C'era l'acca (Fuori dal Disagio)

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PREMIO LETTERARIO NAZIONALE III EDIZIONE 2014

C’era l’acca fuori dal disagio

Quaderni del Volontariato 2014

9 C'ERA L'ACCA (Fuori dal disagio)

CESVOL EDITORE

Quaderni del volontariato 2014

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Quaderni del volontariato 9

Edizione 2014


Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Campo di Marte n. 9 - IV piano 06124 Perugia tel 075 5271976 fax 075 5287998 www.pgcesvol.net

Edizione Dicembre 2014 Coordinamento editoriale e copertina di Stefania Iacono Stampa Digital Editor - Umbertide

tutti i diritti sono riservati ogni produzione, anche parziale, è vietata

ISBN 978-88-96649-37-4


Premio Letterario Nazionale C’era l’acca fuori dal disagio

III Edizione

EDIZIONE 2014



Introduzione E’ dimostrato che l’uso della scrittura, sotto qualunque forma, ha un formidabile effetto psicologico e concede libero sfogo all’intrinseco bisogno di comunicare dell’essere umano. Scrivere, o anche leggere, può infatti avere effetti sull’umore e trasformare stati d’animo, facendo provare di conseguenza anche un certo giovamento fisico. Potrebbe, inoltre, aiutare a dare un senso alle diverse esperienze esistenziali, contribuendo ad alleviare le difficoltà di chi si ritrova in situazioni disagiate ed a rischio di emarginazione: persone anziane, disabili, malate e così via. Frasi, versi, concetti, messi su carta o – come oggi accade - su file, si rivelano allora un potente mezzo con cui rivalutare se stesso nel proprio ambiente quotidiano, facilitando per di più anche le relazioni con gli altri e l’integrazione con l’esterno. A comprovarlo è il numero piuttosto alto (rispetto alle precedenti) dei partecipanti alla terza edizione del Premio Letterario Nazionale “C’Era L’Acca” (Fuori dal disagio). Un successo certamente dovuto alla validità della formula adottata dall’organizzazione che punta su testi lirici e narrativi riguardanti l’esperienza della malattia, della solitudine, del mondo degli anziani, delle persone con disabilità e di ulteriori condizioni di disagio. E proprio nella consapevolezza dell’utilità che le arti, in questo caso letterarie, hanno per l’individuo umano, sia come persona sia come entità sociale, che il CE.S.VOL di Perugia e la A.L.E.A. (Associazione L’Essere Armonia) - con l’appoggio di alcune realtà associative operanti nel territorio che hanno creduto in questa iniziativa – hanno rinnovato il loro impegno nell’organizzarlo. La giuria, composta da poeti, docenti e personaggi impegnati nel sociale, ha svolto un meticoloso lavoro di selezione tenen5


do presente i temi cardini del premio. L’esame è avvenuto in base alla carica emotiva trasmessa ed al contenuto, allo stile. la scelta dei testi da premiare è stata concorde e ben condivisa. Vorrei anche sottolineare, con un certo moto di soddisfazione - che i lavori presentati erano anonimi e sono poi risultati provenienti da tutta Italia (isole comprese) ed addirittura dagli USA. Il nostro scopo è da anni quello di far comprendere che la grande barriera, più di quelle architettoniche, è rappresentata dalla cultura, qui intesa come l’insieme di conoscenze, di esperienze e di comportamenti che rappresentano il modello e il grado di sviluppo delle qualità intellettuali e morali del nostro ambiente, del nostro gruppo sociale, della nostra epoca, E per questo tentiamo, attraverso manifestazioni come questa, di lanciare messaggi per far si che vi sia sempre più rispetto per se stessi e per i propri simili, affinché si possa accettare l’altro per quello che è, perché crescano sempre più i fiori della condivisione, della solidarietà e del sentirsi parte della grande famiglia umana. Penso che anche in questa occasione, sia stato dato il nostro piccolo contributo, in quanto come diceva Giosuè Carducci: “L’arte e la letteratura sono l’emanazione morale della civiltà, la spirituale irradiazione dei popoli.” Luciano Pellegrini Presidente della giuria


C’era l’acca Commissione Presidente della Giuria Luciano Pellegrini Membri della Giuria: Augusto Ancillotti Piero Calmati Luigi Lanna Deanna Mannaioli

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Vincitori Sezione Poesie

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C’era l’acca Primo Classificato Canfora Franca Maria Il Figlio diverso Bruceranno le tue ali di cartone figlio mio dolce Icaro di porcellana. Le mani incerte come farfalle confuse le parole slacciate sui saldi pensieri , negli occhi a mandorla una felicità sospesa sul tuo volto la bellezza d’un raggio di sole acerbo e l’acqua tranquilla d’un sorriso che m’illumina. Figlio sconosciuto ai più figlio mio, che d’un calore immenso avvolgi i giorni miei e foglia appesa a terra vai per poi tornare al ramo, ignaro di chi non t’ama, tra le braccia mie, come conchiglie, la forza dell’amore avrai, lei sola, e non cadrai, meraviglioso figlio figlio down che gli altri chiamano “diverso” 11


C’era l’acca Secondo Classificato Kostka Izabella Teresa Alzheimer In schiavitù ridotta la mente squarciata, dalle ombre circondati i ricordi sbiaditi. In una stanza vuota sul letto pietrificato, un C o r p o impaurito, avvinghiato in attesa muta. Della propria dignità da tempo sfuggita, le briciole taglienti raccoglie piangendo. Urlano le pupille dal mondo terrorizzate, tra i frantumi di ieri cercano il riparo. Invano le labbra invocano gli Dei, si confondono i versi nel fango del vuoto. La memoria già sciolta nei sorrisi del morbo, riposa sarcastica nei vicoli ciechi. Un bacio soltanto quell’E s s e r e chiede, un gesto familiare, 12


C’era l’acca un abbraccio d’amore. Nel nulla il nulla del vivere rimane. All’oscurità infinita quel sentiero conduce. Un bacio della Morte sulla fronte si posa. Un tocco del male chiamato A l z h e i m e r .

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C’era l’acca Terzo Classificato De Riz Mirta Sposa Bambina Mi apparve tra le lacrime una fanciulla con lo sguardo di fiordaliso, indossava il mio sorriso. Spiava smarrita tra ciocche di neri capelli, con gli occhi dell’innocenza che chiede perdono al primo peccato Odorava, vezzosa, bianchi fiori d’arancio Singhiozzava mille “perché?” all’aria trafitta, alla madre al demonio, a Dio Ma solo un silenzio bastardo rispondeva ansando beffardo… E poi, poi… tese le mani...e...mendicò amore; E la vita che la vide fiore e fieno, grappolo e raspo, pietosa la colse, la accarezzò, la cullò donandole fresco respiro di neve. 14


C’era l’acca Premio Speciale del presidente della Giuria Angeletti Elvio Il cane e l’amico Ho incontrato per strada un cane che cercava qualcosa da rosicchiare davanti ad un bar. Ho visto poco lontano un anziano cercare qualcosa in un contenitore pieno di rifiuti. Ho visto il barista accarezzare il cane ed un vigile fischiare a chi aveva fame! Ho visto il cane raggiungere l’anziano ed incamminarsi insieme a lui verso la luce.

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C’era l’acca Premio Speciale della Giuria antonio damiano Come le foglie In ombra già di luna muore un altro giorno: Si sfalda lentamente il tempo della vita. E per ignote terre d’ansia e di pene Dal meriggio salpa l’ultima stagione. E ti ritrovi a sera, nel tonfo delle ore, Spoglio, senza linfa, come le foglie vizze Al tempo delle brume. Stanno innanzi al sole ebbre della luce, Del raggio all’orizzonte che tremulo si spegne. E pendule dai rami rimirano la vita, Le ombre e il chiarore e quell’azzurro cielo Prossimo a svanire. E intorno il mondo, che stempera i colori, Smemora dei giorni e s’avvia mestamente Al sonno della notte, ove sbiadisce e tace L’evanescenza della vita. Un soffio, un refolo più forte: fremono Le foglie ed una già si stacca; rotola, Si libra e ricade; e sulla terra molle Ferma la sua corsa. O forse la riprende, salendo Su nel cielo in vortici d’immenso.

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C’era l’acca Premio Speciale c’era l’acca ex equo Affronte Rosanna Storie balbettanti Ho visto Luca stamattina sulla sedia a rotelle con il capo reclinato ho sentito le urla di un bimbo autistico e le scorribande in corridoio di un bimbo down, la bruma al di là del colle offusca sempre più i pensieri bagnati rivoli di tempeste senza stagioni inondano il cammino di giovani vite, una voce suadente dirada le nubi assonanze di luci fluttuanti sfociano come melodiose sorgenti, allora sì, dubbi non ce ne sono c’è un Dio che illumina lo sguardo dipinge sorrisi sulle sbarre e libera l’animo in un soffio di straripanti arcobaleni. Ogni giorno m’inabisso in questo mondo accarezzando fruscianti echi di storie balbettanti, come per magia riemergo sempre più candida e scopro che anche nelle notti più buie si accendono stelle d’Amore che vegliano nell’alabastro di un tempo senza confini, frantumando le invisibili barriere della mente. 17


C’era l’acca Premio Speciale c’era l’acca ex equo Quadri Elena Una voce implora amore Maree di farfalle prigioniere turbinavano entro il corpo colpito dalla sorte mentre il cuore inquieto eruttava in quel suono strozzato che implorava amore Tra i labirinti dell’indifferenza che lacera l’anima e strappa il respiro solitario tu eri come un gomitolo nell’angolo mentre brancolavi tra le impervie lande della speranza sbattuto dalla bufera dell’esistenza Ora in una diafana coltre d’azzurro la primavera ti sorride schiudendo le umide pupille come rose baciate dal sole In questo incantesimo floreale una voce riecheggia nell’immenso e chiama il tuo nome mentre si perde all’unisono tra le dolci onde degli sguardi e l’eterno amore

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Vincitori Sezione Racconti

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C’era l’acca Primo Classificato Iiriti Maria Natalia Elle Tu non ci sei più e io lo so, senza che nessuno me lo abbia ancora detto. Ci sei ancora ma sei altrove. Attraversi altri corridoi, leggi altre circolari, bevi il caffé con altre anime. Sono le sei del mattino e per oggi è fissato il primo collegio docenti del nuovo anno scolastico. Fa ancora caldo e si può andare al mare. Forse adesso potrò, magari al ritorno, se sono ancora vivo, dopo l’ora di viaggio in un treno che sembra un forno. I colleghi lo avranno saputo, avranno pianto. Tu non lo hai mai fatto, ne sono sicuro. Nemmeno ieri, l’ultimo pomeriggio di domenica che abbiamo trascorso insieme. Hai preparato tu i lavori del collegio. E’ tuo il ricamo dei punti all’ordine del giorno, la bozza dell’orario scolastico, il nuovo indice del piano dell’offerta formativa. Domani ci sarà la bandiera listata a lutto e le tue alunne della sezione moda con gli orecchini stravaganti. In queste ore tutta la scuola verrà a casa tua. Le sei e un quarto. Mi alzo, preparo un caffè. Ieri mi hai offerto un gelato e per un attimo ti ho sfiorato la mano, nell’attesa che si compisse un miracolo. Nella speranza che tu mi spiegassi perché hai scelto proprio me in questo breve viaggio, durato il tempo di una primavera lieve e di un’estate torrida. Forse non lo sai nemmeno tu. Tu che cercavi le risposte nelle circolari del ministero e nelle sentenze, nei finanziamenti della regione e in quelli della comunità europea. Leggevi ovunque e, prima di prendere una decisione, ne parlavi coi docenti di lungo corso, coi docenti precari, coi docenti pendolari. Quante volte ti ho detto: “Basta, finiscila, che mi viene da vomitare a vederti sommersa dalle carte”? Tante, troppe. Per questo, quando ho saputo del tuo male, ho cominciato a venire a casa tua, ogni pomeriggio, prima con la scusa di portare i documenti 21


C’era l’acca a scuola, poi con la tua tacita autorizzazione ad avermi fra i piedi, spesso e volentieri. Sono trascorsi giusto cinque mesi. Un ospite inatteso si è insediato nel tuo tempio e ti ha portata via un minuto dopo il sacrificio. Io, che sono stato spesso accanto a persone che hanno sofferto e non ce l’hanno fatta a sopravvivere alla malattia, mi stupisco della tua forza e del tuo coraggio. Il lavoro ha fatto il resto. E’ vero che noi insegnanti siamo una massa di incoscienti che lavora per niente e si accontenta di poco. L’edificio della scuola era la tua prima casa, le aule i laboratori della felicità. Stavi poco in presidenza, a te piaceva il caos giovanile dell’entrata e dell’uscita, la pausa in cortile sotto il sole onnipresente, l’ansia onnivora delle interrogazioni e degli esami. E ti chiedevi sempre: “E dopo? Dopo che succede a queste ragazze? Dopo se ne vanno via oppure rimangono a casa”. Non abbiamo mai parlato del “dopo”. Cosa c’è e se c’è qualcosa dopo tutto, dopo di noi. Tu sei presente nell’ora e dovunque ci sia la possibilità di migliorare le cose. Non riesco ancora a parlare di te al passato. Le sei e mezza. E’ ora di fare la doccia. Il telefono squilla ma so già chi è. Chiudo gli occhi mentre il getto elimina l’ombra della notte dal mio corpo. E mi ricordo il giorno in cui, per un improvviso acquazzone che ti ha sorpreso nel tragitto dalla stazione alla scuola, sei arrivata grondante dell’acqua impertinente di maggio. Non portavi mai l’ombrello e, se lo portavi, lo dimenticavi sui treni, nelle aule. O lo prestavi senza reclamarlo indietro. Ero diventato il tuo accompagnatore ufficiale nei rari giorni di pioggia. Un ombrello in due che ci costringeva a camminare vicini come due fidanzati attempati e ridanciani, tu sempre un po’ più avanti di me e dell’ombrello. Mi strofino le spalle, la schiena, il torace. La mia pelle si arrossa, non riesco mai a abbronzarmi veramente. Tua madre si è occupata di mia madre quando è morta. L’ha lavata, l’ha vestita, ha pregato per la sua anima. Mia madre e tua madre potevano essere madre 22


C’era l’acca e figlia ma erano amiche. Mi vesto coi vestiti che avevo ieri, hanno preso un po’ di te, ne sono sicuro. Il cielo è terso: sarà caldo anche oggi. Maledetto telefono! Conto le telefonate che si sono susseguite nel giro di pochi minuti. C’è anche un tuo messaggio che non avevo visto. L’hai scritto nei primi minuti del nuovo giorno.“Vieni. Ho bisogno di te”. Non posso piangere adesso. Sono in ritardo, il treno parte, c’è il collegio e io ho i tuoi documenti. Mi guardo intorno per trovare un appiglio. Non c’è niente che possa trattenermi dal fare una sciocchezza, non c’è nessuno che mi sfiori il fianco. Sono solo. Per questo esco di casa, chiudo la porta e faccio le scale di corsa. Non lo perderò il treno, stai tranquilla, non oggi. Di solito eri tu la ritardataria. Ti piaceva fare le cose di corsa, ti piaceva salire sul treno all’ultimo minuto e sapere che qualcuno ti teneva il posto. Ma quando arrivavi in orario, volevi scegliere tu la sistemazione più comoda per tutti. E ti mettevi alla testa di una spedizione mattutina, aprivi porte che non scorrevano più, attraversavi vagoni, fendevi l’odore del treno col tuo profumo. Sorrido. Sul muro della stazione leggo il manifesto che annuncia la tua dipartita. Ci sono tutti, tua madre, tuo marito, i tuoi figli, i tuoi parenti. Sono passati cinque mesi, dal martedì dopo Pasqua. Eri dimagrita tanto senza chiederti perché. E avevi esagerato a cucinare un pranzo di Pasqua che la tua famiglia non dimenticherà. “E’ morta la professoressa. Mi dispiace”. Mi volto. E’ il bidello in pensione della scuola del paese. Da quando è morta la moglie si alza presto e cammina senza meta per le strade del paese. E’ sempre puntuale, come se anche lui dovesse prendere il treno. Questa mattina il treno è in ritardo. Tante anime mattiniere che cominciano la loro giornata al bar della stazione e all’edicola, si avvicinano e mi fanno le condoglianze, come se fossi uno della tua famiglia. E penso che quello che sentivo per te fosse molto vicino al termine fratellanza. Io, figlio unico, tuo fratello. Tu, figlia fra 23


C’era l’acca le figlie, mia sorella. “E’ morta Elle. L’ho vista non più di giovedì scorso, mentre prendeva il treno”. E’ stato il tuo ultimo giorno a scuola. Non ti sei voluta sedere per niente al mondo. Non volevi fermarti su una sedia della presidenza. In questi mesi ho messo da parte la vigliaccheria che mi ha impedito di vivere. Grazie a te ho vissuto questi cinque mesi da uomo, ma confesso che giovedì ho avuto paura di affrontare la tua morte. Insieme a te ho affrontato la tua malattia, fino a sentirla mia. Hai scelto me, uno scapolo incallito di cinquant’anni, un orso marsicano in confino in una località di mare, complice delle tue ultime scelte. Come quel pomeriggio che abbiamo raccolto le prime ginestre perché tu volevi portarle ai piedi del Santo. Ho una foto di quel pomeriggio, te l’ho scattata di nascosto con il telefono. L’ospite inatteso non ha ancora trovato un posto nel tuo corpo e tu sei una roccia coperta di giallo. Può essere che le rocce muoiano? Questa mattina il treno è in ritardo. Sei stata tu, ne sono sicuro. L’hai fatto apposta per mettermi di fronte alla tua morte. “Solo la vita mi commuove” mi hai detto una volta. La morte non ti faceva piangere. La morte è morte e basta. Ti sbagli, sorella. La gente che legge il necrologio, piange, già adesso che sono le sette di mattina e la voce registrata annuncia che sta arrivando il mio treno, il nostro treno, lo stesso, dopo tanti anni, forse più sudicio e più affollato. Trovo un posto accanto al finestrino. I documenti che hai preparato ieri sono nella mia borsa. Non li ho nemmeno guardati. Apro la busta e giro i fogli senza sgualcirli. Elenchi, tabelle, relazioni mi parlano ancora di te. L’ultima pagina è scritta da te, nella grafia incerta che ti era presa, unica insicurezza che ti eri concessa. “Grazie orso! E non piangere. Non voglio che ti bagni! Elle”.

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C’era l’acca Secondo Classificato Managò Marco L’ultima notte dell’anno

(a un papà mio amico) L’ultima notte dell’anno ho portato mia figlia ad assistere allo spettacolo del circo. Per mia figlia, la fine dell’anno prosegue, come un ciclo senza termine o intervalli, con l’inizio del nuovo. Il male che me l’ha portata, sin dalla nascita, nell’altra metà del cielo, quella dove le ombre vivono senza bisogno di un sole, non le permette di intendere il significato di qualcosa che finisce e di qualcosa che nasce. Per lei ogni giorno è uguale a quello precedente e a quello successivo; riesce a cogliere solo la naturale alternanza del buio e della luce. Ogni giorno nasce con il sole e culmina con la luna, all’infinito, per una naturale ragion d’essere. Se lo scorrere del tempo risulta non conferirle particolari emozioni, queste le sono offerte dalle parole e dai gesti di chi la circonda. Gioia e paura sono come due sorelle che sente vicino: ora una è più vicina, ora l’altra si fa avanti. E in questa sorta di bilancia, ove ora viene proiettata in nuove emozioni e quindi nuove conoscenze, ora risulta frenata da paure che non sviluppano la sua fantasia, trova la sua stabilità d’animo e l’orgoglio di essere. C’è un padre che lei reputa un po’ più importante di me ed è quel dio a cui affida sorrisi e preghiere; nella sua dolce ingenuità considera l’essere divino come personale. La sera dello spettacolo l’ho fatta accomodare proprio dinanzi alla pista, in modo che cogliesse ogni piccolo particolare degli splendidi numeri di giocolieri e acrobati. Nei suoi gesti di approvazione, mia figlia sembrava mimare l’armonia e la destrezza di quegli eterni funamboli. Quanto è 25


C’era l’acca dura la realtà… quale abisso segna corpi armoniosi e perfetti e altri meno… quadri lucenti di un pittore meticoloso e scarne cornici di un falegname improvvisato. L’allegria travolgente di artisti e spettatori, nell’esigenza di un divertimento di fine anno a tutti i costi, coinvolge anche mia figlia, pronta a spellarsi le mani per un applauso. Nel frastuono della serata, il suo applauso, rivolto agli artisti ormai avvezzi a tanta manifestazione d’affetto, si smarrisce tra i mille applausi degli altri spettatori. Ogni spettatore in platea è ammaliato da tanta agilità e tanto coraggio, dinanzi ai quali ognuno si sente “piccolo”, certo di non arrivare a livelli così estremi. Solo una persona, ingenua e incolpevole sognatrice, ha la dolce presunzione di poter emulare tali gesta. E’ una persona che non si sente prigioniera del corpo e dei suoi vincoli fisici. E’ una persona desiderosa, spavalda e sicura, di poter entrare in pista. E’ mia figlia: ne sono certo. O forse la sua voglia di sognare ha contagiato me, padre e sognatore illuso. Al termine di una delle varie esibizioni, un atletico e rapidissimo funambolo ha voluto festeggiare il successo della sua prova; per farlo, ha pensato di compiere un veloce giro di pista. Nell’effettuare tale giro, l’acrobata batte di gran lena il suo palmo con quello di alcuni spettatori rapidamente scelti a caso. Ha appena ultimato i suoi primi venti metri di pista e si dirige lesto verso la nostra postazione. Il suo braccio destro si alza di nuovo. Improvvisamente ho l’impressione di poter vedere le immagini come se fossero rallentate. L’arto sinuoso e robusto prende rincorsa sferzando l’audace aria che gli si frappone e con impeto veemente precipita verso un’altra mano timidamente tesa. E’, quest’ultima, una mano incerta nel muoversi, leggermente tremolante, che non scrive, non muove, non stringe. 26


C’era l’acca Nei miei occhi gli attimi scorrono lentissimi, come fotogrammi selezionati singolarmente. La mano sicura avanza sempre più, ma negli occhi dell’acrobata s’accende una luce strana che percepisce meglio la destinataria della pacca di approvazione. L’arena è muta e ferma, l’aria è immobile, il mio cuore sospende i battiti, il respiro si tramuta in apnea, i miei occhi serrano lo sguardo. L’azione non può arrestarsi e la mano non può tornare indietro e così… avanza. Negli attimi lentissimi percepisco una piccola mano che sale, le dita si irrigidiscono e colpiscono flebilmente una mano più decisa. L’intesa è stabilita. La differenza tra i due corpi sembra annullata in virtù di un’alleanza e di un’armonia scritta nel sacro fuoco dell’umano amore. Nessuno lo sa, ma la performance più difficile è riuscita. Ora sì… un grandissimo applauso, per mia figlia. La mia commozione è totale e segreta, chi può immaginare quale sia stato il momento più bello della serata per me? Nessuno può immaginare che in quel gesto così anonimo e semplice, una macchia invisibile nell’universo dei movimenti e delle emozioni della serata, ci sia tutto il cuore di un padre felice. Grazie, figlia mia… il mio capodanno più bello!

