Quaderni del volontariato 7
Edizione 2019
Cesvol Centro Servizi Volontariato Umbria Sede legale: Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 www.cesvolumbria.org editoriasocialepg@cesvolumbria.org
Edizione settembre 2019 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Autore del dipinto di copertina: Davide Sciolti Stampa Digital Editor - Umbertide
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ISBN 9788896649961
I QUADERNI DEL VOLONTARIATO UN VIAGGIO NEL MONDO DEL SOCIALE PER COMUNICARE IL BENE I valori positivi, le buone notizie, il bene che opera nel mondo ha bisogno di chi abbia il coraggio di aprire gli occhi per vederlo, le orecchie e il cuore per imparare a sentirlo e aiutare gli altri a riconoscerlo. Il bene va diffuso ed è necessario che i comportamenti ispirati a quei valori siano raccontati. Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, dove il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso del quotidiano, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore. Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente o più antico, per consegnarci insegnamenti e visioni. Quelle visioni che i cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Gli autori di questi testi, e di 3
tutti quelli che dal 2006 hanno contribuito ad arricchire la Biblioteca del Cesvol, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza, al di là di qualsiasi tipo di conformismo e disillusione Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati. Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo. Salvatore Fabrizio Cesvol Umbria
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ASCOLTARE per SENTIRE
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Ascoltare per sentire PREFAZIONE “Ascoltare” è la capacità della persona di “sentire” attraverso il proprio corpo i bisogni, le emozioni, i pensieri, i sentimenti propri e quelli degli altri. Si tratta quindi della principale componente che sostiene la funzione comunicativa, a sua volta la più importante per la sopravvivenza dell’essere umano dopo le funzioni respiratoria, circolatoria e cerebrale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito la “comunicazione efficace” come una competenza dell’area relazionale, tra le dieci necessarie per vivere (Life Skills). Sembra quindi molto importante sviluppare la competenza ad “ascoltare” durante tutto l’arco di vita e, in effetti, le persone esprimono costantemente il bisogno di essere ascoltate, di ascoltare se stesse e gli altri. È un bisogno vitale. Tuttavia, oggi, tale competenza non viene considerata come una materia di apprendimento autonoma con programmi specifici e definiti nei piani di studio delle consuete agenzie educative (scuola, apprendimento superiore, formazione professionale, etc.). Esiste un’urgenza culturale e politica attorno a questa questione: forse abbiamo veramente bisogno di saper ascoltare per poter sostenere le scelte personali e sociali che ci riguardano, come individui e come membri delle comunità di appartenenza. Scegliere di ascoltare comporta la presa in carico diretta delle responsabilità rispetto ai cambiamenti auspicati e verso i quali sembra non essere più sostenibile una delega pigra e indolente. Tali argomenti hanno una loro gravità per cui anche la questione su “come apprendere ad ascoltare?” acquisisce un proprio peso e in genere viene trattato con solennità, soprattutto dagli addetti ai lavori, gli operatori della relazione d’aiuto, nel pensiero e nelle parole dei quali spesso risuona 7
Ascoltare per sentire come “Se non sei capace di ascoltare, sei perso!” La qual cosa, in effetti, è vera. Tuttavia dovremmo comunque constatare che un tale tono, dal sapore di accusa, allontana molti dall’interesse della scoperta: è una modalità che non stimola la curiosità e l’esplorazione. A questo si somma che l’attività dell’ascoltare, viene percepita nell’immaginario di molti come doverosa, quindi non desiderabile. Certo, si tratta di assumere un impegno: d’altronde il raggiungimento di qualcosa di interessante e attraente, per la quale valga la pena di uscire dalle proprie comode consuetudini, richiede impegno e dedizione. A fronte di queste considerazioni forse è necessario tentare un’operazione di demitizzazione e di alleggerimento: è necessario sapere che ascoltare i racconti delle persone, le loro storie e i modi in cui vengono narrate è una grande fonte di piacere per chi ascolta. Ascoltare genera benessere per l’ascoltatore, è divertente ed ha effetti positivi immediati, concreti e duraturi nelle relazioni sociali. Insomma, ascoltare fa bene, favorisce l’incremento della qualità della vita, è un sorta di toccasana, un elisir di buona vita! Ed è anche necessario esplicitare che l’apprendimento della competenza dell’ascoltare non consiste in un faticoso travaso di conoscenza da parte dell’esperto nei confronti del neofita ma è la continua creazione condivisa degli strumenti operativi, all’interno di una dimensione relazionale di gruppo, con modalità di affiancamento e modellamento. Per la ricerca di un nuovo senso, per una reale trasformazione personale ed un concreto cambiamento sociale. Le parole chiave sono: piacere, creatività, divertimento, senso. Tutto questo porta con sé l’attività dell’ascoltare. Tutte dimensioni che si sviluppano all’interno e grazie ad una cultura fondata più sulla presenza e la fiducia e un po’ meno sullo stupore e sulle facili scorciatoie. 8
Ascoltare per sentire L’obiettivo quindi, soprattutto per chi si occupa di formazione, è di “aiutare chi aiuta” e di passare dalla teoria alla pratica in modo da riportare questa competenza entro una dimensione di immediata fruibilità e con un forte richiamo al ruolo che il corpo ricopre nell’esperienza. Ognuno, anche e soprattutto il volontario e il professionista, deve poter essere in grado, a partire dalla propria competenza corporea, di ascoltarsi, di ascoltare e di saper costruire opportunità in cui essere ascoltati. È il corpo e con il corpo che ascoltiamo e questa è l’area dell’esperienza da esplorare per chi voglia divenire esperto nelle competenze della relazione d’aiuto. Luca Barletta ASPIC Umbria, scuola di alta formazione alla relazione d’aiuto C O M E agenzia formativa accreditata Regione Umbria
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Ascoltare per sentire ASCOLTO PER COMUNICARE di Maria Grazia Giannini
Ho ancora impressa l’immagine di quelle due ombre che camminavano l’una a fianco all’altra lungo il percorso che corre a fianco del Lago dove abito; mia figlia ed io, due ombre, due persone che condividevano un pezzetto di strada e di vita. Passi fatti in silenzio, ma ognuna delle due sentiva benissimo di essere in comunicazione con l’altra, di provare la stessa emozione. In quel preciso istante ho capito che esistono vari modi di comunicare e di ascoltare e che è impossibile vivere senza questo. Siamo nati per vivere e crescere nella continua interazione con l’altro ed è attraverso lo scambio con gli altri che ognuno di noi dà significato a se stesso e alla sua esperienza. 11
Ascoltare per sentire Ci piace molto usare termini inglesi e dobbiamo ammettere che con poche parole esprimono il significato di ciò che vogliamo dire, oggi si sente parlare spesso di “lifelong learning”, e cercando su Wikipedia si legge: “l’educazione durante tutto l’arco della vita, dalla nascita alla morte, quell’educazione che inizia ancor prima della scuola e si prolunga fin dopo il pensionamento”, insomma quella cosa per cui, in base al cambiamento che si rende necessario ed al contesto di vita, ogni individuo è chiamato a gestire in prima persona il proprio percorso e a mettere in gioco le risorse necessarie al raggiungimento di una piena realizzazione di sé durante tutto l’arco della propria esistenza. Con il passare degli anni mi sono convinta che per ognuno di noi, per poter conoscere meglio noi stessi, poterci realizzare e sapere creare relazioni sane è necessaria una formazione all’ascolto. Sicuramente questa rappresenta la possibilità per ciascuno di promuovere la propria salute e quella dei contesti in cui vive. E’ basilare raggiungere la capacità di ascoltarsi nel senso di prendere dall’esterno e dall’ambiente in cui si vie gli stimoli, le sollecitazioni, il nutrimento psicofisico, apprendere la capacità di individuare i bisogni e decodificare i segnali che provengono dal corpo come un processo di comunicazione per aumentare le personali life skills, acquisire cioè quella competenza specifica personale di ascoltare e poi usarla nel processo di trasformazione e cambiamento personale. Se vogliamo poi pensare ad una relazione di aiuto non possiamo uscire dalla formazione all’ascolto; forse vale la pena anche cercare di pensare cosa si può intendere per “relazione di aiuto”: potremmo definirla come un intervento affinché il progetto di vita di un individuo debba essere sostenuto e che viene attivato in quelle situazioni in cui le risorse personali del soggetto non sono più sufficienti per affrontare in modo adeguato una situazione critica, per promuovere la crescita e 12
