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Quaderni del volontariato 8
Edizione 2017
Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 fax 075 5287998 www.pgcesvol.net pubblicazioni@pgcesvol.net
Edizione Ottobre 2017 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Copertina a cura di Francesca Mandaglio Stampa Digital Editor - Umbertide
tutti i diritti sono riservati ogni produzione, anche parziale, è vietata ISBN 9788896649640
Il coraggio della testimonianza Non soffermatevi adesso su questa breve introduzione. Tornateci dopo. Quando avrete colto senza mediazioni di sorta, il significato o i significati dei quali chi ha scritto il libro ha voluto renderci partecipi. In qualche caso anche senza troppa consapevolezza, il che, se possibile, rende questa trasmissione di saperi e conoscenze ancora più preziosa, in quanto naturale ed “istintiva”. Ma di cosa stiamo parlando? Di una scelta coraggiosa. Gli autori di questi testi, di questi racconti, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza. Ma in quale tipo di società? Una società per la quale forse queste esperienze rimangono tutt’altro che virali (usando un termine contemporaneo) e spesso rischiano di rimanere nell’ombra. Una società che ha fra i propri tratti dominanti dei suoi componenti una innegabile riduzione del senso di appartenenza alla comunità, ad un gruppo allargato che sia in grado di condividere non solo ideali e visioni, ma anche obiettivi e cose da fare insieme per il bene comune. Certamente il quadro è stato complicato ed accelerato dalla individualizzazione della comunicazione nella scatola dei social, che hanno creato di fatto una nuova forma di relazione, che per qualcuno integra la relazione pre-digitale, per altri l’ha completamente sostituita. Ebbene, quale sarebbe questa scelta coraggiosa? Questi autori non si sono limitati ad un inutile e sterile lamento che parlasse dei bei tempi che furono, di quando c’era la piazza, di quando il Welfare era in un certo senso il vicinato, la famiglia allargata, la comunità solidale per natura. Di fronte al nuovo adagio che “non c’è più nessuno o nessun organismo sociale e relazionale che sia in grado di restituire alla nostra
società la flebile speranza di quello che potremmo definire un umanesimo post-moderno” che “stiamo coltivando la cultura del nemico”, chi ha scritto questo libro ha capito che l’organismo sociale e relazionale in grado di ricomporre e tenere unito il tessuto connettivo più profondo delle nostre comunità può essere ancora il fare associazionismo. Mettersi in relazione con altre persone per condividere una certa visione della realtà, dare senso al proprio tempo valorizzando quello che ognuno sa fare per metterlo in circolo nella propria comunità, occuparsi del prossimo o, più laicamente, dedicarsi alla relazione d’aiuto. Sono tutte azioni possibili, visto che una certa fetta della popolazione, in Italia ed in Umbria, sembra dedicarsi con una certa continuità ad un qualche tipo di impegno “solidale” e di cittadinanza attiva. E lo fa traendo linfa vitale dalla “dotazione di base di ogni persona”, da quel patrimonio di umanità e di empatia che, ognuno porta con sé dalla nascita. Quella sorta di componente genetica di solidarismo, che non tutti hanno la fortuna di concretizzare per vicende personali o per altre esperienze del proprio vissuto che, ad un certo punto della vita, ci rendono forse troppo attenti a noi stessi, al nostro individualismo.. e ci fanno perdere di vista l’altro, l’affresco complessivo delle relazioni, il cosiddetto bene comune. E allora? Cogliamo il valore di queste esperienze dal racconto diretto di chi le pratica nel suo quotidiano. E’ uno dei modi possibili per apprezzare il significato sotteso di queste testimonianze e per prendere consapevolezza che oggi, più di sempre, dedicarsi al volontariato, all’associazionismo e, più in generale all’impegno di cittadinanza attiva resta una scelta, adesso sì, coraggiosa. Salvatore Fabrizio Cesvol Perugia I Quaderni del Volontariato
Lo sguardo verso il sé In viaggio con il Reiki nell’Universo Olistico di Salvatore Fabrizio Enzo Vitali
Associazione Olisticamente Università Popolare
Lo sguardo verso il sé
Si legge tutto ma non si crede a tutto. E’ come se ad un certo punto subentrasse una sorta di istinto naturale e selettivo, che funge da vera e propria calamita per le cose davvero importanti. Quelle che convincono di più. Come se fossero già pronte per essere colte. Non so se per tutti è così, ma per me alcune storie, alcune esperienze, alcune discipline, alcune filosofie o arti appaiono fin da subito più importanti di altre. E molto più vicine alla Verità. E fanno in modo che Questa non ci derida. (S.F.)
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GUIDATI DA BUONI PRINCIPI UNIFICANTI Nella prima parte di questa pubblicazione si prova ad aggiungere un tassello al processo di dialogo, confronto e contaminazione tra gli operatori olistici, partendo dal complesso rapporto tra scienza convenzionale e scienza non convenzionale, con l’obiettivo di arrivare ad una dimensione reale di risonanza, al di là delle differenze tra le specifiche tecniche ed approcci. Nello stesso tempo, essa sintetizza lo sforzo di provare a fornire a chiunque voglia avvicinarsi a qualcuna di queste tecniche, ma anche a chi è già in contatto con esse, una serie di suggestioni speculative che potrebbero integrare la propria conoscenza della materia, fornendo delle chiavi di lettura stratificate, che aspirano alla condivisione di quella parte degli operatori olistici, la stragrande maggioranza, animata anch’essa dallo stesso istinto di comprensione e divulgazione unificante. IL REIKI TRA STORIA E TEMPO PRESENTE La seconda parte, partendo dalla centralità della comunicazione, ci avvicina al Reiki, attraverso una descrizione articolata del suo essere un percorso di crescita e di evoluzione personale, oltre che una pratica rivolta al trattamento di sé e degli altri. La storia di Usui Sensei, il riconosciuto “Primus” della Disciplina, viene proposta attraverso le varie ricostruzioni riscontrabili in letteratura fino ai giorni nostri, quando, poco più di due decenni fa, la scoperta della sua tomba e della stele commemorativa realizzata dai suoi allievi del tempo, sembra aver portato finalmente quella luce e quella chiarezza di riferimenti che non tutto l’Occidente è ancora disponibile o pronto a considerare realmente storici. Tra riflessioni sull’energia vitale universale e considerazioni attorno alle varie forme di energia che interagiscono all’interno del corpo umano secondo il sistema giapponese, questo viaggio svela il reale significato del Reiki, in quanto informazione dell’energia primaria della creazione, che unisce senza legare, stimola senza sovreccitare, 9
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separa senza isolare, indirizza l’attenzione verso la vita e l’amore che abbiamo nel cuore, produce chiarezza mantenendo vivo l’interesse e ci stimola e risveglia lo sviluppo di ogni sorta di potenzialità.
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Prima parte GUIDATI DA BUONI PRINCIPI UNIFICANTI di Salvatore Fabrizio Olismo, “chi era costui”? Nella nostra lingua italiana, figlia del latino e nipote del greco, sono presenti diverse parole che rimandano a questa discendenza. Parole che cercano di restituire alle nostre aspirazioni di comprensione la possibilità di fare riferimento a secoli di una storia oggi forse messa da parte, come sopravvivenze di una lingua morta non più in grado di competere con la rapidità, semplicità e sintesi della nuova lingua inglese universale. Ebbene, se la parola olismo (dal greco olos, intero, totalità) ci rimanda, nel nostro caso, al significato di comprendere l’uomo nella sua interezza, costituita dalla perenne connessione (nel tempo, ovvero fin dalla nascita) tra la sua parte materiale (il corpo fisico), non materiale (mente, coscienza, emozioni, spiritualità) ma anche ambientale (relazioni e rapporti interpersonali ma anche contesto familiare e sociale in generale), risulta oltremodo vantaggioso provare ad approcciare l’argomento delle discipline olistiche con lo stesso spirito unificante, cercando, cioè, gli elementi di unità e coerenza, piuttosto che il contrario, soprattutto quando questo contrario risponde ad altri principi. Se alla parola olismo colleghiamo il verbo “divulgare” (di derivazione latina, letteralmente di(s)vulgare “in diverse parti 11
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parlare tra il volgo”, quindi far comprendere a tutti, operazione assolutamente non banale), prendiamo atto finalmente che forse, paradossalmente, l’intento divulgatore di noi olistici non è sempre rintracciabile con facilità. Digitando le parole “tecnica o disciplina olistica” su qualsiasi motore di ricerca è facile incrociare miriadi di esempi che forse ci aiuteranno a comprendere meglio cosa intendiamo. Oltre a qualche rara eccezione di mappe olistiche (dove spesso l’unico ordine è quello alfabetico), per il resto ci troviamo di fronte a manuali (completi o in parte), a guide, ma anche a testimonianze ed esperienze personali che ci propongono uno scenario olistico tanto ricco di dettagli quanto oggettivamente dispersivo e polverizzato per quante sono le tecniche, le scuole, gli istruttori e i maestri che se ne fanno promotori. Le discipline vengono presentate singolarmente, spesso come esperienze esclusive ed uniche, con un impatto proporzionale alla forza e alla popolarità del maestro. Tutto questo comporta il rischio che si ingeneri in chi legge, in chi si avvicina, una certa confusione tra una disciplina ed un’altra, soprattutto quando uno stesso fenomeno o processo vengono descritti con parole diverse a seconda della disciplina che lo tratta. Si ha come l’impressione che non venga considerata né incoraggiata una comprensione effettivamente consapevole della singola disciplina in relazione alle altre discipline della famiglia olistica, e che si preferisca parlarne come se si trattasse di qualcosa a sé stante, scollegato da qualsiasi intento di comparazione (se non in termini competitivi impliciti) e di relazione (le discipline come 12
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parti di un insieme coerente, che fa riferimento a principi e visioni correlate). Eppure, se mettiamo a confronto le principali tecniche olistiche, la loro storia ed i principi su cui si basano, ci accorgiamo che esistono talmente tanti elementi in comune che dovremmo convincerci tutti che è ormai giunto il tempo, anche qui in Occidente, di provare a mettere un po’ la testa sul tema degli studi comparativi, della consapevolezza diffusa dei principi unificanti e, così, provare ad impegnarci, al di fuori della nostra utilità personale, ad essere operatori equilibrati di un processo di divulgazione corretta di questo meraviglioso universo olistico, composto da pianeti e satelliti facenti tutti riferimento allo stesso sole1. L’aumento dell’interesse nei confronti della medicina complementare e delle discipline olistiche Il 29° Rapporto Italia di Eurispes riferito all’anno 2017 afferma che in Italia è raddoppiato il numero di persone che utilizzano le medicine non convenzionali (area vasta dell’universo olistico, composto da omeopatia, fitoterapia, osteopatia, agopuntura e chiropratica, ed altro ancora), passando da 6 milioni del 2000 a 12 milioni di oggi, mentre in Europa sono 100 milioni2. 1 Il sole in quanto principio unificante. Riportare il sistema olistico in relazione a questo principio unificante non può avvenire se non partendo con umiltà da studi seri, affidandosi a fonti credibili e verificabili, raccogliendo e diffondendo evidenze empiriche ma anche cliniche accessibili e conoscibili e non chiuse nelle scatole delle credenze esclusive o retaggio di pochi eletti. 2 Per chi vuole approfondire: http://www.eurispes.eu/content/eurispesrapporto-italia-2017-comunicato-stampa
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Anche nella nostra esperienza personale, la quotidianità ci parla, accanto a quello delle medicine non convenzionali, di un uso tanto diffuso quanto, in certi casi, invisibile e difficilmente “censibile”, delle discipline non convenzionali, come lo Shiatzu, la Floriterapia (i fiori di Bach o anche australiani), di un avvicinamento a discipline orientate al rilassamento, al benessere emozionale e all’evoluzione spirituale, come lo yoga, la meditazione o a quelle prima etichettate come esoteriche o iniziatiche (o addirittura eretiche, come il Reiki). Alcune arti classiche (come il teatro e la musica) si sono rivelate veri e propri laboratori olistici in continua evoluzione e nella loro composizione sono stati rinvenuti elementi in grado di determinare effetti benèfici importanti a livello psicologico e relazionale nei praticanti, fino al punto da creare dei veri e propri spin-off codificati, come Musicoterapia e Teatroterapia. E mentre tutto questo accade, parti della medicina e della scienza ufficiali cominciano a interessarsi al fenomeno, a porsi delle domande, ad avviare protocolli sperimentali sulla efficacia di questi metodi, ad impegnarsi, quando animati dalla spinta al bene comune, a comprovarne o confutarne la capacità di intervento sul benessere della persona. In questo scenario, un atteggiamento aperto al confronto potrà consentire prima di tutto in noi e di conseguenza in chi a noi si affida, la comprensione del significato di quello che gli stiamo dando e in quale sistema teorico questo significato trova basi, argomenti, riferimenti ed analogie (e quindi non solo riconoscibilità epistemologica ma anche riconoscimento e disvelamento diffusi) con altre discipline, 14
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che solo per il fatto di non conoscerle o praticarle noi, non necessariamente sono sbagliate. Alla fine, a decidere se una disciplina è migliore di un’altra non sarà il suo maestro, istruttore o portatore di interesse, ma il dato oggettivo che ne evidenzia la funzionalità e l’efficacia. In verità, anche questa abitudine di attribuire valori assoluti ad una disciplina o ad un metodo non convenzionale è figlia della contrapposizione tra concezione occidentale e “l’altra concezione”, di cui parleremo ampiamente in queste pagine. Non so se esistono operatori alla stregua di esecutori finali di tecniche olistiche. Consideriamo questo un rischio teorico, convinti di esserne tutti preservati, proprio perché ispirati dal dovere di conoscere quello che si propone, evitando così il rischio di uno schiacciamento dell’attenzione alla propria pratica, al trattamento secco, al dominio della tecnica, che lascerebbe in una dimensione marginale l’importanza della sua base teorica, che si acquisisce soprattutto con lo studio, la pratica e con l’aggiornamento continuo e il confronto con altri operatori, anche di discipline diverse. Oggi si presenta, più che in ogni altra epoca, la necessità di essere pronti ad affrontare (possibilmente uniti e coesi) una fase storica già parzialmente cominciata, nella quale il sistema culturale (o movimento) olistico dovrà dialogare necessariamente con la cultura scientifica convenzionale. Altrimenti il primo rischierà di vedersi scippate le proprie prerogative proprio nel momento in cui la seconda deciderà di verificarne seriamente la validità. 15
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Si capisce bene che questo dialogo non potrà più basarsi sull’approccio rivendicativo (con tentazioni di complottismo) da una parte e su quello da “religione scientista” dall’altra. Consideriamo questi dei punti di partenza, lo stato dell’arte oggi. Ma con la consapevolezza che questo non è un dialogo, ma più precisamente, rimane un prendere reciprocamente le distanze. Fin dai primi incontri con le discipline complementari3 ho avuto l’impressione di camminare su strade apparentemente diverse tra loro, ma che conducevano tutte verso la stessa direzione. O almeno, che miravano a quella direzione. Al di là dei nomi, al di là della predilezione di un aspetto rispetto ad un altro all’interno dei singoli approcci, al di là della terminologia utilizzata, con lo studio e la pratica è apparso sempre più chiaro che queste vie, escludendo chiaramente quelle che non sono credibili neanche agli occhi di un olistologo convinto, hanno tutte in comune una concezione unitaria dell’uomo, a più dimensioni (corpo, mente e spirito, per sintetizzare) tra loro connesse ed intercomunicanti attraverso una fenomenologia chimica, fisica, elettrica e quindi più sottile, di tipo informazionale ed energetica. Individuare queste dimensioni e le loro interazioni è assimilabile alla “scoperta” di porte di accesso, di varchi necessari per intervenire anche dal punto di vista 3 Anche se attraverso una porta esterna, quella del T.A., che la “psicologia convenzionale” considererebbe blasfemo inserire tra le discipline “scientifiche” con caratteristiche olistiche. Eppure nella constatazione della ideoplasìa (di cui si parla in seguito) ho riscontrato fin dall’inizio una estrema somiglianza tra il modello interpretativo di Shultz e le numerose teorizzazioni incontrate, successivamente in discipline/tecniche che fanno riferimento al potenziale di trasformazione (l’ideoplasìa sintetizza “il pensiero che diventa forma”) insito, ma spesso silente, in ognuno di noi.
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dei bisogni fisici e psicologici della persona. La medicina convenzionale, storicamente, prima con l’utilizzo delle sanguisughe4 (fino alla prima metà del 18005), poi con i farmaci e attraverso l’utilizzo di tecnologie ed interventi sempre più sofisticati, da sempre entra principalmente dalla porta chimica e fisica del paziente. Questa caratteristica ha creato una contrapposizione con chi invece provava ad intervenire entrando da altre porte (aprendo ed esplorando campi di intervento diversi). Semplificando, preferire l’una o l’altra porta di accesso ha fatto la differenza tra medicina occidentale (convenzionale, dominante, universitaria e ospedaliera) e medicina complementare. Una differenza che con il tempo ed il consolidarsi della concezione materialistica (fisica, biologica e molecolare) dell’individuo, ha fatto in modo che l’immaginario collettivo facesse cadere nell’oblìo, almeno ufficialmente, migliaia di anni di storia (medicina tradizionale cinese, medicina ayurvedica e non solo), determinando uno spartiacque molto forte tra la scienza medica ufficiale e quell’altra (a volte neanche individuata come metafora, ovvero con completezza, quanto come metonimia, focalizzandosi su una sua singola parte per descrivere il tutto, a seconda del bisogno di delegittimazione)... sempre più relegata all’ambito 4 L’uso di sanguisughe trovava la sua base scientifica nella concezione della malattia come conseguenza di un qualche tipo di avvelenamento, per cui bisognava ripulire il sangue del paziente. L’altro rimedio dominante era, infatti, la purga. 5 Cfr. “Solo nel 1827 la Francia importò 33 milioni di sanguisughe, perché a forza di dissanguare pazienti, la riserva di quelle locali era stata esaurita”, tratto da Un altro giro di giostra, viaggio nel male e nel bene del nostro tempo di Tiziano Terzani, Longanesi, Milano 2004
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esoterico, para-psicologico, pseudo-magico, concedendo ad una certa parte delle concezioni olistiche di avere un domicilio presso strade alternative, in vere e proprie sottoculture, alcune delle quali, accompagnate, in diversi casi, anche dall’utilizzo di sostanze psichedeliche, sono finite con l’essere identificate con la New Age. Basti ricordare che la meditazione trascendentale, oggi praticata anche da importanti opinion leader (in primis David Linch), è diventata “famosa” in Occidente grazie ai Beatles, che ebbero modo di conoscerne il fondatore, Maharishi Yogi6. Modelli a confronto Certo, si tratta di una semplificazione estrema, ma forse aiuta a rendere l’idea di una frattura che è stata determinata tra due concezioni della medicina, che ancora oggi resiste (sempre in un immaginario collettivo sostanzialmente distratto, che viene chiaramente stimolato, esplicitamente o meno, ad optare, ma solo nel momento del consumo finale, tra le due concezioni), nonostante tutto. Questa frattura non è stata però mai lineare e chiara, ha agito nel sotto-bosco della cultura dominante ed ha avuto anche dei paradossi storici: basti pensare che l’omeopatia, anche se nata in Occidente grazie a Samuel Hahnemann7, fu in Oriente, ed in particolare in India (!) che ottenne il primo vero riconoscimento. Qui, nel corso degli anni ’70 fu inserita 6 Maharishi Mahesh Yogi (1918-2008), mistico e filosofo indiano. Va ricordato che George Harrison, tra i Beatles il più affascinato dall’Oriente, termino la propria esperienza con l’LSD proprio grazie alla pratica costante della meditazione trascendentale. 7 Samuel Hahnemann (1755-1843), medico tedesco considerato, a ragione, il fondatore dell’Omeopatia
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tra i sistemi ufficiali della medicina… mentre in Occidente dilagava, appunto, la New Age… Come se, l’Occidente, non trovando validi motivi per dimostrare scientificamente l’efficacia dell’omeopatia e degli altri metodi, tecniche e discipline difficilmente inquadrabili e/o dimostrabili attraverso un unico paradigma dominato dalla relazione, deterministica e riduzionista, di causa-effetto, gli avesse comunque concesso un minimo diritto di cittadinanza, sotto forma di pratica alternativa, non ufficiale, per pochi proseliti orientaleggianti. Ma era il modello meccanicistico e la sua concezione dell’uomo come organismo biologicamente determinato, a rendere complicata la dimostrabilità di tutto quello che non rientrava nei suoi codici e canoni interpretativi. Nel caso dell’omeopatia ma anche, ad esempio, dei Fiori di Bach8, in che modo un ricercatore (biologo o chimico) avrebbe potuto rinvenire un minimo rapporto di causaeffetto tra le poche gocce di sostanza diluita in acqua9 e il 8 Edward Bach (1886-1936), medico inglese cui si deve la “scoperta” del “potere curativo” dei rimedi floreali (ne individuò 38) che portano ancora oggi il suo nome. 9 Silvio Garattini ha dichiarato in diverse interviste, che “Nei preparati omeopatici non c’è alcun principio attivo: sono proprio acqua fresca”. Rispondono Simonetta Bernardini, Presidente SIOMI, Antonella Ronchi, Presidente FIAMO, Marisa Certosino, Presidente A.P.O. Italia, Associazione Pazienti Omeopatici: “I farmaci omeopatici sono presenti sul mercato in diverse diluizioni. Garattini sa certamente che il 70% dei medicinali omeopatici in commercio a livello mondiale è a concentrazioni molecolari. Dovrebbe altresì sapere che in una diluizione 5CH di un medicinale omeopatico si agitano miliardi di molecole di principio attivo. Dovrebbe conoscere di un nuovo filone della farmacologia, la farmacologia delle microdosi e aver letto, inoltre, che esistono conferme scientifiche di attività anche per i medicinali ultralow o privi di molecole.” Fonte: http://www. vandaomeopatici.it/it/dibattito-omeopatia/
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suo effetto terapeutico? In nessun modo, a meno che non consideriamo che nell’essere umano (nel paziente), oltre alla reazioni chimiche molecolari, agiscono altre componenti che, di lì a poco (ma in verità anche prima, ma non ancora con una forza in grado di pervadere sia l’immaginario collettivo che la scienza prevalente e farmaceutica) l’epifania della fisica dei quanti (ed i suoi correlati) in Occidente, confermando le intuizioni dei maestri spirituali d’Oriente e non solo, avrebbe finalmente permesso di rintracciare nella dimensione sottile, informazionale ed energetica dell’essere umano. Senza la considerazione di questa dimensione, anche in presenza di effetti lampanti, non era possibile individuarne la causa, poiché non esisteva un modello che la concepisse. Quindi il funzionamento del rimedio non poteva essere dimostrato (ovvero spiegato attraverso un paradigma consolidato). Un po’ come quando, camminando lungo un viale illuminato da un unico lampione, che disegna una traiettoria retta davanti a noi, perdiamo l’accendino che finisce nella zona non illuminata e scura. In quel caso, considerando reale e “sicura” solo la porzione di strada illuminata, decidiamo di non cercare il nostro accendino, pur essendo consapevoli che sta lì, nella parte oscura. Oggi accade che l’umanità non è ancora diventata completamente consapevole della quantità e qualità dei mutamenti di modelli interpretativi della realtà (di tutte le cose visibili ed invisibili) collegati alla l-e-n-t-i-s-s-i-m-a affermazione e diffusione della fisica quantistica. Oggi il termine stesso è diventato una sorta di totem utilizzato 20
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come spauracchio, come un libro-chiave di cui però si conosce solo il titolo o poco più, come elemento sintetico giustificativo alla base di un metodo piuttosto che di un altro. Io non sono un fisico. Sono un sociologo curioso e come tale quello che ho imparato della fisica quantistica lo devo a quei pochi fisici o ricercatori di campi collegati, che nella piena comprensione e dominio della materia, si sono umilmente posti il problema della sua intellegibilità e divulgazione. “Tuttavia, ci avvertono Alexander Loyd e Ben Johnson, non aspettatevi di trovare una grande comprensione della fisica quantistica fra il pubblico o perfino fra gli educatori. Io recentemente (e siamo nel 2012) ho dato uno sguardo al libro di scienze di seconda elementare di mia figlia e le stanno insegnando la stessa fisica newtoniana che insegnavano a me quando frequentavo la seconda, quarantacinque anni fa. Il dramma è che perfino allora si sapeva già che quella teoria era superata”10. Oggi ci sarebbero tutti gli elementi per poter convincere la ricerca con la erre maiuscola ad integrare ed estendere i propri paradigmi oltre il modello meccanicistico, ma sembra che questo accada con una lentezza sospetta. Estremamente, nella ricerca medica e clinica ufficiale accade che quello che non rientra nei modelli ufficiali di interpretazione dei fenomeni della realtà, non venga considerato “argomento serio e scientificamente rilevante”. Da qualche tempo, però, si è aperto un varco tra i due estremi, con il risultato che ci sono sempre più ricerche 10 Alexander Loyd, Ben Johnson - Il Codice della Guarigione - The Healing Code - Macro Edizioni 2012.
