Pet Therapy, quando l'animale aiuta a star bene

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Quaderni del volontariato

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Pet Therapy Quando l’animale aiuta a s t a re b e n e

a cura di

Laura Cibeca


Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Sandro Penna, 104/106 Sant’Andrea delle Fratte 06132 Perugia tel. 075/5271976 fax: 075/5287998 www.pgcesvol.net cesvol@mclink.it pubblicazioni@pgcesvol.net

Coordinamento editoriale Chiara Gagliano Pubblicazione a cura di

Con il Patrocinio della Regione Umbria

Progetto grafico e videoimpaginazione Studio Fabbri, Perugia Stampa Graphic Masters, Perugia Š 2007 CESVOL 2007 EFFE Fabrizio Fabbri Editore srl ISBN: 978-88-89298-45-9


I quaderni del volontariato: un viaggio attraverso un libro nel mondo del sociale

Il CESVOL, centro servizi volontariato per la Provincia di Perugia, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, ha definito un piano specifico nell’area della pubblicistica del volontariato. L’obiettivo è quello di fornire proposte ed idee coerenti rispetto ai temi di interesse e di competenza del settore, di valorizzare il patrimonio di esperienze e di contenuti già esistenti nell’ambito del volontariato organizzato ed inoltre di favorire e promuovere la circolazione e diffusione di argomenti e questioni che possono ritenersi coerenti rispetto a quelli presenti al centro della riflessione regionale o nazionale sulle tematiche sociali. La collana I quaderni del volontariato presenta una serie di produzioni pubblicistiche selezionate attraverso un invito periodico rivolto alle associazioni, al fine di realizzare con il tempo una vera e propria collana editoriale dedicata alle tematiche sociali, ma anche ai contenuti ed alle azioni portate avanti dall’associazionismo provinciale. I quaderni del volontariato, inoltre, rappresentano un utile supporto per chiunque volesse approfondire i temi inerenti il sociale per motivi di studio ed approfondimento.

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Introduzione

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Capitolo Primo Breve storia della Pet Therapy

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Capitolo Secondo L’efficacia dei programmi di AAT

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Capitolo Terzo Terapie e Co-terapeuti

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Capitolo Quarto I cani in Pet Therapy

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Capitolo Quinto Meccanismi d’azione

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Capitolo Sesto Finalità e campi di applicazione delle AAT

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Capitolo Settimo Operatori di Pet Therapy

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Capitolo Ottavo Esperienze

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Bibliografia


Iddio creò l’uomo, poi, vedendolo così debole, creò il cane. Alphonse Toussenel


Introduzione

Negli ultimi anni si è iniziato a parlare molto della pet therapy e dei suoi aspetti positivi, ma pochissimi sanno cos’è veramente la pet therapy o meglio cosa sono le Attività Assistite con l’ausilio di Animali (AAA) e le Terapie (AAT). Il supporto emotivo ma anche fisico che può dare un animale ad una persona malata è davvero importantissimo, tanto che si sta cercando di dare un fondamento scientifico a tale terapia e alla sua applicazione. La pet therapy deve essere un intervento mirato ad una certa situazione e il progetto deve essere sempre elaborato da una equipe che riunisca diverse figure professionali (medico, fisioterapista, veterinario,educatore, conduttore, psicologo…). Tale terapia si basa sullo scambio affettivo che avviene tra paziente e animale. Gli animali non giudicano, non rifiutano le persone, ma amano senza alcuna riserva e limite, fanno sentire importanti ma soprattutto amati, ed è questo che stimola una persona, sia fisicamente che psicologicamente, a combattere una certa malattia, a non lasciarsi andare, a sentirsi ancora utile. Guardare negli occhi un cane, prendersi cura di lui e sentirsi ricambiati è l’emozione più bella che si possa provare. L’Associazione A.T.E.N.A. (Attività e Terapie Educative Naturali effettuate con l’ausilio di Animali) è nata proprio con l’obiettivo di diffondere questo tipo di interventi. Attualmente fanno parte dell’associazione professionisti di vari settori come lo psicologo, l’educatore cinofilo, il veterinario, il conduttore degli animali e così via. Sicuramente il merito di riuscire ad aiutare con programmi efficaci e ben preparati persone con le più diverse problematiche fisiche e/o mentali, va sicuramente ai nostri amici a quattrozampe che sono: l’American Staffordshire Terrier “Appaloosa Chief DePaco “ detto “Artù” attualmente collabora con noi in diversi progetti con anziani e bambini; i Siberian Husky: Deedee e Rex e gli ultimi arrivati, la Golden Retriver Fata e il fantastico Poldo. L’amore e l’affetto che questi cani riescono a trasmettere alle persone con cui vengono in contatto è qualcosa che aiuta moltissimo l’animo umano. La realizzazione di questo libro è stata possibile grazie alla collaborazione di numerose persone fra cui tantissimi professionisti che vorrei ringraziare di cuore per l’aiuto che mi hanno fornito. Laura Cibeca

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Capitolo Primo

B

reve storia della Pet Therapy



Capitolo Primo Pet Therapy (Uso terapeutico degli animali da compagnia, UTAC)

L’applicazione di questa terapia (molti studiosi insistono che si debba parlare di “terapia complementare alla medicina convenzionale”) ha trovato utilizzo nella cura di molte malattie, sia di carattere fisiologico che psicologico. “Gli animali sono in grado di comprendere una situazione ed esprimere una risposta, modulandola a seconda della situazione stessa. Essi hanno conservato uno strumento che da tempo l’uomo ha perso: la capacità di captare delle sensazioni, comprendendo movimenti, gesti, vibrazioni che ciascuno di noi comunica. Grazie a queste caratteristiche l’uomo può stabilire con questi animali una relazione qualitativamente significativa, di tipo biunivoco. Ossia, dove c’è un ritorno, un dare e un avere”. La presenza di un animale può portare una ventata di vivacità. Ecco allora che può diventare il tramite per valicare il muro del silenzio costruito dal figlio adolescente, concentrare i discorsi di tutti innescando il dialogo. Anche nella vita di coppia un cane o un gatto hanno spesso una funzione molto delicata, compensando in parte la mancanza di un bambino o il vuoto che hanno lasciato i figli che si sono sposati”. La ragione del potere antistress degli animali, secondo numerosi etologi e psicologi, viene fatta risalire all’abitudine che avevano i nostri antenati preistorici di tenere animali nell’accampamento, per fare la guardia: se gli animali erano tranquilli significava che non c’era alcun pericolo, cioè vi era da escludere la presenza di predatori o nemici nelle vicinanze. Il gran numero di animali citati nella mitologia e i numerosi dipinti di domesticazione degli animali, provano l’evidenza che l’interazione tra l’uomo e l’animale in realtà non sia frutto di nuove scoperte ma che tale rapporto è sempre esistito, già a partire dall’era Paleolitica. Nel IX secolo a Gheel, in Belgio, degli animali vennero introdotti in una residenza protetta per curare dei disabili, tentando così un primo approccio terapeutico, costituendo il primo importante tentativo di animal assisted activity therapy della storia. Il primo studio realmente accertato circa l’utilizzazione scientifica degli animali a scopo terapeutico a lungo termine risale al 1792, quando in Inghilterra, presso il York Retreat Hospital, lo psicologo infantile William Tuke, insieme ad alcuni suoi collaboratori, cominciò a curare i propri pazienti (malati mentali e lunatici) con dei metodi “umani” e non più barbari. La premessa da cui partivano questi studi preliminari sulla animal-facilitated therapy era che le persone mentalmente malate e disturbate potevano ritornare

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in possesso delle loro ordinarie facoltà se venivano stimolati e incoraggiati verso attività alternative che permettessero di recuperare quell’autocontrollo che era stato perso, attraverso le tecniche di giardinaggio e di cura degli animali, fonte di stabilità e di equilibrio. Il primo utilizzo degli animali a scopo terapeutico negli ospedali negli Stati Uniti risale al 1919, quando il Segretario del Ministero degli Interni, Franklin K. Lane, scrisse al Sovrintendente del St. Elisabeth’s Hospital a Washington, Dr. W.A. White, suggerendo l’introduzione di cani per quei pazienti che avevano riportato gravi forme di depressione e schizofrenia in seguito alla I Guerra Mondiale. Pionieri di questa tecnica innovativa e complessa allo stesso tempo: lo psichiatra infantile Boris Levinson e i coniugi Samuel & Elisabeth Corson. La diffusione sempre maggiore di interventi di Terapie e Attività assistite dagli animali ha comportato uno studio sempre più approfondito sul perché l’uomo tragga così tanto beneficio dalla relazione che egli instaura con gli animali che gli vivono accanto. Uno degli studi più approfonditi e interessanti al riguardo è quella dell’ambito della zooantropologia e quindi dello studio sulla storia e sull’evoluzione nel corso dei secoli del rapporto uomo-animale. L’approccio zooantropologico alla pet therapy è molto differente da quello tradizionale e merita di essere riconosciuto perché apporta un cambiamento paradigmatico rispetto al modo di considerare il contributo beneficiale messo a disposizione nella seduta con l’animale e il ruolo stesso dell’animale nella seduta. La zooantropologia è la disciplina che studia la relazione con l’animale e gli apporti che tale relazione produce. Una prima differenza è immediatamente evidenziabile: mentre nelle attività zootecniche l’animale è uno strumento da cui discendono delle prestazioni che producono particolari benefici per l’uomo, nelle attività zooantropologiche l’animale è un partner e i contributi derivano dalla struttura di relazione. Mentre in zootecnia parliamo di utilizzo dell’animale, a volte sottinteso con la particella “da” (da lavoro, da latte, da compagnia), in zooantropologia l’animale è coinvolto nella struttura di partnership, poiché per trovarsi in una struttura relazionale (e quindi partecipativa) deve necessariamente veder salvaguardati i suoi caratteri di alterità, vale a dire essere considerato un soggetto e non un oggetto, un portatore di diversità e di peculiarità e non essere antropomorfizzato o categorizzato. Questo comporta alcune conseguenze: 1) per ottenere i contributi in zooantropologia bisogna innanzitutto promuovere la relazione evitando di considerare l’animale uno strumento, uno stimolo o un surrogato;

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2) per poter inserire un animale in un progetto di zooantropologia applicata è necessario che l’eterospecifico presenti dei caratteri di coinvolgibilità; 3) per poter mettere a disposizione i corretti contributi, ovviamente variabili a seconda delle specifiche necessità del paziente, è necessario agire sulla struttura di relazione. In questo senso la zooantropologia prende le distanze dai seguenti approcci interpretativi della pet therapy: a) l’idea di animale magico, capace come un amuleto di assorbire negatività o di emettere energie positive; b) l’idea di animale medicina, vale a dire di correlazione tra le caratteristiche di una specie e le beneficialità richieste; c) l’idea di animale strumento, ossia di mezzo capace attraverso un canone performativo di produrre beneficialità; d) l’idea di animale stimolo, ovvero di interazione semplice o reattiva con l’animale come produttiva di contributi terapeutici; e) l’idea di relazione sempre beneficiale, vale a dire che sia sufficiente mettere in relazione un uomo e un animale per avere dei contributi beneficiali. La zooantropologia è una disciplina scientifica e come tale utilizza le metodiche di spiegazione proprie delle scienze comportamentali; pertanto quando parliamo di beneficialità relazionale intendiamo un apporto specifico definito come “referenza” e traducibile come “contributo esterno al cambiamento della persona”. In tal senso una relazione assume sempre una configurazione specifica e in tal senso un suo peculiare apporto referenziale, che può essere in linea con i bisogni del fruitore o addirittura confliggente. Per questo la relazione portata in seduta nelle attività di zooantropologia è sempre configurata, al di là del fatto di presentare delle sue aree di tolleranza, al fine di evitare le referenze dannose e mettere a disposizione le referenze utili. Come si vede, la struttura metodologica della zooantropologia non è intuitiva ma va conosciuta nelle sue coordinate referenziali e nelle leve per operare il dimensionamento della relazione. L’animale in zooantropologia vede riconosciuto un ruolo molto alto, vale a dire di partner capace di dialogare con l’uomo e di trasmettergli dei contenuti nuovi capaci di aiutare e sostenere dei processi di cambiamento. Peraltro è indubbio che ogni processo terapeutico o educativo abbia come fondamento il cambiamento e l’alleanza con un referente ed è proprio su questo che si basa la zooantropologia, vale a dire sull’integrazione referenziale con

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l’alterità animale. Di certo gli obiettivi di cambiamento non devono essere individuati dai propositori del progetto di pet therapy ma dalle figure di riferimento del paziente, ovvero da chi ha in carico quel paziente. Secondo la zooantropologia la pet therapy è una co-terapia, ossia un’attività di facilitazione di un percorso auspicabile per quel particolare paziente. Ma anche la figura dell’operatore di pet therapy è molto differente secondo il canone zooantropologico: non ci troviamo più di fronte a un semplice conduttore di animali, bensì a un arbitro di relazione ovvero un professionista che deve promuovere, dimensionare e vigilare la relazione. L’evoluzione del rapporto uomo-animale ha accompagnato la storia della civiltà fin dall’antichità e questa evoluzione può essere riassunta in tre fasi: una fase arcaica il cui l’uomo intrattiene un rapporto magico-totemico, di cui restano documentazioni come per esempio la grotta di Lascaux; una fase storica in cui prevale il concetto dell’uomo “dominus”, signore degli animali nati per essere al suo servizio; è il concetto che troviamo ad es. nella Bibbia; una fase attuale in cui il rapporto con l’animale assume un carattere etico e l’animale è sentito come qualcosa di differente ma uguale a noi e che si riallaccia al concetto arcaico di uomo=animale. Una dimostrazione del persistere in tempi storici di questo concetto arcaico del rapporto uomo-animale è dato dal diffondersi in Oriente delle teorie buddiste e in Occidente di quelle di Empedocle di Agrigento secondo cui l’anima degli uomini, dopo la morte, andrebbe incontro ad una serie di reincarnazioni animali. Ciò al fine di scontare le proprie colpe, purificarsi e quindi o andare a dimorare tra gli Dei (Empedocle) o ad annullarsi nel Nirvana (Budda). È questo il concetto della Metempsicosi a tutt’oggi esistente che porta quindi a ritenere che gli animali possiedano un’anima umana. Il concetto di animale totemico si è evoluto nelle antiche religioni come quella egizia negli Dei animali: Api, Anubi, Bubacte. Nella seconda fase del rapporto uomo-animale, di cui abbiamo parlato sopra, compare la domesticazione. La domesticazione è un fenomeno complesso, diverso da specie a specie soprattutto per quanto riguarda il suo inizio storico in quanto alcune specie sono state addomesticate in tempi assai remoti (il cane) altre solo di recente (le zebre). Tale processo ha avuto sempre uno scopo utilitaristico in cui l’animale era oggetto e non soggetto. La domesticazione ha comportato una serie di modificazioni del comportamento animale per quanto riguarda: i rapporti tra animali cospecifici, adattamenti fisiologici (risposta agli stress ambientali, orari, alimentazione, temperature, limitazione degli spazi agibili), adattamenti di carattere genetico ovverosia spostamento di frequenze geniche a seguito di pressio-