Ascoltare per sentire il cambiamento dell’altro. Carl Rogers ci dice che ogni individuo ha la capacità di autocompimento e autorealizzazione e questo avviene attraverso un processo che comporta un cambiamento, la crescita di una persona o di entrambe le persone coinvolte per mezzo del loro relazionarsi. In questo senso quindi per relazione di aiuto si intende accompagnare il riconoscimento e il superamento delle difficoltà incontrate nel cammino di crescita o di sviluppo aumentando la capacità di chiedere aiuto e facendo crescere il livello di consapevolezza del problema, favorire la crescita in un rapporto di interscambio con chi offre aiuto e sostenere l’attivazione di risorse di cui la persona dispone ma che al momento non riesce a recuperare. Questo tipo di relaziona va centrata sulla persona che chiede aiuto, il cui bisogno va letto nella peculiarità del suo originarsi. Come? Tramite l’ascolto attivo, la competenza emotiva e la cura di sé L’ascolto attivo implica ascoltare il verbale, il non verbale e trasmettere la sensazione che stiamo ascoltando veramente, essere cioè autentici, avere considerazione positiva di chi ascoltiamo ed entrare in empatia. Considerazione positiva intesa come convinzione che ogni individuo ha in sé le potenzialità e le risorse per risolvere il suo problema; quindi l’ascolto serve come specchio e rimandando le emozioni emerse se ne favorisce l’introspezione ed il contatto con i sentimenti più profondi. La persona, in questo modo, diventa ciò che è destinato per sua natura ad essere, al di fuori di ogni condizionamento esterno. Ascolto autentico dove entra in gioco la congruenza: l’ascoltatore è sé stesso in modo reale, e non vuole sostituirsi a chi ha davanti; in questo modo non si rischia di proiettare senti13
Ascoltare per sentire menti che non appartengono al mondo interiore di chi stiamo ascoltando. A volte si scambia la simpatia con l’empatia e sono invece due situazioni molto diverse. Per empatia si intende sentire il mondo più intimo dei valori personali dell’altro come se fosse proprio, senza però mai perdere la qualità del “come se”; sentire la sua confusione, o la sua timidezza, o la sua ira o il suo sentimento di essere trattato ingiustamente come se fossero propri, senza tuttavia che la propria insicurezza, o la propria paura o il proprio sospetto si confondano con i suoi. (Carl Rogers, 1951). Essere empatici vuol dire sentirsi insieme e dentro ai sentimenti dell’altro, riuscire a vedere il mondo come chi hai davanti lo vede, capire la cornice di riferimento, e rimandare a chi sta parlando quello che si è visto e sentito ad un livello ancora più profondo, favorendo così la sua introspezione. E tutto questo deve avvenire senza fornire giudizi. Vuol dire anche lasciare che le cose si mostrino così come sono senza modificare lo sguardo ed agire la volontà di non opporre resistenza a questo. Implica una cosa molto complicata che è la sospensione del giudizio (epochè), ma solo questo ci conduce nell’esperienza dell’altro, riducendo l’io, arginando il desiderio di invadenza e così possiamo agire e pensare con un’altra prospettiva. Cioè imparare a non dire “questo vuol dire quello”, ma osservare per ciò che è. Si dovrebbe imparare a trovare quello spazio interno, quello dell’attenzione e della visione (stando nella distanza che ciò implica) che va lì tutta su l’attenzione a come l’altro si espone, e accogliere tutto ciò, farlo agire dentro di noi e sottrarci ad una risposta e ad un giudizio, pur accogliendo la reazione emotiva. Questo “vedere” fenomenologico richiede un allontanamento, una distanza da sé e dall’altro, distanza però che esiste perché sappiamo esistere la relazione. Non affatto semplice capire che la relazione è anche la neces14
Ascoltare per sentire saria distanza, la quale distanza “fa” la relazione e contemporaneamente delinea a ciascun componente la propria identità. È la distanza che permette al cambiamento di entrare; in quel “tratto” che è distanza e che è un vuoto che può essere colmato dal cambiamento. Una sana distanza dall’altro per non farci invadere dalle emozioni che stiamo ascoltando e che abbiamo conosciuto in momenti della nostra vita, distanza utile a far capire che possiamo esserci per ascoltare, ma non per dare soluzioni immediate e consigli che ricalchino la nostra esperienza perché quella è stata la nostra. Potremmo parlare di ascolto “competente” quando si riesce a fornire dati oggettivi e non opinioni personali, quando non si ha la tentazione di imporre le nostre idee e lasciamo alla persona la responsabilità del cambiamento. Sicuramente può essere utile leggere lo scritto “Credo” di T. Gordon che recita: “Tu e io abbiamo un rapporto a cui tengo e che desidero conservare. Ma ognuno di noi è una persona a se stante, che ha i propri bisogni particolari e il diritto a soddisfarli. Quando ti troverai in difficoltà, presterò ascolto con sincera accettazione per aiutarti a trovare le tue soluzioni, invece di farti dipendere dalle mie. Inoltre, rispetterò il tuo diritto ad avere le tue convinzioni e a perseguire i tuoi valori, per quanto possano essere diversi dai miei. Tuttavia, se il tuo comportamento interferirà col soddisfacimento dei miei bisogni, ti dirò apertamente e onestamente in cosa mi condiziona, confidando che il rispetto per i miei bisogni e sentimenti ti spinga a cambiare quel comportamento, che 15
Ascoltare per sentire per me è inaccettabile. Inoltre, se un mio comportamento sarà inaccettabile per te, spero che me lo dirai apertamente e onestamente, in modo che possa provare a cambiarlo. Nel momento in cui dovessimo accorgerci che nessuno dei due può cambiare per venire incontro ai bisogni dell’altro, prenderemo atto che fra noi c’è un conflitto e ci impegneremo entrambi a risolverlo senza ricorrere al potere o all’autorità per vincere a spese dell’altro. Io rispetto i tuoi bisogni, ma voglio anche rispettare i miei. Perciò, sforziamoci sempre di cercare una soluzione accettabile per entrambi. I tuoi bisogni saranno soddisfatti e così i miei: nessuno perderà, entrambi vinceremo. Comportandoci in questo modo, tu crescerai come persona soddisfacendo i tuoi bisogni; lo stesso sarà per me. Quindi, la nostra potrà essere una relazione sana in cui entrambi ci sforzeremo di diventare ciò che possiamo essere. Continueremo a rapportarci l’uno all’altra con reciproco rispetto, amore e pace.”
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Ascoltare per sentire ASCOLTO PER CREARE RELAZIONI SANE
Chi si mette in ascolto è anche inevitabilmente nella posizione di dare risposte. Per fare in modo che l’ascolto possa servire a creare una relazione sana e nutriente la difficoltà sta nel fatto che oltre a ciò che Rogers dice dell’ascolto attivo, (non giudizio, congruenza, accettazione incondizionata, empatia, tenere conto delle risorse che ogni persona possiede) significa anche rispondere ma la risposta deve essere data in modo che possa aiutare chi parla a chiarirsi e chi ascolta a non stare male. Sarebbe quindi EVITARE DI • Valutare: in questo caso stiamo esprimendo un giudizio mentre dovremmo astenerci da ogni valutazione nel 17
Ascoltare per sentire pieno rispetto dell’identità e delle scelte altrui. Anche perché la valutazione potrebbe portare alla dinamica del “giusto-sbagliato” e questo potrebbe portare ad una non alleanza con chi ci sta difronte. • Indagare: meglio evitare l’uso delle domande chiuse. E’ sempre meglio utilizzare domande aperte perché lasciano un’ampia possibilità di risposta, stimolano il campo percettivo e consentono di approfondire ed ampliare la relazione • Trovare soluzioni: offrire soluzioni, può anche poter far sembrare di non dare la giusta considerazione al vissuto dell’altro, non dare rilievo ai sentimenti che prova e a ciò che pensa di sé e di ciò che è la propria rete sociale. • Sostenere: essere troppo “consolatori” e quindi compatire sminuisce il concetto che la persona ha delle proprie risorse ed evita la sofferenza impedendo al vissuto di emergere. • Interpretare: significa attribuire dei significati che non necessariamente corrispondono al reale vissuto di chi abbiamo difronte e che molto probabilmente sono parte del nostro vissuto. è importante che chi parla si senta ascoltato e capito e questo si ottiene attraverso una risposta accogliente e facilitante.
