Connessioni di rete E PASSI D’AMORE dca2.0 il bucaneve nel web
DI MARIA GRAZIA GIANNI
Connessioni di rete e passi d’amore
Quaderni del Volontariato 2017
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PREFAZIONE A CURA LAURA DALLA RAGION
sociale CESVOL PERUGIA EDITORE Centro Servizi per il Volontariato Perugia Terni
Quaderni del volontariato 2017
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Quaderni del volontariato 5
Edizione 2017
Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 fax 075 5287998 www.pgcesvol.net pubblicazioni@pgcesvol.net
Edizione Agosto 2017 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Stampa Digital Editor - Umbertide
tutti i diritti sono riservati ogni produzione, anche parziale, è vietata ISBN 9788896649732
Il coraggio della testimonianza Non soffermatevi adesso su questa breve introduzione. Tornateci dopo. Quando avrete colto senza mediazioni di sorta, il significato o i significati dei quali chi ha scritto il libro ha voluto renderci partecipi. In qualche caso anche senza troppa consapevolezza, il che, se possibile, rende questa trasmissione di saperi e conoscenze ancora più preziosa, in quanto naturale ed “istintiva”. Ma di cosa stiamo parlando? Di una scelta coraggiosa. Gli autori di questi testi, di questi racconti, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza. Ma in quale tipo di società? Una società per la quale forse queste esperienze rimangono tutt’altro che virali (usando un termine contemporaneo) e spesso rischiano di rimanere nell’ombra. Una società che ha fra i propri tratti dominanti dei suoi componenti una innegabile riduzione del senso di appartenenza alla comunità, ad un gruppo allargato che sia in grado di condividere non solo ideali e visioni, ma anche obiettivi e cose da fare insieme per il bene comune. Certamente il quadro è stato complicato ed accelerato dalla individualizzazione della comunicazione nella scatola dei social, che hanno creato di fatto una nuova forma di relazione, che per qualcuno integra la relazione pre-digitale, per altri l’ha completamente sostituita. Ebbene, quale sarebbe questa scelta coraggiosa? Questi autori non si sono limitati ad un inutile e sterile lamento che parlasse dei bei tempi che furono, di quando c’era la piazza, di quando il Welfare era in un certo senso il vicinato, la famiglia allargata, la comunità solidale per natura. Di fronte al nuovo adagio che “non c’è più nessuno o nessun organismo sociale e relazionale che sia in grado di restituire alla nostra
società la flebile speranza di quello che potremmo definire un umanesimo post-moderno” che “stiamo coltivando la cultura del nemico”, chi ha scritto questo libro ha capito che l’organismo sociale e relazionale in grado di ricomporre e tenere unito il tessuto connettivo più profondo delle nostre comunità può essere ancora il fare associazionismo. Mettersi in relazione con altre persone per condividere una certa visione della realtà, dare senso al proprio tempo valorizzando quello che ognuno sa fare per metterlo in circolo nella propria comunità, occuparsi del prossimo o, più laicamente, dedicarsi alla relazione d’aiuto. Sono tutte azioni possibili, visto che una certa fetta della popolazione, in Italia ed in Umbria, sembra dedicarsi con una certa continuità ad un qualche tipo di impegno “solidale” e di cittadinanza attiva. E lo fa traendo linfa vitale dalla “dotazione di base di ogni persona”, da quel patrimonio di umanità e di empatia che, ognuno porta con sé dalla nascita. Quella sorta di componente genetica di solidarismo, che non tutti hanno la fortuna di concretizzare per vicende personali o per altre esperienze del proprio vissuto che, ad un certo punto della vita, ci rendono forse troppo attenti a noi stessi, al nostro individualismo.. e ci fanno perdere di vista l’altro, l’affresco complessivo delle relazioni, il cosiddetto bene comune. E allora? Cogliamo il valore di queste esperienze dal racconto diretto di chi le pratica nel suo quotidiano. E’ uno dei modi possibili per apprezzare il significato sotteso di queste testimonianze e per prendere consapevolezza che oggi, più di sempre, dedicarsi al volontariato, all’associazionismo e, più in generale all’impegno di cittadinanza attiva resta una scelta, adesso sì, coraggiosa. Salvatore Fabrizio Cesvol Perugia I Quaderni del Volontariato
Connessioni di rete e passi d’amore - dca 2.0 il bucaneve nel web -
di Maria Grazia Giannini
Prefazione a cura di Laura Dalla Ragione
Connessioni di rete e passi d’amore
PREFAZIONE Laura Dalla Ragione
Subito non accade niente. Ogni cosa si prepara a lungo. Angelo M. Ripellino Questo libro racconta un’esperienza. L’etimologia dei termini esperienza ed esperimento è la stessa: entrambi derivano dalla radice indoeuropea per, il cui significato è stato interpretato come “tentare, mettere alla prova, rischiare”, ma anche “attraversare uno spazio, raggiungere una meta, andare fuori”. Nella parola è dunque contenuta l’ambiguità semantica che allude sì al rischio, ma anche, al tempo stesso, al tentare strade nuove per attivare nuove risorse. Il tema di questo volume è dunque un tema rischioso, quello del web e più in generale i nuovi media, a partire dal ruolo negativo che la Rete ha avuto nella diffusione di Disordini Alimentari, fino ad arrivare al ruolo positivo che la stessa Rete può avere come mezzo di prevenzione e protezione dagli stessi disturbi . Il punto di vista, da cui questo fenomeno complesso, viene osservato è quella de Il Bucaneve , una Associazione di famigliari e utenti che da anni in Umbria, ma più in generale in Italia, è impegnata nella lotta allo stigma dei Disturbi del Comportamento Alimentare, nella prevenzione di queste insidiose patologie, con una attenzione particolare 7
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ai nuovi Media . I Disturbi del Comportamento alimentari costituiscono oggi una vera e propria emergenza sanitaria in Italia, con una omogeneità epidemiologica in tutto il territorio nazionale , ma con una discrepanza di assistenza tra le diverse regioni che costringe i pazienti e le loro famiglie a vere e proprie migrazioni sanitarie. La prognosi di queste patologie dipende principalmente da due fattori: la diagnosi precoce e la continuità delle cure. Le Associazioni delle famiglie e degli utenti ( in Italia sono una realtà davvero importante ) costituiscono una stazione importante nel percorso verso la cura : aiutano le famiglie ad orientarsi verso le strutture specializzate , le aiutano anche a riconoscere i primi sintomi, spesso negati dalla paziente, aiutano i pazienti a non vergognarsi di chiedere aiuto . Tutto questo viene comunicato attraverso i nuovi media , il web , i social , i gruppi di aiuto. E sicuramente l’efficacia di questi nuovi mezzi di comunicazione ha un impatto molto forte e agisce da contrasto a ciò che invece nella rete agisce da fattore di diffusione della patologia. Uno degli aspetti più sconcertanti nella diffusione e nella globalizzazione dei Disturbi del Comportamento Alimentare è infatti l’utilizzazione del web, nella trasmissione di modelli culturali, che enfatizzano la magrezza con la comparsa di siti che propagandano comportamenti patologici, finalizzati al controllo del peso e danno consigli estremi su come dimagrire. I siti pro-Ana, dove Ana sta per anoressia, costituiscono uno dei canali più efficaci di diffusione del disturbo, soprattutto tra gli adolescenti , che utilizzano questo mezzo quotidianamente e con estrema familiarità. La caratteristica di questi siti è quella di costituirsi come 8
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delle sette, sorta di movimenti underground dove si lancia un appello a dimagrire ad oltranza, come una forma di protesta e opposizione al mondo degli adulti. L’esplorazione di questi siti, che essendo proibiti, vengono ciclicamente chiusi e riaperti, proprio come quelli dei pedofili, lascia davvero interdetti per il livello di terrorismo psicologico, a cui possono essere sottoposti gli adolescenti che vi entrano. Delle foto di giovani donne obese in costume da bagno e sotto una didascalia: “Ecco come i vostri genitori vogliono farvi diventare”. I comandamenti pro –Ana a cui gli adepti dei siti devono attenersi sono tutti centrati sulla equazione che la magrezza è la salvezza , la strada principale per essere vincenti e felici. Alcuni stralci di queste conversazioni in chat, nei forum, nei blog, generalmente notturne ci introducono all’interno di un mondo, che si apre appena le porte di quelle camerette piene di manifesti e peluche si chiudono. Le ragazzine , veramente quasi bambine, entrano in realtà dove per dimagrire si può fare di tutto, dove i genitori sembrano fantasmi inesistenti e dove i coetanei suggeriscono sistemi di controllo del peso efficaci e pericolosissimi. Come in tutte le chat, tutto avviene in presa diretta e le conversazioni si interrompono ,perchè una delle partecipanti al forum deve andare in bagno a vomitare, oppure a fare pipi dopo avere ingerito i diuretici, che la nonna prende per il cuore. Le altre, appena torna in chat le domandano come è andata e si congratulano con lei se è riuscita nel suo intento. La potenza di questa modalità è enorme, soprattutto in un età, quella evolutiva, in cui si ha bisogno di appartenenza e riconoscimento. Dove si cerca la felicità come prima cosa, e dove la magrezza è diventata un imperativo categorico. 9
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Dialogando con i ragazzi infatti è la loro vulnerabilità e fragilità la prima cosa che colpisce e la seconda è il loro grande infinito bisogno di felicità. E’ come se vivessero nella costante preoccupazione di esistere, cercando l’approvazione degli altri, di noi adulti e dei loro coetanei in questa ricerca spasmodica di felicità. Il fenomeno felicità nella rete , in particolare nei social network resta il più sconcertante di tutti, le foto esposte nel proprio spazio sono tutte di vacanze straordinarie , di viaggi meravigliosi, feste allegre di cui ti sembra di sentire il rumore dell’esclusione. I corpi sono anch’essi virtuali, immortalati in pose improbabili, imprigionati in griglie estetiche dove non passa la vita; la vita quella vera, dove non sempre si è in ordine, dove abbiamo i brufoli, le occhiaie o non siamo in forma. L’insegnante e scrittore francese Daniel Pennac chiama “Divieto di avvenire” la grande paura di crescere, percepita da molti suoi giovani allievi. E’ come se il loro presente fosse caratterizzato da una sensazione d’inadeguatezza esasperata. Se i ragazzi non trovano nessuno che li faccia ricredere, in mancanza di prospettive future, è possibile che sviluppino la “Passione del fallimento”, la convinzione tenace di essere nullità e preda nelle comunità in cui vivono. Il problema vero non è tanto legare la felicità a qualcosa di materiale ,non solo almeno, ma comprendere che è veramente felice solo se chi realizza la propria natura, quindi chi avrà trovato una corrispondenza maggiore tra ciò che sente , ciò che vive e ciò che è. Dovremmo insegnare ai nostri figli che la felicità non arriva d’incanto. Non è una grazia ,che una sorte benevola riversa su di noi e un rovescio di fortuna può toglierci. 10
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Dipende solo da noi. Non si diventa felici in una notte, ma dopo un lavoro paziente, portato avanti di giorno in giorno. Il benessere si costruisce con la fatica, con le azioni più semplici e con il tempo. Per diventare felici bisogna conoscersi e amarsi. In questi ultimi mesi, via web è trasmesso uno spot di Michael Jordan, idolo sportivo di migliaia di giovani, in cui chiede scusa ai suoi sostenitori di aver dato l’idea di successi immediati e di felicità, come se tutte le sue vittorie fossero state raggiunte con facilità, come se il suo talento fosse un dono di Dio. Egli stesso chiarisce che: “Ogni mio fallimento mi ha dato la forza di continuare, il dolore è stato la mia motivazione, il gioco non è stato costruito sulla velocità, ma sulla fatica, il basket è stato qualcosa per cui ho lottato ogni giorno della mia vita”. Se chiediamo a più persone di raccontarci le loro esperienze di felicità, ognuna di esse porterà svariati esempi, il cui denominatore comune sembrerebbe essere la temporanea scomparsa di ogni conflitto interiore, la sensazione di armonia con il mondo e con se stessi. Come mai più aneliamo alla felicità, più finiamo per andare incontro all’infelicità e ci perdiamo nei meandri di una sensazione di sofferenza insostenibile? Forse, questo tragico equivoco nasce dal fatto che procediamo convinti che la felicità si trova all’esterno del nostro essere. Appare chiaro che ciò che determina l’infelicità non sia tanto il criticato materialismo dei giovani, ma la ben più grave scomparsa dal loro orizzonte dell’interrogarsi sul significato di ciò che chiedono a se e agli altri. Il filosofo Heiddegger sosteneva che ogni uomo è il risultato di ciò che sa pretendere da se stesso, ma se si abbassa il livello 11
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della domanda, se ci si accontenta rinunciando a scegliere, se si permettono alle delusioni di vincere, è facile cadere nella paura, nell’angoscia. Non esistono percorsi vincenti né il traguardo rende una vita migliore o peggiore, è la domanda che si cela in ogni esistenza, animandola dall’interno a fare la differenza, se quella domanda sarà autentica , non basterà una risposta deludente, una frustrazione ad annullarla.