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C’era l’acca Terzo Classificato Emma Maria Bettoni Bovini E’ arrivata la primavera Era una mattina di aprile : iniziava un giorno che sembrava come gli altri. Convalescente da un intervento di tumore, cercavo di mettere un po’ di ordine nella mia testa che, in un turbinio di pensieri, non riusciva a razionalizzare, facendo venir meno quella determinazione che avevo sempre considerato un grande dono elargitomi dalla vita. Provavo una sensazione strana : era come se avessi avuto avanti agli occhi un groviglio di gomitoli, disordinatamente intrecciati,che io cercavo di districare per ricomporlo. Mi meravigliava il fatto che non provavo ansia o affanno, come se dicessi tra me : “se ci riesco, bene, altrimenti pazienza!”. Presa da questo stato di apatia non mi ero accorta del bel cielo azzurro, di un tiepido sole, dei colori dei fiori del mio giardino. Ad un tratto mio padre,ultranovantenne, avvicinatosi alla finestra, rompeva il silenzio con una frase apparentemente banale “ guarda le rondini; è arrivata la primavera”. Quante volte avevo sentito da lui queste parole, recepite come constatazione del ripetersi di un fenomeno naturale che, a livello emotivo, non aveva mai sortito alcun effetto particolare. M quella mattina non era stato cosi!. Mi sono alzata dalla poltrona e ho spalancato la finestra: l’aria frizzante mi ha svegliato dal torpore ed all’improvviso ho ritrovato me stessa , la voglia di sorridere, la forza di riprendere la mia vita di prima e di vincere la paura del……….dopo. Respirare a pieni polmoni mi ha fatto sentire più leggera : come se una folata di vento avesse spazzato via quella pesante cappa di nebbia nella quale mi sentivo avvolta e che mi rendeva isolata dal resto del mondo. Pian piano ho riordinato le mie idee : sono riuscita ad analizzare con calma quello che mi era successo : dalla diagnosi di tumore 28


C’era l’acca all’immediato intervento chirurgico l’intervallo era stato cosi breve che non avevo fatto neanche fatto in tempo a rendermi conto della complessità della situazione. Mi colpiva la serenità con la quale riuscivo a pensare non solo a ciò che ormai9 era passato, ma anche alle terapie che avrei dovuto affrontare, ai frequenti controlli periodici in ospedale, alla ridotta efficienza del mio braccio destro che avrebbe condizionato il resto della mia vita. Cosi mi sono resa conto che quella mattinata di aprile non era l’inizio di un giorno come gli altri, ma un piacevole momento della mia vita che ha fatto rinascere in me la voglia di fare tutto quello che facevo prima e con un entusiasmo del quale io stessa provavo meraviglia. Sono passati alcuni anni che ho vissuto all’insegna del “ sono viva e voglio vivere con serenità” grazie ai miei familiari che mi sono stati accanto con affetto, grazie alla vita che mi ha dato risorse necessarie per non cadere nella depressione, grazie alla fede che non ha vacillato. L’esperienza che ho vissuto in prima persona ha cambiato la mia vita, ma sotto un particolare aspetto: mi sono ritrovata molto interessata a vicende di donne operate di tumore al seno ed ho scoperto le diverse manifestazioni del “disagio”. Ogni persona ha reazioni diverse, fatte di dubbi, di timori, da domande senza risposta, ma tutte con un comune denominatore : fronteggiare da “sola” un nemico che appare spietato. Conoscere altre realtà mi ha indotto a fare un esame retrospettivo della mia vita, esaminandone alcuni aspetti in un’ottica diversa, la stessa con la quale ora affronto ogni giornata, apprezzando anche le “ piccole cose” che forse prima non valutavo adeguatamente. Mi sono cosi resa conto che la diminuita funzionalità del mio braccio, a seguito dell’intervento , è solo un piccolo inconveniente , rispetto a tutta un’altra serie di sofferenze , non solo fisiche ma anche psicologiche . Ed ‘ proprio il particolare stato psicologico che può avere effetti devastanti sulla persona, sui rapporti con la famiglia, 29


C’era l’acca determinando anche la perdita di auto stima. Su tutto questo si sono concentrati i miei pensieri e, riflettendo, mi sono convinta che , nonostante tutto, la sorte non è stata cosi avversa con me. Penso alle persone che stanno vivendo la situazione che per me è ormai solo un lontano ricordo e che potrebbero avere bisogno di aiuto per uscire dal loro “disagio” : la condivisione può essere un efficace strumento a favore di chi è in difficoltà. Coloro che stanno affrontando il percorso terapeutico post-intervento si trovano di fronte ad un terreno molto accidentato: una mano tesa da parte di chi lo ha già superato può diventare una guida per rendere il cammino più agevole ed anche testimoniare la presenza di un alleato per combattere insieme la battaglia contro un nemico insidioso. Condivisione è anche trasmettere, in modo concreto, un messaggio di speranza: dopo il grigio inverno può tornare la primavera ed il risveglio della natura sia anche per noi il risveglio piacevole da un brutto sogno. Purtroppo la realtà non è sempre cosi: l’importante è riuscire a non farsi sopraffare dallo spirito del perdente. Poi……

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C’era l’acca Premio Speciale del presidente della Giuria Affronte Rosanna Il bambino sul pallone Avevo letto i primi giorni di scuola la sua diagnosi e ne rimasi un po’ perplessa. Era la prima volta che, come insegnante di sostegno alla scuola media, mi dovevo occupare di un ragazzino autistico. Il nuovo anno scolastico si presentava interessante. Sapevo bene che si trattava di un quadro clinico dei più complessi e, chi ne soffre, è definito “un bambino sdraiato sul pallone”, per il fatto che si trova in una situazione, in cui, qualunque movimento faccia, avverte il rischio di perdere l’equilibrio e cadere. Proprio perché ha paura della realtà, il soggetto autistico resta inerte, se non c’è chi lo aiuta a scendere “dal pallone” e a immergersi nel mondo reale. Insegnando per mia scelta in una scuola cosiddetta “a rischio”, fin’ora avevo sempre seguito per lo più, soggetti caratteriali che vivevano in famiglie con un degrado socio culturale elevato, e con problematiche enormi. Intolleranti ad ogni disciplina scolastica, spesso esercitavano atti di bullismo e vandalici, insomma la mattina, più che a scuola, era come se andassi su un campo di battaglia. Se non avessi avuto il carattere che mi ritrovo, essere molto paziente, non avrei certamente mai scelto di fare questo lavoro. Eravamo arrivati già a fine Ottobre e l’alunno che mi era stato affidato non si era ancora presentato. Cominciai però a documentarmi sull’autismo in modo più dettagliato. Tutte le cose che si presentano un po’ complicate, mi danno maggiore input per affrontarle. L’autismo è una patologia che coinvolge la sfera affettiva e i processi cognitivi a tutti i livelli. Ogni tentativo di relazione con l’autistico, suscita in lui diffidenza, panico, in quanto il suo mondo è fuori da tutti i problemi concreti, è fatto di cose ir31


C’era l’acca reali, di illusioni, di immagini evanescenti, fugaci. L’autistico comunica con il corpo, nonostante sia un qualcosa che non gli appartiene, così come il tempo per lui non esiste, non c’ è passato, né presente, né futuro, la sua vita è un’ alternanza tra sogno e realtà. Arrivò il mese di Novembre e, una mattina, vedo arrivare in classe un ragazzo, alto, robusto, il viso paffuto, due occhioni scuri ma assenti. Aveva 12 anni, ma dimostrava molti di più. Accompagnato dalla madre, una donna giovane, con la stessa corporatura del figlio, ma dall’aria molto dimessa e stanca. Ci presentiamo, parliamo un po’. Mi racconta della sua vita, il marito l’ha lasciata con due figli e non si è preso più cura della famiglia. Alessandro, mentre la madre parlava, stava con il capo appoggiato sul petto della donna e le teneva la mano, nessuna espressione traspariva dal suo viso. Compiva ogni tanto dei gesti e dei movimenti incontrollati, passò tutto il tempo stretto alla madre. I primi giorni restava a scuola anche lei insieme al figlio. Ale non parlava, i suoi erano più che altro dei vocalizzi, l’incedere era incerto e camminava sollevandosi sulle punte, caratteristica che deriva dalla difficoltà che hanno questi soggetti di appoggiare il corpo sui piedi e dal desiderio di sentirsi leggeri, non ingombranti. Lo sguardo sempre basso, immobile, fisso. Intanto la scuola aveva provveduto a nominare un assistente, che aveva il compito di accompagnarlo in bagno, dargli da mangiare, pulirlo. Ale, col passare del tempo, cominciava gradualmente a farsi prendere per mano, farsi fare qualche carezza, pian piano si abituava alla mia presenza. Dopo un po’ di tempo provammo a fare in modo che la madre si allontanasse. Purtroppo c’erano dei momenti in cui la situazione precipitava. All’improvviso Ale si metteva ad urlare, non vedendola, voleva scappare, diventava aggressivo. Gestirlo in quei momenti diventava veramente difficile, ma non mi sono mai persa d’animo. Nella mia esperienza di anni 32


C’era l’acca di insegnamento con ragazzi in difficoltà, me l’ero sempre cavata, soprattutto per la carica affettiva che ho sempre riversato in questo lavoro. Se si amano questi ragazzi, si ottiene il meglio da loro, anche se spesso non si recuperano del tutto, perché là dove la scuola finisce, spesso non c’è una famiglia pronta a seguirli. Io e Ale passeggiavamo spesso nel cortile della scuola, mano nella mano. Io gli parlavo, gli facevo toccare gli oggetti intorno, in modo che ne percepisse la consistenza, lui eseguiva il tutto come un automa; lentamente, però, col passare del tempo, cominciavo a notare dei piccoli segnali di partecipazione. Ale cominciava a prendere consapevolezza dello spazio intorno a lui e a pronunciare il mio nome, gli piaceva andare verso la finestra e battere le dita contro i vetri, per sentire quel tintinnio, poi mi guardava e sorrideva; certe volte prendeva la matita, la strisciava su un foglio, poi la tirava in aria. Era felice quando gli facevo ascoltare la musica, s’immergeva completamente in quei suoni e sorrideva. Lui era diventato una sfida con me stessa, ogni suo piccolo progresso era per me una vittoria. Un altro obiettivo molto importante era quello di farlo socializzare con i compagni di classe. Eravamo ancora ai primi mesi di scuola, fino alla fine dell’anno scolastico, ero sicura che Ale di progressi ne avrebbe fatti tanti. Intanto, la madre mi riferiva, con molta preoccupazione, che a casa manifestava degli atteggiamenti molto aggressivi e di notte spesso non li faceva dormire, perché urlava. Lei era molto provata, sfinita, trascinava le sue giornate con fatica, per cui le cominciava a balenare l’idea di mettere il figlio in qualche istituto e, un giorno, di questo, ne parlò con me. Furono attimi in cui rifiutai categoricamente la sua idea, non si può allontanare un figlio che ha bisogno di aiuto. Mi trattenni dal dirle questo in maniera esplicita, ma le feci capire che non era la soluzione adatta, di pazientare ancora. Capivo il suo calva33


C’era l’acca rio di donna e di madre, ma si doveva scegliere un qualcosa che non avrebbe danneggiato ulteriormente il ragazzo. La decisione che lei andava maturando cominciava a preoccuparmi non poco. L’allontanamento dal proprio ambiente familiare è un qualcosa da fare in casi estremi, è come voler staccare una pianta dalle proprie radici. Inoltre notavo quanti miglioramenti il ragazzo giorno dopo giorno continuava a fare. Purtroppo si assentava frequentemente e, quando verso il mese di Aprile, mi resi conto che l’assenza si era prolungata abbastanza, telefonai alla madre, la quale mi diede la conferma di quello che io avevo sospettato, Ale era stato portato in istituto e, in una frazione di secondi, mi venne in mente un film che avevo visto in TV. Trattava proprio di un bambino autistico. Ricordo che mi rimase impressa la scena, quando i genitori lo fanno salire in macchina per portarlo in una struttura per disabili. Non ho mai dimenticato lo sguardo smarrito di quel bimbo nel film, lo stesso di un cane quando viene portato al canile. La sensazione di abbandono e di distacco, nel vedere quella scena, la rivivevo ora di nuovo, pensando allo sguardo di Ale, nel ritrovarsi in un ambiente nuovo senza intorno le figure familiari. Era stato depositato lì, in un istituto! Mi rimbombavano nella testa le sua urla quando a scuola cercava la madre e, chissà, con quanta disperazione urlava adesso, lontano da casa. Il lungo cammino che volevo intraprendere con Alessandro si era ormai interrotto. Ricordo le parole della madre al telefono: <<da quando mio marito mi ha lasciata, io non sono più capace di reggere questo figlio che mai sono riuscita ad accettare, non lo volevo così>>. Capisco che doveva essere drammatica l’ esistenza di questa donna! Ma non è giusto che i figli debbano essere sempre vittime delle problematiche dei genitori. Forse, Ale, nella sua disperazione, stava ancora di più adagia34


C’era l’acca to su quel pallone!! Ero convinta di questo. Quello fu uno degli anni scolastici che io conclusi con una grande angoscia dentro. Avrei voluto portare a termine il percorso iniziato ed avere anche stavolta la conferma che ogni gesto, ogni intervento educativo fatto con amore, dà sempre risultati positivi. Proprio così… se Alessandro avesse avuto una famiglia unita, nella quale poter percepire l’amore tra i suoi genitori e dai quali si sarebbe sentito maggiormente protetto, lui avrebbe sicuramente imparato nel tempo ad avere meno paure, a vivere con maggiore serenità, a non temere sempre di “perdere l’equilibrio” e cadere, perché accerchiato da solide braccia amorose.

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C’era l’acca Premio Speciale della Giuria Cesaretti Eleonora In trappola Avanti. Mi dico: “Avanti!”. È una cosa semplicissima, quotidiana e indispensabile; come premere un interruttore, come bere e mangiare, come alzarsi, o sedersi. Eppure non c’è nulla che possa fare, né ora né mai. Sono prigioniero, intrappolato, come un pazzo furioso sbatto lungo le pareti della mia testa, rimbalzo in questo luogo foderato di carne e tessuti, ossa e sangue. Immaginate di andare in ristorante molto elegante del Giappone e di ordinare il piatto più costoso e pregiato, chiamato fugu sashimi. Vi verrà presentato un piatto a base di pesce tagliato in maniera talmente fine da risultare traslucido; sarà disposto sul piatto artisticamente – alla maniera orientale- tanto da ricordare un crisantemo. Questo fiore, per noi occidentali simbolo di morte, sembra quasi essere un presagio: i visceri di quel pesce contengono infatti un veleno, la tetradotossina, che rende la carne del pesce palla così pericolosa e, al tempo stesso, così tremendamente invitante. Il nome scientifico del pesce palla è Tetradontidae, che significa quattro denti; a sua volta l’animale dona il nome al veleno, il cui primo effetto è la paralisi. “Tetra”, questo breve prefisso la cui articolazione fonetica ricorda un brivido, significa “quattro”, e si trova anche in una parola che – ironia della sorte – indica lo stato di paralitico: tetraplegico. Non trovate che l’etimologia sia una materia straordinaria? Tetraplegia significa non poter disporre dell’uso degli arti a proprio piacimento: come un robot riuscito male, sono paralizzato. Le mie gambe sono appendici inutili, le mie braccia 36


C’era l’acca sembrano vermi morti, pallidi, adagiati sui braccioli della sedia a rotelle. La testa ricade pesantemente da tutte le parti, e deve essere tenuta dritta da un collare e da una piccola leva nera che poggia sul mento: sembra un microfono da centralinista. Tetraplegia significa anche dover essere assistiti a tempo pieno per ogni minima cosa, anche quella che vi sembra più scontata, come andare in bagno, ed è proprio quello che mi angustia in questo momento. Avanti, mi dico. “Avanti! Che sararanno mai tre passi verso la toilette?”. Provo a chiamare Dora, la mia infermiera, ma le parole mi escono strozzate. Ho delle difficoltà anche nella deglutizione, per questo cerco di parlare il meno possibile: ma corde vocali non utilizzate finiscono per irrigidirsi, pietrificarsi, e la mia voce non è neanche più la stessa. Non sono sempre stato così. C’è stato un tempo della mia vita in cui potevo correre, saltare, o anche semplicemente camminare, sentire il mio corpo come la parte operativa della mia mente, come una sua naturale estensione. Potevo salutare, lavarmi, cucinare, fare l’amore. Non avete idea quanto sia umiliante essere portato in bagno da un’infermiera dell’età di mia madre che mi solleva come se fossi un neonato, e che mi deterge ogni parte del corpo come se fossi un oggetto di plastica: non esistono imbarazzi, o malizia, o pudore. Non più. Il mio corpo si è spersonalizzato per diventare di dominio pubblico, proprio nel momento in cui io ho perso il controllo su di lui. Ne sono al tempo stesso separato e congiunto, perché la separazione non è mai totale, privarmene significherebbe morire. Ne sono prigioniero: ho trent’anni e non conoscerò mai più il conforto dell’abbraccio di un’altra persona, o il calore di una donna. Sono totalmente insensibile, inutile, intrappolato. Le foto attaccate alle pareti raccontano la storia di una vita 37


C’era l’acca che sembra finita da secoli, quando ci sentivamo invincibili e indistruttibili. Sono pezzi della vita di un altro. Ci sono io in sella ad una moto nera, stretto in una tuta di pelle, casco calato. Un cavaliere moderno. Quanto correvo, in sella a quel bolide, quanto mi piaceva la sensazione della velocità . Dell’incidente non ricordo nulla. So solo che la moto era a pezzi, irreparabile, come la mia spina dorsale. Come il resto della mia esistenza.

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C’era l’acca Premio Speciale c’era l’acca Quaranta Enzo Natività “Sono in ritardo con la consegna degli articoli, e non riesco a terminare la correzione del mio libro, devo cercare di accelerare i tempi.” Così pensa Mario, quarantenne giornalista, divorziato, deluso dal suo impegno civico. Un uomo solo e mediocre, come tanti, con una vita mediocre, senza infamia e senza lode. Insoddisfatto, ma incapace di ribaltare il tavolo. E’ un lunedì di dicembre, e Mario, a casa sua, è al computer per finire gli articoli che la testata giornalistica gli ha chiesto, una testata mediocre, per un giornalista mediocre. All’ora di pranzo sente suonare alla porta e Mario, ancora in pigiama e con i capelli in disordine, va con passo lento ad aprire. “Ciao Mario, pacco SDA.” Dice il postino, un ragazzo volenteroso che Mario conosce dall’infanzia. “Ah si?, Grazie, devo qualcosa?” risponde Mario “Assolutamente nulla, ciao”. “Strano, di solito i pacchi che arrivano sono libri o riviste per le quali devo pagare qualcosa.” Così pensa Mario, mentre si appresta ad aprire il pacco. E’ il risultato di una Tac che aveva fatto tempo prima per vedere l’evoluzione della sinusite che si porta oramai da vent’anni, da quando, giovane laureato cronista, fu mandato per diversi anni nella laguna di Venezia a realizzare articoli sullo stato di conservazione del patrimonio artistico della Città sommersa. Scoprì che le fondamenta della città marcivano, come il suo stato di salute dentro quella nebbia fitta e costante. Quando ripensava agli anni dell’impegno civile nella sua amata terra del sud, a Foggia, utilizzava spesso come metafora l’esperienza di Venezia. “Foggia è come Venezia: è marcia dalle fondamenta”, così parlava spesso Mario. Apre il risultato della TAC, convinto che il dottore gli asse39


C’era l’acca gnerà lunghe cure di aerosol, e inizia a leggerne il referto. Da sempre Mario odia i referti dei medici, incomprensibili e con termini inesistenti, quasi un codice cifrato che utilizzano come casta per comunicare tra di loro, rendendo i pazienti degli inetti. Seppur incomprensibile, Mario si accorge di due cose strane: la prima è che il referto è lungo e contiene termini molto difficili, la seconda è che, ad un certo punto, il medico spiega che sono necessari “approfondimenti diagnostici”. Ha un amico Mario che è un importante dirigente ASL e lo chiama per farsi spiegare il significato di questi risultati. “Pronto Nando, scusa il disturbo, ho ricevuto dei risultati di una TAC e non capisco che c’è scritto. Mi aiuti?” “Certo, Mario, girami tutto via fax.” Risponde Nando. Passa un giorno abbondante e Mario continua il suo lavoro mediocre, non dando peso al risultato della Tac, quando gli squilla il telefonino. E’ Nando. “Ehi Nando, come va? Tutto ok? Hai dato un’occhiata alla Tac?” “Si, Mario, ma dobbiamo fare ulteriori controlli…. E’ opportuno che tu ti ricoveri per alcuni giorni a San Giovanni Rotondo… Nulla è ancora definito, ma conviene che fai questo controllo.” Risponde Nando. “Nando, ma devo preoccuparmi??” “Non posso dire nulla per ora… dobbiamo fare questi controlli.. vai dal Dott. Forte a nome mio domattina. Ti spiegherà tutto lui.” e si interrompe la conversazione. “Che strano, di solito Nando è così allegro, stamani sembrava preoccupato e frettoloso. Forse ha problemi al lavoro, non vorrei avergli creato fastidi.” Così pensa Mario, che seppur non ama gli ospedali, considera questa novità come il modo per staccare due giorni, e magari fare un check up completo. E’ mercoledì mattina, e, seppur è dicembre, il sole è alto e rende meno fredda la giornata. Mario si dirige sommessamente 40


C’era l’acca verso l’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, la creatura di San Pio da Pietralcina, dove già molte volte nella sua vita è passato per accertamenti sul suo stato di salute. Arrivato chiede di incontrare il Dott. Forte, in servizio al settimo piano. E’ immenso questo ospedale e Mario impiega dieci minuti ad arrivare al settimo piano, tra una serie di ascensori e lunghi corridoi. “Buongiorno, sono l’amico di Nando” esordisce Mario appena incontra il Dott. Forte. “Ah si, torni giù all’accettazione, deve ricoverarsi da noi. Poi le spiegherò tutto.” Risponde il dott. Forte. Basito e stralunato, Mario ripercorre i lunghi corridoi e gli ascensori a ritroso, giunge all’accettazione dove gli viene consegnato il foglio di ricovero. Reparto oncologia con diagnosi metastasi ossee. A stento Mario riesce a rimanere in piedi, è incapace di capire cosa stia succedendo, si sente fuori dal mondo, in un sogno, un brutto sogno, dal quale spera di svegliarsi presto. “Ora capisco Nando, la sua preoccupazione, ma come è possibile, come ho fatto a non capirlo prima.” Così pensa Mario, mentre, a fatica, prova a tornare al settimo piano dal Dott. Forte. Appena arrivato al reparto chiede al Dott. Forte di poter parlare con lui. “Dottore, ma come è possibile? Io non ho sintomi, io sto bene, volevo controllare la mia sinusite, che sta succedendo? Ho speranza?” “Stia calmo, ora faremo altri accertamenti e capiremo di quale problema si tratta. La scienza ha fatto passi da gigante, a tutto c’è rimedio. L’assenza di sintomi non dice nulla.” “Dottore, ma io sono ipocondriaco, e ho sempre fatto accertamenti. Guardi qui, ecografie, esami del sangue, tutto.” “Si ma queste non ci dicono nulla, dobbiamo rifare tutto noi. 41


C’era l’acca Lei fuma?” “No, fumavo. Ho smesso da un paio d’anni. Ho fumato per vent’anni oltre un pacchetto al giorno.” Il silenzio del Dott. Forte è già una risposta alle domande che Mario continua a farsi nella sua mente. “Ora non posso aggiungere altro. Faremo gli accertamenti e dopo trarremo le conclusioni.” Mario è in uno stato confusionale. Ha pensieri che si accavallano, non riesce a capire cosa stia succedendo, perché di colpo la sua vita, mediocre, viene stravolta così. Certo è che tutto sta cambiando. Sono passati un paio di giorni, o forse più, tra i primi accertamenti di routine, e Mario ancora non riesce a capire bene cosa gli stia succedendo. Ha perso la cognizione del tempo, non riesce a dormire, non riesce a distinguere le ore. Continua a pensare che la diagnosi che gli è stata scritta all’atto del ricovero non dà tante speranze, soprattutto se correlata a problemi ad altri organi. Mario sa di cosa sta parlando, ma non riesce a utilizzare i termini che conosce. Quel termine che fa tanto paura, che tutti chiamano oramai “brutto male”. E’ notte oramai, del terzo o quarto giorno di ricovero. Mario sposta per la prima volta le tende della finestra della sua stanza. Vede un panorama bello e surreale. Sulla sinistra in fondo c’è la città di San Giovanni Rotondo, sempre in forte espansione. Di fronte invece si vede una parte del Gargano, poche luci e tanta vegetazione. Più vicino sulla destra si vede la nuova chiesa in onore di San Pio, a forma d’astronave, progettata per ricevere milioni di pellegrini. A Mario non è mai piaciuta, troppo esagerata, e probabilmente non sarebbe piaciuta nemmeno a San Pio, che dell’umiltà e della semplicità ha onorato ogni giorno della sua vita. Si vede invece la Statua della Madonna all’apice della chiesa più vecchia che guarda verso l’ospedale e dall’ospedale si vede in ferro battuto la statua di 42


C’era l’acca San Francesco che guarda verso la chiesa. Queste due meravigliose statue sono in parte coperte dalla nebbia e dal fumo delle caldaie che sono in funzione per riscaldare l’immensa struttura ospedaliera. Mario si ferma a riflettere di fronte a questo panorama. Pensa che la statua della Madonna e di San Francesco hanno la funzione di presidiare l’originaria missione di quelle maestose opere, di evitare che il tempo offuschi le radici dell’impegno e dell’opera di San Pio. Perché molto spesso gli uomini tendono a dimenticare, tendono a dare per scontato tutto, tendono anche a rovinare ciò che di meraviglioso si è costruito. Prega Mario di fronte a questa immagine vera e surreale, prega in maniera convinta e passionale, prega perché qualsiasi sia la diagnosi che gli verrà detta, il Signore non gli tolga la speranza di continuare a vivere. Ecco, la speranza. In quei giorni di ricovero ha girato in lungo e largo quell’immenso ospedale e ha colto sempre di più la grande intuizione di Padre Pio. Perché Padre Pio, nel realizzare quell’ospedale ha fatto convivere la scienza e la fede, entrambe necessarie per alleviare la sofferenza degli esseri umani: la prima, la sofferenza del corpo, la seconda la sofferenza dell’animo. E poi, la scienza e la ricerca sono indispensabili per continuare a sperare, tanto quanto lo è la fede. Un perfetto connubio che ancora oggi, a distanza di tanti anni, tiene certezza alla missione iniziale. Prega e pensa Mario. Pensa che lui che ha sempre avuto paura della morte, perché arriva improvvisa e inaspettata, non potrebbe vivere sapendo di avere un tempo determinato a disposizione. Pensa che, per quanto la morte resta brutta e tenebrosa, nessuno potrebbe vivere sapendo a monte che ha a disposizione dieci, venti, cento anni, né si vivrebbe bene in assenza della morte. Pensa Mario e prega, e pensa che la morte, per quanto davvero ingiusta e oscura, fonte della sue principali paure, ha la funzione di rendere meravigliosa e unica la 43


C’era l’acca vita. Continua a pregare Mario, continua a farlo perché capisce che ha sempre sottovalutato il valore del tempo, perché ha paura di averne davvero poco, perché ha bisogno ancora di tempo per rendere meravigliosa quella vita mediocre. E ora Mario sa cosa la renderebbe meravigliosa. Non diventare un affermato giornalista, o un grande oratore, né un grande politico. Ma dedicare il tempo alle persone importanti della propria vita, la propria famiglia, avere la voglia di costruirne una nuova, con Lucia, la donna che da otto anni lo aspetta, che sopporta le sue paure e i suoi voli pindarici con la fantasia. Fare con Lucia una famiglia e fare dei figli. Poter vivere per loro e insegnare loro l’importanza del tempo, la bellezza di un fiore, la gioia di un sorriso, il poter ammirare i doni del creato. Prega e si stupisce Mario, si stupisce di come la sindrome di Peter Pan di cui soffre da sempre, quella voglia di restare bambino e la paura di fare passi in avanti sia svanita, si stupisce di come è cambiato in pochi giorni e di come saprebbe meglio affrontare la vita, se solo gli venisse concessa una seconda opportunità. Intanto è arrivato un nuovo giorno, e Mario, sfinito ma sereno, cerca di cogliere l’importanza del tempo anche in quel luogo che esala sofferenza. Così, nei giorni a seguire, Mario cerca di apprezzare i doni della vita, dal raggio di sole la mattina, al sorriso di un infermiere, alle chiacchierate con altri pazienti. Ne ha conosciuti alcuni Mario. Rosa, una giovane ragazza che combatte da tempo contro il brutto male, coraggiosa e ottimista. Giorgio, che seppur stremato dalla malattia, si dice fortunato perché almeno lui ha vissuto sessant’anni e il suo pensiero va ai bambini che devono combattere per sperare di poter “conoscere” la vita. Ha conosciuto un’intera famiglia, che ha traslocato il toto presso l’ospedale per assistere la madre e moglie che continua 44


C’era l’acca a lottare seppur le speranze sono sempre più esigue. E poi ho conosciuto Peppino, ottantatre anni, cerignolano, bracciante agricolo, quattro figli, tanti sacrifici e tanto amore per la donna della sua vita che lo ha lasciato sei anni fa. Lei aveva deciso di arrendersi al “brutto male”, lui ancora no. E tra forti dolori e lunghe terapie, continuava a guardare alla vita con serenità, felice perché ogni giorno che gli veniva donato, era un giorno buono per apprezzare tutto ciò che lo circondava. Mario è rimasto colpito da una frase di Peppino: “Vedi, figlio mio, se mi fossi arreso, non avrei avuto la possibilità di conoscerti.” E’ passata una settimana abbondante e mentre Mario guarda la televisione, il Dott. Forte lo convoca nel suo ufficio. “Dottore mi dica!” “Mario, tutti gli esami effettuati non rilevano alcuna patologia tumorale. Potrebbe essere solo qualche forma di infiammazione alle ossa.” Mario si lascia andare ad un lungo pianto liberatorio mentre, inconsciamente, abbraccia il Dott. Forte, anch’egli felice e commosso per la notizia appena data. Esce dalla stanza Mario e corre al telefono, chiama Lucia, ignara di tutta la vicenda. “Pronto Mario, come stai? Sei sparito, come tuo solito, da oltre una settimana.” “Sto bene grazie. Senti Lucia che impegni hai?” “Per domani? Vuoi invitarmi a cena?” “Pensavo a qualcosa di più duraturo. Che impegni hai per il resto della tua vita? Voglio sposarti, voglio fare famiglia con te, voglio vivere ogni giorno della mia vita al tuo fianco.” “Sono senza parole… Non so cosa ti sta succedendo, ma è quello che voglio anch’io.” “Ti amo, preparati, vengo a prenderti.” Mario chiude la conversazione e torna in camera a prendere i pochi indumenti che ha con se. Quando torna al reparto 45


C’era l’acca Mario prova una strana sensazione, ha vergogna, si sente imbarazzato. Si, è imbarazzato per la fortuna che gli è capitata, fortuna che altri non hanno avuto. La sua gioia stride in quel luogo di sofferenza. E’ oramai alla porta di uscita dell’ospedale Mario. E’ quasi sera e l’aria è fredda e pungente, ma un freddo secco, che rinfresca la fronte e la testa di Mario. Chiude gli occhi Mario, respira profondamente e sente una strana sensazione: è felice! Ora capisce che la sua vita non è mediocre, ma mediocre l’ha resa lui alla ricerca di una felicità effimera, fatta di titoli o di risultati professionali. Capisce che la felicità, a volte, la si cerca spasmodicamente come se fosse irraggiungibile, mentre è dentro di noi. Comprende che la felicità e la semplicità sono sinonimi, vanno a braccetto, e più si riesce a vivere semplicemente, più si vivrà felicemente. Apre gli occhi Mario e lo sguardo si rivolge alla Chiesa, dove, da improvvisate trombe, risuona una melodia natalizia conosciuta già dalla sua infanzia. E’ proprio in quell’istante che Mario realizza che il Natale è alle porte e che quest’anno oltre alla natività del Signore, ce n’è una nuova anche per lui. “Sarà un meraviglioso Natale colorato”, così pensa Mario.