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Ascoltare per sentire COMPETENZA EMOTIVA ED EMOZIONI
Nella relazione di aiuto esiste il rischio di essere invasi dalle emozioni che ascoltiamo e poter quindi non solo non essere affatto di aiuto, ma anche fare del male a noi stessi. Questo tipo di relazioni rischiano di diventare una sorta di fune su cui chi ascolta cerca di camminare sforzandosi di mantenere l’equilibrio, di mantenere la propria essenza di esseri umani e ciò che può essere utile all’altro. Quindi solo la competenza emotiva può aiutare a mantenere l’equilibrio su un terreno così delicato, cioè” la capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni”, la capacità insomma di collegare quella distanza così corta (si parla di 50 centimetri) ma a volte così difficile da percorrere tra cuore e cervello. Quando si parla di competenza emotiva per forza di cosa dobbiamo pensare alle emozioni. Una definizione di emozio19
Ascoltare per sentire ne? “Reazione affettiva attesa con insorgenza acuta e di breve durata determinata da uno stimolo ambientale la cui comparsa provoca una modificazione a livello somatico, vegetativo e psichico”. Questo si può trovare in un qualunque definizione sul web o vocabolario. Se vogliamo dirlo in altro modo sono ciò che ci fa vibrare, ciò che ci parte dalla pancia, ciò che ci fa bloccare il respiro, ciò che ci fa aumentare i battiti del cuore, ciò che ci fa risuonare con quello che ci accade sia di bello che di brutto. Avete mai provato ad abbinare le emozioni ai colori? Rosso amore, nero dolore, verde speranza…..senza emozioni la vita non avrebbe colore. Ciò che conta è ascoltarle, perché dato che esistono è chiaro che hanno un senso per la nostra vita. Tutte le emozioni sono impulsi ad agire, piani di azione dei quali ci ha dotato l’evoluzione per gestire in tempo reale le emergenze della vita. Sembra che questa reazione fisiologica si sia modellata nel corso dell’evoluzione della specie in risposta a situazioni di pericolo nelle quali il fermarsi a pensare cosa fare poteva costare la vita. Quindi le emozioni ci portano ad agire in base a ciò che ci fanno provare e ognuna è diversa dall’altra. E’ importante riconoscerle, capire a quale rappresentazione della situazione sono collegate: paura di perdere cosa?, tristezza per aver perso che cosa?, rabbia perché qualcosa non va come mi aspettavo?, gioia per aver raggiunto qualcosa? Esplorarle, rappresentandole come parti di me; accettarle e verificarne la loro adeguatezza riducendo eventuali amplificazioni cognitive, capirne la funzionalità positiva per me in quel momento e utilizzarle come energia creativa: che cosa, questa emozione, mi suggerisce di fare? Le emozioni sono molteplici, possiamo provare a parlare di quelle più comuni
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Ascoltare per sentire PAURA: Vittorino Andreoli definisce la paura come uno stimolo per attivare reazioni che servono a difenderlo dai pericoli dell’ambiente, questo ci fa intendere che può quindi essere situata tra i meccanismi di difesa dell’individuo. Certo è che tutto sta come agisce su di noi la paura e per quali circostanze la proviamo. Si può parlare di preoccupazione e paura se esiste davvero un oggetto, se esiste cioè la circostanza reale che ci fa provare questa emozione. Si parla invece di ansia quando non esiste questo oggetto, quando cioè viviamo costantemente preoccupati per ciò che potrebbe essere, ma che in realtà non esiste. Si arriva invece a parlare di panico quando invece non riusciamo più ad usare la razionalità e si perde il controllo. Al contrario di quello che può apparire al solo pensiero della paura, questa ha invece in noi e per noi importanti funzioni: • Consapevolezza: che cosa sento? Che pensieri faccio e in che maniera? • Elaborazione: perché penso ciò che penso? C’è un pericolo reale? E’ qualcosa che mi è già successo? Posso separarmi da vecchie esperienze? • Ascolto e azione: La paura è un segnale di allarme: cosa mi sta dicendo? Quali pericoli segnala? 21
Ascoltare per sentire • Cosa posso fare per proteggermi? Ci siamo mai chiesti quale può essere una delle paure più grandi dell’uomo? Molto probabilmente quella di essere abbandonato. Si tratta di un’emozione che sperimentiamo fin dalla nascita e che ci accompagna, se pur in forma latente, per tutta la vita. Dalla nascita a circa 6 anni per poter sopravvivere abbiamo bisogno che un adulto si prenda cura di noi. Impariamo quindi ad associare l’affetto del nostro caregiver alla possibilità di sopravvivere. È per questo che anche da adulti quando ci manca l’affetto o temiamo di perderlo abbiamo la sensazione di non poter sopravvivere, è come se ci mancasse la protezione; i bambini che non ricevono l’affetto necessario da piccoli, che vengono isolati, che sono rifiutati, avranno serie difficoltà nello sviluppare rapporti sani. Una traccia incancellabile che determinerà una carenza di affetto e un bisogno di soddisfare “a qualunque prezzo” quello che non hanno ricevuto nei primi anni di vita. La paura dell’abbandono può causare anche dipendenza affettiva; come studiato da Bowlby e poi con l’esperimento di Harlow i bambini che non ricevono l’affetto necessario da piccoli, che vengono isolati, che sono rifiutati, avranno serie difficoltà nello sviluppare rapporti sani. Molte delle nostre paure sono collegate proprio al timore di perdere l’amore degli altri significativi.
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Ascoltare per sentire RABBIA Partendo da una fredda e razionale spiegazione la rabbia è un’attivazione fisiologica ed emotiva provocata da un evento particolare o da un oggetto significativo per la persona. Descrivendola per quel che ci fa sentire può essere paragonata a quel qualcosa che può farci esplodere, che ci prende il cervello e non sempre si riesce a ragionare, che ci fa agire con atti di cui poi potremmo anche pentirci. Ma ci siamo mai chiesti da dove nasce la rabbia? E’ una emozione solo dannosa come può apparire? Cosa ci fa diventare arrabbiati? La rabbia nasce sempre dalla necessità forte di soddisfare un nostro bisogno, che sia materiale o interiore. Se il nostro bisogno non è soddisfatto ecco che nasce in noi la frustrazione spesso abbinato a pensieri come “Non valgo abbastanza! mi spettava di diritto! Perché a me? Non mi ascolti! Non è giusto!...” La conseguenza di tutto questo è una forte frustrazione ed ecco che nasce in noi la rabbia. Eppure anche questa emozione ha funzionalità che, a seconda di come la accogliamo e ascoltiamo possono essere positive o negative: • Positiva: energia per battersi e superare l’ostacolo, 23
Ascoltare per sentire l’ingiustizia • Pericolosa: rabbia repressa, rabbia agita, rabbia sfogata • Funzionale: rabbia elaborata, rabbia comunicata, rabbia canalizzata Viviamo in un mondo che ci abitua al non ascolto e ci detta regole e schemi per cui la rabbia in base alla cultura che ci viene impartita, all’educazione e alle regole sociali non va “sentita”, e peggio ancora espressa. Quante volte ci siamo sentiti dire: ”Non si risponde alle persone più grandi di te! Fai silenzio che sei piccolo! Non sta bene far vedere che sei arrabbiato! Stai calmo e non reagire!” Questo ci ha portato ad una conseguenza logica ma pericolosa: lontani dalla percezione della rabbia….lontani dal bisogno. Contattare la rabbia ed esserne consapevoli è importantissimo, capire e imparare come canalizzarla ci consente di utilizzare questa energia in un modo che il nostro agire diventerà sano per noi e per chi abbiamo davanti e ci aiuta ad ascoltare davvero le nostre necessità.