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ni di selezione naturale o artificiale. La domesticazione comporta l’abitudine alla presenza dell’uomo con la perdita, quindi, delle reazioni di evitamento e di fuga. Alcuni Autori non escludono la possibilità che caratteristiche comportamentali quali timidezza, docilità e facilità di manipolazione vengano ereditate mentre altri (Fox), più giustamente a mio parere, ritengono che non venga ereditato il comportamento in sé ma solo il controllo e lo sviluppo di funzioni e strutture. La domesticazione, quindi, può essere considerata una forma di modificazione globale dell’animale. Da una parte essa è legata a un fenomeno di selezione artificiale volta ad ottenere un miglioramento delle caratteristiche economicamente importanti riducendo sempre più quelle esistenti nell’ambiente naturale, potenzialmente nocive al buon esito dell’allevamento e dall’altra è legata a un condizionamento operante come tecnica di controllo del comportamento utilizzando anche il fenomeno dell’imprinting. Anche nella seconda fase del rapporto uomo-animale è sempre esistita una distinzione fra gli animali allevati a scopo utilitaristico e quelli il cui significato nei riguardi dell’uomo era diverso: il pet o animale da compagnia. Questo fenomeno non è proprio dell’uomo. Gli scimpanzé che pure cacciano e si nutrono di babbuini, mantengono nel branco babbuini che giocano con i piccoli scimpanzé, che non vengono mangiati e la cui morte accidentale è lamentata dal branco come la morte di uno di loro. Quali sono le caratteristiche con cui l’uomo sceglie un pet? Un primo aspetto è indubbiamente legato al fatto che l’uomo è un animale in cui le cure parentali raggiungono i massimi livelli perché il bambino nasce estremamente arretrato per lo sviluppo del sistema nervoso e parzialmente per quello osteomuscolare. Il pet tipico presenta caratteristiche simili a quelle infantili, sia morfologiche (conformazione del capo) sia comportamentali: vedi per esempio il vocabolario dei suoni dei gatti domestici che associano i fonemi adulti a tutti quelli infantili che, al contrario, il gatto selvatico adulto perde. A riprova, forme simili ma non evocatrici infantili si ritrovano in animali che non sono pet. Il pet quindi viene ad essere una proiezione di noi stessi e da questo nasce un rapporto emozionale molto forte da parte dei loro padroni; un sondaggio nel Regno Unito (Gorbing) ha mostrato che il 65% dei padroni degli animali preferisce la compagnia dell’animale rispetto a quella degli amici. Un ulteriore capacità del pet è l’ampia possibilità di espressioni facciali (cani, gatti, cavalli) che costituiscono per l’uomo una forma molto importante di comunicazione visiva. Da queste osservazioni (Padrini) possiamo dedurre che continuiamo a sentire il richiamo di alcune richieste semplici, essenziali ma fondamentali che soddi-

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sfano i bisogni del bambino che è in noi: tenerezza, contatto non verbale, attenzione, dedizione, accettazione, gioco. Questo rapporto è sempre esistito come abbiamo visto ma nella terza fase del rapporto uomo-animale lo rendiamo manifesto. La zooantropologia è, infatti, la specifica disciplina che analizza il rapporto uomo-animale in tutte le sue componenti mirando a rendere più comprensiva la struttura, i fattori che la regolano e le diverse tipologie riscontrabili nella nostra società. Conoscere l’ampia gamma di rapporti e di rimandi che ci legano all’attività animale è molto importante perché offre un piano regolato di interpretazione circa il nostro bisogno di riferirci all’animale per costruire universi simbolici, definire la nostra umanità e ritrovare un’alleanza con la natura. Tale disciplina sottende il concetto filosofico che mette in dubbio l’idea antropologica di un uomo autosufficiente, autorelazionato il cui unico riferimento è una cultura speculare che prescinde totalmente dagli apporti dell’alterità animale (o vegetale). Si tratta quindi di costruire un’antropologia referenziale che vede la comparazione e il rapporto come momenti fondanti per la crescita. Un esempio di zooantropologia pratica è offerto dal rapporto uomo-gatto. Il gatto è un animale eminentemente solitario in condizioni normali ma è in grado di elaborare relazioni sociali (dominanza/sottomissione) anche se non rigide in condizioni di sovraffollamento o di competitività per il cibo. Nonostante i reperti fossili non è facile determinare quando iniziò il processo di addomesticamento che risulta essere più una consapevolezza di poter ottenere vantaggi reciproci da una stretta convivenza che una vera e propria addomesticazione, come è avvenuto per il cane. Si ritiene che il processo sia relativamente recente, intorno ai cinque mila anni fa mentre per il cane, addomesticato per la caccia, il processo si fa risalire a circa venti mila anni fa. È comune opinione che felis lybica vivesse da predatore in una zona corrispondente circa all’attuale Egitto. Alla data indicata, le popolazioni locali perfezionarono la coltivazione non occasionale di mutanti di cereali e passarono quindi da un’economia di caccia e raccolta a un’economia agricola che dava il vantaggio di poter conservare sotto forma di granaglie il prodotto, utilizzando una forza-lavoro esigua rispetto al prodotto. Le riserve di cereali però erano soggette agli attacchi da parte di roditori di varie specie con forte prevalenza dei topi. Il furetto, anche se ottimo cacciatore di topi non era immune dal desiderio dei cereali mentre il gatto, assolutamente indifferente alle granaglie, costituiva un controllo biologico molto efficiente di questi parassiti granicoli. Non è facile dire come, nonostante l’innata diffidenza del gatto di cui dà tuttora prova (felis

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silvestris), si sia potuto giungere ad un contatto diretto tra gatto e uomo. Dipinti egizi del 3.000 a.C. ritraggono gatti al guinzaglio a cui vengono offerti cibi in ciotole di terracotta. Ciò fa pensare che dall’iniziale rapporto gatto-topo si sia passati ad un rapporto gatto-uomo in cui l’uomo ha assunto nei riguardi del gatto la funzione di provveditore diretto di cibo. Ciò è stato interpretato dal gatto come un rapporto figlio-madre con il conseguente accentuarsi nell’animale di comportamenti infantili e nell’uomo di quelli parentali. Si noti, inoltre, che alcuni comportamenti del gatto, a tutt’oggi inspiegabili anche sotto l’aspetto anatomico-funzionale come le “fusa”, hanno stabilito un rapporto con l’uomo che è certamente corrispondente a una sensazione di piacere e di benessere. Da allora, il gatto è divenuto un diffusissimo compagno anche se non tutti i periodi storici gli sono stati favorevoli ed attualmente è in gara con il cane per il primo posto tra i pets. È indubbio che noi abbiamo con il nostro gatto un rapporto simbolico, antropomorfo: impulsi profondi di cui già abbiamo parlato ci portano a vederlo non come oggettivamente è ma come un riflesso di noi stessi. Questa partecipazione è favorita dal fatto che il gatto ha un’ampia possibilità di espressioni facciali. Qui bisognerebbe entrare nel complesso rapporto di quello che realmente è l’animale e i suoi reali desideri. Il gatto, accettando la convivenza con l’uomo, ha dovuto rinunciare a parte dei suoi istinti e fabbisogni ma ne ha conservati altri irrinunciabili quali l’indipendenza e l’istinto predatore. Il raggiungimento di questo equilibrio non è ottenibile come per il cane per imposizione ma solo tramite l’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra l’uomo e il gatto di cui il rapporto nutrizionale è elemento essenziale ma per cui il rapporto non risulta certo sminuito. Naturalmente ci sono degli atteggiamenti del gatto molto differenti da quelli umani in quanto i meccanismi di apprendimento del gatto sono totalmente diversi. Ad esempio, il gatto non è in grado di associare azione non corretta con punizione a meno che la punizione non gli venga impartita durante o al massimo cinque secondi dopo. Questo ha fatto nascere la leggenda che il gatto sia un animale vendicativo perché dopo la punizione data fuori tempo, non solo ricommette la stessa azione ma, non avendo capito che l’azione compiuta fosse sbagliata, identificherà l’uomo come un soggetto negativo di cui aver timore. Andando un po’ controcorrente, nell’ottica di quanto stiamo dicendo appare evidente che gli spessi deprecati parchi o giardini zoologici hanno un loro significato e una loro utilità non solo come è ovvio nel campo della preservazione e conservazione della specie minacciata ma anche nel suscitare precocemente un interesse verso il mondo animale. Naturalmente, questo non significa

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approvare la situazione in cui versano molti zoo, che sono dei veri e propri lager per animali ma il concetto di taluni animalisti che vogliono trasformarli in realtà computerizzate virtuali è, a mio parere, assolutamente errato. Esiste infatti una corrente di pensiero che tende a sostituire il reale con una realtà virtuale costruita dall’uomo che è un modo sofisticato ma non meno errato di autoriflettersi. Un aspetto assai moderno della terza fase del rapporto uomo-animale è la pettherapy. Questa terapia fa leva sull’intramontabile esigenza dell’uomo di rapportarsi all’animale e sul suo ruolo regolatore distensivo e rassicurante a livello psichico in termini di soddisfacimento di un bisogno naturale. Essa nasce nel 1961 con la pubblicazione del lavoro “The dog has co-therapist” di B.Levinson. Il principio del metodo verte sulla capacità dell’animale di stabilire un solidale legame empatico tra uomo e animale in base a un processo di identificazione che lega il paziente al pet. È una metodica multidisciplinare che richiede l’intervento di specialisti di diverse branche (medicina, psicologia, veterinaria); quando si parla dell’uso di animale da affezione con finalità prettamente terapeutiche ci si riferisce non solo ai cani o ai gatti ma anche ad altre specie domestiche con ottimi risultati. L’ippoterapia, per esempio, è una forma di pet-therapy di indiscussa efficacia in pazienti con handicap psichici o fisici. Nell’autismo, sindrome di deprivazione a tutt’oggi di patogenesi ignota, i cui pazienti mostrano gravi disturbi della sfera affettivo-relazionale il cane o il delfino coterapeuti hanno consentito progressi clinici per l’instaurarsi di una comunicazione non verbale ma mimico-gestuale, in cui l’animale assume il ruolo di soggetto transizionale tra mondo interiore e mondo esteriore. Ma la pet-therapy ha anche altri scopi ed applicazioni; si sa che la presenza di animali nell’età evolutiva infonde nel bambino capacità creativa, sicurezza, miglioramento della comunicazione non verbale, rifiuto di ogni specismo. L’impiego di animali nei reparti di pediatria ha influenzato favorevolmente il decorso di molte patologie riducendo il periodo di ospedalizzazione. Anche in ambienti carcerari, la presenza di pet tende a ridurre la conflittualità tra i detenuti, riduce il pericolo di suicidio, migliora la cooperazione con le guardie carcerarie. È a tutti nota la vicenda umana di Robert Stroud che è stato il soggetto del famoso film “L’uomo di Alcatraz” uomo feroce e sanguinario che modificò completamente il suo carattere allevando canarini. Da questa paronamica storica si può notare come la pet therapy abbia alla base lo stretto legame tra uomo-animale che ha sempre guidato la vita di entrambi.

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Capitolo Secondo

L’

efficacia dei programmi di AAT


Francesco ed Holly (cagnolino residente nella struttura “Olindo Brancaleoni� di Panicale)


Capitolo Secondo

L’efficacia degli interventi di pet therapy è data da un insieme di fattori che agiscono sia a livello psicologico che fisico della persona. Alcuni di questi fattori sono: 1) gli animali forniscono compagnia; 2) ci offrono qualcosa da dover curare e che richiama la nostra attenzione (distogliendoci quindi dai pensieri angoscianti della vita); 3) essi sono esseri attivi, in movimento, vivi; 4) sono una presenza costante nelle diverse fasi evolutive della nostra vita; 5) ci fanno sentire accettati e quindi favoriscono il rapporto con le altre persone; 6) attraverso i loro giochi, e a volte i loro buffi modi di muoversi, ci spingono al sorriso (e non raramente alle risate); 7) rappresentano un ottimo stimolo all’esercizio fisico; 8) accarezzandoli e spazzolandoli ci rendono più rilassati e tranquilli; 9) oltre ad essere piacevoli da accarezzare, sono piacevoli anche da guardare. Inoltre gli animali svolgono delle funzioni importantissime per il loro compagno umano come: a) La funzione proiettiva, che si collega alla relazione tra le caratteristiche della persona e quelle dell’animale che ha scelto di adottare, il quale a sua volta può avere qualche legame on la sua personalità e con l’immagine che la persona ha di se stessa. b) Funzione di lubrificante sociale, nel senso che può incrementare la quantità e la qualità delle interazioni sociali tra le persone. c) Funzione di surrogato, che si ha quando l’animale viene visto in senso prevalentemente antropomorfo, cioè gli si attribuiscono, in modo più o meno inconsapevole, caratteristiche umane. Ciò è evidente ad esempio quando il proprietario parla al proprio animale con lo stesso linguaggio che si usa tra le persone, nella convinzione che essi ne capiscano perfettamente il significato. Quando si coinvolge l’animale in una serie di attività tipicamente umane, come ad esempio considerarlo un membro della famiglia. L’animale può anche essere percepito come il surrogato di un amico quando il proprietario non ne ha oppure il sostituto di un bambino, per quelle coppie senza figli, oppure di una figura parentale. d) Altre volte il pet può diventare un elemento su cui scaricare le proprie ansie e frustrazioni, cioè una sorta di capro espiatorio.

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Convenzionalmente la pet therapy viene suddivisa in: AAA (Animal-Assisted Activities) AAT (Animal-Assisted Therapy) HASS (Human-Animal Support Services) La AAA provvede ad apportare benefici motivazionali, educazionali e ricreativi, mirando al miglioramento della qualità della vita di alcune categorie di persone come anziani, ciechi, malati terminali, ecc. La AAA si esprime in una varietà di azioni condotte da professionisti, paraprofessionisti e volontari in associazione con animali che presentano particolari criteri e caratteristiche (ovviamente il personale deve possedere specifiche conoscenze sugli animali e sulla popolazione con cui interagisce). Un esempio di AAA (che può essere sia attiva che passiva: passiva in quanto la persona, pur non toccando l’animale, trae ugualmente benefici dalla sua presenza o dai suoni da lui emessi) può essere l’introduzione di un acquario o di una gabbia di uccelli in uno studio medico o dentistico. Infatti la varietà di colori dei pesci, il loro rincorrersi all’interno della vasca, il loro simpatico suono prodotto dalle bollicine, così come il cinguettio degli uccelli, provoca uno stato di relax profondo e intenso. La AAT, invece, è un vero e proprio intervento diretto nel quale animali che presentano particolari caratteristiche sono parte integrante del processo di trattamento per pazienti autistici, depressi, con problemi psicofisici. L’AAT è stato costituito con lo scopo preciso di promuovere e migliorare le funzioni fisiche, sociali, emozionali e cognitive dell’uomo. I benefici fisici sono per lo più quelli legati ai problemi di elevata pressione arteriosa, disfunzioni cardiache, rigidità muscolare, forme di sclerosi che impediscono i normali movimenti fisici, scarso e difficile funzionalità degli arti sia superiori che inferiori, ecc. Invece tra i benefici psichici possiamo citare un incremento dell’autostima, della socializzazione e della comunicazione in generale, la gratificazione nel dare e ricevere amore gratuitamente, il senso di protezione e di sicurezza, la stimolazione sensoriale, la riduzione dei livelli di ansia, di stresse di depressione, ecc. Spazzolare o accarezzare un animale costituisce un ottimo esercizio fisico per chi ha degli handicap motori agli arti superiori e in particolar modo alla mano. Accarezzare un animale comporta una distensione dei muscoli palmari e dorsali della mano nonché dell’intero arto e quindi un’ottima alternativa alle classiche tecniche riabilitative. Nella AAT gli animali vengono utilizzati al solo scopo terapeutico, nelle scuole, nelle prigioni, negli ospizi, negli ospedali, per i programmi di recu-

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pero dei tossicodipendenti o per la riabilitazione delle persone affette dal virus HIV, da spina bifida, da morbo di Alzheimer, da sindrome di Down, ecc. Purtroppo, nonostante queste persone si siano viste aprire nuovi orizzonti, questa tecnica non è panacea per tutte le malattie ma va usata a ragion veduta: essa non è universalmente efficace, ossia non è appropriata a tutti gli individui. Inoltre, mentre i risultati della AAA sono per lo più soggettivi, i risultati realizzati con la tecnica della AAT possono essere osservati e misurati empiricamente. Caratteristiche principali della AAA, a differenza della AAT, sono: - la mancanza di obiettivi specifici programmati per ciascuna visita; - gli operatori, siano questi professionisti che volontari, non sono obbligati a raccogliere dati e informazioni durante le visite; - le visite sono gestite con spontaneità e la loro durata non è prestabilita. Una menzione a parte merita la HASS (Human-Animal Support Services) che non è una vera e propria terapia, ma consiste nel migliorare e incoraggiare la responsabilità e le interrelazioni tra l’uomo, gli animali e la natura. Anche animali da allevamento (pecore, capre, animali da cortile in genere) nonché uccelli, serpenti, pesci, possono essere impiegati. Al contrario, utilizzare per convenzione un termine come “terapia per mezzo degli animali domestici”, per quanto lungo possa essere, chiarisce subito che gli animali sono il mezzo terapeutico, mentre gli esseri umani sono l’oggetto. Inoltre le attività e le terapie per mezzo degli animali domestici non devono essere considerate un intervento alternativo esclusivo, bensì una co-terapia da affiancare ad altri trattamenti medici tradizionali. L’obiettivo della “terapia”, invece, è quello di eliminare uno stato di malattia, o ridurre gli effetti negativi della salute del paziente.

