cinzia Senesi, 2005 - Placido Scandurra, La Grafica, 2006
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Gianni Dentini Si è diplomato nel 1964 e successivamente ha frequentato il corso di Laurea in Scienze Statistiche presso l’Università “La Sapienza” di Roma. In seguito alla partecipazione con successo a corsi di elaborazione elettronica e programmazione informatica presso l’IBM di Roma e Perugia ha lavorato come programmatore-analista nei centri elaborazione dati di alcune importanti aziende umbre. Nel 1976 è stato assunto dalla Cassa di Risparmio di Perugia dove ha lavorato fino al pensionamento nel 2004. È stato uno dei fondatori della Pro Loco Agello ed ha promosso in particolare l’attività culturale della stessa, organizzando mostre d’arte e concerti. Dal 1991 ha curato mostre di pittura e scultura in collaborazione con il maestro Franco Venanti con la partecipazione di grandi artisti come Dorazio, Castellani, Miniucchi ecc. Dal 2001, in collaborazione con il critico d’arte Eugenio Giannì, ha organizzato nove mostre internazionali di grafica presso la Sala Vincioli di Agello, ad Arcidosso, a Marsciano, a Monte Castello Vibio, a Castiglione del Lago, a Rieti, al Museo d’Arte Moderna di Roma e presso la sala espositiva della Camera di Commercio di Perugia riscuotendo apprezzamenti sia dal pubblico che dalla critica. Nel corso delle mostre sono stati presentati lavori di grandi grafici italiani ed europei, in particolare l’ultima è stata dedicata a Gerardo Dottori e al suo affresco presso la Cappella dell’ex-ospedale di Monteluce. Per ogni mostra è stato realizzato un catalogo, molto apprezzato e richiesto dai numerosi visitatori sia italiani che stranieri, di cui, con la consulenza del professor Giannì, ha curato il progetto grafico ed il coordinamento tecnico. Attualmente è membro del “tavolo cultura del Cesvol” di Perugia e del Comitato per le attività culturali del comune di Magione e ricopre l’incarico di vicepresidente del “Centro d’iniziativa sociale A. Bastreghi” di Magione. 118
Arte Sacra Contemporanea: Agello - Chiesa Madonna del Rosario
Dal 2010 collabora con alcune compagnie teatrali sia come attore che come regista di spettacoli teatrali e recitals di musica e poesia. Gianni Dentini Via dell’Aurora, 4 A 06063 Agello (PG) agelloarte@gmail.com tel. 329.6154529
Agello: nota storica Agello deve le sue origini , in epoca storica, ad un accampamento costituitovi a seguito della battaglia del Trasimeno (217 a.c.). Al “Castrum” agellese conferiva notevole importanza strategica il vicino passo di Montebuono, che costituì per secoli l’unico collegamento fra Perugia e la riva occidentale del lago Trasimeno. Certe sono le notizie relative alle sue caratteristiche nell’età medievale: nel 1186, Enrico IV pose Agello sotto la giurisdizione di Perugia di cui a quell’epoca era signore del luogo un componente della nobile famiglia dei Vincioli. A questi feudatari si deve la costruzione del complesso edilizio oggi conosciuto come “il Castello”; tale complesso, che riunisce in sé le caratteristiche della fortezza e del castello, era difeso già nel XII secolo da una solida cinta muraria il cui perimetro assumeva la forma di scudo ovoidale. Proprio intorno al Castello, di cui sono ancora visibili i tratti essenziali, si sviluppa la storia di Agello, da quel periodo legata nel bene e nel male a quella della vicina Perugia. Esistono testimonianze certe del suo coinvolgimento nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini che portarono alla distruzione della cinta muraria in diverse occasioni. Altrettanto dicasi per il periodo delle Signorie, quando divenne rifugio per alcuni seguaci degli Oddi, cacciati da Perugia dai Baglioni. Da allora, quasi per tre secoli, l’importanza di Agello, sotto il profilo strategico-militare, è alla base del susseguirsi di “fortune” e “disgrazie” fino alla distruzione più recente ad opera di Ferdinando II granduca di Toscana nel 1642. Buio è il periodo successivo fino all’Unità 119
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d’Italia: per quasi un secolo diventa un vero e proprio covo di briganti. Nella prima metà del 1900 si assiste ad una ripresa, anche sotto il profilo edilizio, in parte grazie alle rimesse dei numerosi emigranti. Con la fuga dalle campagne degli anni ’60, che portò un vero e proprio dissanguamento della sua popolazione (massiccia fu l’emigrazione verso la periferia di Perugia, verso il nord Italia ed in molti paesi d’Europa) si assiste ad una profonda trasformazione sociale ed economica che porta ad una ripresa nella seconda metà degli anni ’70. Agello, oggi, è un paese vivo sotto il profilo economico e quello culturale, con iniziative di notevole interesse per merito delle numerose associazioni presenti nel paese ed in particolare della Pro Loco fondata nel 1982. Una visita ad Agello può riservare gradite sorprese sia per il valore paesaggistico della zona, data la sua vicinanza al Trasimeno e la rispondenza precisa a quelle che sono le caratteristiche della collina umbra, sia per il panorama che si può ammirare da una delle torri del Castello.
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Come si arriva ad Agello • Utilizzare l’uscita Corciano del raccordo autostradale Perugia-Bettolle, percorrere la S.R. 75 per circa 500 metri ed immettersi nella S.P. 317 di Agello • dalla S.R. 220 (Pievaiola) immettersi sulla S.P. 317 di Agello (vicino al del Carcere di Capanne) • dalla S.R. 599 (Trasimeno inferiore) immettersi sulla strada co munale per Agello (in corrispondenza di Montebuono) Per informazioni e per le visite alla collezione: telefono: 329.6154529 email: agelloarte@gmail.com
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AGELLO – Chiesa della Madonna del Rosario Edificata nel corso del secolo XVII, la chiesa è ubicata lungo la strada provinciale 317 al km. 8,300 all’incrocio con la via che conduce a Vallupina. Dipendente dalla Parrocchia di Agello, la proprietà della stessa, fino al secolo XIX, era del monastero perugino di S.Pietro. La chiesa, rovinatasi e ricostruita in più di un’occasione a partire dal 1688, poco conserva della struttura originaria. Attualmente all’interno son o presenti un altare baroccheggiante ed un affresco murale da poco restaurato.Dal 2012, in occasione delle Feste Giubilari del Crocifisso tenutesi ad Agello, la chiesa ospita la collezione di arte sacra contemporanea con 15 opere sulle stazioni della Via Crucis così come suggerite dal Giovanni Paolo II Le fotografie sono opera di: Riccardo Cacioppolini, Mauro Castellani, Piero Dentini, Gianni Dentini. La copertina è stata ideata da Filippo Dentini.
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La Crocifissione (Luciano Capetti)