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Ascoltare per sentire TRISTEZZA: Questa è l’emozione legata al lutto, inteso come vissuto di perdita e di separazione, può essere evocata anche da delusioni o speranze infrante o dalla perdita di autostima. E’ una emozione basilare da riconoscere e accettare per conoscersi e purtroppo oggi spesso non vogliamo accettare che si può, anzi in certe circostanze, si deve essere tristi. Nella maggior parte delle volte se si rivolge ai genitori la domanda “Cosa vuoi per tuo figlio?”, la risposta è “Che sia felice”. Si può essere “sempre felici”? Come si può riconoscere i momenti felici se non si accetta che si può essere tristi? Unico modo per poter essere sereni è di ascoltare anche la tristezza ed attraversare i vari stati del lutto: • Negazione: dopo una perdita o una delusione non si accetta, si nega che questa possa essere accaduto. • Rabbia: si passa poi alla rabbia verso quello che abbiamo subito “Perché? Non è giusto!...” • Paura: si pensa che nulla tornerà a posto, che non sarà possibile superare quel dolore • TRISTEZZA: si prova la mancanza di ciò che era e ci piaceva, di chi amavamo, della situazione persa, dell’amicizia che ci ha deluso, dell’amore finito… • Razionalizzazione: si ragiona su ciò che è capitato sen25
Ascoltare per sentire za farci condizionare dalla negazione e rabbia iniziale • Accettazione dell’accaduto • Nuovo attaccamento: ritroviamo interesse per ciò che circonda, per le persone, per la vita • Perdono: verso noi stessi e per ciò che è accaduto • Gratitudine: riprende la vita, finalmente possiamo ancora gioire Se la tristezza viene negata a noi stessi, viene rinchiusa e non elaborata può renderci sordi a tutto ciò che potremmo realizzare e godere. “Dobbiamo imparare ad accettare, a dire sì al dolore per poterlo attraversare e per poter tornare ad attaccarci agli oggetti d’amore”( George A.Kohlrieser) “Interrogo la tristezza e scopro che non ha il dono della parola; eppure, se potesse, sono convinto che pronuncerebbe una parola più dolce della gioia.” Kahlil Gibran, Prose Poems
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Ascoltare per sentire GIOIA : “La felicità non dimenticata diventa un modello inconscio che ne motiva di nuovo la ricerca. Questo nesso tra memoria della soddisfazione e ricerca della soddisfazione è l’essenza del “desiderio” ossia di quella macchina inconscia capace di trasformare un’esperienza in una méta.”, questa definizione di Umberto Galimberti è significativa per far comprendere almeno un po’ l’emozione della gioia. Proviamo gioia quando riusciamo a soddisfare i nostri bisogni più profondi, a partire dalla sopravvivenza, quindi ciò che può riguardare la salute, il lavoro; quello che riguarda la sfera dell’attaccamento cioè la parte degli affetti e dell’amore, la crescita personale nella società e quindi anche nel sapersi relazionare per arrivare ad una autorealizzazione che ci crei questo stato di benessere e cioè di gioia.
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Ascoltare per sentire LA SCRITTURA COME MODO DI ASCOLTARSI
Non tutte le persone trovano facile aprirsi con le parole per esprimere le loro emozioni, non è così semplice parlare del proprio sentire guardando negli occhi chi abbiamo davanti. Forse vale la pena di pensare che un primo passo verso la conoscenza di noi stessi può essere rappresentato dalla scrittura. Innanzitutto la scrittura obbedisce a modalità narrative e cognitive ben diverse da quelle di cui si avvale l’oralità. Quando scriviamo non ci abbandoniamo ai flussi disordinati, alla foga interlocutoria, alla dialettica di un parlato transitorio ed effimero, ma prendiamo la penna tra le dita per “mettere a sistema” idee e frasi, emozioni, rappresentazioni sofistica-
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Ascoltare per sentire te o anche semplici e senza pretese di se stessi o del mondo. Quella breve (pur modesta ed effimera) traccia semantica è in grado di generare ragionamenti, analisi, riflessioni che la dilatano e la riconnettono ad una miriade di ulteriori elementi e potenzialità di carattere narrativo, la cui funzione sarà riordinatrice. Possiamo dire che questo obbedisce ad un bisogno di fare un po’ di ordine nei ricordi, nelle storie, nelle memorie che abitano la vita di ciascuno di noi. è un modo per modificare in maniera significativa la dimensione dello sguardo e dell’ascolto di sé e degli altri con i quali ci si relaziona. La scrittura è il luogo in cui è possibile allenare un controllo nei confronti delle proprie parole. Lo scrivere allevia il disagio, allenta la tensione, produce uno sfogo salutare, lenisce e sutura simbolicamente qualche ferita del corpo e dell’animo; facilita l’elaborazione del dolore, delle sconfitte, dei lutti e delle perdite. Alla scrittura dobbiamo una crescita dell’autostima. Scrivendo permettiamo ai ricordi di emergere e ci ri-appropriamo degli eventi e delle esperienze per farne una dimensione vitale di auto-apprendimento; attraverso la scrittura, la persona sperimenta la possibilità di darsi una forma, la forma che individualmente sceglie, incontra a partire da sé. La scrittura può rappresentare un antidoto, un farmaco, un balsamo contro il disordine mentale, esistenziale, emotivo. Scrivendo della nostra vita, ciascuno deve dare una successione cronologica agli accadimenti; deve avvalersi delle regole stesse dello scrivere; deve darsi un metodo e un’autodisciplina sia cognitiva che inerente le condizioni di cui qualsiasi scrittore o scrittrice ha bisogno: silenzio, solitudine cercata, concentrazione. Inoltre deve scegliere temi, argomenti, fatti, classificare ricordi: introducendo criteri ordinatori inerenti 29
Ascoltare per sentire che cosa e come dire e tacere, che cosa mettere al primo posto e che cosa ritenere secondario. Mentre scriviamo gli altri sono sempre presenti, come destinatari delle nostre pagine, ma soprattutto come presenze, ombre, fantasmi persecutori o protettivi della nostra vicenda umana. Ogni scritto, anche il più introspettivo, è abitato dagli altri che ci hanno generato, che abbiamo amato o odiato, tradito o accudito. E’ quindi, inconsapevolmente, un modo di vedere le nostre relazioni e come ci relazioniamo. Anche nella scrittura, affinché si realizzi davvero un ascolto sano esiste una regola fondamentale, cioé l’epochè fenomenologica: la sospensione/astensione del giudizio. Non dobbiamo agire il giudizio, ma permettere ai pensieri di arrivare a noi. Solo in questo modo li conosceremo e questo ci permetterà, come dice Edith Stein, di “guardare il mondo con occhi spalancati”. La scrittura può diventare cura di sé nel senso più antico del termine, non per guarire, ma per accogliere. Prendo in cura la mia storia come bene prezioso. Svela l’invisibile perché quello che prima non c’era adesso c’è. Le pagine esistono, sono materia visibile, che mi appartiene e posso condividere, ma c’è tutta una parte di non detto, che fa parte del nostro immaginario, che può magicamente depositarsi sul foglio. La scrittura può anche diventare un modo per creare relazione: le persone spesso si domandano “a chi può interessare la mia storia” salvo scoprire che non è così, che ogni storia è unica. Se si comprende l’unicità della propria storia allora si comincia a riflettere anche sull’unicità della storia dell’altro. Gli altri hanno storie straordinarie; ogni persona che si incontra ha una storia da raccontare. Ed ecco che le parole creano risonanze; esse risuonano in noi, diventano eco, ce le portiamo a casa. Sono parole che risvegliano le nostre storie e permettono di entrare in una relazione di ascolto attivo. La 30
Ascoltare per sentire parola dell’altro aiuta ad aprire le proprie storie di vita: è un movimento di scambio e reciprocità. La tensione della scrittura è quella del dissodamento, un po’ come fa il contadino quando prepara il campo per la semina, scrivendo andiamo a dissodare il campo della memoria, in un’attitudine a coltivare un campo interiore che provoca pensosità; un esserci in questo mondo con uno sguardo che può rinnovarsi. Fondamentale è capire che poi i pensieri depositati nel foglio possono avere bisogno di diventare parola, per favorire e sviluppare la conoscenza di noi stessi.