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Capitolo Terzo

T

erapie e Co-terapeuti


AttivitĂ con uccellini


Capitolo Terzo

Gli animali impiegati in pet therapy sono numerosi e comprendono specie altrettanto diverse tra loro per caratteristiche, necessità etologiche e possibili utilizzazioni. Nel corso del tempo i vari interventi realizzati all’estero e nel nostro paese hanno visto come protagonisti cani, conigli nani, gatti, cavalli, delfini, pesci e uccelli. Nonostante ciò il cane si è sempre dimostrato molto adatto ai progetti di AAT e AAA. Tutti i professionisti che si occupano di pet therapy sottolineano l’importanza di inserire nei vari progetti solo animali visitatori (cioè portati in visita presso le varie strutture dai loro conduttori per svolgere gli interventi prefissati) o residenti ( cioè destinati a vivere direttamente presso la struttura che richiede l’intervento)ben selezionati, sani, sicuri, che possiedano il temperamento e l’attitudine necessaria, l’età e la dimensione giusta e dimostrino le capacità corrette affinché gli obiettivi dei progetti possano essere raggiunti. Prima di procedere all’inserimento di un animale in un programma terapeutico è necessario accertarsi che questo, oltre ad essere in piena salute, sia affidabile, prevedibile, controllabile in ogni circostanza, capacità di ispirare fiducia. Gli animali devono essere perfettamente in grado di partecipare alle interazioni con i pazienti, essere molto sicuri, corrispondere a precisi criteri di temperamento e comportamento ed accettare eventuali trattamenti un po’ maldestri così come essere in grado di tollerare vocalizzi incontrollati, mantenendo sempre l’attenzione rivolta verso il paziente e il conduttore. Affinché i progetti siano efficaci e positivi occorre trattare gli animali come dei partner in una relazione di mutuo vantaggio e mai come degli strumenti di lavoro. A tal fine occorre evitare l’insorgenza di stress o eccessivo affaticamento. Dosando sapientemente i tempi degli interventi, rispettando la normativa inerente il loro benessere. Su questo punto si è concentrata la Carta dei Valori e dei Principi sulla relationship “Carta Modena 2002”, alla quale già molti enti e associazioni si sono ispirati per formare il proprio team di lavoro e progettare i programmi di intervento, e che prende proprio in considerazione la necessità di tutelare anche gli animali oltre ai fruitori dei diversi progetti di pet therapy: “…considerando la necessità di circoscrivere l’apporto dell’animale a un contesto di interazione e non di sfruttamento e di definire la precisa area di operatività dell’intervento assistenziale da parte dell’animale; considerando la necessità di tutelare gli animali nella loro integrità psicofisica, nonché nei loro bisogni di welfare all’interno dei progetti applicativi e di ricerca tesi a valorizzare il portato della partnership animale”.

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Delfinoterapia Il primo ad essere salvato da un delfino, secondo la leggenda, fu il poeta greco Arione. Da allora, fino ai giorni nostri, i delfini hanno continuato ad accompagnare gli uomini per mare. Oggi le terapie si basano sulla capacità di interazione che questo intelligente mammifero ha con l’essere umano. I delfini sono abilissimi a stabilire comportamenti empatici con gli esseri umani, in particolare con i ragazzi. Questi cetacei vengono considerati dei veri e propri clown acquatici per i numerosi giochi che riescono ad inventarsi, per divertirsi e divertire. La delfinoterapia è un’attività praticata negli Stati Uniti da oltre 15 anni, in Italia è giunta verso il 1993 e viene svolta nei mesi estivi, nei delfinari di Rimini e Brindisi. È una terapia indicata nei casi di autismo infantile, negli stati depressivi degli adulti e per taluni disturbi psichici. I benefici di tale attività sono dati dal rilassamento e da un completo benessere psico-fisico che si basa su contatti spontanei tra i delfini e le persone che nuotano e giocano con loro. Per tale attività viene richiesta una buona acquaticità (purtroppo è problematico parteciparvi perché vi sono liste di attesa lunghissime, di circa 6 mesi). I delfini, hanno la facoltà di saper leggere il linguaggio corporeo (espressione del viso, atteggiamenti, paralinguaggio, prossemica) e di percepire, attraverso le produzioni ormonali, i diversi stati emotivi del l’altro. I pazienti in cura hanno conseguito risultati mai raggiunti con altre terapie: hanno riso per la prima volta, hanno detto le prime parole, hanno ricominciato a muoversi senza spasmo ecc… Uno dei più grandi sostenitori dell’efficacia terapeutica del delfino è stato lo psicologo David Nathanson, che ha avviato le sue ricerche nel 1978 presso un centro in Florida, sviluppando in quell’occasione una serie di esperimenti sul linguaggio. Utilizzando i delfini come una sorta di insegnante per i bambini Down, egli dimostrò come gli stessi imparavano tre volte più velocemente quando erano in acqua con i delfini rispetto ai metodi tradizionali di insegnamento in classe. Gli straordinari risultati di Nathanson furono poi convalidati da una ricerca del 1988 presso il dolphin Research Center nelle Isole Keys, sempre in Florida, dove furono impiegati i delfini con sei bambini ritardati mentali. Da allora il lavoro del “Dottor Delfini” in questo campo non si è più fermato, tanto che una volta trasferitosi a Key Largo egli ha dato vita ad un’innovativa terapia, la Dolphin Human Therapy, rivolta anche ai bambini nelle più gravi

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condizioni che sono a stento curabili tradizionalmente ed ai quali cerca di offrire una migliore qualità della vita. Il cervello dei delfini è tra i più simili a quello umano, come peso, sviluppo della corteccia e connessione tra i due emisferi. Recenti ricerche hanno evidenziato che i delfini sono in grado di riconoscere oltre 50 simboli o suoni corrispondenti ad altrettante parole. Si tratta inoltre di mammiferi sociali con complesse relazioni di gruppo, che possiedono una comunicazione sia non vocale che vocale: tutte caratteristiche queste che facilitano una relazione positiva con l’uomo. Tornando alle applicazioni di delfinoterapia, non possiamo comunque sottovalutare che anche il fatto di immergersi in acqua dà il suo contributo al successo della terapia stessa: tale immersione già di per se riduce infatti lo stress e facilita quindi la prontezza di apprendimento. Come riporta Kirsten Kuhnert nel suo libro “Ogni giorno un piccolo miracolo”: “Il cuore della terapia è l’incontro dei bambini con i delfini. I bambini lavorano a orari prestabiliti su una banchina galleggiante, con il loro rispettivo terapeuta e almeno un delfino, il quale riconosce i deficit dei bambini e si avvicina ai piccoli pazienti in modo giocoso. I bambini perdono molto velocemente la paura dei grandi animali, tramite loro riprendono contatto con l’ambiente e ritrovano fiducia in se stessi. E questo è importante per trarre vantaggio dagli impulsi del mondo esterno e continuare a progredire. Bambini la cui vita era caratterizzata per lo più da isolamento e apatia, mostrano reazioni. Gli impulsi positivi portano a progressi sbalorditivi nello sviluppo, con risultati a largo raggio”. Le ricerche in questo campo sono ancora poche ed in ogni caso necessitano di approfondimenti, sebbene sia innegabile che molti pazienti ricevono dall’incontro con i delfini dei benefici notevoli e duraturi.

Ippoterapia Nota già ai tempi di Ippocrate, utilizza il cavallo per la riabilitazione motoria; in sella si compiono movimenti passivi e volontari e tutto l’organismo partecipa all’esercizio. Inoltre, l’ondulazione che si avverte sopra il cavallo richiama il dondolio materno ed interagisce anche a livello psicologico trasmettendo sicurezza.

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Utile per Chi soffre di disturbi motori, paralisi cerebrali, malattie del midollo, lesioni, utile per la riabilitazione, l’equilibrio ed il coordinamento. Usata con portatori di handicap e le persone affette da sindrome di Down per lo stimolo muscolare, il rilassamento e l’autostima. Come già osservato nel caso della pet therapy e le sue ripartizioni, anche per l’hyppotherapy è doveroso fare una distinzione tra “l’hyppotherapy” propriamente detta e la “therapeuting riding”. Quest’ultimo è usato soprattutto per descrivere i vari usi del cavallo (generalmente di piccola taglia) destinati al miglioramento della qualità della vita nella persone disabili. Si possono contare molte forme di therapy riding, ma attualmente essa è suddivisa in tre gruppi principali: 1) Il primo consiste nell’andare a cavallo semplicemente come uno sport ricreativo. L’istruttore, specializzato nella tecnica riabilitativa, insegna a tutti i portatori di handicap come cavalcare l’animale. I benefici che questo sport comporta, in questo primo ambito, non sono solo divertimento e partecipazione ad un’attività ricreazionale ma include anche delle componenti psicologiche. Cavalcare dona alla persona disabile una nuova prospettiva di sé, benessere, coraggio, equilibrio con la conseguenza che anche l’autostima ne esce positivamente rafforzata. 2) Lo scopo, a differenza della prima classificazione della therapy riding, non è solo quello di insegnare come andare a cavallo possa essere educativo e divertente, ma anche conseguire dei progressi da un punto di vista psicofisico, comportamentale ed educazionale. I cavalli vengono introdotti per permettere la correzione di quegli adolescenti affetti da disturbi emotivi, facilitandone l’interazione. 3) Durante il trattamento, specialisti come psicologi e fisioterapisti posizionano la persona sulla groppa del cavallo, analizzano le risposte del movimento del quadrupede, ne dirigono i movimenti e quelli del paziente ed eventualmente li correggono per facilitare l’intesa tra i due. Anche qui lo scopo è quello di promuovere nella persona equilibrio, bilanciamento, mobilità e coordinazione dei movimenti. Cavalcare serve davvero molto, sia per favorire un rapporto di comunicazione con un altro essere vivente attraverso il contatto fisico, sia per giungere al rilassamento della muscolatura contratta, sia pelvica che lombare, grazie ai

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riflessi indotti dalla deambulazione dell’animale. Andare a cavallo produce inoltre degli effetti emotivi straordinari nel soggetto che comincia a stabilire un rapporto affettivo con l’animale che gli trasmette queste sensazioni. Cavalcare aiuta, insomma, a “sentire” meglio il proprio corpo, senza dimenticare poi che, come qualsiasi sport che viene praticato all’aria aperta, induce a provare delle forti emozioni a contatto con la natura che dà un ottimo effetto rilassante. Uno dei successi dell’hyppotherapy sta nel fatto che il cavallo ha una temperatura corporea molto simile a quella dell’uomo, per cui riesce a dare una sicurezza maggiore a chi sale in groppa. Inoltre l’animale, con il suo particolare movimento detto quadrupedale, stimola qualsiasi centro nervoso nella sua globalità, cosa che non possiamo rilevare con nessun altro mezzo scientifico. Tuttavia è fondamentale che un buon istruttore e un valido psicologo debbano scegliere un cavallo adatto al soggetto, affinché questi sia in grado di guidarlo da solo. Ed è anche per questo motivo che la morfologia deve essere tale da consentire un movimento molto comodo per il paziente; la taglia deve essere media o medio-piccola, il dorso un po’ insellato e gli appiombi dovrebbero essere perfetti. Inoltre è indispensabile un addestramento specifico che istruisca il cavallo a non spaventarsi di fronte a movimenti o suoni particolari, quali potrebbero essere quelli prodotti dalle persone disabili; ubbidire ai comandi verbali del terapista e stare assolutamente fermo nel momento in cui i pazienti scendono o vengono messi in sella. Quando il bambino guida il cavallo da solo, si rende conto che “questo mezzo terapeutico” non è uno strumento meccanico, ma che è vivo, che è in grado di percepire le sue sensazioni. La fredda postura e il preciso andamento del cavallo danno al bambino un senso di sicurezza e di autodeterminazione che contribuisce a determinare in lui una sorta di autostima. Il bambino si rende conto di poter ora modificare l’ambiente che lo circonda con le sue sole azioni, poiché guidare un animale così tanto grande e affascinante lo fa sentire padrone della situazione, nonché protagonista indiscusso. Cavalcando, interrompe una serie di pensieri disadattivi e devastanti che sono alla base della sua depressione in generale e del disturbo ansio-depressivo in particolare. Hyppotherapy non fa miracoli, ma può contribuire molto a dare degli ottimi risultati: può aiutare a scongiurare il peggioramento dei problemi neuromotori e di apprendimento, del ritardo di apprendimento, dell’autismo infantile precoce e di quello cosiddetto “secondario”, cioè derivante da difetti della vista e dell’udito, dei problemi di socializzazione e comportamento aggressi-

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vo, delle forme di depressione, ansie, paure, dei disordini spastici e di equilibrio, della sclerosi multipla, ecc. È fortemente indicata anche per tutte quelle persone che hanno subito traumi o lesioni vertebro-midollari o che soffrono di miodistrofie o sindrome di Down. In particolar modo questi ultimi beneficiano di uno specifico stimolo vestibolare nel cavalcare, attraverso la stimolazione sui neurosensori e di conseguenza sulla psico-socio-motorietà.

Onoterapia Diffusissima in Gran Bretagna e Francia, la terapia si basa su questo animale più piccolo e probabilmente anche più paziente del cavallo, facendo perno sulle sue caratteristiche di intelligenza ed obbedienza. La sua socievolezza lo porta a cercare le persone, che sono stimolate al contatto dalla docilità ed anche dalla morbidezza dell’animale. L’Onoterapia è una pratica equestre che utilizza l’asino come strumento terapeutico e si concretizza in un “complesso di tecniche di educazione e rieducazione” mirata ad ottenere il superamento di un danno sensoriale, motorio, cognitivo, affettivo e comportamentale. Un approccio dalle infinite potenzialità che si propone come co-terapia funzionando da “acceleratore“ delle acquisizioni, dell’efficacia e dei risultati di altre terapie. È una tecnica che sta attirando l’attenzione di molti specialisti e la considerazione di numerosi centri terapeutici. Riprende il concetto di “pet”, animale d’affezione, e si rivolge ad un’utenza che spesso esprime un disagio o un malessere sul piano dell’adattamento, della socializzazione, del comportamento, dell’affettività. È un metodo attivo, che non permette mai di restare passivi o di isolarsi. L’asino, per le sue caratteristiche: morbido, disponibile e affettuoso, svolge un ruolo fondamentale. L’istituirsi di un sistema di comunicazione asinoutente-operatore, crea un contesto educativo ed evolutivo in un ambiente gradevole, ricco di stimoli, a contatto con la natura. L’onoterapia, per la natura stessa dell’animale, per la specifica funzione di facilitatore dell’operatore, per la metodologia d’approccio, ha la capacità di ridare fiducia, di rimettere in moto i sentimenti e il piacere della comunicazione emotiva. Possono trovare vantaggio dall’onoterapia persone sole, cardiopatici ed ipertesi, bambini ed anziani, malati psichiatrici e tossicodipendenti, detenuti, sieropositivi, audiolesi e non vedenti. Persone con problemi di ansia, stress,

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accettazione, disarmonia emotiva. Con problemi della personalità e dello sviluppo. Dalla forma più lieve di instabilità emotiva all’autismo. Disturbi dell’attenzione, del sonno, dell’alimentazione, dell’aggressività, dei livelli di attività e di eccitabilità sono spesso una risposta a uno stato emotivo di malessere, sono il sintomo di un disagio, sono la reazione a dinamiche educative poco funzionali e/o inadeguate. L’attività con l’asino ci aiuta a recuperare una comunicazione autentica, semplice, profonda, basata sulla corporeità, sulla spontaneità, sul gioco. Si gioca insieme in un ambiente sereno, divertente, affettivo, dove la presenza dell’asino crea costantemente situazioni buffe, divertenti, nuove, stimolanti. Nella relazione utente-asino si instaura un importante canale di contatto corporeo attraverso il quale si acquisisce controllo e fiducia di sé, si favorisce un arricchimento sensoriale ed emotivo, si stimola una riorganizzazione delle strutture psichiche in un clima relazionale che permette di lasciarsi andare. L’asino è un animale molto adatto allo scopo, grazie al temperamento docile, alla sua intelligenza e memoria. L’Associazione Sinergie “Progetto Asinomania”, forte dell’esperienza accumulata in anni di attività, intende realizzare un servizio innovativo, integrato sul territorio, in grado di garantire ai bambini ed agli adulti in difficoltà, la fruizione completa del diritto alla riabilitazione ed all’integrazione. L’onoterapia si rivolge prevalentemente a quegli utenti che presentano difficoltà di tipo affettivo relazionale e comportamentale. L’onoterapia offre pertanto la possibilità di utilizzare animali selezionati e affidabili adottando, a scopo educativo, una metodologia di approccio graduale e sistematico con singoli e con gruppi. Fornisce gli strumenti, le conoscenze e le tecniche per una preparazione specifica e approfondita di intervento nella relazione onoterapeuta-utente-animale. Una profonda conoscenza dell’animale sotto l’aspetto fisico e comportamentale, attraverso la percezione delle sue necessità e del suo modo di relazionarsi; - esercitazioni pratiche; - giochi di ruolo, in grado di favorire il linguaggio e l’organizzazione dei processi di comunicazione, la concentrazione, la percezione della propria posizione nello spazio e le responsabilità; - esercizi con gli animali a terra ed in sella (monta a pelo), tesi ad integrare movimenti e funzioni, attraverso l’instaurazione di un codice di comunicazione alla pari;

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sperimentazione di metodologie di approccio al disagio alternative a quelle tradizionali; sviluppo di linguaggi espressivi, relativi ai processi emotivi, cognitivi, relazionali, corporei che caratterizzano l’evoluzione globale dell’individuo.

