Io ce l'ho fatta!!! Seconda parte

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Io ce l’ho fatta ! seconda parte di Barbara Gentile

sociale Centro Servizi per il Volontariato Perugia Terni

CESVOL UMBRIA EDITORE

Quaderni del volontariato 2021

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Quaderni del volontariato 9

Edizione 2021


Cesvol Centro Servizi Volontariato Umbria Sede legale Via Campo di Marte n.9 06124 Perugia tel 075 5271976 www.cesvolumbria.org editoriasocialepg@cesvolumbria.org

Edizione agosto 2021 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Illustrazioni in copertina di Valentina Scattini Stampa Digital Editor - Umbertide

Per le riproduzioni fotografiche, grafiche e citazioni giornalistiche appartenenti alla proprietà di terzi, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire. È vietata la riproduzione, anche parziale e ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzato.

ISBN 9788831491150 2


I QUADERNI DEL VOLONTARIATO UN VIAGGIO NEL MONDO DEL SOCIALE PER COMUNICARE IL BENE I valori positivi, le buone notizie, il bene che opera nel mondo ha bisogno di chi abbia il coraggio di aprire gli occhi per vederlo, le orecchie e il cuore per imparare a sentirlo e aiutare gli altri a riconoscerlo. Il bene va diffuso ed è necessario che i comportamenti ispirati a quei valori siano raccontati. Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, dove il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso del quotidiano, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore. Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente o più antico, per consegnarci insegnamenti e visioni. 3


Quelle visioni che i cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Gli autori di questi testi, e di tutti quelli che dal 2006 hanno contribuito ad arricchire la Biblioteca del Cesvol, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza, al di là di qualsiasi tipo di conformismo e disillusione Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati. Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo. Salvatore Fabrizio Cesvol Umbria

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“IO CE L’HO FATTA!!” SECONDA PARTE di Barbara Gentile



Quando accadono eventi traumatici o dolorosi, vengono alla luce parti di noi che non avevamo incontrato: è proprio in quei momenti che scopriamo chi siamo, che può non coincidere esattamente con ciò che avevamo sempre pensato. Raccontando la mia storia ho visto riflesso in ogni istante ciò che avevo effettivamente dentro ed è stato difficile ammettere che rabbia, paura e frustrazione fanno parte di me tanto quanto ne fanno parte dolcezza, generosità e gioia. Allo stesso tempo è emersa un’anima forte che mi è venuta in soccorso nei momenti difficili. In questo periodo ho avuto molto tempo per pensare e riflettere e ho capito quanto sia importante essere capaci di stare ogni tanto soli con i nostri pensieri. I miei pensieri mi hanno fatto compagnia e mi hanno sostenuta durante la lunga lotta, quando la tristezza prendeva il sopravvento, quando i dolori diventavano insopportabili; la mia mente mi diceva “ascolta te stessa”, “ascolta il tuo corpo”. Ma perché avrei dovuto farlo? Perché attraverso il dolore il mio corpo diceva che era vivo e stava cercando in tutti i modi di reagire. La mia testa mi diceva di lottare perché avevo tante cose da fare, da imparare, da dare. La speranza è un’altra cosa alla quale si deve dare fiducia. Credere, crederci con tutta l’intensità possibile è veramente importante. E’ importante fare tutto quello che si può, ma è anche importante prendersi cura di se stesse. Questo è ciò che ho fatto da quel Febbraio 2003, giorno in cui la vecchia Barbara è morta e sepolta, e ne è nata una nuova, piena di fiducia e di amore per la vita. 7


PROLOGO “BARBARA SEI GUARITA!!”, queste tre parole furono le “mani che mi sollevarono dalla sedia a rotelle”. Furono pronunciate dal mio angelo, il Professor B., che oramai erano anni che seguiva la metamorfosi del mio cervello mediante le risonanze magnetiche a cui periodicamente mi sottoponevo. Durante la visita, in cui sul display del computer intravedevo tanti piccoli cervelletti, l’espressione del viso del medico era sempre stata di approvazione, ma quel pomeriggio vidi comparire anche un leggero sorriso. La medicina fa la differenza tra guarire e curare, la medicina “cura” o meglio mette una pezza ad un problema, un farmaco normalmente viene progettato e testato per intervenire prontamente ad una situazione di emergenza, colpisce il sintomo dando sollievo temporaneo in quanto il problema che lo ha generato non è stato risolto. La vita fa ammalare il nostro corpo. Cosa si può fare? La soluzione potrebbe essere prendere in considerazione la malattia e la cura della stessa dal punto di vista olistico che dal greco significa “il tutto”, “l’insieme”, guardare all’essere umano non solo nella sua componente fisica ma come un insieme più complesso. Durante il percorso di recupero sono stati numerosi gli aspetti che ho preso in considerazione ma la lesione era più profonda e per riuscire a sanarla è stato necessario riaprirla, pulirla, disinfettarla e guarirla! 8


CON CALMA, RALLENTA, FRENA … IL CERVELLO!! “Terremoto magnitudo 8.0 colpisce ragazza di 27 anni, facendo crollare corpo e mente. Rimane però intatta un’anima forte e decisa che sarà in grado di ricostruirsi più saggia e bella di prima del disastro”. Abbiamo tutti bisogno di credere, di aver fiducia, di sapere che possiamo dedicarci anima e corpo a raggiungere un obiettivo. Io l’ho fatto, senza dubitare e senza permettere alla paura di subentrare facendomi vacillare, inciampare, cadere rimanendo a terra. Ecco cosa posso rispondere oggi a diciotto anni di distanza alla domanda, “Baby che ti è successo?”, domanda costantemente rivoltami girando con le stampelle, o con il deambulatore. I quesiti sorgono spontanei vedendomi in costante compagnia di tali ausili o di un accompagnatore, ma gli handicap non visibili all’occhio umano sono numerosi e per guarire hanno bisogno di nuove ferite. Ari... eccomi, sono sempre io Barbara e l’anagrafe dice che ce l’ho fatta, sono entrata negli ... anta!! Si è vero ho spento le due candeline che le mie vecchie amiche hanno adagiato in una buonissima torta gelato allo yogurt a gennaio di cinque anni fa, erano un 4 e uno 0, quindi dato che eravamo nel 2016 e sono nata nel 1976, dovrei aver compiuto 40 anni. All’ufficio anagrafe del Comune se faccio un estratto di nascita, è questo il risultato che ne deriva, ma in verità io mi sento ancora di far parte degli ... enta, forse 9


perché sono ancora un po’ immatura o forse perché i diciotto anni che sono passati da quel 27 Febbraio 2003 sono trascorsi senza di me o meglio io li ho vissuti da spettatrice. Un po’ come se io fossi stata “morta” per dieci anni. Era questa l’idea che davo guardandomi superficialmente, ma chi aveva tempo per osservarmi attentamente poteva accorgersi che forse il corpo martoriato dai continui e invasivi interventi era “morto”, ma l’anima era sempre stata viva e aveva lottato in un doloroso silenzio ogni minuto della giornata. Non avevo organizzato alcun tipo di festeggiamento per ovvi motivi, ma c’è stato chi l’ha fatto per me in maniera straordinaria, organizzando una festa a sorpresa. Il martedì precedente mi arriva un messaggio sul telefonino che diceva: “Non prendere impegni per sabato sera, usciamo insieme!” Ovviamente ho risposto affermativamente. Il sabato pomeriggio mi squilla il telefonino: “Pronto???” “Ciao tesoro, come va?” “Bene grazie e tu?” “Anche io tutto bene, grazie!! Hai preso impegni per stasera?” Più che una domanda, appariva una “minaccia bonaria”. “No, tranquilla, sei stata molto chiara con il tuo messaggio dell’altro giorno ...” “Brava Ciccia, fatti trovare pronta per le sette e mezza, che ti passiamo a prendere”. “Ok grazie tesò, ciao a sabato” “Ciao stellina”. 10


Erano ancora le cinque del pomeriggio, quindi avevo tutto il tempo necessario per “un restauro” impeccabile. Per non perdere neanche un minuto iniziai a scegliere gli abbinamenti più giusti per la serata. La scelta ricadde sulla maglietta bianca a collo alto senza maniche con un cuore e delle paillettes applicate sul davanti regalatami da mia cugina, ma dato che la temperatura mi impediva di uscire sbracciata, ho abbinato un maglioncino di lana aperto davanti, dello stesso colore. La femminilità è una caratteristica che non mi ha mai particolarmente contraddistinto neanche prima della malattia, perciò ho abbinato un jeans e una cintura anch’essi neri e le immancabili scarpe da ginnastica. Per compensare tale mancanza, una particolare attenzione fu riservata agli accessori, indossando degli orecchini bianchi e neri coordinati con una collanina e un braccialetto della stessa tonalità. La “nuova Barbara” ha sempre amato rimanere acqua e sapone, ma una vocina interna mi diceva che sarebbe stata una serata diversa e pertanto era necessario un pochino di trucco: fondotinta, fard, ombretto e per finire una passata di mascara. Piumino, sciarpa, guanti e cappellino di lana neri completavano il tutto, facendo sì che alle 19:29 io fossi fuori dal cancello in attesa. Dopo il quarto d’ora accademico vidi i fanali di una macchiana venirmi incontro e come prima sorpresa notai che i passeggeri erano 3 e non 2 come mi era stato detto. Si era unita al gruppo anche una mia coetanea, amica di vecchia data. 11


Salita in auto cominciai subito a fare duemila domande per capire se le mie sensazioni erano esatte e cioè che l’uscita non era stata scelta il giorno prima del mio compleanno, per puro caso. Per cercare di confondermi le idee e rendere misteriosa la sorpresa, girammo senza una meta ben precisa per circa quaranta minuti, fino a quando il mio stomaco iniziò a brontolare spingendomi a chiedere. “Ragazze, ma che succede??” Mi guardarono meravigliate, dicendo “ Ma Baby, stiamo andando a cena...” Risposi con un “va bene” rassegnata e mi accucciai sul sedile posteriore in religioso silenzio, mentre ci stavamo veramente dirigendo verso il ristorante in cui avevano segretamente prenotato. Sempre per pura coincidenza incontrammo un‘altra amica, che a suo dire era lì a mangiare una pizza in compagnia delle due figlie. Era stato misteriosamente prenotato un tavolo al quale ero riuscita ad arrivare con facilità. Finalmente potevo passare inosservata, “camminare” con un ausilio diverso comporta una diversa reazione da parte della gente, rispetto alla sedia a rotelle o al deambulatore; l’utilizzo di due stampelle risulta ai loro occhi abbastanza “normale”. La scelta delle portate non era subordinata ai movimenti, oramai il braccio sinistro stava recuperando il movimento, quindi al cameriere, che si rivolse a me guardandomi dritta negli occhi, ordinai una pizza quattro formaggi bianca. Mi stavo riavvicinando piano piano a quella categoria di persone dalla quale ero stata ingiustamente esclusa. 12


Il mio cervello, pesantemente offeso, non era ancora in grado di fare due cose contemporaneamente, nonostante abbia provato di tutto per allenarlo. Per questo mi venne nuovamente in soccorso il circoletto con il corso di yoga o meglio la “Superpippo terapia”. Superpippo è il nome di fantasia con il quale ho battezzato l’insegnante e la chiamo terapia perché per me è stata ed è una cura a cui settimanalmente non posso rinunciare. È un uomo sulla cinquantina, capelli bianchi e occhi marroni molto profondi e intelligenti. Ha come segno particolare un angioma sotto l’occhio sinistro che rende il tutto più misterioso, in sintonia con la particolare disciplina che insegna. La lezione si articola in due parti: la prima è quella fisica composta di varie posizioni che aiutano a rilassare e sciogliere le articolazioni, mentre la seconda è mentale basata su esercizi di respirazione e rilassamento. Stendiamo a terra dei tappetini di gomma formando un ferro di cavallo di fronte all’insegnante e con lui iniziamo cantando “OM” e prendendo coscienza del nostro corpo. La prima parte si svolge in piedi, con movimenti atti a sciogliere inizialmente la cervicale, piegando il collo avanti e indietro, a destra e a sinistra. Si passa poi alle spalle, roteandole prima indietro poi in avanti per passare alle braccia, ruotando i gomiti e i polsi in senso orario e in senso antiorario. Per ultimo ci fa inarcare la colonna vertebrale e si scende muovendo le caviglie ed infine i piedi. Conclusi gli esercizi fisici iniziamo la seconda fase che termina con l’ascolto di una melodia orientale, durante la quale prestiamo notevole attenzione al corpo. 13