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Poesie Segnalate

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C’era l’acca I VECCHI I vecchi si nutrono di fiere paure lontani dal loro mentire, infondono certezza dietro una veste ormai stanca. I vecchi non dormono neppure da morti e li senti oltre i confini odierni, ridono cantano poi si fanno di marmo ripetendo al passato ogni discorso. I vecchi non hanno paura ma la ragione li ignora, si negano promesse con le solite risposte, i vecchi son vivi e piangono pure, noi siamo solo comparse somiglianti ....a statue mature Ambrosi Marco

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C’era l’acca Regina Anorexia Il tocco della pioggia picchiettava martellante e della sua essenza si bagnava furtivamente. Cupa s’era fatta la pallida sabbia e compatta al tatto. Picchiata dolcemente da quelle lacrime violente, con la paletta ed un secchiello Serena costruì il suo primo castello. Ed era bello, tutti l’ammiravano: alte mura lo circondavano, un vecchio ponte levatoio guadava cigolando il fossato. Una voce di donna proveniva dal suo interno: principessa o strega, chi poteva dirlo? Invano s’affannavano a capire. Ed a carpire la chioma che dall’alto sbucava, ciondolando dalla grigia torre, solitaria. Non v’era principessa o strega, Regina era Ombra, sua suddita Serena, mite, umile, silenziosa, fedele con la Padrona. Serena vestì a festa la sua bambola perfetta: abito di seta grezza rifinito di merletti, boccoli raccolti in un ciuffo sulla testa, quel rossetto troppo scuro per la cerea pelle. La bambola era viva, la bambina era finita. Il male imperversava, nella mente e nel pupazzo, una triste disgrazia gravava su quel palazzo! La bambola viva, la bambina svanita. 50


C’era l’acca Qual è il nome del giocattolo? “Ana”, Serena rispondeva, con un fil di voce, dal dolore vinta. Ana era abietta: distrusse il castello, eresse un caduco scheletro, Cattedrale della Distruzione, ara di crisantemi ornata. Serena dimagriva, lentamente scompariva. Sempre più finta: un petto troppo scarno non poteva ospitare un cuore luminoso. Ana regnava Regina. Notte fuggita da tempo, nessuna calda ombra a riscaldare un corpo scarno, che voleva solo nascondersi. Sole alto, arido deserto. La pioggia era svanita, non più lacrime, nessuna rugiada. Barsottelli Serena

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C’era l’acca Meninas Io sono la terra violata, l’anima interdetta alla vita, la carne sul banco in offerta. Io sono la notte che non attende luce, la zolla infettata dal diavolo sempre alla porta. Io sono denaro contante senza nostalgie d’infanzia, Pietà sui bordi della strada. Io sono persona e chi su di me banchetta è maschera onorata.

Basti Daniela

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C’era l’acca Tramonta il sole e sorge la luna Tramonta il sole e sorge la luna per l`emigrante arriva la sua ora colui che un dì cercò fortuna sul letto aspetta la Vecchia Signora. Signora morte tu sia maledetta non fai realizzare il mio sogno la tua non è altro che vendetta verso un malato con tanto bisogno. Tramonta il sole è sorge la luna non so se rivedrò io il domani come emigrante non ebbi fortuna tutto sfuggiva dalle mie mani. Nel lavoro non potevo compatire il lavoro dovevo selezionare il cuore sempre aveva a che dire era debole, stentava a camminare. Tramonta il sole e sorge la luna passo il tempo a scrivere poemi sperando che un giorno, forse qualcuna i miei soggetti prenderà per temi. Scrivo poesia ma non sono poeta tutti ridono della mia ortografia ma scrivo per passare un`ora lieta per vivere almeno in fantasia tramonta il sole e sorge la luna 53


C’era l’acca la mano trema e il mondo tace per l`emigrante in cerca di fortuna stasera arriverà, l’eterna pace. Solo in una stanza d’ospedale senza nessuno a farmi compagnia stasera anche se il cuor fa male al mondo scrivo l’ultima poesia. Bologna Vito

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C’era l’acca PREFERISCO LA RADURA Strilla la vita. S’arrabbia, lotta e avanza. Molla, a volte, la partita. E quando non riesce con le proprie, conta sulle forze altrui. Lacera le vesti e vanta onori che non ha, vestendo panni nuovi ad ogni festa. In questi tempi bui, accende la lampara anche di giorno e tiene su la testa, senza tema. Affonda il colpo e rema e se la barca annaspa, si butta dentro l’onda anzi che imbarca e riguadagna il lido dei rimorsi. Strilla la vita. A morsi prende chi le para il tiro, spera e finge, s’affanna e si trascina, rugge, stringe i denti e s’abbandona sulla cima. Perdona, ma dentro cova sempre la rivalsa. In un continuo ossimoro di voci ama, rilutta, s’adopra e si scansa. Insegue e si colora di mille e più bandiere per abbracciarne infine solo una: più spesso è solo l’asta, ché la stoffa è straccia ormai (come le idee) e poco dura. 55


C’era l’acca Non teme la vergogna, questa vita. Ama la piazza e vi si confonde. E mentre pare miri alla morale, sogna gli arazzi ricamati d’oro e finisce che s’umilia per un’oncia. Strilla la vita. E io me ne sto zitto. E così penso a quante volte è stata dura. Eppur l’adoro, anche se la fuggo spesso e all’agone preferisco la radura. Coccia Maurizio

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C’era l’acca DIARIO STRAPPATO Mentre sento mia madre in cucina servire il caffè al mio vecchio papà, mi prende quel nodo alla gola rovistando tra i resti di un diario strappato. Cari lembi di fogli ingialliti e inzuppati di troppe speranze dei miei anni sereni. Solitarie serate passate a versare quei fiumi di appunti rigonfi di cenni felici e lacrime amare. Ricordi di feste in famiglia, piccoli scherzi, malanni e castighi e resti di teneri amori infantili. Appunti di scuola, frasi inconsulte per strane vicende segrete. E spuntano, a tratti, espressioni galanti, per donne del cuore, che il diario riporta in grassetto. Tra il nero imperante di frasi pacate, sempre più… energiche note di rosso, sui troppi già tési rapporti tra mamma e papà. Freccia sui nomi dei due genitori, straziante stesura dell’ultimo foglio, preludio allo strappo, 57


C’era l’acca non solo a quel libro, per un figlio sereno tradito dai suoi. A futura memoria delle vicende di un giovinetto che, vive oggi tristi esperienze di separazione dei genitori e quindi sottoposto ai Giudici in attesa di affidamento. Gobbo Gianfranco

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C’era l’acca

I GIORNI IN CUI I giorni in cui (è già autunno) nei negozi neppure ti danno ascolto i commessi sopraffatti dalle parole di uomini e donne che stringono in mano (come un tempo facevi anche tu) elenchi di libri di scuola che comprano scarpe giacche a vento zainetti oppure (è già inverno) incontri per strada ragazzi che hanno fatto vacanza perché ci sono in piazza le giostre mentre tu ti affretti (è tardi e non hai niente per pranzo) verso il solito supermercato dove poi accanto a te che spingi il carrello sceglie un’ombra i personaggi e le stelle per quel presepe che non fai da tempo oramai I giorni in cui (è primavera inoltrata) pensa ognuno (mentre gli parli) agli esami alla dieta alle proprie vacanze e ti sembra allora di guardare il resto del mondo attraverso un vetro appannato e vorresti sentirti vicino qualcuno 59


C’era l’acca che mai ti escluderebbe dalla sua vita i suoi pensieri Qualcuno però che quando lo cerchi sta dormendo sta lavorando pranzando o è troppo lontano O magari non esiste neanche Maltese Vittoria

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C’era l’acca E TU CHIAMALA VITA Ero qualcuno, Adesso son barbone. Non guardo avanti, Il volto è chino verso terra, Specchio velato dei miei ricordi. Ecco, ho raccolto un fiore, Forse mandato dal destino, Non certo il mio, Visto che mi avvio verso il declino. Guardo per terra e vedo la mia vita, Che ha contato poco, ma più di niente, Sì, perché il niente non ha nessun valore. Non ho più casa, Nessuno che mi cerca, Mi rimane la strada Che è di tutti, Una panchina per dormire E un lampione, Per veder di che colore è il fiore. Puletti Alessandro

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C’era l’acca Vecchiaie a confronto Ero là vicino a te, mentre oltre la finestra sfilavano le tegole dei tetti, una accanto all’altra, una distesa rossa custode dei sogni di tre famiglie. Sopra fuggivano i miei pensieri; sequenza di giorni in cui tutto restava immobile,senza speranza; lo stesso panorama, la stessa pioggia, gli stessi tuoi lamenti o mugolii, del resto non c’era altro da fare. Anche cambiando stanza nulla si trasformava,immobilità assoluta di tutto ciò che ci imprigionava. Cominciavi anche tu a capirlo, lo diceva quella tua mancanza di interesse per le normali funzioni: alzarsi dal letto,fare pochi passi, recepire gli stimoli noiosi che noi tentavamo di importi. Anche in noi stava terminando la forza di spingerti a vivere. Ora qualcosa ti ha nuovamente scosso,interessato, anche se solo per momenti fugaci. Sei tornata alle tue normali azioni: vestirsi,mangiare, recepire quello che la tv trasmette,spiare ciò che bolle nella pentola. Questo solo però se un raggio di sole 62


C’era l’acca si presenta in questa stagione autunnale. Ed è così il trascinarsi di giorni tuoi che lentamente divorano i miei. Rosin Beltramini Marinella

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C’era l’acca RITAGLI. (Alzaimer) Ormai vivi nel tuo mondo inespugnabile reso ovattato dagli eventi. Non riesco a travalicare quelle barriere e spesso rimango in silenzio, senza capire. Ma un guizzo ogni tanto ti riporta a me. E ricordiamo. Certo,ci sarebbero anche giorni grigi, ma io parlo solo del rosa delle nuvole e di giorni pieni di sole. A che gioverebbe rientrare nelle grotte e negli anfratti? Sorridi quando ti ricordo attimi vissuti splendidamente...o forse no. Ma io voglio nutrirmi di questo. Attimi di sereno.. forse non ci sono stati,o forse si. Ma che importa? Viviamo insieme di ritagli che rendono piÚ dolce ogni presente...* Tavani Francesca

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Poesie Finaliste

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C’era l’acca Ingiustizia Sordo chiasso nell’indifferenza umana, hai strappato ali di farfalle e le hai trucidate nell’ingiustizia. Hai fatto a brandelli le speranze della gente. Di questa società è rimasta la povertà e le persone cercano il cibo negli scarti dei supermercati, poi vengono arrestati come i peggiori delinquenti solo per fame. L’ingiustizia è diventata il tumore della società perché non è vero che la legge è uguale per tutti. Angeli Rossana

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C’era l’acca il male oscuro come cavaliere inesistente il mio corpo è vuoto non v’e più traccia dell’anima.. solo il pensare ancora permane la noia e l’incertezza rendono inani i progetti la speranza, piccola, ancora accesa di desideri ogni giorno si attenua il nero predomina nel sentire... ed io, stanco... con orgoglio e discrezione preparo il viaggio, l’ultima fiamma... Atzei Antonio Alberto

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C’era l’acca NAUFRAGHI Spiagge e città sono invase da chi libertà va cercando col suo volto segreto. Percorre sentieri con aspetto dubbioso. Va cercando speranza quel figlio che zoppica e ce lo manda il mare. Una vera amicizia unita alla virtù è vita buona. Da’ la forza di parola e può salvarci dai tanti malanni. Bacoccola Luciano

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C’era l’acca Rughe di eterno sorriso Rughe di eterno sorriso - così naturale il volto consunto; di te non conosco altre espressioni, né so immaginare una fuga di lacrime dietro il dolore. Forse sorridi alle stanze di pietra dove imbastisci di sogni il cuscino, forse scandisci la certezza dei gesti con chi ti veste inventando una favola. Forse sorridi al confine di nebbia quando un salto di cielo t’illumina, forse sorridi nel fondo degli occhi e saluti la vita magia di una fata. Specchia il tuo viso mute stagioni, disarma l’atto di accennare carezze, non finge il tuo viso mentre si mostra sereno nei tratti di una maschera sola. Rughe di eterno sorriso - la tua intimità attesa ogni giorno per quelle parole che io non so dire, per un giro di vento che all’improvviso riveli l’arcobaleno. Rughe di eterno sorriso - come il sole che riluce sopra le pozze di pioggia, come il perdono che asciuga il pianto, come il respiro che l’infinito respira. Baro Giorgio 70


C’era l’acca Siamo Stati Siamo vittime senza carnefice, Sangue senza ferite Terra senza più terra E la morte ultimo abbraccio in un paese senza coscienza. La vita ha il pregio dei ricchi, Morire non ha più dignità di un tempo passato Le lacrime non bagnano più ma solcano cicatrici incancellabili nell’ animo di chi ha ancora un anima, Di chi urla e grida nel silenzio ovattato di un’identità monogrammata In un viale strapieno di nomi falciati come erba cattiva, In un giardino senza più fiori Innaffiato da litri e litri di rigogliose lacrime, a memoria un ricordo, solo un piccolo ed intenso ricordo. Bartolozzi Massimiliano

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C’era l’acca UNA DI QUELLE STANZE Apro gli occhi e mi guardo intorno Sovrano il silenzio impera Come in deserto silenzioso di sassi ricoperto Eppur non son pietre Son persone Hanno un’anima Ma son lì Semplici animali sopra sedie appollaiati C’è chi dorme Chi gli occhi gira senza posa Chi fissa qualcosa che non c’è Chi le labbra muove senza proferir parola Mugolii che vagano sperduti Qualcuno che s’aggira fra le sedie Mormorando fra sé e sé Risolleva corpi flaccidi Che hanno avuto vita perduta ormai nel tempo Passato inesorabile calpestando sogni Amori Passioni sconfinate Speranze dissoltesi nel nulla Come nebbia al sole Come se vita non fosse mai esistita Un urlo Gesta disperate Un uomo s’è svegliato Il suo cuore ha palpitato Un attimo di vita sembra esser tornato Qualcuno s’è voltato Occhi vuoti l’han guardato Ma inesorabile il nulla 72


C’era l’acca Nuovamente fu padrone dell’immensa sala Dove quelle che furon anime Come ombre or s’aggirano Senza chiedersi alcun perché Ed io con esse vago senza sosta Cercando l’infinito Di cui m’avean parlato Quando anche la mia Sembrava fosse vita Bernabeo Polidoro Gianni

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C’era l’acca HANDICAP Sopravvivo in una periferia di porti e camminando urto gente che porta come me il cartello della fragilità. Ho in fondo agli occhi garze di nebbia dove il giorno proietta la sua grafica sbiadita, ma fingo che tutto sia normale e che ogni cosa sia al suo posto…. Quando sono sola mi abbandono alla corrente del sogno così posso uscire dalla nebbia e graffiare la volta del cielo come una rondine. Bianchi Gabriella

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C’era l’acca CLOCHARD Miseri giacigli in solitudini disperate, dimore volute da un destino rubato. Stracci e cartoni di abbandoni e indigenze, fedeli compagni di angoli angusti e attese viaggianti. Sogni infranti in vite vendute, marchiata umanità di noncuranza e disprezzo in cuori abbandonati ad un fatuo destino. Antonio Bicchierri

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C’era l’acca La vecchina Ricama sotto la verde frasca la vecchina le sue rughe sono la sua vita, trascorsa tra risi e pianti. Alza il suo sguardo dolce al cielo che a Maggio è quasi sempre sereno, non ha rimpianti della sua vita semplice, senza vizi, senza pretese. Le sue mani ormai gonfie e inaridite tengono male l’ago, ma la sua bravura non le fa saltare un punto. I campi e il sol cocente sono stati la sua compagnia, ora si gode il suo autunno al fresco su una seggiola ormai consumata, a ricamar il bel centrino che contenta aspetta lieta le nozze della nipote preferita. Bizzintino Rosa

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C’era l’acca Orfano d’amore Ignorato dal mondo, lasciato solo al mio destino. Osservo il paesaggio e il suo impietoso declino. I fiori senz’acqua finiscono per appassire e lo stesso accade ad una vita senza un fine. Non ha senso proseguire se non si sa la direzione. E’ facile perdersi senza l’amore, come un cane che corre e non trova il padrone. I fantasmi del passato mi vengono a trovare e mi trascinano in un limbo di lacrime amare. La gente spesso ride alle spalle di chi soffre, un labirinto insensato che vie d’uscita non ne offre. Sono orfano dell’amore in un mondo egoista, ma so che un giorno ritroverò la strada e non la perderò mai più di vista. Boso Francesco 77


C’era l’acca LA STANZA DEL MALATO Un pigro orologio indifferente e freddo segna instancabile il passare del tempo. In questa stanza bianca, silenziosa, immersa in penombra, sembra il mito del Sisifo costretto a spostare i monti. Quasi impercettibile, nel letto, riposa da giorni il malato, circondato di medicine, di sguardi e gesti premurosi. La porta si apre lentamente. In punta di piedi, con cautela, gli scivola vicino e sottovoce, avvicinando il bicchiere d’acqua: “Hai male, mamma?” Budau Tereza

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C’era l’acca LA FINESTRA Tira il vento, abbastanza elevato Cade anche l’ultima foglia che s’illudeva Vedo un bimbo tenuto in mano dalla mamma, mangia un gelato Piange, vuole le figurine dal giornalaio Solo tu, finestra, mi stai vicino A me che sono sempre stato così solo Cambiaghi Riccardo

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C’era l’acca L’albero Sono un albero vecchio, profonde radici che succhiano memorie in umide zolle, fusto freddo, sordo rumore secco, m’angoscia non sapere il destino del nido fra i rami, coppia di passeri che cinguettano fino a sera, incurante del freddo nella prossima notte. E’ tardi, non sento più la linfa scorrere nel tronco muto e le foglie cadono senza rumore, secco l’eco dello schianto. M’hanno tagliato le braccia perchè scoppiassero gemme fra nodi aggrovigliati, incavo di cicale di giorno assopite, non sento più il calore verde sotto la corteccia ma colpi sordi d’una scure, lama aguzza lacerare le mie carni. Catalano Pietro

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C’era l’acca A MIO PADRE Ti vedo salire lentamente E faticosamente Le scale dell’ospedale, di quell’ospedale che rappresenta da tempo la tua abituale dimora. Bianco il capo, curve le spalle, stringi a te il cappotto blu per combattere il freddo della giornata invernale e non solo. Assolutamente solo, senza nessun aiuto e ne hai tanto bisogno. Scendo accorata dalla macchina, ti raggiungo,correndo. Prendo il tuo esile braccio, ti aiuto a raggiungere la porta d’ingresso. Ti guardo negli occhi E sento con certezza assoluta Che mai più, mai più Potrai tornare indietro Il mio cuore è stretto, mentre le mie labbra provano a disegnare per te un doloroso sorriso Sorreggo il debole braccio Di un uomo che Disperatamente 81


C’era l’acca Lotta con la morte, sorreggo il braccio di mio padre. Ceccarini Franca

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C’era l’acca MADRE Forse non ci si immagina cosa vuol dire vedere una madre spegnersi giorno dopo giorno. Vorresti urlare, fermare il tempo ma non si può perché inesorabilmente tutto passa nel continuo divenire della vita. E’ allora che ti chiedi chi si preoccuperà per te? chi starà sveglia la notte aspettandoti? chi cercherà, con il sudore della fronte, di darti un futuro? Nessuno. Solo una madre è capace di queste cose. E ti rendi conto di cosa voglia dire sentirsi sola ed hai paura di non farcela perché mai ti eri posta il problema. Cosa ti resta da fare se non pensare che questa è la vita. E armata di coraggio e fermezza prosegui il tuo cammino. Sola, come tutte le madri hanno fatto prima di te e come faranno quelle dopo di te. Chiozzi Emanuela

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C’era l’acca Gocce della stessa nuvola Cade la pioggia, Ma io non la vedo, Accarezza il mio viso, Bacia le mie labbra, Mentre passeggio al buio Di una via Sospesa su petali di gocce. Tu mi fermi Arresti il mio cammino, Mi sussurri frasi dolci, Mi parli d’amore, Ma io non ti vedo, Non conosco il tuo viso, Ascolto solo il sussurro Del tuo debole cuore, Leggo la tua anima Un libro con una sola pagina: L’amore. M’accompagni a casa, Il mio braccio nel tuo, I nostri cuori adesso battono All’unisono, una cieca ed un sordo, ma che sanno ascoltare E vedere cos’è l’amore. Siam due gocce d’acqua Cadute dalla stessa nuvola, Cullate dal vento dell’amore E della passione! 84

Cilenti Emanuele


C’era l’acca si puo’ illuminare? piovve un fiume di luce illuminante nel buio tenebroso dell’oppressione errante, venne, come raggio vivificatore, per ogni mente, ad allietare. fu nuovo risorgimento per la gente, ma non comprese ombrose tenebre, pronte a celare. poi venne la superbia oscurantista, lama tagliente, intelletti inversi, ad offuscare. vinse , cosi’, la nera morte, ogni fiume di luce illuminante. si puo’ illuminare? Coccia Antonio

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C’era l’acca DANNATI Anche quest’oggi il mare ci consegna un carico di gente disperata di bocche asciutte che non hanno niente occhi sperduti senza più domani. Anche oggi il mare ha preso il suo tributo e ha vomitato sulla spiaggia i morti. Curto Francesco

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C’era l’acca Donna in terra d’Africa Donna che sembri così gracile, donna che sembri così indifesa, donna che sembri così umile, tu, donna, che neppure i bastoni possono piegare, che neppure l’odio o la vendetta riescono ad eliminare, tu, donna, che non sembri ma sei di ferro, che non sembri ma sei indomabile, che non sembri ma sei indispensabile, tu, donna, resisti per amore di coloro che a te devono tanto o tutto, che son migliori solo grazie a te e al tuo immenso cuore generoso, motore di uno spirito altruista infinitamente illimitato. Tu, donna, unica al mondo… Di Marsciano Oral Isabella

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C’era l’acca PARLA CON ME Chiusa in questa scatola ascolto i minuti, le ore, i giorni, i mesi i miei anni cadono come pioggia sul vetro scivolano via inascoltati, ignorati nessuno se ne cura, nessuno se ne accorge... invisibile Parla con me Sordo il silenzio attorno urla il mio grido non rimanda eco perdo le parole cadono nella rete intessuta per me cadono... nessuno le raccoglie Parla con me Nel labirinto di Dedalo mi agito, gemo, piango, strillo Dove sei?!! crudele occhio malvagio che mi scruta in silenzio mi osserva, mi giudica e ride di me come del ratto che corre sulla ruota Parla con me Giochi di parole parole che uccidono e resuscitano manipolano i miei pensieri mai un’assenza mi fu tanto presente... sento il tuo respiro Parla con me No! Ti prego! Aspetta! Scivoli via...tra le parole dette, non dette, lanciate, cadute Precipito... Nella musica in cui mi hai avvolta, incantata, sedotta, ignorata, 88


