sociale Centro Servizi per il Volontariato PerugiaTerni 5
1 Edizione 2022
del volontariato 5
Quaderni
Cesvol
Centro Servizi Volontariato Umbria
Sede legale: Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia
tel 075 5271976
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Edizione agosto 2022
Coordinamento editoriale di StefaniaIacono Stampa Digital Editor - Umbertide
Per le riproduzioni fotografiche, grafiche e citazioni giornalistiche appartenenti alla proprietà di terzi, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire. E’ vietata la riproduzione, anche parziale e ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzato.
ISBN 9788831491341
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I QUADERNI DEL VOLONTARIATO UN VIAGGIO NEL MONDO DEL SOCIALE PER COMUNICARE IL BENE
I valori positivi, le buone notizie, il bene che opera nel mondo ha bisogno di chi abbia il coraggio di aprire gli occhi per vederlo, le orecchie e il cuore per imparare a sentirlo e aiutare gli altri a riconoscerlo. Il bene va diffuso ed è necessario che i comportamenti ispirati a quei valori siano raccontati.
Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, dove il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso del quotidiano, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore. Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente o più antico,
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per consegnarci insegnamenti e visioni. Quelle visioni che i cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Gli autori di questi testi, e di tutti quelli che dal 2006 hanno contribuito ad arricchire la Biblioteca del Cesvol, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza, al di là di qualsiasi tipo di conformismo e disillusione Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati. Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo.
Salvatore Fabrizio
Cesvol Umbria
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CRISI E CULTURA DELLA PIANIFICAZIONE FINANZIARIA
2008-2020: la sindrome del cavallo a dondolo
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PREMESSA
L’educazione finanziaria, oltre a fornire una cassetta degli attrezzi per una gestione più serena e consapevole delle proprie finanze, è un sorprendente strumento di inclusione. Essere in grado di fare le giuste scelte su pianificazione e risparmio o saperne di più sulle dinamiche dei prezzi dei prodotti che acquistiamo vuol dire vivere meglio in relazione col nostro mondo e sentirci più integrati e partecipi nella società. Questa riflessione è tanto più valida per le categorie di cittadini più vulnerabili. Purtroppo sappiamo che in Italia esiste un bassissimo livello di conoscenza rispetto alle tematiche di questo argomento (spesso considerate astruse e troppo tecniche), anche se, ad esempio, operatori qualificati, come la Banca d’Italia, si sono attivate, anche nel territorio umbro (e anche con noi). La nostra Associazione, con il supporto degli esperti dell’Associazione Legali Italiani, ha da tempo attivato dei corsi e convegni di educazione finanziaria con i propri volontari esperti dell’argomento, anche in collaborazione con altre realtà (Ancescao, Fidapa, Rotary Club Perugia, Rotary Club Gubbio, ecc.) ed Enti locali (Regione Umbria, Provincia di Perugia, Comune di Corciano, Comune di Magione, Comune di Perugia, ecc.) e da anni partecipa alla Global Money Week (GMW): l’evento più importarne annuale promosso dall’OCSE nato con l’obiettivo di sensibilizzare i giovani fin dall’età prescolare sull’importanza di acquisire le conoscenze, le abilità e i comportamenti necessari per prendere decisioni finanziarie coerenti con le proprie esigenze e possibilità. Dal suo avvio, nel 2012, la manifestazione ha raggiunto oltre 50 milioni di giovani in 176 Paesi. Dal 2021 il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria coordina questa iniziativa
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per l’Italia. Il Comitato è stato istituito nel 2017 con Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con quello dello sviluppo economico, in attuazione del Decreto Legge n. 237/2016, convertito in Legge n. 15/2017, recante “Disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio”. Gli esperti dell’associazione in questo campo sono anche cultori della materia presso Università italiane e consulenti finanziari iscritti all’albo unico dei consulenti finanziari, nonché iscritti al registro degli Educatori Finanziari (AIEF). Abbiamo anche attivato iniziative specifiche per le scuole (infatti l’educazione civica può trovare una declinazione rilevante nell’educazione finanziaria) e promosso progetti a livello Regionale, Nazionale ed Europeo (Erasmus Plus). Conferma della nostra specifica attività risulta essere questo volume, che è il secondo elaborato dal dott. Paolo Polimanti con il supporto del Cesvol Umbria, che intende indagare, in maniera semplice e chiara, nelle dinamiche spesso non conosciute dell’argomento trattato. Qualora aveste ulteriori curiosità potete rivolgervi al nostro portale specifico http:// consulentefinanziario.consumatoriumbria.it/ o inoltrarci una email: segreteria@consumatoriumbria.it : i nostri esperti sapranno rispondere al meglio. Buona lettura!
Avv. Damiano Marinelli Presidente UNC Umbria
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INTRODUZIONE ORIGINI E DIFFERENZE DELLE CRISI
La crisi dei mercati finanziari scaturita dalla pandemia presenta tutte le caratteristiche tipiche del cosiddetto “cigno nero”, teorizzato dall’economista Nassim Taleb1, che, da sempre, fa tremare i polsi agli investitori. Un evento non previsto, con effetti incredibilmente rilevanti e che solo a posteriori viene razionalizzato e giudicato prevedibile.
Tuttavia, occorre ricordare che nel corso della storia recente dei mercati finanziari di “cigni neri” ne abbiamo conosciuti molti, alcuni anche molto profondi a partire dalla crisi dei mercati asiatici del ’97, la bolla di Internet del 2000, lo shock finanziario post attacco terroristico dell’11 settembre, il tracollo mondiale del 2008. Inoltre, oltre a queste particolarmente profonde, abbiamo attraversato: la crisi del debito sovrano in Europa nel 2009, il disastro nucleare di Fukushima nel 2011, la crisi petrolifera del 2014, il lunedì nero cinese del 2015, l’annuncio della Brexit nel 2016. Tutte crisi che hanno avuto delle origini molto diverse tra loro e con altrettanti effetti diversi nei portafogli dei risparmiatori e, pertanto, anche nel comportamento degli stessi.
1 N.N.Taleb, Il Cigno nero, Come l’improbabile governa la nostra vita, 2009. Sappiamo che il futuro è prevedibile e i rischi controllabili, ma il mondo in cui viviamo non fa che dimostrare il contrario. Basta un solo evento inaspettato per demolire certezze e schemi consolidati da secoli. Perché ci accorgiamo di questi fenomeni solo quando sono già avvenuti? Come racconta Taleb, per natura impariamo dall’esperienza e dalla ripetizione, ci concentriamo su cose che già sappiamo e trascuriamo sistematicamente ciò che non conosciamo. Così siamo indifesi di fronte all’imprevisto, si tratti di mercati finanziari o vita quotidiana. Scanzonato e provocatorio, Il Cigno nero ci spiega perché dobbiamo sbarazzarci di tutto quello che abbiamo imparato finora e come sfruttare a nostro favore le circostanze create dal verificarsi dell’altamente improbabile
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L’obiettivo di questo lavoro è di cercare di analizzare l’impatto che hanno avuto nei portafogli dei risparmiatori e nelle loro abitudini due “cigni neri” che hanno caratterizzato le crisi più profonde degli ultimi 15 anni; quella del 2007-2009 generata dai cosiddetti mutui subprime con il conseguente default di molti istituiti di credito, dei quali la più rilevante fu la Lehman Brothers, e la recente crisi, febbraio 2020, generata dalla pandemia Covid-19.
Le due crisi hanno natura profondamente diversa, una dovuta al sistema creditizio mentre l’altra di natura sanitaria. Questo spiega anche la diversa durata; quella del 2007-2009 ha minato nelle fondamenta la credibilità del sistema bancario e del sistema di vigilanza e per lungo tempo ha generato fattori destabilizzanti nel sistema finanziario e degli investimenti. La crisi generata dal Covid-19 appare, invece, almeno nel momento in cui si scrive, molto profonda ma probabilmente destinata ad essere altrettanto rapidamente assorbita nel momento in cui gli effetti pandemici saranno scemati.
Tuttavia, prima di analizzare gli effetti prodotti nei portafogli dei risparmiatori è opportuno fare un breve excursus delle cause che hanno generato quanto è successo nel 2008, che, se pur vero che l’esplosione della crisi ha sorpreso i mercati finanziari, le origini possono essere fatte risalire molto tempo prima. Un ruolo importante in questa partita lo ha giocato l’innovazione tecnologica che ha prodotto la destrutturazione del mercato come luogo fisico.
Con il termine mercato, infatti, si intende da sempre un luogo individuato o individuabile topograficamente, dove ci si reca fisicamente e dove avvengono le transazioni, siano esse transazioni reali, come esclusivamente in un primo tempo, siano esse transazioni finanziarie. Anche i mercati finanziari, per molti decenni, erano un luogo fisico preciso, individuabile
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visivamente con il “recinto”, ossia il posto dove avvenivano le “grida” degli agenti di cambio, e solo lì gli operatori autorizzati potevano scambiare valori mobiliari.
Negli anni ’802, ma soprattutto nel corso degli anni ’90, invece, si assiste al passaggio della concezione del mercato mobiliare come dimensione aspaziale e atemporale, in quanto è presente sulla rete telematica, con tutte le difficoltà di comprensione del fenomeno anche da un punto di vista strettamente giuridico. In questo contesto di continua evoluzione varia anche il prodotto-servizio fornito dagli intermediari volto a soddisfare la vera domanda del risparmiatore, in particolare del piccolo risparmiatore che più che di titoli, necessita di consulenza e di gestione del portafoglio ai fini di una massimizzazione del rendimento. Se volessimo rappresentare in qualche modo ciò che è accaduto a partire dagli anni 80 potremmo schematizzarlo in questo modo:
Lo schema sopra esposto rappresenta un sistema nel quale il circuito si autoalimenta risultando così chiuso: l’innovazione tecnologica tende a produrre un processo di liberalizzazio-
2 A cominciare dagli anni ’80 circa si presenta una fase di accelerazione del processo di globalizzazione, che chiamiamo terza globalizzazione o globalizzazione “neo-liberista”. Essa ha alle sue spalle l’evolversi del modello di capitalismo americano2 (e l’evolversi dell’assetto economico-sociale della Cina). Cfr. Robert B. Reich, Supercapitalismo, Fazi editore, Roma 2008
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ne, ossia tende a rompere le barriere tradizionali di chiusura dei mercati, il che a sua volta determina una pressione nella direzione della deregolamentazione del sistema, poiché tutti i limiti amministrativi alla circolazione sono contrari allo sviluppo del mercato globale e tentare di contrastare la spinta verso la liberalizzazione e la tendenza alla deregolamentazione vuol dire tagliarsi fuori dal processo di internazionalizzazione dei mercati.
La tendenza alla deregolamentazione, però, si scontra con un’esigenza di ri-regolamentazione, che è dovuta alla necessità, avvertita dagli operatori stessi, che il mercato abbia comunque delle regole, con la particolarità però che questa nuova regolamentazione si va a porre ad un livello diverso dalla regolamentazione precedente travolta dall’innovazione tecnologica.
L’innovazione tecnologica, inoltre, spinge per la differenziazione, in riferimento al mercato finanziario va intesa come la creazione di molteplici prodotti finanziari, la quale rompe dei parametri predeterminati, incidendo così sulla riorga-
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nizzazione dei processi produttivi. Quest’ultima a sua volta provoca una nuova tipizzazione del prodotto, in quanto riconoscibile dal risparmiatore “consumatore” il quale deve in un certo qual modo, anche perché vendibile, rispondere a certe caratteristiche che inevitabilmente tendono a tipizzarlo. Possiamo infine fondere entrambi gli schemi in un unico schema, definito ciclo prodotto-mercato
In definitiva, tutto ha origine dalla innovazione tecnologica, che ha permesso ad esempio di muovere masse monetarie attraverso un sistema a rete di grandezza mondiale, consentendo di spostare un ordine dato sul circuito da un operatore ad un altro.
Tuttavia, questa innovazione sarà uno dei fattori che determinerà la frattura del sistema del 2008; il protagonista indiscusso di questa crisi finanziaria è stato senza dubbio il mercato immobiliare statunitense e la bolla finanziaria che si è sviluppata in questo settore.
Tutto ha avuto inizio a partire dagli ultimi anni del secolo scorso e soprattutto dal principio del nuovo millennio, durante il quale si verificò uno spropositato aumento dei prezzi delle case negli USA, dato che può essere osservato nell’indice
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Case-Shiller3:
Fonte: Economic Research
Il tred positivo dei prezzi delle case fu causato principalmente dall’eccessiva domanda per gli immobili, di gran lunga superiore all’offerta.
Tassi bassi, irrational exuberance e deregolamentazione in campo finanziario sono alcuni dei motivi che di fatto hanno portato al crearsi della bolla speculativa in campo finanziario.
Per quanto riguarda la politica monetaria dei tassi bassi, occorre rilevare che la Federal Reserve in quegli anni ha mantenuto i tassi sui Fed Funds estremamente bassi dal momento che l’inflazione in quel periodo era particolarmente bassa.
3 Gli indici S&P/Case-Shiller (S&P/Case-Shiller Home Price Indices) sono elaborati e calcolati mensilmente con l’obiettivo di misurare le variazioni del valore delle abitazioni negli Stati Uniti. Gli indici coprono le 20 maggiori aree metropolitane degli USA e sono aggregati per realizzare due indici compositi, uno relativo alle 10 aree principali e uno (quello più seguito) relativo a tutte e 20 le aree. Esiste anche un altro indice composito, l’S&P/Case-Shiller U.S. National Home Price Index, che non utilizza la stessa metodologia degli altri ma prende in considerazione le nove divisioni utilizzate dal “Bureau of the Census” e copre quindi tutto il territorio degli Stati Uniti utilizzando i dati sul valore complessivo degli immobili residenziali unifamiliari prelevati dai censimenti decennali. https://www. borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/indici-s-165.htm
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Questo ha reso il finanziamento tramite terzi più conveniente rispetto al finanziamento con capitale proprio. Si assiste quindi ad un aumento generale della leva finanziaria (rapporto tra il capitale proprio ed il capitale di debito) con conseguente aumento del rischio sistemico.
Inoltre, a questo si è aggiunto una sorta di irrational exuberance4, come spesso accade, ogni qual volta si verifica un trend positivo nel mercato, gli investitori sono portati a credere che andrà avanti all’infinito, questo ha determinato una crescita dei prezzi del mercato immobiliare per un lungo periodo e senza soluzione di continuità.
Ognuno pensava dunque di poter guadagnare qualcosa da questa situazione. Animati da questa smaniosa euforia, molti si gettarono nel mainstream del momento, con una esposizione finanziaria sempre più elevata, certi che la crescita delle quotazioni avrebbe ampiamente ripagato in termini di rendimento.
Infine, in campo finanziario giocò un ruolo importante il processo di deregolamentazione iniziato già alla fine del secolo scorso, che incentivò le banche, libere da lacci e lacciuoli, ad assumersi rischi sempre più crescenti, soprattutto attraverso una maggiore esposizione nei mutui “sub-prime”.
Questi sono mutui concessi a clienti “ad alto rischio”, ovvero debitori che presentano capacità reddituali bassi o capacità di far fronte al debito particolarmente rischiosa. Caratteristica di questo tipo di mutui è infatti la mancata richiesta di garanzie domandata ai richiedenti il mutuo e tassi di interesse variabili. Questi tassi, che variano anche di diversi punti percentuali, determinano spesso l’insolvenza del debitore una volta alzatisi sopra una certa soglia.
Questo fenomeno di concessione dei muti senza tenere con-
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4 R. J. Shiller, Irrational Exuberance, Princeton University Press, 2013
to del profilo di rischio dei richiedenti di prestiti fu possibile proprio perché vennero meno i limiti che impedivano alle banche americane di operare fuori dallo stato nel quale erano state costituite. Dagli anni Ottanta, infatti, le limitazioni territoriali caddero, permettendo la formazione di grandi banche nazionali (es. Bank of America); inoltre erano nati da poco nuovi strumenti finanziari, che davano la possibilità di diversificare il rischio delle proprie attività (tra cui i mutui ipotecari) incorporandole in titoli, negoziabili sul mercato. Fu proprio negli anni precedenti alla crisi che l’emissione di questi titoli aumentò bruscamente. Il grafico seguente mostra l’andamento del mercato dei sub-prime fino al 2007.
A seguito della deregolamentazione finanziaria iniziata negli anni 90 durante gli inizi del nuovo millennio vennero, come detto poco fa, introdotti nuovi tipi di prodotti finanziari chiamati collateralized debt obligations (Cdo). Definito dal cele-
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bre investitore americano Warren Buffet come un’arma di distruzione di massa, il Cdo consiste in prestiti obbligazionari (una forma di finanziamento a lungo termine) creati fondendo una serie di prodotti finanziari venduti ad investitori internazionali. Durante quel periodo, numerosi mutui subprime ad alto rischio furono “impacchettati” all’interno dei Cdo trattati dalle borse mondiali.
Inoltre, le agenzie di rating come Moody’s e Standard & Poor’s, il cui compito è quello di assegnare un giudizio di rischio dei titoli derivati emessi dalle banche, definivano come sicuri anche quei prodotti composti da mutui subprime. Successivamente, le aziende si giustificarono attribuendo i loro errori al clima di grande fiducia finanziaria vigente in quegli anni.
Qualunque fosse il motivo, le dichiarazioni delle più fidate agenzie di rating mondiale descrivevano una realtà completamente separata dal reale stato delle cose.
Quindi, proprio per la mancanza di norme stringenti in materia di rischio, o di assegnazione dei prestiti, le banche persero l’incentivo a controllare la qualità dei propri debitori. I motivi furono principalmente tre.
Per primo, a causa della bolla presente nel settore immobiliare; con le rosee aspettative di salita dei prezzi delle abitazioni, le banche non erano particolarmente preoccupate: Il valore delle abitazioni salì infatti del 124% dal 1997 al 2006, dato che mette ulteriormente in mostra quanto il mercato fosse fuori controllo e che incentivò ulteriormente le banche a concedere mutui subprime, forti della convinzione che in caso di insolvenza la proprietà sarebbe potuta essere facilmente pignorata e rivenduta sul mercato ad un prezzo più alto.
In più, riuscirono comunque a diversificare il rischio grazie all’unione di tanti mutui in titoli, i CDO, che poi venivano venduti ad altre istituzioni finanziarie, che difficilmente riu-
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scivano a controllare la qualità di ogni singolo credito.
Ed infine, si assicurarono contro il rischio di default: esistevano società di assicurazione (ad esempio AIG, American International Group) che vendevano i credit default swap, o CDS, strumenti derivati che coprono il creditore contro il rischio di insolvenza. La banca, una volta concesso un mutuo, acquistava un CDS che lo garantiva in caso di mancato rimborso del prestito.
Si comprende da tale situazione che il reale problema che portò alle gravi conseguenze dello scoppio della bolla, non fu tanto l’innovazione finanziaria, quanto la mancanza di adeguata regolamentazione all’interno del sistema, che progrediva sempre più veloce verso un contesto di maggior rischio e una debole struttura difensiva in caso di crac. Questa mancanza di regolamentazione proveniva da pressioni esercitate sulle autorità monetarie da parte dei poteri politici, che volevano promuovere l’idea del sogno americano: avere una casa propria per sentirsi davvero cittadini di successo. E’ evidente che tale comportamento fu adottato anche a scopi puramente propagandistici.
Tutti questi comportamenti messi in atto dalle banche crearono ingenti difficoltà quando nel 2007 scoppiò la bolla e i prezzi iniziarono a scendere.
Le persone videro il valore della loro casa diminuire esponenzialmente, e ritennero non più conveniente pagare le rate del mutuo, in quanto ormai il valore della casa era molto al di sotto del capitale prestatogli. Questo ovviamente comportò l’abbandono dell’abitazione da parte di molte famiglie. Insieme a ciò va sottolineato che molti debitori presi dal periodo di euforia iniziale, nel quale si indebitarono a dismisura, non riuscirono più a far fronte agli impegni di pagamento.
La ricchezza subì un grande decremento anche a causa della
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discesa dei corsi azionari: le banche, registrando ingenti perdite sui mutui e presentando rapporti di leva finanziaria molto alti, non furono in grado di fronteggiare le difficoltà tramite il capitale a disposizione (eccessivamente basso rispetto agli impieghi) e si trovarono costrette a vendere gran parte delle loro attività, tra cui le partecipazioni azionarie.
Giunti a questo punto, una timeline dei fatti centrali della crisi può essere utile a comprendere il susseguirsi degli eventi e le relazioni di causa-effetto.
Tutto cominciò con un calo dei prezzi degli immobili durante il 2007.
In verità, era già stata rilevata una certa instabilità dei mercati, nonché l’esistenza di una bolla, da molti economisti: una delle voci più importanti fu quella di J. C. Trichet, all’epoca Presidente della Banca Centrale Europea, che nel Gennaio di quell’anno rilevò una potenziale vulnerabilità dell’area dell’Euro. A Febbraio, la società statunitense Freddie Mac, specializzata nell’acquisto di mutui sub-prime e nella loro conversione in MBS finalizzata alla rivendita sul mercato secondario, annunciò di non essere più intenzionata a comprare tali assets in quanto considerati troppo rischiosi.
La situazione cominciò a farsi difficile quando, ad Agosto (sempre grazie a rilevazioni BCE), si registrò una carenza di liquidità a livello mondiale ed un rallentamento dei prestiti bancari. Il sistema cominciava a percepire il rischio, ma era ormai già troppo tardi. A poco servirono i tentativi di allentamento di tensione sui mercati finanziari attuati tra la fine del 2007 e gli inizi del 2008 dalle principali banche centrali del mondo: agli inizi di Settembre, il Tesoro statunitense dovette entrare nel capitale della già citata Freddie Mac e della sua simile Fannie Mae per evitarne il fallimento. Pochi giorni dopo, grazie ad una provvidenziale opera della Federal Reserve,
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Merryll Lynch (uno dei principali istituti bancari d’oltreoceano) fu acquistata da Bank of America. Il 15 Settembre 2008, la quarta banca d’affari americana, Lehman Brothers, dichiarò bancarotta ricorrendo al famoso Chapter 11 del Bankruptcy Code. Si tenga conto che l’istituto finanziario possedeva oltre 600 miliardi di attività, a fronte di debiti anch’essi superiori ai 600 miliardi. Inoltre, il 16 Settembre il Tesoro entrò anche nel capitale di AIG (American International Group), colosso assicurativo che aveva registrato perdite mostruose a causa della sua enorme esposizione in credit default swap venduti alle banche e ad altri intermediari finanziari. Tra Settembre ed Ottobre, lo S&P500, uno dei principali indici mondiali, registrò perdite per oltre il 25%, innescate dal fenomeno denominato “panic selling”. Si generò un vero e proprio credit crunch; caddero i consumi, gli investimenti e il reddito. La sfiducia era alle stelle e, con essa, la carenza di liquidità si allargò. Vari fondi di investimento americani videro giungere richieste di rimborso delle quote per valori nell’ordine di miliardi di dollari, mentre alcune banche subirono vere e proprie corse agli sportelli (bank run), ritrovandosi in totale carenza di liquidità.
