Lo sguardo de Il Bucaneve

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Quaderni del Volontariato

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Edizione 2013


Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provicia di Perugia Via Campo di Marte, 9 06124 Perugia tel. 075.527.19.76 Sito Iternet: www.pgcesvol.net Visita anche la nostra pagina

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Con il Patrocinio della Regione Umbria

Edizione: Novembre 2013 Progetto grafico e videoimpaginazione: Chiara Gagliano La foto di copertina è di: Silvia Lucchiari Stampa: Digital Point (Ponte Felcino)

Tutti i diritti sono riservati Ogni riproduzione, anche parziale è vietata

ISBN: 978-88-96649-34-3


I QuaDErNI DEL VOLONTarIaTO, uN VIaggIO aTTraVErSO uN LIBrO NEL MONDO DEL SOCIaLE

Il CESVOL, centro servizi volontariato per la Provincia di Perugia, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, ha definito un piano specifico nell’area della pubblicistica del volontariato. L’obiettivo è quello di fornire proposte ed idee coerenti rispetto ai temi di interesse e di competenza del settore, di valorizzare il patrimonio di esperienze e di contenuti già esistenti nell’ambito del volontariato organizzato ed inoltre di favorire e promuovere la circolazione e diffusione di argomenti e questioni che possono ritenersi coerenti rispetto a quelli presenti al centro della riflessione regionale o nazionale sulle tematiche sociali. La collana I quaderni del volontariato presenta una serie di produzioni pubblicistiche selezionate attraverso un invito periodico rivolto alle associazioni, al fine di realizzare con il tempo una vera e propria collana editoriale dedicata alle tematiche sociali, ma anche ai contenuti ed alle azioni portate avanti dall’associazionismo provinciale. I Quaderni del volontariato, inoltre, rappresentano un utile supporto per chiunque volesse approfondire i temi inerenti il sociale per motivi di studio ed approfondimento



Associazione “Il Bucaneve� di Maria grazia giannini

Lo Sguardo de Il Bucaneve



L’importante è saper chiudere il cerchio e lasciare che certi momenti della vita si concludano. Ai miei genitori. Con amore. Maria grazia



Lo sguardo de Il Bucaneve

Introduzione È cominciato con “Dalla Parte di Noi”, un sito web creato come voglia di rivalsa, come bisogno di utilizzare l’esperienza pesante di anni di rabbia, di scontri, di sofferenze di un’intera famiglia. Era tutto passato, ma dentro rimaneva la conoscenza inutilizzata di una soluzione che avrebbe potuto essere messa al servizio di altri, ancora chiusi nel problema. “Dalla parte di Noi Genitori” quindi: un sito ed un forum dove a madri e padri, in conflitto con le figlie a causa del DCa, si offriva un po’ di esperienza, di consapevolezza di situazioni affrontate e per fortuna, in questo caso, risolte. Qualche genitore ha partecipato, ma la maggior parte dei contatti sono venuti da parte di ragazze che, accettando il dialogo, sono riuscite anche a mettersi in discussione, ad argomentare su motivazioni e alternative. ancora e sempre loro protagoniste. all’inizio con un po’ di polemica, quasi con il tono di sfida di chi si è dovuto abituare a combattere, e quindi porsi da subito sulla difensiva, poi, lentamente, visto che Maria grazia non accettava le provocazioni e rispondeva dichiarando la sua disponibilità, il confronto è diventato dialogico, soprattutto quando risultava evidente che nessuno le stata accusando, anzi dall’altra parte del mouse c’era qualcuno che aveva voglia di ascoltare, aveva bisogno di capire. Qualcosa si è risolto, qualcosa no, ma si è andato avanti. Dall’esperienza di quel forum è nato il libro “Come in un quadro di Magritte”, un titolo che riporta la frase di una delle ragazze più attive nel forum, e che riuscì a comunicare quel senso di disagio che diventò il simbolo metaforico di una situazione. Poco dopo prendeva forma l’associazione “Il Bucaneve”, con l’intenzione di trasferire e portare ad una più amplia platea le finalità che il sito ed il forum avevano iniziato, e che la prorompenza mediatica di Facebook ha repentinamente allargato a livelli nazionali. D’altronde questa è l’epoca delle comunità online, della frantumazione del privato, degli incontri virtuali che presto però sono diventati anche reali: nasce 9


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così il “Villaggio Il Bucaneve” sparso in tutta Italia, con una sua identità, una sua forza e, soprattutto, una gran voglia di fare tutte insieme, stringendosi intorno a Maria grazia, per risolvere i piccoli e, se possibile, anche i grandi problemi. È vero che associazioni e siti internet che si occupano dell’argomento sono molteplici: con alcune si può collaborare, altre hanno finalità diverse, ma Il Bucaneve è ormai diventato un piccolo mondo aperto dove si tenta di aiutare a fare piccoli passi per poter volar via. “Lo sguardo de Il Bucaneve” raccoglie le espressioni e le testimonianze di questo mondo parallelo non perché siano valutate o giudicate, ma per costituire degli esempi e – si spera – perché diventino stimoli verso un percorso che, fatto insieme, potrebbe risultare non più così difficile e qualche volta irraggiungibile. Per questo è un sorriso, come fa il bucaneve che si libera sui ghiacci e sorride al cielo, a quel cielo che, da seme, non pensava potesse esistere. Luciano Festuccia

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Prefazione Leggendo le narrazioni e le considerazioni raccolte in questo libro si sente scorrere un filo costante, non palesato ma molto presente. Si tratta dello sguardo; quello del narrante, quello di chi assiste allo snocciolarsi di accadimenti, di emozioni e li raccoglie per riportarne fedelmente la sequenza, quello di chi cerca la sintesi necessaria tra numerose vite che si aprono alla lettura di altri, degli sconosciuti lettori. È importante quindi riflettere insieme sui particolari della comunicazione umana e sulla presa di coscienza della nostra complessità puntando sulla valenza comunicativa dello sguardo, a partire dal suo dato fisiologico e psico-evolutivo per giungere alla sua valenza sintomatologica, per conoscere sempre più noi stessi, che resta, alla conta dei fatti, il fine più profondo dell’esistenza. Fin dalle origini più remote, noi umani comunichiamo innanzitutto con il corpo e la sua forma visibile. La prossemica, il gesto, la mimica facciale, hanno da sempre rappresentato la base della comunicazione umana. La vocalità e in fine la parola (corporali anch’esse ma di carattere auditivo) nacquero ben più tardi. Il motivo è semplice: il corpo comunica sempre e comunque per il fatto che c’è, sta lì, esiste davanti agli occhi degli altri e di sé stessi, mentre la voce sgorga solo se l’individuo ha un’intenzione comunicativa. In presenza di un altro essere possiamo decidere di stare in silenzio ma non possiamo scegliere di essere trasparenti o di non occupare lo spazio con una qualsiasi postura. Fosse anche il nostro stare neutro e totalmente rilassato esso trasmetterebbe comunque informazioni di noi. Dunque nel confronto vis a vis, ci conosciamo reciprocamente innanzitutto per la forma di cui siamo fatti, per il modo in cui il nostro corpo si pone nello spazio in presenza di altri e per come le singole parti del nostro corpo si muovono. Distinti quindi i due piani della visibilità e della udibilità reciproca dei corpi, possiamo comprendere meglio che in presenza di altri ciascuno ineso11


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rabilmente trasmette di sé informazioni perché esiste ed é fatto in un certo modo. Semplicemente non possiamo non comunicare. La trasmissione di informazioni in sostanza è ineludibile. La comunicazione invece è gestibile a seconda del grado di competenza comunicativa degli attori sulla scena della comunicazione. Così come esistono competenze linguistiche, professionali, scientifiche e di varia sorta, da arricchire lungo il corso della vita, esiste una competenza comunicativa corporea. L’uso del corpo nel gioco comunicativo diviene essenziale per la costruzione di rapporti sociali, e per il loro mantenimento. Il soggetto è quindi un corpo comunicativo sempre e comunque; alla sua volontà e alla sua intelligenza è assegnata la capacità di elevare la propria competenza comunicativa corporea assieme a quella linguistica, culturale, professionale, per realizzarsi quale essere sociale. Lo sguardo rappresenta un’area comunicativa sofisticatissima in cui le persone investono più o meno coscientemente molte energie; esso marca e contrappunta lo sviluppo delle espressioni verbali e gestuali dei soggetti, ad esse si sostituisce o le rinnega perfino, in una miriade di sfumature. Per inciso, nella maschera facciale, l’area oculare è gestita da numerosissimi muscoli rispondenti a sollecitazioni ambientali, a stati d’animo mutevoli, a sedimenti di esperienze e ripescaggi emozionali rapidissimi e scarsamente razionalizzabili dal soggetto. Si pensi che l’occhio umano è capace di rispondere ad un milione e mezzo di segnali simultanei. L’occhio e l’area dello sguardo sono riconducibili a tre basilari funzioni. La prima è chiamata “salienza”, l’occhio ci rende visibili agli altri e ci permette di vederli. La seconda è l’incredibile capacità degli occhi di stimolare eccitazione. Praticamente è impossibile non provare un qualche grado di eccitazione (sia di gradevolezza che di repulsione) quando guardiamo un’altra persona. La terza è chiamata “coinvolgimento”. Nella nostra cultura, è difficile stabilire contatto oculare con qualcuno senza che vi sia interazione, anche minimale. La prima funzione è la constatazione del fatto che l’animale umano dispone di 12


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due ricettori luminosi, più poeticamente chiamati “finestre sul mondo”, organi esposti fin dai primi secondi di vita alle sollecitazioni luminose; in quattro settimane essi cominciano a strutturare un codice visivo di decifrazione della realtà circostante, in una incessante risistemazione delle informazioni, funzione che è la base della competenza culturale di adattamento; in quel breve lasso di tempo l’essere umano cerca subito il contatto visivo con la madre per stabilire l’imprinting di sopravvivenza. Il corpo e gli occhi della madre sono per lui tutto l’universo. La seconda funzione, sicuramente formata per pulsioni vitali legate in primis alla sopravvivenza: la visione della madre è eccitante, chiama via via il piccolo alla vita e al sorriso e conseguentemente alla emissione di suoni di richiamo articolati oltre che a quelli compulsivi provocati dagli stimoli viscerali. Si comincia cioè a intavolare il codice di rispondenza tra stati d’animo ed espressioni paraverbali, che poi troveranno compimento nei primi fonemi di lallazione. In queste fasi i muscoli dell’area oculare cominciano ad improntare un assetto coordinato con quegli stati d’animo. Così l’inarcamento delle sopracciglia legato al pianto o l’allargamento delle palpebre insieme al sollevamento del sorriso sono solo due degli assetti espressivi che l’umano comincia letteralmente a calzare sulla scena della vita. La cultura di appartenenza offre agli automatismi ancestrali un panorama di espressioni e atteggiamenti tutti da imparare, affinché il legame sociale possa stabilirsi su un quadro condiviso di posture e di sguardi. La concertazione di questi elementi costruisce la relazione. Indicative sono le differenze di genere nello sguardo, le differenze di età, di potere contrattuale, di ruolo affidato. In certe aree culturali lo sguardo femminile è considerato di per sé richiamo sessuale, e l’occhio perfino, in quanto organo, è ritenuto elemento di eccitazione sessuale e dunque soggetto a controllo, censura, persecuzione. a età differenti sono associati stili di sguardo differenti, la spavalderia dello sguardo giovanile contrasta per esempio con la quieta saggezza dello sguardo senile; colui che comanda può offrire 13


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lo sguardo o negarlo al suo sottoposto, che non potrà fare altrettanto se interpellato dovendo mostrare la sua disponibilità sempre e comunque. In merito agli stati d’animo, la direzione dello sguardo può indicare il carico emotivo che una persona prova in un dato momento. Le ricerche hanno mostrato come uno sguardo costantemente rivolto verso il basso spesso riflette una forte emozionalità; uno sguardo verso l’alto può indicare il formarsi di un’immagine mentale, mentre uno sguardo di lato può indicare che noi stiamo ricordando suoni percepiti in passato. Lo studioso Zick-rubin ha osservato che le persone profondamente innamorate si guardano l’un l’altro molto di più mentre parlano e sono meno propensi a guardare altrove quando qualcuno entra nel loro mondo. Ciò significa che stimoli esterni sono tenuti lontani dall’attenzione selettiva che si sta concentrando e difende così l’isolamento della relazione comunicativa da tutti gli influssi esterni. Questo avviene in tutti i casi di abbandono alla bellezza, sia essa umana che culturale, nel gioco ad esempio, nello studio, nell’intrattenimento, in tutti i casi in cui il soggetto ricava eccitazione e appagamento da ciò che sta vivendo. Lo sguardo dunque è il prodotto della contemporanea azione di tutte le condizioni psicofisiche della persona. Esistono segnalatori psicologici dello sguardo ben sintetizzati nelle espressioni comuni come lo sguardo assente, la cupezza dello sguardo, l’occhio fisso, lo sguardo stupito, e mille altre sfumature. una miriade di atteggiamenti dello sguardo, alcuni controllabili, altri per nulla interpretabili. In questo panorama culturale in cui gli sguardi d’intenzione si mescolano agli sguardi inconsci, si muove il terapeuta alla ricerca del disagio psichico e delle vie da percorrere per risalire in superficie e costruire soluzioni. Questo libro dà voce a Eleonora, Lia, Carla, Lara. riporta dieci, cento, mille voci e sguardi, rivolti a sé stesse, delle X donne che compongono, con i loro racconti, l’intero volume. In questa composizione troviamo la narrazione di donne che sono immerse o sono state immerse all’interno di patologie legate al comportamento alimentare. 14


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Le loro storie e i loro nomi si celano dietro pseudonimi, quasi a voler rendere anonima la singola narrazione per dar vita e per creare un’unica voce che esprima un disagio e un desiderio di guarigione. Come sempre più spesso accade, questi moniti e questi sfoghi sono stati emessi grazie al filtro del social-network e della pagina de Il Bucaneve, associazione che si muove a sostegno di persone con disturbi alimentari. Ogni giorno la pagina facebook di questa associazione infatti riceve moltissimi post che qui sono stati selezionati e raccolti a paradigma di un disagio diffuso che, contrariamente a quanto si possa pensare, non investe solo la sfera giovanile e non riguarda solo gli altri. In quest’ottica il libro quindi non giudica, non insegna, non si intromette ma pone in luce una serie di dubbi e di perplessità che senza dare una sentenza vogliono fornire un nuovo sguardo alla vita di molte persone che si sono descritte e raccontate con i loro occhi durante il proprio percorso di lotta per sconfiggere i disturbi del comportamento alimentare. Queste richieste di aiuto divengono in ultima considerazione un indicatore di guarigione che attraverso un diverso sguardo, un diverso modo di guardare le cose e il proprio vissuto, vogliono uscire dal silenzio. Così pian piano emerge, quasi in un gioco di specchi, il vero desiderio. Come avviene nella manifestazione della patologia, infatti, la prima necessità è la richiesta di uno sguardo per dar voce ad un problema sul quale, in ultima analisi, non si accetta solamente un’occhiata ma bensì una più attenta visione. Lucia Magionami

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...aLLOra CONTINuO a DaNZarE

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Pioveva ormai da diversi giorni, giornate grigie, tutte uguali, con il comune denominatore di quella malattia che stava consumando la sua vita. C’era silenzio ora, non si sentiva più quel suono che era leggero, ma che l’assordava. Non si sentiva più quel respiro faticoso e stanco. Mi girai verso quel corpo che era appartenuto a mia madre e fissai il suo petto: era immobile. Pensai che la cosa più strana era vedere un corpo che non respirava più e mi venne spontaneo riempirmi i polmoni di aria. Mi ascoltai e sentii dentro solo pace e non avvertii nessun vuoto, dentro ci sarebbe sempre stata lei e tutti i nostri discorsi, contrasti, abbracci e sguardi... . aveva smesso di piovere e quel giorno grigio lasciava il posto alla notte. Tra poco sarebbero arrivati parenti, amici, quel prete sconosciuto e non avrei più avuto tempo di pensare. Strano: durante la malattia sentivo la necessità di toccare mia madre, di accarezzarla, di appoggiare il viso sulla sua guancia, di sentirne l’odore, ora invece non riuscivo ad avvicinarmi a lei. Mi dissi che ormai quello era solo un corpo, che mia madre non c’era più. Mi infilai il cappotto, sentivo un freddo esagerato per la temperatura reale, e uscii. La mamma aveva scelto la stagione giusta per andare via, novembre è un mese silenzioso, grigio, spesso i contorni delle cose non sono bene definiti perchè avvolti dalla nebbia e tutto sembra che dorma; anche le piante hanno ormai poche stanchissime foglie che presto si staccheranno concludendo quel ciclo silenzioso della natura. un cane abbaiava in lontananza: “Meno male, troppo silenzio. Con chi ce l’hai tu? Da chi ti vuoi far sentire?”alzai gli occhi, improvvisamente ricordai quando facevo la stessa cosa tanti anni prima in cerca di quella stella, la mia stella. appariva prima di tutte le altre, era la più luminosa. Più avanti nel tempo avrei saputo che si trattava di Sirio, ma allora non aveva per me nessuna importanza il suo nome, sapevo solo che era lì, ogni sera puntuale per prima ad aspettare il mio sguardo. Sorrisi e con il pensiero accarezzai quella ragazzina dai lunghi capelli castani piena di sogni e di aspettative che stava seduta su quel muretto che divideva le due case coloniche e guardava il cielo. 19