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rigorose e serie in grado di produrre una estesa casistica, per spiegare la quale non può più bastare la “liquidazione” superficiale sotto la denominazione di metodi non verificabili. E tutto questo anche grazie all’avvento di strumenti di rilevazione e misurazione fino a poco tempo fa neanche immaginabili. Certo, bisogna ammettere che si tratta di un dialogo difficile. Da una parte i laboratori di ricerca, i numeri dell’evidenza e della rilevanza statistica, dall’altra concetti “sottili” e poco propensi alla comprensione e definizione in vitro, come chakra, frequenze o ki. Riportare automaticamente questi ultimi nel campo sperimentale con l’illusione di dargli una spiegazione scientifica (e quindi una validazione o il suo contrario) attraverso l’applicazione del modello meccanicistico di causa-effetto, non porterà ad alcun tipo di risultato se non a quello dell’ampliamento della frattura tra le due concezioni. Quello che oggi manca, o è solo agli albori, è il riconoscimento da parte della “cultura occidentale” di quel retroterra teorico che consente di dare una spiegazione logica (ovvero che faccia riferimento ad una teoria acquisita dalla comunità scientifica) di questi effetti: in mancanza di quel riconoscimento, continuerà a prevalere l’interpretazione esoterica, sulla quale i ricercatori, tranne che in piccolissima minoranza, non saranno mai disponibili a metterci la faccia (e la firma). Ma il retroterra teorico esiste e così una vasta casistica disponibile: è compito della scienza occidentale fornirne “le prove” con il proprio sistema sperimentale non limitandolo al solo paradigma meccanicistico ma aprendo la strada ad altri modelli interpretativi dei fenomeni della realtà. 22
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Un nuovo linguaggio per una vera integrazione Una spinta alla pacificazione ed allo sviluppo di concezioni comunicanti piuttosto che contrapposte, può venire anche dalla questione del linguaggio in uso. Utilizzando le parole ed i termini appropriati potremmo anche assistere ad un disvelamento semantico profondo, come viene auspicato da diversi autori. Invece di continuare a definirle medicine contrapposte, sarebbe opportuno arrivare alla loro definizione partendo dall’ ”oggetto” al centro dell’interesse dell’una e dell’altra, ovvero dall’uomo, nel quale sussiste un continuum fenomenologico che va dal fisico, chimico fino al sottile (energia, biofotoni, scambio informazionale, relazionale e così via), per notare che, rispetto a questa composizione, le varie discipline si differenziano per il fatto di propendere, a livello diagnostico ed interventistico, per una componente piuttosto che un’altra. Meglio sarebbe se all’interno di una visione integrata di tutte le componenti, e non solo di una. Una visione integrata dell’uomo ha come risultato una serie di risposte integrate, complementari e non contrapposte. Si guardi all’esperienza, unica nel suo genere, del Centro Ospedaliero di Medicina Integrata dell’Ospedale di Pitigliano in Toscana, dove i “medici ortodossi e i medici esperti di anche nelle medicine complementari, lavorano insieme fianco a fianco e senza alcuna supremazia di un operatore sull’altro”11. In questo centro, accanto ai medici convenzionali, operano medici esperti in omeopatia, 11 Così riporta Simonetta Bernardini, fondatrice del centro in una recentissima intervista di Marianna Gualazzi su Scienza e Conoscenza n.61, Luglio-Settembre 2017 - Edizioni Macro.
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agopuntura e fitoterapia. Un po’ come accade, da diverso tempo però, in diversi ospedali degli Stati Uniti, dove le equipe mediche sono “integrate” dalla presenza di operatori Reiki e non solo12. Non più la contrapposizione: o il farmaco chimico o il rimedio omeopatico o il Reiki. L’obiettivo vero, al contrario, è quello di intervenire sul malato, sull’individuo, sulla persona anche, prima di tutto, in un quadro di prevenzione e di promozione della salute, mettendo in campo tutto l’armamentario di cui può essere dotata l’umanità, libera, a quel punto, da guerre di posizione a vantaggio di questa o quella impostazione. Non dimentichiamo che il tema della prevenzione è al centro della Medicina Tradizionale Cinese, al punto che fino a qualche tempo fa i pazienti “pagavano” il medico solo se questi riusciva a farli rimanere in salute. Si tratta, evidentemente, di una prospettiva completamente rovesciata rispetto alle nostre abitudini contemporanee. Dissotterrando il calumet della pace, la persona potrà fare riferimento realmente ad un sistema (emerso e quindi controllabile e verificabile) di prevenzione, di cura e, in generale, di benessere psicologico e fisico, nella certezza che quel sistema sintetizza, integrandolo, il potenziale complessivo in dotazione alla scienza medica e psicologica. E questo non vale, chiaramente, solo per l’omeopatia. 12 Cfr. Elisa Cerruti, PhD, Reiki Master Usui Shiki Ryoho “Il Reiki come CAM - Complementary & Alternative Medicine. Evidenze empiriche della ricerca scientifica dal 1985 al 2012 e diffusione presso strutture ospedaliere nel mondo” - scaricabile dal sito www.reikiinculla.it.
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Un rapporto difficile Più di cinquemila anni di storia, includendo tutto quello che è accaduto nel frattempo in altre culture e civiltà, non possono essere liquidati tout-court come afferenti ad un campo non dimostrabile e quindi non degno di diritto di cittadinanza per l’ortodossia scientifica. Un diverso rapporto con la natura, una spinta economicista totalmente diversa da oggi, una più marcata spiritualità non organizzata in chiese gerarchiche, la prevalenza di una visione dell’uomo in quanto organismo a più dimensioni (fisica, psichica e spirituale) avevano determinato evidentemente un istinto intuitivo che ha in un certo senso messo in piedi una scienza psicologica ed una concezione dell’uomo, della salute e della malattia (ma anche della vita e della morte) molto diversa da oggi. Ed in questo è come se non ci fosse stata l’esigenza di una dimostrazione come conseguenza della ricerca e della sperimentazione da laboratorio. Allo stesso modo, “le conclusioni olistiche della scienza occidentale contemporanea, secondo le quali esiste un profondo legame tra tutti gli esseri viventi, tra la parte ed il tutto, tra noi e l’universo, riflettono l’intuizione delle più antiche filosofie e religioni orientali”13. Intuizioni cui non faceva da eco l’imperativo di dimostrarle, se non attraverso la pratica propria e dei propri adepti (discepoli). L’esigenza di sperimentazione è sacrosanta e fondamentale, ed oltre ad essere medica e scientifica, è anche sociale e culturale, nella misura in cui si pone l’obiettivo della dimostrazione 13 Cfr. Anastasia Miszczyszyn e Alessandra Masseglia in Rei-ki, energia d’amore tra le mani, De Vecchi, Milano 2017.
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della validità di un rimedio, di una disciplina e così via. Ma resta uno strumento e non, come qualche volta appare, un obiettivo. E’ ormai tempo che l’incontro tra Occidente e Oriente superi la sua fase episodica (quando non unicamente contrapposta) e proponga uno scenario dove esaminare, analizzare, sottoporre a verifica rigorosa tutto quanto viene invece liquidato a priori, diventi una sana abitudine della scienza e della cultura occidentale (che è dotata degli strumenti della ricerca scientifica per poterlo fare). E’ chiaro che questo complesso processo di mediazione tra culture molto diverse potrà rendere necessaria anche una certa tolleranza da parte di quella, tra le due, più antica rispetto all’abitudine contemporanea di sintetizzare e tradurre, con linguaggio proprio, millenni di pratiche e storie, così come ha fatto con il Reiki, il Qigong, la pranoterapia, inserite nell’alveo delle ‘Biofield therapies’, termine coniato dagli US National Institutes of Health nel 199214. Ma accade anche che la ricerca scientifica stia dimostrando, oggi in Occidente, la validità di quanto, ad esempio, la MTC pratica da oltre 5 mila anni. Un esempio per tutti. Il Premio Nobel per la Medicina (2015) è stato assegnato ad una ricercatrice cinese (Tu Youyou) che ha sviluppato un “nuovo” farmaco contro la malaria (artemisina). 14 Sono le terapie del biocampo, dove per biocampo si intende “un campo privo di massa, non necessariamente elettromagnetico, che circonda e permea i corpi viventi e li influenza”. Cfr. http://www.laltramedicina.it/ tradizioni-mediche, dove si riporta in bibliografia: Shamini J et al. Clinical Studies of Biofield Therapies: Summary, Methodological Challenges, and Recommendations. Glob Adv Health Med. 2015 Nov; 4 (Suppl): 58–66.
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Fin qui tutto bene. Tranne il fatto che quel farmaco dal nome classicheggiante, in verità non è nuovo per niente: in un testo del 340 a.C. redatto da Ge Hong (“Il manuale di prescrizione per le emergenze”) già compariva come rimedio contro le febbri malariche15. Con questo non si vuol dire che tutti i metodi tradizionali funzionino con la stessa efficacia e per tutti allo stesso modo. Anche questo modo generalista di dire le cose è uno degli effetti della contrapposizione di cui si parla. Visto che la scienza convenzionale e la scienza olistica non sono due monoliti unici e indivisibili, se continueremo a contrapporle genericamente e superficialmente, non riusciremo mai a renderle flessibili ed aperte al reciproco confronto e contaminazione. Così come quando, dal versante opposto, viene fatto notare che neanche tutti i farmaci chimici funzionano sempre e su tutti. Nel tempo, essi vengono soppiantati da altri farmaci, più selettivi, con meno effetti collaterali etc., quasi a lasciare intendere il carattere progressivo della scienza, in questo caso, farmacologica che comunque si basa sempre sullo stesso modello (e nel nostro linguaggio, entra attraverso lo stesso varco). Sappiamo che per arrivare a stabilire che, ad esempio, un farmaco funziona ed è efficace, occorre tempo. Ma anche quando il tempo è arrivato, ed un farmaco viene inserito nella farmacopea, cosa accade? Se continua la contrapposizione, non rifletteremo mai abbastanza sul fatto che neanche la 15 La “notizia”, passata completamente inosservata, l’ha data l’Economist - Fonte Nobel Medicina, vince l’antico medico cinese, da L’Altra Medicina Gennaio 2016, Milano.
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farmacologia ufficiale sia una scienza esatta, in quanto se lo fosse dovrebbe basarsi sul principio della ripetibilità di un determinato dato sperimentale (ovvero “il farmaco funziona sempre e su tutti”). Ma non sembra che vada proprio così. E’ vero invece che un farmaco può differenziare la sua efficacia da persona a persona, in presenza di particolari variabili (tra cui la consistenza e la qualità di quella che viene definita alleanza terapeutica tra medico e paziente, la “forza di volontà del paziente” e non solo), dimostrandosi efficace sul 30% dei pazienti, sul 70% o in percentuali prossime allo zero su altri16. Di conseguenza dovremmo affermare non che il “farmaco funziona scientificamente e a prescindere”, ma che invece funziona o funziona meglio in presenza di ulteriori variabili concomitanti e non per tutti allo stesso modo. Dovremo finalmente affermare che la componente biologica e molecolare non è l’unica che entra in gioco. E dicendo questo non si aspira certamente a mettere in dubbio la farmacologia chimica ufficiale nel suo complesso. Né si può concludere frettolosamente, però, che il mancato funzionamento di un farmaco o il fatto che funzioni meglio per alcuni e meno per altri dipenda dal caso. Non metodi alternativi, ma complementari Prima di tutto mettiamoci d’accordo sui termini, ben consapevoli che le guerre sono anche la conseguenza di incomprensioni determinate dalle parole utilizzate. Per essere coerenti rispetto alla presa d’atto di quel continuum 16 Si legga sempre Valerio Pignotta, op.cit.
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fenomenologico sopra descritto, dovremo auspicare che la cultura dominante modifichi i termini in uso, sostituendo “metodi alternativi” con “metodi complementari”. La questione è seria. Parlando di medicina alternativa si crea anche nel linguaggio17 una contrapposizione, spesso nel silenzio della verità e della logica. Il sistema delle discipline non convenzionali non verrà mai compreso realmente se definito, già nel nome che lo rappresenta, come sistema contrapposto (ovvero alternativo) alla medicina ufficiale (occidentale, convenzionale, allopatica, etc.). E’ sicuramente una tentazione cui spesso cediamo tutti, il considerare la medicina ufficiale avvezza all’uso condizionato dei principi chimici dei farmaci, e definirla per questo la badante sintomatologica dell’umanità. Nello stesso tempo, però, scopriamo che le medicine tradizionali18, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, curano circa l’80 per cento della popolazione mondiale che vive nei paesi in via di sviluppo. Ma dobbiamo sforzarci di andare oltre questo dualismo assolutistico. L’imperterrita contrapposizione tra le due concezioni determina altri effetti deleteri, anche nella sfera delle rappresentazioni collettive delle questioni in gioco. Quando si presenta un qualche malfunzionamento in omeopatia, generalmente il bersaglio della nostra critica non è quasi mai il medico omeopata che ci aveva prescritto il rimedio sbagliato, ma è tutta la medicina omeopatica nel suo complesso che viene screditata e liquidata come 17 Qui Nomen omen . Non è solo una questione di termini. 18 Si intende qui la medicina ayurvedica, la medicina tradizionale cinese, l’erboristeria, la floriterapia, etc.
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metodo che non funziona. Così, allo stesso modo, se un giorno decidessi di frequentare un corso di Rebirthing ed incappassi in un istruttore poco qualificato che neanche mi aiuta a prendere consapevolezza di come funziona e su quali basi teoriche (ma ormai scientifiche) si basa, trascurando gli effetti psicosomatici (come la tetanìa) collegati proprio al suo funzionamento e non preparandomi a gestirne emotivamente gli effetti, a quale conclusione arriverei? Che l’istruttore è incapace o che il Rebirthing non fa per me o, peggio, non funziona? Non è una domanda banale. Luci e ombre Utilizzando un linguaggio metaforico, possiamo dire che chi opera nella medicina ufficiale viva, per la maggior parte, di luce riflessa, mentre per l’operatore olistico la luce ha bisogno di essere alimentata giorno per giorno, proprio perché il clima sociale nel quale tutto questo accade vede la medicina ortodossa rinforzata da un complesso sistema di legittimazione che agisce a livello diretto ma anche più sottile, diventando all’occorrenza una potente macchina da guerra che demolisce, partendo dal caso singolo, la disciplina “nemica” nella sua totalità (che viene in genere raccontata un po’ come in un post su facebook, con superficialità e senza alcuna conoscenza dell’argomento che si vuole distruggere). Nello stesso tempo, però, accade che l’Associazione Nazionale delle Imprese Assicuratrici, in una recente relazione alla Camera (2013), dichiari che ogni giorno in Italia ci sono quasi 90 denunce contro medici e strutture 30
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sanitarie (per episodi di malasanità)19. Qui le denunce non sono contro la Medicina, ma contro i singoli medici o le singole strutture (i casi specifici) in odore di malasanità. La differenza è che questo tipo di dati, in genere, sfugge e non viene restituito alla collettività, come invece accade, con un automatismo impressionante, quando un operatore olistico improvvisato provoca conseguenze deleterie nella persona che gli si era affidata, con il risultato che questa sua improvvisazione rischia, ogni volta, di demolire non la sua singola professione olistica, ma l’intero sistema di discipline di cui fa, indegnamente, parte. La guerra di posizione, in questo contesto sociale (determinato chiaramente da un sistema economico che ha come scopo quello di riprodursi nel tempo) non si combatte, dunque, ad armi pari. Se riflettiamo sul recente dato dell’Osservatorio nazionale sulla sperimentazione clinica, il quale stima che dal 2010 al 2015 appena il 31,3% “delle sperimentazioni cliniche farmacologiche sono state non profit, ossia svincolate da influenze economiche e conflitti di interesse”20, comprendiamo bene di cosa stiamo parlando. Le case farmaceutiche basano i loro bilanci sulla reiterazione del prevalere del modello chimico e biologico dell’essere umano su qualsiasi altro (che viene anche per questo definito alternativo). La case farmaceutiche 19 Fonte: La dittatura sanitaria globale, di Valerio Pignatta, in Scienza e conoscenza, cit 20 Cfr. Dato stimato dall’Osservatorio nazionale sulla sperimentazione clinica. Fonte: La dittatura sanitaria globale, di Valerio Pignatta su Scienza e Conoscenza, macro edizioni giugno settembre 2017.
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(imprese private profit) finanziano buona parte della ricerca clinica e farmacologica. Il clima sociale che ne consegue (non certo casualmente) è quello che vede in moltissime persone talmente consolidata e radicata l’abitudine di ricorrere ai farmaci in caso di dolore e malessere, da non riuscire a concepire l’idea di essere i responsabili principali della propria salute o malattia ma neanche a considerare la possibilità di fare riferimento ad approcci e/o rimedi diversi e meno invasivi. Queste rappresentazioni collettive, comunque, alimentano e nello stesso tempo sono alimentate dalla convinzione che la bilancia penda dalla parte della concezione della malattia come conseguenza di una alterazione di un qualche meccanismo molecolare e che solo attraverso la terapia consistente nell’utilizzo dei farmaci inseriti nel corpo del paziente si può modificare o sostituire la molecola “malata o malfunzionante”. Se ammettiamo che oltre ad essere riscontrabile nella fenomenologia di carattere fisico (molecolare) dell’essere umano, uno stesso fenomeno (uno stesso disagio, condizione, malessere, malattia) si presenta (è riscontrabile e descrivibile) anche a livelli coesistenti diversi (come quello energetico sottile che è, insieme, elettrico21), 21 Cfr. Gary Craig “Un altro pezzetto di evidenza circa l’esistenza di elettricità (energia) nel corpo sono l’elettroencefalogramma (EEG) e l’elettrocardiogramma (EKG), l’EEG registra l’attività elettrica del cervello e l’EKG registra l’attività elettrica del cuore, i relativi strumenti vengono impiegati dalla scienza medica da decenni, sono quelli che vedete nelle serie televisive dove, quando gli strumenti cessano di fare pip, pip, vuol dire che il paziente è morto”. Tratto da Emotional Freedom Techniques, Uno strumento universale per l’arte dell’autoguarigione - Manuale Originale EFT di Gary Craig (1993) - Parte I.