Grafico: S&P 500, anno 2008
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È importante infine concentrarsi sui meccanismi di propagazione che generarono il crollo dell’economia a livello globale. Vi furono due caratteristiche tipiche delle banche che permisero una veloce diffusione a macchia d’olio della crisi: leva finanziaria e liquidità.
Durante il periodo pre-crisi per gli istituti bancari risultò conveniente aumentare il loro rapporto di leva (attivo/capitale proprio): con i prezzi in crescita esponenziale, potevano realizzare ampi rendimenti utilizzando capitale di terzi. Il problema della leva finanziaria è che, quando le cose cominciano a non andare nel verso giusto (nel nostro caso diminuì il valore delle attività), è difficile sfuggire alla catastrofe.
Ecco i rapporti di leva delle istituzioni finanziarie statunitensi nel 2007:
Fonte: Federal Reserve Bank of New York
Dunque, molte di queste istituzioni finanziarie fallirono a causa dell’elevato rapporto attivo/capitale proprio. Anche gli intermediari che riuscirono ad evitare il crollo si trovarono comunque in grosse difficoltà. Si trovarono infatti con un basso livello di capitale proprio e con la necessità inderogabile di consolidare la propria posizione (sia per motivi di sicurezza interni, sia per motivi legali). Purtroppo, data la situazione non era possibile ricorrere al metodo classico di aumento di capitale. Data l’alta sfiducia nel mercato era impossibile trovare nuovi investitori da inserire nei propri re-
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Banche Commerciali 9,8 Banche di Credito Coopertativo 8,7 Imprese Finanziarie 10 Banche d’Investimento e Hedge Fund 27,1
gistri. Le uniche strade da poter percorrere erano quelle di diminuire le attività e smobilitare gli assets più liquidi. Iniziarono quindi a concedere meno mutui e a non rinnovare quelli in scadenza e al contempo a vendere le partecipazioni azionarie. Tutto questo portò al crollo di tutti i mercati azionari e al blocco del mercato creditizio.
Infine, per quanto riguarda la liquidità dobbiamo ricordare che negli anni prima della crisi era solito per una banca finanziarsi a breve termine prendendo a prestito da altre banche o altri investitori disposti a far loro credito. Se tale metodo di finanziamento concede all’istituto bancario una maggior flessibilità nell’utilizzo dei fondi, ne aumenta anche la dipendenza dai prestiti a breve termine: nel momento in cui le altre banche o gli altri finanziatori non si fidano più, la banca interessata potrebbe versare in una crisi di liquidità ed essere costretta a vendere le proprie attività.
Vi era poi pochissima fiducia nel sistema, sia verso le banche, che tra le banche stesse, che smisero di prestarsi soldi l’un l’altra, temendo di non vedersi rimborsare il finanziamento. Questo generò, a partire dalla seconda metà del 2007, un aumento dei tassi di finanziamento interbancari (Libor) e, dopo il fallimento di Lehman Brothers nel settembre 2008, il congelamento del mercato interbancario.
Grafico: LIBOR, 05/2007-09/2009
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La crisi del 2008 non porta solamente esorbitanti danni economici agli Usa e al mondo, ma inaugura una nuova stagione della democrazia occidentale, sempre più fondata sul rimarcare la divisione tra quelle classi sociali “sopravvissute” alla crisi, e quelle invece danneggiate dalle dinamiche della globalizzazione che hanno portato al crollo del 2008.
Il grave colpo subito dall’economia statunitense (che è stata certamente in grado di recuperare, ma al costo di grandi indebitamenti e soprattutto con un grande danno di immagine e credibilità), ha dato poi ulteriore slancio all’emergere della Cina come prima economia mondiale, un sorpasso che si sta completando in questi mesi anche a causa della pandemia da Coronavirus, e che inevitabilmente modificherà ogni scenario economico e politico nei decenni a venire.
La crisi del 2020, invece, si presenta come una crisi di carattere sanitario, ma proprio per questo è stata più imprevedibile e anche con esiti maggiormente incerti. Rispetto alle crisi che l’hanno preceduta – compresa quella del 2007 – presente delle differenze ben individuate.
Tutto è iniziato nel Novembre del 2019 quando un nuovo coronavirus (Sars-Cov-2) aveva iniziato a circolare sul territorio cinese, ed in particolare a Wuhan, la città più popolosa della parte orientale del paese e perno per gli scambi e per il commercio. Inizialmente nessuno si era reso conto delle possibili complicanze che avrebbe potuto creare questo nuovo virus. All’inizio, infatti, non era neanche stato ipotizzato il fatto che si trattasse di un virus nuovo e sconosciuto. Quello che fece scattare il campanello d’allarme fu quando iniziarono ad essere registrate un gran numero di polmoniti anomale, non riconducibili a patogeni già classificati. La prima data ufficiale che dà il via a tutta la vicenda legata al coronavirus
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è il 31 dicembre 2019, in cui le autorità cinesi danno per la prima volta notizia di questi eventi anomali che si stavano verificando all’interno del paese. All’inizio di gennaio 2020 la città aveva riscontrato decine di casi e centinaia di persone erano sotto osservazione. Inoltre, dalle prime indagini era emerso che i primi contagiati erano frequentatori assidui del mercato “Huanan Seafood Wholesale Market” a Wuhan, che è stato chiuso dal 1° gennaio 2020, di qui l’ipotesi che il contagio possa essere stato causato da qualche prodotto di origine animale venduto nel mercato.
Dieci giorni più tardi i media cinesi locali prima e l’Organizzazione Mondiale della Sanità poi divulgano la notizia che il patogeno responsabile di tutte queste forme anomale di influenza è un nuovo ceppo del coronavirus, appartenente alla stessa categoria dei virus responsabili della Sars, del Mers e dei comuni raffreddori. In questa occasione vengono fornite per la prima volta le istruzioni su come limitare il contagio. Viene consigliato di mantenere le distanze e di evitare rapporti con i soggetti, ancora pochi e concentrati a Wuhan, che manifestavano sintomi.
Il 21 gennaio tramite le autorità locali e l’OMS il mondo ascoltava i risultati sui primi studi del virus; si riteneva che il nuovo coronavirus avesse fatto un salto di specie, passando dall’animale all’uomo e che la trasmissione di esso avveniva anche tra uomo e uomo. In quel momento però non era chiaro quanto facilmente potesse avvenire il contagio. In Italia il ministero della Salute inizia a raccomandare di non andare in Cina, salvo per motivi di necessità. Nel frattempo, Wuhan diventa la prima città isolata e per la prima volta vengono annullati i festeggiamenti del Capodanno cinese in alcune delle più grandi città della Cina come Pechino e Macao. La situazione in Italia era ancora stabile e controllata, con pochissimi
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casi, provenienti dalla Cina e tenuti sotto controllo nei più grandi ospedali del Paese. A fine dello stesso mese però la situazione inizia ad evolversi e l’epidemia inizia a diffondersi. L’OMS scriveva all’interno dei propri comunicati che il rischio di contagio era “molto alto per la Cine e alto a livello regionale e globale”, tanto che la sera del 30 gennaio veniva dichiarata dall’organizzazione “l’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale”. Intanto la situazione in Cina stava già migliorando. Non più tardi di dieci giorni dalla dichiarazione dell’emergenza secondo l’OMS i contagi in Cina si stavano stabilizzando e sembrava addirittura che iniziassero ad avere un trend decrescente. La data critica che di fatto segna l’inizio della pandemia per gli italiani è il 21 febbraio 2020. In questa data infatti emersero diversi casi di positività al coronavirus nel lodigiano, in Lombardia: si trattavano di persone non provenienti dalla Cina, e che non sembrava avessero avuto contatti con soggetti rientrati da poco da quel paese. Per la prima volta viene individuato un focolaio sul territorio italiano. Alcuni paesi tra i più colpiti (come Codogno, Castiglione d’Adda e Casalpusterlengo) vengono chiusi e dichiarati “territori protetti”, all’interno dei quali non sono possibili gli spostamenti se non per motivi di urgenza e necessità. Nel mondo inizia a diffondersi il coronavirus, che nel frattempo cambia nome e diventa “COVID-195”, ancora a macchia di leopardo, tanto che l’OMS non dichiara ancora lo stato di pandemia. Tuttavia, con il passare dei giorni, tra la fine di febbraio e gli inizi di
5 Il nome Covid-19 prende origine da: Co e vi per indicare la famiglia dei coronavirus, d per indicare la malattia (disease) ed infine 19 per sottolineare che sia stata scoperta nel 2019. Questo per quanto riguarda la malattia, mentre il virus cambia nome e non si chiama più 2019-nCoV, ma Sars-CoV-2 perché il patogeno è parente del coronavirus responsabile della Sars (che però era molto più letale anche se meno contagiosa).
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marzo, vengono rivelati un numero crescente di casi in tutti i paesi europei.
Con gli inizi di marzo il contagio si inizia a diffondere su tutto il territorio italiano, il nord restava comunque il più colpito. Per questa ragione il 4 marzo 2020 il governo dà il via libera alla chiusura di scuole e università, inizialmente per un periodo di due settimane ma verrà poi prorogato. Pochi giorni dopo viene emanato un nuovo DPCM che decretava la Lombardia “zona rossa” a cui si applicavano le stesse regole applicate per i comuni classificati “territori protetti”.
Viste però la criticità delle strutture ospedaliere su tutto il paese all’avanzare della pandemia, il 9 marzo, il presidente del consiglio Giuseppe Conte emana un nuovo Dpcm, entrato in vigore il giorno seguente, dove viene dichiarato che le misure prese in Lombardia per contenere il contagio da quel momento sarebbero state estese a tutta l’Italia. Da quel momento gli italiani entrano a tutti gli effetti in uno stato di lock-down, dove non è permesso uscire di casa se non per comprovate ragioni di necessità, come per fare la spesa, per esigenze lavorative, per l’acquisto di farmaci o per altri motivi di salute. Da questo momento la gente del mondo occidentale inizia a rendersi conto della gravità della cosa. L’11 marzo, poi, il direttore dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus, annunciò nel briefing da Ginevra sull’epidemia di coronavirus che Covid-19 “può essere caratterizzato come una situazione pandemica”, dichiarando la pandemia; i mercati finanziari iniziano subito a risentire della preoccupazione generale per le conseguenze economiche che questo virus stava causando. Il Ftse-mib chiude le contrattazioni con una flessione del 16,92%, mettendo a segno la peggiore seduta della sua storia. Due giorni dopo Wall Street segnerà il peggior calo giornaliero dal 1987: -12%.
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Tutta questa incertezza dei mercati e la crisi che sembrava sul punto di iniziare costringe la Fed ad una mossa di emergenza: la banca centrale americana taglia a sorpresa i tassi di interesse allo 0-0,25% come misura per contrastare gli effetti della pandemia da coronavirus. Viene inoltre lanciato un massiccio programma di Quantitative Easing per acquistare 700 miliardi di dollari di titoli di stato e obbligazioni garantite da mutui. Le banche centrali, da poco uscite da anni di politica espansiva per la crisi dei debiti sovrani, si trovano a fronteggiare un precipizio ancora più vertiginoso dai fondamentali economici. Sempre più Paesi in lock-down, industria ferma, turismo ed eventi fermi. Ma tutto questo non è sufficiente a risolvere i problemi economici che stavano nascendo. A dimostrazione di ciò, sul finire di marzo negli Stati Uniti quasi 3,3 milioni di lavoratori fanno richiesta di sussidi di disoccupazione. È un numero enorme, che non ha precedenti nella storia moderna degli Stati Uniti. Cinque volte più del precedente massimo storico del 695.000 che risale all’ottobre del 1982. È il primo significativo dato governativo a riflettere a pieno l’impatto sull’economia della pandemia. Il Congresso e la Casa Bianca varano un piano da duemila miliardi di dollari per soccorrere l’attività economica accanto al sistema sanitario. Tornando in Italia, con gli inizi di aprile, fortunatamente la situazione a migliorare. Il 5 aprile, in Italia si registra per la prima volta un calo del numero dei pazienti ricoverati in terapia intensiva: -79. Per un totale di 3994. È forse il passaggio cruciale per l’Italia che annuncia l’arrivo nella fase plateau. Pochi giorni dopo, grazie alle misure contenitive messe in atto dal governo si registra per la prima volta un calo dei contagi in termini assoluti. Infine, con l’inoltrarsi della primavera ed il miglioramento climatico che ha reso il virus meno aggressivo, unito poi a
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tutte le misure restrittive di contenimento, l’Italia esce di fatto dalla crisi sanitaria e in data 18 maggio 2020 con un nuovo DPCM comincia una nuova fase di riaperture che segna, di fatto, la fine del lockdown cominciato a marzo. Bar e ristoranti riaprono, così come molte filiere produttive. È possibile incontrare persone al di fuori del proprio nucleo familiare o affettivo, e per spostarsi all’interno della stessa regione non è più necessaria l’autocertificazione.
Concludo questa breve ricostruzione degli eventi più significativi dei primi mesi di pandemia (da inizio pandemia ad agosto 2020) ribadendo che la crisi connessa alla diffusione della pandemia di Covid-19 rappresenta un evento epocale destinato a generare forti ripercussioni economiche e sociali, allo stato attuale difficilmente stimabili dal momento che ancora non siamo fuori pericolo e non è nemmeno ipotizzabile una data nella quale saremmo sicuri di trovarci fuori pandemia. I dati relativi a contagi e decessi sono ancora in crescita in varie aree del mondo, in special modo nei paesi meno sviluppati. La situazione contagi in Italia nel mese di agosto 2020 risultava essere stabile con bassi tassi di contagio. Si stava comunque già iniziando a valutare possibili manovre che potranno essere applicate in vista di una seconda ondata di contagi.
Per quanto riguarda gli effetti che la pandemia avrà sull’economia, al momento non è possibile fare una previsione dato che ci troviamo ancora nel mezzo del “problema”6. Vi sono
6 Thorsten Beck scrive infatti: “Gli economisti hanno una cattiva esperienza nelle previsioni, quindi non proverò a prevedere l’effetto del nuovo coronavirus (COVID-19) sul sistema finanziario globale o sull’economia globale. Piuttosto, vorrei offrire alcune idee su come interpretare ciò che potrebbe accadere nei prossimi mesi. Ovviamente, l’effetto del virus sul sistema finanziario dipenderà da (1) fino a che punto il virus si diffonderà in tutto il mondo e dai suoi effetti sull’attività economica, (2) dalle reazioni di politica fiscale e monetaria allo shock e (3) reazioni normative alla
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possibile fragilità delle banche. Gli scenari economici attuali vanno da un piccolo calo della crescita in alcuni paesi colpiti a una recessione più forte, come quella registrata nel 2008/9. Benché oggi ci sia meno spazio per la politica monetaria rispetto alla Grande Recessione, i quadri normativi e di risoluzione delle banche offrono certamente più opzioni politiche rispetto a 12 anni fa”.
Inoltre, la letteratura si sta lentamente popolando di studi che mettono in relazione gli effetti di una pandemia sul sistema economico dei paesi. Terreno mai esplorato prima di adesso. Scrive Nuhu A Sana “A livello globale, lo shock COVID-19 ha registrato cali finanziari terribili, peggiori anche rispetto alla grande crisi finanziaria del 2007-2008. Tuttavia, l’impatto del COVID - 19 sui mercati finanziari non è mai stato studiato. Diverse organizzazioni e piattaforme monetarie internazionali hanno avvertito che il recente COVID - 19 avrà gravi effetti sull’economia globale che forse supereranno quelli causati dalla grande crisi economia mondiale del 2007/2008”. Nuhu è stato forse uno dei primi a studiare gli effetti che il virus ha avuto sul mercato finanziario. L’economista nelle sue ricerche ha analizzato l’indice cinese (Shanghai Stock Exchange) e quello americano (New York Dow Jones) nel primo mese di COVID - 19, 1-25 marzo. Come previsto, lo studio mostra una forte relazione tra il numero di casi confermati e i movimenti nel mercato finanziario, “I risultati dello studio hanno rivelato che esiste una relazione inversa significativa tra i casi confermati di COVID - 19 e l’andamento dei mercati finanziari”.
Insieme a Nuhu A Sana, anche O. Erdem ha messo in dubbio gli effetti della pandemia sul mercato finanziario. A differenza dell’autore sopra citato, Erdem ha analizzato 75 paesi per cercare di tracciare un quadro economico generale. La ricerca evidenzia come la libertà di informativa influenzi l’andamento dell’indice di mercato del Paese. L’autore parte dal fatto che, a suo avviso, nei paesi dove la libertà di parola è maggiore sembrano esserci più casi accertati e morti da COVID-19 rispetto ad altri dove questa libertà è più limitata. Il primo elemento che Erdem ha riscontrato nel suo lavoro è la stretta relazione tra l’andamento degli indici presi in analisi e gli annunci sull’andamento della pandemia. Come ci si può aspettare, esiste una relazione negativa tra questi due elementi. Infatti, i rendimenti degli indici presi in analisi diminuiscono ed al contempo aumentano la loro volatilità ogni volta che viene diffusa una nuova notizia riguardante l’aumento dei casi confermati. Erdem ha poi mostrato che l’effetto causato dalla crescita del numero di casi sui rendimenti azionari è tre volte maggiore dell’effetto causato dagli annunci relativi ai decessi per coronavirus. Interessante è anche il rapporto tra la libertà di divulgazione delle infor-
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però alcuni punti da tenere d’occhio. Il primo punto è l’estensione geografica. Il congelamento della produzione dovuta al lockdown ha coinvolto quasi tutto il pianeta. Persino la crisi di Lehman Brothers del 2008 ebbe effetti più modesti sulla produzione mondiale. Per la prima volta dalla Grande depressione sia le economie avanzate che quelle emergenti si presentano in recessione nel 2020. In secondo luogo, con l’eccezione dell’industria alimentare (food) il lockdown ha rappresentato uno shock piuttosto generalizzato che ha portato a una flessione dei prezzi al consumo sia nelle economie avanzate che sia nei mercati emergenti. Nonostante il notevole sostegno monetario (e fiscale), la domanda aggregata rimane contenuta e come è contenuto l’impatto sull’inflazione e sui prezzi delle materie prime. Con un tasso di disoccupazione che dovrebbe rimanere alto gli economisti dell’Fmi si attendono “rischi contenuti di una spirale inflazionistica.
A questo punto, tonando sull’argomento centrale del nostro elaborato, è opportuno chiedersi quali siano stati i fattori endogeni che hanno inciso nella scelta degli strumenti da inserire nei portafogli dei risparmiatori nei due differenti periodi, considerando che si innestano in contesti e origini profondamente differenti. Inoltre, nelle pagine che seguono, si cercherà di capire come i risparmiatori hanno reagito nel momento che le crisi si sono palesate in tutta la loro virulenza.
mazioni e l’andamento delle azioni. Sembra che nei paesi più liberi l’effetto degli annunci sui contagi sia inferiore a quello degli stati con un grado di libertà inferiore. Lo stesso vale per la volatilità, nei paesi più liberi sono associati aumenti minori rispetto a quelli con una censura più forte.
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CAPITOLO 1
DISCIPLINA DEI MERCATI ED EVOLUZIONE DELLA CONSULENZA FINANZIARIA
Le origini dei mercati finanziari in Italia
Le ricadute delle crisi oggetto del presente lavoro hanno avuto una diversa incidenza negli investimenti dei risparmiatori in considerazione di diversi fattori, tra i quali possiamo annoverare le normative nazionali che governano i mercati finanziari e la tutela dei risparmiatori.
In Italia in particolare nel corso degli ultimi decenni si sono stratificate numerose riforme derivanti sia da interventi del legislatore comunitario sia da parte del legislatore nazionale.
E’ pacifico che le norme poste a tutela del risparmiatore non sono in grado di produrre benefici rilevanti se non accompagnate da altri fattori, che come tanti tasselli di un puzzle formano una efficacie quadro posto a tutelare il consumatore finale, ad iniziare come si è ribadito in molte occasioni di una vera e propria politica di educazione finanziaria.
Tuttavia, non possiamo prescindere da quanto il legislatore, in tutte le sedi, ha cercato di un conformare il settore in modo da fornire una tutela a tutti coloro che approcciano il mondo finanziaria e della consulenza.
Inoltre, la attuale normativa trae le proprie origini da un secolo circa di continue modiche ed adattamenti a partire da codice del commercio del 1865. La storia del diritto bancario e finanziario nel nostro paese è costellata da una molteplicità di riforme che sono state varate dal legislatore sempre dopo crisi che hanno evidenziato falle del sistema normativo e di vigilanza.
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La prima regolamentazione delle Borse avviene con il codice del commercio del 1865 e con l’istituzione del “Codice del Commercio” che istituisce la figura dell’Agente di Cambio, ovvero un mediatore autorizzato alla negoziazione di valori, la quale richiede una apposita autorizzazione speciale per svolgere queste mansioni presso la Camera di Commercio con la qualifica di Pubblico Ufficiale1. L’agente di cambio è un mediatore autorizzato alla negoziazione dei valori, al quale sono riservati gli uffici pubblici per cui si richieda dalla legge un’autorizzazione speciale.
Le precise disposizioni del codice del 1865 non tardarono però a subire l’influsso contrastante della realtà del mercato. Le ferrovie, l’industrialismo e le conseguenti istituzioni bancarie, specie di credito mobiliare, nel loro rapido e imponente sviluppo, riversarono sui mercati masse ingenti di titoli, che per necessità le banche stesse dovevano invigilare, se non manovrare, agli stessi scopi dell’emissione.