Dott.ssa Laura Dalla Ragione Psichiatra e Psicoterapeuta Direttore Rete Disturbi Comportamento Alimentare Usl 1 dell ‘Umbria Direttore Numero Verde SOS DCA - Presidenza del Consiglio dei Ministri Presidente SIRIDAP - Società Italiana Riabilitazione Disturbi del Comportamento Alimentare e del Peso
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INTRODUZIONE Cinque anni sono passati da quando pensai di aprire il gruppo chiuso “Il Bucaneve” su Facebook e da allora ogni giorno, iniziando con un saluto mattutino, leggo e ascolto chi scrive. Dolore, rabbia, gioia, smarrimento, speranza…. mille emozioni attraversano il web. Luogo questo che incute anche molto timore perché pieno di insidie. In questo gruppo hanno transitato moltissime persone, alcune vi appartengono tutt’oggi, altre ci hanno salutato perché il loro percorso le portava verso strade nuove e belle, altre sono uscite perché non erano pronte ad accettare un luogo dove si parla di guarigione, altre purtroppo non ce l’hanno fatta. La farfalla che è la copertina di questo libro è un dono di una di loro, anima sensibile e ricca, colma di amore per la vita. Le sue parole, il suo tono ironico, a volte rabbioso per nascondere il troppo dolore, spesso affettuoso e attento risuona spesso nella mia memoria e per sempre sarà nel mio cuore.
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PRIMO CAPITOLO Avete presente la cosiddetta studentessa modello? Quella che sa sempre tutto o quasi, che non ha una materia preferita perché va bene in tutto, quella che non dimentica mai cosa si deve studiare per il giorno dopo, che ci prova a non essere antipatica perché alla fine passa i compiti, fa copiare gli esercizi ai compagni che il giorno prima altro che stare in casa con quel giorno di sole ma sono andati in giro con gli amici, quella che tutti alla fine vorrebbero nel banco davanti così è una garanzia per copiare, non nella fila accanto, proprio davanti, così si copia meglio. Ecco, quella ero io. Per tutti gli anni della scuola. Tutti. Brava accipicchia, proprio brava. “Ma anche oggi stai a casa? Vedo tutti i tuoi amici fuori, ma tu quanto studi?” Tanto studio vero, ma poi in mezzo agli altri mica mi ci trovavo così bene! Cosa avranno da guardare poi, cosa avranno da domandare, cosa avranno da chiacchierare così rumorosamente! Alla fine li’ in casa dopo i libri c’era silenzio, nessuno chiede.... C’è chi ricorda il primo giorno di scuola con piacere, magari legato anche ad una certa giustificatissima ansia, ma piacevole. Per me è stato un incubo: rigida, composta e impaurita in quel banco che era ancora troppo grande per me con accanto una scatenatissima e gioiosa bambina che senza interruzione mi sparava addosso il suo “Bambina, bambina!!! Come ti chiami???”. Nulla di familiare intorno, il 15
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fiocco rosa che mi pareva pesasse un chilo li’ in mezzo al grembiulino candido, le scarpe nere pulitissime e i calzettoni nuovi che un po’ mi segnavano i polpacci “Se me li mandassi giù?”. No, non si può, stai ordinata. A completare il tutto ecco la maestra - ai miei tempi avevamo una unica maestra che ti faceva tutte le materie -: alta, con un grembiule anche lei, ma nero, aperto davanti e sotto portava una gonna a quadrettini marrone e un golfino beige con al collo una collana di perle. I capelli rossi, tinti, corti, il rossetto messo in maniera accurata che poi scoprii ripassava con attenzione poco prima del suono della campanella mentre noi alunni preparavamo le nostre cartelle - avevamo le cartelle, niente zaino, niente attrezzatura pubblicizzata a raffica in TV come ora- “ Oddio e se questa mi parla?”. Insomma da quel giorno la scuola entrò a far parte della mia vita e occupò un posto molto importante. Solo dopo anni, molti, ho compreso che essere brava, riuscire bene in tutto era un altro tentativo di soddisfare quel “non essere abbastanza” che vivevo agli occhi di chi forse non riusciva a donarmi quello sguardo che mi facesse capire che andavo bene come ero, che non dovevo dimostrare nulla a nessuno perché mi si amava anche con le mie imperfezioni. Quindi all’ apparenza amavo tutte le materie scolastiche. Invece io, sotto sotto, sapevo bene che tutto ciò che aveva a che far con i numeri era per me ostile, freddo e complicato. Ed ecco che qui la mia testardaggine mi è stata utile, anzi meglio dire ANCHE qui. Se qualcosa non mi appartiene per natura non è detto che non debba però affrontarla o superarla. 16
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Quando mi sono trovata per la prima volta davanti ad un computer ho rivissuto un po’ l’imbarazzo e il disagio di quel primo giorno di scuola. Uno schermo illuminato con finestrelle strane e ognuna dentro conteneva mille informazioni, quella freccetta che all’inizio scappava da tutte le parti e non voleva saperne di puntarsi dove decidevo io; Google: un sapientone che te lo raccomando. Tutte le enciclopedie del mondo racchiuse in quella scatola. Bastava un click ma se poi sbagliavo che succedeva? Per un po’ mi ha intimorito poi mi sono detta che alla fine era un “coso” che quando volevo potevo staccare, un sapientone senza anima e senza cuore. Beh…non ci crederete, ma alla fine mi sono dovuta in grande parte ricredere. Presto mi sono resa conto che benché sentissi che il computer e il web non sono e non saranno mai parte della mia natura, che anche se per me il fruscio delle pagine di un libro e le linee armoniche della scrittura sul foglio non potranno certo essere da me sostituite dalla tastiera, il web non può più essere ignorato e anzi va fatto entrare nella vita quotidiana perché altrimenti si rimane tagliati fuori. Posta, ricerche, contatti, ormai sono tutti lì dentro e volenti o nolenti va accettato. “Allora usalo bene…vedi un po’ di fare lì dentro qualcosa che non sia proprio solo accettare passivamente!” mi sono detta. Il web ti ammalia, ti fa un po’ come il pendolo dell’ipnotizzatore, ti vorrebbe far credere che alla fine non hai bisogno di altro tanto c’è tutto lì. “Quindi, caro coso cerchiamo di capirci bene tu ed io…!”
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Il Bucaneve è l’associazione che ho costituito nel 2012, il 12 gennaio per la precisione e si occupa di Disturbi del comportamento Alimentare (DCA): anoressia, bulimia, binge eating e tutti gli altri tipi di disturbi che purtroppo sono venuti fuori in questi anni e che continuano a minare la vita di tante persone. Tanto per dare le dimensioni della piaga e chiamare le cose con il giusto nome: in Italia soffrono di anoressia più di 3 milioni di persone, il 20% sono bambini dagli 8 ai 14 anni, il 10% degli 8.500 nuovi casi annui sono maschi mentre 3240 le vittime del 2016 secondo i più recenti dati Sdo (Scheda di Dimissione Ospedaliera). Anche chi guarisce, però, prima di considerarsi tale deve aspettare anni dal momento che ricominciare a mangiare è solo il primo passo visto che l’anoressia consuma anche gli organi interni e le relazioni sociali. Cosa c’entra con il web? C’entra eccome…. Nella giungla di internet esistono moltissimi siti proana (pro anoressia) e promia (pro bulimia), cioè che inneggiano alla malattia e invece di aiutare a uscirne danno chiare e precise istruzioni per buttarcisi a capofitto e per rischiare ogni giorno la vita. Si possono denunciare questi siti alla polizia postale che provvederà a chiuderli, ma ecco che subito ne spuntano altri. Quindi visto che “fare il cane da guardia” non mi portava da nessuna parte ho pensato che forse poteva essere più utile agire in qualche modo per creare un punto di riferimento sano, magari piccolo, ma sano. E alla fine sappiamo tutti che il mare è fatto di gocce no? Quindi il sito poteva solo dare indicazioni su cosa è Il Bucaneve, la mail poteva dare modo di scrivere se si vedeva il sito, ma come provare ad entrare in contatto con chi naviga nella giungla di internet? Come raggiungerli? 18
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Riporto qui la definizione che troviamo in Wikipedia (ricordate le enciclopedia Treccani, Conoscere ecc ecc..beh… roba da museo) di social netwok: una rete sociale (in lingua inglese social network) consiste in un qualsiasi gruppo di individui connessi tra loro da diversi legami sociali. Per gli esseri umani i legami vanno dalla conoscenza casuale, ai rapporti di lavoro, ai vincoli familiari. La ricerca condotta nell’ambito di diversi approcci disciplinari ha evidenziato come le reti sociali operino a più livelli (dalle famiglie alle comunità nazionali) e svolgano un ruolo cruciale nel determinare le modalità di risoluzione di problemi. Allora mi sono detta: “Entriamo anche in questi social e vediamo che succede…”. Così è nato il gruppo chiuso Il Bucaneve su Facebook , comunemente chiamato FB. Se io mi chiamo Maria Grazia, tu ti chiami Marco o Laura il nome di questo gruppo è https://www.facebook.com/ groups/132623800189457/?fref=ts nella lingua web. Abituiamoci a cose all’apparenza incomprensibili (almeno per me…). Un gruppo che ha regole ben precise e che viene quasi costantemente (la notte dormiamo, siamo umani….) controllato dagli amministratori che con dedizione, capacità e amore dedicano il loro tempo per stare accanto a chi ha questo grave problema. Regole pensate proprio per aiutare chi soffre di questa patologia e non certo per vietare per il gusto di farlo, il tutto ben specificato nella descrizione del gruppo, creata proprio per evitare che chiedano di accedere persone che non hanno affatto la consapevolezza di voler lottare per uscire dalla malattia. Ecco cosa può leggere chi vuol capire cosa troverà nel gruppo: “L’associazione si costituisce per sostenere persone e famiglie che vivono una situazione problematica legata in par19
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ticolare ai disturbi del comportamento alimentare, tramite l’ascolto, il supporto, l’orientamento, la collaborazione con enti, istituzioni ed altri soggetti pubblici e del privato sociale presenti nel territorio locale, provinciale, regionale e nazionale Il gruppo e’ chiuso per rispetto all’argomento trattato e perché rispetto delle persone che parlano di se stesse. E’ quindi vietato riportare fuori dal gruppo quello che viene espresso dai membri, chi facesse una cosa del genere verrà immediatamente cancellato Il Bucaneve nasce per contrastare i siti pro-ana - mia ma soprattutto nasce come stimolo ad intraprendere una terapia (qualunque essa sia, psicologica, di analisi, cognitivo comportamentale ecc ecc) per GUARIRE DAI DISTURBI ALIMENTARI..SEMPLICEMENTE PERCHE’ GUARIRE SI PUO’.