C’era l’acca disprezzata, umiliata, rifiutata, abbandonata... Parla con me …o taci per sempre Ducci Antonella

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C’era l’acca I Matti I ..matti sono frammenti ... Stelle distratte da due cieli. Scrutano luoghi e tempi in cerca di qualche confine. Sono alberi d’autunno spogli di rancore. Pane caldo di mattina con profumi tersi e nuovi. Sono lucciole ferite Per le - nottiA noi vestite! Forchia Aldo

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C’era l’acca L’individualismo Nel nostro mosso oceano, nell’oscurita’ degli abissi celate, protette da spesse conchiglie. abitano inestimabili perle. Tesori, ciascun di diverso colore, dal burrascoso rosso porpora al bianco luccicchio dei raggi lunari sulle onde, placide e assonnate. Però, queste sfere, d’eccelso brillio, vivono ermeticamente, in ermetiche conchiglie, senza voler scapparne fuori. Così, tesori inestimabili mai godranno della ricchezza più grande: l’incontro con altre perle, un arcobaleno di sfavillanti colori una con l’altra, certamente. Giubboni Lorenzo

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C’era l’acca CHISSA’ Chissà.. quale alba sorgerà dentro il sogno respirato nella notte, inalando le stelle ricoprendo d’attesa le ore assonnate tra lenzuola di fachiro, senza sonno né respiro; Chissà.. quali labbra sfioreranno l’invisibile, quale corpo violerà il muro che divide il mondo ch’è norma, da ciò che deforma i tratti segnati dal gene burlone, io rido di gusto anche qui sul burrone; Chissà.. quale vita attende oltre il muro laggiù nell’ignoto, oltre il futuro tra l’esistere e il cadere tra l’incedere e il desistere, psichedeliche emozioni come lampi d’illusioni, inghiottono le ombre di menti troppo orbe che non vedono perfetto il diverso al lor cospetto. Guglielmi Stefano

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C’era l’acca In attesa di… L’aurora tarda, strido nell’ammainar le vele d’insorti arcani. Ricorro al fuoco. Ma l’arabesco esala in frammisti demoni che mi scacciano altrove. Un lieviatano smoccola, lapideo proiettore di un’ombra in asfissia. Nuda di sogni e tumida di sale. Industria Nunzio

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C’era l’acca L’AUTISMO Ottuso appare quel volto soffuso nel rifiuto silente dell’estranea mente. Tra le stanze mute e prive di luce la paura del giorno regna da sempre. -Non aprire la portaP r i g i o n i e r o inerme negli artigli del tempo tra i numeri primi cerca l’ore perdute. Conta le ombre scontando la pena. -Non aprire la boccaNell’immenso del nulla il tutto ritrova, dalla gabbia del corpo lo scampo non trova. Nel possesso di se stesso lo spirito ha messo, sigillando i sensi ha vietato l’ingresso. -Non aprire le bracciaSterili pensieri, incrociati sorrisi, sbiaditi incontri, respinti abbracci. Lo sposo fedele del proprio riflesso dal buio accolto nello specchio di vita. -Non aprire gli occhiSommerso nel silenzio tra le grida del mondo nello sguardo affonda seguendo il vuoto. Kostka Izabella Teresa

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C’era l’acca IL SOLE DOPO LA TEMPESTA Seduto in quel letto d’ospedale col viso triste, pensieroso e cupo, pensando solo alla speranza che tutto si risolva in un minuto, all’imprrovviso ti trovi in mezzo alla tempesta, un vento gelido che chiude il tuo respiro, senti un nodo e un laccio nella gola! Non puoi gridare, chiedere aiuto, cerchi di aggrapparti a mani che ti salutano, e che si agitano nel vuoto. Vedi dei volti, ma non ci fai più caso... Poi più nulla. Cadi nel buio più profondo. La tempesta cessa. Poi senti una voce...Svegliati è ora di tornare... Apro gli occhi e un viso appare, un sorriso risplende e mi illumina come un raggio di sole. Grazie, dottore! Lattanzi Bruno

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C’era l’acca La ricerca per la vita (AIRC) Un’azalea, un’arancia nelle piazze d’Italia solo un piccolo contributo. Giorno e Notte persone passano la loro vita davanti a un microscopio. Continuare a cercare, senza mai stancarsi per debellare la malattia. Forza volontà e un impegno quotidiano per continuare , perché la ricerca vada avanti. Solidarietà e amore verso il prossimo per poter salvare delle vite. Perché tutti hanno il diritto di avere ancora un futuro. Possano fiorire come i fiori anche le guarigioni. Lazzeri Daniela

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C’era l’acca Solitudine afona Com’ è triste la solitudine afona quando s’abbandona all’esterno, nel vorticoso supplizio. Loiacono Giacomo

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C’era l’acca A testa alta

A sostegno dell’autismo

A testa bassa conti i passi che ti separano dalla meta mano per mano con l’amico del cuore, quello di cui solo tu conosci l’esistenza. A testa bassa separi il cibo nel piatto seduto nell’angolo destro della mensa lasciato lì dai draghi cattivi. A testa bassa leggi e rileggi le pagine del libro rosso sfumato dal sapor di fragole come quelle che colorano l’estate. A testa bassa fissi il concitato divenire scostandoti da quei corpi troppo vicini chiuso in una bolla di sapone. Il tuo piccolo universo parallelo giardino fiorito da sfumature dell’anima più profonde, più sensibili appaiono ad uno sguardo attento. E ti renderai conto che puoi ridere, giocare, correre e amare come tutti i draghi là fuori ma con più bontà nel cuore. E allora vivrai... A testa alta.

Malengo Chiara

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C’era l’acca Il peso dell’anima

A Stefania, vittima di sé della sua anoressia

Lascia che una foglia si posi su di te e, nel ticchettio della pioggia faccia breccia nel tuo silenzio sino a far parte del tuo corpo. Non peserà più di quel che temi… Afferrane l’essenza e la fragranza respirane i caldi e gentili effluvi. Cogli il gesto dell’albero accosto che, come anima cortese porge il suo ramo e i frutti generati. Fai tuo quel suo dono coltiva in te la speranza e abbi fiducia nell’altro la tua àncora di salvezza. Non aver paura leggera e leggiadra creatura: getta il freddo specchio rendi la tua anima unica come musica del corpo nuovo di un nuovo corso. Accetta la foglia che scende e scrollati di dosso la polvere! Managò Marco 99


C’era l’acca Al di qua del lavoro Ci hanno rubato il tempo, le schiene, i sorrisi da riportare alle nostre famiglie a sera; gli sguardi, i fiati, gli anni del sole serrando tutto in quattro scalze parole d’addio: code spettrali di macchine dimenticate, intirizzite, di cognizioni e sudori e rughe spersi in capannoni essenziali innocenti ormai resi inutili miraggi dell’utopia del lavoro da quei figli dei padroni che inneggiano al non-lavoro. Ci dimeniamo da qui: bar scabri di periferia alla periferia della vita dove le leve di fantasmagoriche scatole mangiasoldi sfanno cervelli e cuori, pensieri che non mangiano abbastanza per costruire, uscire, partire; da qui dove c’erano le sirene aspre, arcigne che battevano però la sicurezza di ogni alba e viavai indaffarati di destini, di coscienze ligie al solco dell’orologio e del dovere. Ora il vento del silenzio strina lacrime ferruginose come i lucchetti che ci bloccano le mani, mastica giorni inevasi - salici nell’indifferenza mentre ci smemoriamo via via di avere un domani. Ma non avranno mai gli ultimi aneliti e ingegni che ci sono propri: indocili fuggiaschi semi biancovestiti in questo cielo universo che sarà di nuovo nostro. Mandia Giuseppe 100


C’era l’acca Clandestini Mare di solitudine, mare di ricordi, infelice culla di corpi senza piÚ un nome. raccontami le storie di chi le tue increspature ha solcato, pieghe perigliose di una sterile distesa salata. Ti hanno sfidato senza scelta, incuranti della sorte, ma una notte di tempesta ha annegato le loro speranze, stretti nella barca della nocchiera morte. Martinis Alessia

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C’era l’acca Dimenticare Ginevra Scendere dalla scaletta dell’aereo e sentire i brividi di freddo mentre il cielo nero carbone è appena rischiarato dai potenti fari dell’aerostazione. Freddo precoce d’Ottobre! Camminare lungo i boulevards deserti dove le ultime foglie cadute dai rami degli alberi vengono raccolte dagli spazzini inespressivi. Tutto era pulito lindo squadrato! Entrare uscire entrare uscire da quell’ospedale dall’aspetto di villa cadente dove l’infermiera spagnola addolciva la pillola amara con il suo italiano pittoresco. Andare la notte a cenare in un locale moderno festoso con lo stomaco chiuso: formaggio e prosciutto le uniche cose che parevan leggere come i fogli di vetro soffiato che riparan dall’umidità le soffitte. Dimenticare le facce delle persone sorridenti e garrule che stringevano il cuore e portavano al pianto, quel pianto naturale e singhiozzante che hai versato sul far del ritorno dando uno sguardo ammirato eppur malinconico al lago imbiancato di brina autunnale 102


C’era l’acca mentre tuo padre ignaro e quasi assente da questa terra ti guardava con occhi tristi dolci e innamorati e le lacrime,covate per giorni e giorni, ti inumidivano gli occhi protetti dagli occhiali. Riportavamo a casa una larva di uomo e crudelmente ti abbiamo sorriso quando Satana,soffiando lamelle di fuoco, ammiccava alla Morte. Ricordare tutto di te,padre mio, e soprattutto la lealtà,la bontà,l’onestà far ricco tesoro di queste doti da Te imparate in tanti anni. Avere sempre presente la tua immagine e ricordare quelle notti buie e fredde quando il bambino dormiva stringendo la mano affettuosa del papà. Ricordare tutto di te,padre mio, e dimenticare quel giorno lontano d’Ottobre quel cielo sempre grigio ed offuscato quel dottore affabile e schietto quell’albergo vecchio e sconnesso quel cuoco gentile e loquace; dimenticare tutto di te,splendida città, dimenticare Ginevra! Melotti Mario

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C’era l’acca PRIMAVERA Primavera ritorna e il dolore mi addenta con morsi di gelo. E’ il vento che scuote profonde solitudini. Lieve cielo terra che respiro. Sospeso ad un filo di vento scioglimi da questo peso Volteggiate rondini come bianche colombe; le vostre ali mi scavino un nido nel cuore; cuore che mi travolge e spezza. Miano Michele

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C’era l’acca UNA VOLTA IL SORRISO Una volta il sorriso fendeva le porte dell’amore. Incanti ancestrali di parole e gesti, prima che un acerbo e incrunàto silenzio spegnesse la tua voce. Pallida anziana notte hai patito troppi anni non ti ho mai abbandonata siepe del mio cuore che scaldava il mio giardino. Solo chi ha vissuto nell’antrone della notte sa cosa è il giorno, sa cosa è la vita. Minciotti Sarah

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C’era l’acca Giorno dopo giorno avanza il male Giorno dopo giorno in mezzo a noi avanza il male e sotterra i sogni ed il futuro. Cieco è l’uomo che non legge la storia e oltre l’orizzonte più non vede il baratro profondo che le speranze ingoia. Come il soffiar del vento lentamente la violenza in mezzo a noi si insinua ed il calore porta via dai cuori ancor più freddi seminando solo odio. Nei calici di chi ha sete d’amore il sangue di Cristo è diventato pietra. Giorno dopo giorno avanza il male e noi svogliati alla finestra guardiamo il fiume scorrere e travolgere gli argini indeboliti dall’indifferenza e dall’incuria. “Io sto bene!” ognuno pensa e degli altri nulla importa. “Il mio orto ho recintato e le porte ben sprangate!” Cieco è l’uomo che le finestre tiene chiuse e non vede chi lo cerca chi gli offre ciò che ha. 106


C’era l’acca

Giorno dopo giorno avanza il male e le radici nella sabbia inarrestabile affonda. Nasceranno scheletri assetati di sangue e mostri che dei cuori si nutriranno. Cieco è l’uomo che non sa come è facile cadere come è difficile rialzarsi. Montella Carmine

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C’era l’acca SASSO Sasso, figlio inerme della terra. Freddo spirito senza colpa, sacrificato al talamo d’un pozzo di pietra. Martire d’un piacere perverso, strappato alla terra, confinato nel buio fra le fauci dell’ignoto schiacciato nel gelo d’un triste abbandono. Immobile, confuso scherno inerte al gaudio d’aria, fra le braccia del tempo fedel tuo compagno. Riaffiora la memoria d’una luce ormai lontana. E taccion le voci. Tempo spento nel silenzio. Attesa. S’ode un tonfo d’improvviso. Nulla più. Un sordo riverbero nella quieta solitudine.

Muccio Paolo 108


C’era l’acca STELLE E’ tornata a trovarmi la gran madre e mi ha detto che proprio devi andare la sua falce è bella affilata farà presto a separarti da terra E uno, e due, e tre... ormai la macabra visita più paura non mi reca anestetizzato il cuore è ormai lento abbandonato come foglia nel vento come giunco mi piego sgomento Guardo il cielo e vedo le stelle già son due che brillano belle ora che te ne andrai pure tu il mio naso sarà sempre all’insù. Neri Maria Luisa

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C’era l’acca UNA STRADA IN SALITA (a Lucia) Una strada in salita è un punto di vista Raggiunta la cima, ti volti, è discesa Ma l’ovvio è fatica, ostacoli, sforzi. La cima è lontana, non ti è concesso fermarti Neanche un attimo a riprendere fiato Lo sai, in cima c’è la realtà del tuo sogno Ed allora ti affretti non perdi un momento Ma la sorte è in agguato e non ha occhi pietosi Ti afferra i capelli ti vuole fermare In questa tua corsa a raggiunger te stessa E la sofferenza diventa ragione di vita Ma la sorte, non sazia, continua a colpire Ma da belva ferita tiri fuori gli artigli Le mamme lo sanno come proteggere i figli Infine ritorni ad assaggiare la vita Un sapore un po’ amaro di ciò che non fu Ma hai vinto la lotta con la sorte bastarda Sorridi ed è bello guardarti nel farlo. Pagano Rosario

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C’era l’acca LE ALI DEGLI ANGELI Nero, come i morsi della fame, come la tristezza e la solitudine, come la rabbia e l’impotenza. Come le tenebre, come la sofferenza e l’umiliazione, come la morte. Nero, come il tuo corpo, esile e denutrito, come il tuo viso, cupo e rassegnato, come il tuo animo violentato. Figlio di un’infanzia negata, ereditiere di brutalità e ingiustizie, di una storia che da sempre si ripete. Se guardo i tuoi occhi, vedo la vergogna degli essere umani, le peggiori bestie del creato. Di fronte alle mie colpe, mi accogli con calore. Bianco, come il tuo abbraccio, come il tuo sorriso, come le tue ali di angelo. E’ dentro ai tuo occhi che scopro la grandezza di Dio. Quaranta Enzo

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C’era l’acca SCHIAFFI (IM)MORALI Ho preso tre schiaffoni da un vecchio fidanzato son passati gli anni, ma non l’ho perdonato eran tre ceffoni dati con il cuore perché non mi piegavo serena a ogni suo umore Stronza la sua mano mossa dal rancore Stronza pure io, stordita dall’amore Invece di mandarlo subito affanculo son rimasta lì, testarda come un mulo e me lo son tenuto ancora qualche mese senza raccontare che le avevo prese Poi son rinsavita, mi è anche andata bene Ragazze, parliamone: subire non conviene Se proprio vi dispiace lasciare il vostro ganzo perché vi fa sentire come in un romanzo spedite questi maschi violenti da un dottore farete a tutte noi e a loro un gran favore Rampichini Flavia

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C’era l’acca AMORE IMPOSSIBILE E non posso fare a meno di amarti... Contro tutto e tutti il mio cuore sceglie la tua anima La raggiunge trafelata, combattuta, sfinita, lacerata e vi si addormenta protetta, cullata, sedotta... Ogni giorno è l’attimo che ti respiro... Ché sei me. E pretenderti non posso Né posso dirti mio. Eppure mio sei oltre lo spazio, il tempo. Un mondo 113


C’era l’acca nei tuoi occhi. Lo leggo l’amore più limpido dell’acqua più profondo dell’abisso. Non dovrei accoglierlo e averti non ha senso come respingerti. Né posso allontanarti liberarti di me... Ti tengo dunque per un attimo ancora infinito Ché senza di te non è giorno o notte aria o vita. Ricci Mariagrazia

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C’era l’acca UN FILO Ho visto una vita appesa a un filo… quel filo era speranza… L’ho protetto, tenuto stretto, cullato. In questi giorni ho tenuto in braccio mia madre e ho pregato, affinché potesse restare ancora un po’ con me. Sono passata dalla disperazione più cupa, ad una flebile speranza. Le ho donato ed espresso tutto l’amore mai dato. La paura di perderla, mi ha tenuta stretta a lei. L’ho accudita, baciata, accarezzata. L’ho apprezzata come mai avevo fatto prima. L’ho compresa e le ho dato un aiuto aggrappandomi con lei a una speranza. Ho provato un dolore profondo, nell’immensa paura di perderla. Spero di raccontarle un giorno tutto ciò, facendomi tenere in braccio, come Natura vuole, perché in fondo “la piccola”, rimango sempre io. Rinforzi Lolita

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C’era l’acca Fuori dal disagio Libera la mente vola… Finalmente ha sciolto le opprimenti catene Che il corpo non riesce a togliere. Pesanti lucchetti senza chiave (gettata nel profondo degli abissi) L’hanno così a lungo trattenuta. Ora si alza nel cielo volando tra sogni Non ricorda le vecchie illusioni Di quando fanciulla vedeva: vallate incantate distese di splendidi fiori cieli azzurri e nottate stracolme di stelle splendenti. Scordato è l’opprimente rancore Alla vita che strappato le ha i sogni. Senza peso si alza Il brutto… è solo un ricordo. Rogari Catia

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C’era l’acca ALLA MIA CARA MAMMA Mamma, te ne sei andata in un caldo afoso del mese di agosto, era il giorno dell’Assunzione della Madonna, il quindici Agosto, anche quello fu un segno del destino. Mi ricordo che facemmo fatica a trovare dei fiori, i negozi erano quasi tutti chiusi, ma d’altronde era proprio quello che volevi, non ci tenevi per niente. Quella mattina poche ore prima che tu te ne andassi, il dottore entrò nella stanza per visitare gli ammalati e prima di iniziare disse: “Andiamo prima da quelli più importanti, più speciali!” Eri tu mammina mia, la più importante, perché eri la più grave, ed io con voce tremolante risposi: “Dottore, vorremmo tanto non essere così importanti!” Lui mi guardò e con la testa annuì. Poi qualche ora dopo, la mamma ci lasciò, stringendo forte la mia mano nella sua, come se non volesse ancora andarsene. Ruggiero Rosa

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C’era l’acca Tristezza Vorrei che tu andassi via …… e invece mi avvolgi totalmente, dolcemente quasi tu fossi l’anima mia e quando a volte ti dissolvi e cedi il posto ad un sorriso già sento nostalgia perché perdutamente ti sento mia Salvatore Nunzia

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C’era l’acca STANCHEZZA Natura stanca che scorri pigra nell’incertezza d’un giorno a risvegliarsi. Parli una lingua muta e sconosciuta in un canto sommesso, senza parole. Indugi timidi passi, gesti e mani stanche. Un mutamento forte, inesistente di un mondo flagellato. Canti così natura e mondo, di stelle ormai spente, di ore ormai perdute, di un mondo ormai smarrito, dove la pioggia non bagna più. Hai dimenticato persino le parole ed il pensiero, solo lo sguardo stanco ti resta d’un mondo ormai finito. Era prima e adesso…... L un all’altro estranei. Solo l’indifferenza regna sovrana e gli occhi stanchi di guardare, non hanno più nulla da raccontare. In solitudine parlano insieme a quelli che, come me, rimasti vivi, per paura sfuggono anche alla luce. Santangelo Francesca

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C’era l’acca Ballata per il diverso Li sento quegli sguardi senza occhi, ferire senza uccidere, diversamente forma di violenza. Meglio l’indifferenza che del tutto priva il cuore di un aiuto. Meglio la solitudine che l’animo getta nell’inquietudine. Meglio il distacco sì, di quegli sguardi in cui inciampare, traditi dalla falsità del pietismo finto che il fiato mi toglie. Ma domani il mondo voglio rovesciare e sarò io a guardare quei miseri normali, col distacco di chi sicuro è di avere la capacità e la forza, la salute e la ragione. Per un giorno sarò io il normale, ma solo per un giorno, perché tornare voglio con orgoglio a essere un diverso, a essere diverso.

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Scavolini Tania


C’era l’acca Ferri di cavallo Stretti nell’ombra della sera, l’aria è piena di grida, sono sotto i ponti, nei vicoli, nelle strade. Si incrociano nel tempo, e divampano in un colpo, nel vuoto del suono, che tintinna un motivo lento. Lo scoppio rosseggia sagace e feroce sibila ricordi e presenze penetrando il mio silenzio. Le sento, mi guardano e bisbigliano. Specchi di ogni cammino. L’oro dei giorni passati si è dissipato. Sensi Valentina

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C’era l’acca Sfinito Ma poi le avevano detto che era tutto vero: poche speranze e l’apice dei pianti, ormai pietrificati. L’enigma era stato svelato. Nubi corpose di dubbio mi sovraccaricavano; il mio intelletto inquinato da quelle voci s’era assuefatto. Stordendosi, non era più stato quello di una volta. Spurio Lorenzo

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C’era l’acca UN SOGNO RAGGIUNTO Un sogno, una chimera per tanti. Cataloghi e foto per un viaggio da mille e una notte. Luci, suoni, colori che rimarranno impressi memoria. Non si dorme al pensiero di partire e cominciare a vivere quel sogno rincorso, quel sogno sudato, quel sogno donato. Inizia la favola, poche ore e..... si torna indietro di un secolo. quelle immagini fanno parte di passato lontano riviste in pellicola. Sulla prua due ragazzi innamorati, TITANIC. Questo non è un film, non è storia. Un pensiero, mille pensieri, migliaia di storie si intrecciano. Uno struscìo ad uno scoglio, il sogno raggiunto si infrange ed è tragedia. 17 Gennaio 2012 (Tragedia della Concordia) Straccamore Daniela

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C’era l’acca A TONY Dal profondo anfratto dell’oscurità che offende i tuoi occhi hai strappato un raggio di luce per illuminare i miei. Mi hai fatto conoscere l’argenteo riflesso del Pizzo Badile, ascoltare lo scrosciare dell’Oglio, apprezzare il serpeggiare delle strade che assorbono, nel pudico silenzio, i nostri pensieri. Il luccichio del sole sul lago d’Iseo brucia Monte Isola e dimentico dietro queste alture continua solcare il mare l’orizzonte. Ho assaporato la storia passata e vissuto gli attimi fuggenti del presente. Una carezza di vita la fede ed il coraggio, la sincronia del pensiero 124


C’era l’acca e dei movimenti, l’apprezzare la tua cecità più che io la mia luce! Tassone Rocco

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C’era l’acca Di ingannevole fiore vive il pianto Di ingannevole fiore vive il pianto, di fervide sue ragioni, di abissali oblii di fuggevoli impressioni, ma tu così giovane, di fierezza timida, dell’orizzonte non vedi che il sottile margine, o il naufragante incanto di ingannevole fiore vive il pianto nella sua ricerca intrepida di un segno mai disperdette petali né lacrime che il cuore suo di rondine non abbia in ali se esiste l’angelo, nel pulsare degno del tuo animo velato, da incombenti terre, sia esso dall’inganno liberato! Tommasi Jessica

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C’era l’acca SULLA SEDIA Mentre lì ti dondolavi sulla sedia tra i cuscini con la mente riordinavi i pensieri e i tuoi confini Quando il corpo è inamidato ma la mente ancora ha fiato tutto è come una prigione che incatena l’emozione Voci e suoni tutti intorno si rincorrono ogni giorno tu rincorri i giorni tuoi perché smettere non vuoi Quando un gesto inaspettato viene a darti un po’ di fiato apri gli occhi lentamente ma non è sempre un parente Quando fissi alla finestra quel che ancora un po’ ti resta vedi gli alberi far festa e la Luna scender lesta Ti addormenti un’altra volta sulla sedia che ti ha accolta e che forte abbraccerà la tua vecchia identità Mentre lì ti dondolavi sulla sedia tra i cuscini con la mente scivolavi annullando i tuoi confini Torrito Danilo 127


C’era l’acca Controtempo Certi giorni mi sveglio pensando, altri, li passo danzando. Apro porte che non esistono. Giullari nella mia mente. Generazioni future giocano a dadi perdendo. Il Silenzio e l’ ansia, in controtempo. E’ mattina d’inverno e scorro via con il vento. Laute voci mi inseguono sorridendo ma è il mio cuore, che stai uccidendo. Non restare fermo, muoviti d’ingegno. È tramonto e non soffia più il vento. Questo è ciò che penso del domani non c’è senso. Provo e riprovo a lottare, ma sono sempre qui pronto a respirare. Mi hanno portato via a stento credendo fossi spento, ma la realtà è che muoio dentro. E che se rinasco è solo per un momento E’ la vita e non ti puoi fermare anche se vorresti solo sognare, il domani non ci sarà se farai morire la tua volontà. Non restare fermo muoviti d’ingegno È tramonto e non soffia più il vento. Ubaldini Francesco 128


C’era l’acca Fraterna solidarietà Il volto di tutti ha un colore solo quello caldo e freddo di una lacrima lasciata cadere senza speranza di fronte a noi, vittime dell’odio. Odio nero che fiotta dal profondo. Odio rosso che brucia edace. Odio giallo come bile contagiosa. Ma il cuore di tutti ha un calore solo che asciuga prismatico la salata lacrima. Vaira Fabio