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“già...era estate però, il cielo libero da ogni nuvola e l’aria era tiepida anche in piena notte...”. Quella notte il cielo era color del piombo invece e rabbrividii. Silenzio. La campagna, le case, le strade, io stessa inghiottita dal buio. Quell’estate di tanti anni fa, era il 1970, mi rigirai nel letto, socchiusi gli occhi: dalla finestra filtrava appena la luce del nuovo giorno, quella sfumatura del rosa che precede il sorgere del sole. Eppure di là nella grande cucina del casolare già c’era movimento. Fosse stata una mattina qualunque dell’estate avrei continuato a dormire, ma il cervello pur assonnato mi inviò il messaggio che quella mattina iniziava la trebbiatura e per me era meglio di una festa, meglio di un compleanno, meglio dei regali di Natale. Saltai fuori dal letto e mi avvicinai alla finestra, nell’aia era già arrivata la macchina che avrebbe ingoiato le manne del grano e da una parte sarebbe uscito tutto quel polverone mentre dall’altra il grano ripulito cadeva nel cassettone del trattore. I contadini dei poderi nelle vicinanze stavano arrivando per iniziare la giornata. “Che bello!” battei le mani come una bimba di fronte ad una sorpresa. Sfilai in fretta la leggera camicia da notte, un corpo giovane, che aveva ormai lasciato le sembianze della bambina per entrare nel mondo di donna, contrastava un po’ con quel mio viso da adolescente in cui due grandi occhi verdi pareva avessero dentro mille domande inespresse. Non mi ero ancora vestita quando sentii bussare alla porta, volai dentro il letto coprendomi: “Sì, avanti!” “Buongiorno, sei pronta? Ti ho portato il grembiulino bianco con i pizzi, quello che mi ha dato la tua nonna, ricordi? Presto! Tra poco è l’ora del vinsanto...!”disse la zia affacciandosi con quel suo volto rotondo e i capelli raccolti dietro la nuca. Sarà per quello che pur lavorando tutto il giorno e faticando come muli, quegli uomini erano sempre così contenti e avevano sempre voglia di scherzare! Forse quella colazione servita alla buona e bevendo al posto del latte un bel bicchierino di vinsanto aiutava a vedere il mondo più facile e colorato! 20


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“arrivo, eccomi subito, ma è già pronta Pia?” “Non dormo mica io, e tu, quanto ti ci vuole?” Pia aveva già il suo bel grembiulino inamidato e aveva indossato quella gonna un po’ corta che le metteva in mostra le belle gambe. Era eccitata anche lei per l’inizio dei lavori ed entrò in camera portando con sé l’odore del pane abbrustolito. “Dai, vestiti che penso io a mettere a posto il letto...”. Mi sbrigai e mi sentii ancora una volta felice di poter contare sulla sua amicizia. Pia aveva solo una anno più di me, però era molto saggia, a volte troppo saggia per la sua età. Ogni tanto mi annoiavo con lei perché prima che si decidesse a fare qualche piccola marachella dovevo impiegare mezza giornata a convincerla. Niente di grave, magari il bagno al fiume senza costume oppure una corsa in bicicletta fino al paese per vedere quel ragazzo dagli occhi scuri senza chiedere il permesso, insomma tutte quelle piccole bugie che rendono l’adolescenza il periodo particolare che è. alla fine vincevo sempre io, ma era una faticaccia trascinarla in quelle imprese. a Pia bastava ascoltare un po’ di musica, un gelato mangiato all’ombra del noce davanti casa e immaginare quel che avrebbe fatto da grande. Per me non era così, avevo dentro la voglia del nuovo, di quello che non sapevo, e non potevo passare un giorno uguale all’altro... . Ero piccola quando i miei genitori si trasferirono in città, ma quella campagna, quel fiume e gli odori del posto dove ero nata non mi erano mai usciti dal cuore né dalla testa e non appena potevo scappavo via dalla città per inebriarmi di quegli odori nativi... . uscii e mi buttai nella giornata che mi aspettava, il tempo passò in un attimo tra le chiacchiere nel fresco della cantina dove passavano a ristorarsi gli uomini e i giovani ragazzi che si alternavano nei turni nell'aia ora dopo ora fino ad arrivare alla cena. La tavola all’aperto, ricoperta di candide tovaglie di cotone, l’odore dei sughi di anatra e di arrosti cotti al forno a legna. E il vino che facilitava il sorriso e la voglia di divertirsi nonostante la stanchezza, i balli fino tarda notte sudore sopra sudore senza preoccuparsi che dopo poche ore erano tutti ancora una volta a faticare... . 21


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“Come sei bella! Balli con me dopo?” Quei freschi, semplici complimenti mi facevano davvero sentire bella, avevo già capito che potevo far nascere negli uomini il desiderio e questo mi dava una nuova, strana e curiosa emozione... . Con il respiro affannoso e il volto arrossato mi allontanai dal gruppo che ancora non accennava a darsi per vinto e mi sedetti più in là, in quel muretto dove spesso aspettavo la mia stella. Si sentì un rumore di un motorino che arrivava, stonava un po’ con la musica. Per fortuna si spense. Mi sedetti meglio sul muretto, guardavo verso tutta quella gente con le facce bruciate dal sole. Lui scese dal motorino. Stava lì in piedi ad aspettare che la musica finisse. Era una maglietta bianca su una schiena, due braccia abbronzate. Si voltò portandosi una mano alla nuca, aveva una barbetta rada su una faccia da bambino. Si avvicinò, fece un passo verso di me. Lo guardavo anche io, lo aspettavo mentre si avvicinava. Non c’era più nulla. Solo la macchia di quella maglia bianca che camminava verso di me. E mi sembrò di sentirgli l’anima, ecco tutto. E quel momento sarà la memoria. “Ti ritrovo in questa notte buia dopo tutti questi anni...” pensai. Palate di vita. Forse perchè con la morte di mia madre si era concluso davvero un ciclo importante della mia vita, forse perché finché abbiamo ancora i nostri genitori dietro di noi, per “sbagliati” che siano, ci sentiamo sempre figli...forse il ricordo di quell’episodio che un po’ ha segnato il mio passaggio dall’infanzia all’adolescenza mi ha voluto dire che ora, da oggi faccio un altro passaggio...non sono più figlia, sono davvero senza protezioni alle spalle e il dolore da quel momento è diventato grande e consapevole... . Quante volte ho pensato che avrei voluto genitori diversi, quante volte avrei voluto vivere quel 22


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rapporto “rovesciato”, solo figlia e non mamma di una madre sempre infantile e bisognosa di attenzioni...quante volte! Ora invece mi rendevo conto che solo lei poteva essere mia madre, non l’avrei cambiata con nessuno. Solo lei aveva quell’odore...e con lei sono diventata chi sono. Sbagliata o no non lo so, ma sono io Sono così perché c’è stata lei. Ci sono giorni in cui pensi di sapere tutto. Ti dici “Ecco, finalmente ho capito, so come fare e come gestire le mie emozioni, so che la vita è questo...quest’altro...benissimo!”. Tutto ad un tratto basta una discussione, una risposta che non ti aspettavi, una reazione strana dalla persona su cui avresti messo la mano sul fuoco a vita che ti fa ricredere immediatamente... . Delusione, sconforto, anche paura. Ogni tanto mi domando: ma sarà sempre così? Ormai ho abbandonato da un bel po’ quei giorni in cui ero confusa su tutto e tutti...eppure mi rendo conto che siamo sempre sottoposti a cambiamenti nella vita. Proprio così...la vita cambia in continuazione, non esiste niente di definitivo. allora come fare? Non esistono formule magiche credo...bisogna accettare. E basta. accettare che non è come immaginavamo nulla o quasi nulla, accettare che soprattutto chi amiamo non la pensa quasi mai come noi, accettare che le delusioni fanno male. Probabilmente questo è una di quelle cose che non riesce facilmente a chi cade in un disturbo alimentare, parlo di accettare la vita e noi stessi. La guarigione, il vivere sereni senza farci del male credo inizi proprio dall’accettazione di noi stessi e di quello che ci capita. Facile a dirsi, difficile a farsi...ma non impossibile... . ragionando su questo credo davvero che sia vero dire che senza radici non si vola. È necessario cercare, analizzare, vedere fin dove arrivano quelle radici da cui siamo nati per poi poter spiccare il volo verso la vita, la nostra vita e poter reggere al peso di delusioni, dolori ed eventi improvvisi...indispensabile analisi da fare per tutti noi, ma in partico23


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lare per chi vive dentro un disturbo alimentare: guardare da dove si arriva anche se fa male, capire cosa ci ha condizionato e poi staccarsi per poter davvero diventare noi, per poter vivere la nostra esistenza secondo quello che siamo davvero e non in base a quello che tutti quanti, genitori compresi, si aspettavano da noi. andare, volare... . Questo è davvero l’atto più bello di amore che un figlio può fare verso un genitore:vivere con serenità e consapevolezza di se stesso la propria vita... . Sono passati quasi due anni da quando ho costituito l’associazione Il Bucaneve, tempo volato in un attimo... . associazione costituita da me, mio marito e le mie figlie che sono la testimonianza che di questa patologia terribile si può guarire. Dopo anni lunghissimi e terribili vissuti in compagnia di questa malattia (anzi gli addetti ai lavori la chiamano disturbo) e una lunga terapia a cui noi come famiglia abbiamo partecipato, le mie meravigliose ragazze stanno bene...libere e serene, e soprattutto capaci di affrontare quello che la vita proporrà loro... . Cosa cerchiamo di fare? Di ascoltare, accogliere, accompagnare alla terapia le persone che hanno a che fare con i disturbi del comportamento alimentare. La cosa che mi domandano con più frequenza è “Perchè Il Bucaneve?, perchè si chiama così?” già...dal momento in cui ho pensato a questo progetto e quindi ho realizzato che dovevo anche trovare un nome, immediatamente ho pensato a questo fiorellino. Nasce anche in posti impervi, laddove magari poteva sembrare impossibile la vita perchè sono luoghi pieni di neve e gelo. Eppure il bucaneve riesce, non appena spunta un po’ di sole, a forare anche il ghiaccio e a far spuntare la sua testolina colorata e bellissima e su...guarda verso il cielo e i suoi colori. Proprio come le “mie” ragazze che mi scrivono, che mi si rivolgono perchè credono di non sentire più nessuna emozione e nessun interesse. So che alla fine la soluzione per questa terribile patologia è l’amore. In senso lato. Con il calore dell’amore possono fiorire di nuovo, nascere a vita nuova e guardare alla vita e ai suoi colori. 24


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amore e calore dell’amore. Come il sole per il bucaneve... . Sembrerà una cosa terribile quello che sto dicendo, ma dopo la morte della mamma ho completamente preso in mano la mia vita. Non che prima non avessi capito che solo con un distacco tra la mia vita e la sua potevo vivere le mie idee e le mie giornate, ma c’era sempre una parte che sotto sotto mi faceva sentire quel buco creato dal non rapporto esistente tra me e lei a livello interiore. Stavamo insieme spesso, ero anche troppo presente per lei, ma così come sapevo di dover fare da figlia per le cose materiali. Quello che avrei sempre desiderato per me, per poter fare certe domande e poter avere risposte o almeno poter essere ascoltata, quello non era mai stato possibile. Con la sua morte nulla poteva più modificarsi, anche quella piccolissima speranza che alla fine c’era sempre dentro non esisteva più e, strano ma vero, mi sono sentita libera di muovermi e fare quello che sentivo senza aspettare più quel giudizio che ormai non mi faceva più male, ma che comunque arrivava sempre. Ogni cosa io facessi al di fuori di quello che era importante per lei, era sbagliato o superfluo... . Il giorno in cui ho depositato i documenti per l’iscrizione all’albo della mia associazione ero molto contenta, era una mia idea in cui credevo tanto e alla fine ci ero riuscita. Camminavo con il sorriso sulle labbra e tenevo stretti al petto quei fogli come fossero un bambino da proteggere...sorridevo e ogni tanto rileggevo il primo foglio, là dove si diceva “Il giorno...è stata costituita l’associazione denominata Il Bucaneve”. Poi ecco subito il pensiero “Chissà la mamma...”. adesso sorriderà anche lei finalmente... . Ho iniziato a prendere contatti e a buttarmi con entusiasmo in questa avventura...nel gruppo che ho aperto su Facebook (chi non vive ormai comunicando con questo mezzo?) moltissime ragazze e anche genitori sono diventati parte attiva nelle discussioni e si sono instaurati anche rapporti non solo virtuali. La gente ha imparato ad essere fredda, a toccare senza toccare, a guardare senza guardare, a sfiorare senza sfiorare. Si vive di clichè: “Ciao come stai?”. Nessuno vuole dire 25


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niente dicendolo, queste parole servono solo ad evitare l’incontro autentico tra due persone. La gente non si guarda negli occhi, non si tiene per mano, non cerca di sentire l’energia dell’altro. Non si permette di scorrere liberamente. Tira avanti in qualche modo, piena di paura, fredda e smorta. Spesso ci lamentiamo di questo che ci circonda che chi ha la sensibilità a fior di pelle come chi soffre di DCa percepisce ovunque. Come cambiare ciò che non ci piace, come cambiare ciò che intorno ci dà fastidio e che vorremmo fosse diverso? Ogni giorno nei nostri discorsi nel gruppo viene fuori questa necessità... . Intanto cerchiamo di guardare a fondo dentro di noi. Così facendo si acquista la capacità di vedere a fondo anche gli altri... . anche per imparare che nella vita a volte basta davvero poco per essere felici e che davvero la cosa importante è la disponibilità all’ascolto e alla comprensione dell’altro,ci siamo incontrati con semplicissimi e amichevoli riunioni davanti ad un tavolo di un bar, le chiamiamo “C & C caffè e chiacchiere”. Ci siamo incontrati a roma, Milano, genova, rimini, ancona, qui a Castiglione del Lago e poi si vedrà... . Stiamo insieme poco tempo, ma ci guardiamo negli occhi, parliamo con estrema libertà e sappiamo che l’altro ci capisce perfettamente e non ha il benché minimo giudizio nei nostri confronti. Questo guardarci, toccarci, abbracciarci rende reale quel mondo virtuale e aiuta tutti noi. Passo dopo passo stiamo crescendo, insieme a Lucia Magionami, una bravissima psicoterapeuta che ci regala il suo tempo, organizziamo incontri a tema e seminari formativi e ogni volta ne usciamo arricchiti. Diverse ragazze mi hanno scritto la loro testimonianza del periodo legato al disturbo alimentare. alcune ne sono ormai fuori e sono nel gruppo per testimoniare che si può guarire, altre sono ancora all’inizio del cammino e spesso nemmeno sono ben consapevoli di cosa abbiano, altre stanno dentro il percorso della terapia e confrontarsi con noi le aiuta molto. Personalmente mi sento ricca. ricca 26


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perché ho la possibilità di parlare con persone che hanno un mondo interiore fantastico, troppo spesso bistrattato e e non riconosciuto, ricca perché si fidano di me, perché mi aprono il loro cuore, ricca perché ogni giorno cresco un po’ con loro. E, vi assicuro, non si finisce mai di crescere e cambiare...per fortuna... .

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Testimonianze



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Agnese, altre e la rabbia... Ma lo sai che non lo so? Davvero non so risponderti su come me ne sono liberata...forse ho smesso di lottare contro i mulini a vento, per cose che non ho ricevuto e che nessuno potrà ridarmi mai, forse ho semplicemente accettato delle situazioni che per me erano dolorose così com’erano, ho smesso di pensare di poter cambiare tutto, che tutto dipendesse da me...anche io avevo tanta, tantissima rabbia dentro che in certi momenti sembrava davvero voler esplodere e distruggere il mondo intero, non solo me stessa...provavo un dolore terribile per tutta quella rabbia, un odio terribile che riversavo su di me e su chi mi stava attorno...ho creato il deserto intorno purtroppo, ma oggi no...oggi è tutto diverso, oggi io sono diversa! Oggi sorrido alla vita e la vita mi contraccambia ancora di più ogni giorno... . La rabbia è positiva se la buttiamo fuori, quando la teniamo dentro ci corrode il cuore e l’anima, come il calcare delle lavatrici..., se la buttiamo fuori troppo violentemente ci lascia avvilite e piene di sensi di colpa, bisogna trovare il modo di incanalarla nel verso giusto e usare tutta la sua potenza per produrre un’energia positiva per noi...e la terapia secondo me aiuta tantissimo in questo. Io la vedo positiva solo proprio per tutta l’energia che contiene che può essere usata molto positivamente! rabbia rabbia rabbia. Mi fa piangere, mi fa ammutolire, mi fa venire la gastrite, mi fa ubriacare, mi fa andare in ospedale, mi fa tagliare. Per me la rabbia non ha niente di positivo. Fra i tanti sentimenti umani la rabbia è fra le più “boicottate” per via del suo potenziale distruttivo...io l’ho sempre temuta...ma la rabbia è energia selvaggia...è potenziale...è un fucile carico e pronto a sparare...occorre la capacità di puntarlo contro ciò che ci fa star male...e soprattutto...occorre puntare su altro da se stessi...perchè se viene ignorata non scompare mai...ma punta ed esplode su di noi...dobbiamo ricordare sempre che la rabbia ci può aiutare ad affermarci...se impariamo a conoscere i nostri bisogni...e che la rabbia 31


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può essere utile se la riconosciamo..e si trasforma diventando un motore che ci spinge..ovviamente...imparare a governarla è cosa importante... . La rabbia è tanto più forte e duratura quanta è più bassa la tua autostima...mi spiego: quando qualcosa mi procura rabbia... (e deve essere una motivazione davvero grave diversamente non la chiamo rabbia) in un primo momento mi sfogo a parole del tipo..: – ma guarda te che figlio...di buona donna ecc...ecc...poi penso bene con chi ho a che fare...se è una persona che ritengo intelligente (raro) affronto e ne parlo...ma dato che il più delle volte questa rabbia scaturisce da comportamenti di individui che non ritengo intelligenti...allora mi meraviglio di me stessa per essermi arrabbiata ahahahahaha...non sto scherzando!...non credo di essermi liberata del tutto di lei. Spesso viene fuori sotto forma di intolleranza quasi cattiveria. Quando la rivolgo agli altri (raramente ) viene fuori come un ciclone devasta e chi l’ha vissuta non mi saluta più. Ma la gestisco solitamente però la sento e non capisco da dove arriva. So che la mia rabbia è cresciuta con me ha origini ancestrali verso mia madre intesa come figura di attaccamento non come persona. Spero un giorno di poter dire che non la sento più. Di positivo? Non so – nel mio caso nulla. ...la rabbia non serve a niente...fa solo del male a chi la possiede e a chi gli sta vicino. Sono sincera, penso che un pò di rabbia verso il destino io ce l’abbia ancora...spero un giorno di liberarmene definitivamente... . Ho tanta rabbia dentro di me e la riverso tutta contro me stessa e nel più totale silenzio ma mi sono stufata di non manifestarla mai e di far vedere una calma apparente...sarà difficile ma ci devo provare... . La rabbia. Un comune denominatore per chi soffre di DCA, magari tenuta dentro per anni ed anni, forse spesso non riconosciuta e soprattutto non ammessa e che devasta interiormente. Rabbia verso chi non vede, verso noi che non siamo come certi modelli ci impongono, rabbia verso chi amiamo e non riusciamo a 32


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cambiare. Questo sentimento assolutamente negativo, finchè non viene elaborato e riconosciuto continua a creare incessanti sensi di colpa e così il sintomo diventa sempre più radicato. Collegato alla rabbia viene la capacità di perdonare. Difficile esperienza per tutti questa! Ma solo con il perdono, inteso come accettazione del passato, si può pensare di poter costruire un futuro. Iniziando proprio dal perdonare noi stessi... .