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allora potremmo provare ad invertire il ragionamento, senza velleità sostitutive o alternative ma semplicemente integrative e complementari, prima di ostruire le vie del dialogo con i grumi delle reciproche convinzioni e rigidità. Nuovi strumenti scientificità
al
servizio
dell’esigenza
di
Fino a qualche tempo fa, la definizione di cervello non andava molto lontana da quella che lo identificava come una massa pensante e percepire il miglioramento della propria condizione psicofisica a seguito di un trattamento ad opera, ad esempio, di un Floriterapeuta o di un Reikista veniva interpretato come la conseguenza dell’effetto placebo22 e della suggestione e non come risultato ascrivibile e descrivibile nella fenomenologia di un sistema di circolazione addizionale a quello ematico-venoso. Eppure tra le tecnologie mediche riconosciute sia a livello diagnostico che terapeutico ce ne sono ormai diverse che utilizzano differenti forme di energia che agiscono nell’organismo. Basti ricordare i Raggi X, la risonanza magnetica, ma anche le cosiddette misure passive dei campi (elettrici) prodotti dal corpo, tra i quali l’elettrocardiogramma, l’ elettroencefalogramma, l’elettroretinogramma, l’ elettromiogramma, e così via23. 22 Cfr. più avanti il paragrafo L’attivazione del potenziale di trasformazione insito nella persona, dove viene proposta una diversa rappresentazione dell’effetto placebo e dei suoi derivati. 23 Si legga Science and The Human Energy Field di James L. Oschman, Ph.D. Reiki News Magazine, Vol 1, Issue 3, 2002.
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Al pari di questi sistemi, è possibile rintracciare qualcosa di simile, che consenta di registrare, tracciare e misurare il fenomeno della circolazione energetica sottile? A questa domanda, era necessario “rispondere” con una serie di studi sperimentali rigorosi, che finalmente sono arrivati, grazie alla tecnologia oggi disponibile, interessando da più di 3 decenni diversi scienziati (John Zimmerman, Seto, Robert Becker, ed altri riportati in seguito, solo per citarne alcuni24). Grazie all’uso di sensori di nuova generazione, in grado di “registrare” la fenomenologia delle “onde cerebrali” e le loro frequenze vibrazionali, queste ricerche hanno fornito una descrizione (registrabile e documentabile sotto forma di tracciati verificabili oggettivamente, al pari dell’elettroencefalogramma, per capirci) ai miglioramenti dichiarati dalla persona che aveva ricevuto il trattamento. In particolare, John Zimmerman, con le sue ricerche, fin dal 1998 documentò che nel corso di un trattamento Reiki le onde cerebrali del praticante e del ricevente si sincronizzavano nello stato Alfha, caratteristico del rilassamento profondo, della meditazione e dell’analgesia, pulsando all’unisono con il campo magnetico terrestre (Risonanza Schuman). Grazie a questi primi studi (e ad altri successivi) risultò evidente che l’azione primaria del Reiki consiste nella emissione di biofotoni25 cerebrali e 24 Una interessante bibliografia è rintracciabile nel numero di Summer 2009 del Reiki Times, la rivista del IARP. © Associazione Internazionale di Reiki Professionals. 25 Rispetto alla massa (nucleone), il fotone è energia. “Se io prendo la massa e la comprimo tutta, il resto è energia. Se io concentro tutta la massa in un
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dall’onda informativa delle simil-alpha. Questa emissione stimola per biorisonanza l’attività cerebrale e organica del ricevente. In questo modo l’attività elettromagnetica del DNA – RNA dei neuroni cerebrali delle cellule alterate del ricevente viene riattivata dall’Operatore Reiki con un’azione di biorisonanza trasmessa per induzione. La biorisonanza è un concetto chiave della scienza olistica. Con esso si identifica un vero e proprio sistema/modello terapeutico di tipo energetico. Alla base di questo modello c’è la concezione multilivello della persona, a più strati in intima correlazione tra loro. Attraverso il processo di biorisonanza il terapeuta entra in relazione con le frequenze delle cellule del paziente, riportandole ad un equilibrio ottimale, corrispondente a quello “di salute”. Ma perché non accade il contrario? Perché non sono le frequenze del paziente a “contagiare” e modificare quelle del terapeuta? Gli studi di Zimmermann avevano evidenziato che nel corso dei trattamenti, il campo biomagnetico dei Reikisti era almeno mille volte più esteso del normale, senza che questo avesse alcuna relazione con la corrente del corpo interno. In questo modo, essendo più esteso il suo campo “nucleone” tutto il resto è costituito da fotoni ovvero energia. Che rapporto c’è tra materia ed energia? Carlo Rubbia ha dimostrato che il rapporto quantitativo tra nucleoni e fotoni, ovvero Energia/Massa = 1 MILIARDO. Questo vuol dire che la materia del mondo visibile è soltanto la miliardesima parte della realtà!” cfr. Giovanni Vota | Scienza e Fisica Quantistica su http://www.scienzaeconoscenza.it
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biomagnetico (e quindi il livello energetico-vibrazionale) il reikista riesce a portare il campo biomagnetico del paziente allo stesso livello, coerentemente ad una delle principali leggi della Fisica Quantistica che enuncia: “una frequenza energetica maggiore, che entra in contatto con una frequenza energetica minore, influenza la condizione vibrazionale dell’energia più piccola”. In sintesi, la stessa fenomenologia bioenergetica viene descritta: - dalla persona trattata, che riferirà a parole sue di aver percepito una sensazione di benessere psico-fisico o di non avere più “quel fastidioso mal di testa”, - dall’osservatore/ricercatore, che identificherà e documenterà con le parole della scienza l’insieme dei processi vibrazionali sopra esposti come fattori della rigenerazione cellulare stimolata dalle onde dei biofotoni, - dall’operatore Reiki, che, riferendosi al principio dell’influenza vibrazionale, dirà di aver riportato le frequenze del ricevente allo stato di benessere originario, - dal fisico quantico, che descrivendo il fenomeno con un nuovo paradigma interpretativo parlerà del meridiano come di una forma particolare di dominio di coerenza, che attivandosi (con il trattamento) “diviene via di trasmissione di informazioni e di energia, che aumentano la coerenza del sistema, e tutto ciò è sinonimo di salute”26. 26 Cfr. Patrizia Stefanini, fondatrice e direttrice dell’istituto europeo di
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E’ come se, nel descrivere una condizione, uno stato, applicassimo un linguaggio composto di termini e di parole “a strati”: il primo strato è quello della percezione soggettiva, il secondo quello della ricerca scientifica, il terzo quello tipico della disciplina specifica, e così via. Una stessa sequenza di parole, ad esempio, rilassamento psico-fisico non viene solo “dichiarata” da chi la esperisce, ma viene anche rilevata attraverso nuovi modelli di misurazione tracciabili (ad es. onde energetiche in equilibrio funzionale), e spiegata con una nuova base teorica (ad es. fisica dei quanti). Un altro riferimento importante a proposito della necessità di portare prove tangibili dell’esistenza di questi canali energetici addizionali è quello dell’AMI (Apparatus for Measuring the functions of the meridians and corresponding Internal organs27), realizzato nella seconda metà degli anni settanta del secolo scorso da Hiroshi Motoyama28. Si tratta di uno strumento in grado di diagnosticare lo stato funzionale di ogni organo interno e la condizione di equilibrio del sistema nervoso autonomo nel corpo, attraverso la misurazione delle caratteristiche elettriche dei dodici meridiani principali. La misurazione avviene applicando sulla pelle ventotto elettrodi sui “punti Shatzu di Milano e Firenze, in Schiatsu, Fisica quantistica e autoguarigione – di Francesca Rifici – Scienza e Conoscenza, Rivista trimestrale di scienza indipendente – Macro Edizioni Luglio/settembre 2017. 27 Trad. Apparecchio e metodo per misurare la condizione dei meridiani e gli organi interni corrispondenti del corpo vivente. 28 Hiroshi Motoyama (1925- 2015), parapsicologo giapponese, scienziato, istruttore spirituale e autore, fondatore dell’Istituto californiano per la scienza umana. Tra le pubblicazioni più conosciute: Theories of the Chakras: Bridge to Higher Consciousness, New Age Books 4 edizione 2003.
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di entrata” di ogni meridiano. Utilizzando questo strumento su oltre cinquemila soggetti, il ricercatore giapponese ebbe modo di rilevare che ad una disarmonia elettrica misurata dall’apparecchiatura per uno specifico meridiano, corrispondeva la presenza di una disfunzione nell’organo a quest’ultimo associato, dimostrando un evidente legame tra la malattia (dolore, mal funzionamento di un organo, etc.) e la cattiva circolazione dell’energia sottile. Ma non ci sono solo i sensori di nuova generazione a produrre prove e riscontri oggettivi utili a descrivere certi fenomeni (invisibili a occhio nudo ma percepibili come sensazioni psichiche, emotive e anche fisiche). Il prof. K. Korotkov29 ha inventato uno strumento che analizza lo stato energetico a livello fisico, psicologico, emotivo e spirituale, oltre che il livello di chakra, organi ed apparati. Si tratta del Gas Discharge Visualization (GDV), che consente di realizzare delle vere e proprie istantanee del campo energetico di una persona, permettendo di monitorare, ad esempio, l’andamento di un percorso terapeutico intrapreso da un paziente attraverso una vera e propria misurazione del suo stato energetico. Attraverso la 29 Konstantin Korotkov, professore di Fisica al Politecnico di San Pietroburgo in Russia, vanta oltre 70 lavori pubblicati sulle principali riviste scientifiche e 12 brevetti su invenzioni di biofisica. Tra questi, il GDV, il visualizzatore a scarica di gas, che consente di visualizzare la distribuzione del campo energetico umano per mezzo di uno speciale sistema di elettrodi posti sulla punta delle dita (in perfetta coerenza con la medicina tradizionale cinese ed ayurvedica, per le quali proprio sui polpastrelli è possibile riscontrare tutte le corrispondenze del nostro corpo).
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bioelettrografia (il risultato tangibile del GDV), è possibile misurare, mediante il riscontro visivo della distribuzione dell’energia nell’organismo, gli effetti di varie tecniche terapeutiche di tipo energetico. Il GDV, frutto di studi condotti per oltre un ventennio, viene considerato uno strumento estremamente affidabile ed in grado di rendere visibile il cattivo funzionamento del corpo (ad esempio di determinati organi) prima dell’insorgere della malattia fisicamente percepibile sotto forma di sintomi o malesseri. Proprio per questo potenziale, lo strumento può essere visto come una importante arma al servizio della prevenzione e della promozione della salute in generale. E’ utilizzato correntemente negli ospedali russi. Potremmo definirlo un simil-Byosen: anche in questo caso, la tecnologia contemporanea, attraverso lo strumentario oggi disponibile, è in grado di conferire prove e riscontri scientificamente rilevanti alle intuizioni dei fondatori orientali. Byosen, nella Disciplina Reiki, è la tecnica della scansione energetica, collegata all’intuito del reikista, che entrato in armonia con la persona trattata, si affida alle proprie percezioni energetiche per poter individuare la parte del corpo che ha bisogno di essere trattata. Anche altre discipline bio-energetiche conservano questa connotazione “diagnostica” legata ad una dimensione percettiva ed intuitiva dell’operatore. Più questa è sviluppata, più le sue diagnosi si avvicinano alle performance fotografiche del GDV. E se ammettiamo che la malattia prima di manifestarsi a livello fisico è captabile come carenza energetica a livello cellulare, ben vengano sia l’intuizione dell’operatore che l’istantanea dello strumento 39
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tecnologico. Vie diverse, stessa direzione. Un campo di applicazione del GDV è anche il Rebirthing30. Le misurazioni effettuate hanno confermato che l’energia convogliata nel corpo attraverso la pratica di una sessione di 40 minuti di respirazione circolare, produce un effetto di riequilibro generale del livello energetico del soggetto, una diminuzione del livello di stress e un riallineamento dei chakra, inducendo uno stato di maggior benessere psicofisico31. Vale, infine, la pena di ricordare, fra i nuovi sistemi o strumenti di misurazione di energie sottili, lo studio effettuato dai ricercatori dell’Università di Pechino32, finalizzato a “misurare” una particolare sensazione percepita dalle persone trattate con l’agopuntura. La sensazione, che nella MTC viene denominata Deqi, letteralmente “l’arrivo del qi”, si manifesta sotto forma di formicolìo, sensazione di calore, distensione, intorpidimento o pesantezza, quando i pazienti stanno rispondendo al trattamento. 30 Leonard Orr è il fondatore del movimento chiamato Rebirthing, un metodo naturale, olistico, che consente di liberare il respiro, entrando in contatto diretto con la propria energia vitale. Per approfondimenti: Leonard Orr e Konrad Halbig Il Libro del Rebirthing, l’arte del respiro consapevole - Edizioni Mediterranee, Roma 1° edizione 1996. 31 L’esperimento viene riportato in un articolo pubblicato su www.solaris.it – Concludono gli autori “Sarebbe interessante monitorare questi risultati nel tempo, soprattutto con riferimento ad un intero ciclo di sedute di Rebirthing ed a soggetti che presentano situazioni specifiche diverse, ma la strada alla sperimentazione sugli effetti del Rebirthing Breathwork è aperta e, grazie al GDV, sarà ora anche documentata.” 32 Jia-Min Yang et al, Evid Based Complement Alternat Med. 2014; 2014: 595963 (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3934096/) fonte: http://www.laltramedicina.it
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Avendo notato che praticare l’agopuntura intensamente determina un aumento della temperatura lungo i meridiani, i ricercatori hanno provato a misurarla con l’ausilio di una apparecchiatura ad infrarossi ed i risultati hanno confermato una correlazione tra la stimolazione intensa di un determinato punto (acupunto) e l’aumento di temperatura lungo tutto il meridiano corrispondente (che quindi esiste). Verso una nuova visione In generale, si può affermare che rispetto a diversi anni fa, l’attenzione da parte della scienza e della ricerca occidentali sul funzionamento di questi flussi energetici invisibili (non rientranti in un paradigma classicamente organicistico) è aumentata notevolmente ed ha prodotto risultati ed evidenze fino a poco fa insperati33, anche in considerazione del riferimento alla sussistenza di un sistema circolatorio addizionale (rispetto a quello venoso). Tutto questo fa ben sperare in merito alla prospettiva di un superamento da parte della medicina occidentale dell’uso esclusivo ed escludente del metodo dell’indagine clinica biochimica per la diagnosi del funzionamento degli organi interni e delle relative malattie. Parlando di riscoperte o conferme di antiche intuizioni e concezioni attraverso l’ausilio della ricerca scientifica 33 Cfr. R.O. Becker, G. Selden The body electric, Morrow New York 1985, ma anche B. Nordenstrom “Biologically closed electric circuits: clinical, experimental and theoretical evidence for an additional circulatory system”. Ed. Nordic, Stoccolma, 1983.
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contemporanea, l’aumentato interesse nei confronti dell’esplorazione del collegamento tra queste energie e la salute è sfociato in una vera e propria scienza di ultima generazione, la psiconeuroimmunologia che, in sintesi, parte dal principio che la correlazione tra mente e corpo è così evidente e certa che la scienza si trova oggi di fronte alla necessità di consolidare e riformulare il legame tra discipline apparentemente distanti, quali la psicologia, la neurologia, l’immunologia e l’endocrinologia: in altre parole, la psiconeuroimmunologia. Questa nuova scienza, chiaramente, si esprime nel linguaggio tipico della scienza convenzionale, che rimane collegato al modello organico-molecolare dell’individuo. Parla, infatti, di difese naturali dell’organismo, in particolare delle cellule NK (Natural Killer) che diminuiscono la loro attività in presenza di abitudini di tipo depressivo, come l’apatia, l’ipocondria e l’indolenza (con effetti diretti sulla proliferazione tumorale); del ruolo positivo dell’ambiente familiare e sociale, ma anche medico, quando viene percepito come favorevole e armonioso; della evidenza di livelli deboli di cellule NK in presenza di situazioni stressanti, soprattutto se di tipo cronico. E così via34. Sempre utilizzando, il nostro linguaggio stratificato, questa nuova scienza (che è poi una multi-scienza) si è posta l’obiettivo di indagare il rapporto tra mente e corpo, che per noi è anche la connessione tra emozioni e malattia/ 34 Una estesa bibliografia delle numerose ricerche e studi sperimentali sulle correlazioni presentate in questa parte del testo è visionabile in http:// agirpoursasante.free.fr (trad. agire per la propria salute).
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malessere/disagio, in un ordine di equilibrio o disequilibrio dei livelli energetici. Una persona in salute, ha un sistema immunitario ben funzionante, è dotato di cellule killer in buon numero e con ottima mira, vive una positiva condizione emozionale, riscontrabile in un equilibrio dei livelli energetici sottili dei suoi organi, ben visibili in una aura, che è il riflesso della vitalità fisica e che sarà tanto più grande (irradiandosi anche ad oltre un metro dal corpo fisico) quanto più la persona è equilibrata ed in salute. Quando si presenta uno squilibrio, essa diventa piccola, perché si avvicina al corpo allo scopo di conservare la sua energia vitale. Attraverso l’uso di questo linguaggio stratificato, a più livelli, le intuizioni della millenaria tradizione culturale e spirituale orientale, i livelli vibrazionali delle onde energetiche, e così via, possono convivere senza traumi con l’evidenza molecolare delle cellule killer. Sono manifestazioni dello stesso fenomeno, scomponibile in diverse modalità descrittive e non contraddittorie, ma solo accrescitive, integrative e complementari. Così facendo, risulta moltiplicato l’effetto positivo della combinazione tra antico e contemporaneo, che può conferire a quelle intuizioni ed a quelle mappe energetiche (meridiani, chakra, aura, etc.) una diversa e più credibile consistenza, in quanto integra il retroterra teorico ed i vari sistemi di misurazione e sperimentazione oggi possibili. Una recente ricerca realizzata presso la Harvard Medical 43
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School ha dimostrato che attivando alcuni punti meridiani si riduceva l’attività dell’amigdala, dell’ippocampo e di altre zone del cervello associate alla paura35. Se ad Harvard, applicando il modello meccanicistico di cui abbiamo ampiamente parlato in precedenza, si fosse data per scontata la non esistenza di queste energie sottili e dei meridiani nei quali queste scorrono, la riduzione dell’attività dell’amigdala sarebbe stata “interpretata” come conseguenza dell’effetto placebo? In conclusione, l’accreditamento di questi sottili processi energetici, adesso riscontrabili e documentabili, oltre a costituire una ottima base avanzata per la definizione di progetti sperimentali e scientifici, dovrebbe favorire nuove forme di dialogo tra medicina olistica, medicine tradizionali antiche e medicina convenzionale. Questo è possibile solo se rimettiamo al centro la persona e non il metodo scelto per curarla36 e solo allora potrà non avere più senso parlare di concezioni contrapposte. Tra l’altro, la psicosomatica37 e la stessa medicina antroposofica troverebbero finalmente un nuovo slancio, superando quel loro essere rimasti per tanti anni un po’ 35 La ricerca viene riportata da Lucy Pole (1955) in Manuale per i corsi di Psicosoluzioni con Tapping EFT (www.psicosoluzioni.it). Ne parliamo anche più avanti. 36 La terapia centrata sulla persona, attraverso l’ascolto empatico e l’attenzione a più dimensioni (verbale e non verbale) è al centro della grande lezione dell’ideatore dell’ascolto attivo, lo psicologo clinico americano Carl Ramson Rogers (1902-1987). 37 Come noto, la psicosomatica studia il ruolo dei fattori psicologici nel processo di malattia.
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ai margini del movimento scientifico convenzionale, pur giovandosi qui o là di qualche citazione residuale e piuttosto superficiale38. Eppure stiamo parlando, a proposito dell’antroposofia, di un metodo conoscitivo occidentale, elaborato meno di un secolo fa, e contenente una visione della salute e della malattia che possiamo definire olistici. Nell’antroposofia la malattia non appare come la conseguenza di un agente patogeno esterno da curare solo attraverso un approccio o rimedio esterno. “Malattia e guarigione coinvolgono l’uomo nei vari aspetti della sua esistenza e possono essere comprese solo tenendo conto di tutti gli aspetti, sia fisici che immateriali”39. La guarigione, a quel punto, non è più solo la liberazione da una malattia, ma si identifica in un processo di evoluzione e crescita spirituale (vi ricorda qualcosa?). Un corretto ri-posizionamento delle discipline e degli approcci collegati ad una impostazione convenzionale da una parte e complementare dall’altra, potrebbe rendere più fluido e meno difficile lo scorrimento da una parte all’altra del continuum ipotizzato (ed esistente), lasciando nuovi spazi ad una seria riflessione equilibrata e realmente focalizzata sulla persona. Uno di questi nuovi spazi è rappresentato sicuramente dall’area della prevenzione 38 La medicina antroposofica, nata negli anni Venti del Novecento ad opera di Rudolf Steiner e Ita Wegman si caratterizza per il suo focus orientato non solo sul sintomo ma sulla causa che lo determina, all’interno di una visione dell’uomo che oltre a quello fisico e materiale comprende altri “elementi costitutivi”, che vengono definiti corpo eterico, astrale e l’Io. 39 Di antroposofia si è occupato, di recente, Luigi Di Tommaso, Medico e Psichiatra milanese con l’interessante articolo Le vere radici della medicina antroposofica, ne L’altra Medicina Magazine, Agosto Settembre 2017 Viola Edizioni Milano.