Quanti suoni durante lo scorrere della giornata ci passano senza che ce ne accorgiamo? Gli uccelli, gli insetti, i rumori degli strumenti elettronici, del frigo, del respiro, del corpo e di notte il ronzio nelle orecchie. Ci abituiamo a non ascoltare, ci sentiamo soli in mezzo a tanta gente, non percepiamo il corpo quando ci avvisa che abbiamo fame, sete, sonno. Il principio fondamentale di ogni apprendimento è sempre lo stesso: prestare attenzione, affinare l’ascolto. Se abbiamo una valanga di pensieri che passano nella testa, non siamo in grado di ascoltare, suonare, parlare, meditare. La musica è in grado di darci piacere, al pari di cibo, sesso e droghe; rilascia dopamina nel cervello. Gli stimoli dovuti a questi quattro elementi dipendono da un circuito cerebrale sottocorticale nel sistema limbico, formato da strutture cerebrali che gestiscono le risposte fisiologiche agli stimoli emotivi. Durante lo yoga, dopo averci aiutato a porre la mente in ogni singola parte del corpo, l’insegnate ci lascia continuare da soli con il supporto della melodia. Distesi a terra ci copriamo con una coperta e ascoltiamo la sua voce. Entriamo così nella fase REM del sonno, detta anche di sonno paradossale. E’ durante questi momenti che avviene l’attività onirica e che il cervello lavora più intensamente, nonostante lo stato di incoscienza favorendo lo scioglimento di vari tipi di tensioni accumulate nei giorni. In aggiunta a ciò, ogni giovedì mi viene data anche una “lezione di vita” tramite frasi e spiegazioni che 14


Superpippo mi regala; “Cerca, se puoi di non andare contro la Provvidenza ma di andarLe in… contro!!”. E’ più facile sicuramente dare la colpa a “chi sta su in Alto”, per ciò che di brutto ci accade quotidianamente, ma inquadrando la situazione da una diversa prospettiva, si può notare che anche se a primo impatto è negativa, cela un’opportunità che ci stimola a raggiungere nuovi obiettivi. Questa è la palese riprova che c’è sempre qualcosa di buono in quel che pensiamo anche se all’inizio appare tutto negativo! “La diversità è una ricchezza!!”, ultimamente il concetto viene ribadito anche da una pubblicità. Questo non per piaggeria ma perché corrispondente alla vita vera, sia nostra che di chi ci sta vicino! Lo yoga mi ha finalmente permesso di allontanare i tristi pensieri, relegandoli in un cantuccio e costringendoli a rimanere fermi e non liberi di vagare nella mia testa, portandomi ancora più solitudine. La meditazione infatti porta a concentrarti in una sola cosa, senza pensare contemporaneamente a tutto il tran tran della vita quotidiana: lavoro, spesa, vita sociale, eccetera. Può sembrare un’utopia avendo ripreso da poco “a vivere”, ma il turbinio di pensieri che mi attanagliavano giornalmente era anche peggiore di risonanza magnetica, flebo, antibiotici, interventi, dottori e così via.

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IL VECCHIO PASSATO E IL NUOVO PRESENTE Si dice che il passato sia passato, che non si rivedrà più, come se fosse stato scritto su di una lavagna magica e poi cancellato. Ciò che appartiene al tempo trascorso è il continuo andirivieni tra casa e ospedale, tra camera da letto e sala operatoria, essere costantemente costretta ad uscire in sedia a rotelle. Si crede che con gli anni si riesca a tenere lontani i dolori e le sofferenze passate, si pensa di aver spazzato via tutto. Il doversi riabituare nuovamente ai diversi luoghi, alle diverse persone, il dover imparare di nuovo a scandire le ore della giornata in maniera differente, non è sicuramente una cosa semplice, ma questa volta l’ho voluta in tutto e per tutto. Non ho accettato di rimanere in sedia a rotelle, ho lottato in tutti i modi possibili e Qualcuno mi ha aiutato ad esaudire il mio desiderio, cominciando un nuovo capitolo di vita che ho intitolato: avvenire. Una vita rivendicata, di cui vado fiera, una vita scelta al contrario del passato, dove non sempre ho potuto scegliere. E’ per questo che è stata inventata la parola “passato”: per farci scivolare sopra tutto quello che ci dava fastidio, ci faceva arrossire o tremare. La mattina non do più un calcio alle lenzuola per correre al lavoro, è vero che ho un impiego part-time di pomeriggio, ma finalmente ho imparato a prendere il mio tempo: apro gli occhi e rimango per qualche secondo a fissare il soffitto, allungo braccia e gambe e la sensazione 16


di essermi riappropriata del corpo è piacevolissima. Come prima cosa della giornata: ho da fare con me stessa. Con estrema calma scendo dal letto e la prima cosa che salta agli occhi di chi mi osserva è il colore dello smalto che porto ai piedi che non è più rosa, ma marrone, un colore forte e deciso che oggi potrebbe essere il mio “biglietto da visita”. Quella persona insicura è stata sostituita da una figura determinata e irremovibile. Uno sguardo al cellulare, mostra sul display le bustine dei messaggi e delle chiamate ricevute nella notte, a differenza del periodo più buio, dove la solitudine era la mia unica compagnia. Il telefono non veniva caricato per giorni interi dato che l’inattività dello stesso faceva sì che la batteria fosse sempre carica. Non mi faccio mancare un’abbondante colazione che dipende dall’umore del risveglio: può essere una bella ciotola di cereali e yogurt alla frutta o fette biscottate con burro e marmellata oppure, se la sveglia ha portato con se anche la malinconia, sono biscottini al cioccolato, nutella, mousse al cioccolato per darmi la spinta necessaria per iniziare la giornata. Indosso la mia “tenuta da lavoro”, cioè la tuta da ginnastica, che da anni è il capo prevalente del mio armadio. Per rendere il tutto il più normale possibile mi sono rifatta il guardaroba indirizzando gli acquisti ai negozi di fitness. Canotte, top, t-shirt, pantaloni, leggings… tutti modelli con colori vivaci e abbinabili fra loro. La difficoltà più grande da superare è il dover dosare bene le energie a mia disposizione, che nonostante siano 17


cresciute di giorno in giorno sono sempre insufficienti rispetto al mio stile di vita. Ginnastica, ginnastica e ancora ginnastica... ...e le amiche? Alle “vecchie” se ne sono aggiunte delle nuove. Il tutto supportato dall’utilizzo di WhatsApp, un’applicazione di messaggistica multimediale. Era quindi assolutamente necessario: - munirsi di uno smartphone; - trovare la compagnia telefonica più vantaggiosa; - usare delicatezza con lo stesso; - imparare ad utilizzarlo. Questi ostacoli furono superati con l’aiuto dell’attuale operatrice sociale, la quale mi accompagnò in un negozio di sua fiducia e dopo tre ore ero finalmente entrata nel mondo della comunicazione interattiva. Ben presto arrivò un aiuto importante per il training iniziale. Dopo aver imparato a mandare messaggi, foto e faccine mi inserirono in un gruppo: scrivendo un messaggio in questa aggregazione davo a tutti gli iscritti la possibilità di leggerlo contemporaneamente, così che l’organizzazione degli appuntamenti non richiedeva più duemila telefonate. Il leader del gruppo, Valy, si è sempre divertita a postare, oltre alle indicazioni per l’incontro, immagini divertenti e video pazzerelli. “Donne martedì sera, usciamo?” o “Freghe che ne dite di vederci martedì sera?” Questo è un esempio di click iniziale a cui seguono le varie risposte “Dove si va?” 18


“A che ora ?” “Si, che ho bisogno di evadere un po’” “No, non posso che ho i figli” e cosi via ... Ci sono poi i messaggi vocali, utilizzati solitamente da chi è impegnato nella guida o in cucina. Alla fine dopo una ventina di bip bip arriva la decisione finale, solitamente da chi aveva lanciato l’idea. “Ok raga’ ce vedemo martedì alle 21. Bacio a tutte” Questo nuovo metodo di comunicare è stato molto utile per il mio recupero fisico e soprattutto mentale. Oltre al gruppo delle amiche facevo parte anche del gruppo della ginnastica, quello del pilates e quello del burraco. La precisione e la velocità dei messaggi WhatsApp avevano migliorato la mia manualità. Le attività fisiche, riprese dopo tanti anni, avevano permesso al mio corpo e alla mia mente di risollevarsi. Mi sono sempre impegnata al massimo ma nonostante ciò c’erano delle lacune che non riuscivo a superare tipo, nel gioco del burraco, quella di non fare attenzione alla carta scartata o raccoglierne una ventina quando invece me ne serviva solamente una. In questo gioco di carte, se ti fa comodo lo scarto del giocatore precedente, insieme a quello le devi prendere tutte. La maggiore attenzione, acquisita grazie ad un lavoro certosino, mi ha permesso di colmarle rendendo la partita più piacevole per me ma soprattutto per il mio compagno. Questa maggiore presenza mi permetteva finalmente di partecipare attivamente agli immancabili break tra il secondo e il terzo turno dove a giro ognuno portava 19


qualcosa, nonché alle buonissime cene organizzate in seguito allo svolgimento del torneo. Spesso infatti, pur di godermi il conviviale mi segnavo alla gara nonostante non ne fossi proprio entusiasta. Tale tipo di gioco si basa soprattutto sull’attenzione e dato, come ripeto, che non eccello in questa virtù, avere limiti di tempo risulta una punizione più che un divertimento. Anche il gruppo della ginnastica... mangia! Oltre ai festeggiamenti con dolci e spumante, per scambiarci gli auguri in prossimità delle feste comandate, c’e la bellissima cena di fine anno: un po’ come a scuola dove l’ultimo giorno si va in pizzeria con i compagni e i professori. Se durante l’anno eravamo riusciti a perdere qualche chilo, sicuramente con questi “spuntini” li avremmo recuperati. Come c’è la trilogia di “ritorno al futuro” cosi, per me, c’e “ritorno dal passato”. Il protagonista è l’insegnante del coro. La prima volta che l’ho visto sono rimasta folgorata. Il suo modo di vestire, di esprimersi, il suo portamento erano così simili ai miei. E non mi sono sentita più tanto sola. La musica, come il sorriso, è una carezza per l’anima e posso dire che ancora oggi mi reco alle prove. Far parte di un gruppo mi ha aiutato ad uscire da quella zona protetta, da quel posto in cui avevo eretto alte e solide pareti. Non mancano le scorpacciate, anzi, la più generosa è a carnevale grazie agli strufoli del nostro soprano: si tratta 20


di gnocchetti fritti imbevuti di alchermes o, in alternativa, cosparsi di miele. A proposito di coro, quello del centro socio culturale che frequento, era costituito da pseudo cantanti sia maschili che femminili (quest’ultimi in maggioranza), non più tanto giovani, ma ricchi esperienza e tanta voglia di far parte di un’attività culturale a loro congeniale soprattutto a scopo di aggregazione. Il nostro maestro, ragazzo impagabile e paziente tanto da meritarsi una medaglia, per i coristi era un “figlio adottivo” con il quale consumare anche un caffè prima di iniziare la lezione e poter scambiare le proprie impressioni, confidare i propri problemi che lui ascoltava con attenzione aggiungendo sempre una parola di conforto. Difficile trovare una persona così disponibile. Tante sono state le partecipazioni ai concerti natalizi nelle chiese e ad altre iniziative organizzate dalle proloco e dalle amministrazioni comunali svolte anche fuori regione e all’estero con città gemellate, tutte con grande successo e partecipazione, un’esperienza bellissima che purtroppo con il passare del tempo ha subito mano a mano la defezione di molti partecipanti motivata anche dall’età avanzata dei medesimi fino a raggiungere l’inevitabile chiusura. Una ragazza tutto pepe, dotata di una notevole umanità, ha contribuito alla divulgazione del mio primo libro “Io ce l’ho fatta!!”, credendo in me e organizzandomi incontri con persone capaci di gestire le presentazioni. Avendo già preso contatti, è venuta a prendermi un martedì pomeriggio. 21