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Amy Cosa significa per me “Accoglienza”...far crollare le barriere difensive che sempre accompagnano gli incontri; quelle barriere che, consapevolmente o meno, erigiamo per difenderci dal pericolo di essere “invasi” dall’altro... . accogliere significa lasciare che l’altro entri nella nostra testa, nel nostro cuore, significa provare a sentire quella similitudine che lega le vite di ciascuno perchè solo quando si è vicini a una persona le si può davvero tendere una mano... . Proprio per questo, però, credo che per accogliere chiunque, a maggior ragione una persona che soffre, si debba essere solidi, forti...altrimenti si rischia di essere travolti e di non poter, quindi, nemmeno aiutare. Questo che mi ha scritto Amy fa riflettere molto su quello che a volte facciamo: spesso aiutiamo e ci dedichiamo agli altri, ma siamo sicuri che lo facciamo perchè ci va di farlo e soprattutto perchè non ci aspettiamo nulla in cambio? Oppure può essere anche un modo per non dedicarci a noi, ai nostri problemi irrisolti? Finché siamo impegnati in altro tutto può stare lì, fermo, immobile...ed il cambiamento necessario per rinnovare la nostra vita, che ci spaventa così tanto, può aspettare... .

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Anneliese La nostra triste storia, di Sabrina e mia, incominciò dopo la morte di mio marito. un uomo buono, un buon padre, ma ammalato da tanti anni: ne passa 17 dentro e fuori dagli ospedali. L’ultimo ricovero durò ben 5 mesi e poi fu la fine. Sabrina, penso che incominciò allora il suo percorso verso la morte. Lei indossò la sua corazza di brava ragazza, buona, sempre sorridente e molto affettuosa; io indossai la mia, quella di persona arrabbiata verso il mondo, verso tutti, ma specialmente verso me stessa. Vivevamo molto tempo insieme,era lei che si prendeva cura di me, mi trascinava a ballare, a fare compere e la nostra vita incominciò ad essere vita. Così pensavo, ma dentro di lei stava covando un malessere così nascosto che neppure il mio amore nei suoi confronti, mi rese consapevole di ciò che stava accadendo. Lei incominciò a prendere lassativi (di nascosto) e a fare corse estenuanti: convinceva anche me a seguirla, dicendomi che mi faceva bene fare movimento... . gli anni passarono, Sabrina decide di andare a vivere con il suo ragazzo, ha il suo lavoro e sembra che tutto vada bene, ma purtroppo dopo un po’ di tempo mi accorgo che dimagriva a vista d’occhio. La costringo a farsi ricoverare: medicina, comunità, psichiatria: la diagnosi: anoressia nervosa in bordeline. Questi posti diventano col tempo la nostra casa, 10 anni di andirivieni fra ospedali comunità e casa. Io sempre più arrabbiata, perchè succedeva tutto questo alla mia adorata figlia? Non mi rendevo conto che la mia rabbia non aiutava lei, anzi ne soffriva ancora di più ed io peggioravo le cose La mia convinzione era che io madre avevo il compito di cercare le comunità migliori...i medici migliori...e non capivo che avrei dovuto incominciare a cambiare ME STESSa. Lei aveva bisogno di amore non di una mamma arrabbiata, io l’amavo più di me stessa (lei lo sapeva), ma non riuscivo a manife35


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starglielo perchè la rabbia aveva la meglio. andavo a trovarla nelle varie comunità, ospedali e quant’altro. Non vedevo l’ora di vederla, ma quando ero là non vedevo l’ora di scappare. Era troppa la sofferenza, non ce la facevo...cercavo di abbracciarla ma non ce la facevo: Dio mio era un mucchio d’ossa. Mi sentivo disperatamente sola, sola con un problema più grande di me. arrivò purtroppo il 10 agosto 2006. al mattino mi ero recata da lei per portarle alcune cose che mi aveva chiesto. Mi sedetti sul letto con lei mentre il dottore mi spiegava che se continuava così non sarebbe arrivata alla fine del mese. Scoppiai a piangere e per un istante abbandonai la mia corazza. Lei con molta calma mi disse: non piangere mamma, io sono stanca e non ho voglia di vivere: tu vai avanti anche per me, tu sei forte... Ecco io sono FOrTE, questo era quello che io avevo trasmesso a lei, maledetta forza! La sera dello stesso giorno, verso le 19, mi chiamarono: venga giù, Sabrina è volata via assieme agli angeli... . La trovai sul letto, aveva i suoi begli occhi azzurri aperti: aveva uno sguardo dolcissimo e sereno. Dopo averla accarezzata a lungo le sussurai in un orecchio: addio tesoro mio, ti prometto che andrò avanti in nome tuo, lavorerò finchè ne avrò la forza, però tu da lassù dovrai darmi una mano. Dopo un brutto periodo, dove la rabbia e i sensi di colpa erano miei compagni di vita, mi ricordai della promessa fatta a mia figlia e mi misi all’opera. Faccio parte di un’associazione di genitori che mettono a disposizione il loro tempo, genitori che hanno avuto a che fare con la BESTIa. In ogni ragazza che incontro vedo Sabrina, nei genitori angosciati vedo me stessa. Sabrina se ne è andata, mi ha lasciata sola, ma mi ha regalata in eredità tante cose belle e positive. Ho imparato da lei ad abbracciare, ho abbandonato la mia corazza di donna forte, ho preso coscienza degli errori commessi. Ora sono una persona che riesce ad essere “umana” con le sue debolezze e i suoi limiti. 36


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Lo devo a lei tutto questo, grazie Sabrina, io ti ho dato la vita e tu hai fatto di me una persona migliore. Veglia da lassù la tua mamma che ne ha tanto bisogno e tutte le BIMBE che stanno soffrendo come hai sofferto tu! Ciao tesoro un giorno ci ritroveremo MAMMA

Trasformare un dolore terribile come quello della perdita di una figlia in un qualcosa che ci può diventare ricchezza per gli altri e pace per noi. La madre di questa testimonianza ora si dedica alle ragazze che soffrono della patologia di cui è morta sua figlia ed è fonte di energ energia per moltissimi genitori.

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Baby Insonnia, pillole, ipersonno, vuoto interiore, sensi di colpa, terapia, pasti sfasati, Vuoto, paura di uscire da sola, poche uscite rare e deliziose. Poi di nuovo il baratro nella notte: l’insonnia, sempre più pillole, ossessioni, pensieri più che oscuri, lacrime e singhiozzi, desideri che sembrano impossibili, cibo, non cibo, frustrazione, vuoto, paura, crollo, giornate buttate via nel sonno. E il progetto del viaggio in Israele che avrò fra 3 settimane, lungo 2 settimane (meraviglioso perchè con la comunità in cui sono stata per 1 anno e mezzo, con ragazze a cui sono legata e a cui voglio bene pur non vedendole da settembre e le operatrici, alcune che adoravo, nonchè la mia psico, la stessa che mi ha continuato a seguire finora) per cui non mi sto impegnando per niente, intendo come volontà concreta nei fatti di leggere gli opuscoli, la guida. Pur essendo un viaggio intenso, che richiede la mia totale cura PEr ME: nella giusta ed equilibrata alimentazione e nel ritmo sonno sveglia. Ma poi sono sola, quasi sempre. E mi ritrovo con tutte le parole e i pensieri cui sopra. E io vorrei solo uccidere quella parte, e tenere e ritrovare la Baby brillante, intelligente, spensierata, che aveva iniziato a volersi bene, che ama viaggiare, fare shopping, ballare... . Ma...dov’è? ti adatti al peggio perchè non vedi via d’uscita...perchè quello diventa l’unico modo per sfogarsi, per rifugiarsi, per sopravvivere.. perchè non riesci a trovare altro modo per affrontare la vita, le situazioni, il passato...perchè quello è l’unico modo che ti permette di soffocare tutto e di non farti domande...perchè nel momento in cui inizi a chiederti, a farti domande, inizia il percorso, inizia il difficile...inizi a vedere quello che ti fa paura vedere..quello che ti fa paura ammettere..quello che ti fa paura affrontare...ammetterlo è difficile..e capita che anche se inizi la terapia a volte lasci perchè farsi certe domande fa ancora più male, più male del sintomo, più male di tutto.. e allora ti ci aggrappi di più e sembra che non finirà mai e che quello che stai facendo è tutto inutile e non finirà...ma è in quei momenti che 38


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bisogna continuare a combattere...a lottare contro la nostra testa che vuole offuscare quei pensieri...a fare quel lavoro terapeutico che poi ti aiuta a trovare il modo...perchè un altro modo c’è...ammettere i nostri limiti, le nostre paure, i nostri malesseri e le nostre fragilità, è difficile...ma quando poi inizi a comprendere che sono parte di noi e che tutti ce l’abbiamo e che dobbiamo solo accettarle per quelle che sono, le cose iniziano a cambiare...la visione inizia a cambiare.. i modi iniziano ad esser sostituiti da altri migliori... “c’è sempre un modo...per fare l’impossibile, per sopportare l’intollerabile...c’è un modo” never give up ♥! La lunga estenuante lotta tra razionalità e quello che il disagio interiore, il male dell’anima fa sentire...la testa fa dire che è sbagliato ricorrere al sintomo, che non serve, che anzi peggiorerà tutto e renderà tutto più confuso e lontano...ma la parte irrazionale, quella “malata” vuol prendere il sopravvento. Ed allora ecco che spesso si abbandona la terapia a metà...proprio mentre si dovrebbe combattere con tutti noi stessi, proprio quando c'è quella fitta che brucia, che entra come una lama di un coltello affilato...allora, sì allora bisogna avere la forza di resistere ed andare avanti...fino in fondo. Fino quando non si arriva a riprendere fiato, a respirare normale...a guardare intorno a noi con uno sguardo finalmente nuovo e libero. “Si guarisce? Ma si guarisce davvero?” Quante volte questa domanda da chi sta lottando...! Sì, si guarisce davvero. Ma quando? Non si guarisce quando si abbandona il sintomo, no...troppo facile. Si guarisce quando si cambiano i pensieri...quando si ha un atteggiamento diverso verso la vita. Una ragazza mi disse riferendosi a chi aveva accanto “Loro pensano che io sia guarita perchè ho ripreso un peso normale, ma io nella testa sono sempre uguale, sono sempre anoressica come prima...niente è cambiato per me, ho sempre paura come prima... .”

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Barbara “Dovevo essere bravissima in tutto, dovevo dimostrare di essere forte, non dovevo dimostrare le mie fragilità, le mie emozioni, dovevo rispettare un ideale di perfezione inesistente, dovevo primeggiare per affermarmi. Dovevo insomma. Dovevo, dovevo e dovevo. Con i tanti “dovevo” che avevo percepito imposti da varie dinamiche familiari, sentivo che loro si aspettavano questo da me, che tutto il mondo voleva questo, ebbene a quel punto non c’era più spazio proprio per la persona più importante e cioè “IO”. Ci ho messo un infinità di tempo ad ammettere che c’era qualcosa che non andava proprio perchè in casa mia non era ammessa la fragilità. all’esterno noi dovevamo esser la famiglia perfetta, dove non c’era mai un problema, dove non si poteva parlar di problemi con il prossimo. Doveva andare sempre tutto bene e se qualcosa non lo andava io avevo appreso da loro come soffocarla, come non mostrarla mai. Cosa avrebbe detto il mondo se io mi fossi mostrata fragile? Se questa cosa non veniva mostrata e accettata in famiglia come poteva il mondo esterno capirla? Invece ora so che non è così. Che il mondo esterno capisce. E nonostante faccia una gran fatica a volte a mostrarla questa fragilità, e alcune barriere sono ancora su, ora ci riesco. E per quanto sia difficile la vita è molto meglio ora di prima! La perfezione: uno degli obiettivi ovviamente irraggiungibili di tutte le persone che cadono in un disturbo alimentare. Bravissime a scuola, ogni traguardo deve essere raggiunto al massimo livello altrimenti si sentono fallite ed inadeguate. Questo pensiero regna sovrano in ogni azione che compiono e anche il loro corpo deve essere modellato perchè o si arriva a certe misure, a un certo peso oppure si è sbagliati... .

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Betty Quando stai male dici di voler guarire. Tutti ti ripetono che i DCa sono problemi della mente non del cibo e allora ti domandi perché non posso(no) guarirmi la testa solamente, cosa c’entra il dovermi nutrire il dover magari tornare ad un peso normale (nel mio caso, parlo da ex anoressica)? Perché inutile raccontarcela all’inzio della terapia il nostro pensiero è ancora lì, incentrato sul sintomo e la cosa che ci fa più paura è perderlo questo sintomo, perdere il controllo su quello che mangiamo, vomitiamo o sui kg che portiamo addosso. Purtroppo non ci può essere guarigione dai DCa che prescinda dal corpo, dobbiamo accettare di avere un corpo e imparare a volergli bene, fa parte del percorso. Senza il corpo non ci sarebbe nemmeno la testa, noi vorremmo non esistesse ma non è così per fortuna (questa fortuna la potremo capire solo poi) esiste e dobbiamo imparare a prendercene cura. PS: Quando starete bene poi, credetemi, riscoprire il proprio corpo, imparare ad ascoltare le sensazioni che ci trasmette è una cosa davvero bella! un abbraccio a tutte/i. L’ossessione del corpo e del peso è la cosa più difficile da combattere, la paura del cambiamento nel momento in cui la terapia inizia a farti ragionare e prova a scardinare certi meccanismi ormai diventati la vita quotidiana. Come si può vivere senza il sintomo? Questo fa paura, rinunciare alla malattia che è stata un rifugio, una corazza e l’unico modo per non sentire né vedere nulla fa paura... . Ecco perchè è indispensabile ricorrere all’aiuto di esperti, da soli mai si può riuscire ad eliminare tutto questo dopo averne fatto il motivo di vita, dopo aver fatto sì che la nostra realtà fosse diventata quella. Senza qualcuno che ci aiuti a cambiare ottica e prospettiva non si esce da questo circuito malato... .

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Carla Maria grazia carissima...stasera è una serata davvero difficile, anzi, tutto questo periodo è devastante. Io sto cercando di tranquillizzarmi con le goccette ma mi prende un tale sconforto che non so dove sbattere la testa, ho paura...la vedo sempre più minuta e incavolata col mondo. Oggi è rientrata dal week con il papà: scontrosa tutta la sera con me, con i nonni che erano a cena tutta carina... . Come se mi odiasse; mi si strizza il cuore non so da che parte voltarmi. Domani inizio la terapia dalla psichiatra che dovrebbe seguirmi... . Lo psichiatra che segue mia figlia dice che motivazioni traumatiche non ce ne sono, è più un insieme di fattori scatenanti, il fatto di cercare di non scontentare nessuno di far finta che le cose vadano bene eliminando alla radice i problemi, rispondendo per lo più quello che gli altri si aspettano che lei risponda, quindi sacrificando sempre e comunque il suo volere, il suo stesso piacere. un rapporto con me troppo forte, forse per lei troppo soffocante, lei continua a dirmi che è tutto troppo, ma io non capisco cosa mi vuole dire, io non capisco dove sbaglio. Mi pare di fare come sempre la mamma...è vero io per lei ci sono sempre, qualsiasi cosa detta è quasi subito fatta, ma dove sbaglio? cosa devo fare? fregarmene? cosa devo fare andare a vivere lontano da lei, lasciarle la casa e tornare dai miei, farla andare dal papà per qualche tempo? non so, sono disperata stasera...e lei mi ha in pugno. Sa che mi ha lacerata e sembra quasi ne abbia provato piacere...Maria grazia non so più che pensare? Vorrei sparire, forse le cose si appianerebbero...perchè ce l’ha con me così tanto? Mah...con il cuore spezzato ti ringrazio per aver letto la mia disperazione. Sapere che qualcuno come me ha vissuto questo calvario e mi può capire mi fa sentire meno sola... . grazie, ciao.

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Il genitore spesso accusato, a volte compatito, di solito lasciato solo, è disarmato da un comportamento che lo vuole escludere e allo stesso tempo incatenare evocando l’angoscia della perdita e della colpa. Le parole non funzionano, le\i figlie\i sono irriconoscibili; ogni intervento viene frainteso e mal interpretato in una guerra che non ha mai vincitori. È ormai dimostrato che le posizioni e le parole scelte per comunicare all’interno della relazione con il\la figlio\a sofferente, possono essere decisive per creare le condizioni del cambiamento. Ma quali sono le parole e gli atteggiamenti giusti? Anche il genitore deve essere sostenuto, accompagnato in questo cammino insieme al figlio per non rischiare di essere travolto da questa patologia così devastante ed infestante... .