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(primaria e secondaria) e della promozione della salute fisica e psicologica della persona, per la quale area le varie discipline olistiche possono dare, come confermato da sempre più evidenze reali, un grande contributo. Il tema comune dell’attivazione del potenziale di trasformazione Una vecchia leggenda Visnuista narra di un tempo in cui tutti gli uomini erano potentissimi Dei, che a causa dell’ego smisurato abusarono della loro Potenza Divina al punto di spingere Brahma, capo degli Dei, a prendere la decisione di togliere loro la scintilla divina di cui tanto avevano abusato e nasconderla dove non l’avrebbero mai trovata... Ma quale luogo è così difficile da raggiungere da risultare un ottimo nascondiglio? Le altre divinità, a questo punto, riunite a consiglio per valutare il problema appena insorto e, dopo aver ragionato bene sulla questione, dissero: “Seppelliremo la divinità dell’uomo in fondo alla terra”. Brahma prontamente obbiettò: “No, non basta, perché l’uomo scaverà e la troverà”. Allora gli Dei risposero: “Bene, allora affonderemo la sua forza nell’oceano più profondo”. Ma Brahma si oppose ancora: “No, perché prima o poi l’uomo esplorerà le profondità di ogni oceano e la riporterà in superficie”. Allora gli dei minori conclusero: “Non sappiamo dove nasconderla, perché sembra che non ci sia alcun posto sulla terra o nel mare dove l’uomo non potrebbe eventualmente raggiungerla”. Così a Brahma venne un idea e la espose replicando: “Ecco cosa faremo con la divinità dell’uomo. La nasconderemo nelle profondità del suo stesso essere, perché non penserà mai di cercarla proprio lì”. E da allora, l’uomo è andato su e giù per la terra, arrampicandosi, tuffandosi, esplorando e scavando, per cercare qualcosa che invece aveva sempre racchiusa in Sé (40). 40 Questa storia è reperibile praticamente ovunque su internet. Noi l’abbiamo ripresa da http://risveglioedizioni.blogspot.it
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Quello dell’attivazione del potenziale “interno” di trasformazione è un importante elemento unificante delle discipline olistiche, che con approcci diversi, ovvero insistendo su entrate e varchi differenti (tra quelli possibili), conservano comunque il loro obiettivo comune, che è l’attivazione del potenziale di guarigione, di trasformazione, di cambiamento, di ri-equilibrio presente (e, si diceva, spesso silente) e agente in ognuno. Proviamo a trattare il tema al contrario, partendo da quella che potremmo definire l’ombra di questo potenziale, l’effetto placebo. Nell’immaginario comune, quando si parla di effetto placebo, generalmente si fa riferimento a qualcosa che ha l’unico scopo di dare una spiegazione residuale ad effetti, cambiamenti, miglioramenti sintomatologici o dello stato di salute in generale del paziente, che non si è in grado di spiegare scientificamente. Dico residuale perché l’effetto placebo non viene studiato in quanto oggetto della ricerca, ma è la ricerca che si trova di fronte alla sua insistente manifestazione. Come una sorta di spettro oggettivato, esso serve solo a dare un voto al farmaco o al trattamento oggetto, esso sì, della ricerca. In un certo senso, si ricorre all’effetto placebo così come quando si fa riferimento alle reazioni determinate dalla suggestionabilità di una persona che, convinta della bravura del terapeuta (o che la terapia funziona) e fidandosi di quello che dice, si suggestiona al punto da rendere efficace e funzionante il rimedio o la cura che costui gli propina (fosse anche acqua fresca). 47
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In medicina, il ruolo del placebo è previsto dal protocollo sperimentale. Generalmente, la ricerca finalizzata a testare l’efficacia, ad esempio, di un nuovo farmaco, prevede che il farmaco in questione sia messo alla prova utilizzando un campione di soggetti che vengono, casualmente, divisi in 2 gruppi41: il gruppo sperimentale (al quale viene effettivamente somministrato il nuovo farmaco), il gruppo placebo (al quale, senza che lo sappia, si finge di somministrare il farmaco, magari utilizzando una compressa senza alcun principio attivo, ma che ha la forma ed il colore del farmaco di cui si vuole testare l’efficacia). Durante la sperimentazione, una volta cioè che il farmaco è pronto per essere testato, è anche grazie alla realtà dell’effetto placebo che la ricerca clinica riesce a dimostrare se esso è efficace o non è efficace. Una volta utilizzato come una sorta di “tara”, l’effetto placebo viene messo da parte come semplice ed asettico strumento di laboratorio da non studiare a parte. Sono diversi i casi in cui chi si sottopone al vero farmaco registra una risoluzione sintomatologica in percentuali alte rispetto a quelle registrate da chi “crede” di ricevere il farmaco. In altri casi, capita però che tali percentuali sono molto meno diverse, o addirittura sono più alte in chi “crede” di prendere il vero farmaco. Allora, si conclude che il farmaco non è poi 41 Lo schema del campo della sperimentazione, che prevede accanto al gruppo di persone che “riceve il trattamento” (il gruppo sperimentale) anche il gruppo di soggetti che, nelle stesse condizioni di quelli in esame, riceve un trattamento “finto o asettico” (gruppo di controllo), lo si deve al fisiopatologo tedesco Carl von Liebermeister (1833 - 1901). Quando ai componenti sia del gruppo sperimentale che di quello di controllo (o gruppo placebo) non viene comunicato a quale gruppo appartiene, si parla di sperimentazione a “doppio cieco”.
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così efficace e forse si considera poco quello che accade al gruppo placebo e attraverso quali meccanismi (diversi dal farmaco in sperimentazione) la persona registra di fatto un miglioramento dei suoi sintomi. Si liquida l’effetto placebo riferendosi alla sua unica funzione comparativa: se l’effetto placebo supera l’effetto del farmaco vuol dire che quel farmaco non funziona. Ma, attribuendo il merito di questi effetti benèfici al fenomeno placebo, non si sta forse dichiarando implicitamente che è qualcos’altro e non il farmaco ad avere “potere curativo” verificabile? Non vale allora la pena di cominciare a studiarlo come oggetto diretto della ricerca e non più solo come “variabile” interveniente o peggio come un “nulla biochimico, perché composto da semplici sostanze inerti”42? Le performance di laboratorio dell’effetto placebo non dimostrano forse l’esistenza di un “potenziale di autoguarigione”, che risiede in tutti noi? E che quello che forse non ne consente una interpretazione univoca (e quindi facilmente classificabile) è la rincorsa della varietà e variabilità dei fattori in grado di attivare tale potenziale? La diversa identificazione della derivazione/origine di questi fattori determina le differenze riscontrabili nella storia, nella cultura e nella società (e viceversa). Ad attivarli è, a seconda di chi ne parla, la preghiera e quindi la Divinità, la suggestione, la forza di volontà, la magia, la tale tecnica/ 42 Cfr. Andrea Gallucci “In questa pillola non c’è niente, ma sono sicuro che ti farà bene” in Scienza e Conoscenza n.61, Luglio-Settembre 2017 Edizioni Macro.
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disciplina, il maestro… Ma c’è ancora qualche riflessione da fare a proposito del disvelamento del “potere dell’effetto placebo”. Esso, come detto, è spesso sinonimo di suggestionabilità, di condizionamento emotivo. Recenti ricerche ci dicono adesso qualcosa in più. Partendo dall’assunto che l’effetto placebo interviene in pazienti cui viene fatto credere di prendere realmente il farmaco, cosa succede quando invece a questi viene detto da subito che in realtà gli verrà somministrato un placebo? Numerosi studi, molto recenti (del 2010 ma anche del 201643), hanno inaugurato la stagione degli open label placebo (placebo somministrato apertamente): in questi studi clinici, i pazienti, anche se consapevoli di prendere qualcosa di diverso dal farmaco, hanno manifestato comunque diversi e considerevoli benefici. Qual è secondo questi ricercatori il fattore di attivazione del potenziale di autoguarigione (o auto cura..)? La spiegazione più suggestiva sembra essere quella che fa riferimento alla valenza simbolica del placebo, che determina (è fattore di) una forza psicologica in grado di provocare nel paziente effetti fisiologici tangibili e misurabili. Pur se dichiaratamente placebo, la pillola finta è stata somministrata dal medico, in un ambiente medico in grado di “attivare nel paziente programmi psicologici e fisiologici di guarigione” 44. Nel contesto clinico quel tipo di fattore è preponderante, 43 ibidem 44 Cfr. ibidem “Contro l’effetto placebo, un punto di vista personale”, studio reperibile on line su pubmed. “I placebo sono rappresentazioni metonimiche dell’intera esperienza medica” (una parte che rimanda all’intero, questa è una metonimia).
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e non è certamente l’unico che agisce. Ecco perché parliamo di estrema varietà e variabilità dei fattori in grado di attivare tale potenziale, prediligendo (anche qui) una interpretazione che individua l’elemento produttivo in una combinazione di fattori, con la prevalenza di alcuni di essi in alcuni contesti specifici con cui sono in relazione coerente. La centralità del “fattore psicologico” Questo ragionamento ci consente di aggiungere un ulteriore elemento oggettivo (e misurabile) al riconoscimento del potenziale di attivazione dei processi di cambiamento, insito in ognuno di noi. Possiamo qui definirlo come uno dei principi base dell’olismo, in quanto descrive il ruolo centrale giocato dalla dimensione psichica nella produzione di trasformazioni reali riscontrabili nella dimensione biofisiologica dell’organismo e non solo. Il grande Albert Schweitzer45, di fronte allo scetticismo dell’amico giornalista Norman Cousins sulla opportunità di affidarsi alle cure dello sciamano (in verità viene descritto come stregone), affermò “Lei mi chiede di rivelare il segreto che tutti i medici, a cominciare da Ippocrate, hanno sempre tenuto per sé… Gli stregoni guariscono allo stesso modo di noialtri medici. Il paziente non lo sa, ma il vero medico è quello che ha dentro di sé. E noi abbiamo successo quando diamo a quel medico la possibilità di fare il suo lavoro”.46 45 Albert Schweitzer (1875 - 1965) medico e filantropo, musicista e musicologo filosofo, biblista, pastore, missionario luterano franco-tedesco nato in Alzazia. 46 L’episodio è tratto da “Un altro giro di giostra, viaggio nel male e nel bene del nostro tempo”, di Tiziano Terzani, Longanesi, Milano 2004.
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Dobbiamo parlare allora di meccanismi di attivazione del processo di autoguarigione. Le discipline olistiche si basano sull’assunto che questi meccanismi di attivazione sono presenti in noi e che possono essere facilitati, sbloccati, risvegliati, fatti agire, attraverso approcci e tecniche diverse. Diverse vie, stessa direzione. Quando J.H.Schultz47 codificò il Training Autogeno48, parlò di ideoplasìa49, riferendosi a quella qualità della psiche (pensiero-immagine-ideo) in grado di intervenire sul corpo (forma-materia-plasìa) determinandone modificazioni oggettive e misurabili. Osservando che i suoi pazienti, a seguito delle sedute di ipnosi riferivano di aver percepito sensazioni di pesantezza e di calore, comprese che quelle sensazioni erano il risultato di un rilassamento dei muscoli striati e di una vasodilatazione. Suggerendo, ai pazienti sotto ipnosi, sensazioni di calma e di rilassamento, costoro, 47 Joannes Schultz, psichiatra tedesco (1884- 1970) ideatore del Training Autogeno. 48 Il Training Autogeno può essere identificato in una psicoterapia breve, che utilizza i principi della concentrazione psichica passiva e della ideoplasia. Attraverso l’applicazione di questi principi il T.A. determina l’equilibrio neurovegetativo, una condizione di calma o sedazione emotiva e modifiche sul versante della personalità. Schultz dedicò numerosi scritti al Training Autogeno. Qui ricordiamo Il Training Autogeno (volumi 1,2) Feltrinelli, Milano 1984 (la prima edizione tedesca, Das Autogene Training, risale al 1932, mentre quella italiana, a cura di Giuseppe Crosa è del 1968, a distanza di 36 anni). 49 Il termine ideoplasia si fa risalire al medico A. Forel, che lo propose per la prima volta nel 1894 per identificare il potenziale che la mente (l’immaginazione) adeguatamente orientata ha di agire sul corpo. “A conferma di tale principio vennero svolte già delle precise e documentate indagini scientifiche nel 1926 da Allers e Scheminzky presso l’ istituto di fisiologia di Vienna” (fonte Wikipedia).
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al termine della seduta, dichiaravano di aver percepito, oltre alla calma, un tipo di effetto “non calcolato e non previsto” dal terapeuta, sotto forma di sensazione di pesantezza e di calore. Cosa aveva determinato quelle sensazioni? Cosa aveva fatto sì che “l’organismo, raggiunto lo stato di rilassamento (indotto dal terapeuta, nda), desse origine ad una serie di modificazioni percepibili?”50 Schultz, come tanti iniziatori51, decise di cercare le risposte fuori dal suo campo di indagine consueto, governato dall’ipnosi, che abbandonò, anche rispondendo all’onesto richiamo di consentire al paziente di essere l’autore consapevole del suo cambiamento, liberandolo dalla “dipendenza dal terapeuta”52. Proprio in quel periodo Schultz era diventato allievo di O. Vogt53, neurofisiologo tedesco presso l’Università di Berlino, il quale aveva elaborato un proprio metodo (che definiva “ipnosi frazionata”, passato alla storia con il nome di “rilassamento frazionato di Vogt”) che presentava numerose affinità con 50 Cfr. Gianni De Chirico, Training Autogeno, Tecnica di autorilassamento - Edizione CDE spa Milano su licenza della red./studio redazionale, 1987. 51 Altro elemento comune delle discipline olistiche è questa contaminazione degli iniziatori verso e da parte di altri portatori di innovazioni e intuizioni “risonanti”. Basti ricordare Usui Sensei, vissuto nella stagione di nascita di tante discipline orientali, o Gary Craig che non ha mai nascosto di aver ideato il suo EFT rielaborando e semplificando il metodo FTF di Mac Callahan, ma anche lo stesso Edward Bach, che rimase affascinato dagli studi di Samuel Hahnemann, padre dell’Omeopatia vissuto un secolo prima. 52 Altro riferimento deontologico chiave che dovrebbe essere comune ad ogni buon operatore olistico. 53 Oskar Vogt (1870-1959), ideatore della tecnica del rilassamento frazionato, “precursore del Training Autogeno”.
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quel fenomeno dell’ideoplasìa che Schultz aveva riscontrato nei suoi pazienti nella fase post-ipnotica. In pratica, il metodo di Vogt consisteva nel favorire nel paziente un processo di rilassamento e calma (condizioni base dello stato di benessere psico-fisico) percorrendo mentalmente (e quindi visualizzando) tutti i muscoli del corpo (una parte o un’area per volta, per frazioni successive). Sinteticamente: la visualizzazione/immaginazione dei muscoli rilassati determinava muscoli rilassati. Schultz fu allievo di Vogt per una ventina d’anni ed in tutto questo tempo ebbe modo di perfezionare il livello qualitativo delle proprie intuizioni, per arrivare finalmente ad una versione definitiva del suo Training Autogeno, che suddivise in Inferiore e Superiore. Ma il tratto centrale del Training Autogeno nel quale rintracciare elementi di connessione e di continuità indiscutibili con una delle grandi famiglie delle discipline olistiche (quella basata, sinteticamente, sul “potere” trasformatore della parola o dell’uso della visualizzazione e di immagini “mentali”) si riscontra nel richiamo alla passività, ad uno stato di recettività massima, dove la mente è sgombra, pronta ad accogliere, in un atteggiamento senza giudizio o critica o resistenza. In questa condizione, che viene a determinarsi in concomitanza con la sedazione emotiva ed il rilassamento, possono essere facilitate vere e proprie modifiche di personalità. Con la pratica costante del training autogeno superiore, infatti, ripetendo i cosiddetti proponimenti, (io sono calmo, io affronto il mio disturbo, io domino la situazione, etc.) il praticante non 54
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solo sperimenta l’ideoplasìa a livello di percezione fisica (pesantezza degli arti, sensazioni di calore, etc.) ma anche a livello di comportamento e, quindi, di personalità: le parole stimolano il cambiamento, qui inteso come modificazioni comportamentali, superamento di blocchi emotivi, etc. Le parole che trasformano Per i proponimenti, non si fa ricorso a parole declinate nella forma di negazione (non ho paura di parlare in pubblico, non mi spaventa prendere l’aereo, etc.), ma sempre ad affermazioni in positivo (io riesco a parlare liberamente in pubblico, prendo volentieri l’aereo, etc.)54, mutuando una sorta di linguaggio convenzionale condiviso da tutte le discipline. I proponimenti (sotto forma di frasi in positivo, o di immagini con le quali si visualizza la risoluzione/superamento di una abitudine comportamentale con caratteristiche disfunzionali) dialogano con la parte profonda della nostra psiche che, nella condizione di passività determinata dalla concentrazione e dal rilassamento, si ritrova in uno stato di recettività massima, ed è pronta ad accoglierli, senza giudicare o criticare o resistere. E senza neanche distinguere la realtà dalla sua rappresentazione positiva suggerita dalle parole o dalle immagini visualizzate. Si tratta indubbiamente di uno degli elementi che caratterizzano questa tipologia 54 Qui, chiaramente, stiamo semplificando. Sia il Training Autogeno che le tecniche olistiche che utilizzano il potere della parola o delle immagini visualizzate, presentano un interessante panorama di espressioni, frasi da ripetere, recitare, ma anche immagini e situazioni da visualizzare. Sempre in positivo, però.
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di tecniche che lavorano sull’attivazione del potenziale di cambiamento della persona attraverso la parola (o le immagini positive visualizzate). Esse, parole ed immagini, parlano direttamente al sé (alla parte profonda della psiche, alla cabina di regia centrale), che libero dalla distrazione del pensiero razionale, in uno stato di rilassamento profondo, si lascia col tempo convincere per poi attivarsi a vantaggio della salute e del benessere del suo portatore. Della caratteristica di lavorare con parole e immagini si trovano tracce e percorsi consistenti in numerose discipline olistiche, ognuna delle quali, con le proprie specificità e differenze, interviene nella prospettiva del cambiamento e del superamento di una condizione disfunzionale (psicoemotiva ma, anche, somatica) con una vasta gamma di tecniche ed approcci che ne contraddistinguono il “marchio”. L’immaginario comune le sintetizza brutalmente nella espressione “pensiero positivo” e questo forse ha, in diversi ambienti, banalizzato il senso e il retroterra teorico e scientifico dell’ideoplasìa (ideomorìa?55) e delle sue applicazioni correlate. Tra queste applicazioni rientrano i recenti studi di psicologia sociale finalizzati a verificare la relazione tra la rappresentazione sociale della salute e la salute stessa. In particolare questi studi hanno dimostrato 55 Qui chiaramente, come è ormai chiaro, propendiamo per un significato estensivo dell’ideoplasia, sintetizzando nella parola il potenziale mentale di produrre effetti non solo sulla forma (il soma, il corpo) ma anche su atteggiamenti, comportamenti, e abitudini. A voler essere precisi latinisti, dovremmo introdurre un neologismo, quello di ideomorìa (da mos, moris, comportamento), ma forse per la sua somiglianza con mors, mortis potrebbe dare un’idea sbagliata.
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che “il processo di guarigione dalle malattie è strettamente correlato al modo in cui i pazienti interpretano il loro ruolo nell’eziologia e nel decorso della malattia”56, evidenziando la necessità di potenziare il sistema di interventi di promozione della salute con percorsi continui rivolti alla popolazione e finalizzati alla rieducazione delle forme rappresentative diffuse. Aumentare la consapevolezza delle persone rispetto alla centralità del proprio atteggiamento sul tema della salute dovrebbe essere il primo obiettivo di ogni sistema educativo e culturale orientato, realmente, al benessere sociale diffuso. Nello stesso ambito, ulteriori studi57 hanno evidenziato che la mente può condizionare in modo forte l’evoluzione della malattia. Un atteggiamento positivo (l’ottimismo) consente di affrontare i problemi con risolutezza, di prevenire l’insorgenza della malattia, favorendo nella persona una risposta immunitaria più forte (attraverso il potenziamento delle sue cellule killer ma, allo stesso modo, sostenendo un livello energetico sottile ottimale). Storicamente, diverse discipline hanno compiuto lo sforzo di “mettere a leva” ed estendere l’impianto teorico correlato a questo paradigma psicologico anche oltre la dimensione “sanitaria”, applicandolo a tutte le dimensioni vitali (emozionale, psichica, relazionale) dell’essere umano. La 56 Riportati in “Rebirthing” a cura di Silvia Canevaro Ediz. The Art Book. 57 Ci riferiamo agli studi di Martin E. P. Seligman, psicologo e saggista statunitense, direttore del Penn Psychological Center, considerato il fondatore della psicologia positiva. Per approfondimenti: M.E.I. Seligman “Imparare l’ottimismo”, Giunti, Milano, 1996.