REGOLE GUIDA Le regole vanno rispettate per il bene di tutti. √ Non si parla di peso, cibo, corpo, nome di farmaci e dei sintomi del dca. Non è il posto per confrontarsi su diete o altro LEGATO AL SINTOMO. √ Non devono essere postate immagini che mostrano il sintomo. √ Non si danno consigli sull’assunzione di medicinali. La 20
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persona dovrà ascoltare solo lo specialista che la segue. Si può parlare di sentimenti, emozioni, passi in avanti, paure o difficoltà o gioie. Non GIUDICARE e non SMINUIRE. Impariamo a rispettare le diversità di ognuno di noi. Il confronto può far bene a tutti se è civile. Non è mai costruttivo, invece, rivolgersi all’altro con toni forti. Esprimere la propria opinione con educazione. √ Nessuno qui dentro che “cura” il gruppo è un professionista. Infatti questo non è un gruppo terapeutico ma solo un gruppo di accoglienza ed ascolto e soprattutto di indirizzo alla terapia . √ Chiunque sia davvero motivato ad uscire da questi disturbi e a intraprendere una terapia psicologica o psicoterapeutica qui trova ascolto e convinzione per questa direzione, diversamente questo NON è il posto per chi trova mille scusanti per non affrontare. √ NON TROVERETE SOSTEGNO ALLO STAGNARE IN QUESTI DISTURBI....E IN QUESTO CASO GLI AMMINISTRATORI DECIDERANNO SE ALLONTANARE CHI CON COMMENTI DESTABILIZZANTI VANNO A COMPROMETTERE IL LAVORO DI TANTI!!! √ In Bucaneve troverete persone che dedicano il loro tempo a sostenervi senza fine di lucro mentre intraprendete la vostra corsa verso la VITA...qui vogliamo sentirvi VIVE e INTERESSATE ALLA VITA . 21
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Troverete ragazze/i avanti nel percorso di guarigione che vi sosterranno...e ragazze/i che si stanno avviando alla vita... più timidamente ma con la VOLONTA’ DI GUARIRE. Troverete tutto quello che in panorama nazionale offre in materia di istituzioni convenzionate o no. Troverete punti dove poter rivolgervi per intraprendere una cura adatta a voi.
Non dimenticate mai che guarire dai disturbi alimentari si può e alla grande! In tanti ce l’hanno fatta e se ci crediamo noi…voi chi siete per non farlo?”
In questo gruppo si parla di emozioni soprattutto, di ogni tipo: dolore, gioia, amore, paura…perché sappiamo bene che il problema parte da lì, dal reprimere ciò che sentiamo e proviamo e quindi pare una ottima soluzione dirottare la nostra vita sul sintomo legato al cibo. Ossessioni che accompagnano giorno e notte, che isolano dalla realtà e che fanno impazzire. Il momentaneo oblio iniziale poi diventa un tiranno che ti lega a quei pensieri e a quei meccanismi malati e non ti permette di vedere altro. Quindi parliamo di quello che si cerca di evitare, di quello che fa troppo male ascoltare ma che va fatto emergere se si vuol risalire la china. Nel gruppo si creano unioni, fiducia nell’altro, si crea un punto di riferimento quando l’ansia diventa troppo alta. Non è affatto un gruppo terapeutico, ma un luogo aperto all’ascolto e alla condivisione. 22
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Dopo un anno circa dall’apertura eravamo diventati quasi cinquecento. Abbiamo pensato così di capire da dove provenivano i componenti, che tipo di problema avevano, età ed altre cose e quando abbiamo chiesto la loro collaborazione è arrivata pronta e con entusiasmo. Ecco qui nei grafici il risultato:
Una particolarità: non c’è nessun membro del Molise. Eppure anche in quella regione esistono persone con DCA… altra particolarità: ad oggi (2016) in Molise non esiste alcun livello di cura per questo problema, cioè né centro, né struttura residenziale, né Ricovero ospedaliero né DH (Day Hospital) 23
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Nella stragrande maggioranza dei componenti (80.21%) il sintomo è insorto al di sotto dei 18 anni. Sappiamo bene ormai che nel momento in cui si manifesta il disturbo, già da molti anni la persona sta male interiormente e questa patologia è solo il modo di manifestare con il corpo il disagio interiore enorme
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Questo risultato è forse stato il dato che più mi ha preoccupato: 15,4% dei componenti non segue alcuna terapia. Dunque quando si sente parlare di 3 milioni di malati di DCA in Italia ci si riferisce ovviamente a coloro che sono ormai in cura, che quindi sono “entrati nelle statistiche”. E questo 15,4%? E’ una fetta grande di persone che stanno male, malissimo e che nessuno ancora ha intercettato, o almeno nessuno di questi si sta curando. Quindi quante saranno in effetti le persone che vivono ignorando il fatto che senza terapia non se ne esce? O anche se non lo ignorano non hanno comunque la consapevolezza ed il coraggio di chiedere aiuto?
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Nel nostro gruppo la maggioranza è di persone che hanno il disturbo, ma accogliamo anche genitori, parenti, amici che vogliono capire, cinfrontarsi e magari aiutare. Troppo spesso ci dimentichiamo della sofferenza ad esempio dei fratelli o sorelle di chi ha un DCA, a volte ci scrivono in maniera appassionata, parole colme di affetto ma anche di disperazione‌..
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73.37% dei componenti ha già fatto un ricovero in struttura residenziale. I ricoveri sono necessari quando il percorso ambulatoriale non produce alcun risultato, ma una volta usciti dalla struttura è basilare continuare ad essere seguiti. Il momento del reinserimento nella società e nelle abitudini fuori dalla residenza è molto delicato e difficile.
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La percentuale dichiarata dai componenti di essere fuori dal disturbo è dell’11,32%. Naturalemte hanno risposto solo le persone che hanno il problema e non i familiari o amici. Questo dato va preso come una affermazione che va accettata sulla fiducia. Quando si parla di guarigione nei DCA il discorso è ampio e sempre complicato. Spesso la domanda “Ma si guarisce?” risuona nei post scritti nel gruppo. Certo, si guarisce, si può tornare a fare una vita sana e serena tenendo conto che si è guariti quando siamo in grado di trovare il nostro equilibrio nonostante i problemi che la vita ci propone.
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SECONDO CAPITOLO Non ho affatto intenzione di tediarvi con il mio cammino interiore, alla fine inutile nascondere che tutti abbiamo qualcosa che ci condiziona e che deve essere affrontato e risolto. Solo che a volte cerchiamo di ignorarlo e andiamo avanti rattoppando le cose senza capire che, toppa più toppa, prima o poi qualcosa si lacera. Non so perché, ma sempre ho avuto la consapevolezza che per star bene dovevo guardare in faccia quello che mi bloccava e fare qualcosa per superarlo. Quindi la mia innata timidezza più crescevo più mi infastidiva ed allora mi sono imposta di fare qualche cosa che dimostrasse a me stessa che ero in grado di stare con le persone, che sapevo impostare un dialogo al di fuori di quello che studiavo e che alla fine (perché no?) potevo anche risultare simpatica o almeno non antipatica. Avevo paura di stare sott’acqua: ho deciso di fare una immersione subacquea nel Mar Rosso. Splendida indimenticabile emozione, ero diventata, lì sotto, parte di quel mondo: un pesce anche io e…respiravo senza paura! Il vuoto mi inorridiva: programmato e fatto un lancio con il paracadute. Seduta con i piedi ciondoloni sul bordo dello sportello dell’aereo a 4500 metri di altezza, sotto le nuvole. Adrenalina al massimo! Nei mille metri di caduta libera ho rivisto in pochi secondi tutta la mia vita scorrermi davanti, intanto mi facevo mille domande tra cui “Ma che ci sto a fare qui? Chi mi ha detto di farlo?” Poi la meraviglia del “plop” del paracadute che si apre ed ecco volavo. Volavo 30
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come un uccello! E sotto di me il mondo visto da una prospettiva unica, riuscivo a vedere posti che in macchina avrei raggiunto con chilometri di strada, il mondo ed io. Il web pareva così distante da me: dovevo capire come superare questa barriera ed ecco nato il sito e poi il gruppo su Facebook. Ma questo alla fine non è realtà, cioè quello schermo ci permette di nasconderci, possiamo anche inventarci un altro aspetto, raccontare qualcosa che non è vero. Sentivo la necessità di eliminare quella barriera. Pensai che dovevo fare qualcosa per incontrare le persone che scrivevano, iniziai con appuntamenti semplicissimi che chiamammo “C. & C. Caffè e Chiacchiere”. Ci davamo appuntamento in un locale di una città, generalmente un bar o un centro commerciale e lì passavamo qualche ora insieme a parlare guardandoci finalmente negli occhi. Ci siamo incontrati a Roma, Milano, Rimini, Genova…ero io che mi spostavo per raggiungere le ragazze e i genitori che scrivevano sul gruppo e che a volte con grande difficoltà superavano la paura di un incontro “dal vivo”.