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Daniela Salve sono una mamma di una ragazza oggi 21 enne portatrice del disturbo alimentare. all’interno della nostra famiglia io mamma, sono sempre stata il punto di riferimento di mia figlia, con la quale ho sempre avuto un bel rapporto. Mia figlia sapeva che su me poteva contare sempre, soprattutto sulla sincerità anche quando la sincerità poteva ferirla, ogni qualvolta mi chiedesse un consiglio o un parere. Non ho mai pensato di darle le risposte che potessero farla soffrire meno, ma ho sempre trovato doveroso darle le risposte di verità ogni qualvolta mi chiedesse un consiglio. Il papà di mia figlia, non ha mai svolto il ruolo di genitore-padre, ma un ruolo di amicone. L’incontro determinante che modificò radicalmente mia figlia avvenne a 17 anni quando conobbe un’amica 21 enne che portava un grave disturbo alimentare ed entrò in confidenza con la madre di quest’ultima che aveva visto in mia figlia ragazza solare serena e tranquilla. Mi accorgo tempestivamente che mia figlia comincia a diventare triste, a non andare più a scuola (nel frattempo l’amica aveva abbandonato l’università), a non sedersi più a tavola con noi e a chiudersi spesso in bagno dopo essere stata al telefono ore con l’amica conversando su problematiche legate al corpo. Solo uno stupido non poteva capire che stesse succedendo a mia figlia che nel tentativo di salvare l’amica stava entrando nel tunnel di questi disturbi. Con mio marito iniziano scontri molto forti. Mia figlia dall’esperienza di questa amicizia ne esce distrutta e nel pieno sintomo del disturbo. Inizia un percorso in una struttura della mia città che interrompe sul nascere, come spesso fanno queste ragazze, mi adopero per trovare psicologi e psicoterapeuti, ma la ragazza non intraprende nulla, abbandonando l’università dopo pochi mesi dall’iscrizione e dove anche qui si era morbosamente avvicinata a una ragazza che aveva il suo stesso disturbo. Qualsiasi percorso intraprende lo interrompe trovando mille scuse e intanto continua la frequentazione di amicizie e ambienti malsani con la piena approvazione del padre che diventa anche frequentatore delle sue amicizie. 44


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Mi accorgo anche che mia figlia si procura dei tagli agli arti e persino in viso, e questa è il suo modo di dirmi che non vuole affrontare più gli studi. allora aveva 19 anni e in questo stato di prostrazione psicologica profonda, abbandono di studi e vita insulsa conosce un ragazzo che intuisco avere gli stessi disturbi di mia figlia. Iniziano forti scontri in famiglia e soprattutto con mio marito che continua a minimizza questo stile di vita di nostra figlia. Dopo l’ennesimo mio rifiuto ad accettare quel ragazzo in casa mia va a vivere in casa del suo ragazzo. Mia figlia interrompe i rapporti con chiunque ostacoli la sua relazione e la sua condotta di vita, con atteggiamenti di collera anche verso amici di famiglia che cercano di farla ragionare. Oggi è in completo sintomo, si circonda di persone negative e attua comportamenti cattivi insieme al ragazzo. È importante capire cosa siano questi disturbi e come il cibo sia una droga e che la dipendenza è ancora più grave che per la droga perchè il cibo è reperibile ovunque e legale. Seppur momenti di dolore mi hanno accompagnata in questo cammino, mai mi sono abbattuta e mai mi sono rassegnata, ho continuato la mia vita lavorativa, ho coltivato le mie amicizie e i miei hobby, per natura sono sempre stata costruttiva e ancora di più lo sono stata nei momenti difficili della mia vita. L’uomo non è nato per farsi del male ma per sconfiggere il male e questa ora è la mia missione di mamma e di donna. Un’altra testimonianza di una mamma che si accorge del problema della figlia, che non chiude gli occhi, ma che davanti alla non collaborazione della figlia può fare ben poco. Questo dimostra che nessuno può salvare nessuno se non c’è disponibilità e convinzione a guarire... . A volte si portano le ragazze contro la loro volontà a farsi curare, generalmente non si risolve nulla perchè i pensieri rimarranno quelli, non esiste volontà del cambiamento e quindi anche la terapia può ben poco. Certo è importante il bravo e sensibile terapeuta, ma davanti al muro della patologia nulla può servire. Bisogna individuare la crepa che esiste in quel muro e lavorare lì...piano piano...come la goccia che consuma la pietra... .

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Daria Il mio ragazzo dice che io lo amo troppo...che lui mi ama ma non morirebbe per me...che mi ama un po’ e che ha bisogno di tempo (stiamo insieme da 7 mesi)...io mi chiedo: é possibile amare a metà? Per come sono fatta io no. Sarò anche eccessiva ma quando amo lo faccio con tutto il mio cuore anche se stento a dimostrarlo. adesso mi sento in colpa anche per i sentimenti che provo nei suoi confronti, mi sono chiusa a riccio e non so come comportarmi...per una volta che ero riuscita ad esternare la mia “fragilità” piangendo e dicendogli quanto mi manca visto che siamo lontani...perchè non riesco mai a comportarmi nella maniera corretta e alla fine non faccio altro che allontanare tutti? Il disturbo alimentare comporta molte sfaccettature che condizionano la nostra vita. Ovvio che quello più “visibile” è il rapporto con il cibo, ma una delle costole del DCA è la dipendenza affettiva. Si cerca sempre una stampella cui appoggiarsi, qualcuno da amare ma in maniera soffocante, o tutto o niente. Ci si convince che la nostra vita dipenda da quell’amore e ogni minima defaillance viene vissuta come un abbandono. Difficile che chi soffre di questa patologia riesca a portare avanti un rapporto di coppia. Prima bisogna saper camminare da soli e poi pensare di costruire qualcosa con l’altro e questo per chi è dentro il sintomo non viene accettato... .

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Donatella Scusate se occupo questo spazio...sentivo il bisogno di “parlare con mia madre..ma posso farlo solo qui...e sul mio diario...ma il mio diario non mi da risposte non mi offre punti di vista diversi dai miei...” Quando sono nata, mi hai sempre detto, non mi hai vista per diversi giorni, non hai potuto tenermi in braccio fin dal primo momento...perchè il cesareo era stato complicato...io non volevo saperne di uscire...così per la prima settimana sono passata dalle mani di un’infermiera ad un’altra...dalle braccia di un medico ad un altro...il mio primo imprinting non è stato con te. Ho passato gran parte della mia vita a pensare che se tra me e te non c’era un bel rapporto, era dovuto al fatto che fin da subito eravamo state divise. Ma tu mi hai anche sempre detto che non ero stata cercata...che ero stata un incidente di percorso, e che ero arrivata in un momento inopportuno. Ho imparato presto a sentirmi di troppo ,e tu non hai mai fatto niente per dimostrarmi il contrario, anzi, i tuoi atteggiamenti hanno sempre confermato le mie sensazioni. Non abbiamo mai passato del tempo insieme, non c’eri mai. Lasciavi che ad occuparsi di me ci fosse la nonna, il mio grande amore, che però ai miei 6 anni si è ammalata di alzhaimer e sono stata io a dovermi occupare di lei. E del mio fratellino. I pochi ricordi che ho della famiglia unita,sono quelli in cui papà aveva crisi di nervi e quello che succedeva lo sai, non sto a raccontarlo perchè neppure mi va di ricordarlo. Ho solo un paio di ricordi belli con lui che stava bene. Meglio di niente. Mio fratello ti piaceva di più, lo abbracciavi, ridevi con lui...io non ho mai capito fino in fondo che cosa ti avessi fatto di male. Eppure ti volevo così tanto. Penso che se oggi non riesco a versare più una lacrima, sia perchè le ho consumate tutte per te da piccola...perchè io ti cercavo continuamente, ma tu non c’eri mai. ricordo che a volte ero così tanto arrabbiata con te che speravo tu non tornassi più...poi quando l’orologio segnava le 22 e tu non eri ancora tornata, mi sentivo morire e iniziavo a piangere e vomitare perchè credevo di averti uccisa davvero col pensiero...ricordo anche 47


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che quando capitava che fossi tu a portarmi a scuola,io mi aggrappavo alle tue gambe e ai tuoi capelli e, disperata, ti imploravo di portarmi con te...sentivo che tu mi odiavi, ma non riuscivo a trovare un perchè...cercavo di essere sempre buona,sempre bella, sempre PErFETTa. Ma non bastava mai. C’era sempre qualcosa in me che non ti andava...nella mia mente di bambina cavalcavano mille mostri...credevo di esser brutta, di esser cattiva, di essere stupida...ma fuori tutti mi dicevano quanto fossi brava,quanto fossi bella e quanto fossi intelligente...allora perchè la mia mamma non mi vuole, mi dicevo?... Intanto il mostro si era già impossessato di me...Mi succedevano cose terribili, ma tu non c’eri mai a difendermi...mai. Così crescendo ho iniziato ad odiarti...e sono diventata cattiva con te,non ti volevo più,dicevo che non eri la mia mamma...e cercavo una mamma che si prendesse cura di me...e che avevo trovato nella mia maestra. È qui che tu hai iniziato visibilmente ad odiarmi...ed è così che io ho iniziato visibilmente a sparire...ma che stavo male se ne accorgevano tutti,eccetto tu... . È iniziato presto il mio sbando,di cose brutte ne ho passate tante...e spesso ho creduto di non farcela..perchè ero sola. una volta piangendo ho implorato aiuto a te e a papà...ma il vostro aiuto è stato quello di mettermi a tavola ed obbligarmi a mangiare tutto ciò che avevi messo sul tavolo...e se mi fermavo, se piangevo, o se supplicavo di farmi alzare erano cintolate... .a crescere, bene o male, ce l’ho fatta lo stesso...certo, sempre con la sensazione di non farcela mai, di essere sull’orlo di un precipizio...sempre con la sensazione di dover togliere il disturbo. E ci ho pure provato. In diversi modi...ma non sono mai arrivata fino in fondo...Sono andata presto via di casa,questo si...ho vissuto un po’ qui, un po’ la...e non ho mai ricevuto una tua telefonata,nonostante fossi ancora minorenne...mai un “come stai?”... . Ho vissuto come un automa per anni...allo sbando per anni...fino al giorno in cui sembrava esser finalmente arrivato il sole anche nella mia vita:ero incinta. Mi sentivo felice. Non mi importava se ero sola,egoisticamente non mi importava neppure che quella creatura non avrebbe avuto un padre...mi dicevo che l’avrei amata così tanto 48


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da ricoprire entrambi i ruoli...ero ancora piccola...ed ero felice, così mi sentivo “onnipotente” perchè non avevo mai provato una gioia così grande...fantasticavo, sognavo...immaginavo me e la mia bambina...non la conoscevo ancora eppure l’amavo così tanto...non la conoscevo ancora eppure era già tutta la mia vita...ma quella gioia è durata troppo poco...il cielo se l’è ripresa troppo presto, ancora prima di farmela abbracciare e di farmi vedere il suo volto...e il dolore, MaMMa, è stato così tanto che io ho creduto di morire. Io volevo morire...insieme a lei...io ho provato un amore talmente grande per lei, senza neppure averla mai tenuta tra le braccia...che ho iniziato ancora di più a chiedermi come facevi a non avermi mai amata tu. anche lì, ero sola. Nessuno con cui condividere il mio dolore. Emozioni e dolore ingoiato a forza, e mai digerito... . Oggi sono una donna...anche se certi aspetti di me non sono cambiati col tempo...oggi ti osservo da donna...e sono riuscita a provare tenerezza e pena per te in questi ultimi anni...ero riuscita ad accettarti, a rassegnarmi... . Fino ad oggi, quando ho scoperto quella cosa io non ci ho visto più...e l’odio sopito che avevo messo da parte...è uscito di nuovo prepotente...non so come tu abbia potuto fare una cosa del genere, non so come faccia a non importarti così niente di me...non hai paura di perdermi tu... . Non saprei descriverti quello che ho dentro, perchè sono molto lontana dalle mie emozioni...spesso non so riconoscerle,spesso le confondo, spesso le nascondo...e talvolta, come oggi, ne vengo invasa...così se mi tenevo tutto dentro so che sarei scoppiata definitivamente...non scrivo queste cose perchè voglio farti passar male...non è mio intento ferirti...è solo uno sfogo, il MIO, una volta ogni tanto...concedilo anche a me... Vorrei che qui dentro finisse tutto il mio dolore...vorrei non averne più dentro di me,vorrei ricominciare da subito...ma so per certo che non sarà così...però avevo bisogno di parlarti...e di dirti che, anche se tu mi odi, per me non è così. Certo, c’è tanta rabbia..e ci sono tante cose che non capirò mai...non capirò mai perchè non mi hai voluta...non capirò mai che cosa io non sia riuscita a fare per renderti felice... . 49


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Quando ti osservo oggi, le pochissime volte in cui ti vedo, provo sentimenti contrastanti...vorrei odiarti con tutta me stessa mamma...ma non ci riesco...e so che continuerò ancora ad aspettare un tuo sorriso, un tuo abbraccio, una tua carezza, un tuo “brava!”...e se non arriveranno mai,spero che il Cielo mi conceda presto il dono di avere un figlio, senza portarmelo via, di crescerlo con amore...e di dare e dire a lei/lui tutto quello che avrei voluto avere da te...se invece questo non sta nei progetti del buon Dio per me, spero che mi dia almeno la forza di perdonarti...e di accettarti per quello che sei...e di accettarmi per quella che sono...senza sentire più questo vuoto opprimente, questa mancanza di affetto che mi divora...spero mi dia la forza di credere che io saprò essere diversa da te, da voi...che saprò dimenticare...anche tutti i mostri dai quali non hai saputo, o voluto, proteggermi...IO, ti voglio bene comunque...MaMMa. Vuoto incolmabile...ricerca continua di quello che potrebbe saziare la fame che non passa mai. Una fame che si crede di poter far tacere con il cibo , ma che invece diventa sempre più grande e straziante... . Ricerca continua di vedere un cambiamento in coloro che amiamo (...so che continuerò ad aspettare un tuo sorriso...), incapacità a comprendere che solo staccandoci da tutto questo ci può essere la possibilità di una vita libera da quel dolore, che solo lasciando il passato lì dove è si può camminare avanti... .

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Ele Sono arrabbiata, stanca, sfinita... non ce la faccio...provo ad essere positiva, a cercare il buono, a gioire delle piccole cose e poi? nulla...basta un nulla e la bolla esplode...penso agli esami, mi dico “ora studio, faccio le cose come si deve” e poi non muovo un muscolo, me ne sto ferma a non far nulla...passo gli esami e il voto non è mai abbastanza... perché devo mantenere una certa media, perché non posso deludere le aspettative di nessuno...cerco di non farmi problemi col cibo e con la bilancia e poi all’improvviso non ce la faccio più a sopportare un corpo che torna ad un peso “normale”...vedo le analisi del sangue perfette e mi arrabbio con questo corpo stupido che, indipendentemente da come mi sento, sta sempre alla grande...e meglio sta lui, peggio sto io perché significa che nemmeno io stessa sono in grado di rendere visibile in qualche modo questo dolore schifoso che mi porto dentro...non ce la faccio più...ho smesso di sognare, ho smesso di desiderare...non voglio più studiare, non voglio laurearmi, non voglio un lavoro, non voglio uno stramaledetto futuro, non voglio una vita...l’unico desiderio che avevo era quello di avere una famiglia, un giorno, ma che madre potrei mai essere e in che razza di mondo metterei un bambino? nulla ha più un senso...sento che sto scivolando in un baratro e che non voglio venirne fuori...sono esausta. Il corpo usato come mezzo di richiamo, per far capire agli altri quanto dolore c’è dentro. Non si accetta di star bene, di avere un corpo che funziona normalmente perchè così gli altri non vedono che stiamo male...questi i ragionamenti “malati” di chi è dentro un disturbo alimentare. “Se non sono visibile così con questo corpo che dimostra un malessere, se guarisco nessuno mi vedrà più”... .

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Francesca Ciò che credevi di essere, quella che credevi essere la tua identità, altro non era che un abito di gesso e cemento...una prigione costruita su misura per il tuo gracile corpo; un sostegno che gli impediva di corrompersi a contatto col mondo e che, al contempo, lo condannava ad una lenta e progressiva atrofia... . Quanto dolgono ora i muscoli, privati del loro alveo incancrenito e fossilizzato...quanto sembrano rimpiangere quella snaturante e soffocante calcificazione...muovere un solo passo ti appare ora faticoso e frustrante...nudo di fronte a un mondo erto ed impervio; non conosci il tuo nome, non riconosceresti più il tuo volto se incontrassi sul tuo cammino uno specchio...chi sei? Dove vai? Cos’è che cerchi? Non hai risposte...senti però un tremito nuovo all’interno della carcassa del tuo torace, un tremito che si modula a suo piacimento a seconda della fatica, del riposo...a seconda di qualcosa che sembrerebbe chiamarsi “emozione”... . È questo tutto ciò che sai di te, è questo ciò che sarai da oggi in poi: un cuore che pulsa...e che in un idioma a te ancora ignoto saprà suggerirti una rotta, ma mai una meta.

Michela ...io scrivevo pagine convulse prima di farlo e dopo averlo fatto, anche io ero cosciente ed ero anche ossessionata direi da un rituale che è vero mi sfiniva ma mi permetteva anche poi di respirare un pò di quiete, di pace...e che non riuscivo diversamente a trovare...è una cosa stranissima: ci stai male ma non puoi farne a meno, o così ti sembra in quei momenti lì...io ero terrorizzata addirittura dal mio analizzarmi nel mio diario in una maniera fredda e razionale, parlavo di me come se stessi parlando di qualcun altro eppure ero sempre io...però...è un modo anche per fuggire da un disagio che avverti dentro e che io non volevo ascoltare, è più facile aggrapparsi a ciò che conosci già, anche se ti fa stare male che iniziare a vedere le cose diversamente, a viverle 52


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diversamente...fino a quando, davvero stanca, forse anche più stanca e sfinita del solito, mi son detta che avevo davvero toccato il fondo e che se usavo tutte le energie per farmi tanto male, perchè non dovevo esserne capace per iniziare a volermi bene? Beh, con l’ultimo spiraglio di luce e di forza che avevo dentro ho detto “NO”, perchè fuggire, perchè annullarmi? Ho detto al mio male “io da qui non mi schiodo!” L’ho affrontato a piccoli passi, cadendo a volte, ma tenendo presente sempre in testa cosa volevo da me! Prendendo uno scivolone per quello che è, non come prima che vedevo bianco o nero...così uno scivolone non era la distruzione di tutto il mio percorso, ero solo inciampata...la malattia ti fa vedere tutto brutto, ma se fuori c’è una giornata di sole, tante giornate di sole, una vita serena...perchè rinunciarvi? La bellezza e la gioia nel leggere una rinascita...