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PNL (programmazione neuro linguistica), la Logosintesi (con il suo riferimento al principio della intenzionalità creatrice), la stessa EFT (con la frase richiamo) ma anche la Meditazione con affermazioni e visualizzazioni orientate alla positività, la tecnica Hoponopono (con le espressioni mi dispiace, perdonami, grazie, ti amo), sono solo alcuni esempi di discipline strutturate, ricche di riferimenti e di letteratura, che si propongono di attivare il potenziale interiore attraverso l’uso di parole e immagini. Anche il Reiki, nella applicazione del secondo simbolo (SH, Seiheki Chiryo Ho), mira a intervenire principalmente sulle cattive abitudini, inviando un determinato messaggio “liberatorio” al subconscio della persona ricevente, utile a sciogliere i nodi e a liberare quelli che vengono comunemente definiti in psicologia come blocchi emozionali, fobìe, etc. Quando il potenziale è bloccato Con la parola o con l’intenzione si tende non solo ad attivare il potenziale positivo, ma anche a disinnescare quella resistenza al cambiamento che risiede, allo stesso modo, dentro di noi. Abbiamo tutti letto del sabotatore interno, del critico interiore, tutti modi diversi per definire l’insieme degli schemi emozionali che si attivano a modalità inconsapevole (come una sorta di pilota automatico) e che sono in grado di generare delle risposte, fisiche e psichiche, condizionate e limitanti. Si tratta dello stesso potenziale interno di cui abbiamo parlato fino ad ora ma, per capirci, a polarità invertita: anziché lavorare, una volta sollecitato ed attivato, per il 58
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benessere della persona, esso sembra orientato a rallentarne se non a rendere più complicati i processi di cambiamento positivo (superamento dei blocchi, miglioramento della condizione di benessere psicologico, fisico ed emozionale). Una vera e propria regressione che attinge a schemi comportamentali che non avrebbero più senso dal punto di vista logico o razionale ma che si caricano energeticamente a livello subcosciente ed in modo condizionato. Questa fenomenologia sembra, altresì, in coerenza con la cosiddetta crisi di coscienza, di guarigione o con l’aggravamento terapeutico di cui è piena di riferimenti la letteratura omeopatica, floriterapeutica e olistica in generale. La crisi di guarigione compare, anche se non sempre, quando un trattamento, un rimedio va a rompere un equilibrio, determinando l’accentuazione e l’intensificazione di stati emozionali negativi. Questo fenomeno non ha niente a che vedere con presunti effetti collaterali e la sua manifestazione è oltremodo auspicabile, in quanto lascia intendere che si è intrapresa la strada giusta: l’equilibrio, sorvegliato dal “sabotatore”, è stato colpito in pieno e quest’ultimo sta reagendo provando a conservare la situazione precedente al cambiamento, cercando di convincerci a desistere. Ma come è possibile che questo accada? Cosa c’è alla base di questo vero e proprio fenomeno auto-disturbante, di inversione di polarità? In un suo scritto del 1978, Osho58 ammoniva “I tuoi genitori ti hanno ripetuto: tu sbagli, questo non è giusto, 58 Cfr. Osho Rajneesh (1931-1990), mistico e maestro spirituale indiano, in “The Discipline of Transcendence”, 1978, vol. I cap. 6.
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non avresti dovuto farlo. E l’hanno ripetuto mille volte. E allora tu hai raccolto un messaggio: che non sei stato accettato per ciò che sei e amato semplicemente per il fatto di essere. Se soddisfi i loro desideri, ti amano; il loro amore è un affare. Se li segui come un’ombra allora ti apprezzano e ti approvano.” La resistenza, in quanto risposta condizionata al cambiamento positivo, è il risultato di una solidificazione emozionale e cognitiva che riproduce automaticamente una azione in una forma non contraddittoria rispetto alla situazione che la aveva determinata, in quanto essa rappresenta comunque una “zona di conforto”, un equilibrio che ci preserva, ad esempio, dalla disapprovazione dei genitori. I quali indosseranno, in seguito, vesti e forme diverse, come l’insegnante, i compagni di scuola, il marito/ moglie, il capufficio, e così via. Per evitare la sofferenza e il disagio che abbiamo provato e che potremmo subire di nuovo in situazioni simili, a poco a poco sviluppiamo dentro di noi una parte “automatica” e condizionata che adotterà le regole di comportamento più adatte59. In questo modo, i blocchi emozionali intrappolano la libertà dei comportamenti dentro schemi obsoleti e ripetitivi che vanno in direzione contraria rispetto alla completa realizzazione di se stessi. Ma non solo nell’imprinting dei primi anni di vita si creano queste memorie che si ancorano sotto forma di cellule 59 Si legga anche “La Disidentificazione dal Critico interiore attraverso il Rebirthing” – di Mara Sarita Gregorio Scarsi, tesina per operatori olistici, Anno Accademico 2013-2014.
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dormienti e pronte ad attivarsi in presenza di condizioni associabili a quelle primigenie. Accade anche che se sperimentiamo uno shock, un evento a forte impatto emotivo come la perdita di una persona cara, un trauma, tali esperienze si trasformano in memorie emozionali che si fissano nel nostro organismo insieme con gli elementi di contesto presenti al momento dell’esperienza: profumi, colori, persone, e così via60. In seguito, se questi elementi di contesto si ripresentano, attivano nella persona una azione in risposta a quei “segnali”, che erano stati associati al “trauma originario”, seguendo un vero e proprio schema reattivo. In termini psicologici, quando si esperisce uno shock, questo provoca una emozione che viene definita primaria, una emozione “naturale”, sana, collegata all’evento e che con questo scompare. Quando ciò non accade, per le caratteristiche dell’evento ma anche per una particolare predisposizione alla fissazione dei traumi o per una più profonda sensibilità di chi lo vive, allora siamo di fronte alle emozioni secondarie, forzate, che durano a lungo, e che con la forte compartecipazione della mente finiscono per trasformarsi in forme di disagio esperibili anche a livello fisico, sviluppandosi in una vera e propria cronicizzazione, concetto centrale della medicina psicosomatica. In termini energetici, le emozioni sono la proiezione di 60 Cfr. Andrea Fredi “Queste rappresentazioni sono delle istantanee plurisensoriali (catturate da uno o più dei cinque sensi) che ci permettono di orientarci in situazioni simili”. “Il Nuovo Codice del Benessere - Per conoscere e approfondire EFT (Tecniche di Libertà Emotiva) il rivoluzionario metodo di auto-aiuto diffuso in tutto il mondo”. E-book disponibile sul web.
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pensieri e sensazioni. Maggiore è l’energia che conferiamo a questa proiezione, maggiori sono le possibilità che essa si radichi nella nostra memoria cellulare, trasformandosi in forme disfunzionali sia dal punto di vista organico che emotivo e psichico (sotto forma di schemi comportamentali condizionati). Varie le denominazioni con le quali questi schemi vengono definiti: le memorie cellulari in ambito medico olistico, le àncore nella PNL, il bambino interiore cristallizzato di EFT e logosintesi61, il critico interiore62. L’immaginario collettivo sintetizza tutte queste definizioni in un termine risolutivo: la corazza. Ed anche questa definizione ha una propria dignità semantica, in quanto riassume in breve la funzione primaria di questi schemi, che rimane quella di difenderci da ciò che viene percepito come una minaccia esterna. Come un’armatura, che una volta presa la forma del nostro corpo, ed incollata alle sue cellule, provoca inevitabilmente dolore, se proviamo a staccarla dalla pelle. Le Tecniche e discipline che lavorano esplicitamente e focalmente su questi schemi reattivi sono finalizzate alla realizzazione della defusione cognitiva e/o emozionale63, 61 Cfr. Il Sentiero interiore, di Andrea Fredi (1974) ricercatore nel campo delle Tecniche Energetiche, che nel 2013 ha sviluppato EFT-I, focalizzata sulla Sovranità Interiore e sull’utilizzo della consapevolezza come mezzo di trasformazione. “Tutte le emozioni automatiche sono un prodotto del Bambino Interiore Cristallizzato”. 62 Cfr. Hal e Sidra Stone, ‘IL CRITICO INTERIORE, 2008, ed. Macroedizioni. 63 Cfr. Nicola Saltarelli –La Defusione emozionale, www.scienzenoetiche. it | Licenza Creative Commons BY-SA 3.0 | Nell’articolo vengono elencate
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che consiste in una liberazione dei blocchi mediante una pulizia emozionale profonda. Alcuni esempi EFT - Il più volte citato EFT (tecniche di libertà partendo da una rivisitazione emozionale)64, contemporanea dell’agopuntura, interviene sul sistema di circolazione energetica dell’organismo, utilizzando la mappa dei meridiani. L’ingegnere americano Gary Craig l’ha messa a punto nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, semplificando la più complessa “terapia del campo del pensiero” (TFT Thought Field Therapy) dello psicoterapeuta Roger Callahan. Entrambe le tecniche, comunque, hanno attinto dal modello dei meridiani della Medicina Tradizionale Cinese e ne rappresentano una semplificazione contemporanea. L’EFT parte dall’assunto che gli squilibri presenti nel sistema energetico del corpo sono alla base di qualsiasi problema sia fisico che emotivo dell’uomo. Questi squilibri sono la conseguenza degli imprinting (primari o secondari) di cui si è parlato nel precedente paragrafo, ovvero di quelle esperienze che per il loro carico emotivo tendono a creare blocchi ed interruzioni della circolazione dell’energia nell’organismo, e diventano la causa di disagi di carattere le discipline tecniche più efficaci, secondo l’autore: Eft, Tapping, Healing Code, Ho’oponopono, Respirazione Circolare, Ricapitolazione, Quantum Entrainment. 64 Cfr. nota 23 - Emotional Freedom Techniques, Uno strumento universale per l’arte dell’autoguarigione - Manuale Originale EFT di Gary Craig (1993) - Parte I – E’ scaricabile gratuitamente sul web.
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fisico (sotto forma di dolori, malattie e patologie varie), ma anche psichico ed emotivo (ansie, disagi emotivi e psicologici, fobie, depressione, convinzioni limitanti). EFT si propone di liberare la persona (che una volta appreso il metodo, possibilmente da un istruttore qualificato, può praticarlo da solo) dalle emozioni negative stimolando, non con l’uso di aghi ma attraverso il tapping con le dita delle mani, alcuni punti del corpo che corrispondono ai meridiani energetici. Graig ha sintetizzato la mappa dei meridiani in 14 punti principali, ritenuti più che sufficienti per riequilibrare il meridiano “interessato” dal blocco della circolazione energetica. Le fasi realizzative della tecnica sono due: la preparazione e la sequenza. Attraverso la prima si mira a portare avanti quel lavoro di defusione emozionale necessario per neutralizzare la presenza di eventuali “sabotaggi interni”, che la tecnica definisce “inversione energetica”, che trattiene la persona (generalmente a sua insaputa) nelle proprie convinzioni limitanti, rendendogli spesso complicata la liberazione e quindi la risoluzione dei disagi. Con la seconda fase, attraverso le dita, vengono stimolati i 14 punti meridiani principali, rimanendo al contempo focalizzati e sintonizzati sul problema che si intende trattare. La parola è importante e serve sia nella fase di preparazione (con “anche se ho il problema di…, mi amo e mi accetto completamente e profondamente”) che durante la sequenza (quando i meridiani vengono picchiettati ripetendo “questo problema di…”). In entrambi i casi, la parola serve soprattutto per rimanere focalizzati consapevolmente sul problema che si 64
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intende affrontare. Questa semplificazione estrema ci consente comunque di ricordare il carattere integrato di questa tecnica, che mette insieme (in una unica squadra di intervento) medicina tradizionale cinese, psicologia energetica e programmazione neurolinguistica (l’altra passione di Gary Craig). In merito alle dimostrazioni o evidenze rispetto agli effetti dell’EFT su chi la pratica, completiamo il riferimento ai già citati studi realizzati alla Harvard Medical School, che hanno associato i picchiettamenti sui meridiani alla diminuzione dell’attività di quella parte del cervello che si attiva in presenza di ansia e paura (l’amigdala), tramite l’osservazione del flusso di sangue nel cervello con l’ausilio della risonanza magnetica. In particolare, osserva Andrew Lewis65, “in tutti i disturbi legati all’ansia il cervello rimane bloccato in modalità ON e la persona sperimenta un equilibrio chimico che le fa credere di essere costantemente in pericolo”. In questo modo il trauma originario ci mantiene in scacco psicologico, portandoci a riprodurre automaticamente risposte (comportamenti o evitamenti) da esso condizionate. La risonanza magnetica descrive la diminuzione del flusso di sangue nell’area del cervello condizionata, che avviene in conseguenza della stimolazione dei meridiani attraverso il picchiettamento. Così facendo, restando in metafora, l’EFT spegne l’interruttore che era bloccato su ON, inverte il processo riequilibrando la circolazione energetica e facilita la “liberazione emotiva” 65 Andrew Lewis in Terapie e trattamenti olistici, reperibile su http://www. scienzaeconoscenza.it/blog/autori/andrew-lewis.
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che, a sua volta, libera dal sintomo. Rebirthing - Sempre nel campo delle discipline di liberazione emozionale, il Rebirthing agisce attraverso il canale fisiologico della respirazione. Il suo ideatore, Leonard Orr66, afferma che buona parte delle memorie bloccanti si formano prima, durante e dopo la gestazione e sono rappresentate dal trauma di nascita e dalla disapprovazione dei genitori, annoverate tra le “grandi cause” di sofferenza dell’uomo67. Durante una seduta di Rebirthing, l’aumento della ventilazione, determinato dalla respirazione circolare (senza pause tra inspirazione ed espirazione), provoca una reazione biochimica che riproduce la medesima condizione presente al momento dell’imprinting, al momento cioè in cui si è formata la memoria cellulare del “trauma”. Queste memorie vengono definite “stato-dipendenti”, ovvero dipendenti da uno stato, da una condizione fisiologica con determinate caratteristiche, e non sono disponibili ad una ispezione finalizzata a trasformarle, a meno che il corpo non si trovi nello stesso stato fisiologico in cui era quando esse si sono formate. Ma cosa aveva di così particolare quello stato fisiologico da renderlo l’ambiente ideale per intervenire sulle memorie cellulari? Una sovrabbondanza di globuli rossi carichi di ossigeno, cui spetta il compito di trasportarlo nell’organismo proprio al momento del passaggio dalla placenta alla respirazione autonoma. Recenti studi sostengono che attraverso il Rebirthing, riusciamo 66 Cfr nota 30. 67 Le altri grandi cause, sempre secondo Leonard Orr sono la pulsione di morte, le negatività specifiche, l’influenza delle vite precedenti.
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a ricreare questa condizione fisiologica “semplicemente aumentando la respirazione in modo consapevole, mentre il corpo giace rilassato, e ciò rende disponibili alla nostra analisi cosciente quei meccanismi comportamentali che abbiamo posto alla base della nostra sopravvivenza” 68. In questo modo, la pratica del respiro circolare consente di irrorare ed ossigenare parti del cervello normalmente non irrorate così abbondantemente, facilitando il riaffiorare di ricordi e memorie sepolte e consentendone la loro rielaborazione consapevole e liberatoria. Gli studi aggiungono chiavi di lettura ulteriori (con linguaggi afferenti a modelli teorici diversi ma non in contraddizione) ad un processo fisiologico, quello della respirazione, che con il Rebirthing viene “esasperato” al massimo69. E’ evidente che la respirazione continua, senza interruzione tra inspirazione ed espirazione, non è concepibile come pratica ordinaria e quotidiana. Con il Rebirthing il potenziale della respirazione viene spinto al suo limite. Proprio per questo, per la serie di effetti determinati alla iper-ossigenazione ininterrotta (durante sedute che arrivano fino a circa un’ora) a livello fisico (come la tetanìa, l’irrigidimento muscolare - effetti che comunque si superano nel corso della seduta stessa) e psicologico (con l’emersione di sensazioni ed emozioni forti - con una intensità alla quale ordinariamente non si è abituati) rendono necessario il riferimento a Rebirther 68 Cfr. Eve Jones, biologa e psicoterapeuta - “The Logic of Magical Thought and The Dance of the Breath”. Su www.respiroconsapevole.it, ne vengono riportati diversi riferimenti. 69 Come una automobile che indica in 220 la velocità massima (teorica) sul contachilometri. Il Rebirthing va sempre a 220 chilometri all’ora. Ecco perché all’inizio è necessaria la presenza del co-pilota, che sarà in grado di suggerire al pilota principiante la corretta segnaletica stradale.
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(istruttori) preparati, in grado di accompagnare il “paziente” in sicurezza e empatia. Una volta acquisito il metodo, e presa dimestichezza dei fenomeni fisici e psichici collegati, la persona è in grado di gestire da sola il suo percorso di liberazione e di espansione del proprio livello di coscienza. Va, comunque, ricordato che la tendenza a sperimentare e praticare modalità di respirazione particolari è rintracciabile storicamente nella tradizione dello yoga sia indiano che taoista, così come nel tantrismo e nello sciamanesimo. Anche il Reiki, tra gli insegnamenti del Primo Livello (Shoden) riprende dalla tradizione buddista la tecnica Anapanasati70. Il merito di L. Orr, che ha avuto modo di perfezionare e confezionare una modalità “circolare” di respirazione, è sicuramente quello di averla introdotta in Occidente verso gli anni ’70 del Novecento, così come gli aveva consigliato, tra l’altro, un Maestro indiano (Babaji di Herackan). Dopo e durante Leonard Orr, altri autori hanno messo a punto ulteriori tecniche di respirazione, anche con l’integrazione di altre metodiche, come il Breathwork, il Vivation, e la Respirazione Olotropica.71 70 Il Sudra della Piena Consapevolezza del Respiro 71 Tutte queste tecniche hanno in comune, oltre alla centralità della respirazione, lo sviluppo della consapevolezza di sé, sul piano fisico, emotivo e mentale. Vengono bene illustrate in: http://www.breathwork.it/ - http:// www.vivation.it - http://www.respirazioneolotropica.com
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In generale, dunque, la respirazione costituisce un elemento centrale dell’olismo, in quanto presente, con modalità diverse, in numerose discipline e tecniche. Tutto ciò assume un grande significato anche simbolico: le discipline olistiche, in quanto discipline naturali, attingono e si immergono nell’elemento Aria, mettendolo al centro di approcci e “versioni” diverse a seconda della tecnica, ma partendo tutte dallo stesso connotato di centralità che la respirazione assume, senza artifizi aggiunti. Al di là di indubbi benefici che una corretta ossigenazione e respirazione portano in termini psicologici ed emozionali, e che con il Rebirthing vengono dunque portati al loro “massimo”, non dimentichiamo, che attraverso il respiro eliminiamo oltre il 70% delle nostre tossine, con importanti effetti a livello di PH del sangue, che viene riportato dal polo acido a quello alcalino, con tutti i benefici che questo comporta nei termini di contrasto alla demineralizzazione ossea, alle difficoltà intestinali, alle rughe precoci, allo stress, all’ansia… Tutto questo è vero e dimostrato. Con il Rebirthing accade a “modalità intensiva”, con la respirazione “normale” un po’ più fisiologicamente. Ma se respiriamo male, il potenziale della respirazione resta solo teorico. Oltre a lavorare sul piano fisico e biologico, il Rebirthing consente l’accumulo in breve tempo di una enorme riserva di energia sottile (ki, o prana). L’ossigeno che respiriamo, però, non coincide tout court con l’energia sottile: esso 69
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arriva alle cellule fisiche attraverso i globuli rossi ed ha una componente di energia sottile che si distribuisce, per scorrervi, in canali di energia addizionali, che ormai abbiamo imparato a identificare nei meridiani. I Fiori di Bach, dei suoi precursori e dei suoi eredi Sull’energia sottile lavora anche la Floriterapia, e lo fa attraverso i fiori, intesi come principi vibrazionali associati a questi. Come per altre discipline riscontrabili all’interno del sistema olistico, anche la floriterapia, pur essendo spesso identificata con la storia e le intuizioni di Bach, porta con sé un retroterra che si perde nelle antiche culture e tradizioni non solo orientali. Dell’utilizzo dei fiori per il trattamento degli squilibri emozionali, esistono riscontri nell’Antico Egitto, ma anche in India, nell’America del Sud e in Australia. Anche in Europa, l’utilizzo terapeutico dei fiori si è sviluppato attraverso una lunga tradizione, fino al Medioevo, con Ildegarda di Bingen72 e Paracelso73, che proponevano l’utilizzo della rugiada dei fiori per il trattamento di vari disagi e malesseri nella sfera emozionale. Va infine ricordata, anche per lo straordinario risalto che sta avendo negli ultimi anni, l’esperienza del Dr. Ian White, psicologo e biologo 72 Ildegarda di Bingen (1098 - 1179 d.C.) Religiosa benedettina e naturalista tedesca, dichiarata dottore della Chiesa da Papa Benedetto XVI. 73Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim detto Paracelsus o Paracelso (1493 - 1541) medico, alchimista e astrologo svizzero.