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Più il tempo passava e più mi rendevo conto della potenza del web e di come se ben usato poteva portare anche a creare qualcosa di estremamente positivo. Non nascondo che ogni tanto mi assalgono paure e domande, I ricercatori della Cornell University e dall’università della California in collaborazione con Facebook hanno manipolato i contenuti visualizzati dagli utenti, in contenuti positivi e negativi ed i risultati mostrano come le emozioni possono risultare contagiose anche attraverso i social network online, quindi davvero è necessario stare molto attenti sui contenuti che si lasciano passare, soprattutto se a leggerli sono persone che hanno gravi disturbi. Poi però arrivano commenti e riscontri che mi fanno andare avanti con forza, un esempio? Ecco qua: “È davvero molto per me leggere frammenti delle vostre storie, anche il solo sapere che siete tutte riunite con il solo fine di donare supporto l›una all›altra. Il dolore condiviso diventa sempre più leggero e gestibile... In questi giorni il mio problema sta assumendo dimensioni enormi ed invadenti, complici i gravi problemi con mio padre. Venire qui è un modo per prenderne coscienza, per mantenere la fievole fiamma dell›auto consapevolezza che mi permette di non distruggermi con le mie stesse mani. Grazie!” Per condividere con voi cosa passa nel gruppo e perché alla fine continuo a credere che sia un mezzo per aiutare chi soffre di Disturbi Alimentari a prendere consapevolezza che si deve chiedere aiuto e intraprendere un cammino terapeutico desidero condividere con voi i risultati di una ricerca fatta lo scorso anno osservando ed analizzando i post scritti dai membri del gruppo: 32
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Intanto l’obiettivo era quello di valutare la frequenza degli argomenti maggiormente esposti nel gruppo, la richiesta di aiuto, il supporto ricevuto tramite web e come gli utenti interagiscono in merito all’argomento . Al momento dell’indagine i membri erano 538, non tutti attivi. La PROCEDURA: monitoraggio della Pagina Facebook per una durata di 4 mesi, costruzione iniziale di macrocategorie , per ogni categoria sono state costruite delle sottocategorie:
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La richiesta di aiuto è quasi sempre esplicita e di tipo emotivo, in cui si richiede vicinanza emotiva, abbracci e consigli. L’offerta con incoraggiamento, supporto e incitazioni di tipo positivo. Consigli e strategie per affrontare il problema. (grazie all’identificazione dei membri) Dubbi: richiesta di consigli : “Avevo un dubbio da proporvi, voi cosa ne pensate? Voi che dite?” La richiesta è rivolta all’intero gruppo segno che la ricerca di interazione è estesa a tutti i componenti ed è da notare chei componenti si mobilitano numerosi per l’Offerta
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Nel gruppo emergono vari tipi di emozioni: PAURA: viene espressa come sensazione generale, non identificano con esattezza verso chi o cosa la paura è indirizzata: “anche se non so bene perché ho tanta paura”. A livello più profondo in alcuni casi è legata al timore dell’ignoto e del futuro, possiamo dire quindi che essa è strettamente collegata alla tendenza perfezionistica tipica dell’AN in cui vi è la paura della perdita di controllo. ” RABBIA: soprattutto verso sè stesse. “MI DETESTO!!!!!” VISSUTI DEPRESSIVI: umore tendenzialmente basso, stanchezza fisica e crollo emotivo, “Mi sento giù, stanca sfibrata depressa, non ne posso più di una vita di problemi ...a volte vorrei non essere mai nata” SOLITUDINE e GIOIA: vengono supportati dal gruppo, offrendo sostegno, aiuto o strategie di soluzione.
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“...sono un problema” “Ok. Ora la smetto di rompere, giuro.” “Mi sento sbagliata”, ecco alcune frasi ricorrenti… Predomina una bassa considerazione di sé e incertezza sulla sfera dell’identità personale: “Io non mi riconosco più, non so più chi sono”, “... Non posso cambiare la considerazione che altri hanno di me, figuriamoci la mia”. Autosvalutazione: una percezione di sé poco consapevole. Tendenza al perfezionismo: «mi sento come se non fossi mai abbastanza. Non abbastanza a danza, a scuola, nel vestire, nel prendermi cura di me.»
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Un’interazione virtuale può influenzare in modo positivo l’umore degli altri membri, perché non esiste il confronto corporeo, non c’è una esposizione sociale diretta e non c’è la paura del giudizio Infatti spesso capita di leggere frasi che evidenziamo l’evitamento di relazioni sociali proprio per questi motivi: «Se uscire a cena perché bisogna, o per non deludere gli altri o per altro significava non mangiare allora preferivo stare a casa e mangiare in serenità.»
«Io mi faccio condizionare così tanto da non riuscire più ad uscire e stare in mezzo alla gente per paura dei loro giudizi,»
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Positiva è la sfera delle ideazioni con progettualità per il futuro: accumunate da desiderio di guarigione, di cambiamento «Sono stati mesi duri…anni ancora più duri ed ora voglio la rivincita...ricominciare da sé, ricominciare da quello che si ha» ...ci voglio provare e...senza sensi di colpa. Poco trattati i pensieri ossessivi, forse perché nelle regole si parla chiaramente di non parlare di ciò che può riguardare le ossessioni e gli atti legate al sintomo
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Nonostante le regole del gruppo chiedano di non parlare di cibo, peso e misure corporee a volte capita che scrivano post su questo tema. Gli amministratori provvedono il prima possibile a rimuoverli, ma ovviamente può capitare che possano essere letti da alcune persone. Riferimento al cibo: «E comunque anche in questo periodo il settore alimentazione e diete sembra che vada, un po’ meno ma va...» Riferimento alle forme corporee: “Il peso cala vertiginosamente, la massa grassa si riduce sempre di più (e già era troppo sotto i limiti minimi)”
Più volte è stato affrontato il tema della sessualità, viene discusso ed affrontato per confrontarsi, chiarire dubbi o richiesta di consigli.
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Come conclusione di questo lavoro abbiamo detto che: • Gli utenti del gruppo si mostrano propensi alla condivisione di aspetti molto personali (Condividere)=Possedere insieme; partecipare insieme; offrire del proprio ad altri • Viene trasmesso un senso di Comunità e Appartenenza (sentirsi ben accettato) attraverso l’accoglienza dei nuovi componenti e delle richieste dei singoli. • Empatizzano con il vissuto o l’esperienza altrui per cui il gruppo si muove verso una stessa direzione. • Vi è un interazione abbastanza partecipativa alle iniziative proposte dagli admin ma anche dalle ragazze stesse • Vi è una forte coesione rappresentata dall’alto grado di Solidarietà e Partecipazione che è presente fra gli appartenenti al gruppo. • I temi vengono trattati con Sensibilità e Rispetto • Prevale un’interazione con Assenza di Giudizio
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TERZO CAPITOLO La paura è una emozione che può bloccarti per anni, sembra sia solo negativa, ma può invece trasformarsi in forza motrice se riesci a pensare che fa parte di ognuno di noi, che quella paura ci avverte di qualcosa che dobbiamo affrontare e superare. Quella volta ero ancora piccola, avevo sei anni, e come vi ho detto vivevo l’ambiente scolastico con paura e disagio. Chissà perché quella mattina mi assalì il desiderio fortissimo di essere a casa, di sentire l’odore della mamma. Avrei semplicemente potuto dire che non stavo bene, la maestra Anna era davvero materna e comprensiva, invece già a quell’età dovevo dimostrare di essere forte e avevo paura del giudizio, così quando non riuscii più a trattenere le lacrime e la maestra mi vide la prima scusa che trovai fu: “Non ho il grigio per colorare l’elefante…” “Non preoccuparti…basta che tu usi il lapis senza schiacciare troppo”, mi disse la maestra accarezzandomi. E la paura svanì, quel contatto, quello sguardo che sapeva bene non essere il colore mancante che mi faceva piangere, mi aveva placato, mi aveva fatto sentire di poter stare in quel posto. Il senso di appartenenza è molto importante per chi ha un disturbo alimentare, sentirsi “parte di”, essere considerato, essere visto insomma, e poter dire che altre persone sentono come te, comprendono quello che provi e pensi. Anche in questo il gruppo chiuso de Il Bucaneve è importante, chi scrive sa che di essere ascoltato, chi legge non giudica ma 41
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vede la persona, prova a mettersi nelle sue scarpe e questo dà la possibilità di aprirsi senza paura. Ho pensato così di fare un altro passo importante sempre con le persone conosciute tramite il web: organizzare degli week end che sono un po’ formativi ed un po’ di puro e semplice svago. Ci diamo appuntamento per un fine settimana, un sabato ed una domenica, in un agriturismo che scelgo di volta in volta e lì arrivano persone del gruppo che provengono un po’ da tutta Italia. Con noi ci sono sempre per tutta la durata dell’week end uno o due professionisti; ci stanno accanto e possono comunque sostenere le persone che possono avere momenti difficili nel condividere questo tempo insieme ad altre persone che spesso vedono per la prima volta. La capacità di instaurare relazioni “normali”, di potersi mettere a tavola e condividere dei pasti è davvero una ardua impresa quando si vive ossessionati dal pensiero del cibo e peso. Quindi chi arriva ai nostri incontri trova il grande coraggio di preparare una valigia, organizzarsi il viaggio, guardare e stare accanto a persone che prima conosceva solo tramite uno schermo, ascoltare la parte formativa che riguarda ogni volta un argomento che sicuramente smuove e suscita emozioni non da poco in loro. Eppure ogni volta chi è venuto è ripartito carico di forza e di entusiasmo, proprio perché ha percepito forte il senso di appartenenza e la certezza del non giudizio da parte degli altri.
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Per comprendere meglio le sensazioni che rimangono nelle persone che partecipano a questi nostri incontri ecco qua: “Ogni volta che ci si incontra per me è un bagno di realtà e di speranza, e così è stato anche questo week end. Ho ancora una volta realizzato e preso atto di quanta strada ancora ci sia da fare, di quanti siano i bastoni tra le ruote e quante cose remino contro per svariati motivi; ho anche visto le nostre imperfezioni, le debolezze, la stanchezza. Ho al tempo stesso vissuto la tenacia, il coraggio, la testardaggine di un gruppo di persone determinato a rendere una vita serena possibile per chiunque desideri conquistarsela. Ho visto specialisti parlare con volontari, pazienti confrontarsi con genitori e lavorare insieme per rinforzare il servizio che desideriamo offrire; ma ho soprattutto visto persone, tutte sullo stesso piano e con le stesse emozioni al momento di esercizi e formazione. Ho incontrato tanti che con coraggio, impegno e il cuore in mano hanno viaggiato, non hanno dormito, si sono spinti al loro limite pur di portare qualcosa e continuano a farlo quotidianamente. Non per soldi, non per fama, non per onore ma per Amore. Mi avete ancora una volta ricordato che nel nostro piccolo Amore ne abbiamo da vendere e allora ancora una volta per Amore andiamo avanti. Grazie a tutti!”