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Francesca S. Ho parlato spesso di come stavo io nel periodo in cui la bulimia aveva il sopravvento, ma ultimamente mi sono fermata a riflettere, trovandomi in una “posizione” diversa, in merito a cosa prova chi vive accanto a chi soffre di disordini alimentari. Se penso alla persona che ero, mi visualizzo come un tornado che passa e fa crollare le persone. Questa è l’immagine che ho di me allora. Mi lamentavo spesso (mi lamentavo tanto!) di non essere compresa, ma ero io la prima a non capire che anche i miei amici, i miei genitori o parenti, avevano altri problemi (non ruotava tutto attorno a me!) e soprattutto non avevano i mezzi per aiutarmi. E se li avevano non davo possibilità, comunque, mai. Ora che spesso sono io a tendere una mano a chi sta male, capisco quanta dannata fatica si faccia per aprire anche un solo, minimo, impercettibile spiraglio di luce, quando tutto è malattia e dolore. TuTTI i disturbi ossessivo compulsivi rinchiudono chi ne soffre in una campana di vetro in cui non si sentono i rumori che provengono da fuori, in cui rimbalzano, sì, il dolore e la rabbia, ma anche l’amore, la gioia, la vita...ogni emozione resta all’esterno...e gli altri diventano spettatori di un massacro. Io ho coinvolto e travolto tanti attimi di vita...divelto speranze, arginato passioni. Spento sentimenti. È vero, ho trovato anche ignoranza e insensibilità, ma le persone a cui tenevo davvero, si sono trovate disarmate mentre io tenevo bombe a mano in ogni tasca del mio ego dolorante, pronta a difendermi. un’immagine evocativa ma significativa della mia vita è della mia gatta più anziana, Pimpi. Quando io ho smesso di abbuffarmi e vomitare, ha smesso di rigettare anche lei. È cresciuta con me, nella mia solitudine, quasi in simbiosi. Vomitava spessissimo. Se un gatto, un animale, ha risentito così tanto dei miei comportamenti da malata...quanto possono aver sofferto le persone intorno a me? Questo non è un “mea culpa”, non ho cercato la malattia. Nessuno di voi l’ha fatto. Però vuole essere un modo per far capire a chi ci vive ancora dentro, che la malattia è talmente vorace da nutrirsi anche degli altri oltre che di voi. 54


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Nessuno ha scelto di ammalarsi, ma possiamo, SEMPrE, scegliere di lasciarci aiutare...e guarire. “La malattia è talmente vorace da nutrirsi anche degli altri”: proprio così... . È estremamente difficile stare accanto a chi soffre di questa patologia. Troppo spesso viene sottovalutata la forza distruttiva del DCA e famiglie intere soccombono: matrimoni che finiscono, madri e padri che non sanno più a chi rivolgersi. Una cosa che dico sempre alle mamme con cui parlo è di farsi aiutare anche loro, di trovare il modo di ritagliarsi degli spazi per poter ricaricarsi e poi continuare a lottare. Quando si passa nel tunnel del disturbo alimentare alla fine se ne viene fuori sempre diversi da come eravamo prima. Per chi, come me e la mia famiglia, se ne esce vittoriosi posso dire che il cambiamento è sano e positivo, perchè le dinamiche che prima potevano essere inconsapevolmente negative adesso essendo state riconosciute non esistono più. Per chi non riesce a vincere la malattia perchè non riesce a seguire una giusta terapia con determinazione e costanza il cambiamento è nel vivere in un incubo ogni giorno che la vita propone... .

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Giovanna Mi chiamo giovanna. Sarebbe impossibile indicare un momento specifico in cui ho iniziato a stare male. Sono nata in un periodo difficile per la mia famiglia e fin da piccola sentivo che c’era qualcosa nel clima attorno a me che non andava bene, perciò, comprendo oggi a posteriori, che senza rendermene conto mi prefissai l’obiettivo di cercare di dare meno disturbo possibile, o meglio che sarei dovuta riuscire a rendere io felice la mia famiglia. Mi sentivo come in debito nei confronti dei miei genitori; volevo che fossero orgogliosi di me,specialmente mio padre che avevo molto idealizzato. Da che ricordo mi sono sempre sentita sola, di troppo e inopportuna in ogni situazione. alla luce della consapevolezza raggiunta oggi, ricordo la mia vita come una progressione di dipendenze. La prima, senza dubbio più grande, da mia madre, ci vedeva legate reciprocamente in modo simbiotico, solo con lei mi sentivo al sicuro, protetta dal mondo. Quando lei era assente o si allontanava avevo delle forti crisi isteriche di pianto; con le mie scenate suscitavo anche le prese in giro di tutti i miei compagni e nel giro di poco tempo diventai vittima di atti di bullismo. Ero alle elementari ma avrei già voluto abbandonare la scuola. Mi mancava l’aria senza mia mamma e lei stessa mi ripeteva che io ero la sua vita. avevo il continuo terrore di perderla. Nelle poche e rare amicizie che riuscivo ad instaurare cercavo di ricreare questo tipo di rapporto simbiotico, ed ero talmente morbosa da portare l’altro inevitabilmente ad allontanarsi. a undici anni è arrivato quello che ricordo di aver vissuto come la più grande disgrazia della mia vita: il ciclo mestruale. Stavo crescendo ma non mi sentivo ancora pronta. all’aumentare del seno crescevano anche le preoccupazioni di mia madre, e di conseguenza mia, sul rischio di attrarre uomini e poter essere in qualche modo in pericolo; venivo educata a dover portare con me le bombolette anti stupro per evitare che a causa delle mie nuove forme da donna qualcuno potesse violentarmi. In casa c’era l’esplicita richiesta di evitare i ragazzi almeno fino ai 18 anni. 56


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I suoi erano timori ansiosi e anche per questo ho interiorizzato il rapporto uomo-donna in modo assolutamente distorto e pericoloso, non come qualcosa di naturale bensì come qualcosa da evitare e cancellare. all’interno della mia famiglia io avvertivo varie mancanze e per sopperire ad esse diventai la figlia modello che tanto avevano atteso: a scuola avevo voti altissimi, suonavo due strumenti musicali e facevo tre attività sportive contemporaneamente. Tutto per essere la numero uno, ma mai per essere me stessa. a 14 anni scelgo di andare al Liceo Classico,scuola che aveva fatto anche la mia mamma e di cui sempre sentivo parlare come “la scuola dei migliori” e Io DOVEVO essere tra quei migliori. Sapevo da sempre che mia mamma aveva tenuto i suoi vocabolari di greco e latino perché era certa che anche sua figlia li avrebbe usati. Ho sempre fatto di tutto per soddisfare delle aspettative, sia quelle palesemente richieste dai miei genitori, sia quelle che io ho avvertito come tali. Durante il periodo delle superiori iniziai a chiudermi sempre di più e ad essere preda di una crescente depressione. Cominciai a non frequentare più nessuna amica, eccetto ovviamente mia mamma. Non riuscivo a fidarmi di nessun altro. Provavo interesse verso i ragazzi ma era subito repressa da forti fobie, e il fatto stesso di provare quel naturale interesse lo proiettavo sulla mia immagine allo specchio, che mi appariva volgare. avevo paura di essere desiderata, mi faceva schifo, e avevo terrore del mio di desiderio, che vivevo con vergogna temendo che dall’esterno si potesse vedere. Continuavo a sentirmi insoddisfatta, imprigionata dalla vita stessa e vittima di ogni mio desiderio. E non c’è cosa più brutta che soffrire dentro e non sapere perché. O meglio, per me una cosa più grave c’era all’epoca: nessuno mi ascoltava e nessuno mi credeva. Nessuno credeva che soffrivo dentro. Iniziai a concentrare tutte le mie attenzioni sul cibo che era ormai la mia unica fonte di piacere consentita. Speravo che dimagrendo e cancellando il corpo, con esso sarebbero venuti meno anche i suoi desideri. Tutte quelle attenzioni sul corpo e sullo specchio aumentarono velocemente, facevo infinite passeggiate dopo 57


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la scuola anziché andare a casa a pranzo e continuavo a restringere sempre più l’alimentazione. avevo 14 anni e mi sentivo forte, euforica, onnipotente. un mostro si era ormai impossessato della mia mente,un mostro che covava già da anni nella mia anima: l’aNOrESSIa. Diventai una assidua frequentatrice dei blog pro-ana, cioè pro-anoressia, su cui trovavo consigli per digiunare. restavo ore davanti allo schermo, aggiungendo all’anoressia ormai conclamata anche una dipendenza da internet, che creava crisi d’astinenza quando non riuscivo a connettermi al mio mondo virtuale. Perdevo peso a vista d’occhio e passavo ogni ora sulla bilancia. Molti ricordano il periodo anoressico, di restrizione alimentare come uno dei più “belli” della malattia; io, escludendo il primo momento di euforia lo ricordo oggi come un incubo. Infatti tutto il controllo che credevo di avere era solo un illusione,perché in realtà era qualcosa più forte di me a controllarmi anche se non sono passata al binge o alla bulimia. Non ero libera. avevo spesso collassi e ogni giorno facevo delle flebo in casa. avevo crisi di nervi con chiunque si mettesse tra me e la malattia e i conflitti tra me e la mia mamma si fecero molto violenti tanto da arrivare a metterle le mani addosso. Con l’anoressia poco dopo è iniziato anche il cutter. Mi provocavo tagli per sfogare la mia rabbia, tutto l’odio che provavo verso me e il mio corpo...dovevo dimostrare attraverso le cicatrici che STaVO MaLE, esattamente un’altra funzione che doveva avere anche il mio corpo anoressico. Tutto pur di distruggermi. Non me ne importava più di niente, aspettavo solo di morire. Non me ne importava nemmeno più di dimagrire. giorno dopo giorno mi sono ritrovata dentro un vortice, una prigione che mi ha portata a pesare 26 kg a 15 anni e a mangiare 4 gamberetti al giorno. E continuavo a vedermi enorme. Enorme come il mio dolore. Stavo in casa perché tremavo continuamente dal freddo, attaccata al termosifone con lo sguardo spento, privo di speranze e voglia di vivere. Non riuscivo a fare le scale, spesso dovevano prendermi in braccio perché non avevo più muscoli nelle gambe. La mia famiglia era distrutta e io non ne potevo più di stare così male. 58


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Dopo mesi di digiuno e con un peso di una bambina di 7 anni il medico mi diede l’aut- aut: o ti fai ricoverare o ti facciamo ricoverare noi. Sentivo dire che ero a rischio di vita, ma io non me ne rendevo conto. Mi rifiutavo di seguire quella strada, non la vedevo come una soluzione al mio infinito dolore. Però io volevo capire, comprendere perché da anni mi odiavo così tanto. Pur di evitarmi il ricovero mi sono messa a cercare disperatamente su internet...e lo strumento che fino a mesi prima utilizzavo per distruggermi con i siti pro ana, mi ha salvata. Trovai il sito del centro dove poco dopo mi sono recata. ricordo quel 6 Marzo a frammenti a causa della scarsa lucidità...ma quel poco che ricordo penso non me lo scorderò mai. Penso sia impossibile dimenticare il giorno che ti cambia l’esistenza. una frase riuscì ad entrarmi dentro “...Provaci ad affidarti, cosa hai da perdere? a tornare indietro farai sempre in tempo”. Decisi di provare, ci demmo una settimana di tempo. Se fossi riuscita subito a seguire alla lettera tutto quello che mi si diceva, soprattutto dal punto di vista alimentare,sarei potuta restare a curarmi, altrimenti dato il mio fisico gravemente debilitato, sarei dovuta essere immediatamente ricoverata perché i rischi erano troppi. Paura? tanta,troppa di ogni cosa. Ero terrorizzata all’idea di buttarmi e di abbandonare il mio sintomo. Ormai lo sentivo parte della mia identità,e mi sentivo niente senza. Ero spaventata all’idea di staccarmi dalla mia casa e dalla famiglia d’origine, e, soprattutto dalla mia mamma. Ero terrorizzata all’idea di andare ad abitare da sola come una donna universitaria, anche se ero insieme ad altre ragazze. In fondo, avevo pur sempre 15 anni. Ma la disperazione porta a fare cose straordinarie e ha dimostrato a me stessa quanto in realtà volessi vivere . Il 19 marzo 2008 ho iniziato il mio percorso di cura. Mi sono affidata e oggi sono qui, a raccontare la mia storia. Oggi continuo con umiltà a mettermi in gioco tutte le volte che è necessario per raggiungere uno stato di benessere completo, in tutte le sfere. ad oggi riesco a dare un nome alle sofferenze che mi hanno attanagliato per anni senza più scaraventarle contro me stessa ed il mio corpo. 59


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Mi sono appena diplomata al liceo pedagogico, cambiando quindi scuola con l’indirizzo di studi che in realtà volevo scegliere io. Ora ho un rapporto sano con i miei genitori che adoro e che non finirò mai di ringraziare per come mi hanno aiutata durante questo percorso, non per dimenticare ma per costruire dal nostro passato un rapporto sano e maturo. Mi piacerebbe condividere la vita che mi sono conquistata con un compagno un giorno, cosa per me prima del tutto inconcepibile, ed essere libera di amarlo, ma soprattutto libera dai condizionamenti del passato. Perché ora so che è possibile lavorare sulla sofferenza, accogliere tutte le emozioni che provo senza avere la pretesa di gestirle e fuggirle con anestesie varie. Non c’è giorno che ho passato che non rivivrei per essere quella che sono oggi.

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Rapporto simbiotico...quante volte si sente parlare di questo dalle ragazze...quante volte noi genitori pensiamo che sentici uniti ai nostri figli sia una splendida cosa! Ed in effetti è così, purchè quest’unione non diventi qualcosa che impedisca ai nostri figli di avere una visione personale della vita, purchè non inibisca la loro strada verso quello che davvero è la loro natura. Anche io quando mi sono resa conto che quella unione conteneva qualcosa che non faceva bene alle mie figlie mi sono detta “Eppure le amo tanto, eppure faccio il possibile...”. Non è facile ammettere che quello che facciamo pur nell’ottica dell’amore assoluto può non andare bene. Eppure solo osservando tutto questo e cercando di modificare alcuni pensieri ed atteggiamenti possiamo davvero creare una unione sana.

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Chiara Voglio dire una cosa...non si guarisce grazie a un miracolo, si guarisce grazie all’aiuto di chi ti può indicare una strada diversa da quella che stai percorrendo...è difficile certo perchè non si pensa che mangiare significa anche riuscire nuovamente ad assaporare la vita...ma un corpo che sta male, contiene una mente che sta male...non c’è scusa che tenga...un affamato non può essere felice, è una equazione perfetta...a volte serve un ricovero se la situazione persiste da tempo e non si riesce a scardinare i meccanismi,altre può già aiutare la terapia ambulatoriale ma ciò che è fondamentale è voler provare a cambiare facendo passi concreti...non aspettate domani per mangiare, per sorridere, per trattarvi bene...se rimandate non volete in fondo guarire,non raccontiamocela...ma vivere è possibile...spero di vivere veramente meglio! Buon viaggio Ecco come si ricomincia a vivere, come finalmente la terapia ha fatto aprire nuove visioni di vita. Quando si esce da un disturbo alimentare si diventa davvero forti e in grado di poter affrontare i problemi inevitabili che l’esistenza ci prospetta! Non si guarisce grazie ad un miracolo. Mai. Ma solo dopo un lungo cammino che non può essere fatto senza l’aiuto di esperti.

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Lara Ho imparato con gli anni a fingere così bene che ora fatico e non capisco più cosa e dove sono io... . Esco rido scherzo torno a casa sempre incazzata e non ho voglia di nessuno...ho perso il contatto di me e non mi ricordo come guardarmi allo specchio per quello che si è... Dovrei buttare quella bilancia che regola le mie giornate dovrei rompere gli specchi per non vedere quello che mi sto facendo e dovrei tagliarmi le mani ogni volta che cercando sicurezza cerco ossa... .Io sono ben cosciente di quello che dovrei fare di quello che sta capitando ma non voglio succeda ancora e mi dico che stavolta sarò sicuramente più forte di prima.

La maschera. Chi sta dentro questa patologia riesce per molto tempo a nascondere quello che sta vivendo. Finge sempre ed ovunque e trova scuse per ogni cosa non riesca ad affrontare. Una vita vissuta per ubbidire alle regole malate e con la necessità impellente di non scardinare mai gli schemi costruiti. Quindi si mente...sempre o quasi e questo poi porta a sentirsi in colpa e ad aumentare ancor di più il problema, perchè più si sente questo più si ricorre al sintomo per sedare il dolore...una vita insopportabile e che spesso porta a conseguenze irreparabili.