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Ascoltare per sentire AL TERMINE DELL’ASCOLTO….. Si
dice che solo chi è stato ascoltato è in grado di ascoltare e questo è profondamente vero, Anche pensando a cosa Berne intendeva per “Carezze” la sua teoria e il significato che ha dato alla Carezza sia pertinente per le persone che hanno necessità di essere ascoltati: “necessità di contatto non fisico, ma interiore, necessità di ogni atto che implichi il riconoscimento dell’altro”. Naturalmente le Carezze sono anche quelle relative al contatto, ma la Carezza fisica difficilmente può essere accolta se non si ricevono prima le Carezze interiori. Essere ascoltati prima, predispone poi ad ascoltare, solo una persona con un buon livello di benessere è capace di sentire cosa esiste e cosa si muove in se stesso e quindi di ascoltare e di trasmettere questa capacità alle persone con cui entra in contatto. 32
Ascoltare per sentire Parte fondamentale poi è saper restituire le informazioni emerse in modo efficace. In base a come saremo in grado di comunicare ciò che abbiamo ascoltato empaticamente e senza giudizio può permettere a chi abbiamo davanti di considerare gli effetti del proprio comportamento sugli altri; grazie alle informazioni che riceve su di sé, la persona può scegliere di cambiare determinati comportamenti. C’è comunque sempre da tenere presente che prima di restituire le informazioni emerse (feedback) dobbiamo essere certi che la persona sia disposta ad accoglierle, altrimenti non potrà portare alcun beneficio. Affinché il feedback sia efficace dovremmo sempre tenere presente che dovrebbe contenere: • COSA : ho visto e/o ascoltato (fatto che appartiene alla mia esperienza ed è osservabile da tutti) • QUANDO: «mentre tu….» (fatto, comportamento) • COME: ho sentito calore, tensione, emozione (appartiene alla mia esperienza ed è osservabile solo da me) • IPOTESI: porre attenzione a contenere il proprio giudizio: «Ho immaginato che…»(mi prendo la responsabilità di attribuire a te emozioni/pensieri che sono una mia ipotesi) C’è molta differenza tra dire ho visto che eri molto arrabbiato “ e “Quando ti ho sentito urlare, ho avuto paura ed ho immaginato che fossi molto arrabbiato”, oppure: ”Ho sentito che eri triste” invece di “Mentre piangevi, ho sentito un nodo alla gola, mi sono emozionato ed ho immaginato che ti sentissi triste”. Insomma le parole hanno sempre molta importanza e un concetto può avere una risonanza diversa a seconda di come viene formulato e comunicato. 33
Se ci troviamo invece nella condizione di colui che è ascoltato e quindi poi potremmo ricevere il feedback ricordiamoci che se non si vuole riceverlo è bene non consentire all’offerta e dirlo tranquillamente rispettando così il nostro sentire in quel momento. Dopo aver ricevuto un feedback è meglio non alimentare il dialogo con precisazioni e conservare ciò che si considera utile e nutriente lasciando andare il resto e, pur sembrando strano, anche quando si riceve un feedback che non piace è possibile comunque considerarlo un’informazione di cui tenere conto, magari può servirci per riflettere su parti che ci appartengono e che neppure noi stessi ne siamo consapevoli.
Ascoltare per sentire ASCOLTARE PER RISPETTARSI E CONOSCERSI Mi è sempre piaciuto questo scritto di Carl Rogers anche se poi metterlo in pratica, soprattutto come genitore, mi è risultato assai complicato: “È così facile curarsi degli altri per ciò che io penso che siano, o vorrei che fossero o sento che dovrebbero essere. Curarsi di una persona per quello che è, lasciando cadere le mie aspettative di ciò che essa dovrebbe essere per me, lasciando cadere il desiderio di modificare questa persona in armonia con le mie esigenze, è la via più difficile, ma anche la più maturante, verso una relazione intima più soddisfacente”. Rispettare gli altri nella loro reale natura con un ascolto accurato, ma non rinunciare alla nostra natura, non “sacrificarsi” per accontentare. Jedlowski dice che “La ricerca di sé resta una delle pratiche più terapeutiche che esistano”: essa consiste nel tentativo di avvicinare il più possibile il nostro pensiero all’essere che siamo, nello sforzo di trasformare la nostra vita in esperienza. Per ascoltarci e quindi di conseguenza conoscerci dobbiamo per forza entrare in contatto con le nostre emozioni, senza paura di accettare ciò che ci smuove e ciò che vive in noi e soprattutto senza modificare il nostro sentire per “adattarsi” a ciò che ci sta intorno. Rispettare la nostra natura è alla base di una vita “vissuta” davvero; saranno relazioni vere e sane solo se anche gli altri accetteranno come siamo e condivideremo il nostro tempo con chi saprà vedere il mondo dell’altro dal suo punto di vista, senza aggiungere filtri personali. L’alleanza con noi e con gli altri può essere costruita solo se riusciamo ad essere davvero genuini, autentici, se trasmettiamo calore e se proviamo interesse per la persona in quanto tale, assenza di giudizio, senza mai dimenticare quelli che sono i nostri bisogni più profondi. 35
Ascoltare per sentire Salomon Perls recita: “Io ho la mia vita, tu la tua. Non sto al mondo per soddisfare le tue aspettative, e nemmeno tu stai al mondo per soddisfare le mie. Io sono io, tu sei tu, e se capiterà che ci incontriamo, sarà bello. Altrimenti, non possiamo farci niente.” Concludendo direi che la cosa più complicata per un ascolto davvero costruttivo è prendere consapevolezza che questo ci porterà comunque al cambiamento di qualcosa nella nostra vita e nel nostro porci in relazione. E questo spesso spaventa, è molto più facile e meno doloroso continuare con lo stesso schema che ci siamo creati seguendo i modelli acquisiti o quelli imposti da questa società che far emergere ciò che davvero siamo. Il nostro cambiamento potrebbe essere stupefacente per chi fino a quel momento ci ha visto in un certo modo; eppure solo se cambiamo noi può cambiare tutto il resto. E ricordiamoci che dal caos nascono bellissime stelle, che da ogni crisi se ne esce più forti, che la serenità arriva solo se la cerchiamo… “E’ sbalorditivo come certe cose che sembrano insolubili diventano solubili se qualcuno ci ascolta, come una confusione che sembra irrimediabile si trasforma in un flusso che scorre con relativa limpidezza”. (Carl Rogers)
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Ascoltare per sentire
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Ascoltare per sentire Ascoltare il corpo di Stefania Lanaro Ascoltare l’altro è preservare per lui un atto di silenzio, significa rispettare il suo soffio vitale (I.Gamelli – Il sapere del corpo) La capacità di ascoltare, come scritto da Maria Grazia Giannini è prendere dall’esterno e dal mondo, è prendere emozioni e sensazioni attraverso quel mezzo che possediamo da sempre: il corpo. Il corpo è l’oggetto/soggetto che ci accompagna da sempre dallo stato prenatale a quando esaliamo l’ultimo respiro: è visibile, esplorabile, in continua evoluzione e modificazione ma anche modellabile, partecipa alla nostra vita sociale perché come ci ricorda Barthes il corpo, si trova in un ambito tra il naturale e il culturale, “si produce in una specie di sfera ambigua, a metà strada tra natura e cultura, tra corpo e mente come esito dell’incontro profondo tra una soggettività non ancora costituita, individuale ed una inter- soggettività già acquisita ossia quella del senso comune”. (Citato in Faccio, 2007) è corpo quando sente, quando parla con il suo linguaggio antico, quando ascolta con la distanza, con la presenza e con l’assenza, il neonato ascolta la sua mamma con il tono della voce che lo culla, con le braccia che lo accolgono, con il movimento dell’altro che lo accompagna nello spazio da conoscere e la sua pelle, che ascolta, assapora il linguaggio dell’altro, riconosce la presenza anche con la distanza quando lo spazio che lo allontana dalla tranquillità è riempita dalla voce che lo rassicura e lo fa sentire vicino e dallo sguardo che lo tocca e lo 38
Ascoltare per sentire avvolge, il suo corpo si sente vicino ai sensi dell’altro. Ascoltare il proprio corpo definisce la possibilità di essere sé stessi, io sono diverso da te, lontano da te perché mi hai fatto sentire che posso essere IO, unico e soprattutto Me Stesso. Ma cosa vuol dire ascoltare il corpo? Ascoltare il corpo è permettere di essere in-corporato, è permettersi di essere imperfettamente sé stessi, è permettersi di abitare il proprio corpo. “Abitare non è conoscere, è sentirsi a casa, ospitati da uno spazio che non ci ignora, tra cose che dicono il nostro vissuto, , tra volti che non c’è bisogno di riconoscere perché nel loro sguardo ci sono le tracce dell’ultimo congedo” (Galimberti).