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“Non credevo si potessero creare rapporti così forti, anche a distanza. Una distanza che non percepisco nel cuore. Questi due giorni sono stati qualcosa di unico. Se finora non ho ancora scritto niente è perché ho imparato a prendere del tempo, per sentire, per capire...e stavolta anche per scrivere. La serenità percepita in questi due giorni era travolgente. La voglia di stare insieme incontrarsi. Si perché un computer per quanto può essere il mezzo per stare in contatto e vicino a qualcuno, mette comunque delle distanze. Gli sguardi, gli abbracci le parole, i silenzi…e le risate... si quest’anno anche le risate, sono ben altra cosa; quelli li senti addosso, dentro, quelli avvolgono, quelli scaldano. Un week end davvero diverso da quelli degli altri precedenti. Quindi inizio con i ringraziamenti. GRAZIE a Sandra (la mia mamma) che è venuta con me (anche se non è la prima volta) che si è messa in gioco, e mi sono commossa nel vederla partecipare, @GRAZIE a Maria Grazia Giannini per il calore, l’accoglienza, le “prese in giro” e scusa se mi sono divertita a giocare un po’ con te...te ne ho dette di tutti i colori! GRAZIE per l’amore che trasmetti...e come già ti ho detto... il Bucaneve è speciale perché è guidato dal cuore. GRAZIE a CrisGatta Ribelle perché in questi due giorni ho trovato davvero una compagna di giochi divertimento e risate, GRAZIE a Tina Scricciolo perché quando le sto vicino sento una profondità pazzesca dove la bellezza regna sovrana. GRAZIE a Stefania e Anna Chiara per quello che avete fatto con noi, domani vado dalla psico è ho un sacco di cose da portarle, GRAZIE a Rita, perché c’è sempre una sua frase nella mia testa, e perché ho visto in questi due giorni uno sguardo più sereno su di me (poi forse mi sbaglio ma non credo) GRAZIE ai fiorellini che sono venuti perché sono proprio loro che danno un senso 46
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a quello che facciamo. Quest’anno i saluti per me sono stati davvero dolorosi… Non mi sarei mai staccata da quegli abbracci. Dai vostri sguardi. Avrei tanto altro da dire e raccontare... MA LE EMOZIONI NON SI POSSONO RACCONTARE, LE EMOZIONI SI SENTONO E SI VIVONO. perché ciò che si sente non può essere raccontato , le parole limitano, e riducono. GRAZIE A TUTTI VOI (e sicuramente ho dimenticato qualcuno quindi chiedo scusa) PER LA BELLEZZA CON CUI AVETE NUTRITO LA MIA ANIMA IN QUESTI DUE GIORNI”
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“Buongiorno fiorellini! Solo ora trovo il tempo per scrivere. Non sono brava ad esprimermi con le parole ma bho... io ci provo! Ebbene ebbene...scrivo per ringraziare tutti tutti i fiorellini per ciò che mi avete dato e chiedo scusa se non sono stata efficiente nell’aiutarvi e se vi ho feriti ma, a volte, si è spinti dal dolore e dalla rabbia perché sta maledetta malattia vuol distruggere a tutti i costi e ci si sente impotenti quando l’aiuto non funziona. Con i miei difetti e con gioia e affetto voglio dirvi che siete meravigliosi e presto ve ne accorgerete...non vi scoraggiate MAI!!!! Ascoltate le mie colleghe nonché amiche-sorelle le quali, anche se vi sembrano antipatiche o rigide è perché ci tengono tanto a voi...quindi....facimm i brav se no la gatta sbuca e ve graffia! ihihihihih!!! No dai (ma anche sì) la cosa importante è che siate buone con voi stesse. E poi e poi…aggiungo altri ringraziamenti diretti alle mie amiche di avventura con cui è cresciuto un rapporto davvero unico, speciale, pazzo e pieno di amore...avete avuto tanta pazienza con me e ve ne sono grata...mi avete dato una mano per rialzarmi...mi avete resa consapevole su molti aspetti che io ignoravo o volevo ignorare...abbiamo “cazzeggiato” alla grande nonostante le difficoltà che incontravamo ogni giorno... GRAZIE Maria Grazia è un onore aver collaborato come admin perché è davvero un compito difficile e delicato...ma tu hai saputo prendermi nel verso giusto e con pazienza mi hai guidata GRAZIE Valentina per le risate, per la pazienza, per l’ascolto e la comprensione...sei tanto in gamba...vai bene così...continua così! 49
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GRAZIE Tina che ti fai chiamare Scricciolo ma per me sei una leonessa!!!! Sei da poco entrata ma sei partita a razzo e molto bene!!! Non avevo proprio dubbi che sei una persona tanto capace, intelligente, sensibile, pronta all’ascolto! Continua a crederci sempre GRAZIE GRAZIE GRAZIE!!! Riguardo al week end wowow ...che dire! Finalmente ho vissuto in modo molto più sereno questa esperienza e devo ringraziare la mitica Stefania che ha fatto miracoli. Sei troppo brava! E poi ringrazio quella scalmanata della Anna Chiara terribilmente fantastica! Sei sei sei unicaaa!!! E va beh...ho esagerato con le parole...non pensavo di scrivere così tanto. Ok...la gatta però non se ne va... è sempre guardinga...attenti!!!!!! meow! Vi abbraccio tutti col cuore!
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QUARTO CAPITOLO Non ho mai sopportato il tono della voce tagliente e le persone arroganti, quelle che ti buttano addosso le parole con la convinzione che possono permettersi di dire qualunque cosa senza minimamente pensare che chi ascolta può sentirsi ferito profondamente. Chi discute senza provare minimamente a sentire l’opinione di chi ha davanti, senza chiedersi se quell’atteggiamento può minare l’autostima dell’altro o schiacciare una emozione o un sentimento. Ho sempre paragonato questi atteggiamenti a qualcosa di violento, che fuori non lascia segno, ma che dentro crea solchi se si è ancora fragili e si pensa all’altro come ad un modello. La violenza è di tanti tipi; di solito si pensa subito a quella fisica, terribile e inaccettabile, ma quanti altri modi esistono per vivere situazioni violente? Chi controlla ogni movimento, ogni persona che si incontra, chi tiene in mano il conto economico e ogni piccola spesa deve essere “concessa”, chi urla e schiaccia con le parole chi ha davanti, chi ascolta tutto questo e lo vive apparentemente in silenzio ma ogni volta sente aprirsi sempre più profonda una ferita grave, lacerante e probabilmente incancellabile. Molte delle persone che sviluppano un Disturbo del Comportamento Alimentare hanno subito violenza, di vario tipo, spesso violenza assistita, cioè sono vissute in situazioni dove gli adulti erano violenti e loro hanno visto e sentito tutto. Violenza questa fortissima, subdola e insinuante, che può far pensare a chi sta crescendo che il mondo è quello e che non si può affrontare per quanto è brutto. Con il gruppo abbiamo fatto una indagine completamente anonima sul rapporto tra DCA e violenza ed ecco i risultati: 56
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• 4 Questionari provenienti dall’estero • per 1 questionario non è stato possibile determinarne l’origine geografica
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Ogni grafico e risposta lascia pensare e fa riflettere, vorrei puntare l’attenzione sulle risposte all’ultima delle domande: 46 % “non pensavo fosse importante”….ha dell’incredibile. Forse questa risposta fa riflettere su come chi subisce violenza spesso si autoconvince che tutto sommato “se la meritava” e si punisce per questo. Altro dato significativo il 19 % “Mi vergognavo”: ancora si continua a pensare che subire violenza è qualcosa da tenere nascosto, da non dire perché sporco.
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COLLABORARE CON IL BUCANEVE Ho lavorato in qualità di Dietista nel trattamento ambulatoriale, residenziale ed ospedaliero dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), per oltre 10 anni come settore esclusivo, poi, dal 2013, in modo saltuario. Ho incontrato "Il Bucaneve" per caso, addirittura mediante Facebook. Ho notato dei riferimenti all'Associazione sul profilo di una ragazza conosciuta in una delle mie precedenti esperienze lavorative, che per convenzione chiameremo "Chiara". Era dal 2013 che non avevo contatti con lei. All'improvviso mi chiese l'amicizia su Facebook ed io, dopo un attimo di titubanza, desideravo sapere come stava, volevo capire a che punto era con i suoi problemi alimentari...così ho accettato la sua amicizia e tra le pagine di FB ho visto che era molto impegnata con questa Associazione che io non conoscevo... costituita nel 2012 da Maria Grazia Giannini... che neppure conoscevo... Qualche sera dopo, tra le varie notifiche di Facebook, noto che "Chiara" aveva un evento in programma, a Castiglione del Lago... Il 15 marzo 2015, desiderosa di conoscere questa Associazione di Volontariato, nonchè la sua fondatrice, mi sono recata al Convegno organizzato a Castiglione del Lago "Oltre lo specchio la Vita: lo sguardo de Il Bucaneve". Ho ascoltato gli interventi dei vari professionisti ed ho così appreso dell'esistenza del gruppo chiuso "Il Bucaneve" su Facebook, quasi costantemente controllato dagli amministratori che dedicano il loro tempo per stare accanto a chi ha questo grave problema. Un gruppo che ha regole ben 66
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precise, pensate proprio per aiutare chi soffre di questa patologia, come le regole che io cercavo di far rispettare quando lavoravo in una struttura residenziale dedicata al trattamento dei DCA o come quelle che dovevo ribadire agli incontri di psicoeducazione , tenuti insieme alla psicologa a gruppi di pazienti con DCA, presso l'Ambulatorio dedicato all'interno del Centro Salute Mentale, proprio agli inizi del mio percorso lavorativo, nel lontano 2002.... Tornando al 15 marzo 2015, al termine dei lavori, sono andata a salutare "Chiara", che mi ha presentato Maria Grazia Giannini ... ho notato subito il suo desiderio di far conoscere l'Associazione ma soprattutto la sua ardente volontà di sostenere persone e famiglie che vivono una situazione problematica legata ai disturbi del comportamento alimentare. Mi è sembrato di conoscerla da sempre! Di comune accordo, spontaneamente, ci siamo dette che avremmo collaborato. Nel salutarmi, mi ha perciò invitato alla Riunione del Bucaneve, tenutasi qualche giorno dopo (29 marzo), sempre a Castiglione del Lago dove, come ad ogni altra riunione che si è succeduta, viene condiviso, con tutti i soci presenti alla stessa, il programma previsto per i mesi successivi. Riporto di seguito, in ordine cronologico, i principali eventi che hanno caratterizzato la mia collaborazione con l'Associazione "Il Bucaneve", eventi a cui ho partecipato personalmente in qualità di collaboratrice - volontaria: - "Corso di formazione sui DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare): Lo sguardo del Bucaneve", in programma nei giorni 3,10 e 17 Giugno 2015, accreditato ECM per diverse figure professionali. Il 17 giugno sono stata coinvolta come docente con l'intervento "Il dietista 67
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nel trattamento dei disturbi alimentari", presso il Palazzo della Provincia di Perugia, ed è stata un'esperienza davvero unica, per l'entusiasmo di Maria Grazia, ma anche per quello delle sue collaboratrici... - 1° Convegno Nazionale di Consult@Noi dal titolo "Disturbi del Comportamento Alimentare: prendiamoci per mano", tenutosi a Padova il 20 Giugno 2015, organizzato dall'Associazione Nazionale di II° Livello per i DCA, splendida occasione per conoscere le diverse associazioni che operano su tutto il territorio nazionale. - VI° Week End de "Il Bucaneve", organizzato nei giorni 29-30 Agosto 2015 a Castiglione del Lago, con interessantissimo laboratorio dal titolo "Dalla dipendenza affettiva all'amore per se stessi", condotto dalla Psicologa A. G. Canovi. - Presentazione del libro scritto da Maria Grazia Giannini "Lo sguardo de Il Bucaneve" a Foligno ed a seguire serata di beneficienza con "Giropizza", in data 11 Dicembre 2015. - Riunione di inizio anno del Bucaneve, tenutasi il 9 Gennaio 2016, per concordare il programma annuale dell'Associazione, seguita da successiva riunione in data 28 Febbraio, per la preparazione del Convegno di Marzo. - Convegno "Una Giornata tutta lilla. La sfida dell'anima attraverso il corpo", tenutosi presso la stupenda cornice del Comune di Spello il 15 Marzo 2016, in cui ho avuto il piacere di partecipare in qualità di relatrice con "Il cibo come nemico: il lavoro della dietista". - Apertura del Punto di Ascolto "Il Bucaneve" presso il Comune di Giove (TR), in cui, insieme ad altri operatori esperti in Disturbi del Comportamento Alimentare, ho 68