La repentina crescita economica di quegli anni portò la necessità di rimuovere poco dopo la qualifica di pubblico ufficiale e rendere la professione libera nel 1882 con un’unica eccezione, l’espletazione di pubblici uffici, che mantenne neces-
1 Più specificatamente sulle origini delle borse in Italia si veda il volume collettaneo Lezioni del corso di aggiornamento sulle borse volori, Milano, 1958; N. MARTINI, La Borsa, origine, ordinamento, funzione, Milano, 1942; S. SOTGIA, Borsa valori, Milano, 1961, P. PELLERI, Borsa, enciclopedia della banca e della borsa, IV, Roma, Milano, 1968; L.BIANCHI D’ESPINOSA, Borsa valori, Enciclopedia del diritto, ad vocem, vol V, Milano, 1959, C. COLTRO CAMPI, Borsa valori, Digesto delle discipline privatistiche, Sezione di diritto commerciale, Torino, 1987, p. 296; A. SERRA, Borsa valori (diritto commerciale) Enciclopedia del diritto, Vol V, Roma, 1988.
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sariamente una autorizzazione speciale2. Nel 1913 viene poi pubblicata la legge del 20 marzo e successivamente il relativo regolamento che crearono la prima bozza di Testo Unico in materia finanziaria3.
La legge del 2013 restò in vigore per un lungo periodo per un susseguirsi di ragioni storiche. Ciò che determinò una svolta nella legislazione del settore fu lo shock petrolifero del 1973, causa di una grave crisi economica e finanziaria. Crisi che portò al pettine tutti i nodi di una legislazione oramai anacronistica. Fu emanato il Decreto Legge 8 aprile 1974, n. 95, poi convertito nella Legge 7 giugno 1974, n. 216, che istituì la CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa).
La neonata CONSOB quindi aveva il compito di vigilare e regolamentare i mercati finanziari, compito era in precedenza affidato al Ministero del Tesoro che però, dimostrò evidenti
2 Numerose testimonianze possono trovarsi nelle annate di inizio secolo della Rivista di diritto commerciale, sulla quale la dottrina si espresse più volte contro quelli che riteneva gli abusi e i privilegie degli agenti di cambio: fra gli altri contributi si vedano: F CARNELUTI, I privilegi degli agenti di cambio, Riv. dir. comm., 1907, p. 309 contro i monopoli e le pratiche restrittive e a favore della mediazione libera e la nota redazionale assai critica del disegno di legge di riforma delle borse, accusato appunto di garantire troppi privilegi agli agenti di cambio, in Rivista di diritto commerciale, 1912, I, specialmente p. 1077 e p. 1084.
3 In assenza delle attività di una industria dei servizi bancari e dei intermediari finanziari e dei mercati mobiliari che fossero luogo di una raccolta di risparmio a grandi dimensioni inevitabilmente il sistema delle norme presentava caratteri di arretratezza e marginalità. La legge del 1913 recante Approvazione dell’ordinamento delle Borse di commercio, dell’esercizio della mediazione e delle tasse sui contratti di Borsa, e il successivo Regolamento di esecuzione sempre del 1913 stabilivano una disciplina del mercato azionario organizzato sul modello dei pubblici servizi (e perciò secondo una logica di sistema a diritto pubblico), ma non prevedevano norme di regolazione delle operazioni di sollecitazione del pubblico risparmio che si fossero avviate per la possibile raccolta di risorse finanziarie non più attratte dal deposito bancario.
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limiti a causa di una mancanza di flessibilità ed expertise che portarono quindi alla necessità della creazione di un nuovo organismo autonomo4.
Alla CONSOB vennero attribuite diverse funzioni: la determinazione dei requisiti necessari per la quotazione in Borsa tenendo conto anche delle differenti tipologie di titoli e di emittenti degli stessi indicandone i contenuti e le modalità con cui deve essere compilato il relativo “Prospetto Informativo” contenente tutte le informazioni ritenute di fondamentale importanza e interesse per i potenziali acquirenti del titolo; il compito di stabilire la tipologia di contratti ammessi, i sistemi di quotazione, le modalità di accertamento dei prezzi e la formazione del listino stabilendo anche le tariffe di mediazione; Il controllo del funzionamento delle singole Borse Valori con il compito di accertare anche la regolarità e i metodi di finanziamento delle operazioni di intermediazione e negoziazione effettuate dai soggetti che operano in borsa ed esercitano attività di intermediazione; ultimo ma non ultimo la definizione del calendario di borsa.
Con la Legge 23 marzo 1983, n. 77 vengono istituiti per la prima volta i cosiddetti Fondi Comuni di Investimento mobiliare, ovvero i primi prodotti finanziari che non sono riconducibili al concetto di valore mobiliare tradizionale come le Azioni e le Obbligazioni e per questo viene anche definito per la prima volta il concetto di valore mobiliare ovvero: “ogni documento o certificato che direttamente o indirettamente rappresenti diritti in società, associazioni, imprese o enti di qualsiasi tipo, ivi compresi i fondi di investimento italiani od esteri; ogni documento o certificato rappresentativo di un credito o di un interesse negoziabile e non; ogni documento o
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4 ANNUNZIATA F., La disciplina del mercato mobiliare, Giappichelli, 2008.
certificato rappresentativo di diritti relativi a beni materiali o proprietà immobiliari, nonché ogni documento o certificato idoneo a conferire diritti emessi dagli enti di gestione fiduciaria…”5
Per questo motivo la stessa legge sopra menzionata si occupa di introdurre una organica disciplina della raccolta del pubblico risparmio non di origine bancaria. A questa disciplina andava necessariamente accompagnato un controllo di coloro “che intendono procedere all’acquisto o alla vendita mediante offerta al pubblico di azioni o di obbligazioni anche convertibili, o di qualsiasi altro valore mobiliare italiano o estero, ivi compresi i titoli emessi da fondi di investimento mobiliari e immobiliari, italiani o esteri, ovvero sollecitare con altri mezzi il pubblico risparmio”6 (cfr. artt. 1-18 ss.), controllo che fu attributo alla CONSOB allargando per la prima volta il suo ambito di operatività al di fuori della borsa, estendendolo a quello di tutto il mercato mobiliare, escludendo le attività spettanti a banche ed assicurazioni e le relative discipline e controlli.
Questo grande mutamento dei compiti della CONSOB ha determinato un cambiamento anche nell’ambito di operatività dal punto di vista sostanziale ed era necessario concludere quindi in fretta anche la sua disciplina da punto di vista istituzionale iniziata nel 1974 che vide il proprio punto di arrivo con la Legge del 6 giugno 1985, n. 281 che definì il quadro istituzionale entro cui la Consob opera. Tramite questa legge quindi la Consob acquisisce innanzitutto la personalità giuridica, sono resi trasparenti le procedure per i criteri di nomina dei suoi componenti e viene sancita la sua indipendenza e il
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5 Art. 18-bis della l. 7.6.1974 n. 216 6 Cfr. Art. 1-18 della 1. 7.6.1974 n. 216
suo distacco dal potere esecutivo7.
La normativa relativa ai mercati finanziari fino a questo momento enunciata, sebbene stesse facendo dei progressi, risultava discontinua e inorganica definendo una sorta di “far west” dei mercati finanziari, cosi definito dai commenti della dottrina, era quindi necessario realizzare una normativa unica, organica e non frammentaria come fino a questo momento si era visto.
A risposta di questa necessità accorse la Legge 2 gennaio 1991 n. 1 “Disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari” conosciuta anche come Legge S.I.M. Questa legge sostituisce la figura dell’Agente di Cambio, diventata ormai obsoleta al contesto dei mercati finanziari con la Società di Intermediazione Mobiliare o S.I.M. un vero e proprio intermediario dotato di polifunzionalità che per svolgere la propria attività di intermediazione dei valori mobiliari si avvale di una nuova figura professionale: il “promotore di servizi finanziari”, soggetto che per esplicitare la propria attività deve essere iscritto ad uno apposito albo professionale tenuto dalla CONSOB con la possibilità di collocare strumenti finanziari anche fuori dalla sede della propria impresa di investimento.
La Legge 2 gennaio 1991 n. 1 fa un ulteriore passo avanti e determina anche l’obbligo per le società di intermediazione di tenere dei comportamenti rispondenti ai principi di correttezza, professionalità e diligenza nella cura degli interessi dei propri clienti poiché precedentemente a questa legge “il comportamento di taluni intermediari e di taluni emittenti non hanno certo favorito lo sviluppo di quel clima di fiducia necessario per guardare all’investimento in titoli azionari
7 Per approfondimenti PIGA F., Nuovi profili dell’ordinamento del mercato mobiliare e la posizione della Consob, in Banca, borsa e tit. cred., 1986.
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come un componente affidabile del portafoglio delle famiglie”8 e quindi vengono introdotti determinati obblighi informativi tra cui: la stipula di un contratto con l’indicazione della natura dei servizi forniti, la tipologia e natura degli stessi, la preventiva acquisizione di informazioni finanziarie del cliente e l’obbligo di informarlo sulla natura dei rischi delle operazioni, l’obbligo per la S.I.M. di evitare comportamenti in conflitto di interesse con il proprio cliente ed evitare anche la frequenza delle operazioni se ritenute non necessarie o di dimensioni eccessive rispetto la sua situazione finanziaria. In questo contesto, a tutela della trasparenza e della correttezza verso i risparmiatori è proprio la Consob che d’intesa con Banca d’Italia viene delegata a regolamentare i comportamenti che le S.I.M. e i promotori finanziari devono osservare nello svolgere la propria attività di intermediazione di servizi finanziari per le quali sono autorizzati/e9.
8 Cfr. S. PIVATO, L’evoluzione della struttura del mercato mobiliare italiano, op. cit. p. 28
9 La Consob, oltre all’Albo dei promotori di servizi finanziari, ha predisposto un Albo delle SIM articolato secondo le diverse attività che le stesse società sono autorizzate ad esercitare; un’apposita sezione dell’Albo è dedicata all’iscrizione delle società fiduciarie le quali sono autorizzate allo svolgimento della gestione patrimoniale, se da questa effettuata in via esclusiva. Per essere iscritte all’Albo, le SIM devono essere autorizzate a svolgere determinate attività di intermediazione mobiliare; per ottenere l’autorizzazione devono essere costituite nella forma della società per azioni o in accomandita per azioni, devono detenere un capitale minimo che varia in funzione della tipologia dell’attività che esse intendono effettuare, e, infine, gli amministratori, i direttori generali, e i dirigenti muniti di rappresentanza devono possedere determinati requisiti di onorabilità e professionalità. Inoltre, l’apposito Regolamento di attuazione della Banca d’Italia, ha stabilito che le SIM devono garantire la separazione organizzativa e contabile delle proprie attività e devono rispettare i coefficienti minimi patrimoniali di liquidità e di concentrazione. Questi requisiti costituiscono già un adeguamento agli orientamenti internazionali che poco dopo verranno ripresi per le banche nella normativa di recepimento della
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In questo contesto è proprio l’ex promotore finanziario (oggi consulente finanziario), che offre prodotti di vario genere (prodotti assicurativi, servizi finanziari, e servizi creditizi, non più come l’agente di cambio che era relegato esclusivamente ai valori mobiliari) che viene investito di incarichi di tutela molto importanti come quello di prendere una visione globale del patrimonio dei clienti per offrire dei prodotti che siano rispondenti alle proprie esigenze e che mai questi servizi siano posti in contrasto ad interessi del cliente, tutto sotto il controllo della S.I.M. che risponde dei suoi comportamenti sotto la vigilanza della CONSOB. Nasce così per la prima volta la necessità di fare pianificazione finanziaria per i risparmiatori, ovvero offrire una gamma di soluzioni coerenti alle esigenze dei risparmiatori che devono essere resi consapevoli al fine di condividere in maniera cosciente le soluzioni prospettate dal promotore finanziario10.
Per quanto riguarda l’organizzazione dei mercati regolamentati, la legge n.1/1991 ha istituito il Consiglio di Borsa, il quale ha iniziato la propria attività nel febbraio 1993 come organo rappresentativo dei partecipanti al mercato – avente come tale alcuni caratteri di autoregolamentazione – con il compito di organizzare, gestire e sviluppare il mercato borsistico11. seconda Direttiva CE n. 89/646 e in seguito nel Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
10 Per un approfondimento si veda per tutti: G. SANTORSOLA, Le SIM nell’evoluzione del mercato finanziario, Milano, 1992, p. 127
11 Il consiglio di Borsa ha operato per cinque anni assicurando l’organizzazione, il funzionamento e lo sviluppo dei sistemi di negoziazione per i titoli quotati e per gli strumenti derivati, e svolgendo numerose funzioni tecniche relative all’informativa sull’attività del mercato e sulle società quotate. Inoltre, su delega della Consob, ha esercitato funzioni di monitoraggio sul mercato borsistico e su quello dei futures. In generale il Consiglio di Borsa ha perseguito l’obiettivo della tutela del corretto funzionamento del mercato e del suo miglioramento, svolgendo i propri compiti in conformità dei criteri e delle direttive fissate dalla Consob.
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Sicuramente questa legge detta un fondamentale progresso nella regolarizzazione dei mercati finanziari ma era appunto un primo passo non esente da critiche, in primo luogo quelle che, sì sono state messe le basi per la nascita di una consulenza finanziaria, ma allo stato attuale della legge del ’91 la pianificazione ha ancora un ruolo marginale rispetto la mera vendita del prodotto finanziario che costituisce elemento fondamentale per la retribuzione del promotore e che quindi non necessariamente sarà sempre corrispondente alle esigenze del fruitore di tali prodotti.
L’insieme di riforme prospettate è sicuramente un’importante passo avanti per quello che riguarda la legislazione dei mercati finanziari che però ancora necessitano di un completamento e perfezionamento e soprattutto di una disciplina a livello europeo per uniformare un mercato in rapida ascesa non solo a livello nazionale ma anche a livello comunitario.
Al termine di questa fase, si affaccia nel sistema italiano una forma embrionale di consulenza finanziaria. La nascita dei fondi comuni di investimento, ma, soprattutto, la legge 1 del 1991 che istituisce le SIM e la figura professionale del Promotore finanziario, consente a quest’ultimo la possibilitò di fare sollecitazione del pubblico risparmio anche attraverso la cosiddetta offerta fuori sede. E’ una grande novità e rappresenta il primo passaggio verso una forma di consulenza di stampo anglosassone, anche se, come vedremo, prima che si realizzi in modo compiuto passerà motlo tempo.
Il Consulente embrionale è presente da metà degli anni ottanta sino alla fine degli anni novanta. Nasce insieme ai fondi comuni di diritto italiano (legge 23 marzo 1983, n. 77) e nasce per la vendita di questi nuovi prodotti finanziari che si sono affacciati nel mercato italiano e che hanno rappresentato dato luogo ad una vera e propria rivoluzione nel mercato mobi-
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liare italiano, rappresentando una valida alternativa ai titoli di stato e alle azioni (che peraltro erano quotate in una borsa piccola e poco efficiente). Ho rappresentato questa figura con il termine di “venditore” in quanto la caratteristica principale era costituita da spiccate capacità relazionali necessarie alla vendita del prodotto “fondo comune di investimento”. La formazione fornita dalle imprese di investimento (banche, SIM, ecc.) era focalizzata esclusivamente sulle cosiddette “tecniche di vendita”, ritenute prevalenti rispetto alle conoscenze tecniche e consulenziali. Il venditore aveva pochissimi prodotti a disposizione, spesso una sola casa di gestione di fondi comuni e con pochi comparti, che mano a mano sono andate ad aumentare (dopo la metà degli anni novanta) a seguito di un processo di globalizzazione dei mercati ma soprattutto a seguito di un crescente sviluppo tecnologico che ha reso più facile la costruzione, distribuzione e negoziazione di nuovi strumenti finanziari.
La relazione con il risparmiatore è tutta concentrata sull’aspetto del rendimento. L’obiettivo prioritario (se non esclusivo) è quello di realizzare rendimenti migliori rispetto ai titoli di stato in un periodo che questi ultimi permettevano di realizzare rendimenti particolarmente interessanti anche se rapportati con il costo della vita (si veda il grafico nel capitolo introduttivo). Il profilo di rischio del risparmiatore non è codificato, pertanto non vi è obbligo per il “venditore” di tenerne conto.
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Negli anni 90 si assiste ad una copiosa riforma normativa non sono in Italia ma in tutta l’Europa, coscienti del fatto che le leggi necessitavano di essere rinnovate a per tenere il passo alla repentina evoluzione dei mercati finanziari. Non tardò quindi ad arrivare una normativa europea ovvero la Direttiva 93/22 CEE conosciuta anche come ISD (Investment Services Directive). Nasce con questa direttiva il principio del mutuo riconoscimento tra intermediari adeguandoli a quanto era già previsto per banche e assicurazioni, viene definito anche un principio di mutuo riconoscimento tra vari mercati finanziari dicendo che non solo gli intermediari finanziari possono spostarsi all’interno della Unione Europea ma anche gli stessi mercati finanziari possono prestare i loro servizi dentro i paesi UE connettendosi a distanza secondo i vari sistemi di negoziazione previsti dai vari ordinamenti, il tutto enfatizzato dal rapido e repentino sviluppo di nuove tecnologie e dalla nascita dei mercati telematici.
Nasce quindi una esigenza anche di regolamentazione della concorrenza data dalla libera circolazione di intermediari e mercati che tendono a concentrarsi nei mercati dove gli stessi possono trovare condizioni (ad. es. fiscali) più favorevoli.
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La direttiva 93/22 elabora anche una serie di regole di comportamenti che gli intermediari sono tenuti a tenere durante le proprie attività. Questi comportamenti sono riferibili ad un agire in modo leale ed equo con competenza, impegno e diligenza nell’interesse, per quanto più possibile, dei propri clienti e dell’integrità del mercato, disporre di risorse sufficienti per porre in essere le proprie attività ed utilizzare correttamente tali risorse, informarsi sulla situazione finanziaria dei propri clienti e sui loro obiettivi, trasmettere informazioni utili durante i negoziati con la clientela e sforzarsi di non entrare con questi in conflitto di interessi trattandola in modo paritario.
La Direttiva europea necessitava quindi un recepimento normativo nazionale che avvenne con il Decreto legislativo n. 415 del 23 luglio 1996 (anche conosciuto come decreto Eurosim)12 come una prima tappa per la realizzazione di un unico
12 In commento al Decreto legislativo n. 415 del 1996 si registra una vasta dottrina, tra i principali: G. ALPA, P. GAGGERO, I servizi di investimento in valori mobiliari nel decreto EUROSIM, Milano, 1996; R. LENER, Srumenti finanziari e servizi di investimento. Profili generali, in Banca borsa tit. cred., 1997. MIOLA, PISCITIELLO, Commento all’art. 17, in L’EUROSIM, D.L.gs 23 luglio 1996 n. 415, Campobasso (a cura di), Milano 1997, p. 126; F. ANNUNZIATA, La nuova disciplina dei servizi di investimento: profili generali, Riv. soc., 1996, p. 1153;F. M. GIULIANI, Intestazione fiduciaria e servizi di investimento, Giur. Comm. 1997, I, p. 41; R. LENER, Decreto EUROSIM : il sistema di vigilanza, Le soc., 1996, n. 9, p. 1032; G. DE MINICO, Antitrust e Consob, obbiettivi e funzioni, Padova, 1997; P. VALENTINO, op. cit., 1005. P. VELLA, L’autoregolamentazione nella disciplina dei mercati mobiliari: il modello italiano, Banca impr .soc., 1997,p 3; F. CAPRIGLIONE (a cura di), La disciplina degli intermediari e dei mercati finanziari, Padova, 1996; R. LENER, Attuazione della direttiva sui servizi di investimento: alcuni errori da evitare, in Le soc., 1996, p. 385; SCHLESINGER, Il decreto EUROSIM, in Corr. Giur., 1996, n. 11, p. 1291; A. PATRONI GRIFFI, Il decreto EUROSIM, e l’offerta fuori sede di strumenti finanziari e di servizi di investimento, Giur. Comm., 1997, 24,1, p. 11-13/I; G. ALPA, Decreto EUROSIM: la tutela dei
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e organico Testo Unico dell’intermediazione finanziaria. Tra le maggiori novità come sopra menzionato nella Direttiva recepita è la creazione di un mercato finanziario europeo attraverso la libertà di prestare i propri servizi all’interno della comunità europea sia “a distanza” dal paese in cui la società prestante i servizi ha la propria sede legale che attraverso la realizzazione di sedi e/o succursali nei paesi dove si intendono prestare tali servizi e quindi un mutuo riconoscimento tra società finanziarie di differenti paesi comunitari. Una importante novità è anche quella della privatizzazione dei mercati di borsa a livello nazionale: fino al 1996 la borsa era di proprietà pubblica e tramite il sopra menzionato decreto legislativo per la prima volta questa assume una forma privata, affidando la borsa alla società Borsa Italiana Spa, una società per azioni controllata dalle banche italiane (Nel 2007 è London Stock Exchange, la borsa di Londra che acquista il controllo della borsa italiana lasciando circa il 20% alle banche italiane mentre nel 2020, anche a seguito di Brexit, il controllo della borsa passa ad Euronext importante società europea che riunisce i listini di Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Lisbona, Dublino e Oslo ed ora anche Milano).
Viene per la prima volta sostituito il termine di “attività di intermediazione mobiliare” con “servizi di investimento” per adeguare il fatto che l’evoluzione del mercato finanziario non poteva più restare connesso al ristrettivo concetto di valore consumatori, Le Soc., 1996, p. 1062;. P. VALENSISE, Il recepimento della direttiva EUROSIM, in Gior. Dir. Ammin. 1996, p. 313; P. VALENTINO, Decreto EUROSIM : focus sul “big bang” dei mercati finanziari, in Le soc. 1996, p. 999; L. ZITIELLO, Decreto EUROSIM : la disciplina degli intermediari e delle attività, in Le soc., 1996, p. 1009; S. ZAMBELLI, Decreto EUROSIM : la disciplina dei mercati, in Le soc. 1996, p. 1057; F. BELLI, F. MAZZINI, Il “decreto EUROSIM”, un primo sguardo di insieme, in Studi sugli intermedieri finanziari non bancari, a cura di M. Rispoli Farina, Napoli, 1998, p. 163.
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mobiliare ma andava esteso alla più larga categoria di “strumenti finanziari” anche se in Italia venne mantenuta la denominazione di SIM (Società di intermediazione mobiliare) pur se abbandonata la nozione di strumento mobiliare e di valore mobiliare.