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australiano, ultimo di cinque generazioni di Terapeuti che hanno sempre utilizzato rimedi naturali rinvenuti nel cosiddetto Bush, la parte più selvaggia del territorio. La floriterapia sintetizza in un certo senso un modo di approcciare il tema dei blocchi emotivi e delle disfunzioni a queste correlate a livello sia psichico che fisico, attraverso il carattere dell’anima del fiore, che viene estratta, con le sue caratteristiche vibrazionali, che vanno ad intervenire per riequilibrare il livello energetico della persona. Il principio di fondo della floriterapia consiste nell’individuare nel carattere del fiore una specifica vibrazione che viene memorizzata dall’acqua (informata) e così passa alla persona che risuona a quello stesso tipo di vibrazione. In particolare, il meccanismo d’azione segue il principio di risonanza: ogni essenza floreale ha una propria vibrazione caratteristica che può entrare in risonanza con una corrispondente frequenza che si trova in squilibrio all’interno dell’organismo umano. E’ lo stesso principio dell’Omeopatia74, basata sulla legge dei simili, che prevede l’utilizzo di rimedi che determinano nella persona lo stesso tipo di sintomi della malattia/ disfunzione che si intende curare. In omeopatia il rimedio è simile alla malattia nei sintomi che produce, in floriterapia il principio vibrazionale contenuto nella composizione (acqua, essenza floreale e alcol per la 74 Cfr. nota 52 dove si ricordava la grande ammirazione di Edward Bach dei confronti di Samuel Hahnemann, padre dell’Omeopatia.
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conservazione) è simile al tratto caratteriale o di personalità che si intende modificare. Sia in Omeopatia che in floriterapia la malattia da una parte e il tratto caratteriale negativo dall’altra, sono di specie o di origine diversa, non derivando, cioè, o non essendo composti dello stesso agente/fattore che ha causato la malattia o la disfunzione emozionale. Con tempi diversi a seconda di differenti fattori, tra i quali, non ultimo, l’anzianità di servizio degli schemi auto-bloccanti, le essenze floreali consentono all’organismo di riallineare la propria frequenza disarmonica o distonica a quella sussurrata dall’essenza del fiore. Quest’ultima agisce sul piano psichico e mentale con effetti sul piano emozionale e quello fisico, e non contiene principi attivi chimico-fisici (ma magari li produce a seguito della ri-armonizzazione energetica sottile collegata tramite il sistema circolatorio dei meridiani al sistema chimico-organico della persona). Detto questo, il modello sperimentale di stampo meccanicistico non arriverà mai a descrivere tramite tracciati e riscontri oggettivi quello che, attraverso la somministrazione delle essenze floreali, accade a livelli di riequilibrio del sistema di circolazione di energia sottile. Ma, abbiamo anche detto che grazie all’avvento dei nuovi strumenti di rilevazione, oggi anche le energie sottili sono riscontrabili in tracciati che consentono di correlare (con una relazione evoluta ed integrata di causa-effetto) le percezioni del “paziente” con i processi di trasformazione che effettivamente lasciano il loro segno in laboratorio. Ma c’è anche un’altra grande novità che, chiaramente, qui da 72
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noi è passata completamente, o quasi, inosservata. I Fiori di Bach vengono somministrati, generalmente, in soluzioni composte di acqua e alcol (usato come conservante). L’acqua (altro elemento naturale al pari dell’aria) assume la funzione di carrello trasportatore, cui viene dato il compito di ricordare a memoria la caratteristica del bagaglio vibrazionale estratto dal fiore. Fino a qualche tempo fa, parlare di questa fenomenologia “invisibile” incontrava pochi riconoscimenti se non, in alcuni casi, la derisione scientifica. La novità di cui parliamo riguarda proprio l’acqua, ed in particolare l’acqua “informata”, del cui comportamento si sono occupate recenti ricerche con risultati sorprendenti, in grado finalmente di svelare il motivo per cui i rimedi omeopatici e floriterapici funzionano davvero. Si tratta di studi avviati da un gruppo di fisici e biologi, guidati da Emilio Del Giudice75 e da Luc Montagnier76, e che hanno avuto recentemente nuovi sviluppi che possiamo sintetizzare negli esiti di un esperimento sbalorditivo (per gli increduli). Partendo dall’assunto che il DNA, presente in ogni cellula vivente, emette segnali elettromagnetici, i ricercatori77 hanno dimostrato che riempiendo una provetta piena d’acqua con cellule malate o batteri patogeni, il segnale 75 Emilio Del Giudice (1940 – 2014) fisico italiano, tra i pionieri della teoria delle stringhe all’inizio degli anni 70 del secolo scorso. 76 Luc Montagnier ( 1932), medico, biologo e virologo francese, Premio Nobel per la medicina 2008. 77 Cfr.: www.researchgate.net/publication/270594226_Transduction_of_ DNA_information_through_water_and_electromagnetic_waves
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del loro DNA viene catturato dall’acqua a livello di informazione. Se versiamo l’acqua di questa provetta in una seconda provetta di acqua pura, insieme all’acqua viene trasferita anche l’informazione. Nella seconda provetta si formano particolari nano-strutture, che emettono lo stesso segnale elettromagnetico contenuto nella prima. La cosa impressionante dell’esperimento è che mentre la prima provetta si trovava a Berlino, l’altra era in Italia. Nonostante questa distanza fisica, l’informazione (attraverso il segnale elettromagnetico) si è trasferita attraverso internet senza che ci fosse stato alcun contatto con i liquidi ed escludendo, per ovvi motivi, l’effetto “camice bianco” (effetto placebo). Il segnale è stato trasferito da Berlino a Roma. La provetta presente a Roma, ricevendo il segnale ha acquisito le proprietà biologiche, quelle del DNA, contenute nella provetta posizionata a Berlino. Quell’acqua ‘informata’ via internet, si dimostra in grado di ricostruire il DNA delle cellule presenti nella prima provetta78. Questo trasferimento informazionale è possibile solo nel momento in cui l’acqua acquista una particolare coerenza di tipo biologico, simile a quella presente nell’acqua dei sistemi viventi79. Si tratta, come è ovvio, di un processo sperimentale unico nel suo genere80, che può determinare notevoli cambiamenti dei modelli teorici e della ricerca biologica e medica, con 78 Il team di Emilio Del Giudice, insieme a Giuseppe Vitiello (INFN, Un. Salerno) e Alberto Tedeschi (WHITE Holographic Bioresonance, Milano) , ha infatti posto le basi teoriche per una visione fisica dell’acqua basata sulla coerenza. 79 Si legga: http://www.laltramedicina.it/omeopatia/673-acqua-informataverso-nuove-possibilit-di-cura.html#sthash.1qvztzZi.dpuf 80 Il lavoro sperimentale è stato pubblicato su : Electromagnetic Biology and Medicine 2015; 34: 106-112 (giugno 2015).
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ricadute anche di carattere “retrospettivo”, consentendoci una nuova e convincente spiegazione dei processi che determinano il funzionamento dei rimedi, omeopatici o floreali. Un funzionamento che, come dimostrano questi studi, si sviluppa a seguito del contatto dell’acqua con specifiche molecole biologiche, delle quali trattiene e memorizza l’informazione biologica, la qual cosa spiega l’effetto terapeutico. Gli ambiti di applicazione di queste evidenze sono potenzialmente innumerevoli, con altrettante possibili ricadute terapeutiche. La conferma dei dati fin qui evidenziati porterà inevitabilmente alla necessità, come accade quando si ha a che fare con le “scoperte destabilizzanti”, di ulteriori approfondimenti teorico-scientifici, che potranno suggerire vari impieghi terapeutici basati sul potenziale di applicazione dell’acqua informata. Comunque sia, questi ultimi studi, insieme con le scoperte ed evidenze di cui è costellata, ormai da diversi decenni, la strada del movimento olistico, stanno contribuendo a modificare il rapporto strutturale con la scienza e la medicina convenzionale. La riscoperta dell’energia sottile Oggi, con la scoperta dei biofotoni, di cui abbiamo parlato anche a proposito delle terapie del biocampo, si comincia a dare credito all’esistenza dell’energia sottile presente nel corpo. Ma fino a quando diversi studi scientifici non hanno dimostrato la sussistenza dei canali nei quali questa energia circola, nessuno scienziato aveva trovato il modo di darne una descrizione o di accreditarne la veridicità. 75
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Il problema è che questi studi, realizzati anche grazie alle disponibilità strumentali offerte dalla tecnologia (i nuovi sistemi di registrazione e di rilevazione) cominciano ad essere, anch’essi, datati e non sembra che la loro rilevanza abbia determinato un impatto diffuso nel sistema scientifico occidentale e nell’immaginario collettivo ad esso correlato (se non da esso determinato). Già all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso (più di 50 anni fa), gli studi avviati da un fisiologo coreano (Kim BongHan) dell’Università Nazionale di Seul, avevano dimostrato l’esistenza dei meridiani, definendoli come delle vere e proprie strutture tubolari presenti all’interno ed all’esterno del sistema dei vasi sanguigni e linfatici81. Il fisiologo si occupava di agopuntura ed era direttore dell’ Istituto per la Ricerca sui Meridiani di Agopuntura di Pyongyang. Nonostante la sua morte prematura, che non consentì una immediata diffusione dei risultati dei suoi studi, altri ricercatori ne ripresero le fila e giunsero a confermarli con ulteriori ricerche, giungendo alla interessante definizione del sistema dei meridiani come componente “parallela” e invisibile del sistema vascolare del nostro organismo, che ne rimane la componente fisica e visibile. Di energia sottile si parla per la prima volta nel “Nei Ching, o Yellow Emperor’s Classic of Internal Medicine”, scritto durante il regno dell’imperatore Huang Ti fra il 2697 e il 2596 a.C. Nello stesso testo si legge che l’energia sottile scorre nei meridiani, concepiti come una vera e propria rete 81 Cfr: http://www.jams-kpi.com/article/S2005-2901(09)60041-8/fulltext
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di distribuzione, come un web che mette in connessione permanente diverse aree del nostro corpo, costituito da 12 meridiani principali, di cui 10 associati ad un particolare organo e 2 meridiani “regolatori”. In essi, come ormai noto, non scorre sangue ma energia in una forma sottile, che si chiama, a seconda della cultura e della tradizione, Qi, Chi, Ki, Prana, e si manifesta sotto forma di vibrazione, circolazione e onde in movimento. E’ come un sistema nervoso addizionale che collega il corpo fisico e il più sottile sistema di energia che lo circonda. Partendo da questa mappa, che qui abbiamo semplificato, le discipline di matrice orientale (QiGong82, Tai Chi83, agopuntura e così via) e quelle occidentali derivate (come l’EFT) hanno concepito i loro metodi di diagnosi (con l’anatomia sottile oggi rilevabile con i nuovi strumenti tecnologici di misurazione) e cura (intervento, trattamento), partendo dall’assunto che un buono stato di salute fisica e mentale è il risultato di una circolazione energetica libera e uniforme. Al contrario, ogni blocco di questa circolazione è un potenziale fattore disfunzionale di disagio e cattiva salute per mente e corpo. Nelle circolazione energetica sottile che agisce attraverso il canale dei meridiani, una grande funzione è svolta dai Chakra, presenti nella tradizione sia medica che “mistica” 82 Il Qi Gong è una disciplina che presenta migliaia di varianti e cinque culture di riferimento (taoista, buddista, confuciana, terapeutica e marziale). Si propone di riequilibrare, armonizzare e massimizzare con il movimento l’energia vitale che fluisce nell’organismo. 83 È una disciplina che si basa su una modalità di meditazione che si svolge attraverso movimenti morbidi e lenti, dove la lentezza esteriore corrisponde allo sviluppo e al potenziamento della forza interiore.
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orientale. Esistono varie forme per descriverli e per darne un’idea compiuta e concreta. La descrizione dei chakra come trasformatori di energia sembra quella che più aiuta in questa aspirazione di intellegibilità. Essi sono 7 e si collocano in un percorso ideale che attraversa la colonna vertebrale (dall’osso sacro) fino alla sommità del cranio (la cosiddetta fontanella). Sono trasformatori di energia in quanto la raccolgono, la assimilano e la trasmettono nell’organismo anche modificandone le vibrazioni così da consentirne un utilizzo a seconda delle esigenze e attraverso il controllo delle principali ghiandole del sistema endocrino, influenzando in questo modo lo stato generale di salute sia a livello fisico che psicologico. Come già ricordato precedentemente, questo stato di salute ha il proprio riflesso nell’aura, le cui dimensioni sono direttamente proporzionali al livello di salute e di equilibrio psico-fisico dell’organismo. Pur non aggiungendo nulla di nuovo dal punto di vista teorico a quanto è rintracciabile in letteratura, parlare di energia sottile in questa parte del libro può essere utile per provare ad unire, in un unico ragionamento internamente connesso e coerente, tutte le parole che sono state fin qui scritte, a cominciare da quelle usate a proposito della acquisita consapevolezza della fase storica attuale, che per la qualità del suo stadio di evoluzione scientifica e tecnologica sarebbe in condizione di: • liberarsi dalla sterile e purtroppo dominante (da una parte e dall’altra) contrapposizione tra modelli 78
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interpretativi della realtà aventi pari potenziale scientifico – a bocce ferme quello delle discipline complementari resterà sempre e solo un potenziale, se non avrà la possibilità di essere valutato e validato, ovvero attualizzato (da potenza ad atto) • affrontare la valutazione di modelli (intesi prima come alternativi e quindi in contrapposizione, ma che dopo possono essere finalmente compresi come complementari ed integrativi) con un approccio serio e trasparente, che preveda l’ingresso in “laboratorio” di nuovi strumenti di rilevazione e misurazione ormai disponibili e grazie ai quali poter dare una tracciabilità alle sensazioni e alle percezioni qualitative e soggettive • utilizzare ufficialmente, una volta constatatane sperimentalmente la corrispondenza di valore, paradigmi addizionali a quello meccanicistico • generare, così facendo, una nuova scienza progressiva, che è una multi-scienza, in grado di integrare in un unico macro-modello stratificato il potenziale in dotazione all’umanità, nei termini di prevenzione, promozione della salute, diagnosi e cura. Se questo un giorno accadrà, sarà sicuramente un giorno pieno di luce, ma anche di energia. Ma nel frattempo, il “conto alla rovescia” è già cominciato da parecchio tempo. Molti secoli ci dividono da quando si manifestarono 79
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quelle intuizioni essenziali sui meridiani, che concepirono l’esistenza di quel “misterioso”, invisibile ma percepibile, sistema di circolazione energetica non materiale ma informazionale e vibrazionale. Intuizioni che non riguardano solo la tradizione cinese o indiana, ma diverse tra le altre antiche culture orientali, tra le quali quella thailandese e quella tibetana84. Diversi millenni sono trascorsi dai primi esordi dell’agopuntura fino a quella stagione di fine secolo scorso che vide Gary Craig con il suo EFT scoprire quello che già la MTC85 (e non solo) aveva individuato nella mappa energetica dei meridiani, parlando dell’origine di ogni malanno come conseguenza di un blocco nel sistema circolatorio (energetico, elettrico) dell’organismo. Potremmo continuare a lungo, ma il senso di queste parole è ormai chiaro. Anche la storia a suo modo è olistica. Nonostante le contrapposizioni di cui l’umanità ama contornarsi, alla fine le vie diverse porteranno tutte alla stessa direzione. Di chiarezza, disvelamento e consapevolezza. E, forse, solo allora la famosa leggenda Visnuista troverà un finale meno pessimistico di quello profetizzato da Brahma 84 Questi canali di energia, descritti in varie culture, venivano definiti in modo diverso: meridiani in Cina e Giappone, sen in Thailandia, nadi in India e semplicemente canali in Tibet. 85 La Medicina Tradizionale Cinese, contrariamente a quanto viene qualche volta riportato, non comprende tutto quello che ha avuto origine in Cina da 5.000 anni a questa parte. Essa riguarda, come applicazioni riconosciute, 5 aree definite, che sono l’agopuntura, la farmacologia (erbe, minerali e prodotti di origine animale), il massaggio Tuina, il Qigong e la corretta alimentazione (o dietetica).
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ed il quarto simbolo del Reiki verrĂ finalmente compreso. Non solo dai maestri o dagli iniziati.