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Ascoltare per sentire Perché ascoltare con il corpo? “Il bambino è un corpo. Ho fame, ho sete, soffro, gioisco, egli non lo dice, lo vive. (Gamelli Il sapere del corpo)
La domanda sorge spontanea, perché dovremmo proprio ascoltare col nostro corpo? Il corpo ci appartiene da prima ancora di essere venuti al mondo, ci appartiene perché quando siamo feti siamo contenuti in un corpo e sentiamo attraverso i nostri sensi il mondo che circonda questa “matrioska”, ascoltiamo quello che il nostro contenitore ascolta e ci relazioniamo con lui per nove mesi, e quando a popolare quell’interno sono in due si rivolgono in modo differente all’altro corpo/soggetto rispetto a quando viene toccata la parete dell’utero contenitore. «Abbiamo visto che già alla 14ª settimana di gestazione – racconta Gallese docente di Fisiologia Umana al Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma e co-autore dello studio insieme con Cristina Becchio dell’Università di Torino - i gemelli sono capaci di controllare i loro gesti in modo differente a seconda di dove questi siano diretti. Il tipo di movimento è stato classificato in base a un parametro oggettivo, che è la decelerazione rispetto all’obiettivo da raggiungere». Più il movimento è decelerato e più è delicato il tocco. Un processo che i piccoli sembrano iniziare a capire già nell’utero della mamma.” (www.lastampa.it 2011/02/16/scienza la prima carezza tra gemelli è già nell’utero). Ma cosa si intende per corpo ? “Corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro; e anima non è altro che una parola per indicare qualcosa del corpo. Il corpo è una grande ragione, una pluralità con un solo senso, una 40
Ascoltare per sentire guerra e una pace, un gregge e un pastore. Strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello, che tu chiami “spirito”, un piccolo strumento e un giocattolo della tua grande ragione. “Io” dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ancora più grande, cui tu non vuoi credere, - il tuo corpo e la sua grande ragione: essa non dice “io”, ma fa “io” “(Friedrich Nietzsche) Il corpo è quindi quello che io sono, penso di essere e vorrei essere, non è un insieme di parti, non è un oggetto che guardo ma un soggetto che abito come definito da Galimberti, o come lo identifica Husserl il corpo nella dicotomia Korper/ Lieb. Il Korper è il corpo-oggetto, che occupa spazio, che ha determinate misure ed è formato da parti, quel corpo che Cartesio ha definito come rex estensa, oggetto fisico, estensione materiale e movimento meccanico.
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Ascoltare per sentire Il Korper è un oggetto, che tocco come se non fosse il mio, che guardo, osservo, studio e manipolo, è il corpo che non sento…giudico. Il corpo che io sono, il Leib di Husserl, è il corpo dell’esperienza corpo, che viene accarezzato, amato, sentito, che mi permette di stare con gli altri, di parlare senza usare le parole, è il corpo che è in continua evoluzione; è espressivo e comunicativo: il corpo è il primo ed unico mezzo attraverso il quale si possono esprimere i propri bisogni e desideri ed esteriorizzare i propri conflitti; l’osservazione (…) del comportamento motorio dei bambini è estremamente istruttivo perché permette di riconoscere tutto un simbolismo gestuale incosciente, esprimere pulsioni e conflitti (Lapierre & Aucouturier). Il corpo Leib è il corpo mio e dell’altro, immerso nella storia personale che è parte della storia della famiglia, del gruppo, dello stato e del mondo, è l’incontro per eccellenza con il tempo e con lo spazio, con i popoli e con le genti del XXI secolo e dei secoli precedenti, della politica, dell’economia e del sapere, il corpo non è solo un dato biologico ma un incontro storico-culturale.
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Ascoltare per sentire Secondo Merleau Ponty la psicologia classica ha frainteso il corpo trattandolo come un oggetto del mondo, anziché come un mezzo della nostra comunicazione con esso “in primis il fatto che il corpo sia un oggetto costantemente percepito, è un oggetto che non si abbandona. Ma è dunque ancora un oggetto? Un oggetto è davvero tale solo se può scomparire dal campo visivo, cioè se può essere allontanato”. (Faccio, 2007, p. 58). E allora per corpo cosa intendiamo? E l’anima che posto ha? In realtà nel concetto del corpo soggetto è presente l’anima, come ha scritto Nietzsche, perché incorpora la storia affettiva ed emotiva di ognuno di noi non è un concetto statico ma un work in progress che viene definito come “embodiment”, ossia incarnarsi e farsi corpo per incontrare il mondo. Sino ad ora ho accennato ad una relazione del soggetto con il proprio corpo e la propria cultura, ma quando il corpo assume il suo valore pieno? Nel momento in cui il corpo definisce la mia identità personale e assume la sua reale importanza nel momento in cui il mondo , l’altro, mi riconoscono e confermano il mio essere ME. Come afferma la Faccio la mancata conferma sociale rende questo percorso impossibile, con la mancanza del riconoscimento, della “notitia” (la situazione in cui due persone che si conoscevano, si riconoscono ogni volta che si incontrano) non è possibile la continuità tra passato e presente, e quindi viene a mancare l’identità. Io sono nel momento in cui sono per l’altro, ma anche nel momento in cui può esistere un altro oltre a me. Il corpo è il mezzo della definizione di sé stessi, io sono nel momento in cui posso differenziarmi dall’altro, Io non sono Te e Tu non sei Me, siamo necessariamente diversi perché abbiamo corpi, sensazioni, emozioni necessariamente differenti, non siamo fusi uno nell’altro. “Le nozioni di sé e altro si implicano reciprocamente: non esiste alcun sé senza 43
Ascoltare per sentire altro e viceversa. I meccanismi di rispecchiamento relativi ad azioni, emozioni e sensazioni possono consentire una relazione bidirezionale.( Gallese, Stern) I concetti di spazio e di tempo originano dal riconoscere il Mio Corpo come Me, lo spazio è il tempo necessario a raggiungerti e il tempo è il movimento necessario a riavvicinarmi, lo spazio è riempito dai nostri sensi, lontano ma ti vedo, ti ascolto, non ti posso toccare ma riconosco la tua presenza perché riconosco la mia. Come scrive Maria Grazia, - la distanza “fa” la relazione e contemporaneamente delinea a ciascun componente la propria identità – per essere in due è necessario sapere che Io sono uno di quei due, devo poter riconoscere me e poter riconoscere il vuoto che ci separa per poter riempire quel vuoto di senso. “Il corpo…. È l’unico sfondo da cui può nascere uno spazio esterno, è il ” rispetto a cui ” un oggetto può apparire, è la frontiera che non solo le ordinarie relazioni di spazio non oltrepassano, ma da cui queste stesse relazioni si dipartono” (Galimberti) A questo punto del discorso si può ritornare al concetto solo accennato di Embodiment. Con il termine Embodiment si definisce l’insieme di abitudini apprese e di tecniche somatiche culturalmente forgiate (Mauss 1934, Bourdieu 1972), grazie alla quale gli esseri umani sono nel corpo e nel mondo. Diversamente da corpo, il termine embodiment, si riferisce ad un processo e non ad uno stato, fa riferimento sia alla somatizzazione della cultura che all’impegno del corpo nella produzione delle forme culturali e storiche. (Mattalucci – Yelmaz, 2009). Mente e corpo non definiscono quindi due parti che interagiscono tra di loro ma formano un unico pensiero che riguarda l’essere nella sua interezza, nella sua storia e nelle sue relazioni, è un corpo situato profondamente nel mondo. 44
Ascoltare per sentire Per Freud “L’Io è innanzitutto un’entità corporea, non è soltanto un’entità superficiale, ma anche la proiezione di una superficie, vale a dire la forma più primitiva di auto - rappresentazione è inizialmente e soprattutto una rappresentazione corporea, derivante dalla propriocezione e dalle esperienze di dolore e di piacere” e le neuroscienze ci supportano nel definire il sé corporeo come precoce e fondante l’identità e ne chiariscono le coordinate: - Sense of Ownership: percezione di appartenenza a sé del proprio corpo, le proprie sensazioni, i propri pensieri. - Sense of Agency: percezione di essere la fonte delle proprie azioni e delle loro conseguenze. Il “chi sono?” risponde a questi due concetti, quello che sento, ascolto, vedo e muovo è riferito a me? Io sono quello che agisce e muove il mondo e nel mondo? “Il mio corpo, in realtà, è sempre altrove. È legato a tutti gli altrove del mondo. E, a dire il vero, è altrove solo nel mondo. Perché è intorno a esso che le cose si dispongono, è rispetto a esso, e rispetto a esso come rispetto a un sovrano, che ci sono un sopra, un sotto, una destra, una sinistra, un avanti, un dietro, un vicino, un lontano. Il corpo è il punto zero del mondo, là dove i percorsi e gli spazi si incrociano. Il corpo non è da nessuna parte. M. Foucault”