Il decreto del 1996 recepisce anche le direttive riguardanti la vigilanza sui mercati e le regole di condotta delle SIM che devono comportarsi con diligenza, trasparenza e correttezza sia per l’interesse dei clienti che per l’integrità dei mercati, acquisire le informazioni dai clienti e mantenerli adeguamenti informati, organizzarsi per ridurre a minimo il conflitto di interesse, disporre di risorse, procedure e controlli interni adeguati allo svolgimento dei propri servivi e svolgere una gestione sana e prudente atta a salvaguardare il denaro affidato dai propri clienti13.
Attraverso questo recepimento della direttiva vengono gettale le basi per una ampia crescita e sviluppo della normativa. Con lo scopo di riunificare la normativa in essere viene emanato il decreto legislativo del 28 febbraio 1998 n.58 che segna la nascita del T.U.F. (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione Finanziaria) presentato alla camera nel dicembre del 1997 da una commissione presieduta da Mario Draghi. Il T.U.F. ha come obiettivo quello di regolamentare le attività di società diverse dalle Banche (la cui attività è regolamentata dal T.U.B., il Testo Unico Bancario) come le SIM, i fondi comuni mobiliari e immobiliari etc.… con l’obiettivo di riunire e semplificare la disciplina della materia. L’emanazione del T.U.F. portò un riordino generale
13 Per quanto riguarda le discussioni in dottrina di tale legge si consiglia di approfondire: CARBONETTI F., I contratti di intermediazione mobiliare, Milano, 1992; DI MAJO A., La correttezza nell’attività di intermediazione mobiliare, in Banca, borsa e tit. cred., 1993, I, 290; GANDINI C., La nozione di intermediazione mobiliare, in Contr. e impr., 1992, 131.
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della legislazione in materia e condusse ad un forte sviluppo della normativa regolamentare della Consob. L’art 21 del T.U.F. denominato “criteri generali” è il punto cardine della disciplina sulle regole di comportamento degli intermediari finanziari anche se è importante sottolineare come la maggior parte delle formazioni di leggi viene attribuita alla normativa di fonte “secondaria”, cioè ai regolamenti Consob, i quali chiaramente non possono mai dimostrarsi contrari alle fonti normative superiori. Il motivo per cui viene lasciata alla Consob una così ampia liberta di regolamentazione è delegare ad un ente specifico per limitare il più possibile il rischio di una “ingessatura” del sistema, permettendo un continuo, costante ed uniforme aggiornamento del quadro normativo in armonia con velocissimo processo di modernizzazione e cambiamento dei mercati finanziari. L’attuazione del T.U.F. in sede di normativa secondaria avviene con il Regolamento CONSOB n. 11522/1998 noto anche come “vecchio Regolamento Intermediari” poi modificato con numerosi aggiornamenti successivi14.
14 Per un approfondimento sulle novità apportate dal D. lgs. n. 58 del 1998, il c.d. “Decreto Draghi” si rinvia ai seguenti contributi: AA.VV., Studi sugli intermediari finanziari non bancari, M. RISPOLI FARINA (a cura di), Napoli, 1998; AA.VV., Il testo unico della intermediazione finanziaria. Commentario al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, C. RABITTI BEDOGNI (a cura di), Milano, 1998; M. DRAGHI, Audizione del Direttore Generale del tesoro, Commissione Finanze della Camera dei Deputati, Indagine conoscitiva sull’evoluzione del mercato mobiliare italiano , Roma 10 dicembre 1997; L. LACAITA, V .NAPOLEONI, Il testo unico dei mercati finanziari, Milano, 1998; G. CARRIERO, D.lgs. n. 58 del 1998. I mercati finanziari e la gestione accentrata di strumenti finanziari, in Soc., 1998, p. 536; Circolare ASSONIME n. 50/98, La disciplina degli emittenti nel T.U. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria : un primo commento, in Riv. Soc., n.4, 1998, p. 1063; G. VISENTINI, Osservazioni sulla recente disciplina delle società azionarie e del mercato mobiliare, in Riv. soc. n. 5, 1998, p. 172; M. PAGANO, F. PANINZI, L. ZINGALES, Os-
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La direttiva 93/22 CEE era ispirata a realizzare una armonizzazione dei mercati finanziari. Un importante passaggio verso una completa realizzazione effettiva di un mercato unico dei servizi finanziari all’interno dell’Unione europea. Inoltre, la disciplina introdotta dalla direttiva 93/22 era prevalentemente orientata alla disciplina del “prodotto finanziario” che proprio in quel periodo conosceva una rapida evoluzione e la nascita di nuove tipologie di strumenti che necessitavano di una maggiore tutela del risparmiatore. Per quanto riguarda l’evoluzione della consulenza, questa fase è segnata dalla trasformazione della figura professionale del “venditore”. Ciò è dovuto al verificarsi dei una delle crisi più profonde dei mercati finanziari, ovvero la crisi della cosiddetta New Economy e dal conseguente crollo dei listini azionari. L’indice dei titoli tecnologici Nasdaq negli Stati Uniti tra marzo del 2000 e fine 2002 subisce un crollo del 70% circa, come dimostrato dal grafico sottostante
servazioni sulla riforma della disciplina dell’OPA, degli obblighi di comunicazione del possesso azionario e dei limiti agli incroci azionari, in Riv. soc, n. 5, 1998, p. 152; P. MARCHETTI, Osservazioni sui profili societari della bozza di T.U. dei mercati finanziari, in Riv. soc. , n.5, 1998, p. 140.; N. SALANITRO, Società per azioni e mercati finanziari, Milano, 1998.
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Il venditore senza vera e propria pianificazione finanziaria “consigliata” al risparmiatore, ma basando esclusivamente il rapporto con quest’ultimo sul rendimento, non poteva reggere l’impatto della crisi New Economy e necessariamente ha preparato il terreno per una nuova fase e tipologia di consulenza.
Senza una pianificazione di lungo periodo, ma con una logica di breve-medio termine, una crisi così profonda ha minato la fiducia del risparimatore nei confronti dei mercati finanziari e ha messo a nudo carenze riguardo al livello di educazione finanziaria, non solo del risparmiatore ma anche dell’intera “industria finanziaria”, rivelevatosi incapace di leggere i cambiamenti del settore e ancorata ancora alla vecchia logica della vendita del prodotto finanziario anzichè focalizzare l’attenzione sulle effettive esigenze del cliente.
Sulle ceneri del venditore, nasce quello che abbiamo chiamato “promotore”, dove è chiaro il riferimento alla figura del Promotore di servizi finanziari come codificata dalla legge n. 1 del 1991, la quale se pur essendo data una decina di anni prima rispetto al periodo di riferimento, in realtà si afferma in modo tangibile nel corso degli anni 2000. In alter parole, lo ratio della legge del 1991 che si basava su di una figura professionale che doveva soddisfare le svariate esigenze del risparmiatore a 360 gradi si consolida solamente una decina di anni dopo proprio a seguito della crisi delle dotcom e dei titoli internet.
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Alla luce dell’esperienza della crisi 2001-2003 economica e finanziaria, il promotore affina le proprie competenze tecniche riguardo la conoscenza degli strumenti finanziari e le sulle strategie di portafoglio, anche se la “vendita del prodotto” riveste ancora un ruolo importo.
In questo periodo si afferma quella che verrà definita “l’ingegneria finanziaria” da parte dell’industria del risparmio, ovvero prodotti sempre più complessi che hanno l’obiettivo di offrire rendimenti interessanti a fronte di un controllo del rischio, in quanto il risparmiatore rimasto scottato dalle perdite subite dalla crisi appena trascorsa ha ridotto sensibilmente la sua propensione al rischio.
Occorre evidenziare, inoltre, che sul fronte dei titoli di stato, a partire dal 2000, si registra una sensibile riduzione dei rendimenti, come da tabella sottostante, dove si evince che addirittura i rendimenti netti (depurati dal tasso di inflazione) sono negativi se consideriamo anche i costi di negoziazione e le imposte (colore verde), mentre solo in due casi, 2001 e 2008, abbiamo un saldo soddisfacente, ma rappresentano l’eccezione e non la regola in quanto sono due anni di crisi particolarmente forti.
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Il risparmiatore cerca, pertanto, una valida alternativa al titolo di stato ma con avversione al rischio più marcata rispetto agli anni novanta. Si diffondono quindi prodotti finanziari come le obbligazioni strutturate e le polizze vita index linked, con sottostante indici azionari o comunque asset rischiosi ma che a scadenza offrono la garanzia del capitale15.
15 In dottrina, per un inquadramento del problema delle polizze vita, Rossetti, Il diritto delle assicurazioni, Milano, 2013; sull’estensione ai prodotti finanziari distribuiti dalle imprese assicurative della disciplina del tuf, Portolano, Art. 25-bis: prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione, in Testo Unico della Finanza, a cura di Fratini-Gasparri, Torino, 2012; a favore della qualificazione come investimento delle polizze linked prive di garanzia minima, Sabatelli, I prodotti misti assicurativi e finanziari, in Banche ed assicurazioni fra cooperazione e concorrenza, a cura di Patroni Griffi e Ricolfi, Milano, 1997; Gambino, La prevenzione nelle assicurazioni sulla vita e nuovi prodotti assicurativo-finanziari¸ in Assicurazioni, 1990, I, pag. 39 ss.; Rossetti, Polizze “linked” e tutela dell’assicurato, in Assicurazioni, 2002, pag. 223 ss. In giurisprudenza, conforme Cass., 18 aprile 2012, n. 6061, con nota di Sangiovanni, La
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Strumenti che hanno come obbiettivo la protezione del capitali per risparmiatori che per decenni hanno investito su asset non rischiosi come i titoli di stato ma allo stesso tempo devono offrire nel medio-lungo termine rendimenti il linea almeno con il tasso di inflazione. A titolo di esempio qui sotto riportiamo la struttura di un polizza index linked, che come è evidente è la combinazione di tre strumenti finanziari; una copertura assicurativa, una obbligazione zero coupon che ha la funzione di garantire il capitale a scadenza e uno strumento derivato, in genere una opzione per sfruttare i rialzi del sottostante come leva di rendimento.
Cassazione sull’equiparazione delle polizze unit linked a strumenti finanziari, in Corriere Giuridico, 3, 2013, pag. 770 ss.; contrario invece all’applicazione della disciplina informativa sugli strumenti finanziari per i contratti antecedenti al 2006, Trib. Milano, 16 aprile 2015, n. 30127, con nota di Corrias, Sulla natura assicurativa oppure finanziaria delle polizze linked: la riproposizione di un tema, in BBTC, 4, 2015, pag. 457 ss.; sull’insussistenza della responsabilità per inadempimento dell’impresa di assicurazione nel caso di insolvenza dell’emittente, Trib. Roma, 23 ottobre 2014, n. 20973, in ex parte creditoris, www.expartecreditoris.it
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Il problema è che questi tipi di prodotti, a seguito della agguerrita concorrenza nell’industria del risparmio, diventano sempre più complessi determinando una asimmetria informativa; chi vende il prodotto ha conoscenze dello stesso molto approfondite, chi lo compra non sa bene come funziona.
L’introduzione della normativa MIFiD orientata alla “logica del servizio”
Il fondamentale passo successivo a questa armonizzazione fu la Direttiva 2004/34 CE meglio conosciuta come MiFID (Markets in Financial Instrumets Directive). Gli obiettivi che si pone questa nuova e dirompente Direttiva sono quelli di stimolare la concorrenza dei mercati facilitando la libertà di prestare servizi nei paesi membri con il conseguente effetto di un aumento della concorrenza nei mercati, rafforzare la trasparenza, la solidità e l’efficienza mediante una cospicua normativa sull’esecuzione degli scambi, assicurare una maggiore protezione agli investitori uniformando le regole di condotta degli intermediari nei differenti mercati europei ed infine introdurre ulteriori requisiti uniformi di controllo ed organizzazione degli intermediari16.
Per quanto riguarda la organizzazione dei vari mercati la MiFID elimina la facoltà, in passato attribuita ai singoli stati membri di imporre degli obblighi di concentrazione degli scambi dei titoli quotati all’interno dei mercati regolamentati e oltretutto viene realizzata l’internalizzazione degli ordini direttamente in casa dell’intermediario, in modo diretto con il cliente senza la necessità di passare per i mercati regolamen16 Per ulteriori approfondimenti si richiama il seguente testo: V. Conti - G.
Sabatini, C. Comporti, La direttiva MiFID e gli effetti del suo recepimento, Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa, Bologna, 2007
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tati (cd. internalizzazione sistematica) realizzando delle regole pre e post negoziazione al fine di evitare i rischi derivanti da una frammentazione delle sedi di esecuzione degli ordini17. Per semplificare, questa innovativa direttiva comportò molteplici possibilità di effettuare transazioni di strumenti finanziari non più in un singolo mercato, ma in differenti e concorrenti sedi di negoziazione. Importanti riforme della MiFID sono quelle relative le relazioni da intrattenere con la clientela, queste vengono potenziate realizzando un complicato assetto di regole di conoscenza del cliente introducendo i concetti di “adeguatezza (o suitability), appropriatezza (o appropriateness)” e “mera esecuzione degli ordini o (execution only)”. Oltre questo viene dettagliatamente introdotta una disciplina di classificazione della clientela fino ad ora inesistente (i clienti non sono tutti uguali) articolata su due livelli, distinguendo clienti al dettaglio su uno, e controparte qualificate ed investitori professionali su un altro. Viene introdotto anche un ordine di “best execution” ovvero instradare le transazioni sulle sedi di negoziazione che al momento della transazione offrono le migliori condizioni di esecuzione e realizzata una stringente disciplina riguardante i doveri informativi della società nei confronti della clientela introducendo anche il divieto da parte di banche e imprese di investimento di ricevere qualsiasi tipologia di compensi, commissioni e prestazioni non monetarie connesse alla fornitura di servizi tranne nel caso di specifiche e
17 Secondo il 5° considerando della Direttiva in questione “E’ necessario prendere atto dell’emergere, a fianco dei mercati regolamentati, di una nuova generazione di sistemi di negoziazione organizzati, che dovrebbero essere sottoposti ad obblighi per preservare il funzionamento efficiente ed ordinato dei mercati finanziari. Per porre in essere un quadro normativo adeguato, occorre prevedere l’inclusione di un nuovo servizio di investimento che consiste nella gestione dei sistemi multilaterali di negoziazione”.
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dettagliate condizioni. Viene anche introdotto per la prima volta il concetto di consulenza in materia di investimenti. Per capire meglio approfondiamo il concetto di “adeguatezza”, “appropriatezza” e “mera esecuzione degli ordini”18. Per eseguire le operazioni finanziarie, la MiFID prevede che l’intermediario approfondisca la conoscenza del proprio cliente e una valutazione delle operazioni consigliate allo stesso. Per quanto riguarda il concetto di appropriatezza, l’intermediario dovrà ottenere informazioni utili dal cliente sulla sua situazione finanziaria ed i propri obiettivi di investimento. Gli investimenti proposti nella consulenza potranno essere poi effettuati solo se questi siano coerenti con le informazioni rilasciate dal cliente. Nel caso ci sia impossibilità di ottenere tali informazioni, l’intermediario dovrà astenersi dalla prestazione dei servizi di consulenza e di gestione. Per quanto riguarda i servizi diversi da quelli di consulenza e gestione è previsto un ulteriore livello di controllo chiamato “appropriatezza”, in questo caso compito dell’intermediario sarà comprendere se il cliente abbia una conoscenza ed esperienza sufficienti a comprendere quali siano i possibili rischi inerenti al servizio proposto, raccogliendo informazioni sulle conoscenze finanziarie del cliente, la frequenza delle operazioni da questo realizzate, il livello di istruzione e la sua professione. Nel caso in cui ci sia la impossibilità di effettuare la valutazione della “appropriatezza” l’intermediario non potrà quindi capire se l’investimento è conforme alle caratteristiche del cliente ma a differenza della “adeguatezza” potrà comunque fornire tale servizio una volta avvertito il cliente della impossibilità di capire se lo strumento è appropriato per lui. La “mera esecuzione di ordini” esime l’intermediario dall’e-
18 Per approfondimenti si richiama Il Capo 2, Sezione 2, Art. 19, Direttiva 2004/39/CE.
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secuzione dei test di “adeguatezza” ed “appropriatezza” ma può essere applicata esclusivamente quando il servizio abbia come oggetto azioni quotate sui mercati regolamentati quindi strumenti di mercato monetario, obbligazioni ed altri titoli di debito, fondamentale è che il servizio sia attivato su specifica iniziativa e richiesta del cliente in quanto si presuppone che non venga realizzato un servizio di consulenza, inteso come consiglio verso il cliente ma che sia lo stesso cliente a richiedere quel prodotto finanziario esimendo quindi l’intermediario ad eseguire queste specifiche forme di tutela nella propria attività consulenziale.
La MiFID fa poi un passo il più, le differenti forme di tutela della clientela non sono oggettive ma per la prima volta, viene articolata una forma di classificazione basata sulla tipologia di clientela con cui l’intermediario si trova a rapportarsi. La prima tipologia di clientela è quella definita “professionale” ovvero una clientela che “… possiede l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere le proprie decisioni in materia di investimenti e valutare correttamente i rischi che assume…”19. All’interno di questa categoria rientrano soggetti che ricoprono la carica di impresa di investimento, enti creditizi, compagnie di assicurazione, OICR, SGR, fondi pensione, investitori istituzionali, i governi nelle loro varie forme nazionali e regionali e istituzioni sovranazionali come il FMI (Fondo Monetario Internazionale), la BCE (Banca Centrale Europea) etc…
Oltre le categorie esplicitamente qui sopra menzionate possono appartenere alla categoria di “investitori professionali” anche imprese al ricorrere di specifiche condizioni, e altre ti19 Così definito e recepito dalla normativa italiana nel Regolamento intermediari, Parte I, Art 26, 1d) e specificato poi Allegato n.3 Parte I adottato con delibera n.16190 del 29 ottobre 2007
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pologia di clientela non rientranti nelle categorie sopra citate20. Al cliente professionale viene applicato esclusivamente il diritto di dover essere informato sulla natura e i rischi dei prodotti e/o servizi offerti e all’esistenza di eventuali privilegi o diritti ad essi connessi, per il resto vige la presunzione che lo stesso sia in grado “da solo” di comprendere i rischi connessi alla sottoscrizione di prodotti finanziari e quindi il test di “appropriatezza” potrà essere del tutto omesso. Nel caso in cui sia previsto anche un servizio di consulenza da parte dell’intermediario lo stesso potrà presumere che il “cliente professionale” sia finanziariamente in grado di supportare qualsiasi tipologia di rischio compatibilmente i propri obiettivi di investimento e pertanto il test di “adeguatezza” risulterà, non totalmente eliminato ma semplificato. Per “controparti qualificate” si intende un’altra categoria di clientela considerata dalla MiFID come un sottoinsieme dei precedenti “investitori professionali”, all’interno di questa rientrano esclusivamente coloro che svolgono i servizi di “negoziazione per conto proprio”, “esecuzione di ordini per conto dei clienti” e “ricezione e trasmissioni di ordini”. Essendo un sottogruppo degli “investitori professionali” quelli “qualificati” sono considerati ancor più consapevoli in materia di prodotti finanziari a causa delle attività svolte da questi e per questo motivo le tutele a loro attribuite sono ancora minori delle precedenti nel senso che vengono meno le tutele relative agli obblighi generali di comportamento in sede di prestazione del servizio, all’obbligo di all’obbligo di eseguire le operazioni alle condizioni più favorevoli (best execution) e a quello di efficienza e celerità nell’esecuzione degli ordini. Le tipologie di clientela sopra menzionata sono quindi considerate sufficientemente consapevoli ed autorevoli da poter prendere in modo autonomo le
20 Allegato II Sezione II, Direttiva 2004/39 CE.
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decisioni di investimento vedendo quindi cadere la ratio delle principali forme di tutela (che non necessariamente vengono meno in quanto il cliente seppur “qualificato” o “professionale” può richiedere un trattamento più tutelante, con il consenso dell’intermediario) che vengono invece attribuite in modo automatico all’ultima categoria di clientela ovvero quella “al dettaglio”. Il “cliente al dettaglio”21 è una categoria residuale ovvero all’interno di essa vengono considerate tutti i soggetti non rientranti nelle categorie precedenti. A questi vengono attribuite le massime forme di tutela dalla MiFID tra cui l’obbligo, entro un tempo utile prima della prestazione del servizio, di precisare tutti i termini delle prestazioni offerte insieme ad informazioni riguardanti l’impresa, i servizi che offre, la natura e i rischi dell’operazione proposta, gli strumenti previsti dalla legge come salvaguardia per i “clienti al dettaglio”, tutti i costi e oneri connessi alla operazione e ovviamente l’esecuzione dei test di “adeguatezza” ed appropriatezza”.
Per quanto riguarda i requisiti organizzativi degli intermediari la MiFID adotta un approccio più libero, si limita semplicemente a definire i requisiti minimi lasciando alle legislazioni nazionali e agli stessi intermediari il compito di strutturare la propria attività in modo autonomo il cui assetto organizzativo deve però essere coerente e proporzionato alla natura dell’attività, alla dimensione e alla complessità delle operazioni effettuate oltre che ovviamente alla gamma e alla tipologia dei servizi prestati (richiamando quindi il cd. principio di proporzionalità). Vengono tracciate anche delle “linee guida” per il realizzo di procedure e controlli (anche interni) al fine di garantire una continuativa, corretta e trasparente prestazione di servizi e gestione dei reclami. Sono infine definite
21 Regolamento intermediari, Parte I, Art 26, 1e).
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le condizioni da rispettare per quanto riguarda l’esternalizzazione (affidamento di compiti ad imprese esterne) di funzioni aziendali importanti od essenziali e quali possono essere le “best practies” per mitigare i rischi relativamente connessi22. La MiFID viene recepita con il Decreto Legislativo del 17 settembre 2007 n.164 che apporta una serie di rilevanti modifiche al T.U.F. Si susseguono poi una serie di aggiornamenti (con l’introduzione da parte di Consob e di Banca d’Italia che insieme pubblicano il “Regolamento in materie di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano servizi di investimento o gestione collettiva del risparmio”
(chiamato anche Regolamento Congiunto)23. Vengono attuate anche modifiche ai rispettivi regolamenti in essere per omologarli alla direttiva MiFID in modo coordinato al 22 Direttiva 2009/34 CE Titolo II, Capo II, Art. 16 e ss. 23 Adottato dalla Banca d’Italia e dalla Consob con provvedimento del 29 ottobre 2007 e successivamente modificato con atti congiunti Banca d’Italia/Consob del 9 maggio 2012, del 25 luglio 2012, del 19 gennaio 2015, del 27 aprile 2017 e con delibera Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018, Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 255 del 2.11.2007 e successivamente modificato con: atto congiunto Banca d’Italia – Consob del 9 maggio 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 15 maggio 2012 e in CONSOB Bollettino quindicinale n. 5.1, maggio 2012; atto congiunto Banca d’Italia – Consob del 25 luglio 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 dell’8 agosto 2012 e in CONSOB Bollettino quindicinale n. 7.2, luglio 2012; atto congiunto Banca d’Italia – Consob del 19 gennaio 2015, pubblicato nel S.O. n. 11 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 65 del 19 marzo 2015 e in CONSOB Bollettino quindicinale n. 1.2, gennaio 2015. Per la disciplina transitoria vedi l’art. 6 dell’atto congiunto Banca d’Italia – Consob del 19 gennaio 2015; atto congiunto Banca d’Italia – Consob del 27 aprile 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 106 del 9 maggio 2017 e in CONSOB Bollettino quindicinale n. 4.2, aprile 2017 (per la disciplina transitoria vedi l’art. 4 dell’atto congiunto Banca d’Italia – Consob del 27 aprile 2017); delibera Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018, pubblicata nel S.O. n. 7 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41 del 19 febbraio 2018 e in CONSOB Bollettino quindicinale n. 2.2, febbraio 2018.