Strumenti dell’ onoterapia sono: l’asino, il corpo, il movimento, il gioco, la relazione utente-asino-onoterapeuta, tutte le possibili espressioni di comunicazione che permettono il riavvicinamento alla dimensione corporea, allentando i conflitti, ristabilendo una connessione col mondo delle emozioni e dei vissuti interiori.

Pesci, uccelli e altri piccoli animali Oltre che con cani e gatti, la pet therapy può essere fatta attraverso altri piccoli animali domestici che possono essere suddivisi in animali visitatori ( nel caso in cui siano portati sul luogo dai conduttori e poi riportati via) e in animali residenti ( nel caso vivano all’interno della struttura). Questi piccoli animali possono essere impiegati in luoghi dove c’è poco controllo da parte del personale o spazi limitati in cui poter lavorare. Gabbie con uccelli o acquari con pesci possono risultare più idonei e lo stesso può dirsi per le cavie nel caso di programmi che si prefiggano di accrescere le competenze di cura ed assistenza dei pazienti. La scelta dell’animale da inserire nei vari programmi non è dunque facile ed essa deve essere valutata attentamente anche grazie all’ausilio di un esperto di comportamento animale, dal momento che l’enorme variabilità di esigenze e possibilità esistenti possono condizionare la scelta di un animale rispetto ad un altro. La scelta, per esempio, di uccelli quali animali da impiegare in programmi di pet therapy è giustificata da più fattori, quali principalmente: la taglia ridotta degli esemplari, che ne permette l’impiego in diverse realtà, ed il basso rischio sanitario di malattie trasmissibili all’uomo. Gli uccelli evocano inoltre nei soggetti un rapporto che non comporta eccessiva dipendenza ( come un cucciolo di cane e/o gatto ad esempio) e stimolano un legame di attenta osservazione e rispetto anche a causa delle piccole dimensioni e della loro fragilità. Si tratta poi generalmente di animali molto mansueti e colorati, che non richiedono particolari cure, sebbene sia necessario prestare attenzione alle condizioni igeniche delle gabbie. Gli uccelli più impiegati

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sono i canarini domestici, gli inseparabili, i pappagallini ondulati o cocorite. Questi animali con il loro canto gioioso e la loro presenza gentile possono risultare di grande utilità in molti impieghi della terapia con animali, compresi progetti in cui si prevedono piccole forme di allevamento a scopo terapeutico. Indicati soprattutto per anziani e detenuti perché richiedono poche cure e si accontentano di spazi ristretti, la loro presenza riduce sensibilmente la depressione dei residenti in strutture chiuse e stimola la serenità negli individui. Con il loro canto gli uccelli rallegrano notevolmente gli ambienti domestici e sono comunque capaci di donare molto affetto ad esempio quando vengono a cibarsi direttamente dalle nostre mani o iniziano ad eccitarsi quando ci avviciniamo alle loro gabbie. Per quanto riguarda invece i conigli nani e le cavie hanno molto successo perché si adattano facilmente alla vita domestica e la loro alimentazione e cura non è particolarmente complicata, anche se occorre prestare attenzione agli sbalzi di temperatura che possono dar luogo a malattie da raffreddamento. I soggetti più socievoli possono imparare a trascorrere alcune ore fuori dalle gabbie abituandosi a condividere con le persone gli ambienti della vita quotidiana; in questi casi anche la pet therapy può avvalersi di loro in alcuni contesti di applicazione riabilitativi e preventivi, dopo un apposito addestramento. Si tratta infatti di animali molto socievoli che possono essere tenuti in braccio e accarezzati e che si prestano molto, per le loro dimensioni e la facilità di accudimento, a fungere da animali residenti in alcune strutture come carceri, comunità di recupero e ospizi. Lo stesso discorso vale anche per i pesci e le tartarughine d’acqua. Alcune ricerche hanno dimostrato che gli acquari possono costituire un’importante stimolo visivo antidepressivo e che l’osservazione di pesci dona serenità, pace e tranquillità ed ha effetti ansiolitici ed ipotensivi. Non a caso in molti ospedali pediatrici ed ambulatori o studi medici, gli acquari fanno bella mostra di sé per la gioia di pazienti e personale medico e paramedico. Questi sono particolarmente adatti ad anziani, detenuti e per le persone istituzionalizzate in quanto non richiedono particolari attenzioni o esperienza, se si eccettuano i grandi acquari che necessitano invece di cure complicate e costose.

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Capitolo Quarto

I

cani in Pet Therapy


Art첫 in una struttura per anziani


Capitolo Quarto

Due sono i settori fondamentali in cui la pet therapy può essere applicata: quello ospedaliero e quello socio-educativo. In entrambi i casi il cane è sicuramente l’animale più adatto in assoluto per tale impegno. La scelta dei cani non è certo casuale. Occorre ricordare che i cani sono generalmente animali molto socievoli, che si fanno accarezzare e toccare anche da estranei. Il tatto, il toccare, oltre ad essere il sistema primario di comunicazione, costituisce per l’uomo un vero e proprio bisogno fisico e psichico: spesso la società ci impedisce di avere un contatto diretto con gli estranei, mentre i cani, al contrario, si prestano volentieri a questi atteggiamenti, infondendo così ai pazienti un senso di calma, sicurezza e sconfiggono la solitudine e l’ansia. I cani hanno un forte senso di appartenenza e di affezione verso le persone che si occupano di loro, il che risulta una caratteristica fondamentale per una corretta applicazione della pet therapy. Sono animali facilmente addestrabili e dotati di una spiccata intelligenza, che ne permette le più svariate applicazioni. I cani possono essere introdotti in moltissimi ambienti senza particolari problemi. Il cane non riconosce la disabilità, non fa differenza tra una persona ed un’altra. Accetta tutti in egual misura.

Eizure Alert Response Cani che si rendono conto in anticipo dell’arrivo di un attacco di epilessia da parte della persona cui sono stati affidati. Gli studi a tale proposito sono ancora in fase sperimentale, non è facile distinguere come e cosa l’animale percepisca, una variazione di campo elettrico, un cambiamento a livello ormonale. Prima dell’attacco, manifestano comunque dei segnali avvisando la persona con lamenti, dandogli la zampa, abbaiando. Utile per Le persone affette da epilessia, avvisate per tempo dell’attacco, sono in grado di chiamare qualcuno, mettersi in un posto sicuro.

Cani per non udenti Sono cani addestrati per riconoscere determinati suoni e a comportarsi di conseguenza, per avvisare il padrone o condurlo verso o lontano da qualcosa.

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Sono sottoposti ad un addestramento complesso, privo di linguaggio verbale, sostituito da segni, per abituarli da subito alla situazione in cui si troveranno una volta affidati. Utile per Persone non udenti, audiolesi, trovano in questi cani dei compagni utili che rendono la loro esistenza più tranquilla proprio per l’alto grado di affidabilità che dimostrano.

Cani per non vedenti Sono probabilmente i più conosciuti tra i cani da assistenza, anche perché il loro utilizzo era noto fin dalla prima guerra mondiale. Il loro compito è quello di fare da guida alle persone con disturbi visivi gravi, per questo vengono addestrati con cura a seguire linee rette, a stimare il traffico, ad evitare ostacoli. Importante l’interazione della coppia uomo-animale. Utile per Persone con problemi di cecità. I cani sono in grado di indicare un ostacolo, muoversi nel traffico e fornire al loro padrone un’adeguata autonomia di movimento.

Cani di servizio Il loro uso inizia negli Stati Uniti intorno agli anni Settanta. Hanno un periodo di addestramento di circa due anni nei quali viene insegnato al cane ad essere l’ausilio di una persona con disabilità fisica. Quindi ad un addestramento generico, si aggiunge quello per la cura della persona, alla quale spesso il cane è chiamato a sostituirsi nelle mansioni di base, come l’accensione di una luce. Senza dimenticare il supporto fondamentale che è quello dell’amicizia e della compagnia. Utile per Persone con disabilità ed handicap fisico. Il cane permette loro di affrontare meglio la quotidianità, facilitandogli alcuni compiti, dai più semplice come raccoglier un oggetto, a quelli più complessi, come aprire una porta.

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Capitolo Quinto

M

eccanismi d’azione


Francesco ed Holly a lezione


Capitolo Quinto

La Pet Therapy ha molteplici effetti positivi sulle persone che hanno problematiche diverse sia dal punto di vista fisico che mentale, per esempio nei bambini con particolari problemi, negli anziani, in alcune categorie di malati e di disabili fisici e psichici il contatto con un animale può aiutare a soddisfare certi bisogni (affetto, sicurezza, relazioni interpersonali) e recuperare alcune abilità che queste persone possono avere perduto. La soddisfazione di tali bisogni, necessaria per il mantenimento di un buon equilibrio psico-fisico è uno degli scopi della pet-therapy che offre, attraverso alcune AAA, soprattutto con gli animali detti d’affezione o di compagnia, cui si riferisce il termine pet nella lingua inglese, una possibilità in più per migliorare la qualità della vita e dei rapporti umani. La pet-therapy può anche contribuire, affiancando ed integrando le terapie mediche tradizionali, al miglioramento dello stato di salute di chi si trova in particolari condizioni di disagio, attraverso TAA, interventi mirati a favorire il raggiungimento di funzioni fisiche, sociali, emotive e/o cognitive. È stato infatti rilevato da studi condotti già negli scorsi decenni e oggi comprovati da sempre più numerose esperienze, che il contatto con un animale, oltre a garantire la sostituzione di affetti mancanti o carenti, è particolarmente adatto a favorire i contatti inter-personali offrendo spunti di conversazione, di ilarità e di gioco, l’occasione,cioè, di interagire con gli altri per mezzo suo. Può svolgere la funzione di ammortizzatore in particolari condizioni di stress e di conflittualità e può rappresentare un valido aiuto per pazienti con problemi di comportamento sociale e di comunicazione, specie se bambini o anziani, ma anche per chi soffre di alcune forme di disabilità e di ritardo mentale e per pazienti psichiatrici. Ipertesi e cardiopatici possono trarre vantaggio dalla vicinanza di un animale: è stato, infatti,dimostrato che accarezzare un animale, oltre ad aumentare la coscienza della propria corporalità, essenziale nello sviluppo della personalità, interviene anche nella riduzione della pressione arteriosa e contribuisce a regolare la frequenza cardiaca. Che si tratti di un coniglio, di un cane, di un gatto o di altro animale scelto dai responsabili di programmi di pet therapy, la sua presenza solitamente risveglia l’interesse di chi ne viene a contatto, catalizza la sua attenzione, grazie all’instaurazione di relazioni affettive e canali di comunicazione privilegiati con il paziente, stimola energie positive distogliendolo o rendendogli più accettabile il disagio di cui è portatore. I bambini ricoverati in ospedale, ad esempio, soffrono spesso di depressione, con disturbi del comportamento, del sonno, dell’appetito e dell’enuresi dovuti ai sentimenti di ansia, paura, noia e dolore determinati dalle loro condizio-

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ni di salute, dal fatto di essere costretti al ricovero, lontani dai loro familiari, dalla loro casa, dalle loro abitudini. Alcune recenti esperienze condotte in Italia su bambini ricoverati in reparti pediatrici nei quali si è svolto un programma di Attività Assistite dagli Animali, dimostrano che la gioia e la curiosità manifestate dai piccoli pazienti durante gli incontri con l’animale consentono di alleviare i sentimenti di disagio dovuti alla degenza, tanto da rendere più sereno il loro approccio con le terapie e con il personale sanitario. Le attività ludiche e ricreative organizzate in compagnia e con lo stimolo degli animali, il dare loro da mangiare, il prenderli in braccio per accarezzarli e coccolarli hanno lo scopo di riunire i bambini, farli rilassare e socializzare tra loro in modo da sollecitare contatti da mantenere durante il periodo più o meno lungo di degenza, migliorare, cioè la qualità della loro vita in quella particolare contingenza. Altre esperienze di Attività Assistite dagli Animali riguardano anziani ospiti di case di riposo. Si è osservato che a periodi di convivenza con animali è corrisposto un generale aumento del buon umore, una maggiore reattività e socievolezza, contatti più facili con i terapisti. Un miglioramento nello stato generale di benessere per chi spesso, a causa della solitudine e della mancanza di affetti, si chiude in se stesso e rifiuta rapporti interpersonali. Nel campo delle Terapie Assistite dagli Animali, dove le prove di un effettivo miglioramento dello stato di salute di alcuni pazienti si stanno accumulando nella letteratura scientifica, la pet-therapy propone co-terapie dolci da affiancare alle terapie mediche tradizionali e, attraverso un preciso protocollo terapeutico, è diretta a pazienti colpiti da disturbi dell’apprendimento, dell’attenzione, disturbi psicomotori, nevrosi ansiose e depressive, sindrome di Down, sindrome di West, autismo, demenze senili di vario genere e grado, patologie psicotiche, ma anche a quanti necessitano di riabilitazione motoria come chi è affetto da sclerosi multipla o reduce da lunghi periodi di coma. L’intervento degli animali, scelti tra quelli con i requisiti adatti a sostenere un compito così importante, è mirato a stimolare l’attenzione, a stabilire un contatto visivo e tattile, un’interazione sia dal punto di vista comunicativo che emozionale, a favorire il rilassamento e a controllare ansia ed eccitazione, ad esercitare la manualità anche per chi ha limitate capacità di movimento, a favorire la mobilitazione degli arti superiori, ad esempio accarezzando l’animale, o di quelli inferiori attraverso la deambulazione con conduzione dell’animale la cui presenza rende gli esercizi riabilitativi meno noiosi e più stimolanti.

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I gruppi di lavoro che operano in questo settore della pet-therapy finalizzato al raggiungimento di obiettivi di salute per l’uomo, sono composti, oltre che dall’animale co-terapeuta alla cui sensibilità è affidato il compito principale, da diverse figure professionali: medici, psicologi, fisioterapisti ecc..., cui spetta di valutare e determinare come l’animale debba essere impiegato. A veterinari, etologi, addestratori e conduttori professionisti spetta, invece, occuparsi del controllo della salute e della salvaguardia del benessere dell’animale che con tanta generosità e amore lavora per aiutare il suo amico uomo, di cui sa riconoscere le difficoltà. Più in particolare possiamo identificare alcuni meccanismi specifici che la pet therapy mette in atto.