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Ascoltare per sentire Come ascolta il corpo Gli indiani Pueblo mi dissero che tutti gli americani sono pazzi. Naturalmente ne fui stupito e chiesi perché. Risposero: “Beh, dicono che pensano con la testa. Nessun uomo sano di mente pensa con la testa” C. G. Jung Lo sguardo non è mai ingenuo. È impossibile cogliere il volto dell’altro senza sovrapporgli le “immagini” della nostra storia pregressa (I.Gamelli Il sapere del corpo) Il punto di partenza è quindi che il corpo che intendiamo quando parliamo di ascolto e di relazione è un corpo che racchiude in sé l’essere al mondo del soggetto, è un corpo che ne fa parte e che ascolta il “dentro – sé e il fuori – sé”. Il corpo ascolta e racconta in ogni momento della nostra esistenza, e non solo nella vita ma anche in fase pre-natale, ma per poter meglio accordarci nel pensare dobbiamo definire l’ascolto. Secondo la Treccani ascoltare è udire con attenzione - stare a udire - dare retta, seguire i consigli o gli ammonimenti dati - In medicina, compiere l’esame fisico d’un malato con l’orecchio (auscultare). Wikipedia definisce che in psicologia l’ascolto è uno strumento dei nostri cinque sensi per apprendere, conoscere il tempo e lo spazio che ci circonda e comunicare con noi stessi e il mondo circostante. L’ascolto è un processo psicologico e 46
Ascoltare per sentire fisico del nostro corpo per comunicare ai nostri neuroni, al cervello che li traduce in emozioni e nozioni. Mentre la Treccani da una definizione di ascolto dal punto di vista dell’udito e dell’organo orecchio, la seconda definizione ne da una visione più ampia anche se la riconduce ad un passaggio di informazioni tra organi di senso e neuroni, accennando solo all’aspetto comunicazione ed emozioni. Ma è questo l’ascolto attivo di cui parla Maria Grazia Giannini? L’ascolto attivo da lei descritto “implica ascoltare il verbale, il non verbale e trasmettere la sensazione che stiamo ascoltando veramente, essere cioè autentici, avere considerazione positiva di chi ascoltiamo ed entrare in empatia”. Le definizioni precedenti non sono che una minima parte di quello che lei descrive, perché l’ascolto attivo presuppone osservazione e comprensione di me e dell’altro, empatia, autenticità, rispetto e non giudizio. Quando ascoltiamo, il nostro sistema uditivo attua una trasduzione meccanoelettrica delle onde pressorie sonore in potenziali d’azione neuronali e successivamente il nostro sistema nervoso centrale decodifica, ci permette di ascoltare ma quei suoni e quelle parole che valore hanno? Ascoltare è un processo lineare? Ascoltare è un processo oggettivo? Il linguaggio del corpo è decodificabile oggettivamente? Ascoltare l’altro è un processo complesso, implica sicuramente l’utilizzo dei sensi, l’udito, la vista, ma implica soprattutto la messa in gioco all’interno di un setting di spazio, tempo, sguardo, distanza e vicinanza ma primariamente un’immersione nella relazione con l’altro. Nel gioco a due (dove due non sono i soggetti ma le parti che si mettono in gioco: io e l’altro/altri) il corpo esprime la persona nella sua totalità e complessità, parla molteplici linguaggi (posture, movimenti, atteggiamenti) e si esprime in 47
Ascoltare per sentire molti modi (le varie espressioni corporee). La sensorialità, l’agire motorio e la corporeità in senso ampio, permettono alla persona di percepire sé stessa nello spazio e nel tempo, nella relazione con sé stessi, con gli altri, con gli oggetti, rappresentando l’occasione di un’integrazione di tutte queste parti a partire dalla propria esperienza di integrazione che attiene alla dimensione psicosomatica (Marcacci , Educare alla complessità) Proviamo quindi a connotare maggiormente l’ascolto e il linguaggio di cui parliamo Il corpo che ascolta è il corpo della propria storia, nel tema dell’ascolto non entra solo l’udire puramente sensoriale, ma un sensoriale immerso nel soggettivo. Il nostro corpo, come già accennato in precedenza, ascolta perché ha una storia ma quando comincia ad ascoltare? In fase prenatale il corpo del feto ascolta tramite olfatto e gusto (i primi due sensi che si attivano) e attraverso i quali assapora il liquido amniotico e comincia a conoscere la madre ma anche e soprattutto attraverso il tatto. Il feto, nel suo stretto contatto pelle a pelle viene massaggiato, cullato e contenuto, ascolta i suoni, il corpo ascolta un altro corpo ed è uno scambio reciproco, non è una situazione parassitaria, ma una comunicazione senza parole, una comunicazione tra corpi. Quando il neonato scopre il mondo durante la nascita fa un “lungo viaggio”, dallo stretto al largo, dal caldo al “fresco”, dal contenimento alla gravità e allo spazio di comunicazione, dall’”assenza di tempo” alla scoperta dell’attesa e dell’assenza. Da questo momento in poi la comunicazione e l’ascolto saranno le fondamenta della relazione e dello sviluppo, e da quello che nascerà da quell’incontro il bambino diventerà adolescente e poi adulto e da quelle modalità prenderà i natali un modo di comunicare con sé stessi e con il mondo. Quando Maria Grazia parla dell’ascolto attivo e dell’empatia ci parla del nostro essere in un mondo ma ancor prima di 48
Ascoltare per sentire essere inquilini del nostro mondo/corpo. Spesso sentiamo “svilire” questi due termini come se facessero parte di una banalizzazione della comunicazione, l’ascolto attivo diventa un sentire per rispondere, e l’empatia viene confusa con la simpatia, ascolto e sento quello che tu mi vuoi dire dopo averlo valutato attraverso parametri prestabiliti…. se metti le braccia incrociate sei sulla difensiva, se lo sguardo va a sinistra o va a destra vuole dire che…, se le spalle sono strette sei in ansia ecc., non che questo non sia a volte corretto ma di cosa stiamo parlando? Mentre ascoltiamo e comunichiamo facciamo la diagnosi dell’ascolto? E noi come siamo messi in questa relazione?
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Ascoltare per sentire E qui torniamo al titolo del capitolo…come ascolta il corpo! Il corpo ascolta e parla in quanto soggetto del mondo, perché dotato di cinque sensi, ma principalmente perché la sua storia è incarnata. Il corpo è inserito in una relazione di scambio, tocca ed è toccato, sfiora ed è sfiorato, occupa un luogo, un posto ed uno spazio, viene guardato e guarda quello che lo circonda, riceve ed è accolto, muove i suoi passi nello spazio della relazione con l’altro e da questo incontro riceve informazioni del suo ruolo, del suo posto ma anche di quanto è desiderato. Da questo ambiente di relazione il corpo soggetto, conosce il proprio limite e le proprie possibilità, affina o diminuisce la sua capacità, ma soprattutto la sua possibilità di ascoltare e di essere ascoltato. L’ascolto del corpo non è di facile descrizione: il corpo non ascolta parole, non racconta in modo oggettivo, ma sente con la propria storia personale, e risponde con la propria storia; ascolta e risponde in modo soggettivo, non è slegato da quello che il soggetto ha in sé del percorso del suo gruppo, della sua famiglia, del suo paese e della sua cultura. Qual è la difficoltà dell’ascoltare con il corpo? Sta proprio nell’ascoltare il proprio corpo e differenziarlo dall’altro corpo, la particolarità è riconoscere che quello che ascolta il nostro corpo è quello che ci dice il corpo dell’altro e che spesso viene interpretato dal nostro corpo con la nostra storia. Spesso interpretiamo il linguaggio del corpo dell’altro invece che ascoltarlo, lo filtriamo con il nostro corpo, e non è che questo sia un errore, ma spesso confondiamo e interpretiamo il messaggio che ci viene inviato. Un esempio efficace può essere quello dello sguardo, se incrociamo una persona che ci guarda a seconda del nostro stato d’animo possiamo sentire questo osservarci come un interesse, come un’intrusione, come un giudizio, come uno sguardo di disprezzo o di ammirazione. 50
Ascoltare per sentire Quindi un altro dubbio che ci dobbiamo porre è ma quando ascoltiamo siamo sicuri di decifrare senza alcun dubbio il messaggio che ci viene inviato?
Ogni nostro movimento ci parla delle nostre emozioni, e ci rimanda alla nostra storia: quando permettiamo al corpo di ascoltare (e non di essere pronto solo a rispondere) ascoltiamo l’emozione del movimento dell’altro. Portiamo avanti un dialogo del corpo che è quello con il nostro caregiver quando ancora non eravamo in gradi di utilizzare il linguaggio, ascoltiamo con i nostri meccanismi mirror, involontari e pre – verbali che ci permettono quella che i neuroscienziati definiscono la comprensione incarnata.