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fine di evitare una possibile frammentazione e discrepanze tra ordinamento nazionale e comunitario e garantire parità di trattamento alle imprese operanti nei mercati europei.
Negli anni immediatamente successivi alla MiFID si assiste ad un sempre maggior numero di investitori presenti nei mercati finanziari, gli stessi mercati offrono una gamma di strumenti e servizi sempre più ampia e complessa. In coerenza agli sviluppi appena descritti era necessario un nuovo intervento normativo che supplisse alle lacune della MiFID dovute alle rapide innovazioni che il mercato poneva in essere. Era necessario rafforzare le norme di tutela e comportamento per potenziare la tutela degli investitori, sempre più numerosi. Questo rafforzamento avviene con la Direttiva 2014/65 UE del 15 maggio 2014 meglio conosciuta come MiFID II. Questa Direttiva separa il concetto di consulenza, prima inteso in modo universale ed ora diviso su due principali categorie: “consulenza dipendente” ed “indipendente”. Altro obiettivo della MiFID II è quello di promuovere una cultura finanziaria dell’investitore.
Per quanto riguarda la consulenza finanziaria viene, per la prima volta, viene effettuata una distinzione tra “dipendente” e “indipendente”, servizi nettamente distinti sia dal punto di vista giuridico che dalle caratteristiche peculiari di ognuna delle due tipologie. Dipendenza e indipendenza sono quindi requisiti oggetti e non soggettivi ed è dovere del soggetto che presta il servizio identificarsi quando presta un servizio ad un cliente. Vediamo adesso cosa si intende per “dipendente” ed “indipendente”. La consulenza finanziaria dipendente è quella prestata da soggetti riferibili alle case prodotto ovvero dalle società di gestione del risparmio ovvero le società che gestiscono i fondi o dalle banche, cioè le società che li commercia-
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lizzano. Per consulenza “indipendente” (nuova forma di consulenza introdotta e formalizzata con la MiFID II)24 si intende un servizio prestato da società o soggetti non aventi alcuna tipologia di rapporto con gestori di prodotti finanziari ne con soggetti collocatori di tali prodotti. La principale differenza tra queste due forme di consulenza è il guadagno del soggetto che presta tale servizio. Nei servizi di consulenza “dipendente” il guadagno è ottenuto principalmente attraverso un meccanismo di retrocessione derivanti dalla commercializzazione dei prodotti (che potrebbero portare il consulente a promuovere determinati prodotti, per lui più redditizi rispetto ad altri) mentre quella dei servizi di consulenza “indipendente” deriva dal pagamento di una parcella, come quella di un avvocato o di un commercialista. Motivo di particolare interesse per la MiFID II è rendere maggiormente consapevoli i clienti. Nel caso di consulenza “indipendente” non si pongo problemi in quanto appunto il guadagno derivante dalla prestazione del servizio deriva da una parcella pagata direttamente dal cliente mentre nel servizio di consulenza “dipendente” in passato era difficile per il cliente comprendere quale fosse la parte di costo pagato per il servizio che fosse riconducibile al servizio consulenziale. Per questo motivo, ai servizi di reporting annuali degli investimenti ai propri clienti sarà presto presente una voce che specifica i guadagni ottenuti dalla prestazione del servizio di consulenza, distinguendoli dai costi impliciti del prodotto rendendo quindi maggiormente consapevoli i consumatori ma diminuendo anche la differenza a livello di trasparenza, con la consulenza “indipendente”25.
Per quanto riguarda le regole di comportamento che le imprese di investimento devono osservare nella prestazione del 24 Direttiva2014/65 UE, Punto 72 e ss.
25 Per approfondire: Cataldo S., Marchetta G. La consulenza finanziaria ai tempi di MiFID II, Maggioli Editore, 2018
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servizio di consulenza, queste vengono ulteriormente rafforzate dalla MiFID II effettuando una tripartizione di tale servizio. Il primo passo della consulenza è una valutazione “precontrattuale”, in cui va informato il cliente se la consulenza è prestata su base indipendente o meno, se la stessa è basata su una analisi ampia del mercato oppure ristretta nel ovvero se la gamma di strumenti analizzati è ampia o limitata a prodotti di società che hanno rapporti legali od economici che potrebbero compromettere la indipendenza della consulenza prestata, se verrà effettuata una valutazione periodica degli investimenti e il costo di tale tipo di consulenza. Queste tutele in effetti limano molto la differenza tra consulenza “dipendente” ed “indipendente” in quanto nel caso questa venga fornita su una vasta gamma di prodotti, con una valutazione periodica, rendendo consapevole il cliente dei costi che sostiene, le differenze tendono a scomparire rendendo la scelta per il cliente molto semplice, consapevole e valutabile più sulla qualità e la capacità del soggetto che la fornisce che sul modo in cui viene pagato tale servizio (parcella vs costi di distribuzione). Sono previste poi delle regole di comportamento da porre in essere durante la fase “contrattuale” ovvero quando il servizio viene appunto formalizzato in un contratto. In questa fase vanno regolarizzate in ogni aspetto la posizione delle parti e tutte le condizioni riguardanti la formazione del servizio. Nel caso di consulenza “indipendente” gli strumenti finanziari offerti devono essere sufficientemente diversificati per rispondere a qualsiasi tipologia di necessità del cliente e non limitati a prodotti di società appartenenti o aventi rapporti economici o contrattuali con il soggetto che svolge il servizio di consulenza. Nella fase “post-contrattuale” vanno invece fornite adeguate relazioni sul servizio di consulenza prestato come comunicazioni periodiche tenendo conto della tipologia e della
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complessità degli strumenti finanziari (raccomandati) ed alla natura del servizio prestato al cliente e comprendono i costi delle operazioni e dei servizi prestati per loro conto valutando periodicamente anche “l’adeguatezza” del servizio per verificare se mutate condizioni del mercato, o vicende personali del cliente possano cambiare l’opportunità di tale servizio.
Vengono stabilite dalla MiFID II anche delle novità riguardanti gli strumenti finanziari che devono essere concepiti per rispondere a determinate esigenze di un target di clientela ben definito e adottare di conseguenza anche una strategia distributiva di tali prodotti coerente insieme ad assicurare misure di controllo efficienti nel verificare che la distribuzione avvenga realmente al target identificato. Viene ristretto anche il campo di possibilità per l’applicazione dell’“execution only” e vengono posti ulteriori limiti restringenti alla possibilità di vendere strumenti finanziari senza la applicazione del test di “appropriatezza” già definiti dalla MiFID I ma ora ulteriormente ristretti. La MiFID II viene recepita in Italia con il Decreto Legislativo del 3 agosto 2017 n. 129 rendendo quindi operativa la direttiva comunitaria a livello nazionale rendendo il nostro paese perfettamente coordinato ai restanti paesi comunitari.
La normativa relativa gli strumenti finanziari ha raggiunto un elevato livello di maturità ma anche oggi assistiamo ad una rapida e continua evoluzione dei mercati con la conseguente nascita di sempre nuovi prodotti finanziari che necessitano e necessiteranno di nuovi interventi normativi al passo di un mercato in perenne mutamento.
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L’educazione finanziaria nel panorama italiano
Secondo la definizione sviluppata dall’OCSE nel 2005, promossa dai leader G20 nel 2012, ed adottata dai singoli paesi nell’ambito delle loro strategie nazionali, l’educazione finanziaria è “un processo attraverso il quale i consumatori, i risparmiatori e gli investitori migliorano le loro capacità di comprensione dei prodotti finanziari e dei concetti che ne sono alla base e attraverso istruzioni, informazioni, consigli sviluppano attitudini e conoscenze atte a comprendere i rischi e le opportunità di fare scelte informate, dove ricevere supporto o aiuto per realizzare tali scelte e per le azioni da intraprendere per migliorare il proprio stato e il livello di protezione”1.
L’educazione finanziaria include quindi tutti i programmi e le attività che hanno lo scopo di migliorare la conoscenza, il comportamento e l’attitudine in campo finanziario con un effetto positivo in termini di maggiore fiducia e consapevolezza nel prendere decisioni finanziarie responsabili. Il risultato del processo di educazione finanziaria è l’alfabetizzazione finanziaria o financial literacy, che consiste nella combinazione di consapevolezza, conoscenza, capacità, attitudini, e comportamenti necessari a prendere solide decisioni finanziarie ed a raggiungere un benessere dal punto di vista finanziario (OCSE/INFE, 2012). In particolare, la financial knowledge rappresenta la conoscenza di concetti finanziari elementari e la capacità di applicare le abilità di calcolo in un contesto finanziario.
Secondo l’approccio proposto in sede OCSE, l’educazione finanziaria risulta essere strumentale per migliorare il compor-
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1 OCSE (2005), Recommendation of the Council on Principles and Good Practices on Financial Education and Cawareness.
tamento e l’attitudine degli individui, per promuovere una visione di lungo termine nei consumatori al momento delle decisioni di risparmio, e una pianificazione più sicura nell’ottica del pensionamento. Sono vari infatti i costi che i soggetti economici potrebbero dover affrontare nell’arco del proprio ciclo di vita a causa di un grado insoddisfacente di alfabetizzazione finanziaria. L’educazione finanziaria porterebbe quindi numerosi vantaggi non solo per gli individui e per i vari stakeholder, pubblici e privati, ma anche per il sistema finanziario nel suo complesso. Nella gran parte dei paesi che hanno adottato questa definizione, l’educazione finanziaria è ritenuta anche essenziale nella difesa e nella protezione dei consumatori come elemento complementare delle misure regolatorie.
L’ambizioso processo di elaborazione di una strategia nazionale di educazione finanziaria necessita tuttavia di un’analisi preliminare dettagliata che definisca l’ambiente di riferimento cui gli strumenti vengono rivolti e gli obiettivi da perseguire e poter successivamente verificare ex-post. In quest’ottica, nel 2005 l’OCSE ha condotto un primo studio sull’educazione finanziaria per dodici dei suoi paesi membri. Da allora, il campione è stato esteso. L’ultima indagine è stata condotta nel 2017. La Tabella riporta i risultati per i vari paesi relativamente al livello di conoscenze e ai conseguenti comportamenti in ambito finanziario, in termini di “Financial Knowledge”, “Financial Behaviour”, “Financial Attitude” e quindi di “Financial Literacy”.
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Nel 2005, l’OCSE ha raccomandato ai paesi membri la promozione dell’educazione e della consapevolezza finanziaria con la pubblicazione del “Recommendation on Principles and Good Practices for Financial Education and Awareness”.
A tal fine, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha esortato i paesi membri a considerare e diffondere i principi e le “good practices” tra tutti gli stakeholders che cooperano all’educazione finanziaria, ovvero istituzioni pubbliche, private e enti no-profit.
Secondo l’OCSE, una strategia nazionale per l’educazione finanziaria è “un approccio nazionale coordinato all’educazione finanziaria consistente in un framework o programma adeguato che:
- riconosca l’importanza dell’educazione finanziaria –anche a livello legislativo – e ne definisca il significato e lo scopo a livello nazionale in funzione dei bisogni e dei gap emersi a livello nazionale;
- sia fondato sulla cooperazione con i vari stakeholders
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e sull’identificazione di un’autorità leader o di un istituto che garantisca il coordinamento;
- stabilisca una roadmap per raggiungere obiettivi specifici e prestabiliti entro un certo periodo;
- fornisca le linee guida per i singoli programmi cosicché ciascuno contribuisca in modo efficiente ed appropriato al piano nazionale.”2
L’introduzione di una strategia nazionale per l’educazione finanziaria in Italia è avvenuta solo recentemente, con un decreto-legge del 2016. Negli anni precedenti, in assenza di un piano nazionale, sono state attivate in maniera frammentaria e non coordinata alcune iniziative, pubbliche e private, con lo scopo di colmare la scarsa educazione finanziaria. Molteplici indagini testimoniano infatti un livello basso per le conoscenze finanziarie degli italiani: S&P Global Financial Literacy Survey; rapporti di Allianz, di CONSOB, COVIP/CENSIS e del Centro Ente Einaudi; indagine sull’Alfabetizzazione e le Competenze Finanziarie degli Italiani (IACOFI) condotta dalla Banca d’Italia. In particolare, l’Italia si attesta ultimo tra i paesi europei nell’indagine Standard & Poor’s “Global Finlit Survey” realizzata nel 2014, con solo il 37% degli adulti capace di rispondere correttamente alle domande su concetti base. Le indagini svolte dagli altri operatori, da Banca d’Italia, e i test PISA confermano un livello di educazione finanziaria particolarmente basso. Il rapporto CONSOB sulle scelte di investimento delle famiglie italiane pubblicato nel 2016 rileva che solo il 40% degli intervistati è in grado di definire l’inflazione e il rapporto rischio-rendimento.
2 OCSE (2013), Advancing National Strategies for Financial Education, a joint publication by Russia’s G20 Presidency and the OCSE
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Un primo passo verso l’elaborazione della strategia nazionale è stato quello di indire un censimento delle iniziative di educazione finanziaria presenti nel paese. Il primo censimento è avvenuto nel 2016 con riferimento al triennio 2012-2014. Dall’indagine condotta è emersa una situazione critica, attribuibile alla frammentarietà delle esperienze, e alla scarsa incisività delle iniziative attivate. Risultano attive infatti per il triennio 2012-2016 206 iniziative. I soggetti erogatori sono in tutto 256, tra i quali: le istituzioni del mondo finanziario (banche, assicurazioni e associazioni); la scuola, la pubblica amministrazione e gli enti locali; le associazioni; le università e gli istituti di ricerca. Alcune delle iniziative prevedono il coinvolgimento anche delle autorità di Vigilanza, quali Banca d’Italia, CONSOB, IVASS e COVIP. Sono rivolte specificatamente agli studenti 99 iniziative (di cui il 40% di educazione e 60% di sensibilizzazione), mentre 107 sono rivolte agli adulti (25% di educazione, 75% di sensibilizzazione). Nel complesso, l’educazione finanziaria ha raggiunto circa 700.000 soggetti. La gran parte delle iniziative tuttavia ha portata limitata, essendo rivolte ad un pubblico ristretto (<1000). Il costo delle iniziative è inferiore a 50.000 euro nell’80% dei casi, solo per l’8 per cento il costo ha superato i 100.000 euro. Uno dei problemi principali evidenziati dal sondaggio è la mancanza di una valutazione ex-post della efficacia dell’iniziativa. Oltre la metà dei programmi non prevedeva alcuna forma di monitoraggio, il che rende difficile l’analisi del rapporto costi-benefici e complica l’identificazione delle migliori pratiche. La collaborazione tra il mondo della scuola e Banca d’Italia, giunta al decimo anno di attività nel 2017, è una delle iniziative educative più importanti. L’accordo nasce nel 2007 con la sigla del Memorandum d’intesa “per l’avvio di un progetto sperimentale di formazione in materia economica e finanzia-
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ria in alcune scuole campione”. La collaborazione ha lo scopo di introdurre l’educazione finanziaria nel curriculum scolastico attraverso un programma formativo modulare rivolto preferibilmente alle classi intermedie di ciascun ciclo scolastico: scuola primaria, scuola secondaria di primo grado, scuola secondaria di secondo grado. Le materie trattate sono la moneta e gli strumenti di pagamento alternativi al contante, la stabilità dei prezzi e il sistema finanziario.
L’efficacia del progetto è stata valutata, poi, con dei test somministrati agli studenti prima e dopo il ciclo di formazione fino all’aa 2011/2012. L’evidenza empirica discussa in Romagnoli e Trifilidis (2013) mostra come il programma sia in grado di migliorare le conoscenze e capacità in ambito finanziario fino almeno all’anno successivo3. La maggiore criticità resta tuttavia il mancato inserimento dei temi di educazione finanziaria nel curriculum scolastico degli allievi, pertanto il livello di partecipazione è limitato ai soli istituti interessati e gli stessi contenuti non risultano omogenei tra scuole, cicli di studio e territori.
Per quanto riguarda gli adulti, l’indagine condotta nel 2015 rivela come i programmi di educazione finanziaria siano stati quasi sempre pensati per una platea generalista con poche iniziative disegnate per le fasce di popolazione più fragili o con bisogni formativi specifici, quali donne, anziani o piccole imprese. Ad esempio, sono state realizzate “Guide pratiche” su conti correnti, mutui e credito ai consumatori e un pieghevole per il largo pubblico che fornisce informazioni sui singoli strumenti di tutela.
Utile è stata la collaborazione su temi di tutela della clientela
3 Romagnoli A. Triflidis M. “Does fnancial educaton at school work? Evidence from Italy”, Questoni di Economia e Finanza (Occasional Papers) Banca d’Italia, n. 155, apr. 2013
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con le associazioni rappresentate nel Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, che consente di raggiungere un ampio pubblico grazie alla loro capillarità e al contato diretto con l’utenza. I temi più frequentemente coperti sono la gestione del budget, il rapporto rischio-rendimento, il risparmio e la previdenza complementare.
Nel triennio 2012-2014, circa metà delle iniziative di educazione finanziaria sono state organizzate da attori del mondo privato, in particolare banche, assicurazioni e fondi pensione.
Le iniziative si rivolgono tanto agli studenti quanto al pubblico degli adulti.
La CONSOB, infine, ha creato un portale, accessibile dal suo sito, che offre una panoramica della finanza e dei mercati, una guida all’investimento, una sezione dedicata ai concetti finanziari di base, e sezioni dedicate a truffe, abusivismi e forme di tutela. La guida sottolinea l’importanza della pianificazione finanziaria, delle regole da seguire e dei comportamenti da evitare durante il percorso che porta all’investimento.
Nella guida all’investimento si fa, inoltre, cenno alla possibilità di usufruire, tra i diversi servizi d’investimento, anche della consulenza finanziaria, strumento che in molte strategie nazionali riveste un ruolo importante per ridurre i confitti d’interessi e migliorare l’efficienza delle allocazioni.
I limiti dell’educazione mainstream
Parlando però di educazione finanziaria, nonostante tutte le strategie messe in atto dallo stato italiano, vi sono comunque alcuni problemi concettuali di base, che dobbiamo tenere.
Per iniziare, è vero che ci sono studi che dimostrano la correlazione fra abilità cognitive e livello di alfabetismo finanziario
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(Banks & Oldfeld 2007, Gerardi et al. 2010). Quello che manca è tuttavia una dimostrazione della direzione di causalità.
È l’educazione finanziaria a sviluppare le abilità cognitive o viceversa? Il fatto che la maggior parte delle persone individuino nell’esperienza personale il fattore principale nella loro alfabetizzazione sembra per esempio suggerire una causalità inversa. In ogni caso, non vi è evidenza scientifica robusta dell’impatto positivo dell’educazione finanziaria sull’ottimalità delle scelte.
Più in generale, nei casi in cui un individuo presenti una limitata conoscenza finanziaria può essere una scelta razionale rivolgersi ad altri che si ritengono più esperti (amici, consulenti, ecc.). E in effetti sembra proprio questa la situazione prevalente in Italia secondo una recente indagine CONSOB4.
Figura – Famiglie Italiane: come prendono le decisioni di investimento
4 Le conoscenze finanziarie e la domanda di consulenza Il caso italiano Paola Soccorso-CONSOB Convegno ASCOSIM 13 giugno 2017
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Ma quello che è più importante è che i limiti dell’educazione finanziaria mainstream emergono dai fatti.
Il fatto che il fabbisogno educativo degli investitori italiani possa essere soddisfatto attraverso strategie di educazione finanziaria “classiche” quali quelle adottate in molti altri paesi risulta infatti dubbio. Fernandes, Lynch e Netemayer (2014)
hanno dimostrato che i programmi di educazione finanziaria attualmente usati riescono a spiegare solo lo 0,1% delle variazioni nelle scelte finanziarie. In gran parte, la modestia dei risultati dipende dalla combinazione di due fattori:
- l’eccessiva ampiezza dei programmi, e quindi, forzatamente la loro imprecisione e genericità
- la “atemporalità” dei programmi stessi, che non risultano sincronizzati con le scelte che gli investitori sono chiamati a fare. Il risultato netto è che gli effetti dei programmi sul set informativo degli investitori decadono nel tempo, e possono risultare minimi al momento di prendere decisioni concrete.
Un esempio recentissimo di inefficacia dipendente dal primo di questi due fattori è il portale appena lanciato dal Comitato per l’educazione finanziaria istituito dal governo italiano ad Agosto 2017: htp://www.quellocheconta.gov.it/it L’approccio del sito è quello della piccola enciclopedia, nella quale sono presenti molte voci. Ma proprio per questo ogni voce è trattata in modo talmente sintetico da risultare alla fine di scarsa utilità. Il tono è invece decisamente orientato a richiamare in continuazione i principi di difesa del consumatore da se stesso e dalle insidie di chi vende prodotti finanziari. Peccato che poi la genericità sia tale da introdurre veri e propri errori concettuali. Un esempio è quello relativo alla necessità della diversificazione del rischio: secondo il sito, per diversificare il rischio è sufficiente “non mettere tutti i no-
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stri soldi in un unico investimento”. Ne consegue che sarebbe quindi sufficiente, invece di investire tuto in obbligazioni Intesa san Paolo, ripartire il portafoglio aggiungendo obbligazioni Unicredit e Monte dei Paschi!