Non poteva che avere un’autovettura scattante, piccola ma potente, di un colore forte, il nero metallizzato. Molto delicatamente è scesa per aiutarmi a salire e subito mi ha dato informazioni sull’organizzazione del pomeriggio. “Baby andiamo al Comune di Corciano, dove ci sono delle persone che vorrei farti conoscere e che ci stanno aspettando!”. Corciano, è un comune italiano inserito tra i borghi più belli d’Italia dove si trovano la chiesa ed il convento di Sant’Agostino che sono tra i più importanti monumenti agostiniani esistenti in Umbria. Tra le attività economiche più tradizionali, diffuse e attive vi sono quelle artigianali, come la rinomata lavorazione del legno, finalizzata alla produzione di mobili, di numerosi attrezzi e di giocattoli. Tra le persone che ho avuto il piacere di conoscere, un posto privilegiato spetta alla coordinatrice del Comitato Culturale, che è stata una degli organizzatori di 10 ... IN ARTE, manifestazione della durata di 10 giorni che ha coinvolto 10 pittori, 10 scultori, 10 laboratori per bambini e 10 manifestazioni letterarie, con presentazioni di libri, spettacoli teatrali e di danza. Donna sulla cinquantina, di media statura con occhi e capelli scuri, dotata di una particolare sensibilità esternata con un dolce e rassicurante sorriso. Era proprio lei che avrei conosciuto quel giorno, non avendo la minima idea di quello che stava organizzando. Entrai in un locale fatto di pietre antiche, doveva essere sicuramente una stalla o comunque un edificio estremamente antico, al cui interno si trovava un tavolo in cui sedevano una decina di bambini, impegnati nella 22


fabbricazione di una cornice di carta, sotto il tenero controllo di F., è questo il nome di questa gentile signora. Nell’attesa del “colloquio” che avrei dovuto sostenere con quest’ultima, mi accomodai anch’io insieme ai bimbi e osservai attentamente il loro operato. Come avevo già notato anni indietro quando insegnavo nuoto, i bambini hanno una notevole volontà di apprendere nuove nozioni e capacità, senza avere alcun tipo di pregiudizio; nell’attesa aiutai una di loro a disegnare una linea retta con il righello. Stava contando su me e non potevo deluderla; infatti nonostante fossi certa che sarebbe venuta meglio a lei, mi impegnai tantissimo nella riuscita di quel semplice compito. Dopo circa un’oretta, ebbi la completa attenzione dell’insegnante a cui E., la mia accompagnatrice, espose in maniera completa e precisa il motivo della nostra visita, cioè quello di trovare un modo per diffondere la mia storia. Per questo, consegnai a F. una copia del libro. Oltre ad essere una piacevole persona a livello personale, F. era anche dotata di un ottimo intuito nel ruolo da lei ricoperto, infatti mi propose di inserire la presentazione nella manifestazione sopra descritta. Non me lo feci ripetere due volte e accettai immediatamente, supportata dal consenso della mia amica. Avendo stabilito la location, mancava da stabilire il giorno preciso. Dovendo sentire la persona che insieme a me aveva scritto il libro, decidemmo di accordarci nei giorni successivi e a tale scopo ci scambiammo i numeri telefonici. 23


Durante il viaggio di ritorno, non mancò modo di approfondire la conoscenza di F. mediante numerose informazioni datemi da E., nonché i miei ringraziamenti. “Nina, non so come ringraziarti!” “Tranquilla Baby a me basta sapere che sei contenta!” “Scherzi? Sono felicissima è una grande opportunità”. “Ho altre persone da presentarti, ma ora pensa a questo”. “Certamente e grazie ancora!” Per non perdere neanche un minuto appena tornai a casa telefonai al coautore del libro esponendogli tutta la chiacchierata fatta quel giorno e sottolineando i vantaggi che ne sarebbero scaturiti. Lui, rispetto a me che prendo tutto d’istinto, valuta attentamente ciò che gli viene detto evidenziando gli eventuali pro e contro. “O Bà sta calma!! Il fine settimana io non posso quindi senti se si può fare in un giorno lavorativo”. “Va bene, domani la sento e poi ti dico.” “Ok grazie, ciao e buona serata.” “Buona serata anche a te.” Come promesso la mattina seguente contattai F. la quale mi assicurò che il mercoledì successivo alla riunione del Comitato, avrebbe esposto il problema agli altri organizzatori. La presentazione si svolse un martedì pomeriggio di agosto e grazie alle favorevoli condizioni meteorologiche, fu sistemato all’aperto un tavolo in un chiostro nel centro del borgo. Fu un’esperienza bellissima che si andava ad aggiungere alla precedente presentazione svoltasi nel mese di aprile presso il palazzo della Provincia di Perugia a cui intervenne il mio angelo, il Professor B., spiegando con 24


termini appropriati tutto l’iter della dolorosa malattia; le sue parole mi riportavano indietro a ricordi che mi provocavano continui brividi, che piano piano si stavano dissolvendo. Fu una giornata dedicata completamente a me e al mio libro: la scaletta prevedeva anche i discorsi di un rappresentante del Comune di Perugia intervenuto in sostituzione del Sindaco, della mia grande amica che ha seguito ogni passo della caduta nel baratro e della faticosa risalita, dell’operatrice sociale che con pazienza svolgeva il suo lavoro in maniera impeccabile dimostrandomi in molte occasioni che non ero solo il “caso” affidatogli dalla cooperativa. Per rendere tutto memorabile il Cesvol, Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia, grazie al quale la mia storia “era venuta a galla”, preparò un piccolo rinfresco a cui parteciparono i numerosi spettatori della mattinata. In entrambi i casi gli invitati lasciarono il posto con il sorriso e con una copia del libro fra le mani, ma il “postpresentazione” fu completamente differente. Finita la presentazione al Comune di Corciano, io e il coautore andammo a mangiare una pizza e a bere una birra, mentre dopo aver stappato lo spumante e aver mangiato le varie leccornie, con un'amica dovemmo correre al Pronto Soccorso dato che la mattina, presa sicuramente dall’euforia dell’evento, ero caduta malamente battendo il dito alluce destro. Non potendo assolutamente rinunciare a questa tanto sospirata giornata, soffrii in silenzio e tenni duro per l’intera mattinata, ma come dice un proverbio italiano “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. Tale silenzio mi portò un conto abbastanza salato da pagare. 25


La lastra evidenziava la frattura del quinto metatarso che è l’osso più lungo della parte esterna del piede e il mio movimento aveva aggravato la situazione facendo sì che una completa guarigione era possibile solo tramite un intervento chirurgico. Il solo pensare di essere nuovamente ricoverata mi causava conati di vomito, quindi dopo la visita di controllo in cui mi opposi all’operazione, continuai le mie giornate con un dolore persistente al dito e la certezza di non poterlo piegare. Questo si aggiungeva ai numerosi problemi di deambulazione, ma... Quante volte si sente ripetere la frase “la calma è la virtù dei forti”? La calma o meglio la pazienza e’ una qualità e un atteggiamento interiore proprio di chi accetta il dolore, le difficoltà, le avversità, le molestie, le controversie, la morte, con animo sereno e con tranquillità, controllando la propria emotività e perseverando nelle azioni.

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LA PALESTRA DEL CORPO... “MENS SANA IN CORPORE SANO”, locuzione latina che significa mente sana in un corpo sano. L’esercizio fisico è condizione indispensabile per l’efficienza della facoltà spirituale: l’equilibrio mentale deve essere sempre accompagnato da un’adeguata forma fisica; Addome duro e massiccio come un armadio, pelle del viso levigata, cosce e braccia muscolose, chiappe sode ... tipico “fisico da urlo!!” Tutto questo sarebbe stato abbastanza sexy di per sé, se solo questa figura non fosse solo frutto della mia immaginazione. Il traguardo più difficile e cioè spostarmi pochi metri da sola oramai lo avevo faticosamente raggiunto. Mi accontentavo? Assolutamente no!! E’ vero che sarebbe una mostruosità non apprezzare il Dono ricevuto, ma proprio per questo non ci si può fermare. G. continuava a studiare le strategie che io provavo ad ascoltare dal mio “posto di combattimento” nella “finta” palestra che da anni lo accoglieva. Ora dovevo provare la soluzione opposta, cioè fare “finta fisioterapia” in una “vera palestra”. Il sudore sulla fronte generato da una corsa al parco non ha lo stesso valore di quello prodotto tra due parallele. Entrambi provengono da un esercizio fisico ma mentre il primo serve a renderci più belli il secondo ci aiuta a ripristinare quella normalità che la malattia ha trafugato e che molti danno per scontato. Un normodotato si specchia per vedere se gli esercizi dei 27


glutei hanno dato il loro frutto, un portatore di handicap, invece, lo fa per vedere se il bacino si è finalmente riallineato con il resto del corpo. La mia assistente domiciliare mi propone di andare in una “palestra normale”, un luogo in cui si possono trovare fisici statutari, con un asciugamano arrotolato sul collo che indica le ore di fatica e sudore passate. I lettini del fisioterapista erano sostituiti da tapis-roulant, cyclette e recline sistemati in file ordinate, che rendevano il locale un bellissimo quadro da ammirare; i bilancieri, le panche e altro materiale da fitness prendevano il posto delle mie “amate” parallele; il rotolo di carta per le mani quello del lenzuolino medico. Pronta ad affrontare la lezione di Pilates, mi sono affacciata nella sala in cui si sarebbe svolta e come se nel pavimento ci fosse uno strato di colla sono rimasta impalata. “Baby, tutto bene??”, mi sussurra dolcemente all’orecchio la mia assistente. Come sempre rendeva tutto semplice e prendendomi la mano mi ha accompagnata accanto alla colonna che si trovava nel centro. Mentre provavo con estrema difficoltà ad ambientarmi, lei si è avvicinata alla parete dove erano appesi i tappetini di gomma verde sui quali ci saremmo distese. Dopo circa una diecina di minuti, nella sala iniziava a sentirsi una musica ad alto volume e l’insegnante posizionata di fronte iniziava la lezione. 1) la Respirazione; 2) il Baricentro; 3) la Precisione; 4) la Concentrazione; 28


5) il Controllo; 6) la Fluidità; Questi sono i principi basilari del Pilates, programma di esercizi che si concentra sui muscoli posturali. La musica, i movimenti veloci, le tante persone senza problemi visibili, uno spogliatoio in cui ci si spalmava profumata crema da corpo, mi fecero comprendere che avevo fatto un grande passo avanti. Ero tornata finalmente nel mondo “normale”. Nonostante ciò, la solita vocina mi sussurrava: “Barbara è vero hai raggiunto uno dei traguardi che speravi, ma ti basta?”. Certo che no, ho pensato, e subito mi si è aperta una nuova strada, pianeggiante e di “facile percorrenza”! A pochissimi chilometri da casa sapevo esserci una palestra; con forza e coraggio decisi di andare da sola a prendere informazioni. Questo avrebbe permesso una intensificazione del lavoro fisico. Mi avviai verso questa nuova esperienza per testare le mie attuali capacità e dimostrare a me stessa che ce la potevo fare ancora, ricordando ciò che mi rispose il medico fisiatria alla domanda: “Butterò le stampelle dottore?” mi rispose: “Non mettere limiti alla Provvidenza!”