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Seconda parte IL REIKI TRA STORIA E TEMPO PRESENTE di Enzo Vitali La centralità della COMUNICAZIONE Nella prima parte di questo libro sono contenute diverse riflessioni e suggestioni riguardanti le varie discipline olistiche, tutte indispensabili per aiutare l’umanità affinché ogni individuo possa vivere nel suo migliore Ben-Essere possibile. Ogni persona deve avere facoltà di scelta e discernimento della Disciplina utile. Per trovare quella giusta, ognuno di noi effettua una “scelta”, a seguito di una comunicazione sia interna (con se stessi) che esterna (confronto, richieste di informazioni, studio, etc.). Fermandoci a riflettere sull’importanza della comunicazione, in batter d’ali analizziamo come in breve tempo, poco più di un secolo, siamo giunti alla cosiddetta ”globalizzazione”. Affermare che comunicazione è anche guarigione, non è uno sproposito. La persona nel suo Essere, i suoi organi, gli apparati e le cellule, come comunicano? In modo armonioso e produttivo? In tal caso godremo di ottima salute. In caso contrario si manifesterà un situazione di disagio, disfunzionalità fino al sopraggiungere della “malattia”. Una cattiva comunicazione dà luogo a tante difficoltà… basta pensare: al rapporto di coppia, ai rapporti tra popoli, tra i vari governi e, così, una cattiva comunicazione delle cellule umane genera la malattia di ogni tipo compreso il cancro. La comunicazione, pertanto, è un elemento fondamentale 83
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per conseguire la guarigione. Quindi, consapevolmente o meno, comunichiamo. Anche rivolti verso un muro, o rannicchiati in un angolo chiusi con noi stessi comunichiamo, forse un disagio. Comunichiamo di non voler istaurare un rapporto con il prossimo oppure il bisogno di attenzione. Comunicare deriva dal latino communicatio, rendere comune, far partecipare. Il significato del termine, come possiamo notare, non prevede l’uso della parola alla quale, invece, diamo grande importanza. La parola è ascolto. Sappiamo benissimo quanto è importante la fase dell’ascolto ed è difficile trovare qualcuno disposto a farlo sempre, anche se, madre natura ci ricorda di averci dotati di due orecchie e di una sola bocca. Riferendoci a recenti studi sulla comunicazione verbale, si evidenzia che le parole usate e il contenuto del messaggio incidono per un 7% sull’efficacia comunicativa, mentre la comunicazione non verbale, il cosiddetto messaggio del corpo (contatto visivo, gesti, postura e tutto quanto sta dietro le parole), incide per il 55 %, mentre, infine, il tono, volume e ritmo della voce incidono per il 38 %. Pertanto quando comunichiamo con altre persone non è importante “cosa diciamo” piuttosto ciò che esse capiscono. Ne consegue che comunicare non è solo parlare, piuttosto una azione di due aspetti fondamentali: • Trasmettere un messaggio, condividere una informazione; • Ascoltare o ricevere un messaggio oppure un’informazione. Senza ombra di dubbio tra queste due fasi la più importante è la seconda, perché senza un corretto ascolto, nulla ha 84
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significato. Quante volte, ascoltando una canzone, al primo impatto non piace, mentre ascoltando più volte ci entusiasma? “Casualmente” la natura ci ha fornito di due orecchie e una bocca, proprio per ricordare l’importanza di questo aspetto, presi dal rumore che abbiamo nelle nostre teste. Il principio di Ubuntu, reso celebre da Nelson Mandela, ci dice “io sono perché noi siamo”. Basta riflettere: ciò che sono è in relazione agli altri , quello che ho imparato lo devo ai miei genitori, agli insegnanti, agli amici e parenti, etc. Abbiamo imparato a camminare perché qualcuno ce lo ha insegnato, a parlare, scrivere, leggere perché ci è stato mostrato come si fa; il lavoro, gli hobby si imparano da altre persone, se camminiamo su strade e viviamo dentro case è perché qualcuno le ha costruite per noi Questo sinteticamente per affermare quanto siamo irrimediabilmente interconnessi, dipendenti gli uni dagli altri. Siamo tutti connessi tra noi in modo profondo. Ogni persona ha la sua “musica” (veramente, ogni cosa che esiste ne ha una). Quando ci poniamo nel giusto ascolto permettiamo a questa “musica” di essere suonata. Seconda considerazione che desidero fare è che “il giusto ascolto” permette alle persone ascoltate di manifestare pienamente ciò che sono. Questo è uno straordinario regalo che facciamo all’altro permettendogli di “essere ciò che è”. Ascoltare ci pone nella condizione di stare attenti. Quando succede creiamo un ponte tra noi e l’oggetto dell’interesse, andiamo oltre noi stessi, oltre ciò che siamo, creiamo un ponte con l’altro, ad esempio quando ci innamoriamo siamo molto attenti ai particolari della persona, che è sempre nei nostri pensieri. 85
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Questo è il concetto cardine per comprendere le discipline olistiche. Esse ci insegnano a come porre la nostra attenzione verso tutto ciò che fa parte del nostro mondo, “la natura” in tutte le sue manifestazioni di vita e a come entrarci in comunicazione (contatto) sperimentando lo stato di “essere” in unità nel TUTTO UNO. Che cos’è il Reiki E’ la domanda più frequente che mi viene fatta da quasi un ventennio, e trovo sempre difficoltà a spiegare cosa è Reiki. Intanto desidero fare chiarezza, nel senso che la Disciplina “Reiki” non è una magia, una scoperta scientifica, né tantomeno una religione. E’ soltanto un mezzo che ogni persona può ricevere ed imparare a usare, un mezzo che stabilisce una connessione tra l’essere umano e l’energia primaria della creazione. Spiegare “Reiki” come sopra accennato è una impresa ardua, esso è innanzi tutto una esperienza e come tale va vissuta. Spiegare a parole l’essenza di una esperienza non è semplice. Immaginiamo di descrivere una escursione in montagna a chi non ha mai fatto questa esperienza. Sicuramente saremo molto dettagliati nella descrizione del sentiero, della sua lunghezza, le ore di percorrenza, la descrizione dei luoghi, la bellezza del panorama. La più puntuale e precisa descrizione non potrà al nostro ascoltatore rendere l’idea dell’esperienza vissuta durante il cammino, le emozioni provate nel vivere immersi nella natura, cosa si prova nel sedersi ad osservare ciò che ci circonda, sentirsi in unità con la natura. Allo stesso modo, descrivere ad una persona cosa significa assaporare una mela se non l’ha mai mangiata. Possiamo 86
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descrivere come si genera il colore, le caratteristiche nutritive, ma non potremo mai esprimere l’esperienza di cosa si prova portando la mela alla bocca e gustarne il sapore. Così è per il Reiki, proprio per la sua specificità di essere da una parte una Disciplina che porta con sé un percorso di crescita e di evoluzione personale, dall’altra di essere una pratica rivolta al trattamento degli altri: due esperienze affascinanti e diverse. Lo stesso scopritore USUI SENSEI affermava (nel Manuale Hikkei) che nemmeno lui sapeva come aveva fatto a realizzare ed a scoprire questa cosa, per la quale, tra l’altro, non era necessaria nessuna conoscenza o particolare capacità. Egli affermava semplicemente che forse un giorno la scienza avrebbe spiegato che cosa è il Reiki o perché funziona il Reiki. L’affermazione di Usui Sensei che “un giorno la scienza dimostrerà come e perché funziona Reiki” è stata premonitrice. Nel 1988 il noto studioso e ricercatore John Zimmerman si occupò di verificare cosa accade mentre si praticano trattamenti di Reiki e la ricerca rivelò “non solo che le onde cerebrali del praticante e del ricevente si sincronizzavano nello stato Alpha, caratteristico del rilassamento profondo, dell’analgesia e della meditazione, ma che pulsavano all’unisono con il campo magnetico terrestre (Biorisonanza di Schuman)”. Inoltre durante i Trattamenti, il campo biomagnetico dei Trattanti era almeno mille volte più esteso del normale e ciò non aveva relazione con la corrente del corpo interno. Così la ricerca ha evidenziato che il risultato del trattamento Reiki non è conseguenza di un effetto placebo o di credenza. Per comprendere meglio cosa è Reiki prendiamo in 87
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esame l’affermazione di Albert Einstein, “tutta la materia dell’Universo non è altro che energia solidificata, con una frequenza vibrazionale minore rispetto alla costante velocità della luce al quadrato”. E così il corpo umano è una massa energetica solida, con una infinità di frequenze vibrazionali interagenti tra di loro, attraverso scambio di informazioni tra energie con frequenze diverse. Questo sta a significare che ogni nostro organo, apparato, muscolo ha una sua frequenza vibrazionale. Ciò premesso possiamo affermare che il corpo umano (inteso in senso olistico come un tutt’uno costituito da corpo e mente) è concepibile come un insieme di energie con frequenze vibrazionali ben precise e “funziona” in maniera normale e fisiologica fino a quando l’interscambio di informazioni tra le diverse frequenze vibrazionali resta invariato nel suo contesto naturale. Quando si verifica uno squilibrio sul piano energetico lo stesso si riflette sul funzionamento della struttura organica, portando alla malattia o al blocco emozionale. Il Reiki agisce a livello energetico, e di riflesso sul piano fisico e/o emozionale, riportando le frequenze vibratorie dell’energia individuale in “risonanza” armonica con quelle naturali proprie dell’energia vitale universale (KI), il cosiddetto “campo unificato” in fisica, non sono condizionabili e restano sempre armoniche. Per analogia, durante la digestione proprio per favorire questo processo c’è un maggiore accumulo sanguigno nell’area del ventre, dopodiché il flusso ritorna normale. Sul piano Energetico è la stessa cosa, ovvero, nel momento in cui una Frequenza non comunica più con le altre, il campo energetico ritrova il suo equilibrio sopperendo all’apporto 88
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della frequenza mancante e così via. Quando le frequenze sono dissonanti, lo squilibrio energetico si ripercuote sul piano fisico portando alla malattia o al blocco emozionale. Discorso molto interessante…. La parola Reiki rispetto al tema dell’energia, con quale significato è arrivata a noi? Come possiamo “tradurre”, oggi, la parola Reiki? Reiki in giapponese significa ’Energia Vitale Universale”, anche se, osservando l’Ideogramma, questa traduzione appare molto riduttiva. “Reiki” è composto da due Kanji (antica forma di scrittura giapponese) che esprimono concetti (idee grafiche), i quali non hanno corrispondenza fonetica. Pertanto questa scrittura descrittiva, pur riferendosi ad un significato oggettivo lascia spazio anche a interpretazioni soggettive. Leggere un ideogramma è un po’ come osservare un quadro: ognuno può darne una interpretazione personale. REI, L’Ideogramma Reiki è composto da due Kanji l’aspetto infinito della vita, il principio, l’inizio, l’assoluto, KI, è onnicomprensivo, il mistero dell’universo. “Atmosfera” qualcosa che non si vede, il soffio, l’energia di base che: sostiene tutto ciò che esiste e che dà sostentamento a tutti gli esseri viventi. L’Ideogramma nella sua generalità può essere così dettagliato: 1^ Parte (REI) Il primo tratto, sta a significare il Cielo, qualcosa di misterioso, inesprimibile, che vuol dire potenzialità generativa, l’inizio, il principio, da dove si genera, il tutto, l’Uno. 89
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nel cielo le nuvole si muovono, questo movimento esprime anche il tempo e conseguentemente scandisce le stagioni, Anche, dall’uno si genera il due, lo yin e yang, ciò che genera la luce e la materia. Il tratto centrale, il fulmine che squarcia il cielo nuvoloso, genera la pioggia. Dall’alto verso il basso, dal cielo alla terra, dalla divinità all’essere umano. Le nuvole che danno origine all’acqua elemento base della vita. Secondo la tradizione comune, le tre bocche sulla terra si aprono per ricevere i doni dal cielo. Questo simbolo rappresenta anche il tre, il due genera il tre rappresentando la creazione, da dove si produce lo yin e yang. Ancora, le bocche aperte che ringraziano pregando o cantando. Ringraziano per i doni che ricevono dal cielo; le tre bocche aperte significano anche l’apertura alle meraviglie della vita. Qui sono raffigurati uomini e donne, che rappresentano l’unione tra cielo e terra, ringraziano e manifestano gratitudine per la vita, facendo del loro corpo un luogo sacro, il tempio. Il tre (bocche) genera tanti esseri, tutto ciò che esiste, uomini, donne, piante, tutto quanto si manifesta nell’universo
2^ Parte (KI)
la
seconda
parte 90
dell’Ideogramma
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(KI) è spiegato partendo dal basso. Qui è rappresentato il chicco di riso, il sostentamento per l’essere umano, il seme della vita dentro di noi, che acquisisce nutrimento dal cielo e si espande verso l’alto per migliorare se stesso, trovando così la sua realizzazione. Questi tratti indicano il movimento del cielo. Anticamente i contadini usavano questo kanji per invocare la pioggia. Il tratto più lungo rivolto verso l’alto sta ad indicare il vapore, la volontà di comunicazione con il cielo. La stessa energia generata dal chicco di riso si alza dalla terra per tornare al cielo formando le nuvole, tornando nuovamente sotto forma di pioggia. Quindi, la nostra realizzazione ci porta verso l’origine del tutto, esperienziando cosi l’unità con l’universo, ciò che è dentro e fuori, in alto come in basso. Questi due cangi, strettamente significano Energia Vitale Universale, ma dettagliatamente abbiamo notato come sia ampia la rappresentazione del concetto ciclico e continuo della vita. La prima parte REI, l’energia che scende verso il basso per dare la vita, e dal basso il Ki, l’energia di vita in espansione ritorna verso l’alto. Possiamo comprendere come sia difficile spiegare il significato di “Reiki”. Esistono varie spiegazioni dell’ideogramma, che si perde nella notte dei tempi. La definizione scritta più antica del termine si trova nel “Trattato del filosofo Mencio (Meng Dsi dal libro “Lo spirito del 91
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Reiki”) dove l’autore racconta che nei vari monasteri si praticavano diversi tipi di meditazione per raggiungere benefici terreni, trascurando l’importanza del percorso di evoluzione personale attraverso la ricerca del divino attraverso il Ling QI (il termine Reiki in Cinese); possiamo notare come certe difficoltà sono presenti in tutte le epoche. Ritorniamo a noi, al Ki. Secondo i giapponesi questo termine ha svariati significati a seconda del contesto usato: spirito, anima, cuore e atmosfera Ogni volta che parlo di “Reiki” sono in difficoltà perché mi vengono in mente le persone che non lo conoscono, ma ne hanno sentito parlare immaginando una sorta di terapia “energetica” con l’imposizione delle mani. Pertanto, quando parliamo di “energia” associata alla “guarigione”, molti tendono a dare a questo termine un significato misterioso, esoterico, a volte in alcuni casi anche a ridicolizzarlo. Al contrario, per la cultura giapponese e cinese il concetto di “energia”, come sopra descritto, è molto concreto ed i suoi effetti sono visibili nella realtà. La cultura del popolo giapponese pone l’attenzione su ciò che funziona, lasciando perdere ciò che non lo fa. Infatti il Ki (energia) è alla base di tutto. Ne sono un esempio le arti marziali pratiche (Spirituali) che posso far raggiungere grandi risultati sul piano della prestazione fisica e della concentrazione mentale. Il Maestro Moribei Ushiba fondatore dell’Aikido sosteneva: “Il Ki è il motore mobile dell’universo, viene prima dell’universo e con esso si espande. Per questo i limiti del Ki non sono tali, poiché illimitato è l’universo. Non essendovi distinzione tra il Ki che fluisce dentro di noi e l’incontenibile Ki universale, anche i limiti delle nostre potenzialità sono insondabili [...] Percepire il Ki universale dentro di noi significa percepire noi stessi come parte di un tutto grandioso e 92
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smisurato rispetto a noi, ma dalla cui energia possiamo fruire in ogni momento: l’umiltà e forza”. Trovo molto interessante, per chiarire il concetto di energia e per la comprensione del “Reiki”, parlare delle forme di energia che interagiscono all’interno del corpo umano, secondo il sistema giapponese. Il Ki circola all’interno del corpo in sette forme diverse interagenti tra loro: Kekki deriva da ketsu, “sangue”, letteralmente il Ki del sangue, energia grezza di base per sostenere le cellule nella loro struttura e funzioni, - informazione, dare e ricevere nutrimento, la nostra vitalità. Shioke è il Ki - dei Sali minerali - che fornisce la struttura alla vitalità Kekki. L’energia per la sua manifestazione necessita di struttura, quindi Shioke è l’informazione della forma che dura per il tempo necessario allo scopo. Mizuke – è il Ki dell’acqua, o dei liquidi – è la base della comunicazione tra le parti, favorisce l’eliminazione dei distacchi e rende possibile l’informazione di gioia e allegria e del senso di sicurezza. E’ da questo Ki che hanno origine gli schemi fondamentali della fiducia, del desiderio e della dedizione verso l’altro. Mizuke mette in relazione le energie precedenti plasmando l’energia Kekki contenuta nella forma di Shioke, rendendo così possibile il flusso delle forze da una forma a all’altra. Kuki è il Ki dell’aria o del gas – questo aspetto del Ki riguarda la crescita, il salire verso l’alto per la realizzazione personale. E’ lo stimolatore del pensiero logico, è la forza mentale, utilizzata nelle arti marziali (rottura di tavolette con un colpo di 93
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mano) o dai guaritori. Denki è il Ki del tuono – offre la possibilità di avere rapporti con l’ego e crescere in modo attento ai bisogni degli altri. Denki è il Ki che produce gli schemi emozionali dell’amore, della solidarietà e della fiducia nel divino. Pertanto Denki permette di trovare l’armonia tra le varie diversità della vita e di sviluppare se stessi senza danneggiare gli altri. Jiki è il Ki della cosiddetta “energia magnetica” o “forza della concentrazione”. Jiki rappresenta la bellezza in tutte le sue forme, l’arte, l’estetica, la perfezione della relazione tra tutte le cose, l’espressione magnetica della nostra esistenza, e ci permette di attrarre le persone giuste per il nostro sviluppo personale e spirituale. Reiki è il Ki “dell’energia spirituale, la forza dell’anima” è l’informazione dell’energia primaria della creazione. Reiki è il Ki organizzatore e la base di tutte le manifestazioni del Ki sopra citate. Il Reiki unisce senza legare, stimola senza sovreccitare, separa senza isolare, indirizza l’attenzione verso la vita e l’amore che abbiamo nel cuore, produce chiarezza mantenendo vivo l’interesse e ci stimola e risveglia lo sviluppo di ogni sorta di potenzialità. Ki Divino denominato Shinki, il Ki tutto è creato e dove tutto ritorna alla fine dell’esistenza terrena. Opera attraverso il Reiki, fuori del mondo materiale posto sopra la nostra testa. Così Reiki regola tutti i tipi di processi vitali, altresì la connessione tra Ki Divino e Reiki permette a quest’ultimo di mantenere l’equilibrio dei flussi Jin e Yang. Possiamo comprendere come il significato di Energia che 94
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intendiamo con il “Reiki” sia molto affascinante e diverso da come a volte le persone intendono le “energie”, come un qualcosa di impalpabile, o magico, di positivo o negativo. In realtà tutto ciò che esiste è energia “Albert Einstein – Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà. Non c’e altra via. Questa non è filosofia è fisica”. L’energia è frequenza e vibrazione, è veicolatrice di informazioni di tutto quello che noi definiamo materia, informazioni di vita. Rei-Ki è un tipo di energia e di informazione specifica, è “l’intelligenza primaria della vita”, informazione che permette l’armonia e la perfezione. Sicuramente abbiamo notato le radici degli alberi che spaccano muri, creano avvallamenti sulle strade, o un fiore che spunta dalle pietre di un muro. Tutto ciò avviene grazie all’informazione di base, il seme divino che si trova in tutto ciò che vive e tende alla sua massima realizzazione, indipendentemente dalla condizione di partenza, quella è l’informazione “Reiki”. Quindi “Reiki” è informazione primaria della vita intrinseca all’interno del seme che gli permetterà di diventare una pianta (la ghianda diverrà quercia), l’intelligenza all’interno della morula (l’aggregato di cellule che si formano nei primi stadi dello sviluppo embrionale), contenente l’informazione dell’essere umano che diverremo, come quella presente in ogni pianta, animale o minerale. Essere umano, ma non solo. Per le sue caratteristiche, il Reiki è per tutto ciò che è vivente: animali, piante, e tutto il resto. Ecco perché è complesso definire il Reiki, ad esempio, ai neofiti che in tre battute vorrebbero comprendere il significato energetico del “Reiki” o di come faccia ad essere 95
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spirituale senza intaccare la fede religiosa. La vera spiritualità è nella natura ed insegna a vivere nel mondo. Quanto sopra citato potrebbe essere una modalità di raccontare, descrivere il Reiki. Reiki e “Usui Reiki Ryoho”, quale è la differenza? Abbiamo analizzato “Reiki” nel significato e accennato come questo sia un termine molto antico, utilizzato dalla cultura cinese prima (ling Qi) e giapponese poi (Rei-Ki). Proviamo ora ad analizzare storicamente e sinteticamente l’origine dell’Usui Reiki Ryoho. Nel periodo dell’Imperatore Meji (1868-1912, periodo del regno illuminato), e in quello Taisho (1912-1926, periodo della grande giustizia), il Giappone è caratterizzato da un grande fermento di attività spirituali. Hanno origine le arti marziali, si sviluppano pratiche di guarigione che utilizzavano il termine “Reiki Ryoho”. Questo nome compare per la prima svolta nel titolo del libro del Terapeuta Mataji Kawakami,”Reiki Ryoho To Sono Koka”. Storicamente, questo avveniva prima che Usui Sensei scopriva la Disciplina da noi oggi conosciuta. In Giappone, coloro che insegnano o fondano scuole sono considerati Maestri Fondatori di nuovi insegnamenti e solo dopo accurato studio e un esercizio Disciplinato chiamato “Toku”, lo trasmettono agli altri, diffondendo un metodo (sentiero) d’insegnamento chiamato “Koh”. In questo senso, Usui Sensei può essere considerato un Grande Maestro Fondatore. In questo periodo di fermento spirituale, Usui Sensei (1865-1926) dall’età di dieci anni si avvia alla conoscenza delle arti marziali, per divenire profondo conoscitore delle stesse. Nello stesso tempo, Sensei Mikao si avvicina alla 96
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conoscenza delle pratiche di guarigione. Nonostante la famiglia fosse di umili origini, anche se discendente da dinastia Samurai, Usui Sensei, lavorando duramente, riuscì a viaggiare in America ed Europa e a studiare in Cina. Dopo il successo nella vita, guadagnato con impegno, dedizione e Disciplina al lavoro duro e allo studio, Usui Sensei cadde in grosse difficoltà. Tuttavia, con la forza che lo aveva sempre contraddistinto, iniziò a praticare meditazione e digiuno sul monte Kurama-yama (Kyoto). Qui, dopo tre settimane, fu colto da un forte stordimento come se fosse stato colpito in testa un fulmine e svenne. Risvegliatosi a causa del freddo, nonostante che avesse fame ed una incredibile stanchezza, sentiva la pace nel suo cuore. Si rese conto che “l’universo esisteva dentro lui e che lui esisteva nell’universo”. Sentiva un senso di pace o Illuminazione, che gli faceva percepire la connessione del suo corpo (Tainai Reiki) con l’universo (Uchu Reiki) e viceversa. Scendendo dal monte Kurama-yama il Maestro inciampò, si strappò un’unghia del dito del piede, e istintivamente prendendo tra le mani il piede, spontaneamente notò l’attenuarsi del dolore. Così fu un crescendo di esperienza e costatazione “la mia mano si avvicina con naturalezza al punto dove c’è un dolore e/o una difficoltà”, “percepisco qualcosa che risuona nella mia mano, sembra la risonanza tra l’Energia Universale (Uchu Reiki) e l’energia del mio corpo (Tainai Reiki)”, “Quando la vibrazione aumenta il dolore è lenito”. Così Usui Sensei consapevolizza il suo nuovo stato di “Pace Interiore”, questo nuovo sentire della vita in gioia e felicità definito Anshin Ritsumei, che fece scoprire al Maestro la sua nuova condizione e capacità di sentirsi in comunione con 97