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C’era l’acca Meandri Sono qui. Un immenso, indefiibile,densissimo, ipnotico, gravissimo Spazio. Ingarbugliati, avviluppati, irrequieti, pulsanti, intricati Mnemonici Filamenti. Saettanti intuizioni urtanti tra loro. Repentine orbite d’archetipici pensieri, che flttuano, che schizzano, compenetrati, nell’angusta infiità dell’intelletto. Sono qui. Vago tra i meandri più bui della mia ragione. E sento la brezza del soffi vitale che mi infonde. Verdone Alessio

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C’era l’acca Sarà vita Regalami una foto non chiesta che non sapevo neppure scattata, regalami l’urlo del petto lacrime che annodano i sensi come nido di serpi. Regalami desideri messi a fuoco sovraesponi quei piccoli tubi, il letto d’ospedale affinché si disperdano nel braciere della speranza rinascendo nella cristallina certezza che sarà... vita. Vertuani Veruska

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C’era l’acca Vita Mi piace fermarmi a riflettere seduta sulla sponda di un fiume. Me ne sto in silenzio, osservo l’acqua che scorre veloce tra i sassi quasi come a voler lavare via tutto l’imperfetto, così come le mie lacrime cancellano il dolore. La vita è fatta di gioie, fiori e colori ma con un passato nel presente e il presente nel passato a ricordarci che mai nulla ci viene regalato. La vita è proprio questo: seguire il cambio delle stagioni senza mai pretendere ragioni, vivere e volare con le ali dei gabbiani. Sognare, amare e non perdersi mai nei miasmi ammorbanti. Non perdere la ragione nella prigione oscura di pensieri ribelli, pensieri irremovibili che se ne stanno in disparte con il piacere sottile di rimanere nell’ombra. Cogliere davanti allo specchio le sfumature di noi stessi, colorarle come fanno i bambini con gli acquerelli, dare un significato al grigio e rendere il sole doppiamente splendente. Vitali Nadia

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C’era l’acca parla al mio cuore parla al mio cuore e digli che non vuoi lasciarlo andare via, che non l’abbandonerai mentre prova a rialzarsi da quest’altra prova di forza con l’anima che assorbe l’ultima goccia di chemio e adesso riposa lei, che non vuole uscire dal mio corpo provato ma assettato di vita e intanto si nutre del calore dei tuoi abbracci e dei tuoi baci a palate rimandandomi a domani. e tu, non ti fermare parlagli sempre e consola i suoi battiti che si rincorrono ancora su questa strada infinita senza volersi mai fermare a prendere un respiro ma correndo veloci per arrivare alla meta del naturale tuo amore che non tramonta con il sole ma siede accanto alla luna e sta li’, a continuare il giro finche’ un nuovo sole spalanca i miei occhi 133


C’era l’acca e li riempie di luce, per vincere il freddo di questa stanza d’ospedale e infondermi la speranza che mai piu’ vita ci sara’ per questo ignobile dolore ma tu adesso regalami ancora la tua voce e parla al mio cuore. Vitullo Lucio

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C’era l’acca Non sono diverso Tu che incroci il mio sguardo e non reggi il confronto... imbarazzandoti al punto di abbassarlo in fretta e cambiar via, quasi “”infettassi” con la sua intensità la tua essenza. Tu che regali falsi sorrisi per convenienza, e non degni il mio volto che di una smorfia vestita di ribrezzo. Tu che frastuoni la tua mente di rumori assordanti e vuote parole imbevute di indifferenza, non riesci a percepire la mia fievole voce che pronuncia un riservato ciao. Tu che hai abbracci informali per tutti e non trovi il coraggio di aprir la tua mano per una carezza, sappi che la mia pelle è identica alla tua, sensibile e calda... una fragile veste che protegge lo scrigno delle mie emozioni. Sarò stolto nei movimenti, non agili e liberi come i tuoi, ma...il mio cuore conosce le note del tuo stesso battito... ugualmente pulsa e s’innamora ! I miei pensieri non volano veloci come i tuoi ma ugualmente si adagiano sul pentagramma della vita in attesa di comporre e far ascoltare quella melodia di sentimenti e suoni a me negati a priori perché “diverso”... tu però che sei normale, spiegami cosa significa esserlo, empi i miei sensi di certezze, per poi riuscir ad asciugare quelle smarrite lacrime 135


C’era l’acca di una mamma che si sente in colpa per un segnato destino... Non sono un fenomeno da baraccone da esibire saltuariamente in pubblico per “onorare” falsi comportamenti di solidarietà, ma son un umile protagonista di questo teatrino di velleità...un’anima pura che ogni giorno ringrazia la vita per ciò che di bello gli concede. Senza voler leggere nei tuoi gesti pietà e commiserazione! Pretendo solo nella “normalità” del tuo vivere di venir accettato,rispettato e se non ti costa molto amato! E in un viaggio chiamato libertà, vorrei dar ali ai miei sogni! Per volar lontano dalle disabilità delle menti e dalle folate di pregiudizi che disorientano il mio entusiasmo di vivere, mentre la mia voce tenta di rompere il silenzio con uno slogan senza sponsor: NON SONO DIVERSO! Zottino Cinzia

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Racconti Finalisti

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C’era l’acca la confessione di Bartolozzi Massimiliano Un treno che si muove lungo i binari, un uomo con un libro assorto nei suoi pensieri guarda fuori dal finestrino e comincia a parlare con se stesso. ‘’I viaggi in treno hanno per me il sapore retro ‘ di vacanze estive con mia madre, di luci che si muovono veloci ai finestrini cigolanti, di sedili di pelle invecchiata, volti che dimentichi subito, mille odori, colori, le valige accatastate, i corridoi stretti con i posti a sedere, le città veloci che si accavallano dando vita ad un giro di arcobaleno, il calore della mano che ti rassicura, la voce altisonante che grida ‘’biglietti’’, il buio delle gallerie che nasconde le citta ’ addormentate, il sorriso e gli occhi di un bambino che guardano felici la meravigliosa vita, fuori da un finestrino. ’’ L’uomo prende dal portafoglio una foto, si vedono tre persone una signora lui ed una ragazza, la foto e’ datata, rovinata. Massimo: mamma sto tornando da te e’ tanto che non ci vediamo, mi manchi, questi lunghi anni, mi hanno permesso di diventare quello che sono ora, grazie. Finalmente il treno arriva in stazione, l’ uomo con fare confuso si appresta a prendere la valigia e a scendere. La stazione indica un paesino piccolo, arroccato su di un montagna, si chiama Vetere ha circa 300 abitanti, si conoscono tutti tra di loro. Massimo lo ha abbandonato quasi dieci anni fa. Fuori dalla stazione , gli corre incontro questa donna che lo abbraccia forte stringendolo a se,lui ha il solo il tempo di dire a bassa voce, Imma, Imma. 139


C’era l’acca Questo abbraccio e’ intenso come un addio, sembra cancellare i mesi, gli anni di silenzi, fatti solo di Email, ma ora tutto questo e’ dimenticato. Massimo la guarda, imbarazzato. Imma: posso prenderti la mano? Lo sguardo e’ basso, ma lei sa in cuor suo che è un si. Imma: la timidezza non ti abbandona mai… I due s’incamminano mano nella mano. Massimo: non saresti dovuta venire lo sai? Imma: si lo so. Massimo: e quindi? Imma: e quindi sono venuta lo stesso. Massimo: come sempre hai conservato la vena di pazzia che avevi. Imma: e tu il fascino del ribelle. Massimo: quello lo avevo a 20 anni, ora che ne ho 35 ho il fascino del nonnetto. Imma con un po’ di barba bianca ingrassato ma sempre un bel nonnetto. Massimo: tu sempre bellissima (abbassando lo sguardo) i due si scambiano un sorriso di complicità. il viso di Imma mal cela un momento di tristezza velata. Imma: mi spiace per tua madre e vederti in questo giorno mi fa stare ancora piu’ male. Massimo: ti ringrazio e ti ringrazio di essere stata vicina a mamma anche nei momenti piu’ dolorosi, di avermi mandato tante lettere ed email, di avermi fatto sapere tutto, anche se ero in africa mi hai fatto sentire a casa… Imma: non dire nulla, lo sai che ti …ti voglio bene e poi zia tina era per me una madre, mi ha cresciuta, dandomi tutto l’affetto e il calore di una famiglia. massimo la guarda con un misto di gioia e tenerezza. Massimo: il minimo che posso fare e’ invitarti a cena… 140


C’era l’acca Imma: accetto anche se spero che tu abbia imparato almeno a fare due uova al tegamino. Massimo: in verita’ so anche condire l’insalata. Imma: allora sara’ una mega cena. Massimo: si ma ovviamente i piatti li lavi tu. Imma: sei un approfittatore. i due s’incamminano per il paesino, che appare antico, polveroso ma ricco di storia, ogni angolo racconta e narra, le vibrazioni di ogni pietra sembrano scalfire il silenzio di una giornata afosa. Imma: com’e’ l’Africa? Massimo e’ colpito dalla domanda, ma cerca di non farlo trapelare. Massimo: faceva caldo. Imma: scemo intendevo la gente, la vita? Massimo: non e’ molto diversa da qui sai, sono persone semplici e nella semplicità vivono le loro giornate, sembra che gli manchi tutto, ma questo solo ad un occhio attento e materialistico, ma forse hanno qualcosa in piu’…il cuore. Lei lo accarezza dolcemente, facendo scivolare la sua mano come il vento leggiadro accarezza i fiori, avendone cura e paura di rovinarli. Avrebbe voluto dire tutta la sofferenza che ha visto, i morti, il sangue, la fame, la sete, i sacrifici fatti, la schiena rotta per costruire quel pozzo, per portare un po di sollievo a quella piccola tribu’, ma dalla sua bocca escono solo tramonti intensi, di una bellezza da toglierti il fiato. Lei e’ cullata dai suoi racconti, mentre passeggiano, per le stradine impolverate, passando fuori la chiesa, dove massimo giocava a pallone quando era piccolo. Alle sgridate di sua mamma, o di don attilio. (Che sembra materializzarsi li, di fronte ai suoi occhi) Massimo fermati, se ti prendo te le suono, non devi giocare 141


C’era l’acca a pallone vicino la chiesa, su vieni in chiesa, che tra poco comincia la messa. Un sorriso dell’anima che non traspare sul suo viso. Massimo: ma come mai non c’e quasi nessuno in giro a quest’ora? Imma: i giovani sono andati tutti via, ormai qui non c’era piu’ lavoro, ritornano solo per le feste, infatti sembra morto in alcuni giorni, il nostro paesino. Massimo: e tu sei rimasta qui? Imma: non potevo andar via, anche se ci vengo sempre meno, troppi ricordi, troppi fantasmi, ma non ti voglio annoiare, e poi siamo arrivati a casa. La stanza quasi buia non fa trapelare luci, massimo e Imma sotto le coperte, abbracciati. Massimo: sono quasi le 730, tra poco ho il treno. Imma: si e anche io tra poco dovro’ andar via. Imma si alza facendo entrare la luce forte del mattino. massimo) lo sai che quello che abbiamo fatto e’ sbagliato? Imma: si lo so’, dici che dovro’ confessarmi? Massimo: dico che anche io ti amo, e non dovrei, non sono piu’ il massimo di 10 anni fa’. Imma: neanche io sono l’imma di 10 anni fa. Mentre dice queste parole si mette la fede al dito. Massimo: e’ giusto che tu adesso torni da tuo marito, in fondo e’ un brav’ uomo, che ti ha dato due figli, non puoi piu’ vivere in questo paesino, non c’e’ futuro per te, torna in citta’, aspettarmi non ha piu’ senso ora. Imma: si hai ragione tornero’ da lui ed ogni notte prima di addormentarmi solo per un minuto, quel lunghissimo minuto pensero’ a te amore mio, o forse sarebbe giusto chiamarti padre massimo. L’uomo e’ intento ad aprire la valigia, tira fuori un bellissimo abito nero, da sacerdote. 142


C’era l’acca la guarda le sorride e le dice. Massimo: ho bisogno io di confessarmi… Quel minuto in cui mi penserai, prega per me, prega per noi, ti sentiro’ vicina, nel mio cuore. Le regala un rosario, aprendole le mani e richiudendole, con dolcezza e amore, come solo un uomo che ama la sua donna sa fare’, in un saluto che ha il sapore amore di un addio. Lei lo guarda, vorrebbe baciarlo, ma nel suo cuore sa che sarebbe sbagliato, e lo abbraccia, in silenzio. I pensieri interrotti all’ inizio, continuano prima di arrivare a Vetere, il piccolo paesino dove massimo viveva. Massimo: e poi ci sei tu Imma, il mio unico e vero amore, quanto mi e’ costato andare via per la vocazione, fede e amore non andavano d’accordo, non poter tornare per la guerra civile, vedere persone morire mi ha devastato, in fondo io cosa sono? Un uomo…un semplice uomo che deve perdonare le colpe degli altri, sperando gli vengano perdonate le proprie…un giorno forse mi perdonero’ anche io…un giorno forse.

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C’era l’acca L’importante è stare qui...anche con gli occhi chiusi di Bettini Olivia Questa mattina alzo il lenzuolo che è fatto di stoffa, sembra un sipario che si apre le mie mani sono di pietra, bianche, lisce nell’armadio di legno cinque maglie sono fatte di lana, hanno tredici bottoni che costano poco, sono d’oro e brillano sotto il sole d’inverno che entra dalla finestra aperta la vita è fatta di quattro stagioni, la vita è bella dodici, dodici parole posso contenere in un anno dodici mesi posso contare trecentosessantacinque giorni da mangiare, da bere e da gustare sette note di uno spartito musicale, tutte insieme d’inverno si possono cantare contare, contenere, quanti verbi posso imparare quando fuori ci sta la neve e il vento quante lettere ci sono dentro un alfabeto? a me piace la lettera A che è la prima a cominciare, ma ci sono anche i numeri infiniti e lo zero, rotondo come il sole arancione sette i colori dell’arcobaleno che è fatto di aria e di sole il sole illumina il palcoscenico vuoto non è facile essere intelligente cervelli legati pieni di conchiglie ricordi il mio primo libro si chiamò l’enciclopedia pagine di ricordi che volano via insieme al vento il vento, con le sue raffiche, staccò tutte le pagine dall’albero del mio giardino mentre si metteva il rossetto rosso il vento fece sbattere la porta dell’ospedale e il mio grembiule 144


C’era l’acca bianco con l’orlo fatto a mano fischiò sul dito mignolo che divenne blu... lì, dove c’era l’anellino di mia madre questa mattina con il pezzo di sapone gigante, bello, profumato, tutto il grembiule bianco ho strofinato l’inglese ho studiato e anche il francese e l’italiano alla scuola del mio cervello io scrissi, scrissi tanto quanto è bella la carta mi è sempre piaciuto l’inchiostro che è nero ma non è sporco e scrivevo e stiravo e stiravo e scrivevo tutto il grembiule per bene, come la mia nonna mi aveva insegnato perché questa mattina il mio grembiule è rosa? sono piena di confetti, piccoli, duri, neri quanto tempo ho io? ho gli occhi lucidi di pianto sulla fronte ho una ruga profonda come il mare le onde del mare mi dicono che fa caldo le onde del mare mi dicono che c’è tanto da fare che c’è dentro il mare? non voglio guardare il cielo, mi addormento sulla sabbia sopra l’asciugamano che è fatto di primavera la mia stagione preferita il mio cuore comanda i sentimenti, sono come tutti i fiori del giardino il più bello è la rosa rossa che vive sotto l’ombra dell’albero adulto con i rami nodosi e storti è la rugiada il suo vestito petali trasparenti e quaderni che profumano di rosa il bosco è come un teatro con tanti spettatori di erba e di legno come le marionette applausi come risate argentine di brina rose bianche baciano burattini silenzio 145


C’era l’acca farfalle bevono al ruscello e danzano attori recitano con la voce roca montagne ripide e suoni d’orchestra è venuta da me la poesia e mi ha interrogato non ho saputo rispondere rimasi in silenzio chiudo gli occhi poi li riapro poi li chiudo poi li riapro forse è meglio chiuderli e stare lì ascolto l’applauso che sembra vibrare dentro le vene come il sangue che scorre è un momento lungo è un fare per non pensare o un pensare di non fare? L’importante è stare qui... anche con gli occhi chiusi

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C’era l’acca Che giornataccia (Amor perduto - ) di Bologna Vito 22 Aprile 2007, che giornataccia, vento pioggia, una tempesta che vieta di uscire, ancora in pigiama guardo dietro la finestra la pioggia venire giù, faccio un’altro espresso e mi siedo al PC, per leggere le notizie, e dare una controllata alla posta, non ne dovrei avere tanta, di solito il sabato le persone escono e non scrivono e-mail. Come pensavo, solo 22 mail, il più, commenti che fanno alle mie poesie, vedo un nick nuovo e lo apro per primo. Caro Vito, da anni leggo le tue poesie, e ti ringrazio per dividerle con noi tutti, volevo chiederti come mai non mandi il tuo racconto AMOR PERDUTO a Alcolore ? Credo che a molti fa piacere sapere come è nata la tua poesia “Amor Perduto”. Sono una tua ammiratrice, e anche se faccio copy e stampo tutte quelle che metti nei siti, ho anche i tuoi libri, “ IL NONNO’ & “SOLITUDINE”. Una chattista del Canada mi inviò alcuni dei tuoi racconti fra cui AMOR PERDUTO, puoi per favore inviarlo a Alcolore cosi posso fare leggere a mia figlia la versione in Inglese ? Ti ringrazio, xxxxxxxxxx, Apro il cassetto in cerca del racconto, non ricordo dove l’ho messo, l’ultima volto che mandai un mio racconto via e-mail fu anni fa, nemmeno ricordo a chi, dovrei essere più organizzato, ogni volta che cerco qualcosa mi ci vuole tempo, oggi è domenica credo che non le dispiaccia se non rispondo alla sua richiesta. Prendo il giornale e mi siedo dietro la finestra, lo apro ma non leggo, guardo fuori, che tempaccio, mi rilasso, socchiudo gli 147


C’era l’acca occhi, e……………………………… - Sono ad Alcamo nel 1964, è una giornata di maggio, sono di turno alla sala Arlecchino per un matrimonio, mi alzo che sono le 8,22, controllo che la divisa da cameriere sia pronta, dopo una doccia via per un caffè al bar con i colleghi, si fanno le 10, e incomincia a piovere. Tommaso mi accompagna a casa in macchina, e ritorna a prendermi dopo un’ora, andiamo sempre insieme. “Che giornataccia” dico a Tommaso, e lui con un sorriso risponde, “Meglio cosi, sposa bagnata, sposa fortunata.” Giunti nella sala incominciamo a preparare i tavoli, 250 invitati, mica tanti; il mio gruppo è formato da 6 camerieri, due lavapiatti e 3 aiutanti. Alle 12,30 incominciano ad arrivare i primi invitati, sono quelli che non vanno in chiesa, l’orchestra incomincia con le prime note, e come al solito il gruppo, per noi, suona un mio motivo, “”Stasera al mare,”” è la mia prima canzone l’ho scritta per un concorso Alcamese, e arrivai al 3 posto. Si fanno le 13 e non abbiamo nessuna notizia di dove sono gli sposi, di solito a quest’ora ci chiamano per tenerci pronti, mi siedo ad un tavolo, carta e penna pronto per buttare giù delle frasi che mi girano per la mente, mi chiamano al telefono, “Chiudi tutto e vieni in pasticceria,” Un tono perentorio che non ammette domande e posa la cornetta del telefono senza darmi il tempo di rispondere. Per andare in pasticceria dobbiamo attraversare via Roma, dico a Tommaso di andare più in fretta, appena svoltiamo il corso 6 aprile, vediamo pasticceri ed aiutanti tutti fuori a parlare, il proprietario mi aspettava in ufficio per andare all’ospedale. In macchina mi dice che la sposa era svenuta in chiesa e che si trova all’ospedale per accertamenti. Ricordo vagamente che il proprietario mi accompagnò a casa, e vestito mi buttai sul letto, volevo scrivere ma non sapevo da dove incominciare, sentivo una voce dirmi –Scrivi, scrivi- ma 148


C’era l’acca non sapevo cosa, erano le sette e mi addormentai vestito. Mamma mi sveglia alle 4:20 era il mio turno di mattina al bar, incomincio alle 6 fino alle 2 pm, verso le 10 arriva il proprietario e mi disse di trovarmi un sostituto per coprire il mio turno dell’indomani, si va ad un funerale. Ogni pasticceria ha il suo gruppo di camerieri ed io come barista di questa, faccio anche da caposala in tutti gli eventi. In veste di caposala accompagno sempre il proprietario per preventivi, stipulare contratti e in occasioni di rappresentanza. In sei anni era la prima volta che andavano insieme vestiti a lutto, usualmente portiamo con noi dolci e allegria dove andiamo; io sono sempre con blue jeans e camicia della pasticceria, oggi invece doppio petto nero con cravatta nera su una camicia bianca. Dalla chiesa al cimitero si va a piedi, dietro al carro funebre che trasporta una giovane vestita in bianco, con velo da sposa, una sessantina di persone, un giovane che mormora. “ Perché, perché ? Perché mi hai lasciato ? Perché morire cosi giovane ?” e invoca un nome “Maria”. Torno a casa verso le 6 pm, non ho fame, mamma mi guarda e non dice nulla, mi siedo al tavolo vicino mamma e ripenso alla frase di quel giovane vedovo -. Com’è triste con me questo destino C’era con me una donna, se n’è andata. Maria, è partita in un mattino e l’anima mia ferita m’ha lasciata Verso il cielo volasti via e in esso ora brilli come stella, così ti immagino nella mia mente, penso tu sia la più bella. Brilli nel cielo e il tuo gran splendore 149


C’era l’acca fa smarrir nel buio ogni mio affanno si che si fa leggero questo mio cuore e sono felice, vivo quest’inganno. Sono seduto qui, vicino al mare, ti vedo, ti specchi sulle onde, vorrei toccarti, ti vorrei parlare, venir vicino a te, ma come ? Chi ti portò lontano dal mio amore ? Perché moristi in così verde età ? Io mi dispero, cresce il mio dolore, umana prole, chiamatela assieme a me. Ma tu non parli, ahimè tu non mi vedi e non rispondi alle amorose invocazioni, oh, tu dolore, che nel cuor mi siedi come potrai guarirmi, con quali unguenti ? ---------------------------------<<Nonno Nonno sveglia siamo noi>>, apro gli occhi fuori piove, che giornataccia, anche oggi con la pioggia e vento Roberto mi ha portato le bambine per un paio di ore. <<Nonno ma tu piangevi? perché hai gli occhi lucidi?>> Un piccolo rumore attira la mia attenzione fuori, dall’ulivo del giardino, una colomba bianca prendeva il volo. <<Nulla tesoro, il Nonno era triste se non venivi…>> <<Ma nonno papà dice che tu diventi triste se scrivi poemi, stavi pensando a qualcosa?>> <<Si cara, stavo pensando a un’AMOR PERDUTO, ma dai vieni, chiama tua sorella, ho una storia da raccontarvi, l’ho scritta ieri per due gioielli>> infondo un giorno di pioggia non è tanto male, se sei in compagnia di due principessine

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C’era l’acca NON C’E’ PIU’ di Brescia Maurizio Un brutto giorno mi ha lasciato. Così di punto in bianco; appena coricati ci eravamo salutati con un bacio e una carezza, ormai il tempo dei fuochi artificiali era finito da un pezzo, al mattino non c’era più; o meglio era lì accanto a me solo con il corpo ormai freddo. L’ho chiamata, l’ho scossa, non volevo accettare l’idea; per un po’ sono rimasto seduto vicino a lei, le accarezzavo il viso, le sfioravo con le dita le labbra così belle che un milione di volte avevo baciato. Non avevo pensieri, nella mia mente si era formato il vuoto assoluto; mi riscosse un rumore, uno di quei rumori che si avvertono nelle case quando c’è tanto silenzio; riuscii ad alzarmi e pensare alle cose pratiche. Due giorni senza avere modo di pensare, la casa piena di persone, parenti che non si vedevano da molto tempo che si scambiavano notizie delle rispettive famiglie, l’Impresa che allestiva addobbi, alla fine il coperchio del feretro che nascondeva per sempre la mia sposa, il corteo fino alla chiesa, nelle prime file la recita del Rosario, subito dietro i discorsi più vari pronunciati da persone che hanno poche occasioni di incontrarsi. La cerimonia in chiesa, la cremazione, e tutto ciò che rimane della persona che mi ha accompagnato per tantissimi anni della mia vita, la donna con la quale ho condiviso ogni aspetto della mia esistenza, è un piccolo vaso riposto in una celletta dove, per sua volontà non c’è nemmeno la fotografia Non sono mai stato baciato tanto in vita mia, tutti prima di lasciare la chiesa si sono sentiti in dovere di abbracciarmi e baciarmi, molti non sapevano cosa dire, quelli che dicevano 151


C’era l’acca qualcosa, forse avrebbero fatto meglio a tacere anziché usare frasi fatte prive di un vero significato. Non ho versato una lacrima, lo so bene che prima o poi capita a tutti, fa parte della vita; inoltre ritengo siainutile disperarsivisto che norr c’è rimedio: E adesso? Ragionando mi rendo conto che mi devo organizzare un modo di vivere del tutto diverso da quello che è stato finora. Non ho grossi problemi a cucinare o tenere più o meno in ordine la casa, anche se per me solo, l’idea di mettermiaifornelli misembra superflua: Esco di casa e vado al cimitero, le parlo e le racconto come non ho mai fatto quando eravamo insieme; ci fosse almeno la fotografia sarei più contento, così parlare rivolgendomi a un pezzo di marmo, non mi sembra tanto bello. Giungono quotidianamente inviti anche da persone la cui conoscenza era superficiale, comprendo che è una forma di benevolenza nei miei confronti, ma mi sembra anche di sentire una certa compassione. Non sono mai stato di grande compagnia, adesso poi, preferisco arrangiarmi da solo, sto cercando di essere forte. Fortunatamente ho mille cose da fare in casa e fuori e, specialmente svolgere le mie attività fuori casa fa venire sera in un baleno. Alla sera si presenta qualche problema in più; la casa è silenziosa, prima c’era sempre almeno un televisore che parlava, c’erano rumori di ogni tipo, una sedia spostata, un oggetto 152


C’era l’acca che cadeva, il telefono che squillava, la sua voce che mi diceva delle cose e io con la testa dentro in quello cui mi stavo dedicando, ero costretto a farglielo ripetere. Di norma non faccio rumore, con la televisione ho un rapporto abbastanza strano: l’apparecchio da una parte, io dall’altra; non come lei che aveva i suoi appuntamenti fissi e guai se per caso non poteva seguire i suoi programmi. Nel tardo pomeriggio mi sorge spontanea la domanda di tutte le sere: <Cosa mangiamo stasera?> sto per formularla, ma mi fermo in tempo, a chi lo chiedo? Guardo una cosa su Internet, penso sia interessante, mi alzo per andarglielo a riferire e mi trovo davanti una stanza buia e mi viene il magone. Mi corico allungo una mano, una gamba e trovo il vuoto, una volta, tante volte; sono solo, mi commuovo e le lacrime iniziano a scorrere bagnando il cuscino fino a che il sonno pietoso mi porta via. In sogno la vedo, giovane bella, ma anche allo stato recente un po’ sfiorita, comunque per me sempre bella e cara. Al mattino, mi viene spontaneo preparare due tazze, ma mi fermo in tempo, poi inizia la giornata, vai vieni, fai qualche commissione, fai un giretto, parla con uno, con l’altro, la giornata vola, ma alla sera chiusa la porta di casa se voglio vedere un’altra persona, devo guardarmi allo specchio. Forse sto diventando matto, con l’immagine riflessa dallo specchio chiacchiero, riferisco come è passata la giornata, chiedo addirittura consiglio. Poi la cena con un piatto solo, il letto con tanto spazio da vendere, il silenzio assordante. Un pachino mi crogiolo nel mio dolore, penso, rivivo, mi ac153


C’era l’acca corgo di sorridere a volte al ricordo di aneddoti divertenti, di sguardi che senza bisogno di parole esprimevano i sentimenti di uno per l’altro. Quante occasioni sprecate, quante volte sarebbe stato sufficiente dire una parola per livellare piccoli screzi, piccole incomprensioni; quante volte abbiamo tenuto il muso pur di non dare ragione all’altro. Tutte vicende piccole, mai situazioni gravi da avere ripensamenti sulla scelta della persona con cui condividere l’esistenza. Tanto più adesso che è troppo tardi per recriminare, per chiedere scusa, per perdonare, per fare un complimento, scorre come un film la lunga vita vissuta insieme e devo viverla da solo. <Ti ricordi quella volta che.....> ma a chi sto parlando? Domani mattina per prima cosa vado a raccontarla alla lastrina di marmo, chissà mai che là dietro possa sentire e magari in sogno tornare a parlarne con me.