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... E LA PALESTRA DEL CUORE! Come il seme rimasto a lungo dimenticato quando finalmente riceve una goccia d’acqua comincia a germogliare, così la nuova Barbara, riuscita a mostrare quelle sue ferite profonde tenute così a lungo nascoste per paura che ancora bruciassero, ha potuto aprire il cuore e abbandonarsi a nuove emozioni. Sono stata dichiarata diversamente abile, ma non è questa la ferita che mi fa soffrire di più, è un’altra il cui nome inizia con la stessa lettera, la D: dipendenza. Le cose di cui siamo convinti a volte hanno “misteriose” date di scadenza: all’improvviso odiamo quello che abbiamo amato, ridiamo di quello per cui abbiamo pianto, ci vergogniamo di quello per cui andavamo fieri. Cambiare è uscire dall’area di confort, decidere di trasformare un’abitudine in un’altra, accettare di rimettersi in gioco, di ricollocarsi, di farsi riaccettare. Finalmente ho gridato al mondo ciò che per anni mi legava il cuore impedendomi di creare relazioni con un essere di sesso maschile, o di rovinare tutto per la mia incapacità a stare sola e per la paura di essere abbandonata nuovamente. Questo è ciò che “mio padre”, il Grande Amore della mia vita, il mito da imitare, l’uomo che avrebbe dovuto difendermi da tutto e da tutti, mi ha lasciato in eredità: l’abbandono. Il giorno in cui mi sono presentata alla stazione dei Carabinieri a depositare la denuncia accuratamente scritta dall’attuale avvocato, è stato come decidere di buttarsi nel vuoto, non sapendo se si stia facendo la cosa giusta, ma soprattutto essendo completamente all’oscuro 30


di cosa si troverà alla fine. Ormai avevo fatto l’ultimo passo, avevo deciso di andare avanti facendo la sola cosa a mia disposizione per provare a capire il perché di tale comportamento. L’insicurezza di quel periodo mi ha portato ad avvalorare l’esposto con la testimonianza di tredici persone, scelte attentamente per raccontare la triste vicenda nel modo più corretto possibile, soprattutto il più attinente alla verità. Fortunatamente fui accolta dal maresciallo, mio conoscente, il quale cercò di rendere meno tragica la situazione, dimostrando la grande sensibilità che lo distingueva. Passati alcuni mesi ricevetti una raccomandata con la quale ero invitata a presentarmi per la mia dichiarazione. Non essendomi costituita parte civile, anche io fui chiamata al banco dei testimoni. Non ero mai entrata in un tribunale e l’impatto fu fortissimo: l’aula che avrebbe ospitato la prima udienza aveva al suo interno una “gabbia per animali feroci” e a questo punto sconosciuta toccai con mano la pesantezza del mio gesto. Ad ogni udienza c’era la testimonianza di due o tre teste a discrezione del Pubblico Ministero. Fui presente ad ognuna di queste e le parole udite, pur riguardando fatti personalmente vissuti, sembravano inverosimili e mi procuravano un dolore che solo un pianto disperato poteva placare. Sentire dalla bocca di ognuno parole forti che, nonostante fossero vere, dipingevano “mio padre” come un delinquente, mi spingevano ancora di più nel vortice della tristezza. 31


Venni accompagnata da Elisa, l’operatrice sociale, la quale oltre al supporto fisico mi diede un grande supporto morale. Dopo due ore di attesa, ecco il mio turno. Come il condannato si dirige al patibolo, così io mi diressi verso un banchetto di legno chiaro munito di un microfono nero. La sedia era anch’essa in legno e accanto ne fu messa un’altra, dove si sarebbe seduta la mia assistente. Il giudice, un signore di mezza età, media statura, capelli brizzolati, dotato di uno sguardo dolce e comprensivo, si trovava di fronte a me in un bancone sopraelevato seduto accanto al segretario che aveva il compito di prendere nota di ogni deposizione. Le prime domande, quelle di routine per accertare che la testimone sia veramente io, Barbara Gentile “figlia” dell’imputato, furono leggere e detti risposta senza alcuna difficoltà. Quando ci inoltrammo nella vicenda vera e propria, fui costretta a riaprire i cassetti della testa e del cuore in cui avevo relegato i ricordi più intimi. Con una notevole forza di volontà, dettata sicuramente dall’enorme rabbia che da anni mi attanagliava, esposi i tristi fatti resi ancor più dolorosi dalle pause richieste dal giudice, durante le quali guardandomi negli occhi, mi rivolge domande che potrebbero essere paragonate ad un pugno in mezzo al cuore: “Vorrebbe dirmi che le è mancato il calore umano?” “Mi sta dicendo di non aver ricevuto abbracci da suo padre?” “Durante la malattia, l’imputato è stato presente in maniera non assidua?” 32


Non volevo crollare, infatti nonostante mi tremasse il labbro inferiore e parlassi a singhiozzo cercai di essere il più esauriente possibile. Quando però la disperazione e il dolore presero il sopravvento, non trattenni più le lacrime e l’udienza venne sospesa momentaneamente. Grazie al tipo di respirazione appresa al corso di yoga, capace di dare un notevole autocontrollo, fu abbastanza semplice finire la deposizione. Le successive testimonianze sono state tutte molto toccanti, ma quella dell’assistente sociale, mi ha colpita maggiormente. E’ riuscita a cogliere la grande sofferenza provata dal distacco padre-figlia, capendo perfettamente il nostro legame. Vederla comparire davanti ad un giudice, fu per me prova di grande affetto. La mattina della deposizione arrivò con alcuni minuti di anticipo e nonostante non le negai il mio sostegno, sentii il nervosismo che l’attanagliava. L’attesa fu estenuante, la citazione era prevista alle dieci del mattino, ma erano le undici e trenta quando il giudice pronunciò queste parole: “Imputato abbiamo due teste per oggi, sono presenti?” L’aula era cambiata rispetto all’ultima udienza, ma il banco dei testimoni era identico. L’assistente sociale lo raggiunse camminando a testa alta sicura di se e decisa ad essere, come lo è sempre stata, una mia grande e fidata alleata. Le furono rivolte le medesime domande per accertare la sua identità e si passò successivamente alla descrizione dei fatti. 33


Furono raccontati gli inutili tentativi di riconciliazione fatti da parte mia e le precarie condizioni in cui vivevamo io e mia madre. Una ferita talmente profonda che ho provato a far rimarginare fino allo sfinimento, confondendo il sesso con l’affetto. Pronta a tutto pur di essere amata, non abbastanza sicura di me per affermare un’opinione, sottoporre un dubbio, rimettere in discussione la parola altrui. Quando ci si ama, ci si rispetta, ci si sa difendere. Non si permette a qualcuno di metterci sotto i piedi. E’ quando ci si vuole bene che concediamo al mondo intero di violare il nostro cuore. Quando ricevi il cosiddetto “colpo al cuore” o come ho preferito nominarlo io “il punto G del cuore”, si scatenano dentro te forti emozioni che permettono, come dice il cantante Eros Ramazzotti, anche all’anima di fare l’Amore. Sono bastate due semplici parole “Sei stanca” a far aprire una crepa alla mia corazza fino ad allora reputata blindata. Non è stata una pistola a sferrarlo bensì una bocca ben collegata al cervello e dal quale aveva ricevuto la giusta informazione. Il colpo fu “letale” quando aggiunse “si vede dagli occhi”. E’ cosi imprevedibile la vita, ma proprio per questo merita di essere vissuta. C’è chi t’imprigiona per anni in un pensiero, poi giri l’angolo e qualcuno ti libera con un dolce sorriso. “L’Amore non è diversamente abile”, “In Amore non esiste handicap”, “L’Amore non fa differenze” e cosi via. C’è chi afferma che un diversamente abile può stare solo con un altro disabile, dato che la paura del diverso porta 34


le persone ad allontanarsi le une dalle altre. Con queste parole credetti ancora che poteva esserci chi vedeva oltre, chi non reputava la bellezza dell’apparire. Sapevo bene di inoltrarmi in un campo minato. “Bussa alle porte, vedrai che qualcuno ti apre... “. Bussai e venne ad aprirmi un ragazzo, alto “molto” o forse lo era rispetto a me, occhi marroni e capelli dello stesso colore, sguardo assai profondo, occhi di un ragazzo che mi guardavano come fossero quelli di un uomo. Si trovava a fare il tirocinio di fisioterapista e il “caso” o meglio Dio, ha voluto che si prendesse cura di me e che mi alleviasse il dolore di una vita così massacrata. Ha cominciato a seguirmi amorevolmente e capii subito che per lui, non ero diversa. Mi colpì in particolare una frase. Una mattina, ci incontrammo nel parcheggio sottostante e lui: “Buon giorno Barbara, dai che saliamo insieme!”. Sembra una frase stupida, ma detta così spontaneamente, ha il suo valore. Avevo trovato un aiuto battagliero, per vincere la mia sfida, ma sapevo già che non mi sarebbe stato accanto per sempre. Sembrava proprio un dottore, quando si metteva la divisa, “il camice bianco”, quei camici bianchi che mi hanno fatto tanto soffrire, ora mi donavano sorrisi. Vi era però un’altra sofferenza, la differenza d’età lui 21 anni e io 33. Anagraficamente era piccolo, ma sentii subito che credeva in me e nel mio recupero. Mi fece una prima valutazione e iniziammo insieme un training di esercizi. 35


Dovevo salire sulla pedana stabilometrica a cui è collegato un computer, in cui vi erano 4 tipi di esercizi: nel primo, il monitor mi proponeva due pallini, uno giallo e uno, un po’ più grande, rosso. Io ero quello giallo e mediante lo spostamento del baricentro, dovevo arrivare a quello rosso, che con il contatto, si spostava. Il secondo era come un bersaglio. La parte che dovevo raggiungere, sempre mediante lo spostamento del baricentro, diventava azzurra. Appena la raggiungevo, la lucina si accendeva da un’altra parte e così via. Il terzo, il mio preferito, era formato da nove quadratini, otto di colori diversi e uno al centro rimaneva bianco. Sempre con il solito metodo, io dovevo andare al centro e quello bianco si colorava come quello che avrei dovuto raggiungere. L’ultimo, non a caso il più difficile, prevedeva spostamenti antero-posteriori. Fortunatamente il fisioterapista diceva “La sicurezza, è la prima cosa”, quindi mi aveva messo davanti un tavolino, per evitare di baciare il pavimento. Dovevo arrivare a colpire un quadratino, che ogni volta si spostava. La difficoltà maggiore era quando dovevo spostarmi in avanti, ma lui capiva subito la situazione e diceva: “Dai prova, se non ci riesci ti aiuto io”. Le cose belle prima o poi finiscono: il fisioterapista doveva andare in un’altra palestra per continuare il tirocinio. Sono passati dodici anni, ma la tenerezza che mi ha dimostrato continua a nutrire il mio cuore e sopra sono incise le sue iniziali.