Meccanismo Affettivo-Emozionale È forse il più importante meccanismo d’azione salutare nell’ambito del rapporto uomo-animale e sul quale si basa gran parte delle applicazioni della pet therapy. Di tipo affettivo,quanto maggiore è il legame emozionale, tanto più intensi sono i risultati benefici. L’emozione agisce in molte malattie ma ovviamente non si tratta soltanto di emozioni determinate dal rapporto uomoanimale. La tecnica del rilassamento effettuato fissando l’attenzione su di un singolo elemento auditivo o visivo, od attraversando un rassicurante rapporto con un animale amico, comporta una serie di variazioni fisiologiche che sono opposte alla risposta reattiva causa di stress, soprattutto cronico. Come conseguenza si assiste ad una diminuzione del ritmo cardiaco e di quello respiratorio, nonché della pressione arteriosa e del tono muscolare, con variazione delle onde elettroencefalografiche. La diminuzione della pressione arteriosa è stata studiata e molte volte confermata nel rapporto uomo-animale-amico e posta alla base di alcuni benefici effetti della pet therapy, soprattutto nelle patologie cardiocircolatorie. La diminuzione del tono muscolare spiega come diverse patologie croniche che interessano l’apparato locomotore sono influenzate in modo positivo dalla pet therapy. Particolarmente interessanti sono le alterazioni nervose, in quanto non si limitano al rallentamento delle onde elettriche cerebrali, ma comportano anche modificazioni a livello ormonale. Recenti ricerche hanno meglio chiarito il rapporto che sussiste tra un’emozione positiva ed il benessere biologico. Diversi studi dimostrano che la risposta neuro-psichica di rilassamento è controllata dalla amigdala, una piccola struttura della dimensione e forma di una mandorla posta all’interno

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del cervello e che insieme all’ippocampo e all’ipotalamo (altre formazioni del cervello) costituiscono il Sistema Limbico. Questo Sistema, presente e ben sviluppato in tutti i Primati, gioca un ruolo chiave nelle emozioni, piacere sessuale ed altre sensazioni. L’effetto rilassante, ottenuto anche in ambito di pet therapy, ha importanti effetti sulla salute:miglioramento del 75% dell’insonnia, del 34% di sindromi dolorose (su base spastica) ed anche una certa diminuzione della infertilità femminile (su base psicosomatica). Secondo le più recenti vedute la pet therapy, almeno in parte, opera attraverso le stesse vie biochimiche della risposta di rilassamento. In altri termini un rapporto uomo-animale tranquillante, rassicurante, positivo e quindi rilassante interviene sulla produzione di adrenalina ed altri ormoni corticosteroidi o dello “stress” con il risultato finale di una minore pressione arteriosa, un ritmo cardiaco e respiratorio più lento e tutta una serie di altri benefici. Stimolazione psicologica Un intenso rapporto uomo-animale rappresenta un forte stimolo psicologico, che coinvolge diversi settori della psiche umana: comportamento sociale e meccanismi di relazione, componenti caratteriali ed aspetti cognitivi. La presenza partecipata di un animale induce la persona ad “uscire” dai suoi problemi, interessarsi all’animale e tramite questo anche agli altri. Da questa partecipazione scaturiscono molti effetti benefici, anche indiretti. Doversi interessare all’alimentazione di un animale, ad esempio, porta anche interessarsi alla propria alimentazione (oltre ad altri aspetti della vita di solito rifiutati), un elemento importante per molte malattie (per citarne una, l’anoressia) che danno inappetenza e svogliatezza La pet therapy, a livello psicologico, permette di prendere coscienza di fattori importanti, come la capacità di impegnarsi, un maggiore autocontrollo, maggiore facilità e potenzialità nella comunicazione e nella socializzazione, nella capacità di dare e ricevere amore, collaborazione e gratificazione Nel caso delle persone che vivono da sole, siano esse anziani che giovani, spesso l’animale può fungere da elemento di distrazione da problemi, quali la solitudine, la difficoltà di comunicazione, la sensazione di rifiuto, ansia, stress, o addirittura angoscia che spesso porta, se in forma esasperata, a vere e proprie forme di nevrosi o di alienazione. Meccanismo ludico Un aspetto molto importante per comprendere come agisce la pet therapy è il gioco, il divertimento e non raramente il ridere, che spesso s’instaura nel rapporto uomo-animale. Quando un ammalato gioca con un gatto, o ride per

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il modo buffo in cui si comporta un cane, aumenta le sue possibilità di difesa e quindi di guarigione. È dimostrato, infatti, che il gioco induce a movimenti e il movimento è la miglior ginnastica. Meccanismo Psico-Somatico È sempre più evidente che la psiche influisce sull’organismo e che moltissime malattie cosiddette fisiche hanno alla base una componente psichica. Attraverso i meccanismi affettivi, emozionali, di stimolazione psicologica e ludici, frequentemente associati, la pet therapy svolge importanti attività anche di tipo psicosomatico. Meccanismo Fisico La componente fisica della pet therapy è indubbiamente importante e viene sfruttata in diverse occasioni. Tipici sono gli esempi dell’equitazione terapeutica o ippoterapia, dei giochi in acqua insieme ai delfini o delfinoterapia, delle passeggiate regolari e quotidiane alle quali si deve obbligatoriamente assoggettare chi possiede un cane. Meccanismi Associati Come premesso in apertura di questo capitolo, i singoli meccanismi agiscono quasi sempre fra loro, associati. Ad esempio nella ippoterapia e delfinoterapia la componente fisica si associa sempre a quella emotiva, di interesse per l’ambiente, per gli altri e per il gioco. È questo il motivo per cui una passeggiata a cavallo è sempre più stimolante e quindi fisiologicamente più salutare di una gita in bicicletta.

Basi cliniche e fisiologiche La stimolazione di affetto dell’animale stimolerebbe l’organismo a produrre endorfine, inducendo uno stato di tranquillità e rilassatezza. Catarsi della carezza: deriva la produzione di ceruleina che agisce beneficamente sull’attività intestinale ed ha effetti positivi sulla pelle.

Equipe terapeutica Per quanto riguarda il personale, gli individui che provvedono alla AAA sono in maggioranza volontari che possiedono una conoscenza approfondita

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sia degli animali che delle persone che dovranno interagire con essi. Invece la AAT è riconosciuta come una disciplina separata. Gli individui che la compongono, specialisti della professione e con un’approfondita conoscenza delle modalità di trattamento. Questa terapia viene riconosciuta come una disciplina professionale separata dalle altre, con la caratteristica della sua interdisciplinarietà. Le persone che la esercitano presentano particolari requisiti di carattere giuridico ed etico; infatti sia a livello statale che federale e locale ci sono precise disposizioni di legge che regolano le modalità entro cui il lavoro deve essere svolto. la figura coinvolta in prima linea è quella del medico e/o lo psicologo, poiché i fruitori della pet therapy sono sempre esseri umani, indifferentemente dal fatto che siano anziani, non vedenti, audiolesi, pazienti cronici o pazienti con handicap mentali e/o fisici. Tra questi, quella essenziale del veterinario, che ha il delicato compito di selezionare l’animale, controllarne lo stato di salute e valutare nel tempo se l’animale è indicato o meno al compito che gli è stato affidato. Il terapeuta ha il compito di verificare l’effettiva necessità dell’utilizzazione della pet therapy nel caso specifico e di valutare l’efficacia della terapia nel tempo. È il veterinario, che collabora con l’istruttore, nella scelta dell’animale e nell’analisi dell’interazione comportamentale. L’istruttore, seleziona l’animale secondo le indicazioni del terapeuta, lo addestra, monitora accuratamente nel tempo l’interazione tra l’animale, il paziente e l’ambiente per verificarne il corretto andamento. Le specificità d’intervento di ogni figura professionale permettono così un approccio globale sia diagnostico che terapeutico nei confronti della coppia uomo-animale. Il veterinario è affiancato, oltre che dall’istruttore, da un etologo, oppure un biologo, o qualunque altra figura professionale che disponga di un’approfondita conoscenza del comportamento animale (meglio ancora se ha esperienza nel campo della ricerca), il cui compito è quello di istruire i pazienti, i familiari a cui è richiesta collaborazione, nonché gli altri operatori (medico e psicologo compresi) circa il comportamento degli animali utilizzati, su quanto ci si può e ci si debba aspettare da loro, sui criteri di valutazione. Altre figure estremamente utili, se non indispensabili, sono il pedagogista, l’assistente sociale, un tutore o curatore per gli eventuali pazienti minorenni o incapaci d’intendere e di volere, avvocati esperti in diritto di famiglia e chiunque, a titolo di volontariato, voglia dare un valido contributo alla terapia. Scelta dell’animale giusto per il proprietario giusto, nell’ambiente giusto.

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Capitolo Sesto

F

inalitĂ e campi di applicazione delle AAT


Artupet: Artù impegnato in un’attività di Pet Therapy in un centro diurno per anziani


Capitolo Sesto

(uso terapeutico e profillatico degli animali: UTEPA) I campi di applicazione della pet therapy sono innumerevoli e possono essere individuati a seconda delle finalità che si vogliono raggiungere, qui ne possiamo elencare alcune: 1) Finalità psicologiche-educative - Trattamento dei disturbi comportamentali soprattutto nei bambini (cattiva o insufficiente socializzazione, inadeguato rendimento scolastico, senso di insicurezza, ecc.); - Riduzione dell’aggressività in situazioni critiche (manicomi criminali, prigioni, luoghi di detenzione in genere, ecc.); - Trattamento della Sindrome di Deprivazione (Autismo); - Trattamento e prevenzione delle Sindromi Depressive negli anziani; - Stati di ansia e tensione neuro-psichica; 2) Finalità mediche - Convalescenze a seguito di malattie; - Ipertensione; - Recupero dei cardiopatici; - Malattie croniche, soprattutto di tipo neuro-muscolare; 3) Finalità motorie-riabilitative - Trattamento e riabilitazione per deficit motori di diverso tipo (ippoterapia). La pet therapy può essere così impiegata in diversi contesti come nell’autismo, disturbi della personalità, disturbi del comportamento, disturbi dell’affettività, problemi di natura fisica o in tutti quei contesti dove vi è un forte disagio sociale. Qui di seguito riportiamo alcuni settori in cui la pet therapy ottiene ottimi risultati.

Autismo Sono passati più di 50 anni da quando il Dott. Leo Kanner, uno psichiatra della Johns Hopkins University, scrisse il primo articolo applicando il termine ‘autismo’ a un gruppo di bambini che erano chiusi in se’ stessi e che avevano

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severi problemi di socializzazione, di comunicazione e comportamentali. Questo articolo fornisce una panoramica generale della complessità di questa disabilità dello sviluppo, dando un sommario di gran parte dei principali aspetti dell’autismo. Il dato statistico più citato è che l’autismo si manifesta in 4.5 casi su 10000 nascite. Questo dato è basato su indagini a larga scala condotte negli Stati Uniti ed in Inghilterra. Si stima inoltre che il numeri dei bambini che ha comportamenti autistico-simili sia dai 15 ai 20 ogni 10000. È interessante notare che le stime sull’incidenza dell’autismo variano considerevolmente a seconda del paese, passando da circa 2 ogni 10000 in Germania, ad addirittura 16 ogni 10000 in Giappone. Plausibili motivi di discrepanza sul tasso d’incidenza possono essere differenti: criteri di diagnosi, fattori genetici e/o influenze ambientali. L’autismo colpisce i maschi con una frequenza tre volte maggiore delle femmine. Questa differenza tra i due sessi non è peculiare dell’autismo poiché molte disabilità dello sviluppo hanno un rapporto maschifemmine anche più elevato. Molti neonati autistici sono diversi fin dalla nascita. Due caratteristiche comuni che si possono ritrovare in questi neonati sono l’incurvare la schiena per allontanarsi dalla persona che li accudisce in modo da evitare il contatto fisico ed il non riuscire ad anticipare il fatto di essere presi in braccio (restano cioè passivi, col corpo abbandonato). Nei primi mesi di vita sono spesso descritti come bambini o passivi o estremamente agitati. Ci si riferisce ad un bambino come passivo quando è tranquillo per la maggior parte del tempo e richiede poca o nessuna attenzione da parte dei genitori. Per estremamente agitato si intende invece un neonato/infante che durante le ore di veglia piange molto, a volte ininterrottamente. Durante l’infanzia, molti di questi bambini iniziano a dondolarsi e a picchiare la testa contro la culla, anche se ciò non sempre avviene. Nei primi anni di vita, alcuni bambini autistici raggiungono tappe dello sviluppo (quali parlare, gattonare e camminare) molto in anticipo rispetto alla media; in altri casi le stesse tappe vengono raggiunte invece con considerevole ritardo. Approssimativamente, un terzo dei bambini autistici si sviluppa in modo normale fino ad una età compresa tra un anno e mezzo e tre anni, dopodiché i sintomi autistici cominciano ad emergere. Questi individui sono spesso indicati come soggetti ad un autismo ‘regressivo’. Alcuni addetti ai lavori ritengono che la Candida (Candida Albicans), le vaccinazioni, l’esposizione ad un virus o la presenza di convulsioni possano essere responsabili di questa regressione. Si pensa anche che alcuni bambini con ad autismo ‘regressivo’ possano aver contratto la Sindrome di Landau-Kleffner (si veda la sezione seguente). Durante l’infanzia, i bambini autistici possono restare indietro rispetto ai loro coetanei nelle aree della comunicazione, della socializzazione e della percezione. Inoltre,

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possono cominciare a manifestarsi comportamenti disfunzionali quali comportamenti auto-stimolatori (ad esempio, comportamenti ripetitivi e non finalizzati, come dondolarsi, agitare le mani), comportamenti autolesionistici (p.es., mordersi le mani, picchiare la testa), problemi del sonno e dell’alimentazione, scarso contatto di sguardo, insensibilità al dolore, iper-/ipo-attività e deficit dell’attenzione. Una caratteristica abbastanza comune nell’autismo è il comportamento ‘insistentemente ripetitivo’ o ‘insistentemente perseverante’ dell’individuo. Molti bambini diventano estremamente insistenti sulle routine; se una routine viene cambiata, anche di poco, il bambino può essere sconvolto e collerico. Alcuni esempi comuni sono: mangiare e/o bere lo stesso cibo ad ogni pasto, vestire certi abiti o insistere che altri vestano sempre gli stessi abiti, andare a scuola usando sempre la stessa strada. Una possibile ragione per l’insistenza sulla ripetitività nell’autismo potrebbe essere l’incapacità di comprendere e di confrontarsi con nuove situazioni. Individui autistici hanno alle volte difficoltà col passaggio alla pubertà. Approssimativamente il 20% ha convulsioni per la prima volta durante la pubertà, dovute probabilmente a variazioni ormonali. Molti problemi comportamentali inoltre possono diventare più frequenti e più severi durante questo periodo. D’altra parte invece, altri passano attraverso la pubertà con relativa facilità. A differenza di quanto succedeva 20 anni fa, quando molti individui autistici venivano istituzionalizzati, ci sono oggi molte e diverse possibilità di sistemazione, flessibili a seconda dei casi. Attualmente, solo gli individui più gravi vivono in istituti di internamento. In età adulta, alcuni vivono con i genitori, altri in case di residenza, altri vivono in modo semiindipendente (p.es. in gruppi ridotti in un’abitazione), altri ancora vivono in maniera del tutto indipendente. Ci sono individui che riescono a frequentare l’università ed a laurearsi ed alcuni che sviluppano relazioni adulte e possono sposarsi. Nell’ambiente lavorativo, molti adulti autistici possono essere lavoratori affidabili e coscienziosi. Sfortunatamente però possono avere difficoltà nel trovare lavoro in quanto, essendo molti di loro socialmente impacciati e potendo apparire ‘eccentrici’ o ‘differenti’, hanno sovente difficoltà con i colloqui di assunzione. Non esiste un aggettivo in grado di descrivere tutti i tipi di persone affette da autismo, esistono infatti molte forme diverse di questo disordine. Ad esempio, alcuni individui sono anti-sociali, altri sono a-sociali, altri ancora sono invece sociali. Alcuni sono aggressivi verso se’ stessi e/o verso gli altri. Circa la metà ha linguaggio molto limitato o addirittura assente, alcuni invece ripetono parole o frasi (ecolalia), altri hanno una normale capacità linguistica. Poiché ad oggi non esistono test fisiologici in grado di determinare se una persona sia affetta da autismo, questo disordine viene diagnosticato quando un individuo presenta un certo numero di comportamenti caratteristici. Ricerche negli ultimi