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contribuito ad un intervento di sensibilizzazione della popolazione sul problema. - Presentazione del libro scritto da Maria Grazia Giannini "Come in un quadro di Magritte" , presso la straordinaria Torre dei Lambardi di Magione (PG), il giorno 4 Giugno 2016. - VII° Week End de "Il Bucaneve", organizzato nei giorni 27-28 Agosto 2016 a Castiglione del Lago, con interessantissimo laboratorio di DMT (danzamovimentoterapia). - Presentazione del libro scritto dal Dr. Ilio Masci "L'albero e il biancospino. La famiglia nell'anoressia, da imputata a risorsa", avvenuta in data 1 Ottobre 2016 presso una sala particolarmente pregiata del Comune di Castiglione del Lago, in cui ho avuto il piacere di essere presente a nome dell'Associazione. - Partecipazione in qualità di relatrice al I° incontro "Genitori e figli: insieme per crescere - Terza edizione", tenutosi in data 28 Ottobre 2016 presso un presidio scolastico di Castiglione del Lago, a cui hanno fatto seguito altri 5 incontri tenuti da diversi professionisti in ambito psicologico e filosofico. - "Corso di formazione sui DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare): Lo sguardo de Il Bucaneve", in programma nei giorni 9,16 e 23 Novembre, in cui sono stata coinvolta come docente, presso il Palazzo della Provincia di Perugia. - Tavola Rotonda "DCA: il coraggio di essere sè stessi - La paura che ti lega alle dipendenze" presso uno spazio messo a disposizione dal Comune di Amelia (TR), in cui ho presentato un intervento dal titolo "Rieducare con il cibo" (21 Gennaio 2017). 69
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- Ultimo evento in ordine di tempo, ma certamente non ultimo per importanza, è stata la Giornata del Fiocchetto Lilla, tenutasi a Castiglione del Lago il 15 marzo 2017, che Il Bucaneve ha organizzato con la presentazione del libro della Prof.ssa P. Bianchini. Pur impossibilitata a partecipare all'incontro di presentazione del libro, ho avuto modo di aggregarmi alla compagnia solo successivamente, quando tutti insieme abbiamo lanciato verso il cielo le Lanterne, nella speranza che si avverino i sogni di tutti coloro che, in qualche modo, sono connessi al Bucaneve. Da Giugno 2016 ad oggi fornisco consulenza dietistica gratuita, in qualità di volontaria, per pazienti con disturbi del comportamento alimentare iscritti all'Associazione, consulenza finalizzata ad indirizzare verso idonei percorsi di cura. Dopo aver passato in rassegna tutto quello che ho fatto insieme all'Associazione "Il Bucaneve" ci tengo a precisare che il Bucaneve è tanto altro, è tutto ciò che Maria Grazia Giannini e tutti gli altri autori hanno descritto perfettamente nelle pagine che compongono questo libro. Allora mi tornano alla mente le parole che Maria Grazia mi disse appena ci siamo incontrate: "il Bucaneve nasce come stimolo ad intraprendere una terapia, qualunque essa sia, per GUARIRE DAI DISTURBI ALIMENTARI", SEMPLICEMENTE PERCHE' GUARIRE SI PUO " ed io, come Lei, in questo ci credo fermamente!!! (Rita Maiettini - dietista)
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Un incontro di sguardi, lì è nato il mio cammino con il Bucaneve! Ho incontrato Maria Grazia ad un convegno e in un momento in cui non ritrovavo il vuoto del Disturbo Alimentare nel discorso del relatore ho visto i suoi occhi, e da lì è nata amicizia e condivisione. Il Bucaneve è gruppo per eccellenza, è luogo in cui le persone si trovano, si ritrovano, scoprono e ascoltano; è un luogo in cui il ruolo non è predominante, dove non ci si può nascondere dietro al sapere, ma si è persone, individualità che insieme cercano di capire. La particolarità di questo gruppo è proprio questo, si parla e si condivide emozione. Il percorso di ognuno è ascoltato come unico e fondamentale, emozione, storia, per-corsi e indicazioni. Ci sono le regole, quelle importanti che creano il limite tra la persona e la malattia, non si parla di forme corporee, di peso, di taglie, le persone nel gruppo vengono vi-ste ed ascoltate come soggetti, non sono frammenti di corpo identificati da numeri, ma persone. Lo scopo del gruppo è supportare e condurre verso l’accettazione del percorso di cu-ra, si dà forza alla necessità di rivolgersi ai curanti che si occupino della malattia per ritrovare il soggetto, si invitano e si aiutano a reggere le difficoltà della cura. Si parla di emozioni e si vivono emozioni, i gesti e gli sguardi all’interno del gruppo sono prepotentemente presenti, affetti che sono palpabili in questo percorso per ri-trovare la fiducia nell’altro. Le ragazze, i ragazzi, i genitori, i familiari, operatori si trovano su facebook, ma anche durante i weekend, conferenze, giornate di convegni e giornate dedicate Stefania Lanaro (Psicologa – psicomotricista) 71
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Una strada da qui al mare E’ stato nel 2012 che, per la prima volta e anche un po’ inaspettatamente sono entrata a far parte del Bucaneve su facebook. Stavo ancora molto male in quel periodo ed ho iniziato semplicemente leggendo quello che le altre persone scrivevano, senza presentarmi e senza mai parlare perché sono sempre stata non capace di aprirmi con gli altri e di spiegare a parole come mi sentivo. Il gruppo è stato una buona occasione per me perché mi sono resa conto che, in realtà, io le parole le ho sempre avute. Ho incontrato persone che sono diventate molto importanti per me in questo gruppo, persone che come me hanno sofferto, ma sono state capaci di ritrovare la gioia nelle giornate semplici. Le stesse persone che si sono sentite disperate, oggi, anche quando i momenti di tristezza arrivano, sono capaci di riconoscerli, di emozionarsi, di ridere e anche di piangere, senza più farsi del male. Il confronto con gli altri mi ha aiutata da sempre, fin dal primo gruppo terapeutico che mi fecero fare da adolescente, a non sentirmi sola. Oggi tante cose sono cambiate e ho imparato, grazie al confronto, che il dolore, qualunque dolore, se ci lavoriamo, prima o poi ci lascia liberi. Ed ecco che, forse, solo con questa frase riesco a spiegare che cosa è stato ed è per me l’incontro con il gruppo e con le persone che ne fanno parte: “... Perché nessuno possa dimenticare quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno - un padre, un amore, qualcuno - capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume - immaginarlo, inventarlo - e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio. Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita. E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe 72
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prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare. Farsi ferire, anche. Morirne. Non importa. Ma tutto sarebbe, finalmente umano. Basterebbe la fantasia di qualcuno - un padre, un amore, qualcuno - . Lui saprebbe inventarla una strada, qui, in mezzo a questo silenzio, in questa terra che non vuole parlare. Strada clemente e bella. Una strada da qui al mare.�1 Una strada.
Claudia Lessi per caso su un giornale, una mattina di 4 anni fa, di un corso di volontariato che Il Bucaneve avrebbe tenuto di li a poco a Castiglione del Lago. Era ancora il periodo in cui non uscivo quasi di casa, non riuscivo ad allontanarmi dal paese nel quale vivo, non riuscivo a prendere nessun impegno, neanche il piĂš semplice e se li prendevo non li riuscivo a portare a termine. Ero ancora nel pieno del disturbo alimentare; non sapevo nem1
Alessandro Baricco - OCEANOMARE 73
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meno cosa esattamente andassi a fare, non avevo idea di cosa avrebbe portato … sentii solo una vocina quella mattina: “vai!”. Ho mandato la mail, ho ricevuto la risposta. Chiesi a mia madre di accompagnarmi. Venne anche lei con me, ma non per fare il corso. Per la prima volta dopo anni ho passato due giorni fuori casa per fare una cosa che per me aveva un senso grandissimo, ma non ne riconoscevo né il valore, né la forza positiva che già aveva portato in me. E’ iniziato quel giorno un rapporto che non si è più interrotto, che cresce giorno dopo giorno e mi ha dato in molti casi la forza di rialzarmi quando cadevo e la motivazione per tornare a guardare verso la luce in fondo al tunnel quando troppo spesso il buio riprendeva il sopravvento. Spiegare cosa è Il Bucaneve per me, per chi ne fa parte, è difficile; perché Il Bucaneve non si racconta, Il Bucaneve si vive. Volontario “si è” e il perché ce l’hai dentro, lo fai con il cuore, non ci sono altri motivi. Troppo spesso mi sono sentita chiedere se prendessi uno stipendio, un rimborso spese, mi sono sentita dire se non avevo niente di più interessante per occupare il tempo… no a dire la verità…ci rimetti anche del tuo!! A me fare la volontaria ha dato molta più ricchezza di quello che potesse avere un lavoro di alto livello, è stato, ed è il tempo utilizzato che mi riempie in modo assoluto. E’ la stanchezza che non senti, l’abitudine di cui io spesso mi stanco che non ho mai vissuto in 4 anni come abitudine. Non sento il senso del dovere… è stato il primo posto 74
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dove ho imparato a portare avanti gli impegni presi, a rallentare dove non ce la facevo, Il Bucaneve è stato il posto dove ho imparato a ascoltare i miei limiti, i miei tempi e come e quando poter provare ad affrontarli. Il Bucaneve mi ha vista prima come persona che come una malattia. E’ stata la mia prima trasformazione di identificazione: proprio per un’iscrizione ad un convegno un giorno mi sono improvvisamente presentata come Valentina, volontaria de il Bucaneve; non ero più Valentina che soffre di un disturbo alimentare. Da quel giorno…mi sono sentita “io… ora potevo e ora volevo. Da quel giorno avevo delle cose da dire…e il mondo doveva ascoltarmi. Essere amministratrice del gruppo chiuso di fb, , portavoce dell’associazione nel mio territorio è stato il motivo per cui dovevo essere esempio delle parole di cui ero portavoce. E’ stato il motivo per cui ho saputo scegliere da che parte stare…è stata la fiamma che si è accesa che mi ha fatto sentire per la prima volta viva, ostinata, testarda e cocciuta… ma in senso positivo stavolta. E alla fine, come ultimo passo, non ultimo nel senso della fine, ma ultimo in ordine di tempo che mi ha dato la carica per fare l’ultimo salto e buttarmi nella vita è stato entrare a far parte attivamente di Consult@noi. Questo mi è stato permesso da Il “Bucaneve… e io sento, e sono sicura… perché lo so… che se parallelamente al mio percorso di cura non ci fosse stato lo sguardo, la mano e l’amore di questa Associazione io oggi non sarei stata quella che sono adesso. Una ragazza imperfetta sensibile con alti e bassi, sicuramente ancora sensibile a determinati punti e tante 75
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cose su cui non posso ancora smettere di lavorare. Una ragazza che quando mette il cuore in qualcosa o lo usa con qualcuno è esattamente in linea e in sintonia con se stessa. Una ragazza piena di dubbi e paure ma che quando ride lo fa con l’anima. Una ragazza che dà peso alle parole e alle promesse e non dà più niente per scontato, soprattutto un “ti voglio bene” o un complimento. Una ragazza che ama la bellezza…ma non quella dell’apparenza, ma quella essenziale…quella che vede il cuore. E che ultimamente si commuove un po’ troppo spesso quando arrivano messaggi giornalieri dalla vita che mi dicono: “vai… non aver paura è passato”. Ho un anima piena di sogni che chiede di averli, vuole essere ascoltata. Per troppo tempo ne ho sentito il silenzio…ora siamo io e lei e ho scoperto che è molto più bello interessante ed emozionante vedere e sentire nel modo in cui vede e sente lei…. Che l’ossessione che era arrivata a portarmi all’impazzimento… Grazie Bucaneve senza di te io non sarei tornata ad essere Valentina, o meglio non avrei mai avuto modo di conoscerla, perché dei miei 31 anni, 16 li ho passati a essere quello che credevo la gente volesse che io fossi. Valentina