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COME UN’AUTOVETTURA Lo specchio è stato per me la forma più brutale della verità, ho visto riflesso quello che era ed è il mio corpo, lui è ancora qui e in piedi. È riuscito a convertire il dolore nel suo contrario: in spensieratezza ed euforia. Nonostante fosse sempre lo stesso corpo, lo specchio rimandava immagini diverse. Penso che se chiudi gli occhi è per riaprirli stando più attenta. Sapevo di aver bisogno d’aiuto e grazie ai social network, rintracciai il mio amico Leonardo Cenci. Il Leo, così conosciuto, è un grande guerriero, che non ha permesso alla malattia di sopraffarlo conducendo una dura battaglia e ottenendo molti risultati. Leonardo ha fondato un’associazione con lo scopo di aiutare coloro che, come lui, sono affetti da neoplasie. “Io e Barbara abbiamo una missione, che io compio con le mie imprese e lei con le parole”. Questa era l’idea che aveva di noi e che dava a chi lo ascoltava. Ha sempre mantenuto fede a queste parole organizzando conferenze sull’importanza della buona alimentazione per la salute, passeggiate, colazioni, tombolate al reparto di oncologia ogni 31 dicembre e così via... Per due anni consecutivi ho partecipato a quest’ultima straordinaria iniziativa, rientrando di nuovo in quel contesto che mi aveva contornato per molti anni. La conoscenza con Leo, così era soprannominato, non fu come dire idilliaca. Dopo aver ottenuto il suo numero di telefono, lo ho contattato tramite SMS: 37


“Ciao, sono Barbara una ragazza disabile che ha sentito parlare molto bene di te, quindi avrei un enorme piacere ad incontrarti. Per ora grazie e buona giornata” La risposta non fu immediata ma arrivò la sera stessa. “Ciao Barbara, ti ringrazio per le belle parole e sono molto contento di incontrarti. Dove abiti?” “Abito vicino al centro e se le informazioni ricevute sono giuste siamo vicini, quindi pensavo di incontrarci al bar per un aperitivo.” “Rimaniamo per mercoledì alle 19.00” “Perfetto, grazie ancora e a mercoledì” “Ciao Barbara” “Ciao Leo” Mi presentai all’appuntamento con mezz’ora di anticipo, vestita in maniera alquanto elegante. Erano le 19.00 ma non si vedeva nessuno. 19.15 niente. 19.20 nessun movimento. 19.30 stavo incominciando ad innervosirmi. 19:45 ero una belva. 20:00 ho letteralmente trascinato via il mio accompagnatore. Mi aveva tirato un bidone, nonostante mi sembrava una cosa impossibile, era proprio così. Alcuni giorni dopo mi squilla il cellulare e nel display vedo lampeggiare il nome del Leo, rispondo: “Pronto?” “Barbara?” “Si, con chi parlo?”, feci la domanda anche se sapevo benissimo chi fosse il mio interlocutore. “Sono Leonardo Cenci, ti disturbo?” 38


“Ah ciao, no dimmi pure” penso che qualsiasi altra persona al suo posto avrebbe interrotto la telefonata, subito dopo aver sentito il tono della mia voce. “Volevo scusarmi per mercoledì, c’è stato un disguido, vengo io da te scusa ancora”. “Io abito vicino il Centro Socio-Culturale e solitamente il pomeriggio mi trovi al bar del circolo interno” gli ho risposto molto titubante. “Grazie, ci vediamo in settimana. Ciao Barbara”. “Ciao Leonardo”. Questa volta ha tenuto fede alle parole presentandosi al Circoletto con un grande mazzo di fiori. Mi ha donato alcune perle di saggezza, non perché sia privilegiata ma perché credo che sia riuscito a percepire quel disagio interno che rendeva molto difficile per me arrivare a fine giornata. “Pensa di essere come un’autovettura rimasta a lungo in un garage, alzi la saracinesca e vedi il sole. Una piccola controllata alla carrozzeria e poi parti all’esplorazione del mondo esterno”. Questa bella metafora mi fu data in risposta alla mia domanda “Ma tu, come fai?” Dopo mesi di introspezione, sono riuscita a mettere in pratica tali indicazioni grazie al tempestivo aiuto di un’operatrice sociale professionalmente competente, la quale è riuscita ad attivarmi una borsa lavoro presso un ente parastatale. I limiti della mia mente e del mio corpo si sono adattati ai confini della precedente situazione ed è stato difficile allargarli per far posto al mondo esterno. Sarebbe in questo modo cominciata la scoperta di quel nuovo mondo, con la consapevolezza donata dai lunghi 39


e sofferti anni di convalescenza. Come dice il mio Padre Spirituale, cambiato in questi anni per problemi logistici, esistono le “Dioincidenze”. Mi ha accolto una dolcissima ragazza, responsabile del servizio di sicurezza dell’ente, la quale aveva ricevuto in dono il mio libro “io ce l’ho fatta”. L’enorme sensibilità che la contraddistingue mi ha permesso di riporre notevole fiducia in lei, quella fiducia che era oramai diventata la sedia a rotelle del cuore. Mi ha aiutato ad inserirmi nel nuovo contesto, cercando di risolvere le problematiche che mano a mano emergevano, come ad esempio tenere la macchina al fresco per evitare un incidente nella via del ritorno. Il nuovo inizio portava con se numerosi ricordi e rimandi al mio passato. Innanzitutto le sedie di ferro in sala d’aspetto: erano le stesse in cui passavo ore e ore nell’ attesa di entrare nel “tubo” della risonanza magnetica, per il costante controllo al cervello. La macchinetta del caffè che sognavo distesa nel letto dell’ospedale di riabilitazione ora si trovava di fronte a me. Il traffico di sedie a rotelle era sostituito da coloro che con una certa velocità dovevano timbrare il badge per comunicare l’orario di entrata al lavoro, per poi dirigersi alla scrivania che li avrebbe accolti per le ore successive. Mi sedevo nuovamente in una sedia che poteva muoversi, ma con una notevole differenza, questa era la sedia girevole dell’ufficio. Nei corridoi incontravo colleghi vestiti con jeans, gonne, magliette e scarpe di ogni colore che risollevavano quel morale che ultimamente era caduto profondamente a 40


causa delle tristi circostanze. Il percorso lavorativo era pianificato in modo da coprire tre giorni al settore personale e due all’ufficio protocollo. Questo mi dava la possibilità di avere la mia postazione in entrambi i settori ed incontrare i diversi colleghi. Nel primo caso mi trovai di fronte una bella ragazza, di circa trent’anni, mora, occhi scuri e uno sguardo che sembrava proteggerla dal mondo, probabilmente a causa delle difficoltà che la vita gli aveva presentato. Come diceva lei: “Le difficoltà ci uniranno!!” Cosi è stato, infatti si è instaurato con lei un rapporto che va oltre l’orario di lavoro. Ci siamo ri…conosciute e ciò ha notevolmente contribuito a permettermi di farcela … ancora!! Ci sono persone che incrociamo, che conosciamo appena, con cui riusciamo ad aprirci. Non ci si aspetta niente da loro, le abbiamo incontrate senza farci troppe illusioni, eppure dopo aver confessato le nostre pene a queste persone straordinarie, scopriamo che hanno spalancato una porta dentro di noi, quella porta d’ingresso nella normale quotidianità. Il cuore e le emozioni erano paralizzate, ma le tante sorprese e la sua premura di mantenere l’ufficio alla giusta temperatura per evitare il mal di testa, sono state un’ottima fisioterapia. Al piano superiore dove si trova l’ufficio protocollo mi sono imbattuta in un “scalino”, che il mio cuore malconcio doveva superare. Nella scrivania di fronte alla mia ho trovato un ragazzo sulla trentina, capelli scuri, fisico da ballerino con uno sguardo penetrante e magnetico. Non sapendo che il mio cuore era “invalido” e andava 41


avanti con l’aiuto di “antidolorifici e tranquillanti”, mi ha riservato delle attenzioni che hanno messo a dura prova il mio precario equilibrio affettivo. Essendo il responsabile della cancelleria mi sono dovuta rivolgere a lui per avere penne, matite, post-it, gomme da cancellare, temperino, bianchetto, e così via. Me li ha consegnati facendomi trovare nella scrivania, una busta da lettere bianca con scritto: BARBARA GENTILE AGENZIA FORESTALE PERUGIA Decorata con cornicette rosse e blu sui quattro lati, il timbro e la firma di una raccomandata, e all’interno un’enorme quantità di cancelleria. Questa “convivenza” era resa più semplice dalla presenza di un altro collega che tra scherzi e smorfie mi ha pazientemente insegnato questa nuova attività. Il ”nuovo mondo” si era popolato da una molteplicità di persone che a modo loro mi arricchiva e riempiva le mie giornate, facendo sì che le ore tristi fossero solo un ricordo lontano. Collaboravo anche con un oratorio, come aiuto compiti ai bambini delle scuole elementari, i quali dovevano dedicarsi allo studio per un’ora e mezzo al giorno. Fra i piccoli frequentatori, ce n’era una che ha conquistato un “posto d’onore” nel mio cuore, dato che la Vita non è stata particolarmente generosa con lei. A quanto pare questa simpatia è stata da subito reciproca, permettendo ad entrambe una crescita ed uno scambio continuo di emozioni. 42


“Buongiorno principessa, come stai?” “Ciao Barbara, stanza 4” era la sua risposta alla mia domanda e con lo zaino in spalla si dirigeva in fondo al corridoio. Il responsabile del servizio ci aveva dato il permesso di svolgere le attività in una stanza a noi dedicata. Arrivata nella “nostra aula” come se avesse raggiunto un porto sicuro, si liberava dal peso gettando i libri sopra il banco. Con molta premura scendeva due sedie dalla colonna su cui erano state ordinatamente appoggiate, le sistemava una accanto all’altra di fronte al tavolo. Apriva il sacco e ne estraeva il contenuto; il suo segno distintivo era quello di scrivere i compiti… quando ci ripensava e soprattutto ne aveva voglia, nei quaderni di ogni materia anziché nel diario. Non fu facile inizialmente conquistare la sua fiducia, ma avendo indossato i suoi panni sapevo in maniera corretta come poter fare per poterla aiutare nel miglior modo possibile. Un pomeriggio, mentre la stavo aiutando a svolgere i compiti, ho notato che mi guardava con particolare attenzione quindi per non interrompere il suo flusso di pensieri ho aspettato che fosse lei a parlare per prima. “Perché tremi?”, mi disse, una semplice domanda composta di due sole parole che però sono state sufficienti a colpire nel profondo del cuore. La mia malattia ha lasciato sul corpo tanti segni indelebili, tra cui il tremore degli arti; che grazie al tanto impegno e al duro e faticoso lavoro è divenuto quasi impercettibile. Eppure lei lo ha notato, Lei, piccola ed innocente, ha involontariamente riaperto una ferita oramai guarita ma non cicatrizzata. E’ la prima volta che rispondo a queste domande che mi 43


vengono poste con semplicità e schiettezza e mi spingono a pensare che forse i ragionamenti dei bambini sono quelli più adatti a capire come stanno veramente le cose. Chi osserva con attenzione ed interesse, riesce sempre a cogliere quel particolare che ti contraddistingue e ti rende unico.