Non casualmente, la performance del portale in termini di visite è piuttosto deludente. Tale conclusione è supportata dall’utilizzo del motore di ricerca www.similarweb.com, che registra il traffico (e quindi il successo) di un sito (cfr. htps:// www.similarweb.com/website/quellocheconta.gov.it).
Il secondo dei due fattori è forse quello più importante. Quanto ricorderà un trentenne che deve accendere un mutuo casa della lezione sui mutui che ha seguito (comprensibilmente con scarsa attenzione) al liceo quindici anni prima?
Con il progressivo allentarsi del giogo della crisi il tema ha perso ulteriori posizioni tra gli interessi dei cittadini. I “poco o per niente interessati” all’informazione finanziaria sono più degli interessati: 53,5% vs. 46,5%. I meno interessati sono i giovani: 91,3% tra 18 e 24 anni non dedica tempo o al massimo 1 ora a settimana all’informazione finanziaria. Fonte:
“L’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani” (Intesa SanPaolo – Centro Einaudi) 2016.
Ne discende che il processo di educazione finanziaria può per converso massimizzare la sua efficacia solo se, a differenza di quelli attuati da molti Governi, non è generalista e risulta sincronizzato nei tempi con le scelte che l’investitore è chiamato a fare. E certamente non può essere il soggetto pubblico, generalista per sua natura, a fornire al singolo investitore un’educazione finanziaria “personalizzata” nei temi e nei tempi.
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Ruolo del consulente finanziario
Al fine di un miglioramento del livello di educazione finanziaria assume un ruolo particolarmente importante la qualità della consulenza finanziaria offerta al risparmiate. Allo stato, la domanda di consulenza in Italia è tuttavia ancora insoddisfacente per una serie di fattori.
A livello aggregato, un fattore importantissimo è quello della segmentazione (per reddito, per ricchezza) degli investitori illustrata nel grafico sottostante.
In una situazione nella quale il reddito di circa il 70-75% delle famiglie può definirsi medio-basso e la tipologia di investimento più diffusa (al netto di eventuali autofinanziamenti della propria microimpresa) risulta quindi essere quella del deposito bancario, non sorprende che- come visualizzato nel grafico seguente- il 60% degli intervistati in un sondaggio Eurisko dichiari di non essere interessato alla consulenza semplicemente perché ha poco da investire e gli investimenti sono comunque in prodotti semplici.
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Tab: Distribuzione% del reddito medio netto (euro).
Né, sempre alla luce della segmentazione degli investitori, può sorprendere l’ulteriore risultanza di un sondaggio, sulle scelte di investimento, Consob su un campione rappresentativo degli investitori italiani retail (più di 1,000 individui).
Le abitudini di investimento risultano così ripartite: autonomo (15%), consulente (17%), delega (5%), consigli informali (44%), misto (18%).
Il ricorso al consulente genericamente definito –presumibilmente appannaggio degli investitori a più alto reddito- appare dunque avere ancora molti margini di crescita. Fra i tanti motivi che possono avere sin qui impedito un maggiore ricorso alla consulenza finanziaria va segnalato un livello significativo di “dissonanza cognitiva” fra investitori e consulenti quanto ai possibili obiettivi di performance del portafoglio investito.
Sotto questo profilo, sono illuminanti i dati riportati in una recente ricerca Natxis1, nella quale vengono posti a confronto
1 2017 Individual Investor Report htps://www.im.natxis.com/us/resources/individual-investor-surveytrust-2017-report-rc08.
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Figura – Distribuzione degli investimenti degli italiani
i rendimenti ritenuti realisticamente realizzabili dai consulenti e quelli che gli investitori si prefiggono di raggiungere. La tabella qui sotto visualizza i risultati di fine 2016 per alcuni paesi:
Tabella – Rendimenti attesi dagli investitori e rendimenti obiettivo dei consulenti
Da notare il fato che la discrepanza fra obiettivi richiesti e obiettivi realizzabili è massima proprio nel caso dell’Italia. Tale discrepanza sembra indicare l’esistenza di un gap comunicativo (e di educazione finanziaria) particolarmente significativo.
In questo contesto, appaiono interessanti alcune iniziative che mirano alla formazione di una nuova leva di consulenti finanziari più consapevoli e più sinergici con le esigenze del cliente.
Un passo importante in tale direzione è rappresentato dalla stipula di due convenzioni da parte di Assoreti, partitamente con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e con l’Università Tor Vergata di Roma, per la realizzazione, all’interno dei corsi di laurea in Economia dei mercati e degli in-
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termediari finanziari, di un percorso dedicato al consulente finanziario.
Tale iniziativa ha permesso nei primi due bienni accademici (2015/2016 e 2016/2017) a studenti delle due Università di frequentare uno stage professionalizzante presso alcune società aderenti all’Assoreti, con la possibilità di rimanere in struttura o in rete.
La stipula delle suddette convenzioni dimostra come l’industria, già da prima dell’adozione formale della MiFID II, sta individuando i momenti essenziali della propria crescita nell’elevazione culturale e nella formazione sul campo del capitale umano, specie delle nuove leve; ciò prima che tali elementi vengano presentati al mercato quali presupposti della futura operatività dei consulenti, secondo quanto successivamente previsto dall’ESMA nelle proprie linee guida. Si ritiene infatti fondamentale che all’educazione finanziaria del cliente si debba accompagnare la crescita professionale e culturale del consulente: due facce di una stessa medaglia, affinché le scelte di investimento risultino sempre più consapevoli e aderenti alle effettive aspettative degli investitori. Per quanto riguarda la fonte della consulenza, in Italia, i canali sono i seguenti:
- Il dipendente di una banca;
- Il consulente finanziario con mandato di rappresentanza di una società (Banca, Sime cc..) ;
- L’agente assicurativo;
- Il consulente finanziario autonomo;
I primi tre rappresentano i canali storici che per un lungo periodo hanno offerto il servizio di consulenza al risparmiatore italiano. Se pur molto diversi tra loro, hanno in comuno il fatto che rispondono commercialmente al mandante, pertanto possono potenzialmente trovarsi nella situazione di conflit-
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to d’interessi. La retribuzione, sia per il consulente finanziaria che per l’agente assicurativo, dipende dalla retrocessione commissionale che il cliente paga alla casa madre per i servizi offerti; mentre il consulente della banca si trova in regime di lavoro subordinato.
Con l’introduzione della direttiva Mifid II, inoltre, anche strutture indipendenti nella sostanza e praticamente esenti da conflitti di interesse, hanno scelto di qualificarsi come non indipendenti per non rinunciare alle fees retrocesse dalle “fabbriche prodotto”.
È il caso di molte strutture di private banking, indipendenti di fato ma non nella definizione Mifid II, e nonostante la selezione della migliore fabbrica prodotto avvenga spesso solo al di fuori del gruppo di riferimento. Un fenomeno che esiste anche nelle reti di consulenza finanziaria.
Il consulente finanziario autonomo è invece retribuito direttamente dal cliente che sceglie di pagare il servizio offerto tramite parcella professionale; modalità che teoricamente dovrebbe metterlo al riparo da potenziali conflitti di interesse, non dovendo collocare servizi di una sola casa mandante.
Il consulente autonomo è però una figura relativamente nuova, e rappresenta ancora poco più del 10% sul totale dei consulenti in attività.
L’espansione di tale figura, nella sua declinazione di consulente “fee-only” (la retribuzione è l’x% del patrimonio amministrato, indipendentemente dalle diverse commissioni associate con gli specifici prodotti che compongono il portafoglio), è stata però a lungo ostacolata da una certa confusione fra le varie figure di consulente.
Anche questa ambiguità ha generato spesso negli investitori un senso di sfiducia nel consulente genericamente definito, che in realtà in molti casi è ancora un dipendente di banca. Il
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grafico qui sotto visualizza il concetto.
Figura VI.5 – Fiducia come tecnica di debiasing
Con l’entrata in vigore della normativa MIFID II per la difesa dell’investitore, dovrebbe tuttavia esserci maggiore chiarezza.2 Dal punto di vista concettuale, nel caso di fee-only advisors sembrerebbero non applicabili le conclusioni dello studio di Mullainathan et al. (2012)3, secondo i quali molti advisors agiscono nel loro personale interesse senza tenere conto delle necessità del cliente e anzi ne rinforzano i bias (ad es. home bias).
E’ tuttavia vero che, pur non soffrendo del chiaro conflitto di interessi che possono avere agent monomandatari o per-
2 Come ribadito dalla Nafop, l’associazione italiana dei consulenti finanziari indipendenti: «Solo i consulenti finanziari fee-only rispettano il requisito di indipendenza previsto dalla Legge; coloro che si fregiano del titolo di consulenti finanziari indipendenti ma che ricevono provvigioni sui prodotti collocati, non potranno più dichiararsi tali con la nascita dell’Albo di categoria».
3 Mullainathan, S. et al. The Market for Financial Advice: An Audit Study. NBER paper 17929.
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sonale agli sportelli bancari (per i quali parte della remunerazione è collegata allo specifico asset “piazzato” al cliente), i consulenti fee-only sono remunerati con una percentuale x% del portafoglio gestito, e avrebbero quindi un incentivo ad aumentare le dimensioni del portafoglio stesso. Per questo motivo, potrebbe da parte loro esservi riluttanza a suggerire iniziative magari ottimali ma suscettibili di ridurre il portafoglio gestito, quali ad esempio la liquidazione di posizioni al fine di rimborsare debiti (ad es. rimborso anticipato di mutui), di investire in asset nominativi al dettaglio (in Italia ad es. Buoni fruttiferi della Cassa Depositi e Prestiti) o ad esempio in immobilizzazioni immobiliari.
Sembra comunque ovvio che il fee-only advisor, il private banker “puro” o il consulente su piattaforma aperta (seppure quest’ultimi non necessariamente indipendenti nella definizione MIFID II) siano le figure più idonee a minimizzare il rischio di conflitto di interesse.
Accanto alle problematiche già descritte, e che dovrebbero essere almeno in parte risolte dai cambiamenti normativi in corso, vi è tuttavia un problema sostanziale: la redditività.
Per una consulenza finanziaria che richieda la copertura –in termini di tempo dedicato al cliente- tradizionale vi è quindi la tendenza ad accettare in gestone solo patrimoni di entità considerevole, tagliando fuori i clienti di media dimensione.
Per una crescita complessiva della copertura via consulenza “fee-only” sarebbe perciò necessario trovare soluzioni che contemperino l’adeguato servizio al cliente “medio” con l’economicità della gestione.
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CAPITOLO 2 ANALISI COMPARATIVA
1. Premessa metodologica
Il presente capitolo sarà dedicato all’analisi dei dati acquisiti in modo empirico da un campione di portafogli di risparmiatori selezionati secondo i requisiti specificati nelle pagine che seguono.
La suddetta analisi ha l’obiettivo di meglio comprendere l’evoluzione del mondo del risparmio in generale e, più precisamente, a distanza di circa dodici anni dalle due crisi oggetto di analisi, prendere in esame il comportamento sia dei risparmiatori sia dell’industria finanziaria. La domanda che ci siamo fatti è se l’evoluzione dell’alfabetizzazione finanziaria analizzata nel precedente capitolo si sia tradotta anche in maggiore consapevolezza del risparmiatore sulle azioni da intraprendere durante un evento inaspettato (cigno nero) e, inoltre, se la rapida evoluzione normativa degli ultimi anni abbia prodotto una effettiva tutela nei confronti del risparmiatore stesso.
Come specificato nel capitolo introduttivo, il presente capitolo per dare una efficace risposta alla domanda sopraindicata, si è proceduto ad una comparazione tra portafogli di investitori detenuti sia nella crisi del 2007 e sia di quelli del 2020. Il capitolo si compone di due parti. Nella prima parte verrà esposta la metodologia con cui sono stati raccolti ed elaborati i dati, mentre nella seconda ci concentreremo nell’analisi dei dati stessi. Prima di prendere in considerazione la metodologia adottata, occorre specificare che in merito alla sezione dedicata all’analisi d ei dati abbiamo preso come indici di com-
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parazione e di riferimento l’indice Fideuram Fondi Azionari, e l’indice Fideuram Fondi Obbligazionari. La comparazione tra i suddetti indici e i portafogli dei risparmiatori ha la funzione di evidenziare le differenze delle due crisi prese in analisi in questo lavoro, e ci darà la possibilità di ponderare i risultati ottenuti.
Si passerà poi all’analisi dei portafogli di vari investitori privati. Questa è stata divisa in tre parti. Nella prima è stata condotta una comparazione tra la struttura dei portafogli detenuti dagli investitori tra il 2007 ed il 2010 e i portafogli detenuti dagli investitori durante la crisi pandemica. Facendo ciò saremmo in grado di comprendere se vi sia stata una differente diversificazione dei portafogli. Nella seconda parte poi mi sono concentrato sull’analisi degli andamenti dei portafogli detenuti in periodo di covid. Non è stato possibile analizzare i portafogli detenuti tra il 20072010 per l’impossibilità di ricavare i dati necessari all’analisi. Infine, verranno uniti i risultati della prima e seconda parte dell’analisi e per condurre un confronto tra gli andamenti del mercato finanziario in generale e i portafogli analizzati. Conclusa l’analisi trarremo le conclusioni rispondendo al quesito che ci siamo posti inizialmente.
Per poter condurre la ricerca e capire come e in che misura sia aumentato il livello di alfabetizzazione degli investitori durante gli anni, sono stati presi ad esami 50 portafogli di investitori privati durante il periodo di crisi dovuta al COVID-19 e confrontati con quelli che erano i portafogli di investitori privati durante la crisi finanziaria 2007-2008. Osservando i vari comportamenti tenuti dai risparmiatori in questi due momenti di crisi si potrà capire se il processo di alfabetizzazione intrapreso in Italia sia di successo oppure no. La ricerca inizia con la collezione dei vari portafogli; forniti
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da vari consulenti finanziari operanti all’interno di una delle più grandi banche europee. Il periodo di riferimento preso in analisi per questi portafogli inizia il 19/02/2020, data in cui i mercati mondiali hanno registrato il picco a cui è seguita la caduta per effetto della pandemia, ed il 30/08/2020 data simbolica della fine della prima onda pandemica1. Mentre per quanto riguarda i portafogli durante la crisi finanziaria iniziata nel 2007, è stato preso in analisi un periodo di circa due anni, periodo adeguato per riuscire ad individuare tutti gli elementi che stiamo analizzando.
Sfortunatamente non è stato possibile reperire la situazione patrimoniale e previdenziale (spp) completa dei portafogli risalenti al 2007. Questo perché in quel periodo non erano ancora presenti i moderni programmi di registrazione dei movimenti legati ad un determinato portafoglio. O comunque non erano disponibili per i consulenti. Inoltre, la legge prevede che tutte le istituzioni finanziarie sono tenute a mantenere in archivio i dati relativi ai portafogli dei clienti per 10 anni (L’articolo 119 comma 4 del TUB e l’articolo 2220 del Codice civile. Molti di questi dati pertanto sono stati cancellati definitivamente dalle istituzioni.
Pertanto, l’analisi sulla struttura è stata condotta da una ricostruzione personale dei portafogli tramite il reperimento di vecchi fascicoli contenenti le copie d’acquisto e di vendita dei prodotti detenuti in portafoglio dai clienti.
È importante poi fare una ulteriore precisazione, nel corso di questi anni come detto sopra alcuni prodotti, che analizzeremo in seguito, sono cambiati ed altri sono stati definitivamente eliminati. Risulta difficile quindi fare un confronto preciso tra
1 Cfr. “Covid-19: prima e seconda ondata a confronto”, Roberto Battiston, ScienzaInRete, Ottobre 2020, https://www.scienzainrete.it/ articolo/covid-19-prima-e-seconda-ondata-confronto/roberto-battiston/2020-10-20
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i portafogli del 2007 e quelli attuali. Per quanto riguarda i portafogli relativi alla crisi legata al COVID-19, subito dopo la raccolta dei dati, che è avvenuta nel rispetto della privacy, è stata condotta la rielaborazione. La rielaborazione dei dati è stata eseguita tramite il software “eXact Suite2”, piattaforma che permette l’analisi e la comparazione di strumenti selezionati all’interno di un vasto database di fondi, ETF e azioni quotate. Per iniziare sono stati registrati i portafogli all’interno della piattaforma in modo da poter avere gli andamenti nei periodi in analisi. Per fare ciò è bastato inserire all’interno della sezione di definizione l’ISIN del fondo la data di acquisto ed il numero di quote acquistate, come si può vedere nell’immagine qui sotto
fig.1
Il risultato finale è un prospetto realizzato dal software che permette di avere un quadro generale dell’andamento del portafoglio nel periodo preso a riferimento
2 http://www.analysis.it/exact-suite/
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fig.2
Grazie a questo prospetto è stato possibile ricavare la volatilità del portafoglio e la performance di periodo. lo stesso prospetto è stato realizzato due volte per tutti i portafogli, uno al 19/02/2020 e uno al 30/08/2020.
Poi, sempre tramite “eXact suite” sono stati calcolati i vari max drawdown dei portafogli. Per fare questo è stato necessario prima calcolare le varie percentuali dei fondi che costituiscono i portafogli e poi registrare tutto all’interno del programma ricavando il dato in analisi per ogni portafoglio. Finito con la parte di rielaboro all’interno del software, e elaborati tutti i prospetti necessari, insieme alle posizioni dei risparmiatori fornite dai consulenti, ero in possesso di tutti i dati necessari, era il momento di ordinare tutto. Per ogni portafoglio è stato registrato:
- il totale in euro in data 19/02/2020 e 30/08/2020, ricavato dai prospetti SPP (situazione patrimoniale e previdenziale) forniti dai consulenti;
- la performance in data 19/02/2020 e 30/08/2020
- la volatilità dei portafogli alle due date di riferimento;
- la variazione tra le due volatilità, calcolata con la formula dove vol_1 è la volatilità del portafoglio in data 19/02/2020 e vol_2 è la volatilità dello stesso portafoglio in data 30/08/2020;
- il Max DrawDown e la data in cui è stato registrato; L’immagine che segue mostra un estratto della tabella (presente in forma completa in appendice) che è stata composta inserendo tutti i dati elencati sopra
fig.3
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portafoglio tot 19/02/2020 tot 30/08/2020 performance 19/02/2020 performance 30/08/2020 volatility (19/02/2020) volatility (30/08/2020) delta volatility max drawdown data MaxDD 1 124392,93 118505,11 6,81% -4,73% 3,31 8,32 151,36% -18,899 23/03/2020 2 858038,72 828564,92 6,47% -3,44% 2,6 7,65 194,23% -15,009 23/03/2020 3 263689,5 232555,01 8,68% -11,81% 6,52 13,24 103,07% -19,044 23/03/2020 4 272517,58 251639,67 0,19% -7,66% 5,4 12,28 127,41% -16,928 23/03/2020 5 169502,05 162442,97 4,87% -4,16% 1,64 5,19 216,46% -11,935 24/03/2020
I vari portafogli sono stati inoltre divisi in base al loro livello di rischio. Nello specifico sono state create tre categorie di rischio (basso, medio, alto) in cui sono stati raggruppati, poi, i vari portafogli. Questa operazione permetterà di capire quale fascia di investitori è stata più colpita durante la crisi più recente. Per la parte finale dell’analisi, riguardante il confronto tra i portafogli ed il mercato durante il 2020, sono stati creati dei benchmark appositi per poter comparare i dati ricavati dalle elaborazioni sui portafogli.
I benchmark, nello specifico, sono stati calcolati partendo dalla struttura dei portafogli. È stato calcolato l’importo medio del capitale investito nelle tre componenti di risparmio gestito (obbligazionario, azionario, flessibile) per ogni livello di rischio ed in seguito i valori sono stati convertiti in percentuali, come mostra la tabella sottostante
Tab.1
Da questi dati è stato poi possibile ricavare i benchmark di riferimento per ogni livello di rischio, inserendo nel programma “exact” i pesi delle varie categorie e gli indici Fideuram del mercato di riferimento come componenti del portafoglio.
I prospetti generati hanno permesso il confronto tra i portafogli degli investitori ed il mercato.
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2. Analisi del mercato
Prima di entrare nell’analisi specifica che riguarda i portafogli di vari investitori privati durante la crisi attuale legata alla pandemia e quella finanziaria del 2007, ritengo sia importante analizzare prima le differenze tra gli effetti che questi due eventi hanno avuto nel mercato finanziario in generale. Il mio lavoro è partito prendendo in analisi l’andamento dei prezzi degli indici Fideuram durante i due eventi considerati in questo elaborato. Parto nel presentare due grafici che riportano l’andamento degli indici durante le due crisi. Nel primo è riportato il periodo di tempo compreso tra il 01/01/2007 ed il 31/12/2010, mentre nel secondo è mostrato l’andamento nel periodo compreso tra il 19/02/2020 ed il 30/08/2020.
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fig.4
La cosa che salta subito agli occhi, oltre ai diversi andamenti dei grafici (che verranno analizzati a breve), è la diversa ampiezza dei due periodi presi in analisi. Non è stata una scelta casuale, infatti, le due ampiezze corrispondono alla durata degli effetti che le due crisi hanno prodotto nel mercato finanziario.
Nel primo caso, poiché la crisi iniziata nel 2007 si è protratta per anni ed ha minato la fiducia degli investitori rispetto al mercato finanziario, gli effetti negativi si sono protratti per anni. infatti, nel caso in cui volessimo provare a calcolare il “Max Draw-down” degli indici, che come detto nell’introduzione corrisponde alla caduta massima di un portafoglio o di un titolo in determinato periodo, tra il 2007 ed il 2010, dovremmo prendere il loro punto di massimo e di minimo nel periodo di riferimento. Nel caso dell’indice obbligazionario
è irrilevante il calcolo di questo indicatore, dato che durante quella crisi il settore obbligazionario non venne coinvolto. Dalle analisi emerge infatti che il max draw-down dell’indice
Fideuram dei fondi obbligazionari è stato di circa il 2%. Non possiamo dire lo stesso per il settore azionario, che al
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fig.5
contrario registrò un grandissimo crollo. Il picco venne registrato il 13/07/2007, poco prima che la bolla del settore immobiliare scoppiasse. Da lì inizia una costante discesa, che si è protratta fino al 09/03/2009, facendo registrare all’indice un crollo del 51,73%.