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C’era l’acca Dikra di El Habibi Nadia Dikra guardava la donna che la stava fissando. In realtà non capiva chi fosse. Cosa ci faceva nella sua casa? Ora si era alzata e le aveva portato da mangiare. Era, forse, nna domestica? Come mai, però, alcune volte si sedeva davanti a lei e le faceva strane domande sulla sua identità, su dove abitasse o che anno fosse? E perché continuava a fissarla quasi sotto choc, delusa, dalle sue risposte? E perché non riusciva proprio a ricordare il suo nome? Perché non riusciva a ricordare? Il suo nome- Dikra- in arabo significa “ricordo” e come se il Destino volesse scherzare con lei, la rese così, rese la sua mente incapace di trattenere i ricordi soprattutto quelli recenti. Si ricordava benissimo, anche nei minimi dettagli, le cose più vecchie come le esperienze della sua adolescenza, la scuola superiore e l’università, il suo matrimonio con Edoardo... “Dov’è Edoardo? Chiamalo che gli voglio dire una cosa”. Quella donna continuava a guardarla come se fosse sbagliato chiedere di voler parlare con il proprio marito. Non le voleva dare una risposta. Quella donna sembrava cattiva, se ne andava quando lei stava ancora parlando e ad alcune domande, come questa, non rispondeva neanche. Le prese le mani come per consolarla, si alzò e se ne andò. Sembrava pure volesse piangere. Ma che aveva? Davvero strana. A suo marito era successa, forse, qualche brutta cosa? “Edoardo! Edoardo vieni!”. Ma nessuna risposta. Ritorna quella donna. Ha in mano qualcosa, forse un libro. No, è un album fotografico. “Hai voglia di vedere le foto? Guarda ci siamo tutti!”. Le foto del matrimonio, dei figli, i suoi tesori, dei compleanni, delle recite, di una vita, di tutte le loro vite. Giusto. Lorenzo e 155


C’era l’acca Aurora. Ognuno con la sua vita. Era veramente fiera di loro. Fiera dei suoi due figli. Lorenzo era diventato professore universitario di matematica. Lui era stato una scoperta. Erail figlio più piccolo e a scuola andava malissimo. Non sarebbe chi è ora se la psicologa scolastica non avesse parlato di dislessia, una parola che loro non avevano mai sentito prima. All’inizio ne avevano avuto anche paura.. “Nostro figlio dislessico?!”, pensavano intimoriti. Poi, però, si informarono e si imboccarono le maniche sia lei sia Edoardo per trovare il suo metodo di apprendimento. Fu una sorpresa quando capirono che la matematica divenne la sua materia preferita, divenne tutta la sua scuola ed aiutava sua sorella anche in argomenti più complessi che la sua professoressa non aveva ancora spiegato ma che lui aveva già studiato su Internet o sui libri nei capitoli successivi. I numeri divennero il suo gioco preferito. Divennero il mezzo che utilizzava, non solo per risolvere problemi matematici o equazioni complesse, ma proprio per spiegare a modo suo la realtà. Era buffo pensare che la materia che i giovani odiano per un pregiudizio, era diventata la causa del suo successo scolastico e che lo aveva anche aiutato per il suo futuro. Lui abitava lontano, a New York, ma lo sentivano sempre per telefono, su Skype o Facebook e sia lei sia Edoardo erano orgogliosi di lui. Erano orgogliosi di entrambi i loro figli. Aurora era diventata manager di un’azienda pubblicitaria. Una donna in carriera che ora stava con lei badandola. Aurora. Alcune volte la scambiava per la badante. Che risate! Alcune volte si sentiva fuori dal mondo e scambiava pure la figlia per una badante! Ma erano solo alcuni momenti. È la vecchiaia! E alcune volte si scambia il presente con un’altra dimensione e si rivivono i ricordi. Niente di grave. 156


C’era l’acca “Aurora, guarda com’eri! Guarda che caschetto!”. E si mise a ridere con la stessa semplicità e ingenuità che anche i bambini posseggono. Anche Aurora sorrise. Quei momenti erano bellissimi e unici. I momenti in cui l’Alzheimer lasciava sua madre in pace, la lasciava sorridere. Duravano in maniera differente ed erano sempre inaspettati. Era diventato per lei molto importante aspettare quegli attimi anche se alcune volte pensava fosse tutto inutile, come quella volta che sua madre disse alla zia che lei, la domestica, non le dava da mangiare da quattro giorni. “Aurora, guarda com’eri! Guarda che caschetto!”. Ripeteva le cose anche tre, quattro, cinque volte senza rendersi conto. Alcune volte Aurora perdeva la pazienza e le rispondeva con un tono di voce più infastidito oppure si alzava senza rispondere affatto. Solo dopo, però, si accorgeva di aver sbagliato. Solo dopo capiva che lei, sua madre, non lo faceva apposta. Per lei il tempo aveva alcune pause e brevi rewind. Era diventato questo il suo mondo involontariamente. Per starle accanto aveva trascurato sé stessa e il lavoro. La mattina si svegliava senza più idee nuove e senza la voglia di prima. Parlava sempre con suo fratello ma cercava di nascondere le sue preoccupazioni e il suo dolore. Lei era sempre stata così: si accollava tutti i problemi. Suo fratello, inoltre, era molto sensibile e avrebbe preso il primo aereo nel sapere che aveva bisogno di un aiuto. Per ora Aurora cercava di farsi bastare le sue visite fatte di tanto in tanto durante le vacanze. Il suo fidanzato capiva ed era molto fortunata per la sua pazienza e il suo amore. Lui, quando si sfogava e quando vedeva il dolore nei suoi occhi, cercava di calmarla e di ricordarle che era una malattia incurabile e che doveva prendersene cura senza rimanere delusa dalle cose che diceva. L’unica cura 157


C’era l’acca era cercare di farla sentire a suo agio e farla ridere e rendere allegra la maggior parte del tempo. Lui, invece, doveva fare in modo di trattenere la sua infinita pazienza che stava per trovare la fine. Più che altro gli mancava Aurora che sentiva, piano piano, scivolare dalle sue mani. Aurora pensava, poi, a suo padre. Tutto era iniziato dalla sua morte. Era stato uno choc per tutti, era inaspettata proprio perché non era malato e non aveva dato segni. L’unico segno è stato, forse, il fatto di non aver curato l’orto la mattina del suo ultimo tramonto. Tutti poi si ripresero, dimenticarono il dolore e ricordarono i bei momenti che avevano passato con lui e le cose che aveva loro insegnato e i segreti della vita che aveva loro rivelato. Lei, però, fu come se fosse stata bombardata. Era come una città rasata al suolo che rimane per sempre segnata anche se viene ricostruita dall’inizio. Iniziò a mostrare i primi sintomi della malattia: non usciva più, aveva degli attimi di rabbia, a volte aveva uno sguardo perso e pensava, pensava a qualcosa di profondo senza rispondere a chi le stava chiedendo qualcosa. All’inizio pensava che avesse dei miglioramenti ma poi Aurora capì che non erano miglioramenti ma solo dei momenti di lucidità. I momenti che divennero per lei l’obiettivo e il senso delle giornate che viveva ogni giorno.

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C’era l’acca Il moscerino parlante di Fanucci Ivan Un giorno Michele, chiuso in un manicomio, se ne stava solo in camera a guardare fuori dalle finestre sbarrate il giardino. Gli psicologi si arrovellavano le meningi per capire come mai Michele da un giorno all’altro avesse smesso di parlare. Lui provava a far uscire dalla bocca i suoi pensieri ma il fiato non usciva e rimaneva muto a fissare i medici mentre loro lo interrogavano. A volte sembrava che non capisse nemmeno cosa stessero dicendo come se parlassero una lingua di un lontano paese. La psicologa che lo seguiva gli prescrisse svariati medicinali, provò a comunicare con lui in svariati modi ma nulla, sembrava che il mondo della comunicazione si fosse chiuso per sempre al povero Michele. Poi un giorno la psicologa notò che Michele guardava con estrema attenzione in un punto fisso e le sembrava dagli impercettibili movimenti del viso che si intendesse con quel punto e rincorrendo il punto di vista di Michele notò che si spostava, girava nel vuoto ma lei non vedeva nulla. Forse, pensò la psicologa, lui stava interagendo con una figura inventata da lui con la quale cercava di esprimersi ma ad un certo punto lo sguardo di Michele si fissò sul suo volto, più precisamente sul naso della psicologa. Lei rimase a fissare il ragazzo per un po’ ma poi capì che non stava fissando lei ma qualcosa sopra il suo naso, strabuzzò gli occhi e vide una piccola figura scura che gli faceva prudere il naso. Era un piccolo moscerino, lei senza rendersene conto lo scacciò via per il prurito e Michele per un soffio non si mise ad urlare. -Per poco non mi uccideva- disse il piccolo moscerino a Michele. - Già, ho avuto paura per te – disse il ragazzo. -Come mai non parli con la dottoressa?- disse il moscerino posatosi sui capelli del medico – Non ho nulla da dire alle 159


C’era l’acca persone, ho parlato tanto in vita mia – disse Michele – Ma loro si preoccupano per te, ti vogliono bene, non vuoi rivedere i tuoi? Non vuoi uscire di qui? Io sono solo al mondo non ho famiglia, la mia vita è corta, sono nato dalla frutta sul tuo tavolo e probabilmente morirò qui con te in solitudine e un giorno non mi vedrai più, se tu uscissi di qua e mi portassi con te probabilmente vivrei le mie ultime ore all’aria aperta!- e Michele gli rispose – Non so come, non so più neanche parlare! La dottoressa fissava Michele, che fissava il moscerino con aria tesa, cercando di capire cosa si dicessero; ma poi pensò di non farsi influenzare dalla cosa, e ritornò a concentrarsi su Michele. Era venuta l’ora di cena quindi la psicologa salutò il ragazzo e fece entrare gli infermieri con i medicinali e con la cena, la psicologa disse ad un infermiere di lasciare la frutta vicino allo spiraglio della finestra aperta. - Arriva la pappa – disse il moscerino – E sento anche la brezza dell’aria esterna, sono tentato di uscire a vedere come è là fuori ma so che tu sei solo e quindi ti terrò compagnia – Michele sospirò e lo ringraziò e dopo aver mangiato di fretta e furia si sistemò sul lettino mettendosi a dormire. Il ragazzo svegliatosi di buon ora andò a guardare la frutta sul davanzale ma vide il corpo del suo caro amico a pancia all’aria e si mise a piangere. Poi tra un singhiozzo e l’altro lentamente sentì delle vocine provenire dalla frutta, si avvicinò e vide dei minuscoli vermini che sguazzavano nella polpa di una pesca lasciata li sul davanzale e Michele si colmò di gioia sapendo che non sarebbe rimasto più solo ancora per poco, ma arrivò l’infermiere che raccolse la spazzatura rifece il letto e buttò via la frutta andata a male. Michele voleva fermarlo ma non sapeva come, cercava di urlare con tutte le sue forze era disperato, come se gli stessero strappando l’unica gioia dai suoi tormenti, ma non riuscì a fare nulla. 160


C’era l’acca Qualche ora più tardi la psicologa entrò nella stanza e vide il ragazzo in un angolo che stava piangendo, subito per intuito guardò la finestra e non vide la frutta che aveva ordinato di lasciare sul davanzale. Lei indicò quel punto e Michele fece segno con la testa, poi pian piano si avvicinò alla dottoressa e lentamente la abbracciò lei lo accarezzò sulla testa. Michele aprì la bocca e disse – Hanno, ucciso i suoi piccoli – lei gli chiese di chi erano i piccoli e lui disse – Del mio amico – lei gli chiese quale amico. - Del mio caro amico moscerino.- e tornò ad abbracciarla piangendo.

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C’era l’acca Conquista indimenticabile di Ferri Cinzia Nella vita ci sono tanti momenti tristi che sembrano insormontabili. Ho passato un’infanzia felice ed una adolescenza abbastanza complicata a causa delle mie paure e depressione, dovute al fatto che avevo lavori saltuari. Finalmente dopo tanta fatica ho avuto il lavoro a tempo indeterminato durato fino al febbraio 2011, anno in cui sono andata in pensione. Mi chiamo Cinzia e purtroppo vivo in questa subdola situazione di ansia depressiva , da cui naturalmente voglio cercare di distaccarmi, ma purtroppo faccio parecchia fatica, i risultati sono scarsi. Il miglioramento avverrà sicuramente e desidero ardentemente uscire da questo stato d’animo, che mi crea problemi anche fisici. Per chi legge queste righe sembrerà una banale conquista, ma per chi la vive è molto faticosa. Giorno per giorno cerco di cambiare il mio modo di ragionare con pensieri positivi , sto cercando di conquistare Il mio spazio morale reale nella vita di tutti i giorni, perché è bello poter vedere con gli occhi aperti e limpidi quello che possiedo. Ho una bella famiglia composta da: mio marito e da due figli ormai grandi, un maschio Matteo di 28 anni e una femmina Chiara di 26 anni. Sono grandi e hanno la loro vita , io devo imparare a vivere anche quando non ci sono e mi sento sola con una gran voglia di piangere. 162


C’era l’acca Prendo delle medicine per la mia depressione, ma voglio cercare di riuscire a vincerla, ma è faticosissimo, mi sembra che da un momento all’altro mi debba succedere qualcosa di poco piacevole. La mia conquista enorme è scrivere di me stessa, non è per niente semplice, ma voglio riuscire a farlo per potermi confrontare con le persone che mi leggeranno. Sono una persona fisicamente abbastanza piacevole, ma con questa malattia, così va chiamata, sono con il viso sempre triste, che non è di mio gradimento, ma prometto solennemente , che cercherò di sorridere ogni giorno di più. Amo le amicizie, ma quelle vere, che purtroppo sono rare, sono una buona ascoltatrice, ma non so esprimermi per farmi capire bene dagli altri. Mi piace la natura, la montagna, il mare, i viaggi, anche se in questo momento ho paura ad affrontarli. Moralmente sono un po’ a terra, ma ho voglia di vivere serenamente, vi sembrerà strano che io scriva per questo titolo di racconto, ma voglio suggerirvi che venirne fuori da questa situazione è oltre una grande conquista. Non è una banalità stare in questa condizione, ma è un periodo , s’è così si può chiamare, di dura prova che solo la speranza di venirne fuori ti aiuta ad andare avanti . Non ho solo pensieri negativi, ma anche positivi, che sono quelli che preferisco. Il mio motto è vivere ogni giorno con amore e speranza verso il prossimo e sé stessi. Pensare agli altri aiuta molto la mente a staccarsi dai pensieri tristi, questo è un enorme sforzo che cerco di sviluppare in me per non rimuginare sui miei problemi.. Sono una persona che riesce poco a parlare di stessa, a parte ripetermi che sono psicologicamente a terra, questa è una 163


C’era l’acca mia teoria sbagliata, anche se con fatica sono quasi sicura di venirne fuori da questa situazione. Conquistare la libertà di veduta della propria vita, è veramente pesante, ma analizzandomi a fondo capisco che tutte le mie angosce sono dovute al fatto che gli anni passano e sto invecchiando e ho paura di perdere i mie figli e di morire. I ragazzi vanno per la loro strada si sposano o convivono non si perdono perché li vediamo e sentiamo sempre, non abbandonano i genitori e magari, con il passare degli anni , ci donano dei nipotini, e per me diventano una specie di fotocopia della Chiara e di Matteo, ma bisogna stare molto all’erta perché ogni bambino è un essere a sé, che va amalgamato seguendo il suo carattere. Le sensazioni che provo dentro di me sono come una miriade di stelle, positive e negative, il passare degli anni mi rende più riflessiva, ma non sempre riesco ad essere lucida nei miei ragionamenti, ho paura del presente e del futuro. Questa specie di altalena che provo dentro di me mi fa vivere come se fossi in sospeso e aspettassi da un momento altro un miracolo, che naturalmente posso solo fare con le mie forze e l’aiuto di Dio. Era una giornata né triste né allegra mi siedo al computer e cerco di buttare sopra i fogli delle parole, sento dentro di me una forza che mi spinge a scrivere questo racconto di me stessa.. Ogni parola è uno sforzo, ma più proseguo più provo dentro di me la voglia di scrivere, è una percezione grande, come se queste pagine, anche se poche sono una liberazione del mio essere. Questa breve narrazione, non è stata facile sia fisicamente che psicologicamente, non so se sono riuscita nel mio scopo di farmi capire, ma almeno ci ho provato. 164


C’era l’acca Mi sento soddisfatta della mia piccola conquista, secondo me è un passo avanti verso la mia guarigione morale ed un atto d’amore verso me stessa.

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C’era l’acca Italo e la sua filosofia di vita di Firinu Greca Ogni mattina di questa strana estate, alle prime luci dell’alba, nella spiaggia bianca spiccava un solo ombrellone, rigorosamente chiuso, usato come porta abiti; in prossimità un signore sdraiato sulla sabbia si contorceva stranamente. Non riesci a capire il significato dei suo movimenti, poi, a guardarlo bene, ti accorgi che lui fa una specie di ginnastica che gli permette di mantenersi in forma e andare avanti. Le prime volte che l’ho visto mi sono chiesta cosa fosse successo a Italo, questo è il suo nome; un signore che ha superato i 70 anni, e che se ti avvicini e gli parli è felice. Come un fiume in piena ti racconta di sè orgoglioso e fiero per quello che è stato e quello che è diventato dopo che è riuscito a ricomporre i cocci della sua vita. Gli altri avrebbero desistito, lui no; forte del fatto di aver vissuto sempre in modo sano e di aver avuto una vita ricca di soddisfazioni e d’amore, non si è arreso alla perdita della compagna e nemmeno all’ictus che lo ha colpito dopo qualche mese. Ha raccolto il suo coraggio e ha programmato la sua nuova esistenza ritagliandosi degli spazi e una filosofia di vita che lo contraddistingue. Lui vede sempre e tutto positivo, anche ora che combatte contro un nemico che ha invaso in parte il suo corpo; non si arrende mai e, convinto salutista, sfrutta le doti di ex pugile e misura la forza sfidando a parole e con i gesti anche i ventenni, nonostante i suoi limiti. Spavaldo e fiero di quello che era e sente di essere ancora, ha un’immensa forza di spirito e di volontà che fortemente lo sostiene. Racconta della sua giornata lavorativa quando accudisce le piante nel vivaio dei figli, seguendo attorno alla casa il suo amico sole che gli riscalda il corpo e il cuore come ripete alla fine di ogni suo discorso. 166


C’era l’acca Poi si alza e guarda il mare. Claudicante si avvicina alla riva e si tuffa di lato, dall’unico lato del suo corpo che ancora gli risponde. Riappare dal fondo marino e nuota con un braccio e con una gamba sola; cambia stile, la sua forza si unisce a quella del mare. Chi si accorge dei suoi limiti, rimane stupito nel vedere che quella che sembrerebbe un’anomalia viene annullata dalla forza di volontà. Lo guardo ancora stupita e quasi gelosa; con l’acqua ha stabilito un rapporto idilliaco, di amore e rispetto reciproco. Quando esce si sdraia sulla sabbia che comincia a riscaldarsi e si lascia accarezzare dai tiepidi raggi del primo sole del mattino; ora ricomincia la sua ginnastica; con l’arto sano sostiene quello che non funziona più, ti intenerisci tutta pensando alla sua lezione di vita! Italo si improvvisa maestro e consigliere verso le persone che hanno bisogno di fare movimento: inabili, obesi, pigri e quant’altro e dispensa consigli a volontà. Un giorno mi ha raccontato che la sua sveglia suona alle cinque di mattina. Dopo un’ora prende la sua auto con i comandi speciali e percorre i 10 km che separano la sua casa dal mare; questo succede da marzo a novembre. Spesso non lo ferma neanche la pioggia, e si vanta di non sapere cosa sia un raffreddore. Dopo circa tre ore di permanenza sulla spiaggia, il tempo è scaduto. Si riveste, non sono ancora le dieci di mattina e, con il suo ombrellone usato ora come un bastone che lo sostiene, risale la spiaggia soddisfatto, con la camicia su una spalla, ma non prima di avere salutato gioiosamente le persone che tutti i giorni condividono con lui momenti di autentico relax. A me che sono in sovrappeso mi raccomanda sempre di fare movimento e di non arrendermi mai!

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C’era l’acca MALATO di Gaslini Stefano Sono un ragazzo che sa di essere sieropositivo all’ HIV dal 1998. Io sono del 1968. Direi che mi sono ammalato presto, molto presto. Dal 2000 mi trovo sulla sedia a ruote a causa dell’ HIV e non mi trovo affatto bene. Per fortuna l’intelletto ed il buon senso non sono stati toccati ma però non so più stare praticamente in piedi. Ho fatto visite mediche e fisioterapie ma oggi devo dire a malincuore che ormai mi sono rassegnato. Troppe barriere architettoniche e la sofferente idea di non poter mai più camminare.

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C’era l’acca Ritardo fatale di Giuseppe Moscati Stavo percorrendo di continuo, in lungo e in largo, la stessa via del centro. Mi chiedevo come mai fossi solo. Mi chiedevo il perché di così scarsa attenzione ai miei movimenti. E mi chiedevo anche quanto tempo ci avrei messo a farmi una ragione, finalmente, del mio problema. Ah, già, voi non sapete a quale problema mi riferisco: zoppico, zoppico vistosamente e da quando sono nato. Dico “mio” problema perché in efffetti è mio e solo mio. Nessuno me lo toglie, nessuno me lo allevia; anzi, spesso e non so se anche volentieri l’indifferenza e il silenzio fanno sì che questo mio problema si ingigantisca, che in qualche modo venga esasperato. O forse sono io stesso che lo esaspero e che mi esaspero. Beh, insomma, percorrevo quella strada cittadina e mi guardavo intorno, evitando il più possibile di posarmi a terra; poi mi sono spinto più avanti, fino a raggiungere un bel panorama e a ricadere giù, verso un fosso. Ho così preso una scorciatoia e mi sono ritrovato in un batter d’ali in aperta campagna. Ma non ero solo, gironzolavano lì anche altri piccioni, che erano in gran fermento e decisamente poco attenti a me. Tutti guardavano nella stessa direzione, incuriositi da chissà cosa. Là, in fondo alla stradone che mi si parava davanti, c’era del resto un gran movimento di umani. Dapprima non capivo, mi sembrava tutto così confuso; e mi sono avvicinato, svolazzando di qua e di là con indifferenza, senza farmi notare. Ecco cosa c’era, c’era un funerale. Ma tutti si lamentavano e sapete perché? Perché la cerimonia non iniziava mai... In realtà era in ritardo il morto! Tutti stavano sulla soglia della chiesa ad attenderlo, ma lui – un vecchietto arzillo e dal baffo mirabilmente arricciato, pare – non voleva saperne di morire. E 169


C’era l’acca non arrivava mai. Se ne stava dentro di sé, intento a giocherellare ancora un po’ con il suo vissuto. Che aspettino, quelli, e che sbuffino pure! Prenditela calma, vecchio mio; goditi il pensiero che tanti smaniosi ti aspettano al varco senza neppure immaginare che te ne stai lì ad accarezzarti i baffi alla faccia loro. Anch’io penso che me la prenderò calma. Un po’ zoppicando e un po’ svolazzando me ne risalirò verso il centro in cerca di qualche ala amica.