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COME UN’ASTRONAVE “Alza gli occhi al cielo!!”, questa stessa frase la sentii fuoriuscire da tre bocche diverse in altrettanti diversi momenti. Il messaggio era lo stesso, ma il mio fidanzato di qualche tempo fa me lo fece vivere in modo unico. Una notte che rimasi a dormire da lui, dopo essermi messa il mio pigiamino rosa e sistemata sotto il piumone accanto a lui, sentii: “Chiudi gli occhi, se li apri prima che te lo dico, sei una stronza”. Sapevo quanto teneva all’onestà, quindi ubbidii umilmente. Sentivo che trafficava, e nonostante la mia voglia di aiutarlo, cercai di trattenermi per non aprire gli occhi. Dopo qualche minuto, disse: “Apri pure”. Non potevo credere ai miei occhi, la stanza era al buio e il soffitto pieno di stelle fluorescenti. Non trattenni le emozioni ed esclamai: “Che spettacolo, è fantastico!” Mi distesi con la testa appoggiata al suo petto, per ammirare quello che appariva, era come il cielo in una notte d’estate. Ha aggiunto: “Aspetta, e guarda”. Sulla sponda del letto era stata fissata una palla color argento dotata di due rotelline nere che avevano il compito di variare il disegno proiettato. Ne girò una e sul soffitto apparvero le costellazioni. Cominciò a illustrarmele: il Cigno, il Leone, l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore, il Sagittario, il Cancro, ecc. indicandomele con lo sguardo. Nonostante avesse un cuore di ghiaccio, era caldo sia 45


fuori che dentro. Mi portava in posti che nessun aereo e nessuna nave da crociera avrebbe potuto raggiungere. La vita ci ha messo entrambi al muro troppo presto, ma ci ha anche permesso di abbattere quel muro con la forza dell’Amore. Evidentemente solo io ci credevo dato che un messaggio è riuscito a cancellare tutto: “Sono giorni che penso e ripenso in che modo dirtelo... la conclusione è che non esiste nessun modo migliore, né tantomeno indolore... Ho provato in tutti i modi ma evidentemente abbiamo destini e strade diverse... Sarò sincero e diretto come sono sempre stato e quindi andrò dritto al punto... Sono ormai tre settimane e più che ho ritrovato e che frequento una persona molto speciale... Sei intelligente e forte non c’è bisogno che ti spieghi altro. Un abbraccio e buona fortuna” Era inutile provare a chiedere di ripensarci dato che il mio intuito lo classificava come “uno che sa il fatto suo!” Dopo pochi giorni di frequentazione e senza avergli rivelato nulla della mia situazione familiare mi regalò un cd di Ligabue, dedicandomi la prima canzone incisa: “Piccola stella senza cielo”. Questa canzone racchiude il mio perfetto identikit, ma c’è una frase che ancora oggi si affaccia periodicamente nella mia mente “Ci incanteremo mentre scoppi in volo”. Scoppiare comporta aprirsi e lasciarsi andare senza opporre resistenza, così dice la canzone di Eros Ramazzotti e Giorgia. Quest’ultima parla dell’Amore e di innamorarsi, proprio quello che mi stava capitando. Ho sentito dire che innamorarsi vuol dire sentirsi 46


completamente presi dall’altra persona, che ci coinvolge in tutti i sensi: ci preoccupiamo per questa, siamo eccitati al solo pensiero di starle accanto. Quando ci innamoriamo, quindi, ci sentiamo coinvolti e attratti dall’altro che diventa quasi il nostro unico pensiero e che ci fa entrare in un vortice di emozioni dalle quali ci sentiamo completamente travolti. Non era il primo appuntamento, ma quando vidi illuminarsi il display del cellulare che indicava l’arrivo della sua chiamata cominciò a battermi forte il cuore. Doveva chiamarmi per confermare oppure disdire la serata assieme. “Pronto?” “Ciao, disturbo?” esordì lui. “Mai” risposi, ma lui mi rispose sorridendo che era il contrario. Dopo battute ironiche e racconti su come avevamo trascorso la giornata, confermò l’appuntamento dicendomi che sarebbe passato a prendermi intorno alle ore 21.00. Mi morsi il pugno tremando dall’emozione. Tra le farfalle nello stomaco e le formichine nel cuore, mi sono avvicinata all’armadio aprendo l’anta destra dove erano riposti i jeans. Ne indossai un paio blu chiaro con sopra una maglietta a righe bianca e rossa che si intonava con le scarpe bianche anch’esse corredate di riga rossa. Completai il look indossando una collanina di caucciù nero con una B come ciondolo ed un paio di orecchini bianchi e rossi che raffiguravano gli assi delle carte francesi. Lo vidi e le porte della mia mente si spalancarono ed ebbi 47


chiaro come tutto stava andando al proprio posto, ogni evento della mia vita non aveva fatto altro che portarmi a questo momento. Tutto aveva finalmente un senso. Vedevo le sinapsi del cervello riaccendersi come un quadro elettrico, illuminando di nuovo le aree scure. Ogni cosa aveva uno scopo. Tutta la sofferenza e tutto il dolore mi avevano preparato a questo momento. Era finalmente arrivata la mia chance per riprendere il mio posto nella vita o era il solito film che proiettava la mia mente? Quando siamo innamorati o pensiamo di esserlo ci inventiamo sceneggiature, immaginiamo storie passionali, tradimenti, addii fra le lacrime; ci sono aerei persi, lettere mai arrivate a destinazione e non siamo mai tranquilli. Come se la felicità fosse vietata per gli innamorati e si leggesse solo nelle favole a lieto fine. Solo il tempo avrebbe potuto dare una risposta a questo quesito, ma nel frattempo la voglia di sentirmi viva e le emozioni che ricevevo mi bastavano: lo stringevo, gli circondavo la schiena con le braccia per non farlo muovere, per non farlo scappare;lo baciavo sul collo, gli aprivo i bottoni della camicia e lo baciavo sul petto, e lui si abbandonava sprofondando le labbra sul mio collo. Lo mordicchiavo, gustavo il sapore della sua pelle, chiudevo gli occhi per fermare questi istanti e riporli in un cassetto della mia testa che poi avrei riaperto nei momenti in cui riaffiorava la tristezza dei ricordi del passato. Qualcuno invece dice che si pensa insistentemente a 48


qualcuno quando lo si vuole dimenticare e tale ipotesi trova corrispondenza con la mia volontà, ma non con il mio pensiero e le mie emozioni. Il bip bip che indica l’arrivo di un messaggio. mi riporta alla realtà confermandomi che si trattava del solito film con i medesimi protagonisti e la consueta trama, proiettato solamente nella mia testa. Solo una cosa era reale e cioè la coincidenza delle iniziali incise.

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DUE COLPI IN SUCCESSIONE … PER ESPLODERE “…Oggi posso solamente affermare con Forza, che nonostante tutti i miei errori e le mie continue cadute CE L’HO FATTA!!...” Con questa frase si concludeva il mio libro “Io ce l’ho fatta!!” nel quale ho provato ad esternare tutto il dolore e la volontà serviti a superare la dura prova che mi si presentò nel Febbraio 2003. Come un dolce è bello se guarnito con riccioli di cioccolato e adagiato su un piatto ben decorato, così non mi bastava alzarmi dalla sedia a rotelle e muovermi con le stampelle: volevo di più! Lo conferma anche Confucio: “ Si può sconfiggere il generale che comanda tre armate, ma non si può smuovere la ferma volontà di un uomo semplice”. La continua ricerca della salute del corpo, mi ha condotto in una palestra dove insegna un posturologo estremamente preparato su problemi neurologici. Si è pertanto accorto mediante il “test di Babinski” che il piede destro è privo di riflessi. Ha comunque continuato ad incoraggiarmi, per stimolarmi positivamente nonostante io abbia reagito in maniera negativa all’esito della prova. Il primo duro colpo è stato quando mi hanno ufficialmente dichiarata diversamente abile! Il secondo colpo, molto più duro, è arrivato due giorni dopo. Ho affrontato anni di faticoso lavoro per poter “camminare” con le mie gambe, ma non è questa la ferita che sanguina di più… è più profonda e inizia con la stessa lettera: dipendenza affettiva, cioè l’incapacità di fare a meno di una persona. Questa mi è stata diagnosticata durante le sedute di 50


psico-terapia che ho iniziato a seguire durante gli anni di riabilitazione, ma che ancora si susseguono periodicamente. Tutto ciò comporta la difficoltà se non l’impossibilità di instaurare un rapporto con un’altra persona soprattutto se di sesso maschile. Non voglio colpevolizzare nessuno per essermi ammalata, vorrei anche in questa sede cercare di essere d’aiuto testimoniando la notevole volontà impiegata per farcela… ancora!! Ho aperto questa parentesi per raffigurare l’importanza della notizia ricevuta: “mio padre” era stato ricoverato; ero già venuta a conoscenza del suo stato di salute e proprio per questo, nonostante il processo di qualche anno prima, ho ritenuto necessario essere presente nella sua vita. E’ facile essere spettatori consapevoli delle relazioni disastrose degli altri, ma è drammatico rendersi conto di essere la protagonista di un copione fatto di sottintesi, battute fredde, incomprensioni e troppo poco amore. Ogni mio tentativo di riavvicinamento era stato vano. Il primo, non affatto facile, è avvenuto telefonicamente. Ho provato inizialmente con il mio numero di telefono a cui non ha risposto. Il giorno dopo ho riprovato con la modalità anonimo e questa volta ha risposto: “Pronto?” “Pa’ ciao sono Barbara!”. Click!! Mi ha riattaccato il telefono. Da guerriera quale sono non potevo accontentarmi di questo rifiuto e dopo alcuni mesi ho avuto il coraggio e 51


la forza di raggiungerlo sotto casa. Poiché la sua abitazione è dotata di recinzione, il cancello è munito di un videocitofono che permette di regolarne l’apertura e la chiusura dall’interno; ho suonato e mi sono avvicinata alla telecamera ben consapevole del possibile rifiuto. Dopo un istante che direi essere stato eterno, ha risposto: “Chi è?” “Sono Barbara.” “Barbara chi?” “Barbara Gentile, tua figlia” “Io non ho figli!!” Come se mi fosse stato dato un avvertimento anticipato, sono stata accompagnata dall’attuale operatrice sociale, la quale grazie alla sua notevole sensibilità, è riuscita a supportare in maniera eccellente un così infelice momento. Spesso, quando ci accade qualcosa di doloroso, qualcuno ci consola dicendoci: “Non preoccuparti il tempo guarisce ogni cosa”. Non è esattamente così, si limita ad insabbiare, a coprire le ferite ma, se sotto la coltre la ferita non è guarita, ci vuole poco per farla riaprire e poi sanguinare. Quando il nostro cuore rimane ferito l’unico rimedio è … curarlo. Ma come si cura una ferita dal cuore? Occorre affrontare il proprio dolore e rielaborarlo. Insomma si deve provare dolore, sentirlo, palparlo, sopportarlo… e poi lasciarlo andare. Se non riesci a far guarire la tua ferita ed essa rimane suscettibile di riapertura, allora devi chiederti se c’è qualcuno che non hai perdonato. 52


Libera le persone che ti hanno fatto del male, perdonale, lasciale andare, in questo modo libererai te stesso. A me è stata data questa possibilità. Le circostanze purtroppo non erano delle migliori ma questo Dono, così lo reputo, è stato molto prezioso; le gravissime condizioni di salute di “mio padre” hanno rappresentato il trampolino di lancio per affrontare ciò che fino ad ora non ero riuscita a concludere. Il cuore mi spingeva a correre al suo fianco, ma la testa frenava questa folle corsa. Sarebbe stato giusto? Mi avrebbe cacciato come aveva fatto precedentemente anche con mia madre e mia sorella? I dubbi erano talmente numerosi che la decisione fu quella di non rispettare la sua volontà di stargli lontano, in fondo ho sempre saputo che il suo allontanamento era dettato solamente dall’impossibilità di portare in salvo la sua Bambacchiotta. Come dice Rosamunde Pilcher: “Abbiamo una vita sola. Nessuno ci offre una seconda occasione. Se ci si lascia sfuggire qualcosa tra le dita, è perduta per sempre. E poi si passa il resto della vita a cercare di ritrovarla”. I numerosi anni di convalescenza sono riusciti a creare una barriera difensiva che ho sempre reputato intaccabile e indistruttibile, nessuna emozione negativa doveva più turbare quel debole equilibrio faticosamente conquistato. Le ferite causate dall’abbandono non sono state facili da gestire, ma ho colto al volo la possibilità che mi si era presentata di fronte: andare in ospedale. La visione che mi si è presentata all’ingresso della camera, esprimeva le attuali condizioni in cui versava l’uomo adagiato in quel letto di lenzuola bianche. Non riuscivo più a riconoscerlo, ma la forza che mi ha 53


da sempre accompagnata ha permesso alle mie gambe tremanti di non spostarsi ma rimanere lì e contemplare. Avendo accettato la mia presenza, nei giorni successivi ho avuto modo di stargli accanto e dare un piccolo aiuto. Stare seduta accanto al letto era bello, ma allo stesso tempo assai difficile e doloroso. Le emozioni che mi percorrevano erano innumerevoli: paura, rabbia, tristezza, sorpresa, vergogna, amore ma in particolar modo tanta angoscia. Come potevo spiegargli la grave situazione che si era creata? Come potevo dirgli il perché non riuscisse più a mettersi seduto né tanto meno in piedi? Come potevo dirgli che stava morendo piano piano? Cercai di alleviare il dolore del momento portandogli il suo quotidiano preferito, ma purtroppo era già difficile per lui guardare le figure, anche se, nei giorni successivi, chiese più volte di leggerlo. Il tempo necessario al mio assistente per recarsi in edicola e comprare il quotidiano era troppo lungo per lui, infatti si addormentava senza leggerlo. I giorni trascorrevano lenti e la situazione peggiorava ancora. Era stata messa a dura prova anche la lucidità mentale, che si stava allontanando permettendo all’inconsapevolezza di prendere il sopravvento. Durante questo duro periodo l’amicizia con Andrea o meglio don Andrea, questo era il soprannome affidatogli, era diventata più solida. Lo chiamavo così dato che trovava in ogni situazione anche la più drammatica, parole di conforto che erano in grado di risollevare l’anima. Faceva già parte della mia vita, supportandomi in maniera 54


eccellente grazie all’educazione ricevuta e al cammino vocazionale da lui intrapreso precedentemente. Le nostre sporadiche uscite erano ora diventate una costante routine. Mio coetaneo, corporatura media, capelli castani e occhi di un blu profondo che se guardati intensamente raccontano la persona che si ha di fronte. L’occhio rappresenta “lo specchio dell’anima”; nel senso che riflette in maniera immediata le nostre emozioni, le nostre paure, le nostre sfumature emotive più confidenziali.