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Lia Spesso si definiscono i disturbi alimentari come un problema strettamente correlato con la mancanza di amore. Si pensa subito alla ragazzina lasciata a se stessa con un padre assente e una madre autoritaria e severa che non ha mai abbracciato e coccolato la figlia. Ecco, con la mia storia vorrei smentire questa generalizzazione. anoressia nel mio caso è stata la prigione in cui mi sono chiusa per il troppo amore da parte di entrambi i miei genitori. un amore vero e sincero ma totalizzante e chiuso che mi ha impedito di spiccare il mio volo, anzi, non mi ha proprio insegnato a volare! Mi ha portato a vedere come cattivo e pericoloso qualunque cosa estranea alla mia famiglia. Il mio mondo di 17enne, 18enne finiva dove finivano le mura di casa! Non c’è mai stato spazio per la ribellione ma solo per enormi sensi di colpa da cui, ancora oggi non riesco a liberarmi del tutto e che mi tornano indietro come boomerang ogni volta che provo a spiegare un po’ le ali. all’inizio la mia fu quasi una scelta di ammalarmi; sono sempre stata molto lucida e consapevole ma l’attenzione e la preoccupazione che stava nascendo verso la mia figura sempre più sottile, la nuova idea di me che stava nascendo che non era più quello della ragazza/figlia/studentessa ideale e serena, mi faceva stare incredibilmente bene ed era la mia droga quotidiana che mi permetteva di affrontare brillantemente la scuola e...i morsi della fame che, anzi, mi facevano sentire quasi invincibile. Poi, quando meno me lo sarei aspettata, è arrivata la doccia fredda per non dire gelida: la coscienza di trovarmi in una situazione più grande di me: l’incapacità di gestirla, le discussioni logoranti a casa, i pianti, il dolore sempre più lancinante che sentivo dentro di me e soprattutto, per la prima volta, la lucida percezione che quest’ultimo non lo avrei attenuato con lo sciopero della fame, con l’esibizione del corpo-scheletro ma solo rimboccandomi le maniche, mettendomi davvero in gioco, combattendo i miei demoni e diventando per la prima volta protagonista della mia vita. 64


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Da quel momento non è stata certo una passeggiata; sono passata attraverso un lungo ricovero, un day hospital, tantissima psicoterapia e una lotta quasi quotidiana contro la parte buia di me; quella che mi ha fatto più volte ricadere, quella che non accetta la propria femminilità, che non si perdona nessuna imperfezione, che continua a ricercare la sicurezza che non ha in un improponibile corpo etereo. Ma adesso COMBaTTO, VIVO, e ho scelto di ESSErCI... . Per moltissimi anni la famiglia è stata reputata la responsabile unica dell'insorgere del disturbo alimentare. Nessuno nega che la famiglia abbia le sue responsabilità e che le nostre radici ci condizioneranno sempre. Nessuno nega che la famiglia deve vedere e prendersi le proprie responsabilità e che deve essere parte attiva nel percorso verso la guarigione dei figli, ma non è l’unica responsabile di questo problema. Nella crescita dei ragazzi ci si viene a scontrare con una società schizofrenica, in cui tutto è imposto se vuoi far parte del “gruppo”: deve avere certe misure, devi avere un certo aspetto, devi possedere certi oggetti all'ultima moda e devi frequentare certi ambienti. Tutto questo in persone che non sono centrate e che sono fragili emotivamente può essere un motivo per ricorrere ad una dipendenza per non sentire né vedere più... .

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Luna Non riesco a dormire. Vorrei gridare...diciamo che quando chiudo gli occhi sento una voce che grida e stasera grida più del solito....con più violenza. allora penso... . Penso alla mamma, penso a me, penso a cosa mi sono sempre persa.. Vorrei che qualcuno mi baciasse, vorrei essere amata e poi penso che non potrei reggere tutto e non so da che parte stare e mi viene l’ansia e penso che non ha senso....sono in panico più totale e sono sola... . adesso, ora. E voglio urlare e voglio piangere e voglio allontanarmi da questo corpo. Vorrei non essere mai nata perché non penso di riuscire ad affrontare cosi questa vita...che è bella e lo so e non vorrei mai farmi troppo male solo che vorrei non esistere,non essere mai esistita cosi da non dovermi porre il problema. Vita o incubo? Dolore...paura...rabbia repressa...desiderio di amore. Tante emozioni contrastanti e che alla fine tutte vengono rifiutate. E quel non riuscire a vivere le emozioni crea confusione totale, una vita dentro una bolla: si vede la vita fuori, la si desidera, ma non si riesce a vincere la paura di far scoppiare quella barriera che separa da tutto questo. Così tanta paura da desiderare di cancellare se stessi insieme a tutti i pensieri che affollano la mente... .

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Miù Sono una ragazza di quasi 18 anni. Il mio disturbo alimentare è iniziato all’incirca quattro anni fa. Fin da piccola sono stata una bambina “in carne”, “cicciottella”, così mi definiva la mia famiglia. L’ho sempre presa come uno scherzo fino a quando iniziarono i primi confronti e paragoni con mia sorella e le mie cugine che sono sempre state molto magre. Nessuno mi considerava se non per farmi delle osservazioni sul mio aspetto fisico e allora cominciai a mangiare non più per il piacere di farlo, ma per essere considerata. a 14 anni tutto cambia, il mondo delle superiori, i confronti con l’altro sesso e anche con le altre ragazze mi facevano sentire a disagio, le osservazioni da parte della mia famiglia non facevano che peggiorare il mio stato d’animo. C’era qualcosa dentro di me che si stava ribellando a tutto quello che mi circondava, in famiglia non mi sentivo più a mio agio, volevo scappare da tutta quella sofferenza da quelle pratiche malsane, sono sempre stata timida abituata a tenere le cose dentro, accumulavo, accumulavo e accumulavo...così senza accorgermene iniziai semplicemente con una dieta “fai-da-te”. Mia madre mi assecondava in questa mia decisione cominciai ad avere i primi sintomi dell’anoressia, ma da principio non pensavo che la situazione potesse arrivare a questo punto. un giorno mi sentii male e mia madre dopo aver strappato la dieta sotto i miei occhi capii che non era più dalla mia parte: adesso ero sola. Nel frattempo stavo passando un periodo molto difficile con la scuola, primo anno di superiori, rendersi conto di aver fatto una scelta sbagliata e prendere nuovamente una decisione. Così cambiai scuola e riuscii ad entrare nell’anno successivo senza perdere quello già concluso. Ero davvero soddisfatta di me stessa, per la prima volta avevo scelto io e ce l’avevo fatta con le mie forze! Iniziò così una specie di nuova vita, compagne nuove, professori nuovi, insomma dovevo assolutamente dare tutta me stessa per dimostrare che valevo qualcosa. Cominciai ad entrare purtroppo in un meccanismo distorto perché vivevo solo per la scuola e lo studio, dovevo dare il massimo e così è 67


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stato. La scuola per me rappresentava una prova continua, un dovere. Dovevo sempre essere brava e perfetta, un dovere verso me stessa che mi imponevo, dovevo dimostrare agli altri che valevo qualcosa, soprattutto ai miei genitori... .Con il passare del tempo mi allontanai sempre di più dalle amicizie, mi rinchiusi in casa sempre e solo per studiare e si fecero sentire i sintomi della malattia. Cominciai di nuovo a ridurre il cibo, buttavo la merenda, dicevo a mia madre di aver mangiato a scuola per arrivare a sera con lo stomaco vuoto e davanti ai miei genitori facevo vedere che mangiavo qualcosa così che non si accorgessero di niente. Dopo qualche tempo incominciai a sentirmi diversa, a scuola ero sempre distratta, le ore di studio erano diventate il doppio a causa della difficoltà a concentrarmi, questo mi mandò ancora più in crisi. Dopo vari svenimenti e la preoccupazione dei professori, iniziai ad aprirmi e loro mi indirizzarono in un centro per disturbi alimentari. andai in questo centro e mi presero in carico. Non penso che allora ero consapevole del reale problema, decisi di farmi seguire più per accontentare gli altri, per non farli preoccupare. Naturalmente i miei genitori vennero a conoscenza del problema e cominciarono a controllarmi maggiormente. Da lì iniziò il periodo più brutto. La bulimia. Dovevo in qualche modo eliminare quello che mangiavo e poi c’era il problema dello studio: non potevo permettermi di dimagrire troppo, quindi entrai nel meccanismo delle abbuffate... . Nel mio voler essere prima in tutto non mi rendevo conto che nello stesso tempo stavo cadendo sempre più in basso, sempre più giù nel buio. La bulimia gridava per me, io non ne ero capace. Quando iniziai a rendermi conto che tutto intorno a me stava precipitando iniziai a prendere coscienza su ciò che mi stava succedendo. Il periodo più buio forse mi ha portata per la prima volta ad accendere una luce su di me, a capirmi davvero. Ciò che oggi mi porta ad essere ancora qui è la mia consapevolezza verso la malattia. Ma il volere continuare a star male? Io dovevo far vedere a tutti che stavo male. urlare il mio dolore attraverso il mio corpo era, credo, l’unico modo. Volevo essere invisibile, scomparire, ma anche urlare al mondo la mia sofferenza. 68


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Io avevo tutto ma in realtà non avevo niente. Tutti mi dicevano che avevo quel tutto, che ero bravissima a scuola, la prima della classe, una bella ragazza con potenzialità, ma in realtà io non avevo bisogno di quel tipo di soddisfazioni. avevo bisogno di attenzioni, di amore. Volevo essere amata non per quello che facevo, ma per quello che ero, con i miei difetti, le mie paure, le mie insicurezze, ed ecco che qualcosa si ribellava in me. Se fossi stata meno brava, mi avrebbero anche amata di meno? avevo paura che diversamente non mi avrebbero accettata. Fin da piccola mi sono sempre arrangiata, crescevo nel silenzio e nei sensi di colpa e questo mi ha portata a stare male. Con il tempo ho deciso da sola di chiedere aiuto, ma un vero aiuto questa volta. Durante questo cammino ho incontrato persone stupende che mi hanno aiutata ad arrivare a dove sono adesso. a breve inizierò un percorso residenziale, e nonostante io sono convinta che è la scelta migliore che io abbia fatto fino ad ora, ho momenti in cui ci ripenso, la paura è tanta. So che è la parte malata che vuole farmi tirare indietro ma cerco di non dare spazio a questi pensieri. Sono sicura e soprattutto fiduciosa che questo percorso mi aiuterà, forse non guarirò del tutto ma è un primo passo verso la guarigione, le cadute ci sono sempre, l’importante è sapersi rialzare.. chi è dentro questa malattia la cosa che deve fare è affidarsi, con i se e i ma che ci sono sempre e sempre ci saranno perché il percorso è lungo e tortuoso ma sono sicura che una via d’uscita c’è, basta volerlo davvero.

Fiona ...non voglio parlare di peso, misure e taglie...anche se all’inizio sembrerà così... . Negli ultimi due anni mi sono sempre categoricamente rifiutata di comprare dei pantaloni perchè non riuscivo ad accettare l'idea di doverli comprare di quella taglia (...). Continuavo a dirmi “farò shopping quando dimagrirò, quando tornerò magra, quando tornerò della mia taglia”. rifiutavo il mio corpo e non credevo di meritare nulla, nemmeno un pantalone nuovo, perchè grassa, almeno ai miei 69


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occhi. Negli ultimi mesi, diciamo dall’inizio del 2012, ho iniziato una nuova terapia, ho lavorato sodo proprio sull’accettazione del presente, sull’amore incondizionato che devo avere verso di me...son andata a fare shopping, ho comprato tanti pantaloni di quella taglia che mi sembrava tanto inaccettabile. Ovviamente il desiderio di perdere i kg “regalatimi” dalle continue abbuffate c’era, ma c’era anzitutto l’esigenza di star bene...e la consapevolezza di non poter “saltare” il presente solo perchè sgradevole... Insomma per farla breve il risultato è che quei pantaloni dopo un paio di mesi ho smesso di metterli perchè ora mi stanno larghi... . Il senso, almeno per me, è che partendo dall'accettazione del mio corpo, accogliendo quel peso come fosse una ferita da curare e non un disonore, ho potuto iniziare davvero a superare, piano piano, quell’ostacolo...continuando a rifiutarmi e a sentirmi colpevole e immeritevole non avrei mai potuto andare avanti. Ovviamente il lavoro in terapia non verte sull’accettazione del peso ma sull’accettazione del presente. I miei jeans del sottopeso... . Tutti dati via... e mai più, oggi, rimpiango quel periodo. I miei stati d’animo positivi dipendevano unicamente da quanto poco avessi mangiato e da come mi stessero i vestiti... . Mi ero condannata a una vita ben misera...per fortuna quel velo è stato squarciato...la luce ha rischiarato le cose... ♥. Spesso, troppo spesso, chi sta facendo un percorso di cura non riesce ad affidarsi completamente ai nuovi pensieri che nascono, alle visioni della vita che ti riportano verso la “normalità”. Eppure senza affidarsi davvero e poi senza mettere in pratica quello che si capisce nulla può cambiare. Senza fatica e senza dolore non si esce da questo problema e senza passare dalla teoria alla pratica i meccanismi malati continueranno a dominare le giornate... .

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Monia Non so bene come iniziare questo mini-scritto. D’altronde è da qualche tempo che mi trovo in difficoltà a iniziare la maggior parte delle cose della mia vita. un buon punto di inizio può essere il momento in cui mi sono resa conto di non condurre un’esistenza normale. Normale. una parola disgustosa e noiosa per me. Ma anche un obiettivo finale che mi pongo da sei anni ormai. Il rapporto con il mio corpo è sempre stato pessimo...da quando avevo quattordici anni ho dichiarato guerra al mio...involucro, chiamiamolo così. Quando ha fatto capolino la bulimia, tre anni dopo, ero già abituata a vivere in funzione del cibo. Per questo motivo forse percepire una differenza è stato un po’ difficile, come lo è stato percepire un problema. Penso che il momento in cui ammetti a te stessa di avere un problema coincide con il momento in cui te la fai sotto. E già. Perchè voglio parlare chiaro, il disturbo alimentare dà gioia, protezione, soddisfazione. Poi però ti rendi conto che il controllo che hai sempre pensato di avere in realtà non ti è mai appartenuto. Ti rendi conto che nulla ha più importanza, se non il raggiungere il tuo obiettivo. Ti rendi conto che il tuo umore dipende tutto dalla realizzazione o meno di questo maledetto obiettivo e che, anche se lo raggiungerai, ce ne sarà un altro subito pronto e comunque non sarà mai abbastanza. Non sai cos’è la libertà, ti chiedi se in assenza della malattia saresti così, con quel carattere, con quella personalità, con quel tipo di persone vicino a te. Cominci a pensare che qualcosa di terrificante si è preso la tua intera vita e te la fai sotto. Siamo esseri umani e il tuo istinto di sopravvivenza si scontra in una battaglia sanguinosa con l’istinto di sopravvivenza della malattia. In alcuni momenti di lucidità ti rendi conto che sei solo tu contro te stessa, in altri sai di essere tale e quale a una tossica o a un’alcolizzata. Tale e quale. E odi sentirtelo dire, odi sentirti dire che sei malata perchè è la verità e solo tu puoi dirla a te stessa. Io volevo solo occupare un posticino nel mondo, essere vista. Volevo solo uno scudo che mi proteggesse dalla società e dai suoi meccanismi 71


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malati, dai suoi individui malati. Mi ammalo per proteggermi dalla malattia della gente. No, nessun trauma in famiglia, nessun trauma in generale. Da piccola mi sono divertita, conservo dei ricordi pervasi di innocenza e di luce. Mi rifugio lì quando ho paura. Ho spesso paura. Il mio male è nato nel momento in cui mi sono affacciata sul mondo e ho scoperto che non serviva a nulla la mia ingenuità, dovevo cominciare a macchiarmi e a non guardarmi troppo attorno se volevo sopravvivere. Così ho costruito la mia prigione, giorno dopo giorno, proiettando il mio disagio su ciò che di più manipolabile pensavo di avere: il corpo. Il mio corpo. Spesso ho dei momenti in cui gli chiedo perdono. Ha dovuto subire i peggiori abusi, eppure è ancora qui, a sostenermi, a tenermi in vita. La dipendenza che provo sulla mia pelle, traducibile con DCa, è una dipendenza multipla. Più la malattia è rimasta con me più ho avuto modo di capire come sia dipendente da un sacco di cose. Le persone, per dirne una. La mia famiglia. L’approvazione. Il riconoscimento. Il giudizio della gente. La bulimia mi ha reso morbosa e ossessiva per un sacco di cose legate all’affettività. La paura dell’abbandono che minaccia ogni mia giornata. Io le chiamo paranoie, ma per me sono come lame affilate. Sono come parole che non oso proferire con nessuno, perchè so che non sono parole mie. Ma chissà come e chissà quando sono venute ad abitare dentro di me, con gli anni. Non voglio concludere con le solite frasi un po’ scontate “chiedete aiuto, è l’unico modo per uscirne”, “da soli non si può” eccetera. Fate quello che volete. Ma chiedetevi con il cuore sincero se ne vale veramente la pena. Chiedetevi con il cuore sincero se siete su questo pianeta per autodistruggervi e se abbia un senso nascere per distruggersi. Nessuno può salvare nessuno. Nessuno può prevedere il successo o il fallimento. Ma dentro di me io so che finirà e questo mi basta. Dentro di me so che ce la sto mettendo tutta e questo mi basta. Parlate sinceramente a voi stessi. Fatelo ogni giorno. E poi beh, da soli non si può. Ops, l’ho detto. 72


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“Luna di miele”...così viene chiamato il primo periodo in cui una persona entra nel disturbo alimentare, perchè ti senti forte, potente, credi di poter controllare finalmente il tuo corpo e con esso tutto quanto,le emozioni e ciò che ti accade intorno. Quando, poco dopo, ci si rende conto che è tutto fuorchè così certi meccanismi sono ormai diventati così forti che da soli non se ne puo più uscire... . “Io volevo occupare un posticino nel mondo, essere vista” . Questo chiede chi ha questo problema, uno sguardo. Che li faccia sentire che esistono, che sono visibili a chi amano, che vanno bene così come sono e non come famiglia e società impone... .