Nel caso della crisi causata dal COVID-19, trattandosi di una crisi sanitaria e non finanziaria, lo shock finanziario ha avuto durata molto inferiore rispetto all’altra crisi. Infatti, andando a cercare i dati che ci occorrono per il calcolo del Max Drawdown, vedremo che per entrambi gli indici i due punti di riferimento (massimo e minimo) distano poco più di un mese tra di loro.
Già solo questi dati fanno intuire che la fiducia che gli investitori hanno e hanno avuto verso il mercato è diversa tra le due crisi. In quella finanziaria del 2007, visto il lungo periodo di tendenza negativa avuta dall’indice azionario, ci fa capire che la fiducia verso il mercato e verso i soggetti che operavano in esso era venuta meno, come si è dato ampiamente conto nel capitolo secondo.
Durante la crisi attuale legata alla pandemia, al contrario, non sembra essere confermato questo atteggiamento, perché è vero che gli indici hanno registrato un forte calo, che comunque è stato minore rispetto a quello del 2007 (vedi sotto), tra la fine di febbraio 2020 e la prima metà di marzo dello stesso anno, ma a differenza della prima crisi, che ha richiesto molto tempo prima che l’indice recuperasse il crollo, nella seconda, in meno di un anno gli indici avevano già assorbito lo shock.
Qui sotto sono riportati gli stessi due grafici presentati sopra, ma con la unica differenza che è stato ampliato l’arco temporale, proprio per includere la data in cui gli indici avevano completamente assorbito il crollo causato dalla crisi.
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Riferendoci alla prima crisi, l’indice azionario è riuscito a superare il massimo registrato il 13/07/2007 (data antecedente lo scoppio della bolla immobiliare) solo il 20/01/2015, quasi otto anni dopo. Nel secondo caso invece, in meno di un anno gli indici avevano già superato il precedente massimo. Nello specifico, l’indice obbligazionario segna il recupero il 08/01/2021 mentre quello azionario lo farà tre giorni dopo, il 12/01/2021.
Comprese le motivazioni per cui i mercati hanno impiegato
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fig.6
fig.7
tempi diversi a recuperare gli squilibri prodotti dalle due crisi, è il momento di volgere lo sguardo agli effetti che queste due hanno causato nei vari mercati.
Partendo dalla crisi finanziaria iniziata nel 2007, vediamo come solo uno dei due mercati ha effettivamente risentito della situazione e della mancanza di fiducia da parte degli investitori.
Guardando il grafico infatti notiamo che il mercato obbligazionario nel periodo compreso tra il 2007 ed il 2010 non ha risentito della crisi ed ha mantenuto un andamento crescente per tutti il lasso di tempo analizzato. Lo stesso non si può dire per il mercato azionario che al contrario ha registrato una perdita importante, che ammonta a -51.73%.
il motivo che scatenò questo fenomeno (crollo del mercato azionario) è legato al fatto che in condizioni normali per far fronte alle esigenze operative le banche e le istituzioni finanziarie ottengono soldi in prestito da altre banche (cioè dal mercato interbancario) e dai mercati finanziari. Però, con una crisi di fiducia in atto i meccanismi che dovrebbero garantire le reciproche coperture si inceppano. Per ovviare alla crisi di liquidità gli operatori finanziari misero in vendita parte del proprio portafoglio titoli, riversando sui mercati finanziari una grande quantità di azioni. Si determinò così una caduta del valore dei titoli delle azioni e il conseguente crollo di tutti gli indici azionari delle borse, che a loro volta generarono nuove perdite e nuovi peggioramenti nei bilanci delle banche3.
Durante la crisi pandemica attuale invece assistiamo ad un comportamento dei mercati leggermente diverso. A differenza della prima crisi che coinvolse solo un mercato, questa vol-
3 https://politicasemplice.it/politica-italiana/crisi-finanziaria-internazionale-2007
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ta sono stati coinvolti tutti, anche se con effetti minori. Come già detto sopra i mercati registrarono un crollo tra la fine di febbraio ed il mese di marzo. Il mercato obbligazionario registrò un calo del 10.8% mentre quello azionario del 33.33%, quasi il 20% in meno di quello che registrò durante la crisi del 2007. Il motivo del crollo può essere associato al clima di incertezze, presente in quel periodo, legato all’evoluzione della pandemia. Si può comunque dire che l’attuale crisi non essendo originata dal sistema finanziario, gli investitori non hanno perso la fiducia nel sistema, come nella precedente crisi. Gli effetti quindi sono stati più leggeri e più brevi.
3. Analisi e risultati dell’evoluzione strutturale dei portafogli
L’evoluzione tecnologica e normativa ha portato con il passare degli anni alla creazione e alla modifica di alcuni prodotti finanziari. È normale quindi ipotizzare che, data questa evoluzione, anche la struttura e la composizione di un portafoglio si sia modificata nel corso del tempo. Partiremo quindi con una comparazione tra la struttura di alcuni portafogli detenuti dagli investitori durante la crisi finanziaria del 2007 e quella dei portafogli che hanno attualmente affrontato la crisi legata alla pandemia.
Dai dati in mio possesso posso dire che un portafoglio di un piccolo investitore con un patrimonio inferiore al mezzo milione di euro, nel periodo compreso tra il 2007 ed il 2010 era composto principalmente da tre elementi: risparmio gestito, polizze assicurative, risparmio amministrato (obbligazioni societarie e governative, azioni, certificates e conto corrente).
La tabella riportata in seguito, creata facendo la media dei valori presenti nelle tabelle (appendice tab.2, tab.5, tab.6), ci
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mostra i pesi di un portafoglio medio nei periodi in analisi.
Tab.2
Guardando la tabella possiamo affermare che, nonostante i periodi di riferimento sono distanziati di 10 anni tra di loro, la struttura di base dei portafogli non è stata particolarmente modificata nel tempo. La differenza principale che vi è tra i portafogli del 2007 e quelli attuali è la mancanza in quelli più recenti della componente obbligazionaria. Questo dato è spiegato dal fatto che attualmente i rendimenti dei titoli obbligazionari sono ai minimi storici, come abbiamo avuto modo di vedere nel capitolo 3, ed è sensato attualmente non investire in questa categoria di prodotti e destinare i risparmi in altre securities più redditizie.
C’è però da fare una precisazione importante. Sebbene la quota principale del portafoglio era ed è costituita dal risparmio gestito, ovvero fondi di diversa natura, dalle analisi risulta che nel decennio passato vi era la tendenza a non diversificare i propri investimenti. Non era improbabile trovare infatti portafogli dove i fondi erano investiti in due soli fondi comuni. Mentre, al contrario, oggi i portafogli sono molto più diversificati, sia per mercato che per area geografica. A dimostrazione di ciò, qui sono riportati due portafogli di simile ammontare. Uno del 2010 e uno attuale. Preciso che non si tratta dello stesso portafoglio a due date diverse, ma di due portafogli appartenenti a due investitori differenti.
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Questa evoluzione può essere giustificata prendendo in considerazione due elementi: l’educazione finanziaria e l’evoluzione della figura del consulente finanziario. Una migliore educazione finanziaria dell’investitore permette, infatti, al soggetto di rendendosi conto dei rischi a cui va in contro non diversificando adeguatamente i propri investimenti. Questa “presa di coscienza” unita poi alla nuova figura del consulente finanziario, che ricordiamo ha subito un processo evolutivo importante negli ultimi anni passando da una figura il cui unico obiettivo era vendere i prodotti della propria società ad una figura che ha come scopo finale la tutela del risparmiatore, sembra che abbia permesso di migliorare il processo di asset allocation che intraprende l’investitore quando decide di affacciarsi sul mondo finanziario. Anche i prodotti che compongono la sezione “polizze assicurative” risultano essere diversi nei due periodi presi in analisi. Nei portafogli più vecchi troviamo un grande numero di polizze “index linked”, non più presenti nei portafogli attuali, in cui la polizza più comune da trovare è di tipo “multi-ramo”. Il motivo di questo cambiamento è da legare all’evoluzione
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fig.8
del contesto normativo ed in particolare con l’entrata in vigore della direttiva MIFID I. Come è stato detto nel primo capitolo, con l’entrata in vigore delle direttive al potenziale investitore è richiesto un questionario nel quale specifica, oltre al grado di rischio che intende sostenere nei propri investimenti, anche i prodotti del quali ha familiarità. Nel caso in cui la conoscenza di determinato prodotto non rientra nelle conoscenze dell’investitore, il prodotto non potrà essere acquistato. Questo ha fatto sì che la vendita delle polizze index-linked crollasse. Il motivo è molto semplice, queste polizze vita rientrano nella categoria “polizze di investimenti assicurativi” le cui prestazioni sono collegate ad un indice azionario. I prodotti di questo tipo, presentano i rischi tipici di altri prodotti di investimento. Non vi è quindi la certezza di un rendimento garantito né, in molti casi, la garanzia della restituzione del capitale investito4. Data la complessità del prodotto, che richiede una conoscenza approfondita del mercato finanziario, e la poca conoscenza generale in campo finanziario tra gli investitori privati, le due direttive MIFID, che hanno lo scopo di tutelare i patrimoni degli investitori, hanno limitato la vendita di questo genere di polizze. Per questa ragione nei portafogli più recenti non sono presenti questo genere di prodotto ma bensì polizze di tipo “multi-ramo”. Queste consentono al cliente di ripartire l’investimento in due componenti: la componente investita in gestioni separata e quella investita in fondi di investimento; o, più nello specifico, una polizza vita rivalutabile tradizionale (ramo I), dove tipicamente il capitale è garantito, e una polizza “unit linked” (ramo III), ossia un prodotto di investimento il cui andamento è influenzato dai movimenti dei mercati finanziari e su cui generalmente
4 Cfr. http://www.quellocheconta.gov.it/it/strumenti/assicurativi/polizze-linked
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non vi è alcuna garanzia finanziaria5. Infine, portando l’attenzione sulle variazioni che hanno avuto i portafogli durante il corso del tempo, e concentrandosi sull’ultima crisi, notiamo un dato interessante. Dall’analisi condotta è emerso che durante la prima ondata di pandemia (19/02/2020-30/08/2020) mediamente l’allocazione finanziaria degli investimenti non è variata. Di media è stato registrato un calo di circa il 2% nella quota obbligazionaria ed un pari aumento della quota azionaria. Questo dato è molto importane perché ci fa intuire che il livello di alfabetizzazione finanziaria dell’investire medio è aumentata rispetto alla crisi precedente. Lo possiamo capire dal fatto che non vi è stata una liquidazione degli investimenti e non è scattata la paura dopo il crollo finanziario di marzo 2020. In questa situazione l’investitore è stato in grado, grazie alle proprie conoscenze, di capire che la causa del crollo del mercato non originata da problemi interno al mondo della finanza ma bensì dal virus che stava avanzando.
4. Confronto tra portafogli con diverso grado di rischio
Conclusa la parte relativa alla struttura vediamo ora il comportamento dei portafogli detenuti in tempo di COVID-19. La tabella sottostante riporta i valori medi per ogni categoria di portafogli e la media generale (dati ricavati da tab.1 in appendice).
Tab.3
5 Cfr. http://www.quellocheconta.gov.it/it/strumenti/assicurativi/prodotti-multiramo
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tot 19/02/2020 tot 30/08/2020 performance 19/02/2020 performance 30/08/2020 volatility (19/02/2020) volatility (30/08/2020) delta volatility max drawdown low-risk 81221,05 78957,96 4,98% -4,68% 2,32% 6,01% 178,73% -13,10% medium-risk 178598,35 166528,83 7,75% -6,28% 3,76% 9,36% 173,48% -17,75% high-risk 224409,16 213274,43 10,19% -5,10% 5,89% 13,15% 141,58% -20,65% average 169992,99 162205,48 7,38% -4,93% 3,78% 9,04% 166,77% -16,74%
Per prima cosa è da segnalare che vi è una relazione diretta tra il livello di rischio di un portafoglio e l’ammontare totale dello stesso, più è grande il portafoglio e più è alto il livello di rischio. Questo potrebbe indicare che gli investitori con il maggior capitale detengono un livello di conoscenza finanziaria più elevato rispetto alla media. Sono stati quindi in grado di gestire in modo più efficiente ed efficace il proprio capitale, generando così introiti maggiori, arrivando a detenere capitali più alti rispetto la media.
La terza colonna della tabella, che riporta la performance antecedente alla prima ondata di coronavirus, sembra confermare la teoria sopra ipotizzata. Vediamo infatti che gli investitori con il livello di rischio maggiore hanno riportato performance annuali pari al 10,19% nei 5 anni precedenti la crisi. I portafogli con basso rischio hanno avuto performance nettamente inferiori.
Ovviamente ci si aspettava rendimenti minori a livelli di rischio più bassi, ma è da tenere conto comunque che quando si aumenta il rischio oltre ad un potenziale aumento di guadagno, c’è il rischio di andare in contro a perdite altrettanto grandi. È necessario quindi avere un buon livello di conoscenza del mondo finanziario per poter trarre profitto da questo aumento di rischio.
La cosa interessante poi è la performance che hanno riportato i portafogli durante la crisi (colonna 4 tab.3). Nonostante tutti i portafogli abbiano riportato perdite nel periodo considerato, questa volta non è confermata la relazione rischio/rendimento. I portafogli che hanno perso di più in percentuale sono quelli a medio rischio, con una perdita media del 6,28%.
Questo dato ci dice che probabilmente i portafogli con medio rischio avevano una asset allocation non ottimale.
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fig.9
Questa ipotesi è confermata anche dalla regressione tra le performance e il livello di rischio dei vari portafogli. L’immagine sopra riporta le due regressioni condotte sugli stessi portafogli in periodi temporali diversi, prima il 19/02/2020 e dopo.
Guardando la prima regressione vediamo come i portafogli rispettano la relazione positiva tra rischio/rendimento. Vediamo infatti come i valori reali giacciono tutti intorno alla retta che esprime l’equazione di regressione lineare, con un valore medio dei residui uguale a 0,093, ed un valore R multiplo uguale 0,71. Da quest’ultimo valore possiamo dire che nel caso della prima regressione la relazione tra le due variabili è positiva e con una forte relazione. La relazione ipotizzata è confermata anche guardando il valore R2, il coefficiente di determinazione, che in questo caso è uguale a 0,50. La stessa relazione però non è confermata nella seconda regressione, che presenta i valori registrati tra il 19/02/2020 ed il 30/08/2020. Guardando, infatti, i coefficienti utilizzati sopra, R multiplo e R2, che in questo caso ammontano rispettivamente a 0,034 e 0,0012, vediamo come in questo caso non è presente una relazione tra le due variabili. Inoltre, notiamo come sia presente una dispersione maggiore (media residui= 0,14) dei valori rispetto alla retta citata sopra, ed in particolare tra i portafogli con un livello di volatilità compresa tra 10 e
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15. Questi sono proprio i portafogli a medio rischio. Questo significa che i portafogli non sono stati costruiti in maniera efficiente e che quindi hanno risentito più di quelli ad alto rischio dello shock finanziario. Infine, Mantenendo l’attenzione sulla volatilità vediamo che la variazione più grande di volatilità è stata registrata tra i portafogli che originariamente presentavano un rischio basso mentre i portafogli ad alto rischio hanno variazioni percentuali in media più basse. Questo è giustificato dal fatto che, mediamente i portafogli a basso rischio detengono una quota maggiore di fondi obbligazionari, che generalmente presentano una volatilità bassa. Durante questa crisi però la volatilità del mercato obbligazionario è aumentata, a livello percentuale, più di quella del mercato azionario. i dati mostrano che mentre il mercato azionario ha subito un aumento di volatilità, rispetto ai tre anni precedenti alla pandemia, del 221,04%, il mercato obbligazionario ha avuto un incremento di volatilità del 281,47%
Tab.4
Fino ad ora abbiamo analizzato gli andamenti che hanno avuto i portafogli durante la pandemia ed è stato svolto un confronto tra di essi. Per capire però se il processo di alfabetizzazione finanziaria e l’evoluzione del ruolo del consulente finanziario sta avendo successo è necessario confrontare i
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5. Confronto tra portafogli campione e mercato
dati sopra analizzati con quelli di mercato. Iniziamo dalla performance generale. Come già detto nella metodologia, per rendere il più possibile reale il confronto tra i portafogli e gli andamenti di mercato, i valori di performance, volatilità e max draw-down di mercato sono stati calcolati partendo dai benchmark ricavati facendo la ponderazione degli indici Fideuram con le percentuali medie di composizione dei portafogli a diversi livelli di rischio.
Tab.5
A livello di performance vediamo che, a livello medio, tutti i portafogli hanno registrato perdite nel periodo. Generalmente però le perdite registrate dai portafogli dei vari investitori sono maggiori rispetto ai benchmark di riferimento. Solo i portafogli dei clienti con profilo di rischio alto sono riusciti a riportare perdite, in media, inferiori rispetto al mercato. E’ conferma pertanto quanto detto sopra in relazione al fatto che gli investitori con un profilo di rischio alto siano anche quelli con un livello di educazione finanziaria più alto. Questo gli ha permesso di creare portafogli meglio diversificati che performassero meglio rispetto al mercato.
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La cosa particolare è che, nonostante le performance dei portagli con livello di rischio basso e medio siano peggiori rispetto ai benchmark, le loro volatilità sono inferiori a quelle dei benchmark considerati. Questa discrepanza è venuta alla luce nel momento in cui nel mercato delle obbligazioni high yield6 si sono verificati una serie di default che hanno portato ad un inaspettato crollo del mercato obbligazionario. Tutti gli investitori che detenevano quote di fondi che presentavano in portafoglio obbligazioni high yield sono stati travolti più degli altri dagli effetti della crisi. Per quanto riguarda i portafogli a rischio alto invece il dato è in accordo con la performance registrata. Troviamo infatti per quest’ultimo, una volatilità minore rispetto al benchmark e fronte di una perdita minore. Guardando il max draw-down invece i valori sono in linea con i risultati della performance
6 Un’obbligazione High Yield (dall’inglese, “ad alto rendimento”) è un tipo di obbligazione societaria che offre un tasso di interesse più elevato a causa del suo maggiore rischio di inadempienza. Quando le aziende con un rischio di default alto emettono obbligazioni, potrebbero non essere in grado di ottenere un rating del credito abbastanza alto. Di conseguenza, solitamente emettono obbligazioni con tassi di interesse più elevati al fine di attirare gli investitori e compensarli per questo rischio maggiore. https://tendercapital.com/obbligazioni-high-yield-definizione-funzionamento-e-rischi/
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Tab.6
I valori registrati dai portafogli infatti risultano essere maggiori rispetto al benchmark di riferimento. Se mettiamo poi in ordine crescente le differenze percentuali tra i portafogli ed i benchmark di riferimento vediamo che i portafogli con rischio medio hanno perso di più rispetto gli altri. Tenendo comunque conto dei risultati emersi sopra tramite la regressione, il maggior crollo dei portafogli con rischio medio era un dato che ci aspettavamo e che è stato confermato dall’analisi. In complessiva, da questa comparazione su performance, volatilità e max draw-down emerge un fattore importante. Sebbene con il passare del tempo sembra essere aumentato il livello di diversificazione dei portafogli, come abbiamo visto nella seconda parte dell’analisi, durante i periodi di crisi questa diversificazione non risulta essere efficiente. Infatti, durante la crisi pandemica, nonostante i valori delle volatilità dei portafogli erano mediamente inferiori a quelli dei benchmark di riferimento, i portafogli hanno registrato delle perdite maggiori rispetto ai benchmark. Questo è dato dal fatto che nonostante i portafogli presentassero un rischio minore, all’interno di essi i fondi non erano ben decorrelati tra di loro, portando quindi il portafoglio ad avere un crollo maggiore rispetto al mercato.
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Tab.7
Conclusione
L’obiettivo che ci siamo prefissati in questo lavoro è comprendere se il livello di alfabetizzazione degli investitori è aumentato nel corso del tempo e se l’evolversi della figura del consulente finanziario offre una tutela maggiore per i risparmiatori, soprattutto a fronte di importanti crisi dei mercati finanziari.
Un primo riscontro, sicuramente positivo dalla comparazione tra i portafogli detenuti dagli investitori durante la crisi finanziaria del 2007 e quelli detenuti durante la crisi iniziata nel febbraio del 2020, è emerso che il grado di diversificazione dei portafogli è aumentato nel corso del tempo. La maggiore diversificazione che, come è noto, produce una riduzione del rischio di portafoglio, deriva sicuramente dalle esperienze dei risparmiatori maturate dalle precedenti crisi. Oggi sono maggiormente consapevoli del fatto che la globalizzazione dei mercati produce crisi, più o meno profonde, ad intervalli molto frequenti. A questo aggiungerei anche che le riforme comunitarie hanno aiutato il risparmiatore, ma aggiungerei anche il consulente, ad approcciare il mondo del risparmio in modo completamente diverso rispetto al passato. In particolare, la focalizzazione dell’attenzione verso le effettive esigenze del risparmiatore, oltre che il grado di conoscenza degli strumenti finanziari e del profilo di rischio, ha permesso la vendita di prodotti finanziari svincolata dalle suddette logiche, anche se per quanto riguarda questi aspetti c’è ancora molto da lavorare.
Ci si riferisce al fatto che non sempre le reti di consulenza e, soprattutto, il mondo bancario sono in grado di collocare prodotti finanziari con il sistema della così detta “architettura aperta”, ovvero la possibilità di essere svincolati dal conflit-
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to di interesse nel collocamento di strumenti “confezionati” da società di gestione di proprietà della banca; fare consulenza ad “architettura aperta” significa avere la possibilità di consigliare il risparmiatore strumenti di molteplici emittenti (multi-brand), garantendo flessibilità e diversificazione nella costruzione e gestione del portafoglio.