Da che ho memoria ho sempre disprezzato il mio corpo. Quando ero piccola, davvero molto piccola, lo guardavo, ossessivamente, allo specchio. Poi guardavo i miei occhi e dopo poco tutto perdeva senso, non potevo essere realmente io. 76
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Mi piacerebbe approfondire le cause, più che parlare del sintomo. Vorrei riuscire a spiegare il dolore che prova una bambina di otto anni, unito a impotenza e paura, nel vedere i propri genitori picchiarsi. Eppure non era tanto l’assistere alle scene di violenza che mi procurava questi sentimenti; il terrore vero iniziava quando la sera, la notte, sentivo i bisbigli; che avrebbero preceduto il litigio, mentre mi stavo per addormentare e nel mio letto iniziavo a sudare freddo. Andavo dietro la porta della loro camera e poi entravo quando sapevo sarebbe iniziato tutto da li a pochi istanti. Quello che maggiormente mi terrorizzava (più dei litigi e delle mani alzate) era la violenza consumata quando non ero con loro, il non vedere, non controllare, non sapere e non poter difendere (chi?) nel caso fosse successo qualcosa di troppo grave. Ed è stato proprio per questa ragione che, in terza elementare, mi procurai il vomito, per poter andare a casa, far vedere che stavo male e tornare li, in quella che si trasformava in un incubo. Quanto mi piacque! Avevo trovato finalmente qualcosa che potevo controllare io, qualcosa che mi permetteva di svuotare tutta la rabbia che avevo dentro, il dolore, l’odio, la tristezza e, subito dopo, guardandomi allo specchio non provavo più quel senso di smarrimento, mi riconoscevo e mi davo il permesso di abbracciarmi. Lo facevo proprio: stringevo le braccia intorno al mio corpo, guardavo il mio viso paonazzo e si, mi sentivo bene. Parlerei ore di questa sensazione di calma e amore che provavo “dopo”. Ancora oggi, a distanza di anni, ricordo la rabbia che una bambina di otto anni vomitava, sola, con la radio accesa in bagno. 77
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La mia vita fino circa ai quindici anni andò avanti alternando rifiuto del cibo a periodi dove svuotavo me stessa di tutte le emozioni negative che avevo dentro. A quindici anni “conobbi” quella che ritengo essere stata la mia droga per eccellenza, quella di cui porto e porterò per sempre i segni sulla pelle : l’autolesionismo. Strano come dei momenti rimangano impressi nella memoria e, insieme a loro, tutte le paure, sensazioni e pensieri che si sono provati. Non descriverò quella che chiamo la mia “prima volta” nei fatti, parlerò di emozioni: era tutto buio in casa, io ero arrabbiata, una rabbia cieca, quel genere di rabbia che, oltre a far battere il cuore a mille, far sudare freddo, la si sente proprio nella pancia, nelle viscere. Non l’aveva placata il vomito, no. Quello no, quella sera non bastava. Con un po’ di tremore sono andata in cucina, ho preso la prima cosa che ho trovato e, ricordo come se fosse successo ieri notte, mi sono messe sul letto, seduta, con tutto il lenzuolo sopra la testa e una torcia accesa. Non credo di aver fatto nulla per almeno dieci minuti, ho pianto, disperata. Mi chiedo, oggi, dove fossero i miei genitori per non sentire quel pianto. Mi sono asciugata le lacrime e un imperativo nella mia testa urlava “FALLO!” E, quel “fallo!”nei successi vi dieci anni ritornerà, ogni volta, ogni giorno, sempre, fino a farmi rasentare il confine tra 78
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vita e morte. Gli anni passarono e, non so come, riuscii sempre a mantenere una sorta di equilibrio tra la vita di Elisa amica, studentessa ecc.. Nel frattempo in famiglia le acque si calmarono: mamma e papà si separarono e la mamma conobbe l’amore vere in un uomo che con il tempo divenne un punto fi riferimento fondamentale per me e mia sorella. Andai a vivere sola a Torino per l’università. Io ricordo quegli anni come “caldi”: ero io, sola, e la mia malattia. Assurdo come, anche a distanza di anni, anche ora che sto bene, non riesco a ricordare come tremendo quel periodo, lo ricordo quasi con affetto. Mi piacerebbe riuscire a trasmettere tutte le emozioni che ho provato dentro di me, far capire come queste malattie si insinuano e, piano piano ( ma neanche troppo) diventano base solida e fondante della propria identità. Ti portano a chiedere: ma senza l’anoressia, senza i miei tagli, io chi sarei? MIO!, tutto mio, i sintomi erano proprietà privata. Ho sempre avuto paura che me li portassero via, che qualcuno li potesse condividere con me. NO! Io sono la più magra, io sono quella che si taglia di più. Nel 2012, girando sui vari gruppi facebook, entro in contatto con IL BUCANEVE. Noto subito la differenza con gli altri gruppi: qui si parla di emozioni, non sintomi, emozioni legate ad un vissuto. Non era una terapia, certo, no. Credo che, un primissimo lavoro però iniziai a farlo nel 79
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momento in cui decidevo che il contenuto del post che avrei voluto pubblicare non avrebbe riguardato il sintomo ma le emozioni vissuto in merito ad una data situazione. Gli anni che vanno dal 2012 al 2014 sono davvero sfocati. Non ho ricordi se non sensazioni e, nel mio cervello, sono indelebili e li “riconosco” attraverso un odore: quello del sangue e dell’acqua ossigenata. Dopo vari ricoveri in psichiatria inizia quello che sarà il mio primo, vero, cammino, la mia prima vera presa di consapevolezza: decido di farmi ricoverare in una struttura riabilitativa dove passerò i successivi due anni. Anni terribili durante i quali la malattia non ha mai smesso di ricordarmi chi e cosa fosse per me, ad ogni passetto che facevo in avanti erano tre indietro. Volevo andare via, contavo i giorni al contrario mettendo le X sul calendario. Al mio fianco, anche se allora non lo capivo, c’era la mia famiglia. All’epoca dicevo che mi obbligavano a stare li, senza capire il grande sforzo emotivo e il dolore che provavano nel vedere una figlia che non voleva lasciare la sua malattia. Si, perché questa è una malattia subdola, identitaria. Non si capisce che si sta male ma si crede di valere qualcosa solo con lei, la mia “ancora di salvezza”. Entrai a marzo 2013 e uscii a marzo 2015. Ricordo che l’ultima volta che mi procurai ferite molto profonde fu a febbraio 2015, un mese prima di uscire dalla struttura. Uscii dicendo ai medici che volevo dimagrire e fu così che in tre mesi persi molti kg e, a luglio 2015, entrai in un’altra struttura riabilitativa dove la mia attuale dottoressa è direttrice sanitaria. 80
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Non so cosa successe, o forse si. In quel periodo il marito di mia mamma festeggiava i quarant’anni e non avevo avuto il permesso di partecipare. Ero stanca, stanca di non andare agli eventi della famiglia, di non essere nelle foto, di non vivere, di ascoltare gli altri che mi raccontavano della loro vita che andava avanti ed io spettatrice passiva che della mia vita vivevo aspettando colazione-spuntinopranzo-merenda-cena, il martedì mattina ci si pesa. Uscii dalla struttura, il sintomo sotto controllo e, come dico sempre, solo in quel momento iniziò il vero lavoro su me stessa, libera al sintomo potevo lavorare sulle cause che avevano portato a tutto questo. Dopo due anni di terapia posso affermare che, per me e per il mio percorso, sono stati fondamentali tre passaggi: -
Consapevolezza
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Differenza tra stare bene e sentirsi bene
-
Domanda di cura.
Su questi argomenti ho posto le mie riflessioni grazie alla mia attuale dottoressa. È stato grazie a lei e ai suoi modi, apparentemente bruschi ma, che celavano tanto amore e impegno a sfidare la malattia.
Credo che la consapevolezza sia il traguardo più difficile da raggiungere. Mamma mi diceva sempre “guarda in faccia il tuo cancro”. No, non ci riuscivo. Non riuscivo neanche a vedere che tut81
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to questo mi stava divorando, mi stava mangiando dentro e fuori. L’unica frase che riuscivo a dire era “fatemi staccare la spina”. Si, perché mi sentivo tenuta in vita da loro, dalla mia famiglia, da chi diceva di amarmi. Ammetto che, il primo motivo che mi spinse a farmi ricoverare fu (passata da una fase di anoressia ad una di bulimia) una voce che urlava in testa “toglietemi questa bastarda!(la bulimia, avevo quello che si chiama il sogno anoressico, volevo tornare a controllare tutto come una volta) Una volta catapultata nella realtà comunitaria iniziai a trovare una motivazione, blanda, molto blanda. I pasti erano uno strazio: sia perché si doveva finire tutto sia perché, per i primi tre mesi, mi lasciarono ad un tavolo da sola, faccia verso il muro e spalle al resto della sala. I miei confronti, lo sminuzzare e altri comportamenti sintomatici procuravano scompenso negli altri pazienti in un momento così delicato quale era il pasto. Una delle cose più affascinanti del percorso fu la terapia (non che non fossi andata da diversi professionisti negli anni, ma in comunità si respira un aria “diversa”). Parlare di terapia al momento del mio ingresso non è corretto. Solitamente vengono somministrati test di ingresso ai pazienti, io non ero abbastanza ancorata al piano di realtà per rispondere alle domande. Mi fecero quindi disegnare. Attraverso il disegno parlava tutto di me: la ragazza senza arti, tutto rosso, un ragazzo sotto la pioggia con l’ombrello chiuso in mano. In quel periodo, prima del mio ingresso in struttura, il disegno era una valvola di sfogo. La scrittura no, o meglio non 82
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più perché riuscivo a scrivere solo insulti e a stracciare il foglio on la penna dopo poche parole. Disegnavo di nero e rosso, poi il rosso prendeva il sopravvento. Abbiamo, durante i colloqui, fatto disegni, parlato dei disegni. Parlato del mio corpo, parlato dei miei sintomi. Eppure, anche li, in una struttura di cinquanta persone, dovevo essere la più “brava”. Dovevo mangiare tutto? No, problema. Io mi tagliavo sempre di più. Ogni affiancamento 1:1 con l’oss era una vittoria e mi sentivo considerata e importante. Forse hanno commesso un errore quando mi hanno chiesto se avessi voluto essere intervistata per Lucignolo, tema autolesionismo. Accettai subito, nella mia mente, tra tutti, la più malata ero io. Ripensandoci durante l’intervista non ho voluto farmi riprendere la faccia quindi nel filmato io ero senza testa; simbolicamente un messaggio davvero incisivo (come nel disegno, io non sono una persona, non ho faccia, ho solo un corpo che sto martoriando). Piano piano giunsi ad essere consapevole di alcune cose: parliamo pure del sintomo ma con la consapevolezza che serve a veicolare qualcosa, nasconde qualcosa (la famosa punta dell’iceberg, ahimè) Questa non è vita. Chi è Elisa? Elisa NON è il sintomo, Elisa HA un sintomo. Nei dca l’elemento identitario credo che sia di importanza fondamentale. Si sente spesso dire “ la ragazza è anoressica, è bulimica, è obesa ecc..” dando quindi valore identitario ai sintomi. La cosa davvero complessa, per me, è stata capire che io NON ero il sintomo bensì AVEVO un 83