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Niky Provo a lanciarmi anche senza paracadute...è morbido laggiù? Io mi butto! Ciao a tutti...oggi parlo di me.Io sono il deserto e l’arsura, il vento che nessuno sa ascoltare, sono le catene che nessuno sa sciogliere, sono il freddo che nessuno copre, sono la fame che nessuno nutre, io sono le lacrime che nessuno sa asciugare e sono il dolore che non sanno guardare e curare. Io sono l’abbraccio che non so dare ne' ricevere,sono una bocca che non riesce a parlare...io sono il silenzio,ma sono sempre me stessa. Che mondo incapace di aiutare veramente! Ho imparato a convivere con la malattia che ormai è cronica da 36 anni, sono caduta negli abissi più profondi e nessuno riesce a salvarmi...mi dicevano di lottare e così avevo fatto,mi ero affidata e fidata ma loro avevano abbandonato il campo di battaglia, si sentivano frustrati per i loro insuccessi fallimentari, ero stata affidata tardi e in mani sbagliate e mi avevano abbandonata a me stessa. Sono circondata ovunque da persone che si credono giudici...sparano sempre le loro sentenze, le loro cattiverie, la loro ignoranza. In passato (da adolescente) mi è capitato spesso di barricarmi in casa per lunghi periodi per evitare la loro ignoranza...tutti avvocati sono!, i loro giudizi,le loro sentenze che vadano a spararle in tribunale! e poi curino la loro insensibilità e preghino un mea culpa per il male che hanno fatto a me e alla mia famiglia. Ben presto la mia condizione aveva coinvolto e scombussolato pesantemente gli equilibri e l’armonia di tutta la mia famiglia...i miei genitori si erano separati pur vivendo sotto lo stesso tetto,per seguirmi più da vicino. Sono la penultima dei figli ed unica femmina...le loro attenzioni e il loro eccessivo amore mi soffocavano, inoltre soffrivo perchè vedevo i miei fratelli soffrire per me,e anche se non l’hanno mai detto, sò che si sono sentiti accantonati e trascurati emotivamente dalle mancate attenzioni che ogni figlio, soprattutto adolescente,dovrebbe e vorrebbe ricevere dai propri genitori. Chiedo scusa ai miei fratelli per aver vissuto tanti disagi. Più gli anni passavano, più maturava in me la decisione di staccarmi dall’amore asfissiante di 74


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mia madre...non sono mai riuscita una sola volta ad abbracciarla, nè a permetterle di farlo...lei aspettava che dormissi per potermi stringere a sè...mi svegliavo di soprassalto trovandomi stretta in una morsa e per quanto mi ribellassi, non riuscivo a liberarmi...eppure io l’ho tanto amata come tutti gli altri della mia famiglia. Ottenuta la maturità, mi ero iscritta all’università, mi ero trovata un lavoro ed una casa, e a 18 anni avevo scelto di vivere da sola, indipendente, autonoma e finalmente più serena e motivata a farmi curare. Dopo tanti anni di duro lavoro, sacrifici, cure, recuperi emotivi e ponderali, e varie lauree conseguite, avevo deciso di realizzare il mio grande sogno: entrare nell’esercito e servire la Patria...avevo rifiutato l’aiuto che mio padre mi aveva offerto (lui era un agente di Polizia), non volevo raccomandazioni e avevo accolto il suo aiuto come un’offesa...tutte le cose faticose aiutano a crescere e volevo un giorno dire grazie solo a me stessa per ciò che oggi sono:una vincente! alla faccia di chi mi aveva sottovalutata tentando di spegnere la fiamma della poca autostima che avevo!, e dandomi della debole ed incapace a perseguire e realizzare tutti gli obbiettivi che mi ero prefissata. agli altri non dovevo dimostrare proprio niente, contano zero per me!, io sono l’unica e sola protagonista della mia vita, ed è solo a me stessa che devo rendere conto e dimostrarmi che ce la posso fare. Paragono la vita come una partita di pallone, si può vincere o perdere, ed ero anche preparata ad accettare serenamente le eventuali sconfitte, l’importante per me era calciare quei rigori ed ho sempre fatto goal perchè sono stata l’unica a credere in me stessa. Questa mia tenacia però non è bastata a liberarmi dal dca,miglioro e peggioro in breve tempo perchè mi assento per lavoro dai 3 ai 6 mesi consecutivi (se ricordate, sono un militare e opero in missioni di pace in paesi dove c’è la guerra), e non posso proseguire con continuità le cure di cui necessito. Punto 2: oltre all’anoressia ho un’altra bestia che vive in me, si chiama cancro, per essere più precisi ho la leucemia...pochi mesi fa ho subito il trapianto del midollo osseo ma le cose non sembrano migliorare, la febbre costante, le frequenti e multiple infezioni, rallentano il mio recupero ponderale. Sono con75


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vinta che è il cancro a dover temere me, e non io lui! Sono ricoverata da 19 lunghissimi mesi,vorrei vedere ancora i miei colori preferiti:il giallo del sole che scalda la mia pelle e il freddo che sento, e l’azzurro dell’immensità del cielo dove vorrei volare libera. Mi manca tantissimo il mio lavoro che ad ogni ritorno dei miei lunghi viaggi tra la vita e la morte, mi vedevano sempre cambiata, non ero più la stessa persona...certamente ero molto provata mentalmente e fisicamente dagli orrori vissuti della guerra, ma tornavo sempre arricchita di valori umani e orgogliosa per gli aiuti che ho saputo gestire e dare ai più bisognosi, ai più disperati, soprattutto ai bambini. Le 3 stelle appuntate al mio petto ed io, vi salutiamo e vi auguriamo ogni bene. I miei saluti più grandi sono rivolti a Maria grazia e a Doc, e non dimentico i brevi momenti in cui giò mi ha fatto sorridere...giò...questo è per te, tu non hai idea di cosa mi hai regalato! grazie infinite! un sorriso donalo sempre a chiunque, perchè fa bene a chi lo riceve, e può (dolori permettendo) migliorare la giornata soprattutto a chi soffre inchiodata in un letto di dolore. a tutto il gruppo ma in particolare ad anneliese e Marcella. appena qualcuno mi aiuterà col pc, vi dedicherò la mia voce cantata...parole, musica, sia composta che suonata, sono di mia creazione. Spero possiate trovare la pace interiore. Se potesse leggermi, vorrei ringraziare mia cognata e scusarmi con lei...ciò che il mio corpo e la mia mente vivono non è solo un mio dramma, lo è anche per chi mi segue da vicino...i miei fratelli e mia cognata che faccio impazzire, lo so e mi dispiace tanto. rivolgo un appello a Lucia Magionami: – ciao Lucia, puoi psicanalizzare mia cognata?, era già rimbambita di suo ma ora è troppo preoccupata per me, ora lei perde colpi, ma penso che uno psicologo possa fare poco con lei...per lei ci vuole un esorcista!, scherzavo, volevo regalarmi un sorriso, per me, per voi. Mi è stato riferito che avete rivolto dei pensieri per me quando sono stata in coma, e per questo la mia famiglia ed io ringraziamo di cuore tutto il Bucaneve per la vicinanza ricevuta, e vi auguriamo buon Ferragosto. un bacio a tutti...CaPITaNO Niky. Ferragosto: a mia madre, la stella più luminosa: mi senti? Buon compleanno. 76


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...la fatica aiuta a crescere, che la condivisione,un sorriso,un abbraccio,un stretta di mano (che nel mondo reale diamo per scontati),per noi, lontani dalle nostre famiglie, dalla nostra Patria, che lottiamo per degli ideali, per noi sono indispensabili maggiormente perchè non abbiamo mai la certezza di tornare a casa in vita o in una bara avvolta dalla nostra bandiera in cui crediamo. C’è stato un tempo in cui sono stata felice, e queste parole le dedico ai miei genitori, a tutti i compagni caduti in guerra e che non potrò mai dimenticare...e la dedico a tutto Il Bucaneve, a TE. “ESSErE FELICI”. Essere felici è capire che vale la pena vivere la vita,è affrontare tutti gli ostacoli, incomprensioni e periodi di crisi. Essere felici non è una fatalità del destino ma una conquista di chi sa guardare dentro sé stesso, è attraversare deserti fuori di sè ma essere anche capaci di vedere un’oasi nel profondo della nostra anima. È ringraziare DIO “ogni giorno” per il miracolo della vita. Essere felici è non aver paura dei propri sentimenti, è avere il coraggio di sentirsi dire un “no”, è avere una tranquillità nel ricevere una critica (anche se ingiusta). Essere felici è lasciar vivere libero,allegro e semplice il bambino che c’è in ognuno di noi. È maturità nel dire “ho sbagliato”, è avere il coraggio di dire “perdonami”,è avere la sensibilità nel dire “ho bisogno di te” e saper dire “ti voglio bene”. a te Maria grazia, voglio dirti che sono orgogliosa d’averti conosciuto, e graTa per aver per aver tirato fuori la parte migliore di me. un bacio, ciao. “Io ho tutto un mondo nel mio cuore ma non riesco ad esprimerlo con le parole...io e la penna siamo amiche inseparabili, ed è lei che mi viene in aiuto sempre. amica penna grazie per aver dato voce ai miei silenzi! a volte mi cadi dalla mano perché pesi, ma io ti ho sempre cercato e voluta. Mentre cadono le ultime lacrime, prima che il cuore diventi pietra, prima che gli occhi diventino paludi prosciugate, prima che l’anima muoia. Passa questo mondo e il tempo tiranno che vorrei ancora trattenere...solo chi ama non passerà mai...so che per molti io non passerò mai. Vi ho tanto amato”. 77


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Una donna coraggiosa, con nobili sentimenti, con il valore della Patria nel cuore, valore che ha difeso più e più volte in missioni difficili e pericolose. Una donna così forte che però lotta da sempre con il problema enorme per ora invincibile del disturbo alimentare. Mi scrive da un letto di ospedale queste splendide parole, inchiodata ad un letto. Nella sua strada purtroppo oltre al dca èarrivato il cancro e i medici hanno detto che avendo un fisico debilitato tutto è più complicato... . Ho scritto “per ora” invincibile perchè dai disturbi alimentari si guarisce. Tutti possono guarire. Spesso i medici usano la parola “cronicità” e questo spaventa chi la sente e i familiari che vivono con le loro creature questo dramma. Forse sarà bene specificare che per gli addetti ai lavori quando il disturbo permane per oltre cinque anni si parla appunto di cronicità. Questo non significa che non si può guarire. Ho conosciuto ragazze, donne che sono state a combattere per oltre venti anni e poi si sono salvate. Quindi mai, (mai!) disperare e mai smettere di crederci e lottare... .

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Rosy ...i numeri hanno tante valenze, mi soffermerei su una in particolare: si ha grande paura del divenire, del cambiamento. I numeri portano con loro la staticità... qualcosa che non cambia e quindi ancora una volta “incarnano” l’illusione di un controllo assoluto e perfetto. Quella perfezione che non esiste, ma che è potente nella malattia. un numero è fermo, la vita è in movimento. La malattia è fatta di numeri: calorie, centimetri, chili...tutto per fermare un sentire non controllabile, tutto per non accoglierlo! Ed è importante rendersene conto: proprio per non essere un numero, bensì una persona che ha dei sentimenti e pian piano sceglie di volerli sentire! Quasi ogni giorno nei nostri “dialoghi” nel gruppo su facebook parliamo di questo. L’importanza di quel numero, l’ossessione di quel numero. Quella paura di vedere che il peso aumenta,la ricerca di un peso ideale che però...non esiste. Chi ha questa patologia non arriva mai al peso “giusto”, non basta mai vedere quell’ago della bilancia che scende. La curva continua a scendere...scendere...Se non interviene la consapevolezza di voler guarire , se non scatta la motivazione ad uscire dal problema la curva continuerà fino alla morte... .

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Araba Fenice Voglio iniziare la mia storia dalla mia rinascita...dal giorno in cui ho deciso di riaprire gli occhi e tornare alla vita, esattamente come l’araBa FENICE, che mitologicamente si rigenera dalle proprie ceneri e spicca il volo verso la libertà... . È diventata il mio simbolo, la mia forza e adesso fa parte della mia vita...per sempre,perchè finalmente sono libera..., libera dagli schemi, dai numeri, dai pensieri, libera di sognare, sperare e credere nella mia forza, nelle mie potenzialità, in me stessa...e finalmente posso stare bene senza sentirmi in colpa per questo, senza dovermi giustificare con nessuno...riesco ad assaporare ogni attimo della giornata, a sentire ogni emozione, ogni sapore e ad apprezzare tutte quelle cose che fino a pochi mesi fa davo per scontate, le piccole gioie della vita che sono quelle che la rendono speciale, quelle che ti arricchiscono l’anima e ti fanno crescere. Ho passato metà della mia vita dentro un vortice senza uscita, tormentata da un malessere enorme che non mi abbandonava, che si impadroniva sempre di più della mia vita, della persona cui ero...pensieri contrastanti, confusione mentale, paura di crescere e di affrontare una realtà che non sentivo più mia, non sentivo mi appartenesse più. avevo circa 12 anni quando la mia vita è cominciata a cambiare, quando è stata stravolta da una situazione familiare troppo forte per me...non era quello che avevo pianificato, non era la vita che volevo vivere. Oltre al grande dispiacere che provavo, al dolore che non sopportavo, mi sentivo anche a disagio verso la società, provavo quasi un senso di vergogna, mi sentivo osservata, compatita, con gli occhi puntati addosso, quasi come fosse colpa mia..., era un cambiamento troppo grande, che non potevo accettare. I problemi però cominciarono nel rapporto con gli altri, a scuola era un tormento, non mancavano mai dai miei compagni commenti e battute molto offensive, che mi facevano malissimo, l’equilibrio che mi sembrava di aver trovato col cibo...non c’era più, iniziai a sentirmi un alieno nel Mondo...e non poteva andare avanti così...decisi da un giorno all’altro di cominciare una dieta. 80


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L’ago della bilancia andava sempre più giù, io mangiavo sempre di meno e diventavo sempre più forte e fiera di quello che riuscivo a fare. Dentro di me iniziò a subentrare un meccanismo malato, le cose importanti erano le tabelle, i numeri, le calorie(che conteggiavo ogni volta che mettevo in bocca qualcosa)...eravamo io e la bilancia...due alleate invincibili. Ero fiera di me stessa, del mio aspetto ma dentro di me, c’era una rabbia enorme...quel dover sempre rinunciare a qualcosa per ottenere qualcos’altro... . Dopo 12 anni, sentivo di non reggere più avevo bisogno di condividere questa cosa con qualcuno,era diventata un peso troppo grosso per me, e mi confidai con una cara amica, con molta difficoltà,vergogna e imbarazzo..., che però fù in grado di starmi vicino nel modo giusto, sostenendomi e accompagnandomi da una psicoterapeuta, che vedo tutt’ora... . Da lì è iniziato il mio percorso, una parte di me voleva guarire, l’altra però mi fermava e mi teneva sull’orlo del precipizio... La prima visita fu sconvolgente per me...tutte le emozioni ferme da anni cominciavano a rimuoversi, i ricordi riaffioravano...la mia rabbia e il mio dolore iniziavano pian piano a venir fuori. Tornai a casa in crisi più che mai, mi sembrava di stare malissimo, avevo paura, mi sentivo scoperta, non ero più sola con quel segreto, sapevo che da quel giorno saremmo state in due a combattere quel mostro, la parte sana di me era tranquilla, ma l’altra era impaurita e rifiutava l’aiuto...aveva paura a lasciare quel mondo irreale, aveva paura del dopo...cosa sarebbe successo dopo? Mi ero creata un’identità malata avevo il terrore a lasciare quell’immagine di me stessa, avevo paura che se un giorno fossi guarita, gli altri non mi avrebbero più amato,non mi avrebbero più consolato, mi piaceva che gli altri mi compatissero e ogni volta che sentivo dirmi “cosa ti è successo? non vedi che non ti si riconosce? sei pelle e ossa...non ti si può guardare...”e tante altre frasi come queste, mi davano la forza e mi spingevano ancora di più a voler star male, a crogiolarmi nel mio malessere. Prima di iniziare a capire di aver bisogno di un reale aiuto, di star molto male...avevo avuto una relazione con un ragazzo del quale ero molto innamorata. 81


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Da questa storia, durata soltanto 4 mesi, ho avuto un bellissimo bambino...la prima cosa meravigliosa che sono riuscita a fare nella mia vita. accettato da subito con tutto l’amore del Mondo, nonostante il padre si fosse tirato indietro...forse per paura, per la responsabilità che non voleva prendersi, mio figlio è stata la prima motivazione per cominciare a lottare, e durante tutto il periodo di gravidanza e i primi 3 mesi di vita, il sintomo è sparito, non c’era più spazio per lui... . In pochi mesi ritrovai il mio peso forma, ma dentro di me non ero felice...tanto amore per lui e niente amore per me stessa...continuavo a farmi del male, a punirmi, non ci possiamo salvare grazie agli altri, neanche grazie a tuo figlio, nonostante il bene sia superiore a quello della tua vita... . Continuavo a pensare che nessuno riusciva a capirmi, volesse ascoltarmi, volevo che le cose cambiassero,volevo ritrovare quella serenità nella mia famiglia che non c’era più da anni per tutta la rabbia che tenevo dentro, per l’orgoglio il cui non volevo abbandonare, mi sentivo ferita e incompresa ed ero sempre più determinata a continuare con quell’atteggiamento di vittimismo. Mi accorgevo che con il tempo, gli amici si allontanavano, quelli che credevo mi fossero vicini, su cui avevo sempre contato cominciavano a tenere una distanza sempre più grande. Quando si vuole guarire e raggiungere veramente la serenità dobbiamo farlo prima per noi stessi, dobbiamo essere in un certo senso “egoisti” pensare al nostro bene, ai nostri bisogni...ai nostri sogni... . Il cambiamento deve avvenire dentro di noi e solo per noi, sbagliatissimo farlo per qualcun altro perché il minimo cedimento ti riporterebbe indietro, ti riporterebbe a ricadere e rialzarsi sarebbe ancora più difficile. uscire a cena con gli amici o a pranzo con la mia famiglia prima era un incubo...adesso è una gioia immensa...non per ciò che mangio ma per come lo mangio... . Il cibo è vita e la vita è un dono meraviglioso, per la quale dobbiamo lottare ogni giorno e viverla al meglio! Con amore,affetto e tanta volontà e la vittoria è sicu...la mia fenice adesso vola libera nel cielo, libera da ogni paura e pensiero...libera di vivere la sua vita...e sarà così per sempre... . 82


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Spesso quando accadono avvenimenti nuovi e che possono sconvolgere la routine quotidiana (un figlio, un amore, un lavoro nuovo...) il sintomo si assopisce e sembra superato. Non è mai così...dopo un po’, magari alla prima delusione o alla prima difficoltà se non abbiamo elaborato le cause e le fragilità che ci hanno fatto ricorrere a questa dipendenza, il disturbo alimentare si rifarà vivo. Terapia e desiderio di affidarsi sono la strada da percorrere per la soluzione e la guarigione.