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cinque anni hanno dimostrato che molte persone che presentano comportamenti autistici, sono affette da disordini correlati, ma distinti. Questi includono: la Sindrome di Asperger, la Sindrome da X Fragile, la Sindrome di LandauKleffner, la Sindrome di Rett, e la Sindrome di Williams. La Sindrome di Asperger è caratterizzata da pensiero concreto e letterale, ossessione per alcuni argomenti, eccellente memoria, comportamento ‘eccentrico’. Questi individui sono considerati funzionanti ad alto livello, sono in grado di mantenere un lavoro e di vivere in maniera indipendente. La Sindrome da X Fragile è una forma di ritardo mentale in cui il ramo lungo del cromosoma X è contratto. Approssimativamente il 15% delle persone con Sindrome da X Fragile presenta comportamenti autistici. Questi includono: ritardi del linguaggio e della parola, iperattività, scarso contatto di sguardo e l’agitare le mani. La maggioranza di questi individui opera a livelli medio-moderati. Con gli anni, le loro peculiari caratteristiche fisiche facciali possono diventare molto prominenti (p.es. volto ed orecchie allungati) e possono sviluppare problemi cardiaci. Anche le persone affette dalla Sindrome di Landau-Kleffner, esibiscono molti comportamenti autistici quali rifiuto per la vita sociale, insistenza sullo stesso soggetto e problemi di linguaggio. Si pensa spesso che questi individui siano affetti da autismo ‘regressivo’ in quanto appaiono normali fino ad una età compresa tra i 3 e i 7 anni. Hanno sovente buona capacità di linguaggio nella prima infanzia, ma gradualmente perdono la loro capacità di parlare. Presentano anche anormalità nell’andamento delle onde cerebrali, che possono essere diagnosticate analizzando l’Elettroencefalogramma preso durante un periodo di sonno esteso. La Sindrome di Rett è un disordine degenerativo che colpisce principalmente le femmine e si sviluppa generalmente tra i sei e i diciotto mesi di età. Alcuni comportamenti caratteristici includono: perdita del linguaggio, ripetitive contorsioni delle mani, dondolamento del corpo e rifiuto della socialità. Gli individui che soffrono di questo disordine possono essere mentalmente ritardati in modo severo o molto severo. La Sindrome di Williams è caratterizzata da severi comportamenti autistici che includono: ritardi dello sviluppo e del linguaggio, sensibilità eccessiva ai suoni, deficit dell’attenzione e problemi di socializzazione. A differenza di molti individui autistici, quelli affetti da Sindrome di Williams sono abbastanza sociali e soffrono di problemi cardiaci. Nonostante non sia nota una causa unica dell’autismo, c’è crescente evidenza che questo possa essere causato da una varietà di problemi. Ci sono per esempio indicazioni di un’influenza genetica. Ad esempio, due gemelli monozigoti (cioè gemelli identici) hanno maggiore probabilità di essere autistici rispetto a due gemelli dizigoti (cioè fratelli gemelli). Nel caso di gemelli monozigoti, c’è una sovrapposizione del 100% dei geni, mentre nei gemelli dizigoti, c’è una

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sovrapposizione genetica del 50%, la stessa che c’è nei fratelli non gemelli. In una campagna condotta in Utah, alcuni ricercatori identificarono undici famiglie in cui il padre era un soggetto autistico. In queste undici famiglie, su un totale di 44 figli, 25 furono diagnosticati come autistici. Altre ricerche hanno mostrato che depressione e/o dislessia sono piuttosto frequenti in uno o entrambi i lati di una famiglia dove è presente l’autismo. Il contatto umano è mal tollerato dal bambino autistico; occorre tirarlo fuori dal suo guscio protettivo con mezzi indiretti come la musica, le attività ritmiche, stimolazioni piacevoli e dolci come la presenza di animali per indurlo gradualmente a servirsi degli organi di senso più elevato. L’intervento deve badare prima di tutto a ripristinare le facoltà di formare rapporti sociali, riducendo l’ansia, il ritiro, il rifiuto della società. Esperienze attuate negli Usa con queste premesse hanno dato buoni risultati. In molte di esse la madre è coinvolta come preziosa co-terapeuta, ma il leit motiv di questi approcci è l’attenzione data all’atmosfera degli incontri, calda e affettuosa, tesa a creare un ambiente rassicurante con grande rispetto per la personalità dei bambini e delle madri. Tra questi approcci estremamente interessante è quello che si giova degli animali da compagnia come co-terapeuti. Per contrastare i bassi sensori dei bambini autistici, gli animali presentano un efficace stimolo multisensoriale - un segnale forte e chiaro, un’intensa impressione visuale, uno speciale odorato e un’innovazione nel tatto. La loro semplice, ripetitiva azione non verbale, non è molto semplice da codificare. Tuttavia queste attività, se generalizzate, possono portare ad una normalizzazione sociale. Esse potrebbero incoraggiare sia gli adulti che i bambini a continuare e ad estendere i loro sforzi, facendo interagire produttività e piacere. Nella fase del post-trattamento, senza la presenza del cane, né del terapista, né di altra persona familiare, i ragazzi non hanno ancora compiuto un miglioramento di base, sebbene siano lievemente migliorati rispetto alla fase precedente al trattamento stesso. Il cane è servito per “iniziare” i ragazzi handicappati così che lei/lui abbia superiori capacità di partecipare e di avviare un’interazione sociale. Le qualità del cane – novità, sensorio e capacità percettive – intensificano lo stato affettivo ed impulsivo del ragazzo che il terapista ha favorito, modulandolo e dirigendolo. Naturalmente non è il cane da solo che crea il cambiamento.

Disturbo di ansia Un modello di applicazione della pet therapy è stato proposto anche in una determinata patologia, il Disturbo d’Ansia Generalizzato, ossia quella situazio-

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ne sintomatica caratterizzata da tensione ed irritabilità. Abbiamo avuto modo di constatare come l’interazione con l’animale da compagnia è un elemento di sicurezza, rilassa, è uno “stimolatore di sorrisi” e non raramente di risate, porta ad una diminuzione delle patologie somatiche minori, abbassa la pressione arteriosa. L’animale offre la possibilità di distrarre il soggetto, tenendolo occupato contro quelle che possono essere le possibili cause di ansia e quindi di stress; permette un corretto scambio di messaggi. Inoltre, la modificazione comportamentale dell’animale si accompagna a quella del padrone che, aumentando il controllo sul cane, aumenta l’autostima e riceve quindi un rinforzo positivo con conseguente miglioramento del suo quadro psicopatologico e del benessere psicofisico di entrambi. Il distubo d’ansia generalizzato comporta: - ansia e preoccupazioni eccessive; - difficoltà a controllare la preoccupazione; - irrequietezza, facile affaticabilità, difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni, vuoti di memoria, irritabilità, tensione muscolare, alterazione del sonno, ecc. (mentre negli adulti, per diagnosticare questo disturbo, è necessari che l’ansia e la preoccupazione siano associate a tre o più di questi sintomi, nei bambini ne è richiesto solo uno).

Terza età Gli anziani, che vivono una realtà triste e demotivata, quale può essere quella dell’istituto pubblico, sono anche coloro che meglio di tutti possono sfruttare le attività profilattiche e terapeutiche degli animali da compagnia, istituendo con loro un intenso rapporto interpersonale, a fronte anche della gran quantità di tempo che possono dedicare loro. Gli animali, invece, riescono ad arricchire in modo vario la qualità della vita degli anziani, persone fragili e spesso senza prospettive. La morte di una persona cara o la partenza di un figlio possono spesso provocare dei baratri di solitudine, che possono tuttavia trovare un surrogato psicologico nella presenza di un cane o di un gatto. Con gli animali gli anziani parlano, si confidano, sfogano le proprie inquietudini, le malinconie. In molti casi si è registrato anche un miglioramento dello stato fisico, oltre che psicologico, perché un animale da accudire obbliga a muoversi, a condurre una regolare attività fisica e si sa che la sedentarietà è uno dei grandi nemici dell’età matura.

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La quale ha il vantaggio di contribuire a ridurre la probabilità di fratture ossee in età avanzata e di ridurre la densità di concentrazione di lipoproteine (colesterolo) nel sangue. Nelle comunità che ospitano anziani, poi, la presenza di un cane o di un gatto “mascotte” facilita le comunicazioni interpersonali, agendo da fattore catalitico (funzione presente anche nei bambini). Nei pazienti ricoverati in Casa di Riposo l’ utilizzo di animali da compagnia può configurarsi sia come attività di animazione, di svago, di sostegno (AAA = Animal Assisted Activity ) sia come vero e proprio intervento terapeutico (AAT Animal Assisted Therapy). In entrambi gli studi l’ interazione tra gli animali e i ricoverati ha prodotto un miglioramento del tono dell’ umore, una riduzione dei disturbi comportamentali e un aumento dell’ autonomia. Sotto l’ aspetto fisico l’ opportunità di accarezzare o di accompagnare un animale può favorire la ripresa della motilità e l’ esecuzione di un programma di fisiokinesiterapia (FKT). Un settore di utilizzo molto promettente sembra quello del Morbo di Alzheimer, soprattutto nei pazienti in fase non troppo avanzata. In questi pazienti l’ interazione con l’ animale appare in grado non solo di ridurre i disturbi comportamentali (agitazione, aggressività), lo stress e le turbe dell. umore (ansia, apatia, depressione) ma anche di stimolare alcune funzioni psicologiche e mentali residue. In particolare può essere stimolata la memoria a lungo termine(attraverso l’ evocazione di ricordi legati a un precedente possesso di animali), la comunicazione verbale e non verbale, la stimolazione sensoriale, la soddisfazione di certi bisogni primari (attenzione, affetto). Un gruppo di psicologi ha condotto uno studio sistematico per analizzare il potenziale giovamento apportato dalla pet-therapy su specifici indici generali di umore di un gruppo di anziani ospiti di una casa di riposo. L’esperimento è consistito nell’introduzione nella casa per anziani di un cane addestrato per un periodo di sei mesi ai ricoverati sono stati effettuati numerosi test, sia prima che in seguito al periodo di convivenza con il cane, per valutarne gli eventuali cambiamenti di una serie di parametri sia neuroendocrinologici che psicologici. Alla fine del periodo di osservazione i soggetti sembravano aver migliorato il tono dell’umore, erano più sorridenti, più gioviali, allo stesso tempo dimostrando maggiore reattività e socievolezza, al contrario di pazienti di controllo che non si erano giovati dell’opportunità di interagire con l’animale. Tali dati, sia pur interessanti, vanno valutati con cautela. Una prima considerazione da farsi è che i test psicologici venivano effettuati dallo staff della clinica e non da medici esterni, e questo rappresenta una notevole bias del disegno analitico, perché confonde aspettative con risultati oggettivi. Questo fattore, e

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la fiducia a priori che i membri della clinica dimostravano nei confronti dell’efficacia del trattamento, costituiscono infatti ambedue delle variabili da non sottovalutare. Va inoltre considerato che l’arrivo di un animale in un ambiente clinico-ospedaliero potrebbe di per sé modificare le attitudini e gli stili professionali degli operatori sanitari, se non altro per il carattere di novità dell’evento. Altri studi hanno invece valutato l’impatto terapeutico degli animali da compagnia. La maggior parte ha saggiato l’effetto dell’animale su persone disturbate, depresse, su portatori di handicap o sugli anziani.

Salute del cuore È dal 1977 che si studia l’effetto della presenza attiva dei pet per combattere i mali del secolo che riguardano l’apparato cardiocircolatorio, ossia l’ipertensione, l’infarto cardiaco e tutte le conseguenze ad essi legate. Esaminando un gruppo di persone colpite da infarto, si accorsero che le probabilità di sopravvivenza erano nettamente superiore tra i pazienti che possedevano un cane. Credettero che la causa principale andava ricercata nel fatto che questi animali costringessero i loro padroni ad una regolare e salutare attività fisica (con tutte le conseguenze benefiche che ne derivano), ma c’era di più. Dimostrarono che un buon rapporto con un cane, parlare con lui, accarezzarlo, accudirlo, scherzarci, giocarci, provocava una diminuzione della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, più di quanto non accadesse parlando o discutendo con una persona. Infatti, la mancanza di competitività, il senso di protezione e di sicurezza, riducendo i valori sopra citati, contribuiscono a ridurre l’uso (a volte vero e proprio abuso!) di farmaci. Nelle malattie cardiocircolatorie è stato notato che quando una persona passeggia da sola tende a concentrare i propri pensieri sui problemi che l’affliggono; invece, passeggiare con un cane, seguirlo in tutti i suoi movimenti e deviazioni di percorso obbliga il proprietario a pensare al suo amico a quattro zampe, abbandonando tutti i suoi crucci e distogliendolo dalle sue preoccupazioni. Probabilmente una delle prove più interessanti e sorprendenti del legame tra salute umana ed effetti dell’esposizione ad animali da compagnia è il risultato di uno studio condotto da una dottoranda americana, Erika Friedman, sull’efficacia delle condizioni sociali e dell’isolamento sulla sopravvivenza di un gruppo di infartuati . I dati di tale studio sembrerebbero suggerire che alcuni tipi di

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contatti sociali e, in particolare, l’accudire un animale da compagnia, sia legato a più alte probabilità di sopravvivenza in seguito a un evento infartuale. L’effetto riscontrato non sembra essere la conseguenza della necessità di condurre a spasso gli animali, cosa che potrebbe risultare comunque in uno stile di vita più sano in quanto fisicamente più impegnativo. Successivamente, lo stesso gruppo di ricercatori è stato in grado di dimostrare che l’animale di compagnia ha la capacità di “rilassare” il proprio accuditore, con un conseguente abbassamento della pressione sanguigna. È stato infatti dimostrato come la pressione arteriosa di un individuo possa diminuire come conseguenza del semplice accarezzamento di un cane. In un ulteriore studio, condotto su soggetti giovani, è stato dimostrato che la pressione sanguigna di un bambino posto in una situazione non familiare è minore in presenza di un cane, indipendentemente dalla possibilità di contatto fisico con esso. Più in generale, gli animali da compagnia sembrerebbero esercitare un effetto misurabile sulla prevalenza dei problemi di salute ordinari quali raffreddori, mal di testa, dolori alla schiena e insonnia. L’accudimento di un animale da compagnia sembrerebbe anche giocare un ruolo importante, incrementando il benessere psicologico e i livelli di autostima del partner umano.

Prigioni Si è osservato, ove l’inserimento degli animali è stato ben preparato e condotto, un incremento di cooperazione tra i detenuti e il personale di custodia, con attenuazione di fenomeni di violenza e tentativi di suicidio e quindi, anche in questo caso, con una marcata riduzione dell’uso di farmaci. Gli animali incentivano i ricoverati ad utilizzare il proprio tempo accudendo e mantenendo cani, gatti, canarini, pesci rossi. La presenza degli animali all’interno del carcere ha migliorato i rapporti umani, ha rafforzato il senso di responsabilità, ha mitigato il senso della solitudine e gli stati depressivi dei reclusi.

Difese immunitarie Una recentissima teoria dice che osservare il proprio cane in tutte le sue manifestazione d’affetto induce alla formazione di endorfine, le droghe naturali del nostro sistema nervoso quando il nostro spirito è lieto e disteso e che stimolano le difese immunitarie. Oltre a questo esiste anche un secondo beneficio: chi ha un cane è indotto non

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solo a parlare con lui mettendo in attività la catarsi della parola, ma anche ad accarezzarlo e la catarsi della carezza dà origine alla ceruleina o colecistochinina, una sostanza prodotta dall’organismo che ha l’effetto di rendere più efficiente le attività intestinali e più liscia e vellutata la pelle.