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LE SCHEGGE DEL CUORE Non tutti gli avvenimenti della nostra esistenza possono essere cambiati se ci risultano carenti in qualche parte, non si possono rielaborare i capitoli già scritti ma a volte ci è donata la possibilità di aggiungere una citazione che getta una luce diversa sul pezzo di vita che abbiamo vissuto. Forse è questo quello che bisogna fare, pensare alla vita come ad un romanzo incompleto e impreciso, una storia sulla quale vale senz’altro la pena di mettere le mani. Così è stato e io ce le ho messe. Nella sentenza emessa dal giudice a dicembre dell’anno precedente, dopo la mia denuncia, si leggono le seguenti parole nella parte finale: P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., 163 c.p., si ritiene responsabile del reato a lui ascritto in epigrafe e ritenuta sussistente la recidiva contestata lo si condanna ad anni 1 di reclusione e € 600,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Avendo partecipato a tutte le udienze fui presente anche alla lettura della stessa. L’impatto delle parole del giudice, la stanchezza accumulata nei mesi della discussione del caso, l’importanza che la sentenza avrebbe avuto per il seguito della mia vita, furono come un peso che mi trovai inaspettatamente sopra le spalle e che piegandomi le ginocchia mi fecero ritrovare seduta. Sapevo essere la cosa giusta, ma quasi mai la testa e il cuore camminano sulla stessa linea. Il segreto per superare le difficoltà è farsi la pelle e il cuore 56


più duri di loro. Talvolta, i valori fondamentali possono anche entrare in conflitto tra loro. Per prendere una decisione, è probabile essere obbligati a dare priorità a uno dei due aspetti. E’ proprio questo l’iter che ho seguito. Prendiamo decisioni ogni giorno: parole e azioni sono il risultato di una decisione, che ne siamo consapevoli oppure no. Per nessuna scelta fatta, grande o piccola che sia, esiste una formula magica che ti dica con certezza che è quella giusta. Oggi dopo un epilogo non previsto, che ha permesso il proseguire di quella vita di cui ero ormai convinta aver messo un punto, posso solo dire che in quel momento era l’unica cosa che potevo fare, anche se non volevo farla. Occorre attraversare tutti gli strati della sofferenza per non averne più. Una vita che non lo fa non sarà mai vissuta completamente. Accompagnare “mio padre” nel suo ultimo viaggio è stato un Grande Dono. Essermi riavvicinata a lui gli ha permesso di andarsene in pace; allo stesso tempo mi ha dato la possibilità di vivere con serenità e ottenere le risposte che da lungo tempo cercavo e che ci sono state grazie al reciproco perdono. E’ stato un bellissimo periodo sebbene alquanto complesso, dato che una persona dinamica come era “mio padre”, si trovava ora a vivere in uno stato di completa staticità aggravato dalla sempre più presente non autosufficienza. Per questo motivo, che andava ad aggiungersi al suo già impetuoso carattere, non sono mancati scontri verbali 57


di cui erano spesso vittime anche le infermiere che lo assistevano con premura. Essendo diventato assai difficile l’uso del bicchiere per bere, utilizzammo la bottiglietta di plastica con la cannuccia. “FACCIO DA SOLO!!” … erano le parole che uscivano più frequentemente dalla sua bocca con un tono molto alto. Provavo inutilmente a rispondere “Dai Pà lasciati aiutare, altrimenti ti bagni tutto!!”. Puntualmente ero costretta a suonare il campanello per cambiargli la maglietta!! I giorni passavano insieme alla sua voglia di reagire; le sue ore di sonno erano sempre maggiori rispetto a quelle di veglia. Per cercare di ovviare a questo, provavo a sintonizzare la televisione sui programmi che sapevo essere di suo gradimento e gli domandavo. “Che ne dici di leggere un quotidiano, se non ce la fai te lo leggo io?” “ Come un mantra rpeteva: il Corriere dello Sport e Tutto Sport.” Riuscii ad esaudire il suo desiderio, grazie ai costanti e attenti assistenti che avevo al mio fianco. Il risultato però non era quello sperato, infatti dopo pochi minuti in cui venivano sfogliate e osservate le pagine, il giornale veniva puntualmente chiuso e la lettura rimandata a momenti migliori. Ancora peggiore era il momento del pasto, non solo per la mancata veglia, ma anche perché dovendosi sottoporre a trasfusioni che solitamente venivano fatte in quell’orario, lo obbligavano ad attendere almeno una 58


mezz’ora prima di cominciare il vitto. Avendo rotto ogni relazione sociale che aveva, io e mia sorella ci alternavamo per rendergli il ricovero il meno duro possibile. Io potevo concretamente fare molto poco, infatti erano i miei assistenti ad aiutarlo per alzarlo nel letto o per imboccarlo. È terribile vedere qualcuno stretto nella morsa del dolore, chiunque esso sia. Stare a guardare è una violenza, un’intrusione, una violazione. Eppure lo facciamo, dobbiamo farlo, bisogna solo imparare a sopportarlo, in un modo o nell’altro. Durante le interminabili ore in cui il silenzio faceva da padrone, mi è capitato di riflettere sui ricordi. Questi non sono paralizzati né saldati, ma possono essere trasformati, smontati e ricategorizzati ad ogni rievocazione. Essendo periodo estivo, l’ospedale era dotato di aria condizionata; il fresco generato ha aperto nella mia mente cassetti in cui avevo riposto le varie memorie di momenti diversi ma con gli stessi soggetti. Vedevo me e “mio padre” nella hall dell’hotel a cinque stelle in cui era solito portarmi, dentro la macchina in viaggio verso il mare, la camera dell’hotel in cui eravamo soliti trascorrere week-end estivi e poi l’immagine che fa battere forte il mio cuore: l’estate del 2003 ero io quella distesa nel letto d’ospedale e nella sedia accanto c’era lui durante le sue sporadiche visite. Per mio padre la diagnosi dei medici purtroppo era sempre la stessa, si stava manifestando l’ultimo stadio della grave malattia da cui era affetto ormai da anni, e si 59


parlava oramai solo di mesi se non settimane. Questo li portò alla triste decisione che essendo un paziente complesso, bisognoso di particolari cure e attenzioni non poteva tornare alla propria residenza ma doveva essere trasferito in una RSA. Tali strutture permettono lunghi ricoveri con l’assistenza adeguata per far in modo che la fine sopraggiunga senza troppe sofferenze. Nelle immediate vicinanze l’unico posto che lo poteva accogliere non aveva la possibilità di sottoporlo alle trasfusioni settimanali che erano necessarie. Per questo motivo fu programmato lo spostamento in un altro ospedale che al suo interno aveva un reparto adeguato al caso. La notizia mi fece arrabbiare e allo stesso tempo intristire moltissimo, dato che le mie operatrici sociali non erano autorizzate ai trasporti fuori dal Comune, dove era situata tale clinica. Le visite che giornalmente riuscivo ad organizzare si sarebbero ridotte al minimo, ma il pensiero più doloroso è che lui sarebbe stato sempre solo. Sbattere i piedi a terra,come ero solita fare? Piangere? Strillare contro chi aveva preso questa ingiusta decisione? La risposta a queste domande mi è sempre stata chiara: accettare la decisione e cercare di agire. Questa volta non fu possibile purtroppo. Il pomeriggio in cui era stato programmato il trasferimento, rimasi a casa in attesa e chiamai mia sorella la quale stava seguendo l’autoambulanza che lo trasportava, lei è stata al suo capezzale fino alla fine. Questo mi tranquillizzò e in attesa del giorno seguente in 60


cui sarei andata a trovarlo, cercai di rientrare nella mia quotidianità ignorando completamente la sorpresa che mi stava attendendo. In quel periodo ogni volta che vedevo nel display lampeggiare il nome Laura, indicando così l’arrivo di una chiamata da parte di mia sorella, mi si gelava il sangue e fortunatamente era sempre uno spavento inutile. Non questa volta. Alle 19.00 di quel giovedì pomeriggio risposi e tra lacrime e singhiozzi sentii queste parole: “Barbara … Barbara … il papà sta morendo”. Non riuscii a dire una parola, cercai di essergli accanto con il pensiero, con il cuore e con le preghiere. Il giorno successivo, così come avevo deciso, andai a trovarlo ma dato che la situazione si era completamente trasformata chiesi aiuto a mia zia. L’emozione che mi ha causato la visione del corpo esanime di “mio padre”, è stata talmente forte da creare scompiglio al mio già precario equilibrio emotivo. Dopo l’ultimo periodo in cui l’unico abbigliamento che gli era permesso prevedeva solamente una t-shirt bianca abbinata al pannolone, vederlo vestito in maniera elegante, contribuì profondamente al mio sentirmi turbata e smarrita. Grazie al premuroso intervento di mio fratello, l’abbigliamento scelto prevedeva un completo blu scuro, giacca e pantalone, una camicia bianca e la cravatta rossa. Era così che si è sempre fatto vedere: l’ordine e la pulizia erano le sue priorità. La giornata non poteva cominciare se prima non ci si faceva una doccia rinfrescante. Avendo partecipato ad altri funerali, pensai che nonostante la tristezza sarei riuscita a superarlo tranquilla61


mente. Non è stato esattamente così, il sacerdote stava dando l’estremo saluto anche ad una parte importante del mio cuore. Questo periodo mi ha permesso di non perdere di vista tutto ciò che è importante. È come … non lo so, vestirsi per una serata romantica, con abbinamenti incantevoli della stessa tonalità di colore delle scarpe e accorgersi a questo punto di non aver lavato i capelli o di avere una borsetta strappata. È questo che mi è accaduto: la giustizia va di pari passo al perdono. Spesso la vita si diverte: ci offre un diamante nascosto sotto la pratica dell’ufficio o sotto un tappeto, celato in una parola, in uno sguardo particolare. Bisogna afferrare al volo ciò che la vita ci offre al momento. A volte bisogna per forza passare oltre. E’ l’unico modo per andare avanti e finalmente riuscii a lasciarlo andare perdonando lui e me stessa.