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C’era l’acca Amiche di Infanzia di Lazzeri Daniela Nulla si asciuga più in fretta di una lacrima… Anna aveva dieci anni, era abbastanza alta ma cicciottella, aveva i capelli neri ricci molto ribelli che teneva legati in un fiocco blu e due enormi occhi azzurri. Viveva nelle case popolari di un piccolo paese che contava poche anime, la madre era casalinga ed il padre svolgeva lavori precari, aveva due fratellini più piccoli e un gatto che aveva trovato un giorno dietro casa malconcio e che aveva raccolto portato a casa e curato. Il suo sogno era quello di diventare veterinario, perché amava gli animali, ma a scuola non andava molto bene vista la sua situazione familiare e questo per lei sarebbe rimasto un sogno ma a volte i sogni si avverano, ma procediamo con ordine. Anna architettava quasi sempre delle “birbonate”, un giorno con la palla ruppe la finestra della classe della preside, un altro giorno fece un “volo” che quando atterrò in terra c’era rimasto ben poco di sano. Un giorno mentre stava passeggiando per un viottolo di campagna giunse in prossimità di una fattoria. Il tempo era caldo e afoso ed essendo stanca si soffermo’ sotto un albero ad osservare la fattoria. Era una grande casa corrosa dal tempo, con le persiane verdi e sull’aia i polli beccavano i chicchi che il contadino aveva posto a seccare. Sulla soglia di casa un grazioso uccellino saltellava tra un ramo e l’altro di una gabbia. La sua prigione era di stecche di ferro dipinte di azzurro. L’uccellino prigioniero era un grazioso canarino e guardava 171


C’era l’acca tutto con occhi malinconici e tristi, seguiva con un mesto sguardo gli altri uccellini che libravano allegramente nel cielo azzurro ed i suoi occhi erano pieni di nostalgia. Cantava timidamente e con poca volontà forse rimpiangeva la perduta libertà, certamente rammentava quando in compagnia dei suoi fratelli uccelletti giocava a rimpiattino sulle piante tra le verdeggianti fronde. Nella sua triste prigione non gli mancava nulla, aveva cibo a volontà, la sua vaschetta era piena di acqua fresca ma gli mancava solo una cosa : la libertà ! Anna continuo’ a camminare intorno alla grande fattoria ed ad un certo punto dai vetri vide una bambina, avrà avuto più o meno l’età di Anna ma aveva una tristezza infinita nello sguardo, lo stesso sguardo che vide negli occhi del canarino , usava quella finestra come un sipario per mezzo di essa poteva osservare le vicende della vita, osservare il tramontare del sole o la pioggia che cadeva, poteva vedere gli altri bambini correre, giocare con la palla, lei no non poteva farlo, lei era su una sedia a rotelle. Elisa era una bambina esile dallo sguardo triste e malinconico, rimaneva spesso da sola con i suoi pensieri, i suoi unici amici erano i libri, Elisa amava molto leggere, leggeva e fantasticava. Quel giorno l’aria era diventata improvvisamente tiepida, il cielo era sereno e dolce come una carezza. Anna si avvicinò piano alla finestra e con la mano fece un gesto di saluto verso Elisa, non so cosa accadde esattamente in quel momento ma so per certo che quando i loro occhi bambini si incontrarono da dietro una finestra in quel lontano giorno di primavera non si lasciarono più, forse perché la primavera porta sempre con sé un senso di risveglio, una rinovellata speranza, una promessa di giorni migliori e dentro ognuno di noi c’è sempre qualcosa che rinasce. 172


C’era l’acca Fu così anche per Elisa, la forza la tenacia di Anna da quel giorno le hanno cambiato la Vita, è volata aldilà dell’oceano per quella operazione tanto temuta quanto rifiutata che poteva farla tornare a camminare. E Anna da Elisa imparò ad amare i libri, con il passare del tempo apprendeva sempre di più. Oggi Anna e Elisa hanno in viso diverse rughe in più. Anna è riuscita a diventare veterinaria coronando il suo sogno ed Elisa ha fatto molti progressi ora riesce se non proprio a correre a camminare a piccoli passi. Quei passi che ancora oggi per mano le conducono randage sotto le stelle, calcando le vecchie e note strade del loro piccolo paese che entrambe continuano ad amare.

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C’era l’acca Ogni mattina di Leone Daniele Anche stamane è lì. Sulla soglia. Aspetta. È una strana e vecchia signora, poi neppure così strana, è anziana e per gli anziani è una cosa naturale aspettare. Lei si pone sulla soglia del portone di casa e aspetta. Lo fa quasi tutte le mattine, salute permettendo. È una signora bassa, ancor più bassa per effetto degli anni che non si sono fatti scrupolo di infierire sulla sua altezza. La vedo spesso ed ho capito, intuito, il suo fare ed il suo obiettivo. La soglia di casa sua ha un alto gradino, per lei è un grosso ostacolo ed allora aspetta che qualcuno passi, poi con una espressione rodata ed assolutamente efficace attira l’attenzione del passante, basta un cenno, un gesto, poche parole, forse neanche di senso compiuto e questo si avvicina, le porge il braccio e lei finalmente in strada la può attraversare, per recarsi in chiesa. La chiesa è proprio di fronte alla sua casa, neppure dieci metri separano la sua soglia da quella sacra. Eppure ogni mattina lei deve varcare quel guado, per lei impossibile, che è il gradino; non la strada, con i suoi automobilisti indisciplinati, ma quel gradino invalicabile per lei ed il suo bastone. Mi stupisce questo suo affidarsi al genere umano ogni giorno, ogni mattino, con tanta paziente fiducia. Arrivo a pensare che solo un’anziana signora può essere così fiduciosa. Forse è perché chiede così poco che può essere certa di ottenerlo, forse è questo il segreto, il trucco: basta chiedere poco al genere umano e allora te lo offrirà. La signora sa bene che a quell’ora i ragazzi passano proprio di lì per recarsi a scuola e la sua è una certezza: qualcuno tra quella giovane umanità le porgerà il braccio, basterà portare pazienza. 174


C’era l’acca In fondo le mie riflessioni sono proprio sciocche, quel che mi pare strano e inusuale è in realtà assolutamente ovvio e banale. Io stesso, ogni giorno, mi affido per la mia vita alle azioni degli altri con l’assoluta certezza che queste si compiranno. In fondo anche io ogni giorno chiedo ai miei simili tanti piccoli gesti, che mi sono indispensabili e li ottengo perlopiù. In fondo anche io mi affido fiducioso al genere umano; ogni giorno, ogni mattina. Oggi comunque è toccato a me, sono io caduto nella tela che ogni giorno la signora trama con il suo sguardo. Le ho offerto il braccio e lei mi ha bisbigliato poche parole che mi hanno fatto sentire sciocco ancor più. – Grazie, può chiudere la porta per cortesia? Non è il gradino il suo vero ostacolo ma la maniglia di quel vecchio portone, troppo alta per essere chiusa da lei una volta in strada. Non si fida poi così tanto del genere umano: la porta la chiude!

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C’era l’acca Il vestito di Marco Pellegrino Dal bagno la vecchia lavatrice centrifugava il vestto, imponendosi come l’unica cosa viva della casa, in un ritmo senza regole, come un ballo atavico e popolare. Il nostro storico orologio a muro, nella cucina, rispondeva con la sua tmida voce regolare, che già aveva accompagnato 50 anni di matrimonio, di gioie e urla, feste, fgli e nipot. Mi sembrava di poter vedere tuto insieme, in quella piccola stanza: tute le persone, sentre le migliaia di discorsi fat, le risa, i nostri passi, le nostre azioni, le cene, le lit…tuto. Tuto proteto da quel dogmatco silenzio di mezzanote che, ora, cuciva lei ad un sonno profondo. Sì, perché lei stava dormendo, con la testa adagiata sulle braccia in croce; il corpo piegato sul tavolo; la cicca spenta sul bordo di un posacenere colmo. La disperazione, in forma di labbra, sugli orli di un bicchiere di vino rosso. La pianta di basilico greco troneggiava al centro del tavolo, con le sue piccole foglie pregne di profumi incontenibili che liberavano gli umori di un’estate stanca e bruciata, ormai avviata verso setembre. Le formiche ostnavano percorsi silenziosi tra le fnte venature di quella superfcie in fòrmica, destreggiandosi tra i rest di una cena leggera e consumata velocemente. La note andava costruendosi con quest element essenziali e indispensabili, più del buio, delle stelle o di una luna obesa in qualche punto del cielo. La note erano le sue spalle e il suo corpo di donna anziana e canuta, il moto regolare dei suoi respiri stancat dal vino che l’aveva tessuta alle trame del sonno. La nostra note era quel canto meccanico di lavatrice che, dalla stanza atgua, mi ricordava che tuto questo sarebbe fnito, che quellasarebbe stata 176


C’era l’acca l’ultma, tra le tante not trascorse insieme. Guardavo mia moglie dall’altro lato di quel tavolo vecchio come noi due, stoico e resistente come lei, rotondo e fuori moda come me, che ero calvo, con i baf e una pipa spenta, sempre streta tra le labbra. Come fare a dire dove si trovasse? Era lì, davant a me, a pochi centmetri di una distanza infnita. La osservavo con gli occhi di un inseto, con le misure delle formiche che s’agitavano soto il mio naso. Lei, grande e lontana; io, piccolo e veloce, ma sconfto dalle lunghe fughe del tavolo che mi portavano a lei, seguendo un tracciato interminabile e sfancante. Forse per la prima volta notai le rughe sulle sue braccia, quella pelle magra e cascante che copriva mani artritche e tortuose. Solchi enormi, strade sterrate verso un vecchio casolare di campagna; ed io a percorrerle, come un piccolo inseto leggero, mi sentvo un esploratore di terre mai scoperte da altri e il cui unico dirito di citadinanza spetava alla mia curiosità e alla mia passione di averla. L’amavo. L’amavo. Trovai dapprima un odore di sale, profumo di cose di mare e di sole che si ravvivarono nella mia memoria. Sentvo più forte il suo batto, la sua vita come terra soto il mio esile corpo di formica, come suolo da difendere senza l’ansia di recint o mura perimetrali. Era tuto lì, il suo respiro lento, concentrato in una musica di macchina, di fabbrica, industria senza operai. Mi misi a ridere, baciandole quella muta gofaggine che ondeggiava fno alla sua chioma di capelli bianchi, al ritmo di un sonno a trat agitato, la cui tristezza profonda era un fume soterraneo, da trovare solo scavando, scavando, scavando. Mossi verso il suo viso, impossibile da vedere, perché coperto 177


C’era l’acca dalle braccia che le facevano da cuscino. Arrivai vicino al suo orecchio destro, una grota immensa e accogliente, dalla quale potei condividere per la prima volta, insieme a lei, la percezione dei suoni del mondo esterno in un’intma fusione che ci rendeva ancora più unit che in un bacio o in una penetrazione. Luisa, ci pensi, Luisa? Quanto tempo…da qui vedo le tue mani che correggevano i temi dei bambini a cui insegnavi a scrivere e pensare. Vedo la tua schiena curva di donna pensionata, con alle spalle il ricordo del dolore, della fatca. Vedo le braccia che tennero il peso dei nostri fgli, i tuoi capelli che sono, ormai, del colore della luna rifessa sulla neve. Vedo te, in tuto quello che sei. Le sussurrai alcune parole in una canzone, un motvo che conoscevamo da una vita, almeno quella vissuta insieme: …la note su di noi si è sciolta lasciando il buio sulla pelle, ma la luce del sole è sorta nei tuoi occhi, che sono st-Luisa si svegliò di soprassalto, si raddrizzò sulla sedia andando a gratarsi in volto, come fosse infastdita da qualcosa che le era entrato nell’orecchio. L’ispezione terminò con la constatazione di una formica ansimante, appoggiata di schiena, sul tavolo in fòrmica della cucina. Vi sofò sopra spazzandola dal resto dei piccoli animali al lavoro, tra i piat e le posate di una cena consumata da sola. Nella stanza non vi era nessun altro, nemmeno io, i baf e la mia pipa spenta; solo il rumore lontano di una lavatrice prossima alla sosttuzione e il tccheto regolare di un orologio a muro che segnava la prima 178


C’era l’acca ora della matna. Lei era stravolta in viso, occhi piccoli incorniciat da aloni scuri di occhiaie; si guardò atorno con aria confusa e asciugando il sudore che le colava dalla fronte. Butò giù l’ultmo vino rimasto nel bicchiere, lasciando l’ennesima bocca a guarnire il limite del vetro opaco. Il primo sole di Luisa colava a tasselli sulla parete bianca del bagno, quella perfetamente adiacente alla piccola fnestra con la persiana chiusa. Non aveva dormito per ore, destnando la propria veglia all’ascolto dell’atempata macchina che avrebbe lavato e centrifugato il mio vestto, quello bello, elegante, quello delle feste, dei matrimoni dei fgli o dei cugini. Aprì la portcina dell’oblò e lo estrasse ancora umido, lasciandosi tentare dal profumo del bucato che sembrò rinvenire in lei, per un istante, un impercetbile sorriso; avrei deto anche un brevissimo sollievo, se non fosse che ripiombò troppo presto in uno stato di malumore costante, coerente con il pallore lunare del suo viso. Sembrava davvero una piccola luna e i suoi occhi dei crateri profondi e lividi, in fondo ai quali non sarebbe stato difcile trovare acqua, benché la mia istntva convinzione di scienziato mi allontanasse dal credere a qualsivoglia ipotesi di vita. Lasciò cadere con estrema cura il mio completo elegante all’interno di una bacinella di colore blu. Si rialzò trando lentamente su la schiena e, varcata la soglia del bagno, prese a percorrere il buio e deserto corridoio dell’appartamento, in direzione dell’uscita. Si fermò per pochi secondi davant ad una porta chiusa, tradendo la sua pragmatca ostnazione rivolta alle quotdiane faccende della casa. Ne fssò la ma179


C’era l’acca niglia lucida e immobile nell’algido silenzio delle cose atorno. Non cambiò espressione, mantenendo quell’aria sconfta che si impose per troppo tempo sul suo volto di neve, sulla sua diafana magrezza che iniziava a preoccuparmi, poiché già la sentvo morire. Morì in una frase di poche parole, come fumo denso che si scuce a contato con l’aria, quando in piedi, di fronte alla porta serrata della nostra stanza da leto, prese a dire con voce insicura: Luigi, vado a stendert il vestto!. Sembrò esitare un istante, prima di riprendere lentamente a camminare, come volesse aspetare che io le rispondessi dall’interno della camera, dandole conferma dei suoi intent. Ma non lo feci, non aprii bocca, non la ringraziai. Lasciai che il fumo della mia pipa annebbiasse la sua fgura lontana, ingobbita dai setantacinque anni di una vita che sembrava non avesse mai conosciuto la monotonia, il tedio, poiché la noia era un conceto troppo distante dall’esperienza callosa sulle mani laboriose di Luisa. Aveva sempre qualcosa da fare, sempre qualcosa da leggermi o da scrivere. Il suo mestere di insegnante se lo portava fn nel leto ed io ero, forse, il suo alunno più atento, più appassionato e curioso. La spiai dall’angolo del terrazzo, nascondendomi ingenuamente alla sua atenzione che era rivolta, con estrema ritualità, al controllo del mio abito steso al sole, una luce calda e frizzante di fne agosto che avrebbe lasciato il suo odore anche nelle trame invulnerabili dei tessut più resistent. Una camicia bianchissima e un paio di pantaloni scuri da ab180


C’era l’acca binare ad un’elegante giacca dai botoni neri. L’ultma volta che lo indossai fu per il matrimonio di Andrea, il nostro secondogenito, una festa incantevole trascorsa con un centnaio di invitat in un ristorante vicino al mare. Avevo sperato che il lavaggio della note non gli togliesse la memoria di sale e di iodio di quel giorno speciale o alcuni dei granelli di sabbia rimast nelle tasche dei calzoni, dopo una breve passeggiata sulla spiaggia in compagnia di lei e della mia pipa. 50 anni, cosa sono 50 anni insieme? Sono una botglia del miglior vino, costoso e preziosissimo, che vorrest proteggere e centellinare, ma che alla fne t trovi a gustare velocemente insieme agli altri, nella baldoria e col dolore, scoprendo poi, sempre inaspetata, una macchia rossa indelebile sulla tua camicia bianca preferita. Luisa la incontrai per la prima volta in un negozio di tabacchi del quartere in cui abitavo da studente coi miei genitori, poco prima di aprire il mio studio di architetura. Lei era la fglia più giovane del nuovo ttolare e durante l’estate restava in negozio per aiutare il padre nella gestone del locale. Non la notai subito, non me ne innamorai immediatamente, non so come dire…ho sempre creduto che gli altri e, in partcolar modo le donne, siano creature bendate, dal volto coperto e dagli occhi inizialmente inaccessibili. Un po’ come i sogget di alcuni quadri di Magrite, dove un lenzuolo o un telo bianco nascondono l’identtà del volto dell’uomo e della donna, chiamandot a svelarne, col tempo, il contenuto, a immaginare lentamente il sapore dei trat nascost ed omessi. 181


C’era l’acca Luisa mi chiese di sbendarla ed io me ne innamorai. Il vestto era ormai asciuto e assecondava il gioco di un vento fresco e leggero che lo animava vivacemente. La bacinella blu, tra le sue braccia ancora fort, era pronta a contenere i panni asciut. Fu in quel momento che Luisa notò una sdrucitura poco soto la tasca sinistra dei pantaloni. Era un buco, una piccola apertura di cui avevo completamente dimentcato la causa. Il suo dito divenne lombrico, passando da parte a parte nel pertugio dei pantaloni. Ago e flo fecero il loro lavoro, manovrate dalle simpatche colonne tortli che componevano la mano mancina di mia moglie. Pulito, strato e cucito, il vestto era pronto ad essere indossato. Luisa lo piegò tra le braccia con inusuale precisione, con rispeto delle pieghe e delle forme che avrebbero presto assunto sul mio corpo. Il suo animo e il suo volto non avevano mutuato quell’espressione cupa e nera che s’era andata raforzando da alcuni giorni, ma sembrava già più rilassata e appagata per il semplice motvo di aver resttuito al mio abito il suo antco splendore. Percorse, così, il buio e deserto corridoio della nostra casa, tra i minimali rifessi di un sole tenue di fne pomeriggio. Arrestò il suo percorso ancora lì, di fronte alla porta chiusa della nostra stanza da leto, davant a quella maniglia lucida di otone smerigliato che avrebbe potuto rifetere i suoi occhi salini e lucidi, se solo ci fosse stata un po’ di luce direta in quel punto preciso. Entrò nella stanza, immersa nella penombra, ed un odore indescrivibile e intenso, tutavia tollerabile, le sollecitò i ricordi 182


C’era l’acca del giorno in cui vide morire sua madre. Il mio corpo giaceva inerme soto le lenzuola bianche del leto. Bianche come il mio viso, come i miei baf solo leggermente impepat dai ricordi di un colore che aveva ceduto al tempo, alla maledeta vecchiaia, a questa befarda fne di tuto. Ero nudo, proprio come quando nacqui. Gli occhi chiusi, in un’espressione indiferente e priva di colore. Lei evitava di guardare il mio volto, sforzandosi di non inciampare in lacrime. Si accostò alla mia salma, sedendosi ai piedi del leto e iniziando, così, a vestrmi; part dalla biancheria intma, da un paio di mutandoni freschi e pulit, una maglieta bianca e un paio di calzini scuri allungat e stret sulle gambe. A vederlo, sembrava teatro, una funzione, un rito, costtuito da precise regole, gestualità da imparare alla perfezione, prima di eseguirle davant ad un pubblico che non c’era. Proseguì coi pantaloni, la camicia, la giacca nera, la cravata, le scarpe di vernice, mentre una certa precisione violenta, nelle sue azioni, tradiva la disperazione profonda di essere diventata sola. Prima di lasciare la stanza e il mio corpo, perfetamente azzimato sul leto, strinse tra le mie mani fredde, giunte sul peto, la preziosa pipa spenta, che avrei tenuto con me ancora per molto, per l’eternità. Mi lasciò, soto i baf ispidi, un bacio d’addio che aveva la forza della giovinezza su di un corpo di donna anziana e che, forse, avrebbe potuto scaldare anche la mia pelle gelida e inanime, in quella calda sera di fne agosto. Luisa si avvicinò all’unica fnestra della stanza, cercando di 183


C’era l’acca non fare rumore, pensando ingenuamente di non disturbare la morte. Lasciò entrare dalle persiane aperte una colata rosa di sole morente e tuto un motvo di odori di pini maritmi e di mare che, centnaia di metri più lontano, la illudeva che non ci sarebbe stata fne. La sua atenzione fu, poi, allegramente colpita da un guizzo nero sul davanzale esterno. Una formica, insieme alle altre le ricordò, tut’a un trato, che lafuori tuto stava accadendo anche senza di noi.

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C’era l’acca VINCENT* (Racconto edito) di Rocco Alessia La mia tristezza non avrà mai fine. È per questo che vado via, in una notte stellata piena di comete abbaglianti che tagliano il blu cobalto con scie di fuoco. Le ho tentate tutte fratello mio, ma non sono stato capace di resistere. Ho rincorso l’amore e nemmeno quello mi ha voluto, scacciandomi come fossi un randagio. Ora sono qui che aspetto, mentre il respiro si affievolisce e il cuore rallenta. Non sono pazzo fratello mio, non lo ero nemmeno in quella cella fredda dalla quale vedevo il cielo e le cime altere degli alberi. Sono soltanto me stesso e non ho certezze nelle mani, solo nuvole che si inseguono sopra la mia testa. Conosco gli uomini, però. Ne ho carpito quell’intimo segreto che forse domani anche tu riuscirai a vedere e che nemmeno io sono in grado di scorgere sempre, perché è labile come le lacrime. Siediti Theo, e bacia i tuoi figli da parte mia. Quante cose ho creduto, ingenuo com’ero, e mi infervorava la vicinanza di chi era piú grande di me. Anche Gauguin mi ha abbandonato e la colpa è solo mia e delle mie ossessioni. Paul vuole fuggire lontano, là dove il sole accende la terra e le donne portano fiori tra i capelli. Cosí è finito anche quel sogno di vita e arte condivisa. Non giudicarmi fratello mio, la ritrosia mi ha portato a estraniarmi dalle cose del mondo e non trovo pace nella loro contemplazione; non so come spiegarti quell’inquietudine che mi scava cunicoli nell’anima e mi inchioda alla mia disperazione. Invece avrei voluto strapparmi di dosso quell’angoscia e dipingere ancora, vedere la meraviglia negli occhi degli altri, il 185


C’era l’acca clamore delle albe piú rosee, tramonti scarlatti e una ragazza affacciata a una finestra qualunque, una ragazza affacciata sul mio ritorno. Non ho parole fratello mio, se non un breve saluto e la preghiera che in un tempo migliore le nostre anime si ricongiungano sotto un vorticoso gioco di stelle. Ricorderò la casa gialla, i girasoli e la stanza ad Arles. Ricorderò Sien e il suo corpo scarno, la lussuria fugace e malata, il mio lobo sanguinante, i mangiatori di patate e il volto rassegnato del dottor Gachet che tenta di confondere la morte con le sue promesse di salvezza. Theo, è ora di lasciarti al tuo destino. Io raggiungo il mio che mi segue da quando piansi il primo vagito, e che mi trascino dietro come una sposa il suo velo nuziale. Ci rivedremo ancora un giorno, sotto un vorticoso gioco di stelle. *Dedicato a Vincent van Gogh

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C’era l’acca LA VITA ALLA FERMATA di Rogari Catia Elena ricordava tutto con perfetta lucidità... Aveva finito quella lunga e pesante giornata di lavoro, stanca ma felice, salì in macchina pregustandosi il rientro a casa, Mirko la stava aspettando e questa sera la gioia sarebbe stata doppia, già sapeva che lui le avrebbe fatto trovare tutto perfetto era molto premuroso e innamorato. Scontato forse nelle sorprese, ma questo era un dettaglio che Elena non teneva nemmeno in considerazione, erano troppo piacevoli i momenti che passava in sua compagnia, sentiva il suo volto illuminato e il cuore sereno immaginandosi Mirko intento nel prepararle un bel bagno caldo, la cena semplice ma come al solito gustosissima, la tavola minuziosamente apparecchiata...ancora due curve ed avrebbe potuto gustarsi tutto questo. Lo schianto fu terribile, una macchina che percorreva contro mano la sua corsia la centrò in pieno; ai soccorritori le sue condizioni apparvero subito disperate, Elena non dava segno di vita, il verdetto fu drammatico: coma. Come era potuto succedere tutto questo a lui... Mirko guardava la sua Elena inerme nel letto d’ospedale, le macchine avevano preso il posto dei suoi organi vitali. Non riusciva a darsi pace, era già una settimana che consumava tutte le sue lacrime seduto vicino a lei. Nessuno riusciva a portarlo via, non avrebbe permesso che altri si sostituissero a lui, Elena era sua, era tutta la sua vita e se l’avesse perduta, niente per lui avrebbe più avuto un senso, rivedeva in quei momenti la sua vita passata. Reduce dal fallimento del suo primo matrimonio, l’aveva incontrata nel momento più buio della sua vita, stava disintossicandosi dall’alcol e, proprio in quel centro “Di alcolisti ano187