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Sandra Di certo non è così che va. Non è dicendo quanti kg hai perso o quanti ne hai messi per via di un disturbo alimentare che fai capire quanto questo ti abbia fatto soffrire, nè tantomeno dicendo il tuo bmi. L’anoressia non mi ha fatto soffrire tanto per i numeri, malgrado ne fossi ossessionata, ma anzi, loro mi davano forza. L’anoressia mi fa fatto soffrire quando mio padre piangeva a causa mia, nonostante non avessimo mai avuto un gran rapporto, per paura di perdermi ulteriormente, per paura di vedermi morire. L’anoressia mi ha fatto soffrire quando vedevo il volto stanco di mia sorella che non dormiva più per i troppi pensieri che le davo. L’anoressia mi ha fatto soffrire quando sconosciuti dicevano di me che fossi malata. Mi ha fatto soffrire quando mi si diceva facessi schifo. Mi ha fatto soffrire quando non riuscivo più a scavalcare il muro che avevo alzato tra me e le persone che amo. Mi ha fatto soffrire quando ho rischiato di perdere il lavoro dei miei sogni. Mi ha fatto soffrire quando iniziai a faticare a SOgNarE...magra, ma a che prezzo? Magra, ma perchè? Nel nostro gruppo su Facebook si parla di tutto...qualunque cosa: amore, rabbia, genitori figli, cinema, lavoro, speranza, sogni, delusioni, dubbi...tutto meno che di di cibo e corpo...meno che dei rituali che il sintomo porta con sè. Questa testimonianza è una conferma al fatto che anoressia non è voler essere magra, altrimenti raggiunto il cosiddetto peso ideale tutto sarebbe risolto. Magra quanto? Magra perchè? Il peso raggiunto non basta mai, perchè alla fine il problema non è il peso. Non è mai il peso. È tutto quello che ci sta dietro, dietro quel corpo torturato e reso scheletrico fino a voler scomparire, c’è la sofferenza di non riuscire a comunicare, di non riuscire ad essere come chi amiamo ci vorrebbe, c’è la paura ad affrontare il mondo degli adulti con tutte le responsabilità che comporta... . Nessuno di noi è un numero....quel numero della bilancia diventa un’ossessione perchè dà l’illusione di poter essere in grado di decidere, di controllare la nostra vita, e così dura tutto per un bel pezzo.

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Giulina È nato così, quasi per caso in mio incontro con il mondo pro ana... . Da settimane non uscivo più di casa e avevo totalmente accantonato la scuola, non ci volevo più tornare e così restavo ore davanti allo schermo, aggiungendo all’anoressia ormai conclamata anche una dipendenza da internet, facendomi avere vere e proprie crisi di astinenza quando non riuscivo a connettermi al mio mondo virtuale. È iniziato così, quando dopo essere stata obbligata a mangiare dai miei genitori ormai esasperati, i sensi di colpa non mi davano pace e presa dalla disperazione mi sono messa alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarmi. Ho trovato blog, tanti blog pieni di ragazzine che come me, piene di dolore, erano pronte a dare e ricevere consigli e strategie per non mangiare e dimagrire. Lentamente sono diventata sempre più accanita, tanto da vedere la mia malattia come una dea, la dea ana. Ero vista come un idolo anche dalla mie compagne di “avventura”, un modello da seguire perché io non mollavo per nulla al mondo. avevo 14 anni e mi sentivo forte, euforica, onnipotente, la mia distruzione non bastava mai. Dicevo che tra noi ci spronavamo, ma in realtà la nostra era una lotta, una lotta continua tra noi, a chi raggiungesse il peso minore, che spesso testimoniavamo con foto, una lotta contro la vita. Dietro la porta della mia camera non c’era più i poster dei miei idoli come qualsiasi ragazzina, ma dieci frasi che volevano ricordare il mio “obiettivo”: il decalogo pro ana. Eppure quanto odiavo essere definita Pro ana! Quanto fastidio mi dava vedere in faccia la realtà...quante persone definite intruse cacciavo via e bannavo dal mio blog proprio perché mi chiamavano così e non capivano ciò che io volessi dire! Invitavo ad entrare nel mio blog infatti solo le persone che condividevano una filosofia di magrezza assoluta: quella che chiamavo la “filosofia ana”. Il fatto di infliggere dolore a me stessa e al mio corpo significava fare qualcosa di giusto e cercavo qualcuno che appoggiasse la mia “filosofia di distruzione”per avere consigli e un’ulteriore conferma di non essere sole a perseguire il mio 85


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obiettivo di morte. Perchè in parte, anche se non lo ammettevo avevo spesso paura e a tratti speravo di essere scoperta. a volte speravo che qualcuno chiudesse il mio blog, perché io da sola non riuscivo a porre fine al quel mondo virtuale che mi aveva risucchiata. È difficile spiegare a chi non è dentro la patologia come nella stessa mente possano coesistere queste sensazioni: l’orgoglio arrogante e pieno di sé per l’incredibile impresa che si sta compiendo e la convinzione di essere così malvagia da meritare la morte in qualsiasi sua forma. I sintomi portano all’isolamento e alla chiusura della persona, perciò laddove una persona non inizia un proprio percorso di cura, la via della fuga sarà sempre più efficace. Ma non c’era alcuna cattiveria in me nel dare consigli e appoggiare la distruzione delle mie “amiche”, perché infatti anche se non me ne rendevo conto in realtà chiedevo, chiedevamo aiuto, chiedevo a chi stava male come me “come posso fare per far si che il mio corpo diventi magro e si veda che soffro? aiutatemi a restare nell’anestesia sintomatica del cibo, perché senza non riuscirei a tollerare tutto quel dolore!”. Non riuscivo a dare un nome al mio dolore e lo scaraventavo su cibo e corpo, ma erano solo capri espiatori. E spiegavo la voglia di assottigliarmi sempre più per poter assomigliare a Nicole Richie o altre modelle. Ma c’è tanto, tanto altro dietro ad un apparente capriccio. un infinito mondo irrisolto che mostravo nel mio blog colorato, in contrasto con la più nera disperazione che avevo dentro. Oggi quella disperazione l’ho affrontata,perché è necessario sentirla, capirla per superarla. È un dolore che solo se vissuto e compreso può liberare dalla sofferenza,non rimandando e restando circondati da un mondo patologico. Quando ho iniziato a curarmi mi sono imposta di allontanarmi totalmente da quel mondo perchè avevo capito, anche già dopo pochi giorni che me ne ero distaccata,quanto fosse dannoso e quanto ne fossi dipendente, quando mi serviva per continuare a sopravvivere. Ma non volevo più sopravvivere, io volevo vivere per quanto ancora mi spaventasse e il mio blog e il mio account sono stata eliminati da me all’istante. Non so che fine abbiano fatto le mie com86


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pagne. Molte spero oggi stiano bene come me ma sono convinta che molte sono ancora li, insieme a tante ragazze a massacrarsi senza rendersene conto. E perciò è principalmente a voi ragazze che mi rivolgo,voi che state male tanto quanto qualche anno fa stavo anche io. Le mie parole non sono quelle di un dottore, di una laureata, di una che viene a fare le prediche, anzi. Le mie sono parole dette dal cuore, da una persona che ha scelto la vita e che vorrebbe tanto che lo faceste anche voi, un giorno. So che non vedete il male in ciò che fate e probabilmente neanche nella malattia stessa. Si sottovaluta tanto e non si pensa mai a rischi, tanto meno alle conseguenze. Neanche io ci pensavo, fin quando mi sono trovata a 16 anni con la tiroide diminuita di 2.5 cm per il basso peso che avevo raggiunto e il metabolismo tutto sballato. Ci è voluto tanto tempo per ristabilire tutto e credetemi, non è bello vedere che ad un certo punto il tuo corpo non ti risponde più. Sfortuna sicuramente la mia,ma voglio che anche questa parte della malattia emerga, il dopo: i danni ai denti, allo stomaco alla tiroide che se non si chiede aiuto posso diventare gravi. Io me la sono cavata con “poco” rispetto ad altri, sono stata molto fortunata ma dove posso, vorrei mettere davanti questa dura realtà per far capire quanto non sia un gioco. Io dicevo ai tempi che il mio sarebbe stato un viaggio senza ritorno verso la magrezza, nel senso che sarei dimagrita e non sarei mai più “tornata grassa come un tempo”...ma il vero viaggio senza ritorno ho rischiato sul serio di compierlo. Queste patologie sono la prima causa psichiatrica di morte in Italia, non se ne parla mai ma al giorno in ospedali, in ricoveri,da sole a casa tante e tanti muoiono di questa patologia. Internet favorisce la conoscenza di malattie e trattamenti per curare i disturbi alimentari e chi naviga in preda alla disperazione non dovrebbe mai più trovare in giro in internet siti pro ana, ma piuttosto siti che trattano di ciò che davvero è questa malattia. Io non mi sono ammalata a CauSa di questi siti (altrimenti, chiunque sarebbe malato), ma di sicuro non hanno fatto altro che incrementare le ossessioni della patologia e la mia struttura mentale già fragile e più sensibile del 87


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dovuto e inoltre l’adesione a questa identità, Pro ana, mi “obbligava inconsciamente” a rifiutare le cure, poiché nelle terapie, l’identità anoressica è patologica, cosa che io non capivo e non volevo vedere. Sono patologie le nostre cariche già di per sé di traumi e sofferenze, perché non eliminare almeno questo tipo di sofferenza e velocizzare il processo di autoconsapevolezza di avere un problema e finalmente curarsi? Diamo, date peso a questo disagio, perché esiste e ormai è impossibile chiudere gli occhi davanti a tutta questa distruzione. Il mondo pro ana ne è solo una manifestazione perciò date peso a ciò che c’è dietro, datevi l’opportunità di curarvi,scoprirvi, date importanza alla vostra vita,riprendetevela . Io ci ho provato con fatica, dolore ma sono qui a dirvi che ne vale la pena e sono convinta che un giorno, quando vorrete provarci ripenserete alle mie parole e capirete sulla vostra pelle quanto avevo ragione. Siti pro ana. Terribile realtà del web...le ragazze che li frequentano non fanno altro che aiutarsi ad andare sempre più verso il baratro emulando gli atteggiamenti che vengono descritti minuziosamente in quei siti. Si possono denunciare alla polizia postale ed è giusto farlo, ma non si riescono a fermare. Se ne elimina uno ne nascono dieci... . L’emulazione è uno dei grandi problemi di questa patologia, foto di persone magrissime in TV, sulle copertine dei giornali e nelle pubblicità non fanno che accrescere il desiderio di chi non si accetta a “plasmare” il proprio corpo, a seguire ogni mezzo per arrivare...non si dove. Sono talmente tanto impegnati a preoccuparsi per la fine del mondo, che non si accorgono che questa è già arrivata in tante giornate. giornate che solo perché non le hanno decise i Maya e non ne parla troppo la tv non hanno la stessa importanza del 21 dicembre. Quella che sembrava essere la fine del mondo per me è arrivata anni fa, per la mia famiglia è arrivata tante volte e per tanti continua ancora. Perché il mondo finisce ogni volta che inizia una guerra. Il mondo finisce con ogni omicidio e con ogni forma di violenza. Il mondo finisce ogni volta che si diventa vittima di bullismo e ogni volta che la cosa più istintiva è fare del male a se stessi e nonostante tutto non si cerca aiuto. Il mondo finisce quando un padre 88


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perde il lavoro e quando una famiglia non riesce ad arrivare a fine mese. Il mondo finisce ogni volta che il dolore è talmente troppo da spingere un essere umano a togliersi la vita. Ma soprattutto,il mondo finisce ogni volta che la sofferenza viene derisa e sminuita, ogni istante in cui l’apparenza diventa tutto ciò che conta e non viene sensibilizzato il prossimo a fare il contrario. Non sarà un meteorite, un asteroide o un pianeta probabilmente a distruggere la terra, perché niente la distrugge di più che il silenzio e l’indifferenza. Solo quando inizieremo a spenderci per contrastare tutto ciò, avremo contribuito a far si che il mondo piano piano, smetta davvero di continuare a finire.

È indubbio che chi ha attraversato un problema grande e difficile come quello del disturbo alimentare poi diventa molto forte e riesce a vivere apprezzando davvero quello che serve per poter vivere serenamente...diventa ancora più sensibile alle ipocrisie e alle ingiustizie, al dolore e alla violenza del mondo... .

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Vale Ho fatto una foto senza makeup, e per la prima volta non ho desiderato essere diversamente da ciò che sono. giù la maschera...nella mia testa è partita una riflessione a cui sono arrivata grazie ad alcune persone di questo gruppo... . un gruppo che ha sempre accolto, la gioia e il dolore, anche le lagne, perchè ci sono giorni in cui non si riesce a vedere nient’altro che nero, ed avere accanto qualcuno che riesce a dissipare quel buio è un dono prezioso. amatevi, amiamoci, non vergogniamoci di ciò che siamo, non permettiamo a nessuno di dirci che siamo sbagliate, che non meritiamo l’amore. Finchè siamo in tempo, lottiamo e amiamoci, perchè la vita è un dono prezioso, non buttiamola via...quante volte ho desiderato morire, quante volte non sono riuscita a vivere, quante cose ho rinunciato per la testa che pulsava, le gambe che tremavano, le mani che non riuscivano a star ferme... . Quanta vergogna ho provato in mezzo agli altri... . ad alcune di voi vorrei dire che la vita non è questa, non è il quanto pesi che fa di te una persona migliore..., ma è ciò che hai dentro, la capacità di essere buone, gentili, oneste, leali, sincere, combattive...non chiudetevi in questa fortezza fatta di solitudine, di sofferenza, di supplizio. Io non credevo mai mai di poter un giorno scrivere queste parole, di poter vivere e lottare e guardarmi allo specchio in sovrappeso...non credevo neanche che sarei arrivata a 25 anni viva, volevo morire prima, e nel peggiore dei modi. Ma si può cambiare, si può guarire...con tanta sofferenza, ma con una sofferenza che darà i suoi frutti. Il vostro corpo è meravigliosamente splendido così com’è, un insieme di perfezione e sistemi complessi talmente organizzati da essere davvero perfetti, non distruggetevi. amatevi, ridiamo alla vita, senza maschere!

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Ecco...leggere parole come queste danno la spinta ad andare avanti...ogni tanto mi chiedo se e quanto può essere utile il gruppo che tengo aperto su Facebook. Ogni tanto sale lo scoraggiamento perchè ogni giorno si deve ricominciare a ripetere certi concetti,ci si deve sforzare per mettersi nella testa di chi abbiamo davanti e, nonostante questo, spesso i post che vengono scritti contengono tutto fuorchè sfoghi costruttivi. Quindi mi chiedo se possa servire leggere certe cose a chi sta lottando invece per uscire dal problema. Poi però arrivano questi scritti, arrivano testimonianze che ti dicono che è servito, che l’ascolto positivo e costruttivo de Il Bucaneve ha aiutato e quindi...sempre avanti. Mai mollare!

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Conclusione un po’ di tempo fa ho sentito una persona che diceva che odiava fare le fotografie perchè le impediva di vedere bene quello che aveva intorno, doveva interrompersi, fermarsi e scattare e quindi non si gustava il panorama o l’occasione che viveva. Per me è tutto l’opposto, fotografare per me vuol dire far rimanere per sempre quel momento, quel colore, quell’emozione. Ecco anche perchè credo sia importante aver trascritto queste testimonianze, per poter dare a tutti la possibilità di leggerle: sono momenti di vita, pieni di dolore, di sofferenza, di ricerca di sé e di cammino, magari tortuoso e spesso sbagliato come quello di un insetto in una ragnatela appiccicosa, che divincolandosi non fa che rimanerci più avviluppato. Sono vita vera, sono immagini legate a persone che davvero hanno vissuto tutto ciò. Sono state raccolte con rispetto del dolore e con un sentimento che può essere definito amore perché mi hanno tutte segnato e solo se è amore rimane così a fondo in noi, altrimenti si sarebbero depositate sulla superficie e da lì evaporate in fretta... . Invece faranno parte della mia esistenza così come altri attimi che ogni tanto riaffiorano nella memoria: ...quella mano che con delicatezza mi fece ruotare la testa. Poi sentii solo le mie lacrime sulle guance. Quella mano, così leggera che mi teneva ferma la testa e sembrava riafferrasse tutti i miei pensieri imprigionandoli tutti lì, in quel piccolo spazio tra mano e volto. ...quel ragazzo che sorrideva in quel modo: inarcando solamente il labbro superiore, a scoprire appena i due incisivi e lasciava immobile il resto della bocca... . ...quella stanza di quella ragazzina che era dentro un disturbo alimentare già da qualche anno: gli oggetti sembravano non essere mai stati toccati da nessuno, sembravano articoli esposti con cura e calcolo nella vetrina di un negozio. Non vi era nulla di inutile, non una foto o un pupazzo buttato là a caso. Nulla che spargesse nell’aria quell’odore di familiarità e affezione che di solito hanno le stanze degli adolescenti... . 93


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...il parcheggio dove aspettavo che mia figlia uscisse dalla terapia: si vedevano due grossi prefabbricati che stavano uno attaccato all'altro e chissà forse non ci andava mai nessuno. Tre bancali di legno avvolti nel cellophane mezzo rovinato erano addossati ad una parete grigia, di fianco ad una serranda abbassata. Più in alto c’era una insegna, che se di notte fosse stata accesa avrebbe illuminato intorno di un arancione brillante... . ...quel pomeriggio in cui ci sarebbe stato il funerale della mamma. uscii per andare da sola verso il fiume, quel posto “magico” per me, luogo della mia infanzia più spensierata. Proseguii verso il letto del fiume, scorreva lento, sembrava come dimenticato, esausto. aveva piovuto da poco, scesi fino al livello dell’acqua e mi sedetti a fissare il fondale. Le pietre mi pungevano il fondo della schiena, ma non mi mossi. Chiusi gli occhi. Quando li riaprii il cielo era ancora lì con il suo azzurro intenso, la corrente produceva un fruscio sonnolento. Sorrisi verso il cielo sgombro dalle nuvole. Mi alzai con un po’ di fatica, sapevo che potevo camminare da sola...

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Lo sguardo de Il Bucaneve

Indice Introduzione di Luciano Festuccia

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Prefazione di Lucia Magionami

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allora continuo a danzare...

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Testimonianze

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agnese, altre e la rabbia...

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amy

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anneliese

35

Baby

38

Barbara

40

Betty

41

Carla

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Daniela

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Dana

46

Donatella

47

Ele

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Lo sguardo de Il Bucaneve

Francesca e Michela

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Francesca S.

54

giovanna

56

Chiara

62

Lara

63

Lia

64

Luna

66

Mi첫

67

Fiona

69

Monia

71

Niky

74

rosy

79

araba Fenice

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Sandra

84

giulina

85

Vale

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Conclusione

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