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Ascoltare per sentire Ascoltare il corpo che sente Posso prendere un qualsiasi spazio vuoto e chiamarlo palcoscenico vuoto. Un uomo attraversa questo spazio vuoto mentre qualcun altro lo guarda, e questo è tutto ciò di cui ho bisogno perché inizi un atto teatrale (I.Gamelli Il sapere del corpo) Potrei proporvi a questo punto una situazione di ascolto, partendo da un momento individuale per poi passare ad uno in “coppia”. Individuale In posizione eretta chiudiamo gli occhi e proviamo a sentire l’appoggio dei nostri piedi a terra, ascoltiamo i punti e le zone di maggior pressione, ascoltiamo e non modifichiamo nulla, ascoltiamo la forza di gravità che agisce sul nostro corpo, non facciamo ipotesi, ascoltiamo e assaporiamo sensazioni. Proviamo ora a posizionare i nostri piedi sotto le nostre creste iliache (larghezza bacino) non misuriamo nulla, ascoltiamo solo, premiamo le nostre mani una contro l’altra, sfreghiamole, scaldiamole, ascoltiamo le sensazioni fisiche che ci arrivano da questa unione, e poi lentamente le allontaniamo una dall’altra sino a quando riusciamo a sentire la sensazione di vicinanza attraverso il calore e le sensazioni, quando ci sembrano isolate, le riavviciniamo, per poi riallontanarle. In coppia posizionatevi uno davanti all’altro, provate a sentire la distanza di sicurezza di ognuno, ognuno di noi ha uno spazio intimo da rispettare, l’altro si deve avvicinare ma non deve dare la sensazione di invaderci , chiudete gli occhi e ascoltate le sensazioni del corpo dell’altro vicino, ascoltate il vostro battito e il vostro respiro. Provate ad ascoltare se lo spazio deciso a occhi aperti è lo stesso che sentite possibile a 52
Ascoltare per sentire occhi chiusi. Provate ad ascoltare il respiro e il corpo dell’altro, ascoltate solo e non imponetevi nulla. Provate a rimanere in questa situazione per circa 5 minuti e poi vi sedete e parlate tra voi delle sensazioni, delle emozioni, delle immagini e dei ricordi che vi sono arrivati. Attraverso quali canali abbiamo ascoltato? L’ascolto del corpo come accennavo prima è pre – verbale, pre – mentalizzazione è linguaggio emotivo, propriocettivo, e quello che spesso viene definito “ascoltare con la pancia”. L’ascolto propriocettivo del proprio corpo è ascolto dei propri muscoli, delle articolazioni, delle sensazioni di pressione, di equilibrio e di disequilibrio, è legato alla sensorialità, all’orecchio interno e alle sensazioni vestibolari, alla vista, agli stimoli sonori ma anche alle sensazioni di pelle. La propriocezione dovrebbe essere concepita “non come un canale specializzato delle sensazioni”, ma come “ego-ricezione”, come “sensibilità a sé”. (J. Gibson - Un approccio ecologico alla percezione visiva). Ascoltare l’altro presuppone la conoscenza di sé, essere allenati ad ascoltarsi permette, facilita, l’ascolto dell’altro, e quella che Gibson definisce la sensibilità a sé permette minori fraintendimenti, libera almeno in parte il linguaggio dell’altro dalla mia storia. Ascoltarsi con i sensi, immaginare i propri confini dopo averli sentiti definire dalle carezze e dall’essere toccati dell’altro, definire il proprio spazio peri – personale permette di vivere l’altro come non confuso e non invasore, conoscere il mio tempo interno, il mio battito cardiaco, il mio ritmo respiratorio permette di dare il tempo al mio mondo , il mio spazio definisce l’altrui spazio. Ascoltare la gestione del mio spazio permette l’avvicinarsi cosi come la necessità di rispettare i tempi dell’altro dopo aver definito i miei. 53
Ascoltare per sentire I tempi dell’ascolto nella comunicazione sono definiti da: - Linguaggio verbale - “Silenzio” verbale di una delle parti - Linguaggio mai silenzioso del corpo, della postura, dello sguardo, della mimica, della distanza, della vicinanza, del tono, della pelle di colui che parla che incontra il linguaggio mai silenzioso delle parti che ascoltano In questa danza che è l’ascolto diventa quindi necessario danzare in due, nel rispetto, nel non giudizio, all’interno di un palcoscenico che accoglie entrambi, con un copione che va improvvisato come nel teatro d’improvvisazione, il tempo a disposizione per pensare alle proprie battute è minimo, siamo in un’area di scambio reciproco, in cui ognuno pensa, risponde, parla con le parole in modo conscio e con il linguaggio delcorpo e questi due messaggi a volte sono congruenti, ma più frequentemente sono in disaccordo. Nella relazione di aiuto questa relazione, come già scritto da Maria Grazia, la situazione si complica, la persona che chiede di essere ascoltata ci porta una storia complicata, fortemente filtrata dal bisogno/desiderio di essere accettata come persona, di averci dalla sua parte, di mostrarci almeno nel nostro primo incontro di essere ascoltabile. Conoscere il proprio sentire affina questa possibilità, ascoltare questi bisogni/desideri dell’ascoltato attraverso i propri sensi, ascoltarlo di pancia per potere accogliere, chiarendosi il fatto che non si ascolta per scegliere da che parte stare, ma per accogliere, per non avere fretta nel rispondere e per non rischiare di ascoltare solo quello che maggiormente ci appartiene. Chi chiede di essere ascoltato, cerca un partner di percorso, un compagno di viaggio alla scoperta di nuovi viaggi, spera di essere capito ma soprattutto scoperto nel proprio gioco di vita. E chi ascolta spera di capire quando forse, il ruolo iniziale è 54
Ascoltare per sentire solo quello di ascoltare, prendersi del tempo per decifrare e restituire il pensiero ascoltato rivisto dalla propria storia, accettando anche di non trovare soluzione ma di essere “solo” un compagno di viaggio. “La nostra prima reazione di fronte all’affermazione di un altro è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione. Quando qualcuno esprime un sentimento o un atteggiamento o un’opinione tendiamo subito a pensare ‘è ingiusto’, ‘è stupido’, ‘è anormale’, ‘è irragionevole’, ‘è scorretto’, ‘non è gentile’. Molto di rado ci permettiamo di ‘capire’ esattamente quale sia per lui il significato dell’affermazione.” (C. Rogers)
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Ascoltare per sentire Bibliografia Faccio E., (2007). Identità corporee. Quando l’immagine di sé fa star male. Giunti. Firenze Farneti P., Grossi E. (1995). Per un approccio ecologico alla percezione visiva. Introduzione a J.J. Gibson. Franco Angeli. Milano Galimberti, U. (1983). Il corpo: Opere V. Feltrinelli Saggi. Milano Onnis L., Gallese V., Stern D., (2015). Una nuova alleanza tra psicoterapia e neuroscienze. Dall’intersoggettività ai neuroni specchio. Dialogo tra Daniel Stern e Vittorio Gallese. Franco Angeli. Milano Lapierre, A., Aucouturier, B. (1978). La simbologia del movimento. Edipscologiche Cremona. Mattalucci – Yilmaz, C., (2009) “Introduzione”, in Annuario di antropologia diretto da Fabietti, U., anno 3, numero 3. p. 5 - 17 Meltemi Roma www.lastampa.it/2011/02/16/scienza/la-prima-carezza-tragemellie-gia-nell-utero-Z8uFN8atyQ5rLkrBlABhIJ/pagina. html).
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" mia figlia ed io, due ombre, due persone che … condividevano un pezzetto di strada e di vita. Passi fatti in silenzio, ma ognuna delle due sentiva benissimo di essere in comunicazione con l'altra, di provare la stessa emozione. In quel preciso istante ho capito che esistono vari modi di comunicare e di ascoltare, e che è impossibile vivere senza questo. Siamo nati per vivere e crescere nella continua interazione con l'altro ed è attraverso lo scambio con gli altri che ognuno di noi dà significato a se stesso e alla sua esperienza." Maria Grazia Giannini , Counselor e Presidente Associazione Il Bucaneve ODV Stefania Lanaro, Psicologa e Psicomotricista Prefazione di Luca Barletta, Counselor formatore ASPIC Umbria, Scuola di Alta Formazione alla relazione d'aiuto