Purtroppo, bisogna rilevare una criticità, nonostante il livello di diversificazione dei portafogli sia aumentato con il passare del tempo, questo non sembra essere efficiente. Come abbiamo visto nella terza parte dell’analisi, dove sono stati confrontati i portafogli medi con i benchmark di mercato, sebbene la volatilità dei portafogli, mediamente, fosse minore rispetto a quella dei benchmark, i portafogli hanno registrato perdite superiori al benchmark stesso. Questo a nostro avviso deriva dal fatto che il concetto di diversificazione nel corso di questi anni è profondamente cambiato. La globalizzazione ha reso meno efficacie, ad esempio, la diversificazione geografica, in quanto, oggi, i mercati tendono a muoversi all’unisono alla luce della interdipendenza dell’economia mondiale. Pertanto, oggi la partita delle diversificazione si gioca su altri campi, come ad esempio investire in settori tra loro decorrelati, oppure abbracciare stili di gestione differenti. Un importante ruolo lo svolgerà, a nostro avviso, l’innovazione tecnologica, che potrà aiutare il consulente finanziario a costruire portafogli meno “artigianali” e, quindi, con una maggiore efficienza allocativa.
Il miglioramento degli attuali sistemi di valutazione, (come ad esempio i software per il calcolo della correlazione tra prodotti), consentirà agli investitori e ai consulenti finanziari di avere maggiori informazioni in sede di selezione degli strumenti da inserire in portafoglio. Questo darà loro la possibilità di compiere scelte ancor più consapevoli al fine di efficien-
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tare i portafogli.
A dimostrazione di seguito riporto la seguente tabella con gli indicatori di performance, volatilità e max draw-down di 4 portafogli modello realizzati dalla società di consulenza attraverso la quale abbiamo estrapolato i dati ai fini del nostro lavoro.
Tab.8
Come possiamo vedere tutti i portafogli hanno ottenuto performance maggiori rispetto ai benchmark di riferimento. Portafogli sviluppati attraverso tutte le metodologie a cui abbiamo fatto riferimento nelle pagine che precedono.
Va da se che i centri studi della società di consulenza dispongono di strumenti tecnologici particolarmente costosi non sempre a disposizione dei consulenti finanziari. Inoltre, non sempre quest’ultimi hanno le conoscenze tecnologiche adeguate, così da essere esclusi dalla fruizione di programmi particolarmente complessi.
Uno per tutti, software in grado di elaborare le così dette “tavole di decorrelazione” tra i vari prodotti presenti nel mercato. Questo gli dà la possibilità di essere più efficienti nella collocazione degli asset, dandogli la possibilità di massimizzare il rapporta tra rischio e rendimento.
Tuttavia, nonostante la maggiore consapevolezza del risparmiatore italiano e le migliori protezioni offerte dalla normativa, molta ancora va fatto. In particolare, politiche pubbliche
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APPENDICE
Tab.1
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di educazione finanziaria potrebbero dare, nel lungo periodo, risultati rilevanti per affrontare in modo più consapevole future crisi dei mercati.
porfolio tot 19/02/2020 tot 30/08/2020 performace 19/02/2020 performance 30/08/2020 volatility (19/02/2020) volatility (30/08/2020) volatility change max draw-down date MaxDD 1 124392,93 118505,11 6,81% -4,73% 3,31 8,32 151,36% -18,90% 23/03/2020 2 858038,72 828564,92 6,47% -3,44% 2,6 7,65 194,23% -15,01% 23/03/2020 3 263689,5 232555,01 8,68% -11,81% 6,52 13,24 103,07% -19,04% 23/03/2020 4 272517,58 251639,67 0,19% -7,66% 5,4 12,28 127,41% -16,93% 23/03/2020 5 169502,05 162442,97 4,87% -4,16% 1,64 5,19 216,46% -11,94% 24/03/2020 6 19963,93 19624,97 2,02% -1,70% 1,223 4,02 228,70% -10,27% 23/03/2020 7 87926,13 70409,32 4,76% -19,92% 1,78 4,66 161,80% -10,98% 24/03/2020 8 106379,41 111601,64 2,25% 4,91% 1,88 5,79 207,98% -14,91% 24/03/2020 9 123330,47 136351,09 3,66% 10,56% 2,17 6,42 195,85% -14,45% 23/03/2020 10 645809,14 634697,89 20,90% -1,72% 10,79 18,64 72,75% -25,89% 23/03/2020 11 585259,97 574444,06 3,24% -1,85% 2,11 5,76 172,99% -14,26% 24/03/2020 12 184886,58 178002,91 6,01% -3,72% 1,41 4,68 231,91% -12,05% 24/03/2020 13 144684,58 140247,43 2,87% -3,07% 1,67 7,48 347,90% -17,12% 23/03/2020 14 82609,97 77454,08 5,82% -6,24% 2,79 6,06 117,20% -0,136 18/03/2020 15 256284,68 252658 15,04% -1,42% 4,68 11,99 156,20% -15,84% 23/03/2020 16 222888,06 223331,55 9,74% 0,20% 5,84 13,13 124,83% -19,32% 18/03/2020 17 31735,6 31518,48 3,66% -0,68% 3,81 8,6 125,72% -15,09% 23/03/2020 18 336094,87 278886,16 4,47% -17,02% 3,4 8,67 155,00% -17,98% 23/03/2020 19 48526,6 43179,97 1,26% -11,02% 1,74 6,83 292,53% -17,16% 23/03/2020 20 77579,6 70903,55 4,05% -8,61% 3,62 6,96 92,27% -14,21% 24/03/2020 21 30136,85 28735,33 3% -4,65% 2,37 6,94 192,83% -13,93% 24/03/2020 22 117166,1 109589,65 10,83% -6,47% 3,43 7,15 108,45% -13,25% 24/03/2020 23 233609,74 218548,51 9,84% -6,45% 1,62 5,14 217,28% -12,55% 19/03/2020 24 80421,83 71591,79 12,23% -10,98% 6,55 14,6 122,90% -28,66% 24/03/2020 25 31995,81 30942,03 4,70% -3,29% 3,04 7,89 159,54% -17,33% 23/03/2020 26 105732,46 102907,87 6,69% -2,67% 3,25 8,68 167,08% -17,75% 23/03/2020 27 113517,3 97613,8 33,62% -14,01% 5,94 13,61 129,12% -24,75% 23/03/2020 28 198351,19 196192,23 19,89% -1,09% 13,95 28,05 101,08% -30,41% 18/03/2020 29 46327,43 41946,42 9,46% -9,46% 6,94 16,11 132,13% -25,35% 23/03/2020 30 49931,03 47670,74 11,79% -4,53% 5,53 12 117,00% -21,78% 23/03/2020 31 44399,61 37528,39 6,82% -15,48% 4,95 11,67 135,76% -22,02% 23/03/2020 32 38285,65 39250,75 15,21% 2,52% 7,72 15,76 104,15% -23,18% 18/03/2020 33 115733,35 107194,32 15,96% -7,38% 6,87 15,15 120,52% -24,08% 23/03/2020 34 172395,89 166201,64 0,81% -3,59% 1,99 4,02 102,01% -8,99% 25/03/2020 35 92052,26 85469,97 10,78% -7,15% 4,72 10,25 117,16% -18,79% 23/03/2020 36 412537,06 369449,65 12,63% -10,44% 4,29 10,48 144,29% -19,43% 23/03/2020 37 416219,86 401087,11 3,95% -3,64% 2,58 6,53 153,10% -16,13% 19/03/2020 38 105638,62 102841,66 5,12% -2,65% 1,80 4,31 139,44% -10,96% 23/03/2020 39 26739,77 56637,23 2,28% -1,63% 1,22 5,46 347,54% -12,56% 23/03/2020 40 75632,7 72947,32 2,79% -3,55% 1,36 4,9 260,29% -11,64% 23/03/2020 41 127132,78 118651,7 5,80% -6,67% 2,06 5,62 172,82% -13,39% 23/03/2020 42 108061,07 104499,73 2,66% -3,30% 2,46 4,97 102,03% -10,66% 24/03/2020 43 148088,54 138408,99 0,06% -6,54% 2,02 6,02 198,02% -12,27% 23/03/2020 44 100567,19 100367,28 4,00% -0,20% 1,86 6,81 266,13% -12,35% 24/03/2020 45 116901,67 115282,55 6,01% -1,39% 2,23 5,62 152,02% -12,90% 23/03/2020 46 44247,57 42022,41 6,98% -5,03% 2,78 7,53 170,86% -13,84% 23/03/2020 47 110156,45 106029,94 3,35% -3,75% 2,21 6,14 177,83% -15,59% 23/03/2020 48 25531,13 25184,83 14,49% -1,36% 11,34 22,65 99,74% -30,25% 23/03/2020 49 527725,69 497274,22 5,64% -5,77% 2,41 6,79 181,74% -16,60% 23/03/2020 50 42312,67 41187,15 4,83% -2,66% 1,32 4,88 269,70% -10,63% 23/03/2020 average 169992,99 162205,48 7,38% -4,93% 3,78 9,04 166,77% -16,74% basso rischio medio rischio alt rischio
Tab.2 composizione dei portafogli
Tab.3 composizione dei portafogli
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Portafoglio Risparmio gestito Polizze assicurative Riparmio amministrato: obbligazioni risparmio amministaro: altri data 1 38350,74 2009 2 1138,68 19000,5 2008 4 21957 2802,31 2010 5 94000 69164,6 2007 6 17866,03 85356,7 2010 7 20268,72 149,24 2010 8 5957 99,22 2009 9 30424,69 25190,34 3176,68 2007 10 35916,08 124747,97 5019,12 2007 11 120855,81 2009 12 56188,44 22000 528,81 2009 13 239473,45 46240,87 2010 14 183250 2009 15 8708,82 25997,98 12490 2007 16 27147,53 27077,4 28395,63 11562 2007 17 30642,37 30933,93 1887,12 2010 18 31811,86 15026,94 2008 19 26129,9 2009 20 14533 7539 2009 21 22434,33 7039,2 2008 22 97475,19 2010 Data di riferiento 19/02/2020 portafoglio obbligazionario azzionario flessibile polizze assicurative risparmio amministrato 1 45591,35 24302,30 54499,28 2 379335,30 81271,51 40617,90 356814,10 3 105587,69 124355,36 33746,45 78672,96 4 102623,54 77813,15 92080,89 5 123351,88 42432,05 3718,12 6 11449,31 8514,62 7 31671,11 6447,26 8344,86 41419,14 43,76 8 103000,65 3378,76 9 90776,24 6562,17 14881,32 11110,74 10 383600,83 12067,95 153167,26 96973,10 11 108981,25 103403,41 326143,45 46731,86 12 110213,26 25293,30 48894,23 485,79 13 45686,01 97004,04 1994,53 14 55524,29 26850,69 234,99 15 256284,68 16 149684,44 72970,01 233,61 17 6297,77 25419,96 17,87 18 217230,75 56330,40 32553,15 29980,57 19 9007,98 37014,22 2504,40 20 51620,12 25507,30 452,18 21 30036,85 100,00 22 115959,94 1206,19 23 21412,60 1354,69 69129,19 106782,10 34931,16 24 11331,73 21502,96 8400,00 39187,14 25 10161,26 3650,24 5209,21 12400,00 575,10 26 17877,12 12878,01 15824,29 55664,22 3489,45 27 5050,95 18143,40 16094,78 30534,86 43693,31 28 84883,29 24000,00 89467,90 29 9825,83 9453,77 27047,83 30 12110,03 20911,41 12600,00 4309,59 31 4140,84 8664,26 17068,36 5000,00 9526,15 32 10091,43 8311,60 19882,62 33 5184,65 19051,48 5484,43 66709,36 19303,43 34 30507,52 135694,12 35 52420,85 23167,20 15814,80 649,41 36 179624,41 75110,42 157715,20 37 35012,27 99221,38 263386,40 18599,81 38 58727,21 21792,78 25118,63 39 26739,77 40 73787,02 1845,68 41 47624,96 12546,24 31144,02 35817,56 42 60928,09 42845,04 4287,94 43 71619,42 43198,08 23879,15 9436,89 44 41535,24 31732,08 10847,61 16452,26 45 35808,19 21185,23 55475,29 4432,96 46 38529,07 5594,15 124,35 47 26612,00 65925,76 17307,94 310,75 48 18941,48 6589,65 49 155695,94 5520,75 82524,37 175448,32 108536,31 50 40827,90 1484,77
Tab.4 composizione dei portafogli
Data di riferimento 30/08/2020 portafoglio obbligazionario azzionario flessibile polizze assicurative risparmio amministrato
106
1 42085,69 23407,32 53012,10 2 351846,95 144444,56 40857,87 291415,54 3 68043,12 131557,45 32954,44 106321,17 4 140639,04 37098,53 43902,10 5 113092,86 6492,32 80186,08 2671,71 6 11110,35 8514,62 7 21329,04 7780,66 41143,98 155,64 8 90229,48 8290,72 13081,44 9 96574,86 7550,19 14532,05 17693,99 10 82789,77 153089,64 46064,21 157372,17 195382,10 11 115233,27 100604,17 326984,16 31622,46 12 122424,06 6078,27 49183,09 317,49 13 45568,22 26208,95 68470,26 14 53157,36 24167,63 129,09 15 252658,00 16 139198,12 84113,72 19,71 17 7259,55 24244,06 14,87 18 174587,17 46990,65 29388,52 29388,52 19 8693,18 34486,79 20 45952,33 24578,04 373,18 21 28657,95 76,38 22 108838,36 751,29 23 35731,35 51098,72 106215,85 12294,85 24 11247,75 18825,16 9600,00 31918,88 25 9709,56 3661,32 4896,55 12402,51 272,09 26 17033,02 11908,02 15052,64 55625,34 3271,85 27 4826,27 18094,86 14445,62 20000,00 75666,86 28 90118,28 24000,00 102463,09 29 10778,27 8827,93 26211,74 30 13657,66 22242,09 12600,00 4386,49 31 3956,56 8234,82 16596,93 5000,00 9526,15 32 10983,31 7993,34 20274,10 33 4954,02 18202,99 5155,26 62041,57 16840,48 34 30834,80 141561,09 35 58038,33 26724,70 15163,76 543,18 36 144385,26 117670,67 105784,55 37 34221,61 94280,96 258166,35 14415,19 38 57617,95 19674,21 25549,50 39 51137,16 5027,62 472,45 40 71785,91 1161,41 41 53728,68 15455,39 49467,63 42 57734,41 42559,96 4205,36 43 68704,33 40010,46 21979,99 7713,48 44 32255,80 34212,87 10394,15 23504,46 45 34484,10 19871,91 53601,09 7325,45 46 37643,22 4083,13 296,06 47 25840,19 55025,34 17270,12 7894,29 48 25184,83 49 192640,78 9820,60 75563,44 172268,81 46980,59 50 34860,23 5184,04 16572,42
Tab.5 composizione dei portafogli in percentuale
107
Data di riferiento 19/02/2020 portafoglio obbligazionario azzionario flessibile polizze assicurative risparmio amministrato 1 36,65% 19,54% 43,81% 2 44,21% 9,47% 4,73% 41,58% 3 30,84% 36,32% 9,86% 22,98% 4 37,66% 28,55% 33,79% 5 72,77% 25,03% 2,19% 6 57,35% 42,65% 7 36,02% 7,33% 9,49% 47,11% 0,05% 8 96,82% 3,18% 9 73,60% 5,32% 12,07% 9,01% 10 59,40% 1,87% 23,72% 15,02% 11 18,62% 17,67% 55,73% 7,98% 12 59,61% 13,68% 26,45% 0,26% 13 31,58% 67,05% 1,38% 14 67,21% 32,50% 0,28% 15 100,00% 16 67,16% 32,74% 0,10% 17 19,84% 80,10% 0,06% 18 64,63% 16,76% 9,69% 8,92% 19 18,56% 76,28% 5,16% 20 66,54% 32,88% 0,58% 21 99,67% 0,33% 22 98,97% 1,03% 23 9,17% 0,58% 29,59% 45,71% 14,95% 24 14,09% 26,74% 10,44% 48,73% 25 31,76% 11,41% 16,28% 38,76% 1,80% 26 16,91% 12,18% 14,97% 52,65% 3,30% 27 4,45% 15,98% 14,18% 26,90% 38,49% 28 42,79% 12,10% 45,11% 29 21,21% 20,41% 58,38% 30 24,25% 41,88% 25,23% 8,63% 31 9,33% 19,51% 38,44% 11,26% 21,46% 32 26,36% 21,71% 51,93% 33 4,48% 16,46% 4,74% 57,64% 16,68% 34 18,36% 81,64% 35 56,95% 25,17% 17,18% 0,71% 36 43,55% 18,21% 38,24% 37 8,41% 23,84% 63,28% 4,47% 38 55,59% 20,63% 23,78% 39 100,00% 40 97,56% 2,44% 41 37,46% 9,87% 24,50% 28,17% 42 56,38% 39,65% 3,97% 43 48,35% 29,16% 16,12% 6,37% 44 41,30% 31,55% 10,79% 16,36% 45 30,63% 18,12% 47,45% 3,79% 46 87,08% 12,64% 0,28% 47 24,16% 59,85% 15,71% 0,28% 48 74,19% 25,81% 49 29,50% 1,05% 15,64% 33,25% 20,57% 50 96,49% 3,51%
Tab.6 composizione dei portafogli in percentuale
Data di riferimento 30/08/2020
portafoglio obbligazionario azzionario flessibile polizze assicurative risparmio amministrato
108
1 35,51% 19,75% 44,73% 2 42,46% 17,43% 4,93% 35,17% 3 20,08% 38,82% 9,72% 31,37% 4 63,45% 16,74% 19,81% 5 55,86% 3,21% 39,61% 1,32% 6 56,61% 43,39% 7 30,29% 11,05% 58,44% 0,22% 8 80,85% 7,43% 11,72% 9 70,83% 5,54% 10,66% 12,98% 10 13,04% 24,12% 7,26% 24,79% 30,78% 11 20,06% 17,51% 56,92% 5,50% 12 68,78% 3,41% 27,63% 0,18% 13 32,49% 18,69% 48,82% 14 68,63% 31,20% 0,17% 15 100,00% 16 62,33% 37,66% 0,01% 17 23,03% 76,92% 0,05% 18 62,27% 16,76% 10,48% 10,48% 19 20,13% 79,87% 20 64,81% 34,66% 0,53% 21 99,73% 0,27% 22 99,31% 0,69% 23 17,40% 24,88% 51,73% 5,99% 24 15,71% 26,30% 13,41% 44,58% 25 31,38% 11,83% 15,82% 40,08% 0,88% 26 16,55% 11,57% 14,63% 54,06% 3,18% 27 3,63% 13,60% 10,86% 15,03% 56,88% 28 41,61% 11,08% 47,31% 29 23,52% 19,27% 57,21% 30 25,82% 42,06% 23,82% 8,29% 31 9,13% 19,01% 38,32% 11,54% 21,99% 32 27,98% 20,36% 51,65% 33 4,62% 16,98% 4,81% 57,88% 15,71% 34 17,89% 82,11% 35 57,77% 26,60% 15,09% 0,54% 36 39,25% 31,99% 28,76% 37 8,53% 23,51% 64,37% 3,59% 38 56,03% 19,13% 24,84% 39 90,29% 8,88% 0,83% 40 98,41% 1,59% 41 45,28% 13,03% 41,69% 42 55,25% 40,73% 4,02% 43 49,64% 28,91% 15,88% 5,57% 44 32,14% 34,09% 10,36% 23,42% 45 29,91% 17,24% 46,50% 6,35% 46 89,58% 9,72% 0,70% 47 24,37% 51,90% 16,29% 7,45% 48 100,00% 49 38,74% 1,97% 15,20% 34,64% 9,45% 50 61,57% 9,16% 29,27%
Tab.7 Variazioni percentuali
VARIAZIONI % port obbligazionario azzionario flessibile polizze assicurative risparmio amministrato
109
1 -1,14% 0,22% 0,92% 2 -1,74% 7,96% 0,20% -6,41% 3 -10,76% 2,50% -0,13% 8,40% 4 25,80% -11,82% -13,98% 5 -16,91% 3,21% 14,58% -0,87% 6 -0,74% 0,74% 7 -5,73% -7,33% 1,56% 11,33% 0,17% 8 -15,97% 7,43% 8,55% 9 -2,78% 0,22% -1,41% 3,97% 10 -46,35% 22,25% 7,26% 1,08% 15,77% 11 1,44% -0,15% 1,20% -2,48% 12 9,17% -10,27% 1,18% -0,08% 13 0,92% 18,69% -18,22% -1,38% 14 1,42% -1,30% -0,12% 15 16 -4,83% 4,92% -0,10% 17 3,19% -3,18% -0,01% 18 -2,36% 0,00% 0,80% 1,56% 19 1,57% 3,59% -5,16% 20 -1,73% 1,79% -0,06% 21 0,07% -0,07% 22 0,34% -0,34% 23 8,24% -0,58% -4,71% 6,02% -8,97% 24 1,62% -0,44% 2,96% -4,14% 25 -0,38% 0,42% -0,46% 1,33% -0,92% 26 -0,35% -0,61% -0,34% 1,42% -0,12% 27 -0,82% -2,38% -3,32% -11,87% 18,39% 28 -1,19% -1,02% 2,20% 29 2,31% -1,14% -1,18% 30 1,57% 0,18% -1,41% -0,34% 31 -0,19% -0,50% -0,13% 0,28% 0,54% 32 1,62% -1,34% -0,28% 33 0,14% 0,52% 0,07% 0,24% -0,97% 34 -0,47% 0,47% 35 0,82% 1,43% -2,09% -0,16% 36 -4,30% 13,78% -9,48% 37 0,12% -0,33% 1,09% -0,87% 38 0,43% -1,50% 1,07% 39 -9,71% 8,88% 0,83% 40 0,85% -0,85% 41 7,82% -9,87% -11,47% 13,52% 42 -1,13% 1,08% 0,06% 43 1,29% -0,25% -0,24% -0,80% 44 -9,16% 2,53% -0,43% 7,06% 45 -0,72% -0,88% -0,96% 2,56% 46 2,50% -2,93% 0,42% 47 0,21% -7,95% 0,58% 7,16% 48 25,81% -25,81% 49 9,24% 0,93% -0,44% 1,40% -11,12% 50 -34,92% 9,16% 25,76% media -2,02% 2,07% -1,03% 0,37% 0,61%
111 INDICE Premessa del Presidente UNC p.7 Introduzione: Origini e differenze delle crisi p.9 Capitolo1 Disciplinadei mercati ed evoluzione della consulenza finanziaria p.31 Capitolo 2 Analisi comparativa p.79 Conclusione p.101