Stress La pet therapy rappresenta un valido supporto per la moderazione dello stress. Una delle sue maggiore cause va ricercata nel fatto che nel rapporto coi propri simili l’uomo si sente osservato, criticato, messo in discussione. Con il cane tutto ciò non avviene in quanto ci accetta per quello che siamo, senza criticarci o pretendere di cambiarci. Contemplare un acquario, con tutte le sfumature di colore e gli sciabordii delle bollicine dei pesci, produceva diminuzioni nel livello di stress e quindi relax. Altre terapie simili, come ad esempio l’ipnosi, non riuscivano a raggiungere un tale livello di efficacia.

Schizofrenia “Pet therapy nuova ‘medicina’ contro la schizofrenia. A promuvere l’utilizzo degli animali da compagnia, in particolare dei cani, come arma per migliorare l’autostima, le capacità reattive e la qualità della vita dei malati è uno studio israeliano pubblicato sulla rivista ‘Psychotherapy and Psychosomatics’.” “la pet therapy sia efficace soprattutto contro un sintomo della schizofrenia resistente alle cure tradizionali: la cosiddetta ‘anedonia’, cioè l’incapacità di trarre soddisfazione da esperienze ritenute in genere piacevoli.” Sono le persone sensibili ed emotive quelle che maggiormente traggono beneficio dal rapporto con l’essere animale, perché nell’essere animale ritrovano le stesse caratteristiche che non ritrovano negli altri esseri umani. Gli schizofrenici si potrebbero definire degli “ultrasensibili” che sentono tutto in modo eccessivo sulla loro pelle, nella loro anima e nella loro testa. La “Porta Animale” Nello schizofrenico, che inverte e confonde la realtà, con desiderio di realtà irreale fatta di un misto di sogno e fantasia, intercalato da ragionamenti complessi, secondo uno schema mentale “molto” personale, si può generare una diversa attenzione da se stesso, una sua ripolarizzazione verso l’esterno che prima non valutava e non comprendeva. Nello psicotico schizofrenico, nel rapporto essere uomo ed essere animale, può nascere a volte un concetto stranamente invertito. “Non sono gli animali a farti compagnia, perché sono loro che hanno bisogno di compagnia… sei tu che devi fare compagnia

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a loro”. Se un paziente dice una cosa del genere, apparentemente paradossale ed invertita, oltre a dimostrare una grande sensibilità ed intuizione verso l’essere animale, significa che ha compreso un suo nuovo ruolo: che esiste “un qualcuno” oltre se stesso. Si sente necessario ed importante per uno scopo dapprima impensato, ed attraverso la scoperta di questa motivazione, rientra nel mondo degli esseri umani attraverso la “porta animale” e cessa di restare nel suo mondo a parte. l’animale come compagno, l’animale come essere con cui confrontarsi, l’animale come “essere” sosteneva Konrad Lorenz dotato di una sua sensibilità e di una sua coscienza, con gioia e sofferenza animale, non codificata ed estrinsecata necessariamente su quella umana. Konrad Lorenz, padre della Etologia moderna aggiungeva “l’uomo è troppo presuntuoso... gli animali hanno una coscienza. L’uomo non è il solo ad avere una vita interiore soggettiva”. Dovremmo tenerne conto quando parliamo di esseri animali, accettandone la loro diversità e non spiegando tutto secondo le nostre esigenze e le nostre concettualità.Anche se non stupisce che ciò avvenga visto che attraverso le nostre concettualità spieghiamo i comportamenti e le emotività degli esseri umani, ed allo stesso modo facciamo con gli esseri animali.Costruiamo l’universo con l’idea che abbiamo del nostro mondo individuale, in un atto di presunzione, come sosteneva Konrad Lorenz, che ci confina nel nostro piccolo mondo... Una comprensione nelle due direzioni, l’essere animale che comprende l’essere umano e l’essere umano che comprende l’essere animale.

Ospedali Oggi si assiste sempre di più alla presenza indiscussa di animali da compagnia negli ospedali, come aiuti terapeutici per persone con malattie croniche durante la fase della loro convalescenza o malati terminali di Aids o altri mali incurabili. Essi agiscono da stimolo: condurlo fuori per la sua passeggiata mattutina è un riconoscimento per il convalescente della sua avvenuta guarigione. È necessario che l’animale goda di ottima salute e, soprattutto, che le persone che ne vengano in contatto abbiano efficienti difese immunitarie.

Disabilità Per persone affette da plurihandicap grave o gravissimo, si intendono tutti coloro che sono stati colpiti da gravi deficit organici, cognitivi, emozionali, motori ed espressivi. I danni riportati coinvolgono le aree deputate alla coordi-

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nazione, al movimento, alla percezione e all’integrazione. Queste persone spesso faticano ad interagire normalmente con con il tessuto sociale che le circonda; tendono a divenire apatiche, perdono interesse per le cose e si lasciano trasportare dagli eventi, non investendo spesso nemmeno un minimo di energia, che costa peraltro loro enorme fatica. La loro condizione influenza inevitabilmente tutte le persone che vivono ed interagiscono con loro. I cambiamenti fisici come l’alterazione del tono muscolare, le deformità scheletriche o le contratture dei tendini, hanno un ruolo importante nello sviluppo e nella conduzione delle funzioni organiche (ad esempio lo spostamento di alcune ossa dello scheletro rendono difficile la crescita di alcuni organi esterni): in persone affette da handicap grave la capacità respiratoria appare ridotta, le funzioni di reni e fegato e degli organi deputati alla digestione sono compromesse; tutto questo travalica la lesione primaria e diventa una malattia cronica altamente invalidante. Ognuno di questi pazienti ha bisogno del contatto corporeo per vivere una determinata esperienza e per percepire le altre persone, dalle quali spesso dipendono i loro movimenti. Essi faticano ad essere compresi e a comunicare in maniera chiara, per questo motivo chi si avvicina a loro deve farlo con affetto e competenza. Ogni persona ha particolari bisogni, anche se, ad un primo colpo d’occhio, questi ci possono sembrare omogenei: bambini e adulti con gravi handicap presentano sì bisogni simili, ma questi devono essere raggiunti in maniera differente. Le persone gravemente disabili presentano, nella maggioranza dei casi, difficoltà e turbe estreme della motricità che inevitabilmente determinano una diversa capacità di percezione elementare. La difficoltà motoria conduce ad un’inadeguata percezione e conoscenza del proprio corpo. Ne conseguono scarse esperienze sensoriali, che riducono i vissuti limitando la crescita cognitiva. Uno degli obiettivi che ci si pone con queste persone, è proprio quello di fornire strumenti facili, ma estremamente stimolanti così che possano arricchire le loro esperienze senso-percettive e motorie. Chi è gravemente disabile ha un campo di azione ridotto, mentre il nostro corpo necessita costantemente di attività e movimento ( e qui non si intende solo il camminare, ma anche atti motori più semplici come ad esempio la respirazione). Quando la compromissione organica è tale da impedire qualsiasi tipo di movimento, le persone perdono l’idea del limite del proprio corpo. I programmi terapeutici tradizionali spesso non si domandano cosa sa fare quella persona, qual è il suo valore, se è interessato alle nostre proposte, se sta bene in questo contesto, ecc. Quando non vengono rispettati i bisogni legati

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alla persona si va inevitabilmente incontro a problemi legati alla personalità, a cui associano apatia e disinteresse per ogni proposta. Lo stato di grave disabilità induce all’isolamento, accentuato da grosse difficoltà da parte della persona disabile ad entrare in comunicazione con gli altri e a trovare sbocchi per i cambiamenti e le azioni. IN altri casi ancora, le eccessive richieste provenienti dall’ambiente esterno, a cui la persona disabile non riesce a far fronte, provocano enormi frustrazioni ed uno stato di stress costante,che, necessita di essere “sfogato” in qualche modo. A seguito di queste situazioni si osservano in queste persone numerose stereotipie e disturbi del comportamento: l’individuo si organizza a suo modo per creare situazioni stimolanti, ad esempio provoca sensazioni vestibolari attraverso il movimento del capo e del tronco la compromissione dei bulbi oculari con le dita o con i pugni chiusi, per ottenere informazioni visive, tattili cospargendosi con le mani di saliva e toccandosi capelli o altre parti del corpo con gesti ripetitivi, o ancora stimola la percezione interna corporea battendo ripetutamente le mani fra loro o su alcune parti del corpo. Questi movimenti stereotipati possono essere positivi per il soggetto che ritrova nella ripetitività stimoli e sicurezza per attenuare il suo stato d’ansia. Ma nello stesso tempo possono indurre il soggetto ad uno stato di isolamento, in alcuni casi con manifestazioni autolesionistiche. Non è sensato bloccare le stereotipie mentre vanno ricercate strategie compensative. Le persone che vivono accanto a queste persone dovrebbero cercare di comprendere cosa essa cerchi di dirci con questi gesti. Gli studiosi portano come dato certo il limite di vita di queste persone così gravemente disabili. In molti casi vengono trattate solamente come malati cronici e passano la maggior parte del loro tempo a letto o comunque nella stessa posizione, sperimentando sul loro corpo sensazioni spiacevoli e mortalmente noiose. In tale contesto il quadro clinico e l’apatia dell’individuo peggiorano a vista d’occhio facendo precipitare la situazione. Il compito di un buon operatore è quello di scoprire tutto ciò che il disabile è in grado di fare, al di là della diagnosi, imparando ad osservare e non a prevedere o immaginare, quelle che possono essere le aree funzionanti, favorendo il loro sviluppo e potenziamento. Il metodo su cui si basa l’intervento di pet therapy con disabili gravi e gravissimi è impostato in modo che vi siano degli obiettivi specifici che si possono raggiungere in base alle esigenze del paziente che viene trattato. Il primo passo è sicuramente un’ osservazione mirata della persona, la creazione di un ambiente rilassato, che mettono la persona disabile nella condizione

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di creare una buona interazione con il terapista e gli animali, trovando spazi per agir ein base ai propri tempi e alle proprie possibilità. Una buona cosa, per esempio, potrebbe essere iniziare e finire la seduta seguendo sempre gli stessi rituali. Attraverso il contatto con gli animali e la scoperta e l’utilizzo di materiali naturali di diverso tipo, è possibile stimolare il movimento sia di tipo attivo sia di tipo passivo. Inoltre ogni situazione che viene proposta consente l’uso di tutti i sensi. L’intervento degli animali favorisce una piacevole percezione sensoriale e riproduce uno stato di comunicazione corporea entro la quale il portatore di handicap si sente accudito e coccolato.Questo permette alla persona di sviluppare un atteggiamento fiducioso verso il mondo esterno. Sono sempre più frequenti, sia in Italia che all’estero, le associazioni per l’emancipazione del disabile che dispongono di gran numeri di cani che vengono addestrati a seconda delle necessità. I cani per assistenza vengono preparati per essere l’orecchio di chi non sente, l’occhio di chi non vede, e non solo questo. Ad esempio, nel caso di pazienti paralitici o costretti a letto per grave infermità, un cane può rivelarsi estremamente utile nell’afferrare oggetti, come la cornetta del telefono portatile quando il telefono squilla, un generico oggetto che è caduto, nonché a dare un aiuto fisico alle persone semiparalitiche che dovessero accidentalmente cadere. La presenza di un cane simile in casa permette ai non udenti di svolgere una vita normale, di continuare la sua attività senza interromperla, di non dipendere da apparecchiature elettriche fredde ed inanimate, come luci o segnali luminosi che tra l’altro potrebbero facilmente rompersi. Inutile dire che per compiere tali funzioni il cane deve essere sottoposto a lunghi e rigorosi periodi di addestramento. In base all’utilizzo i cani d’assistenza possono essere suddivisi: - Cani guida per non vedenti; - Hearing dogs (nel caso di non udenti); - Cani sociali (affidati al disabile con problemi psichici); - Cani di servizio (questi, oltre ad apportare un supporto di tipo psicologico, esegue dei compiti che il disabile non è in grado di svolgere, come accendere spegnere la luce, raccogliere e portare oggetti, chiamare una persona, aiutare il disabile a muovere un arto, collaborare a fare la spesa, ecc.). Queste attività rientrano tuttavia nella AAA e non nella AAT, come molte volte erroneamente si crede, ossia in quelle attività che contribuiscono al miglioramento della qualità della vita.

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Capitolo Settimo

O

peratori di Pet Therapy


Rex e il piccolo Gabriele


Capitolo Settimo

Gli interventi di pet therapy possono essere di diverso tipo, non solo per quanto riguarda l’utilizzo di diverse specie animali, ma anche per quanto riguarda le modalità con cui il paziente viene messo a contatto con l’animale prescelto. Vi sono situazioni in cui l’animale viene lasciato presso il paziente, altre nelle quali si preferisce condurlo in visita, altre ancora in cui è il paziente stesso che viene portato dagli animali. L’importante è che l’ambiente dove si svolge la pet therapy sia molto tranquillo, con il minor numero possibile di presenti, in modo da favorire l’interazione tra il paziente e l’animale. L’intervento si effettua su pazienti affetti da varie patologie e quindi viene seguito non da un solo professionista, ma da un’équipe terapeutica per questo sono necessarie diverse figure professionali per elaborare progetti d’intervento che si rivelino efficaci. Fra le figure più importanti ci sono lo psicologo, il medico, il veterinario, l’educatore cinofilo e il conduttore. In casi particolari si può richiedere anche l’intervento di una particolare figura come per esempio del fisioterapista, assistente sociale ecc… Nella pratica chi realizza il progetto è il conduttore con il suo animale che collaborando con i professionisti presenti nella struttura in questione, mette in atto l’intervento. La formazione del conduttore deve comprendere diversi ambiti. Innanzitutto deve conoscere le basi del comportamento e del linguaggio degli animali, quindi possedere nozioni di etologia, educazione del cane o gatto o nel caso operi con piccoli animali, conoscere le loro esigenze e i loro modi di comunicare. Altre conoscenze importanti sono i metodi di approccio con malati di varie patologie, saper interagire in maniera corretta con il paziente. La formazione comprende anche l’apprendimento di norme di prevenzione e di igiene. Al conduttore spetta anche la scelta dell’animale più adeguato per collaborare in quel determinato progetto. La valutazione invece della coppia cane-conduttore è fatta analizzando il livello e la qualità di interazione fra i due partner e l’attitudine della coppia ad essere inserita in un programma di AAA o AAT. L’esame per verificare se tale coppia può fare o meno progetti di pet therapy viene fatto in base a protocolli precisi dettati dalla Delta Society. Essa è stata fondata nel 1977 a Portland nell’Oregon (USA): è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro. In questa società vi sono proprietari di animali, volontari terapisti, educatori, professionisti sanitari, veterinari e altre figure professionali.