C’era l’acca nimi” l’aveva incontrata, Elena era l’assistente della psicologa. Subito s’instaurò fra di loro una sorta d’empatia, Mirko usciva dagli incontri assolutamente sollevato, lei riusciva piano piano a frantumare il suo dolore e quel calore e senso di benessere che percepiva dopo ogni colloquio si trasformò irrimediabilmente in amore. Come dichiararsi a lei? Come poter vivere questo sentimento con la certezza di non trarne un’altra delusione, ora sarebbe stato troppo, il suo cuore non avrebbe retto. Nulla però avviene per caso e molto spesso le sofferenze non sono altro che il mezzo per portarti a nuove felicità e la felicità aspettava proprio lui dietro l’angolo. Dopo l’ennesima seduta Mirko stava lentamente tornando a casa quella sera con un rimestio interno di sentimenti contrastanti, gustava il suono della voce di Elena che lo accarezzava dolcemente e allo stesso tempo provava paura mista a rabbia, come rilassarsi? Come trovare il coraggio di esternarle tutto il suo amore? Camminava così tutto assorto quando un colpo di clacson lo fece sobbalzare, si voltò e i suoi occhi incrociarono quelli di lei che con uno splendido sorriso lo invitò a salire in macchina, lo avrebbe volentieri accompagnato a casa. Il suo cuore accelerò il battito, le gambe cominciarono a tremare, il suo io prese a rimproverarlo -via Mirko sii uomo, queste sono reazioni da donna, calmati e vai.Con un debole cenno d’assenso salì e, da quel momento la realtà riuscì a superare la fantasia, entrambi si sentirono trascinati dentro una stupenda favola a lieto fine. Si rese conto che le stava raccontando a voce alta tutte queste cose nella speranza che lei lo sentisse quando il primario entrò nella stanza e, distogliendolo dal suo dolore lo invitò a seguirlo nel suo studio: “ Signor Mirko si sieda la prego, la cosa che sto per dirle è molto delicata, si rilassi e mi ascolti 188


C’era l’acca con attenzione” “sono qui dottore... pronto a tutto” “sapeva che la signora è alla terza settimana di gravidanza?” Mirko si sentì mancare, non sapeva niente, avevano desiderato un figlio ma Elena non lo aveva ancora messo al corrente e, saperlo ora così, gli raggelò il cuore. “tuttavia Mirko, se vogliamo tirare fuori il positivo da questa dolorosa situazione, posso affermare che in alcuni di questi casi estremi è stato possibile portare avanti la gravidanza e salvare il bambino... questo potrebbe essere uno di quelli.” Una pugnalata lo avrebbe sicuramente sconvolto di meno, restò per qualche minuto come inebetito senza nessun potere di reazione poi come un’ automa si alzò e andò verso la camera della sua donna e del suo bambino. “La vita è crudele Elena, stavamo per avere tutto anche un bimbo al quale regalare tutto il nostro amore, la nostra felicità, in un momento tutto è sfumato, io non ti abbandonerò amore mio e fin quando ci sarà anche un solo filo di speranza io sarò qua e lotteremo insieme” Con la testa racchiusa tra le mani si sciolse in un pianto lungo ed accorato non potendo così vedere che anche gli occhi di Elena erano diventati lucidi e umidi. Passarono le settimane e i mesi la sua dedizione alla compagna fu totale questo era il momento di credere nei miracoli e con speranza e fede raddoppiò i suoi sforzi lottando per l’avvenire di tutti e tre. Si recava in ospedale e parlava con Elena e il bambino come se potessero sentirlo, si mostrava sereno, faceva progetti, raccontava storie, non poteva abbattersi non ora, avevano bisogno di lui, avevano bisogno che il miracolo avvenisse. Come concordato con il medico allo scadere del settimo mese Elena sarebbe stata sottoposta a taglio cesareo e, se per il bambino le previsioni erano ottimistiche, per la madre la possibi189


C’era l’acca lità di sopravvivenza era molto ridotta, arrivò il giorno Mirko non sapeva a quale stato d’animo dare spazio, la gioia per la nascita del figlio amato o il dolore per la probabile perdita dell’adorata compagna. L’attesa fu snervante come conciliare gioia e dolore, finalmente la porta s’aprì, madre e figlio vicini gli passarono davanti e si, adesso il miracolo era necessario un bimbo aveva bisogno della sua mamma. L’indomani mattina su volontà di Mirko i medici posarono il bambino vicino vicino ad Elena, il piccino si agitò cominciando a piangere vicino l’orecchio della madre ed ecco che due lacrime cominciarono a scendere dai suoi occhi, aveva risposto, stava cominciando a reagire...ora si trattava solo di saper aspettare.. l’amore aveva vinto. ...È la vita che ci corre incontro e noi dobbiamo essere li alla fermata pronti ad abbracciarla...

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C’era l’acca I fantasmi di Maria di Rosin Beltramini Marinella Era là quasi attaccata ad uno di quei paletti d’acciaio della luce che si trovano sui marciapiedi. Sembrava strofinare una matita che solo lei vedeva. Il paletto doveva essere per lei una grande lavagna dove poter scrivere tutto ciò che aveva in testa e nel cuore. Laura la riconobbe. Sì,era senza dubbio Maria quella stessa Maria che anni prima sotto le finestre del suo ufficio parlava con un immaginario Francesco,al quale raccontava tutto ciò che le era successo. Francesco era il figlio perduto,forse in un incidente. Qualcuno sapeva che abitava a Maniago.Questo era, allora, un paese abbastanza grosso della pedemontana del Friuli Occidentale in provincia di Pordenone. Di lei non si sapeva altro. Laura ripensava a quei giorni in cui Maria scendeva in città. Arrivava sempre nei giorni di mercato,forse per proseguire un’abitudine presa nel tempo, si sistemava sotto le finestre dell’ufficio dell’ ente dove Laura lavorava e parlava,parlava finché ad una certa ora se ne andava via e nessuno sapeva dove. Probabilmente tornava alle sue montagne ai suoi laghi e viottoli e là ritrovava le creature fantastiche che da anni riempivano le sue giornate solitarie. Ora continuava nel suo scritto. Forse quello che un giorno diceva a voce alta,visto che nessuno l’ascoltava, ora lo voleva scrivere. Aveva sempre il capo coperto da un fazzoletto come si usava nelle zone paesane nei tempi andati. Era sempre vestita,come una volta,modestamente. Chissà di cosa viveva! A giudicare dall‘abito semplice,ma ordinato,sembrava proprio che per lei il mondo non fosse andato avanti. Dava l’impressione di una donna semplice e schiva,paurosa e timida,ma, al contrario, mentre scriveva le sue parole segrete, mostrava una grande sicurezza. Lei leggeva 191


C’era l’acca quelle frasi; lei sapeva,si guardava attorno quasi con paura che qualcuno potesse rubaglielo quel suo linguaggio. Se una volta parlava, ora scriveva e così in tutti questi anni aveva coltivato la sua illusione. Continuava dopo anni a raccontare al suo figlio perduto la sua sconfitta, la sua rabbia contro un mondo che probabilmente,secondo lei,glielo aveva portato via. Sola,fuori dal tempo, scriveva a chissà chi, reclamava contro chissà che cosa. Continuava da sola a seguire le sue voci e sembrava che ciò l’avesse aiutata a superare i danni del tempo. Noi avevamo rughe, ossa che lamentavano dolori e lei era sempre la stessa,come una giovane di quei tempi. Lo stress cittadino non l’aveva toccata. Probabilmente su nelle sue colline l’aria,la sua vita semplice,quel suo mondo popolato di fantasmi l’aveva protetta. Così immaginava Laura mentre la guardava e avrebbe voluto avvicinarsi a lei come avrebbe voluto fare negli anni passati,ma temeva di ferire e distruggere quel mondo con i suoi tentativi maldestri. Era chiaro che lei in quel suo cosmo ci si trovava bene ed amava molto quelle sue ombre fantastiche. Da una porta del basso stabile del Centro di Igiene Mentale si udì una voce allarmata: “Maria,dov’è Maria? Abbiamo perso Maria. Quel richiamo alla realtà turbò Laura,più che Maria. Lei non si curava di rispondere: “Sono qua.” Lei era già arrivata a casa sua, dove era sempre stata. E Laura preferì saperla là, tra i suoi fantasmi,con il profumo dei fiori in primavera, piuttosto che in un mondo di tranquillanti, con il forte odore di cloroformio.

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C’era l’acca PRONTO.... NO, QUI NON C’E’ NESSUN OTELLO di Tomassoni Nando Pietro Eppure un Otello c’è. Chiuso nella mia mente, attivo come un tarlo leggero: leggero, tanto da poterei convivere. Lontano nel ricordo, tanto che ormai sembra lontano anche nello spazio. E’ un’ombra nella nebbia. Senza più viso né voce; e perciò se lo vedessi o lo sentissi non lo riconoscerei. Perché si ricordano soltanto i visi e le voci che si vogliono imprimere nella memoria per farli restare vicini quando si è certi che si stanno allontanando per sempre: loro e nostro malgrado. Ma Otello è soltanto l’infanzia. E l’infanzia la si vuole lasciare sempre indietro, salvo poi rimpiangerla. Specie in quei giorni che si pensa al passato ed al futuro senza, per questo, riuscire a vivere il presente. Quando in testa prende a funzionarci la moviola del tempo e dello spazio. Otello tradì la mia infanzia perché partì malamente quando si trovava lontano dal mio sguardo e dai miei pensieri. Otello comunque resta a far parte di quell’età nella quale le streghe sono le avversarie delle fate; poi si cresce e le streghe diventano un mistero perché nello stesso tempo “arpìe”, e “fattucchiere”. Per me e per Otello, in quei tempi, le streghe erano già fattucchiere, specie quando, su commissione, facevano del tutto per maritare le ragazze o per far star male i giovani che si erano macchiati della colpa dell’abbandono della fidanzata. E qui veuiamo a mio zio, coetaneo di Otello. Mio zio era forte e aitante come un principe azzurro. Il fatto che avesse gli occhi chiari rafforzava l’immagine. Era il più coraggioso a saltare attraverso i ‘’focaracci” nelle nuove sere 193


C’era l’acca delle nuove primavere che rinverdivano le feste del paese. Era anche oggetto del desiderio delle ragazze di quel luogo montano. E, appunto, la rottura di un fidanzamento fu causa di una sua disavventura. Ma fu Otello, suo coetaneo, e un po’ idiota, garzone de “U Vellu”, a suggerire il rimedio alla malattia di mio zio. Incontrai Otello casualmente, proprio il giorno dopo la sua visita di leva che aveva sancito la sua inidoneità al servizio militare per la sua semplicità d’animo e per la sua magrezza. E c’era rimasto veramente male. Egli sapeva che “chi non è bbono per il re non è bbono nemmeno per la reggina”. Mio zio, ovviamente, era stato dichiarato idoneo nei mesi precedenti e quando ancora non era stato colpito dalla malattia. Otello era solo, in mezzo al pietrisco della piazza principale della parte alta del paese quando ancora l’asfalto non ce l’aveva rubata. Era alle prese con un qualcosa che in quel momento sembrava che gli stesse scoppiando in testa. Io avevo saputo che durante il carnevale piangeva perché voleva mascherarsi; poi, dopo il mascheramento, si specchiava e, dalla paura, si metteva a piangere di nuovo davanti allo specchio. Io avevo saputo che di notte tagliava, di nascosto, le mutande da donna che erano stese sui fili ad asciugare. Ne avevo sapute anche altre, ma non potevo supporre che il giudizio negativo della Commissione militare, avesse accentuato così tanto il suo disagio. Mi prese in disparte come fossimo in mezzo ad una folla, e incominciò a disfarsi di quella questione che lo turbava: “Vedi, una mattina ... verso l’ora del tramonto... c ‘era un sole che spaccava le pietre ... tirava un vento freddo che gelava... stavo qui, in questa piazza della chiesa e guardavo giù, giù verso le 194


C’era l’acca fonti. Non si vedeva nessuno ... ma, ali’improwiso, ho visto avanzare un soldato...bello, alto, vestito bene. Avanzava, ... veniva avanti, ... lo guardavo e non lo conoscevo ... , lo riguardavo e non lo riconoscevo, poi l ‘ho guardato meglio e l ‘ho riconosciuto; indovina: ero io!” Poi, come fosse un’altra persona, e prima che io avessi potuto vincere lo stupore: “Come sta tuo zio? Dovete smetter/a di consultare tutti quei dottori. Tuo zio ha una fattura. L’ha confezionata “Nannetta la strega” su ordine della mamma della ragazza che lui ha abbandonato. Nannetta, ha gettato dal “lemete” 1 del suo orto sopraelevato alla strada, una polvere bianca sulla testa di tuo zio che stava passando. Non sarà più abbandonato da sudorazioni e da febbri se tua nonna o tua zia non andranno dalla “strolica” 2 portando/e un fazzoletto, o un qualunque altro oggetto personale. Con questo la “strolica” individuerà il male ed irimedi In effetti al capezzale di mio zio si erano avvicendati inutihnente vari medici. Fu così che quando tutto stava per essere perduto, in casa, si decise che forse andava bene anche la “strolica” e anche il povero Otello! Furono seguiti tutti i consigli della “strolica” perché della vita passata e presente di mio zio ... aveva indovinato tutto! Pochi giorni dopo a mezzanotte, anch’io, impastato di sonuo, mi trovai affacciato alla fmestra dalla quale si vedevano le fianune che bruciavano le strane croci di penue che erano state rinvenute, fra lo stupore di tutti, nei cuscini dello zio. n giorno successivo mio zio vomitò, e sul vomito, nel giro di pochi minuti, si formò una muffa. Da allora egli cominciò a migliorare. Dopo tre giorni “Naunetta la strega” che abitava poco più avanti, veune a dirci che un residuato bellico del conflitto 195


C’era l’acca appena cessato, ghjù lu campu de ‘ lu Vèllu era scoppiatu e erano morte quattro pecore e ... Udèllu. Sì, prima le pecore, poi Otello! Fu così che Otello tradì la mia infanzia perché partì quando si trovava vicino alla “verità”, ma lontano dal mio sguardo e dai miei pensieri. Fu così che, da allora, Otello è rimasto chiuso nella mia mente, attivo come un tarlo leggero, leggero tanto da poterei conviVere. -Mi scusi. - Ma, si figuri signore, può accadere a tutti di sbagliare un numero telefonico! Eppure un Otello c’è. 1 Umite; confine. 2 Cartomante o indovina. Do astrologa.

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C’era l’acca I VERBI TRANSITIVI di Venturi Andrea Teodoro Ravelli era un bambino sveglio, non amava la scuola ma era educato alla vecchia maniera e rispettoso dei grandi. In quegli anni, era appena finita la Seconda Guerra Mondiale, molti ragazzi si chiamavano Firmato, perchè i genitori, leggendo poco o niente avevano letto il manifesto dell’armistizio dell’8 settembre dove c’era scritto in bassso a sinistra “Firmato il Maresciallo Badoglio” e avevano interpretato quel participio passato come il nome del generale che aveva posto fine alle ostilità. Non era così, e non solo ma come tutti sanno la guerra durò altri 3 terribili anni. La soglia di alfabetizzazione era cresciuta da allora ma per sconfiggere l’analfabetismo serviva ancora tempo, un pò come per la fine della guerra. I bambini, ora comunque, al tempo in cui si svolge il nostro raccconto andavano tutti alla scuola dell’obbligo e Teodoro era uno di quelli, sedeva distratto all’utlimo banco, guardava fuori dalla finestra dove c’era una vigna e pensava alla vendemmia che era per lui il periodo più bello dell’anno, quando la scuola era ancora chiusa e le vigne cariche di uva da cogliere per fare il vino. Lui lavorava insieme ai grandi, tutti gli volevano bene, era allegro, volenteroso e lavorava come un adulto e si sentiva un adulto. Ora la vigna era spoglia e si sentiva malinconico pensando che doveva passare un altro anno prima che potesse tornare a lavorare nei campi. Il maestro Battistelli era un uomo all’antica, burbero ma appassionato del proprio lavoro ed era riuscito ad inculcare nozioni di grammatica anche agli alunni più zucconi, come era solito apostrofare gli studenti più lenti ad apprendere. - Teodoro, sei distratto, vorresti ripetere alla classe quello che ho appena spiegato? Che differenza c’è tra un verbo transitivo e uno intransitivo?- Teodoro, preso alla sprovvista tentò una risposta balbettando - I verbi transi197


C’era l’acca tivi sono quelli che transitano.... Non riuscì a finire la frase, fu interrotto interrotto infatti da una fragorosa risata della classe. Il maestro con il suo solo sguardo severo smorzò subito il clamore suscitato dalla mezza risposta e rivolgendosi al bambino, che nel frattempo si era fatto piccolo piccolo lo sgridò - Ravelli sei il solito zuzzone! I verbi transitivi non transitano da nessuna parte, sono solo quelli che possono avere il complemento oggetto, come ad esempio Teodoro coglie l’uva della vigna; che è l’unica cosa che sai fare, somarone! I compagni sghignazzavano e Teodoro si sentiva di sprofondare sotto al suo banco per l’imbarazzo. Il giorno seguente Teodoro non era presente, all’inizio il maestro non se ne preoccupò ma arrivati alla fine del primo trimestre, dopo aver più volte chiesto ai compagni che fine avesse fatto quello zuccone ed avendo ricevuto risposte sempre più vaghe, era malato, aveva i pidocchi, forse? non avendo visto nemmeno i genitori per il ritiro della pagella capì che il bambino non sarebbe più venuto a scuola, come spesso succedeva specialmente per i figli di famiglie meno abbienti poco brillanti negli studi. Era il 1953, Teodoro frequentò allora la sua ultima classe elementare, la terza. Verso la fine degli anni ‘60 il maestro Battistelli dopo 40 anni di onorato servizio nella pubblica istruzione, andò finalmente in pensione. Era un grande collezionista di vini pregiati e amante del buon vino, decise pertanto di coltivare la sua seconda passione dopo l’insegnamento, ossia il vino prodotto da sé nella sua modesta vigna comprata con anni di risparmi e di sacrifici. Per fare il vino ci vuole anche l’uva, recitava un vecchio aneddoto, come era vero, pensò il maestro mentre si recava ai mercati generali con una lista di attrezzi da comperare per la potatura e la raccolta. Bastasse solo quella sarebbe un gioco da ragazzi, lo tormentava il pensiero di non sapere cosa 198


C’era l’acca scegliere tra tutta quella merce, con quell’andirivieni di gente che sgomitava e strillava a più non posso, il maestro ebbe quasi un mancamento quand’ecco in suo soccorso arrivare un giovanotto con un aria familiare che gli indicava di avvicinarsi alla sua bancarellla, - Signor maestro! si sentì dire dal ragazzotto dai modi cortesi, lo riconobbe solo allora era lui, il suo forse unico fallimento professionale, Ravelli Teodoro, stavolta presente, che lo chiamava come quando era un suo alunno -Signor maestro! venga cosa sta cercando? - Il maestro, sollevato dall’inaspettato incontro gli spiegò la sua situazione, Teodoro non lo fece finire nemmeno che già con fare sicuro, non più da bambino timido e balbettante lo condusse all’interno del mercato, lì conosceva tutto e tutti, erano anni che lavorava lì, raccontò al maestro, visto che la scuola non faceva per lui lo avevano mandato a lavorare ai mercati generali e ora, anche grazie alle poche nozioni imparate dal maestro, che comunque gli aveva insegnato a leggere e a scrivere e a far di conto era diventato padrone di una sua bancarella, vendeva attrezzi agricoli e lavorava nel settore agricolo, e nello specifico nel mercato del vino. Istruì l’anziano maestro su come potare la vite, quando raccogliere e come e tanti piccoli segreti dei viticoltori, e quali fossero gli attrezzi migliori per i risultati migliori compreso il torchio e le damigiane. Parlava con estrema sicurezza, era fiero e raggiante, salutava tutti e tutti lo salutavano con calore e il maestro era letteralmente sbigottito, lo seguiva come lo seguivano i suoi alunni ai tempi della scuola e non aveva nemmeno il tempo di rivolgerli una domanda che già aveva avuto la risposta dal ragazzo. Al momento di congedarsi il maestro carico di pacchi e buste gli porse la mano, il ragazzo lo guardò e si rabbuiò improvvisamente, come no riuscisse a sputare un gran rospo, poi si fece forza e gli chiese, quasi sottovoce, - maestro posso farle una domanda? - Qualsiasi cosa caro, qualsiasi cosa, non sai quan199


C’era l’acca to mi sei stato d’aiuto oggi. Teodoro, tornando ai tempi della sua terza elementare con un filo di voce chiese - ma...i verbi transitivi sono quelli che hanno....il maestro non lo fece finire e poggiando affettuosamente una mano sulla spalla del ragazzo lo interruppe dicendogli - Non ha importanza, figliuolo, davvero non ha nessuna importanza.

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Introduzione Luciano Pellegrini Presidente della Giuria

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Commisione 7 Vincitori Sezione Poesie 9 Primo Classificato “Il figlio diverso” Canfora Franca Maria 11 Secondo Classificato “Alzheimer” Kostka Izabella Teresa 12 Terzo Classificato “Sposa Bambina” De Riz Mirta 14 Premio Speciale del Presidente della Giuria “Il cane e l’amico” Angeletti Elvio 15 Premio Speciale della Giuria “Come le foglie” Antonio Damiano 16 Premio Speciale C’era l’acca Ex Equo “Storie balbettanti” Affronte Rosanna 17 Premio Speciale C’era l’acca Ex Equo “Una voce implora amore” Quadri Elena 18 Vincitori Sezione Racconti 19 Primo Classificato “Elle” Iiriti Maria Natalia 21 Secondo Classificato “L’ultima notte dell’anno” Managò Marco 25 Terzo Classificato “E’ arrivata la primavera” Emma M. Bettoni Bovini 28 Premio Speciale del Presidente della Giuria “Il bambino pallone” Affronte Rosanna 31 Premio Speciale della Giuria “In trappola” Cesaretti Eleonora 36 Premio Speciale C’era l’acca “Natività” Quaranta Enzo 39 201


Poesie Segnalate 47 “I vecchi” Ambrosi Marco 49 “Regina Anorexia” Barsottelli Serena 50 “Meninas” Basti Daniela 52 “Tramonta il sole e sorge la luna” Bologna Vito 53 “Preferisco la radura” Coccia Maurizio 55 “Diario strappato” Gobbo Gianfranco 57 “I giorni in cui” Maltese Vittoria 59 “E tu chiamala vita” Puletti Alessandro 61 “Vecchiaie a confronto” Rosin Beltramini Marinella 62 “Ritagli” Tavani Francesca 64 Poesie Finaliste 65 “Ingiustizia” Angeli Rossana 67 “Il male oscuro” Atzei Antonio Alberto 68 “Naufraghi” Bacoccola Luciano 69 “Rughe di eterno sorriso” Baro Giorgio 70 “Siamo Stati” Bartolozzi Massimiliano 71 “Una di quelle stanze” Bernabeo Polidoro Gianni 72 “Handicap” Bianchi Gabriella 74 “Clochard” Antonio Bicchierri 75 “La vecchina” Bizzintino Rosa 76 “Orfano d’amore” Boso Francesco 77 “La stanza del malato” Budau Tereza 78 “La Finestra” Cambiaghi Riccardo 79 “L’ albero” Catalano Pietro 80 “A mio padre” Ceccarini Franca 81 “Madre” Chiozzi Emanuela 83 “Gocce della stessa nuvola” Cilenti Emanuele 84 “Si può illuminare?” Coccia Antonio 85 “Dannati” Curto Francesco 86 “Donna in terra d’Africa” Di Marsciano Oral Isabella 87 “Parla con me” Ducci Antonella 88 202


C’era l’acca “I matti” Forchia Aldo 90 “L’individualismo” Giubboni Lorenzo 91 “Chissà” Guglielmi Stefano 92 “In attesa di...” Industria Nunzio 93 “L’ Autismo” Kostka Izabella Teresa 94 “Il sole dopo la tempesta” Lattanzi Bruno 95 “La ricerca per la vita” Lazzeri Daniela 96 “Solitudine afona” Loiacono Giacomo 97 “A testa alta” Malengo Chiara 98 “Il peso dell’anima” Managò Marco 99 “Al di qua del lavoro” Mandia Giuseppe 100 “Clandestini” Martinis Alessia 101 “Dimenticare Ginevra” Melotti Mario 102 “Primavera” Miano Michele 104 “Una volta il sorriso” Minciotti Sarah 105 “Giorno dopo giorno...” Montella Carmine 106 “Sasso” Muccio Paolo 108 “Stelle” Neri Maria Luisa 109 “Una strada in salita” Pagano Rosario 110 “Le ali degli angeli” Quaranta Enzo 111 “Schiaffi (im)morali” Rampichini Flavia 112 “Amore impossibile” Ricci Mariagrazia 113 “Un filo” Rinforzi Lolita 115 “Fuori dal disagio” Rogari Catia 116 “Alla mia cara mamma” Ruggiero Rosa 117 “Tristezza” Salvatore Nunzia 118 “Stanchezza” Santangelo Francesca 119 “Ballata per il diverso” Scavolini Tania 120 “Ferri di cavallo” Sensi Valentina 121 “Sfinito” Spurio Lorenzo 122 “Un sogno raggiunto” Straccamore Daniela 123 “A Tony” Tassone Rocco 124 “Di ingannevole fiore vive il pianto” Tommasi Jessica 126 203


C’era l’acca “Sulla sedia” Torrito Danilo 127 “Controtempo” Ubaldini Francesco 128 “Fraterna solidarietà” Vaira Fabio 129 “Meandri” Verdone Alessio 130 “Sarà vita” Vertuani Veruska 131 “Vita” Vitali Nadia 132 “Parla al mio cuore” Vitullo Lucio 133 “Non sono diverso” Zottino Cinzia 135 Racconti Finalisti 137 “La confessione” Bartolozzi Massimiliano 139 “L’importante è stare qui...” Bettini Olivia 144 “Che giornataccia” Bologna Vito 147 “Non c’è più” Brescia Maurizio 151 “Dikra” El Habibi Nadia 155 “Il moscerino parlante” Fanucci Ivan 159 “Conquista indimenticabile” Ferri Cinzia 162 “Italo e la sua filosofia di vita” Firinu Greca 166 “Malato” Gaslini Stefano 168 “Ritardo fatale” Giuseppe Moscati 169 “Amiche d’infanzia” Lazzeri Daniela 171 “Ogni mattina” Leone Daniele 174 “Il vestito” Marco Pellegrino 176 “Vincent” Rocco Alessia 185 “La vita alla fermata” Rogari Catia 187 “I fantasmi di Maria” Rosin Beltramini Marinella 191 “Pronto...” Tomassoni Nando Pietro 193 “I verbi transitivi” Venturi Andrea 197

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