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il Tutto. Questo aveva un effetto positivo sulla sua salute e su quella delle altre persone. Pertanto Usui Sensei, avendo ricevuto questa capacità dal “Cielo” volle condividere la gioia della vita con il maggior numero di persone possibile. Ed è così che ebbe origine “Reiho” (Reiki Ryoho). Con Reiho l’obiettivo non era solo l’imposizione delle mani, ma anche il far vivere la vita godendo delle cose belle che abbiamo disponibili, equilibrando la mente e rendendo il corpo più sano, usando l’innata abilità che tutti noi abbiamo. Piano piano il Maestro acquisì notorietà e fama. Creò la Scuola Gakkai dove insegnare Reiki Ryoho e fare Trattamenti ad Ayoama (Tokyo). Qui, nel 1923 ci fu un grande terremoto e Usui Sensei, provando pietà e compassione per le persone bisognose di aiuto, si mise a disposizione di tanti, tant’è che la sua fama crebbe così in fretta al punto che il “Dojo” (la sede della sua scuola) risultò presto troppo piccolo per le necessità e ne fu costruito uno nuovo e più grande a Nakano. Questa Disciplina viene denominata “Shin Shin Kaizen Usui Reiki Ryoho”, che tradotto significa “Miglioramento del proprio corpo (salute) e della mente (saggezza)”. Quindi, dal punto di vista storico, il termine “Reiki” è molto antico, legato al significato di Energia Vitale Universale, derivante a sua volta dal termine cinese “ling Qi”. Mentre il termine “Reiki Ryoho” era usato per definire le pratiche di guarigione, prima che Usui Sensei scoprisse la Disciplina così come noi la conosciamo, con la definizione “Shin Shin Kaizen Usui Reiki Ryoho” abbreviato per praticità in occidente in “Usui Reiki Ryoho”. E’ comprensibile quanto sia di fondamentale importanza il significato letterale dei termini usati. Da tutto ciò consegue che chiamare la 98
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Disciplina semplicemente “Reiki” non è solo riduttivo, ma è anche lontano dal vero significato. E’ anche vero che ormai è così radicato in occidente l’uso del termine “Reiki” che è divenuto prassi. Dobbiamo comunque tener presente che questa modalità di approccio linguistico alla Disciplina, denominandola con un termine diverso dal significato, può generare confusione in chi non conosce l’insegnamento “Usui Reiki Ryoho”. Spesso si legge che Usui Sensei ha riscoperto il “Reiki”, che cosa si intende? Dopo aver parlato del significato e della storia del termine “Reiki” secondo la tradizione giapponese, abbiamo accennato in merito a come era usato “Reiki Ryoho” prima che Usui Sensei scoprisse la Disciplina oggi conosciuta. Abbiamo ripercorso il racconto di come il Maestro avesse ricevuto “il dono dal Cielo”. Questa sintetica ricostruzione storica è importante per togliere il velo dal mistero che circonda Shin shin Kaizen Usui Reiki Ryoho e il suo fondatore. Tra l’altro, fino a qualche decennio fa non era certo se Usui fosse realmente esistito, così come si dice che egli abbia riscoperto la Disciplina. Nulla da eccepire su chi sostiene la “riscoperta della Disciplina”. C’è da dire che le risultanze storiche consentono di considerare che la scoperta di Usui Sensei abbia reso possibile, a chiunque voglia, di usufruirne, iniziando il percorso di conoscenza e consapevolezza che il maestro ha reso disponibile. Tant’è che oggi è la Disciplina più conosciuta al mondo. Sicuramente anche prima di Usui Sensei la “Conoscenza” era disponibile, ma se così era, questa non era per tutti. Era solo per pochi “eletti” che oralmente la tramandavano 99
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di generazione in generazione. Certamente, in diverse tradizioni tra cui quella Andina e degli aborigeni australiani, si possono ritrovare gli stessi concetti e modalità dell’Usui Reiki Ryoho. Quindi a mio avviso potrebbe essere più rispettoso sia per la Disciplina che per il Fondatore, affermare che “Shin Shin Kaizen Usui Reiki Ryoho” è la Disciplina che Mikao Usui nel 1922 ha scoperto, indicando a tutti come raggiungere l’Anshin Ritsumei, anziché riservarlo a pochi “eletti” o a coloro che hanno ricevuto il “dono”. Sempre ripartendo dalla figura di USUI, leggiamo di tante scuole di pensiero, di tanti punti di vista, addirittura anche la storia di Usui portata da qualcuno, lo raffigura come cristiano, qualcun altro come buddista. Si parla della sua esperienza di studi a Chicago... Tutto questo ha creato anche un certo mistero, un insieme di visioni diverse, nel recente passato ma anche adesso, come in altre discipline. Ci sono tante scuole di pensiero. Qual è la sua visione in merito? In precedenza abbiamo detto di quanto, fino a metà anni 90 (del 1900) la storia di Usui Sensei fosse avvolta dal mistero. Si pensava addirittura che in Giappone non si praticasse più Usui Reiki Ryoho. Brevemente ripercorriamo i tratti storici più importanti. Usui Mikao, nato il 15 agosto 1865 nel villaggio Tainai Mura (oggi Myiama-cho nel distretto di Gifu), veniva chiamato anche Gyoho o Gyohan, che significa vela illuminata dal sole. La famiglia, seguace del buddismo Tendai, non viveva in ricchezza, ed anche per questo egli, giovanissimo, lasciò il villaggio e non vi fece più ritorno. 100
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Usui Sesei, fin da bambino, dimostrò una intelligenza brillante fuori dal comune, dotato di un fisico robusto, sempre sorridente, di grande cuore e tollerante nei confronti del prossimo e molto prudente nelle decisioni da prendere. La vita lo portò spesso a confrontarsi con le difficoltà economiche, ma non perse mai la passione per lo studio. Si interessò a molte discipline, dalle arti marziali al Ki-Ko (l’equivalente giapponese del Qi Gong, tecnica per lo sviluppo dell’energia interna), dalle conoscenze di psicologia all’I-ching, dalla medicina alle scritture sacre fino alla fisiognomica e alle pratiche sulle montagne sacre. Europa, Cina sono state mete dei suoi viaggi e, nonostante l’epoca in cui visse nel corso della quale in genere i figli seguivano le attività dei padri, cambiò molti mestieri. Fu giornalista, impiegato pubblico e privato, commerciante, cappellano di prigione e segretario di uomini politici. Tutto questo fermento, perennemente presente nella sua vita fin da giovane, era la ricerca “del senso della vita”. Grazie a questa sua continua ricerca sul monte Kurama yama scopri lo stato “Anshin Ritsumei”, la condizione di pace interiore di cuore e mente. Quando la persona sperimenta questa condizione, si sente parte della vita riconosce la propria missione e la realizza. Quanto sopra scritto è una sintesi storica della vita di Usui Sensei, tratta dalla Stele (pietra tombale) ritrovata nel cimitero di Saihoji, a Tokyo. Ad oggi, la stele è l’unica fonte di documentazione disponibile, grazie alla scoperta da parte di F. A. Petter. Fino alle soglie degli anni 2000 la “Storia di Usui” fu raccontata diversamente da quanto riportato sulla stele (realizzata, tra l’altro, dagli allievi di Usui). Veniva affermato “... Usui era monaco cristiano. Mentre insegnava, uno studente gli chiese 101
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come mai Gesù guariva con le mani, non seppe rispondere. Allora il Maestro si mise alla ricerca del perché, viaggiando in Europa, Cina e America, non trovando nessuna risposta si ritirò in meditazione sul monte Kurama yama ...”. La Svolta, per la chiarezza della ricostruzione storica di Usui Sensei, avvenne nel corso del simposio internazionale di Vancouver in Canada del 1999, che vide la partecipazione di Hyakuten Inamoto e Hiroshi Doi, insegnanti giapponesi che sono a conoscenza degli insegnamenti “Usui Reiki Ryoho Gakkai” . Nonostante la narrazione storica romanzata e diverse modalità di insegnamento praticate, “Usui Reiki Ryoho” è la Disciplina Olistica più conosciuta al Mondo. Questa diffusione così importante la dobbiamo alla signora Hawayo Takata, allieva diretta di Chujiro Hayashi, a sua volta allievo di Usui Sensei. Sebbene avesse seguito gli insegnamenti di Hayashi e fosse in possesso della conoscenza delle reali origini dell’Usui Reiki Ryoho, la signora Takata si convinse che le caratteristiche degli insegnamenti ricevuti da Hayashi e di quelli praticati in Giappone in quel momento prevedevano un approccio non valido per l’Occidente. Li reputava complessi, richiedevano anni di formazione e in qualche modo erano collegati agli insegnamenti buddisti Tendai e Shugendo. Ignorando questi ultimi insegnamenti, comprendiamo benissimo come gli “Insegnamenti Usui Reiki Ryoho”, siano stati modificati da Takata Sensei. Quest’ultima ha formato circa venti Insegnanti, con il suo metodo, conosciuto come “Shiki Reiki Ryoho”. “Shiki”, significa stile o modalità di insegnamento e da qui si sono generate diverse scuole di formazione: tra le più rinomate “The Reiki Alliance”, “The Radiance Technique International Association” . La prima 102
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fondata da Phyllis Lei Furumoto e l’altra da Barbara Day, entrambe discendenti dirette di TaKata Sensei. “Shiki Reiki Ryoho” fino agli anni Novanta è stato identificato maggiormente con queste due “Scuole”. Ed è proprio in questo periodo che in occidente il Reiki registra una grande diffusione, nonostante che gli insegnamenti si basassero sul trattamento e autotrattamento mediante l’imposizione delle mani. Ad un certo punto, come detto prima, con il congresso internazionale di Vancouver del 1999, con la partecipazione dei più illustri insegnanti occidentali dell’epoca, tra i quali F. A. Petter scopritore della Tomba di Usui, gli Insegnanti Giapponesi Hiroshi Doi e il Rev. Hyakuten Inamoto, rispettivamente fondatori della Scuole o Stili Gendai Reiki e Komyo Reiki Do, sono iniziate ad arrivare in occidente le notizie dell’Insegnamento “Usui Reiki Ryoho” secondo la Tradizione Giapponese della Scuola Gakkai. Pertanto nonostante il proliferare di varie forme di Insegnamento, “Usui Reiki Ryoho” ha avuto una diffusione notevole in occidente. Tale diffusione ha permesso alla Disciplina di essere sperimentata e utilizzata in numerosi ospedali degli Stati Uniti e del resto del mondo, Italia compresa, ed è per questo che occorre rendere infinita gratitudine alla signora Hawayo Takata, per la diffusione della Disciplina anche se con insegnamenti riformulati rispetto agli originali, la cui storia rimandiamo alla lettura delle fonti di informazione della rete o letterarie in genere. I riferimenti storici sono stati scritti riferendoci a documenti probanti che riporteremo in bibliografia. Nonostante la scoperta di F. A. Petter del luogo di sepoltura di Usui e la trascrizione di quanto riportato sulla “Stele”, fino al 2011 risultano stampe che riportano la narrazione 103
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Storica di Usui non supportata da documentazione, come l’affermazione che egli abbia studiato a Chicago. Certamente questa continua contrapposizione storica ha contribuito a generare confusione ed a suscitare il riferimento ad aspetti magici che nulla hanno a che vedere con la bellezza della Disciplina. Perche tanti insegnamenti? Certo, avendo prima considerato che la conoscenza dell’Usui Reiki Ryoho ha generato perlomeno due Scuole e orientamenti, viene spontaneo chiederci come mai tanti insegnamenti. “Senza le radici una pianta non crescerà e non porta i frutti”. Per approfondire e spiegare comprendere il sistema “Usui Reiki Ryoho”, dobbiamo tornare alle radici degli insegnamenti “seminati da Mikao Usui”. Solo esplorando e praticando le “radici” si possono comprendere e scegliere i “frutti” della Disciplina. Per partire dalle “radici” dobbiamo tornare al periodo tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 per comprendere gli insegnamenti dell’ “Usui Reiki Ryoho” che riportano: Reiki = vero Sé o Sé Superiore; Ryo = curare o guarire; Ho = metodo o Dharma o Insegnamento. Pertanto Usui Reiki Ryoho sta per: gli insegnamenti di Usui (Dharma), per curare, guarire (Ryo) il proprio Sé (Reiki). Quindi il nome della Disciplina descrive il metodo per scoprire il proprio Sé (curare/guarire), non di un vero e proprio sistema di guarigione fisica. Semmai, il nome suggerisce che dopo la scoperta del nostro Sé possiamo essere in grado di aiutare gli altri. Fulcro del Metodo sono i precetti (solo per oggi… non essere arrabbiato.. non essere 104
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preoccupato… con gratitudine… lavora diligentemente.. si gentile con gli altri..). Queste le “radici” della Disciplina Usui Reiki Ryoho, da qui, con la fondazione della scuola “Usui Reiki Ryoho Gakkai”, il Metodo ha mosso i primi passi e Usui Sensei ha iniziato a fare trattamenti e ad insegnare. Tra le persone che hanno ricevuto gli insegnamenti c’è Chujiro Hayashi. Quindi, i punti di riferimento per comprendere il perché di diversi stili “Shiki”, sono la Scuola Gakkai e Hayashi Sensei. Hayashi ha formato poche persone tra le quali Chiyoko Yamaguchi e la stessa Hawayo Takata. Hayashi Sensei ha aggiunto alle conoscenze acquisite da Usui, il trattamento con l’imposizione delle mani nella posizione sdraiata su un piano (lettino/ tavolo), e ha fondato una propria scuola (Hayashi Reiki Ryoho Kenkyukai) con un proprio stile di insegnamento. In questo modo, le “radici” hanno subito le prime modifiche. In seguito, Takata Sensei ha ulteriormente modificato l’insegnamento da lei appreso da Hayashi, definendo il metodo identificato come Shiki Reiki Ryoho. Con questo metodo sono cresciuti circa venti insegnanti, discendenti direttamente da Takata Sensei. E così, in pochi anni (dal 1940 agli anni novanta), lo Shiki Reiki Ryoho si è diffuso esponenzialmente in tutto l’Occidente. In quel periodo caratterizzato da poche e scarne informazioni sull’Usui Reiki Ryoho, si è verificato ciò che è nella natura del genere umano, ovvero l’allontanamento dalle “radici”. Tutti ricordiamo il gioco del passaparola o del telefono senza fili, dove il divertimento iniziava con il passare una parola o una piccola frase e alla fine doveva essere ripetuto a voce quello che era stato capito. Secondo questo passatempo, alla fine le cose espresse erano ben 105
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diverse di quanto detto inizialmente. Forse al metodo Usui Reiki Ryoho è successa la stessa cosa. Pertanto alcuni insegnanti, appresi gli insegnamenti, hanno creato una fusione di conoscenze o pratiche utilizzate precedentemente. Con tutto questo, a seguito di canalizzazioni, rivelazioni personali o scoperte storiche più o meno convalidate, gli stili di insegnamento “Reiki” si sono moltiplicati. Ne ricordiamo alcuni: Komyo, Gendai, Tibetano, Japanese Teate, Rainbow, Angelico, Celtico, Karuna, Tigre, Dragon, Osho Reiki, Shanti Reiki e tanti altri. Senza dubitare sugli “stili” elencati, alcuni di questi possono avere un filo conduttore continuo con le “radici” di Mikao Usui, altri sono collegati molto labilmente, mentre altri ancora se ne discostano completamente. Altro pilastro di riferimento delle “radici” rimane la Usui Reiki Ryoho Gakkai, conosciuta come scuola chiusa, dove per entrare occorre essere invitato da un membro interno (una sorta di cooptazione), ma rimane difficile sia entrare che esserne membro interno. La Signora Kimiko Koyama (Presidente Gakkai dal 1966 al 1998) invitò Hiroshi Doi a partecipare ad un incontro di Reiki da lei tenuto. Doi non sapeva che la signora Koyama era presidente Gakkai, l’aveva conosciuta in un incontro su altre discipline e fu in quella occasione che Doi Sensei, dopo aver affermato di conoscere il Reiki, fu invitato. Doi Sensei fondatore della Gendai Reiki Ho, prima come membro esterno poi in qualità di membro interno, ricevette gli insegnamenti direttamente dal Presidente Koyama Sensei. Grazie ai manuali, ai libri scritti e ai suoi insegnamenti, Hiroshi Doi è fonte preziosa di informazioni certe delle 106
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”radici”. La caratteristica dell’insegnamento orale porta naturalmente ad alcune modifiche ma mantengono viva l’essenza ed il cuore dell’insegnamento, come il raggiungimento dell’Anshin Ritsumei. In sintesi, qual è la differenza tra questi approcci? Durante la mia esperienza mi è accaduto di confrontarmi con vari “stili” proposti come migliori dei precedenti, con possibilità di entrare in contatto con “energie” più sottili, o con vibrazioni più pure così via. Come afferma il Rev. Hyakuten Inamoto “tutti i “Reiki” funzionano… non ce n’è uno migliore dell’altro. Reiki è Reiki e basta”. Pur non mettendo in dubbio la validità o la peculiarità dei vari insegnamenti, sono convinto che “Usui Reiki Ryoho” sia unico e non abbia a che fare con frequenze più o meno sottili o elevate. Occorre semplicemente sperimentare personalmente la capacità di unità del nostro essere con tutto quanto ci circonda. Lo stesso dicasi per tutte le Tecniche/Discipline del mondo olistico. Spesso vengono accostate all’Usui Reiki Ryoho, mi viene da sorridere perché o sono uguali o migliori, si cerca di mettere in secondo piano l’insegnamento di Mikao Usui. A mio avviso non c’è una tecnica o Disciplina migliore dell’altra ma è la persona che si sente risuonare in una anziché in un’altra. Possono esistere tante interpretazioni o saperi diversi di uno stato di coscienza, tante quante sono le persone nel mondo. La coscienza dell’Unità è una e solo quella. Le tecniche o le discipline possono essere paragonate alle dita della mano che indicano la direzione, ognuno è libero di 107
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trovare la sua, quella che lo rappresenta di più, non ci sarà mai una tecnica migliore dell’altra, semmai una potrà essere più idonea di un’altra, ma soprattutto per chi la pratica. Non c’è Disciplina migliore dell’altra. Se accade che qualcuno affermi questo, diffidate perché: la divisione, la contrapposizione e il sentirsi migliori degli altri sono forme di comunicazione scorretta con la propria vita. Alla fine di questo interessante viaggio, una riflessione in merito al panorama contemporaneo. Maestro ieri diverso dal Maestro oggi? Sono Insegnante dall’inizio del 2002. Ho conosciuto il metodo a dicembre del 2000. Si evince chiaramente come in appena dodici mesi, dal non conoscere la Disciplina, io sia diventato insegnante, proprio secondo le modalità percettive e di insegnamento di quel tempo e seguendo la “mentalità occidentale” del “tutto e subito”. A distanza di quasi un ventennio, posso affermare che ci sia realmente da riflettere sulla differenza tra maestro ieri e maestro oggi. Anche per la mia storia personale. Quasi 20 anni fa, fin da subito e come mi suggeriva il maestro, ho iniziato a fare trattamenti, nonostante non avessi maturato alcuna esperienza. Eppure, nonostante ciò con lo Shiki Reiki Ryoho i risultati dei trattamenti erano incredibili per evidenza ed efficacia. Così è iniziato il mio percorso di apprendimento e di diffusione della Disciplina. Ho ricevuto l’insegnamento della signora Takata Sensei e fino ad oggi il cammino è stato arricchito ed onorato dall’incontro con altri maestri, tra cui il Rev. Hyakuten Inamoto, dai quali ho ricevuto l’insegnamento di più “Stili” e specificatamente, oltre allo 108
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Shiki Reiki Ryoho, il Komyo Reiki DO, il Ghendai ReikiHo, Japanese, Teate Usui, Karuna. “Maestro ieri…maestro oggi”, è solo una questione temporale per identificare la mia consapevolezza del cammino esperienziale nell’Usui Reiki Ryoho, un percorso attraverso il quale ho acquisito la conoscenza per poter entrare in me stesso, oltre alla consapevolezza di una crescita interiore graduale, contraddistinta da difficoltà lenite da incredibili risultati personali. Questo mi ha permesso, come insegnante, di poter essere utile a tante persone. E proprio questo mi fa sentire testimone dell’Usui Reiki Ryoho. Per me l’inizio è stato un momento stupendo, innanzi tutto mi sono fidato e poi affidato, non poteva essere diversamente. Percepivo la semplicità: poche cose da fare con Disciplina, ed era quello che volevo. Ho subito seguito i consigli del Maestro, auto trattamento personale e trattamento inizialmente rivolto alle persone più vicine (la famiglia), per poi allargarmi agli amici e infine agli amici degli amici, dopo aver acquisito le conoscenze del secondo livello. Dal momento che sono divenuto insegnante, ancora con lo stesso entusiasmo mi sono dedicato ai trattamenti sugli altri. A volte, chi riceveva i trattamenti, in un secondo momento desiderava saperne di più, oppure mi confidava di sentire la necessità di iniziare il percorso. “Maestro ieri…”, certamente “ieri” la diffusione dell’Usui Reiki Ryoho secondo lo stile Shiki Reiki Ryoho”. Era un insegnamento basato solo sull’aspetto del benessere fisico personale per poi con il tempo e l’esperienza giungere ad una consapevole crescita interiore e non solo al rilassamento fisico. “Maestro oggi…”, a differenza di “ieri”, oggi i modi 109
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per accrescere le proprie conoscenze ci sono. Per chi non conosce la Disciplina basta un po’ di pazienza per ricercare fra le conoscenze personali oppure anche in rete. E’ di fondamentale importanza, a mio avviso, che il neofita cerchi di conoscere prima di tutto l’insegnante ed ascoltare se potersi affidare, e osservare i messaggi non verbali del corpo dell’insegnante. Certo, sono importanti le conoscenze e l’esperienza dell’Insegnante, tuttavia se l’ascolto e la percezione del neofita non gli consente di affidarsi a lui, evidentemente deve continuare la ricerca per trovare un nuovo insegnante. “Maestro oggi”, significa assumersi la responsabilità della trasparenza e tracciabilità della formazione ricevuta (dove e quando) nella Disciplina, di quella continua (aggiornamento) e di quella erogata. Questi i requisiti minimi reperibili in rete da parte di chiunque voglia entrare in contatto ed avere informazioni chiare sulla Disciplina insegnata. E questo, tra l’altro, è un dovere che qualsiasi Insegnante e/o Operatore Olistico deve assolvere in rispetto alla legge sulle professioni non ordinistiche (Legge 4/2013), e sulla certezza delle competenze, così come indicato dal Decreto Legislativo del 16 gennaio 2013 n. 13. Proprio questa ultima norma appare molto importante per sgomberare tutte le incertezze o dubbi sulla formazione che gli Operatori dimostrano di aver acquisito. In questo ultimo inciso, qualcuno potrebbe contestare il primariato del riferimento normativo. Siamo consapevoli del fatto che non si può portare tutto sul piano legislativo, ma è anche vero che le norme sono state fatte in conseguenza di abusi di professione, improvvisazioni ed atteggiamenti autoreferenziali che hanno avuto come unico effetto quello di creare ambiguità e visioni distorte del nostro universo olistico. 110
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Bibliografia essenziale della seconda parte Sauro Tronconi - REIKI-DO, Una via consapevole per l’evoluzione - Edizioni EDUP, Nuova edizione 2002 Frank Arjava Petter - REIKI FIRE, New Information about the Origins of the Reiki Power - A Complete manual - Edizioni Lotus Press – Shangri-La W. Lubek, F.A. Petter, W.L. Rand - LO SPIRITO DEL REIKI, Manuale completo - Edizioni Mediterranee Rodolfo Carone, Francesca Tuzzi - REIKI: RITORNO ALLE FONTI, La Strada per la Felicità Sitografia: http://www.ihreiki.com https://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=24418 http://webcache.googleusercontent.com https://en.wikipedia.org/wiki/%C5%8Cmoto http://www.scienzaeconoscenza.it/blog/medicina-non_ convenzionale/che-cos-e-il-reiki https://it.wikipedia.org/wiki/Reiki http://www.visionealchemica.com/reiki-nella-medicinaufficiale/
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Lo sguardo verso il sé indice Prima parte GUIDATI DA BUONI PRINCIPI UNIFICANTI di Salvatore Fabrizio p. 11 Seconda parte IL REIKI TRA STORIA E TEMPO PRESENTE di Enzo Vitali p. 83
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