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L’obiettivo della Delta Society è quello di migliorare la salute dell’uomo attraverso l’utilizzo di animali da compagnia e da assistenza. Alla fine degli anni ottanta la Fondazione ha cominciato a pubblicare informazioni scientifiche per la selezione, l’addestramento degli animali, la formazione degli operatori, la messa a punto di progetti terapeutici. In particolare, nel 1987 ha pubblicato il primo giornale scientifico sulle interazioni uomo-animale, che oggi si chiama “Anthrozoos”, ha messo a punto il primo curriculum professionale per l’operatore che volesse occuparsi di ippoterapia con persone disabili e, infine, ha creato un premio nazionale per programmi e persone impegnate nel campo della pet therapy. Nel 1989 ha aperto il primo centro di addestramento per “cani uditori”. Nel 1990 ha pubblicato un programma per i “pet partners” e Alert, una newsletter contenente aggiornamenti per l’addestramento di cani uditori. In questo stesso periodo ha stabilito i criteri per programmi di animali “in visita” ai pazienti e studi per i volontari che, in compagnia dei loro animali desideravano impegnarsi nel sociale. Nel 1991 ha iniziato a pubblicare la Pet Partners Newsletter, sempre diretta ai volontari che volevano dedicarsi alle AAT. Nel 1992 ha pubblicato gli Standard of Practice in Animal Assisted Activties and Animal Assisted Therapy e ha organizzato corsi di formazione per volontari. Nel 1993 ha aperto i suoi uffici a New York ed ha organizzato i primi corsi di formazione e certificazione per addestratori. Nel 1996 ha introdotto il sistema educativo per cani chiamato “Service Dogs Welcome!”. Nel 1997 è nato il sito web della Delta Society ed è stato messo a punto un programma di visite scolastiche; nel 1999 la Fondazione ha ricevuto un invito ufficiale alla Casa Bianca, da parte di Hillary Clinton a seguito dell’assistenza fornitale per la pubblicazione del suo libro dal titolo Dear Socks, Dear Buddy. Nel 2001 sono stati pubblicati i Professional Standards for Dog Trainers: effective, humane Principles, che forniscono informazioni sugli standard messi a punto dalla Delta Society per gli addestratori di cani. La Delta Society è diretta da un team di persone esperte nella ricerca di fondi e di finanziamenti e nelle AAA e AAT. Fatta questa doverosa introduzione, cerchiamo ora di capire meglio quali sono gli standard che la fondazione ha elaborato negli oltre venti anni di attività, per ottimizzare i comportamenti umani e animali nella pet therapy. La persona che opera con l’animale deve avere almeno 16 anni. Possono registrarsi come pet partners anche coloro che non possiedono animali. Tutti gli animali, eccetto gli uccelli, devono aver vissuto nella casa del proprieta-

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rio per almeno sei mesi; per gli uccelli il periodo necessario di convivenza è di 12 mesi. Tutti gli animali, nel momento in cui vengono esaminati, devono avere almeno un anno di età, tranne alcune specie, come i conigli, i topi, i porcellini d’India. In questo ultimo caso l’età deve essere di almeno sei mesi. I cani addestrati a comportamenti aggressivi non possono essere pet partners. Ovviamente non possono essere registrati animali quali i serpenti o altri selvatici. Il corso di addestramento della Delta Society permette di imparare le abilità per poter accedere, insieme al proprio animali, presso ospedali, scuole, case di riposo. Gli argomenti di studio sono i seguenti: - Selezione e preparazione degli animali per le visite - Identificazione dello stress negli animali e capacità di gestirlo - La salute e la sicurezza dell’animale - Bisogni particolari di alcuni pazienti - L’interazione sociale con persone disabili o disagiate - Norme di sicurezza e di igiene - Come conquistare la fiducia del paziente Il corso ci può completare in due modi. Primo, frequentando un seminario della durata di otto ore, nella stessa giornata o in diversi giorni. Gli studenti ricevono una copia del manuale della Delta Society e imparano come ci si comporta durante le visite. Secondo, completamento del corso come autodidatti: per chi preferisce studiare da solo o non potesse partecipare ai seminari la Delta Society a messo a punto un programma particolare che include una guida per lo studente con suggerimenti per le attività da svolgere, illustrate da materiali videoregistrati. Tutti gli animali che partecipano al programma devono essere in buona salute e privi di parassiti, infezioni e malattie. Il quadro clinico dell’animale viene fatto dal proprio veterinario di fiducia. Gli animali che devono diventare pet partners devono dunque possedere i seguenti requisiti: - Aver superato una visita generale - Essere vaccinati secondo quanto prescrive la legge - Essere in ottime condizioni di salute Il veterinario dovrà riempire un modulo per la registrazione. I valutatori della Delta Society esamineranno la coppia animale-conduttore e in particolare valuteranno se il conduttore è in grado di farsi obbedire dall’animale. L’esame consta di due parti: Pet Partners Skills Test (Ppst) – mostra se l’ani-

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male può essere controllato dal conduttore e se risponde ai suoi comandi – e Pet Partners Aptitude (Ppat) – ideato per riprodurre le condizioni che possono verificarsi durante una visita. Vengono presi in esame il modo di parlare del conduttore, il contatto oculare, il sorriso, i gesti del capo e tutti gli altri modi di comunicare, verbale e non verbale. Ciò che i valutatori devono appurare è se il conduttore è in grado di tenere sotto controllo il suo animale. Una volta superate le due prove, il valutatore rilascerà un certificato riportante la data dell’esame. La Delta Society raccomanda ai conduttori di non mettere mai i propri animali in condizioni di pericolo, perché il benessere dell’animale viene sempre prima di tutto. Per questo motivo si può essere certi che durante la prova di esame gli animali non verranno in nessun caso spaventati o feriti. Sia il conduttore sia l’animale devono presentarsi al test come se stessero effettivamente andando a fare una visita: il conduttore deve essere appropriatamente vestito e l’animale deve indossare un collare o essere portato in un cesto se si tratta per esempio di conigli, porcellini d’India ecc… Gli uccelli devono essere portati nelle apposite gabbie. Va posta attenzione al fatto che gli animali non lascino cadere i propri bisogni sul pavimento, proprio come potrebbe accadere durante una visita. Non vengono accettati collari troppo stretti, che, danno scosse elettriche o guinzagli detraibili. Se il proprio animale è in calore, ha un’infezione o una ferita o è sottoposto a terapia antibiotica, la cosa migliore da fare è aspettare e fare il test quando questi problemi sono superati. Le caratteristiche essenziali che deve avere un animale da poter impiegare nelle AAA e AAT sono: 1. Alta socievolezza nei confronti dell’uomo 2. Essere amichevole e ben controllato dal proprio conduttore 3. Essere in ottimo stato di salute 4. Avere un buon equilibrio caratteriale 5. Ispirare fiducia

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Capitolo Ottavo

E

esperienze


Tommi porta gioia anche nel posto di lavoro


Capitolo Ottavo Heather (Raccontato da Hambone, cane da pet therapy in USA) Heather era una bambina di sette anni ricoverata in ospedale perché affetta da AIDS. La malattia era ad uno stadio avanzato e le aveva provocato la cecità. La mia collaboratrice umana ed io la salutammo. La bimba era molto eccitata per la mia presenza: anche se non poteva vedere la mia coda ondeggiare, sapeva che anche io ero felice di essere lì. A questo punto devo spiegare che io sono un cane e che sono un veterano delle attività assistite con gli animali. Lavoro in modo molto veloce e così dopo due minuti ero già disteso sul letto, accanto a Heather. Penso che lei avesse qualcosa a che fare con la mia scelta, dal momento che avevo chiesto almeno dieci volte di farmi salire sul letto. Poiché non poteva vedermi, usava le mani per avere “un’immagine” di me: la mia mamma, nonché mia collaboratrice, mi descriveva dal naso alla coda, mentre Heather toccava ogni centimetro del mio corpo. Mi diede alcune delle più grandi emozioni che si possano ottenere da un essere così piccolo. La mia coda scodinzolava energicamente: più ondeggiava, più Heather parlava. Ella descriveva la mia grandezza, la lunghezza e la morbidezza del mio pelo, l’umidità e la freschezza del mio naso, e molte altre cose che ora non ricordo. Heather toccò la mia lingua, contò i miei denti, e sono sicuro che se solo le fosse venuto in mente avrebbe cercato di raggiungere anche le mie tonsille. Tutti erano sorpresi dal mio esemplare comportamento. Heather e mamma stavano contando le unghie dei miei piedi e la bambina non capiva come mai potesse sentire solo quattro unghie. Mamma le spiegò che per evitare che io facessi del male a qualcuno, mi avevano asportato gli speroni e quindi avevo solo quattro unghie. Senza perdere una sola battuta Heather disse: “Tutto bene. Infondo anche alcune persone hanno solo quattro dita”. Prima che me ne rendessi conto, era arrivato il momento di andare via. Heather mi diede un energico saluto ed io mi assicurai di averle dato una bella annusata alle orecchie ed una buona leccata sul naso, prima di scendere dal letto. Mamma ed io salutammo la famiglia di Heather e stavamo lasciando la stanza quando ci accorgemmo che era piena di dottori, infermieri, terapisti che ci stavano osservando. Qualcuno spiegò a mamma che Heather era iperattiva e che nessuno l’aveva mai vista concentrata su qualcosa per più di cinque minuti. Fu una meravigliosa sorpresa scoprire che la bambina era rimasta più di trenta minuti a giocare con me. Sfortunatamente, la mia storia non è a lieto fine. Quando ci recammo in ospedale la volta successiva Holly, una terapista ricreazionale, disse a mamma che

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Heather era morta da poco tempo. Mamma era molto triste, perché sapeva quanto la bambina aspettasse con ansia il momento in cui avrebbe ricevuto la mia visita. Holly raccontò anche quanto io avessi colpito Heather e tutta la sua famiglia. Tutti continuarono a parlare della mia visita fino al giorno in cui la bambina fu dimessa dall’ospedale. Dopo la sua morte, la famiglia di Heather volle tenere una cerimonia commemorativa in ospedale. Durante la funzione furono mostrate le immagini delle persone più care alla bambina durante la sua malattia e, immaginate un po’, io ero tra quelle “persone”!. La sua famiglia aveva inserito tra le immagini anche una mia foto, mentre mi trovavo sul letto di Heather.

Francesco (Raccontato da Laura) Francesco è un bambino di 5 anni nato con una gravissima malformazione fisica e affetto da un grave ritardo mentale. La sua camera ci è apparsa subito come la stanza di un ospedale, con alcuni strumenti, un’infermiera e un dottore che tengono sempre sotto controllo le sue condizioni fisiche. I genitori ci hanno contattato, dietro consiglio del loro medico per vedere se grazie all’aiuto di Artù (il mio collaboratore a quattro zampe), riuscivamo a rendere più piacevoli gli esercizi di fisioterapia e spingere Francesco a collaborare di più durante queste sedute, spesso dolorose per lui. Al nostro ingresso nella stanza, Francesco, ci ha fatto subito capire con movimenti molto veloci delle braccia che ci stava aspettando con ansia. Artù si è avvicinato al suo letto ed ha appoggiato il naso umido sulla sua mano cercando di annusarlo, Francesco continuava ad agitare le braccia, ma dopo qualche minuto è riuscito a toccare la testa di Artù per un attimo con suo grande piacere. Con l’aiuto del fisioterapista presente siamo riusciti per circa una mezz’ora a far fare dei movimenti, più o meno coordinati, a Francesco, che dimostrava moltissimo di gradire la presenza di questo infermiere così speciale, che ricambiava tutte le attenzioni del bambino con delle leccatine sulle mani. Le visite si sono susseguite per due mesi, due volte a settimana e dietro i suggerimenti e la guida del fisioterapista, ogni volta si facevano esercizi diversi con l’aiuto di Artù. Il rapporto di amicizia e di reciproco rispetto che si era instaurato tra Francesco e Artù, ha aiutato il bambino a fare gli esercizi necessari e indispensabili per la sua salute fisica in maniera allegra e senza pensare troppo al dolore che questi, ogni tanto, gli provocavano.

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Ora la famiglia del bambino con la guida e i consigli di un loro amico veterinario, dello psicologo e del fisioterapista ha adottato una cucciola che è diventata subito la beniamina di tutti e di Francesco naturalmente.

Attività assistite con animali in due residenze per anziani (Raccontato dalla Dott.ssa Francesca Baglioni) Da poco tempo ho iniziato a svolgere attività assistite con animali in strutture per anziani. Il mio percorso è ancora all’inizio, ma posso dire di sentirmi già estremamente coinvolta. Come prima esperienza posso dire di essermi trovata subito a mio agio. Prima di iniziare ero preoccupata, soprattutto a causa delle reazioni che avrei potuto incontrare. La pet therapy è un’attività ancora poco conosciuta e non tutti la vedono di buon occhio, specialmente chi non è abituato a relazionarsi con gli animali. Con mio grande stupore, invece di imbattermi in pregiudizi e chiusure, sono stata accolta bene. Io e Poldo, il cagnolino meticcio di piccola taglia che mi accompagna nelle mie visite settimanali, ci siamo già affezionati a queste signore, che ci aspettano sempre con impazienza. Le due strutture in cui lavoro ospitano infatti solo donne. Il martedì io e Poldo facciamo visita alla casa famiglia per anziane “S. Gertrude” di Sant’Enea, mentre il venerdì andiamo al Centro ricreativo per anziani a San Marco. La differenza sostanziale tra queste due strutture è la condizione in cui si trovano le ospiti. La casa famiglia “S. Gertrude” è una residenza stabile e definitiva, mentre il centro ricreativo è solo un luogo di incontro in cui fare le più svariate attività. Questa differenza è anche lo specchio dello stato d’animo delle ospiti presenti. Mentre nella seconda si incontrano vecchiette ancora piene di vita e desiderose di fare nuove esperienze, nella prima ci sono persone molto più debilitate e rassegnate. La struttura di Sant’Enea è piuttosto grande e le sue ospiti sono per la maggior parte disabili. Ci sono due grandi stanze dove possono passare il loro tempo libero, purtroppo interminabile. I casi più gravi di demenze avanzate vengono separate dal resto del gruppo ed è molto difficile per me e per Poldo interagire con loro. Nonostante questa grave condizione, qualcuna di loro cerca di comunicare con noi: magari solo tendendoci la mano o porgendo a Poldo un pezzetto della merenda. Con le altre invece riesco a stabilire un vero e proprio rapporto: parliamo molto, loro giocano con Poldo e si sentono stimolate. Dimostrano di apprezzare la visita: passano un’ora diversa dal solito in compagnia di un festoso cagnetto che strappa loro più di un sorriso e questo è già molto. Sono veramente pochissimi i casi di persone che non hanno mai cercato alcuna interazione con il cagnolino. Si tratta di persone che non hanno mai avuto una

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grande predisposizione per gli animali nella loro vita. Al contrario, in altri casi sono talmente malate e depresse che avrebbero bisogno di più tempo o di una giornata migliore. Con mia grande gioia, devo dire che tra i pochi casi di apatia verso questa novità, comincio a vedere maggiore interesse ogni volta che vado. Anche se è trascorso poco tempo, rispetto alle prime volte ho notato piccoli gesti, sorrisi e domande su Poldo. Sono passi graduali, ma spontanei che io non ho mai cercato di forzare troppo. La madre superiora che gestisce la struttura cerca a ogni mia visita di farmi capire meglio le singole situazioni, raccontandomi il passato di queste donne, per darmi modo di trovare la via più giusta per ciascuna. Spesso si tratta di donne che in passato hanno avuto una vita intensa e si sentivano molto forti ed efficienti. Ora si sentono inutili, abbandonate e non ripagate per tutti gli sforzi fatti nella vita: i sentimenti che le dominano sono la rabbia e la frustrazione. Se però andiamo a indagare le singole storie, troviamo figli sposati trasferiti in altri paesi o figlie con famiglia e lavoro, quindi troppo impegnate per occuparsi di un genitore non autosufficiente. Nei casi più tristi, queste persone hanno dovuto sopportare la morte di un figlio e si sono ritrovate da sole al mondo. Il personale infermieristico è estremamente premuroso e affettuoso verso queste signore e questo rende il mio lavoro molto più facile. Poldo non ha avuto difficoltà ad ambientarsi: corre qua e là, riporta palle e mangia biscotti. Per di più offre occasione di rievocazioni su vari Lillo e Buck che sono stati importanti nelle vite delle ospiti. Ben diversa la situazione a San Marco, un centro ricreativo accogliente e ben organizzato, la cui unica pecca è forse quella di essere poco pubblicizzato e conosciuto. Ci sono infatti poche signore rispetto a quante potrebbero beneficiarne. Lo spazio è grande, Poldo corre e salta sui divani, dove viene accarezzato ininterrottamente, mentre tutte cercano di attirare la sua attenzione. Anche qui Poldo è uno stimolo per ricordare e per parlare a lungo dell’animale che per ognuno ha rappresentato qualcosa. Non solo: si fa un po’ di esercizio lanciando palline giochino vari. Anche qui non ho potuto fare a meno di ammirare la dedizione che un gruppo di giovani operatori riserva alla struttura e alle ospiti. Ogni giorno vengono ideate e allestite le più svariate attività, dalla musicoterapica agli esercizi di ginnastica, a cui tutti prendono parte con entusiasmo. La mia attività di pet therapy è ancora all’inizio ma ho già avuto qualche piccolo risultato. Non è poco e spero di continuare così.

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maggio 2007


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