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sintomo, è stato difficile. Inizialmente scrivevo lettere alla “mia” malattia, era un modo per capire che era altro rispetto a me, era FUORI da me. Con lo psicologo del centro abbiamo messo in scena diversi giochi di ruolo dove, durante le sedute mi sdoppiavo ed ero, seduta sulla poltroncina blu di destra elisa bambina e, in quella blu di sinistra la malattia. Non elisa malata, proprio la malattia. Ed ero cattiva, manipolatrice, arrabbiata, subdola, mortifera. Durante i colloqui, invece, la chiamavo per nome, era la mia “ancora di salvezza” perché, comunque, mi aveva salvata e protetta da un dolore troppo forte, la mia stampella. Come per Ariel, Ursula le dona qualcosa ma allo stesso tempo la priva di altro, così la mia Ursula mi aveva dato e tolto tanto. Ma anche Ariel si è accorta di ciò in cui si era imbattuta troppo tardi, quando ormai la sua stessa voce veniva usata contro di lei e per boicottarla. Proprio come lei, anche io ho dovuto lottare per riprendermi la mia voce, la mia felicità. Sono consapevole! No, non ti svegli un bel mattino urlando al mondo quando tu sia cambiata, quanto la malattia non faccia più parte di te. No, anzi. Sembrerà che più ci si allontana più lei ti tira verso sé. Le ricadute erano tantissime, la loro intensità forse più maggiore rispetto a quando stavo davvero male. La mia dottoressa un giorno mi fece riflettere su una questione che, ancora oggi, trovo utile nei momenti di confu84
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sione: la differenza tra stare bene e sentirsi bene. Io personalmente mi sentivo bene anche nei momenti di malattia più profonda: ero invincibile, ero io a controllare vita/morte. Mi sentivo bene, mi sentivo bene anche quando il pavimento del bagno era più di colore rosso che del colore delle piastrelle. Stare bene implica, invece, un equilibrio. Stare bene sia nei momenti di tristezza che di gioia, senza dover dimostrare nulla. Credo che, una volta messo a fuoco che non stavo bene, fosse stato facile elaborare la domanda di cura. Dopo anni passati ad essere curata, apparentemente, per volontà di altri, io, realmente me stessa,cosa cercavo nelle cure? La risposta a questa domanda non è semplice. Anzi, estremamente complessa. Personalmente ho avuto bisogno di giorni per elaborarla e pagine dove mettere nero su bianco il mio stato d’animo, i miei pensieri e le mie contraddizioni Non so se esistono le favole. Sicuramente i lieto fine si. Devo spiegarlo questo mio lieto fine. Ho avuto una malattia terribile, mortifera. Non avevo strumenti per affrontarla e mi sono lasciata prosciugare. Mi hanno raccolta, medicata e con amore mi hanno fatto vedere che esistono modalità differenti, più funzionali, per attraversare il dolore. Ho visto un po’ di luce. Ho capito il significato del verbo amare, amare se stessi prima di chiunque altro. Ho avuto una malattia terribile, mortifera. Non sono “vac85
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cinata” contro i dolori e i dispiaceri della vita ma ho acquisito gli strumenti per affrontarli, attraversarli senza perdere di vista la cosa più importante: me stessa. Elisa
Incontrai Anoressia nel 2009. Ho sempre avuto un rapporto strano col mio corpo, mi nascondevo sotto maglioni grandi e caldi. Forse per sentire un po’ meno freddo anche lì, dove c’era il ghiaccio, cristallino in pieno petto, sottopelle. Ma il disturbo, col senno di poi, già covava le sue radici da 6 anni. Vorrei fare una premessa, ora, perché i Disturbi del Comportamento Alimentare non sono altro che una faccia dei disturbi dell’Anima. Disturbi che possono sfociare in alcolismo, tossicodipendenza, depressione, disturbo alimentare, e via dicendo... Per questo generalmente quando tratto la malattia parlo di disturbo dell’Anima prima ancora che di DCA. Si radica nell’Anima e cresce nella terra fertile e velenosa dell’insicurezza, della ricerca di sé all’esterno, nella conferma da parte degli altri, nell’accettazione di terzi. Un non appartenersi, un estraniarsi dal proprio vivere. Ci si perde, ci si specchia nel riflesso del giudizio e dell’opinione altrui, sbagliando e molto, anche. Il disturbo alimentare quindi si presenta come un bisogno 86
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di soffocare il proprio Sentire. Un’ancora di salvezza quando non si riescono a gestire le emozioni ed i pensieri, non si riesce a navigare nell’acqua limpida dell’autenticità del proprio Essere e ci si aggrappa come cozze a quest’ossessione per il cibo, per il corpo, cercando di plasmare a proprio piacimento ciò che si può. Perché quello si può controllare, mentre il Sentire no. Ci si massacra, ci si uccide, giorno dopo giorno, per soffocare il dolore che si prova dentro. Così è stato per me. Sono inciampata in questo disturbo per caso, quasi, cominciando con una semplice chiusura dello stomaco quando la vita ci porta delle delusioni da affrontare, e fanno male, e ti si chiude tutto, non riesci a mandar giù nulla se non qualche boccone tra le lacrime. Così ha preso piede e, silenziosamente, con pazienza, si è insinuata tra le mie viscere. Il senso di colpa si è fatto carico negli anni successivi, non meritavo di mangiare perché, per me, non meritavo di vivere. Non ero all’altezza, ero solo uno stupido problema di sistema. Non si poteva. Non ero abbastanza brava, carina, sicura, mai. Sempre più massacrante per la mia mente, il disturbo prese a martoriare il mio corpo costringendomi a mentire spudoratamente ad amici e famiglia. Ero diventata il problema, il mio problema. Quello di tutti. Vivere era un problema, una sofferenza, un continuo calcolo matematico e una continua menzogna. Un incubo concio di dolci, sensi di colpa, digiuni, attività fisica, sensi di colpa di nuovo, un continuo ping pong nel giro87
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ne dell’inferno. E non sapevo dove sbattere la testa, non avevo punti di riferimento, non sapevo come uscirne né ne sentivo il diritto, da che, mi dicevo tra me e me: “Cosa ti manca? Perché stai così male? Che motivo c’è? Non ti manca nulla”. Eppure dentro mi sentivo vuota, mi sentivo morta. Il primo step fu proprio quello: capire che io “non ero il problema” ma “avevo un problema”, che è ben diverso. E che avevo il diritto di stare male e il sacrosanto diritto di chiedere aiuto. Il diritto di salvarmi. Ho subito due ricoveri in ospedale e, soprattutto nel secondo, è scattata dentro di me la molla che ha cambiato il mio ritmo vitale. Ho sentito, per la prima volta, la potenza della Vita, l’importanza di tutto ciò che ero, con tutte le mie imperfezioni, con tutte le mie passioni, ho sentito che la mia felicità dipendeva solo da me, che bisogna vivere la propria vita, bisogna inseguire i propri sogni, bisogna amare se stessi prima di poter amare l’Altro. Ho capito che la priorità prima della nostra vita siamo noi stessi. E che posso non piacere a tutti, ma va bene lo stesso, perché io voglio essere me stessa, libera di Essere, autentica, limpida, forse a volte stupida, ma sempre e solo me stessa. Così ho cominciato il mio percorso verso il Sole, concluso il ricovero in ospedale sono entrata in una casa di Cura dedicata a chi soffre di disturbi alimentari lontana da casa, e lì rimasi 4 mesi. Non mi posso definire guarita, non posso, ma bisogna distruggere la convinzione che un DCA sia solo un fattore 88
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fisico, noi siamo molto di più: siamo composti da un Tempio ed un’Anima, un Corpo e una Mente. Il mio viaggio continua, con chi mi segue e a cui son grata ogni giorno per l’appoggio, la fiducia e gli abbracci che scaldano e infondono sempre nuova forza. I passi avanti ci sono stati e proseguiranno senz’altro, ora ho un lavoro a distanza di anni, con perseveranza e fiducia in sé stessi ci si riesce, ci si rialza sempre dopo ogni caduta, ci si fa più furbi della malattia e si impara ad imbrogliarla senza farsi imbrogliare. Partecipo attivamente alla gestione del gruppo chiuso de Il Bucaneve, gruppo in cui per molto tempo ho trovato sostegno w condivisione. Non ci si auto-convince di cose che non sono, non si gioca più, non si mente più. Perché una volta fatta “la scelta” non ci si può voltare indietro, non si pensa più all’oblio, non si vuol più passare attraverso la tempesta più nera. Piuttosto si impara a ballar sotto la pioggia, come nei giorni di vita che appartengono ad ogni individuo, le cosiddette “giornate no”, e si affrontano con resilienza, con nuovo sprint, nuovo spirito combattivo, con più filosofia. Ci si prende per mano, ci si ferma, ci si impara ad ascoltare. Ci si comincia ad amare, un po’ per volta. Perché questa vita è magnifica, e questa vita va vissuta nell’Amore, nella Condivisione... La Vita va Vissuta. Viva la Vida, siempre! Veronika
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CONCLUDENDO……………….. Non posso evitare di parlare anche di momenti molto difficili e dolorosi che ho vissuto “incontrando” le persone che sono iscritte al gruppo de Il Bucaneve. Tante di loro stanno molto male e mai potrò dimenticarne una il cui fisico già molto provato da anni di anoressia non ha retto alla forma di leucemia che l’ha stroncata. Ho vissuto con lei gli ultimi mesi, una persona meravigliosa, che tutto avrebbe voluto tranne sentirsi trattare da persona che provocava pena in chi la avvicinava. Non ha mai accettato di sentirci al telefono, diceva che non avrebbe retto all’emozione…ci siamo fatte lunghissime chiacchierate su mille argomenti e anche delle belle risate: aveva dato a ogni infermiera un soprannome ed era maestra nell’ironia. Spesso veniva assalita da momenti in cui aveva pensieri colmi di paura, ma ha affrontato da vera guerriera ogni ora del suo cammino finale. “Mi piace pensare che l’amicizia non cresce per la presenza, ma per la magia di sapere che anche se non ti vedo o ti sento, mi voli nel cuore. Un bacio”, queste sono state le sue parole un paio di giorni prima di andarsene. Il web può essere anche questo…..
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Sono cresciuta in una città di mare, ma ho sempre preferito la dolcezza delle colline della mia nativa Toscana, quelle curve tondeggianti del Chianti, i vigneti del vino Nobile, le coltivazioni della Valdichiana che si stende sotto la bellissima Montepulciano. Mi rendo conto però di quanta vita ed energia può trasmettere la visione di una distesa azzurra, che si perde fino laggiù all’orizzonte. Ci sono attimi della vita che non sai perché ti restano addosso, ti tornano in mente poi dopo anni magari quando realizzi una cosa di te stesso o della vita: quella mattina fredda d’inverno stavo seduta in quella spiaggia della Liguria, mi stringevo al mio giubbotto perché il vento era penetrante, l’odore tipico della salsedine mi entrava nelle narici e il mare parlava con quel suo sciabordio di onde. La vidi quell’onda….saliva, scendeva…a volte più alta, trasparente in certi momenti, bianca di schiuma in altri, correva verso la riva. Pensai 91
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“Calma…fai piano…prenditi tempo”. Ma con uno schiaffo finale si infranse sulla riva e si disperse. Finita, riassorbita da quel tutto. Poi però allargai lo sguardo: tante onde, vivaci, veloci e celesti. Più allargavo lo sguardo più le onde diventavano mare e ogni onda aveva un senso: fino laggiù in fondo all’orizzonte, fino dove potevo arrivare. Ebbi netta la sensazione di qualcosa di grande, ma che questo grande era fatto da tanti insiemi di piccole cose, tutte importanti e solo perché c’era quest’armonia il mare era forte e non faceva poi così paura. Nessuna onda era più importante dell’altra o non contribuiva a quella meraviglia. Pensai anche che dovremmo guardare sempre quello che viviamo da più prospettive: quell’onda che mi sembrava precipitosa alla fine aveva fatto quello che doveva fare e l’aveva fatto come sapeva, contribuendo a quel tutto. La paura che quel momento di solitudine, anche di sensazione di morte che quell’onda aveva inizialmente provocato si era trasformata in un respiro ampio, in gratitudine…..accipicchia se la vita è bella!
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