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SOPRAV … VIVERE CONCRETAMENTE MA INTENSAMENTE Lo stress e il cuore infranto sono devastanti sul piano emotivo, ma non possono essere il motivo di una rinuncia ad affrontare i problemi, di alcun genere essi siano, anche se sono stati la causa scatenante. Le nostre vite cambiano, possono non essere più quelle di prima. Affrontiamo le nostre paure, accettiamo la sfida. La scomparsa di mio “padre” è stata devastante sul piano sentimentale, ma purtroppo anche dal punto di vista pratico. Come dire … in vita non è stato uno “stinco di Santo”! Le sorprese che ebbi furono numerose, portandomi alla ferma decisione di rinunciare all’eredità, seguita da mia sorella e mio fratello. Andare da un notaio avrebbe comportato un costo al momento non sostenibile, pertanto su consiglio di un legale prendemmo appuntamento alla Cancelleria del Tribunale. Prima di regolarizzare questo aspetto, ci trovammo di fronte una realtà imprevista. La villa in cui abitava “mio padre”, di cui io e mia sorella siamo proprietarie al 50%, è sprovvista di abitabilità, quindi invendibile allo stato attuale. Tutte le aspettative sulla possibilità di poter rendere migliore finalmente la qualità della vita erano crollate. Ma come è nel mio carattere, non potevo rimanere a terra e non provare almeno a rialzarmi, con meno fatica grazie all’ausilio di mia sorella la quale aveva già cominciato a “muovere le pedine”. 63


Il primo passo era quello di incaricare un tecnico per lo svolgimento delle pratiche necessarie alla regolarizzazione, anche tenendo conto dei tempi biblici della burocrazia. Essendo una situazione alquanto complessa sia dal punto di vista legale che sentimentale, decisi di farmi seguire da chi sa muoversi in questo campo. Furono due le “badanti” nel periodo scuro. Tra queste una ragazza, allora studentessa di giurisprudenza, oggi avvocato. Chi meglio di lei? Grazie al social network Facebook riuscii a contattarla mandandole un messaggio: “Ciao cara, purtroppo devo darti una brutta notizia. Da poco è venuto a mancare” mio padre” il quale ci ha lasciato in eredità una faccenda intricata, di difficile soluzione. Avrei bisogno di un consiglio legale, potresti aiutarmi?” Essendo fuori città, mi rispose con la promessa di contattarmi subito dopo il rientro. Dato che questa idea non fu bene accolta dalle altre parti in causa, l’idea fu momentaneamente accantonata. L’importanza rivestita da tale atto mi spinse ad organizzarmi un mese prima, soprattutto per raggiungere il tribunale che trovandosi in una zona a traffico limitato, rendeva l’arrivo assai difficoltoso. La mattina del giorno prima, precisamente alle 9.29, mi arrivò una telefonata. “Barbie buongiorno, devo darti una brutta notizia purtroppo. Domani mattina non posso accompagnarti!” Rimasi sconvolta, ma non potei far altro che prendere 64


atto del problema e cercare di risolverlo il prima possibile, nonostante riaffiorasse nuovamente quel senso di disinteresse che sentivo nei miei confronti. Presi immediatamente il cellulare e la prima persona a cui mi rivolsi fu mia zia che sentendo la mia voce lamentosa non esitò a dire: “Stai tranquilla, ti accompagno io!! Partiamo un po’ prima per non incorrere in situazioni spiacevoli”. Puntuale alle 8.00 della mattina successiva mi venne a prendere. Per ovviare al problema della limitazione del transito in quella zona, decidemmo di lasciare l’auto nel parcheggio che si collega al centro storico tramite un ascensore. La sorpresa fu inattesa e spiacevole … … il parcheggio era in ristrutturazione!! Questa volta fu mia zia ad andare in panico: “Oddio!! Non c’è più il parcheggio!! Come facciamo ora??” Non feci affiorare alcuna debolezza, malgrado lo smarrimento in cui mi trovavo. “Tranquilla torna indietro, all’uscita della galleria c’è un posto riservato ai portatori di handicap, la lasciamo lì e saliamo con l’ascensore del mini metrò”. “Va bene, speriamo che sia libero”. Dopo mezz’ora ci trovavamo nella sala d’attesa della Cancelleria, dove si trovavano già mia sorella e mio fratello. Puntualissima l’impiegata ci fece accomodare in un ufficio in cui la prima cosa che saltò agli occhi, fu la notevole presenza di scartoffie. Le due scrivanie disposte una a destra e una a sinistra 65


della porta d’ingresso erano sepolte da pratiche in attesa di archiviazione. Ci trovammo di fronte una signora di mezza età con una corporatura robusta, capelli biondi e occhi marroni nascosti da occhiali con la montatura rossa e cinturino dello stesso colore che ci fece accomodare di fronte a lei. Dopo averle consegnato le nostre carte d’identità e aver pagato i diritti, venne il momento più duro da affrontare … la firma della rinuncia la quale avrebbe confermato il passato non molto lodevole di “mio padre”. Finalmente era stato messo un punto e virgola ad una situazione estremamente complicata. Per “addolcire la pillola” andammo a fare colazione alla famosa latteria del posto. Pasticcini, maritozzi con la panna e cannoli al cioccolato ci accolsero calorosamente insieme al proprietario il quale ci servì caffè e cappuccino. Da una parte mi stavo liberando di un grande peso, ma un altro carico era già pronto per essere caricato nelle mie spalle. La settimana successiva alla stipula dell’atto, vedo illuminarsi il display del cellulare che indicava il numero del centralino del Comune. Risposi: “Pronto?” “Buongiorno sig.ra Gentile sono l’assistente sociale che si occupa dell’assegnazione del suo alloggio”. “Si buongiorno, mi dica”. “Con il decesso di suo padre, lei e sua madre siete venute in possesso di un’abitazione di conseguenza non sussistono più i presupposti per stare nell’alloggio”. “Non so dove avete preso informazioni, ma la casa al 66


momento non è’ abitabile”. “Vorrei infatti capire la situazione, ci possiamo incontrare?”. “Non la posso aiutare, contatti la mia assistente sociale”. “Si, ma lei chiederà la sua presenza”. “Non si preoccupi, a quel punto ci sarò, arrivederci”. “Arrivederla”. Ero ben cosciente di non essere stata malleabile, ma poiché stavo ancora cercando di superare la perdita non potevo neanche avvicinarmi al pensiero di rimanere anche senza un tetto sopra la testa. Il periodo precedente aveva compromesso il già precario equilibrio faticosamente conquistato con il duro lavoro di recupero.

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RIAPRIRE LA FERITA, PULIRLA, DISINFETTARLA E GUARIRLA …”Tu pensi che medicando la ferita risolvi, ma devi cercare un chirurgo!!” Queste parole mi sono rimaste in testa, come se fossero incise nella mia mente. Sono oramai passati circa dieci anni da quando le sentii dire dalla mia allora collega, ma al loro pensiero è come se me le stesse sussurrando nello stesso istante. La conobbi durante una delle mie numerose borse lavoro, ma nacque immediatamente una forte empatia fra noi. Era il periodo in cui si stava svolgendo il processo a “mio padre” quindi in lei trovai una eccellente confidente, in grado altresì di trasmettermi il conforto di cui avevo bisogno in quel momento. Percepiva la mancanza nella mia vita di una figura che si prendesse cura di me, che si prendesse le giuste responsabilità. E’ proprio trattando questi argomenti che mi dette il suo parere. Le raccontavo i miei “innamoramenti”, che portavano solamente un breve sollievo grazie alla cura e pulitura momentanea della ferita. Mi consigliò di parlarne con qualche sacerdote, così decisi di fare una passeggiata al convento vicino casa, dove nel chiostro mi trovai di fronte un ragazzo di mezza statura, capelli e occhi castani nascosti da semplici occhiali con in mano una busta di latte che indossava un saio color marrone. Non persi tempo e subito lo fermai. “Ciao scusa, cercavo qualcuno con cui poter parlare”. 68


La domanda era un po’ vaga, ma dato che stavo parlando con un uomo di Dio, ero certa che mi avrebbe compreso. “Chi cerchi scusa?” “Guarda, io sto vivendo una situazione molto particolare e ho bisogno di sfogarmi”. Mi capì subito, infatti mi rispose. “Sì, ho capito, c’era anche nel Vangelo, di quella signora che le aveva provate tutte, ma non trovò una soluzione, quindi...” “Ecco, me lo immaginavo che avresti capito al volo quale era il problema”. “Vieni, che intanto ti faccio vedere la cappellina”. “Grazie”. Lo seguìi, ed entrammo in una cappellina in cui spiccava un bellissimo crocifisso. L’altare era coperto da un lenzuolo bianco e sopra vi erano adagiati due vasi di rose bianche, una candela e un leggio, con appoggiata sopra la Sacra Bibbia. Di fonte vi erano due file di panche in legno, utilizzate per la Santa Messa, disposte in linea verticale. L’altare e le panche erano divise da due scalini in marmo bianco. Si respirava un’aria di pace e tranquillità, che solo posti come quello sanno donare. Il frate, che poi si presentò come Fra Paolo, mi rivolse lo sguardo e mi disse: “Ti piace?” “Si molto, quando sono qui dentro, mi sento al sicuro”. Rimanemmo per qualche minuto ad ammirare lo splendido crocifisso, poi Paolo disse: “Ti do i recapiti telefonici dei frati che abitano in questo convento, così puoi confidarti e trovare sollievo”. 69


Capire se stessi costa, rendersi conto e accettare cose che hai sempre saputo, ma hai deciso di respingere forse per difenderti da quel dolore forte, è difficilissimo. Bisogna cercare di far rimanere intatta almeno una parte dell’anima ferita e medicarla nel miglior modo possibile. La fuga non è la risposta, perché scappare significa volersi allontanare da qualcuno o da qualcosa, ma la fonte del nostro tormento ci seguirà sempre, ovunque andiamo. Anziché scappare da un fatto che è accaduto, bisogna affrontarlo per poi cercare di superarlo. La perdita di “mio padre” ha evidenziato il disagio che da anni stavo affrontando, rientrare in quella “casa” così angusta che diminuiva di superficie con il trascorrere degli anni, neutralizzava tutti gli sforzi della giornata per ottenere un miglioramento sia sul piano fisico che emotivo. La solitudine di questi anni ha incrementato tale necessità, portatomi a chiedere un aiuto dall’Alto. L’abbandono ferisce l’anima, rompe tutti i sentimenti e le relazioni che solo l’Amore può provare ad aggiustare. La richiesta è sempre stata la stessa: un Principe Azzurro, qualcuno che si prendesse cura di me e del mio cuore, ma la risposta l’avevo già, mi è sempre stata davanti e non l’avevo vista. Quando un malessere affettivo esiste, ma non ce ne rendiamo conto, esso può trovare una via d’uscita, una forma di espressione, attraverso il corpo e/o una malattia fisica, in assenza di una reale causa medica. E’ stata questa la risposta che sono riuscita ad ottenere dopo aver navigato in rete per trovare una spiegazione alla “prova” affidatami dall’Alto. In questi anni le diagnosi che le mie orecchie hanno 70


sentito sono state numerose, ma nessuna di queste ha rimosso i miei dubbi. La vita di tutti è spesso problematica e le difficoltà a volte appaiono insormontabili. Ognuno ha un “limite”, oltre il quale un semplice ostacolo diviene “problema”.

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UNA VALIGIA PIENA … Il bagaglio che mi porto dietro da alcuni anni ha tutti gli scomparti pieni, è quindi ora di vuotarlo per affrontare un nuovo viaggio, quello verso la felicità. Non è importante solamente raggiungere la meta, ma arricchirsi durante il percorso, infatti grazie a questo sono tornata diversa dal lungo percorso affrontato negli anni precedenti. Può sembrare scontato dire questo, dato che la Commissione Invalidi Civili mi ha dichiarata diversamente abile, ma non era questo ciò che intendevo. Il mio viaggio è cominciato il 27 febbraio del 2003 quando mi sono dovuta allontanare da me stessa, per diventare “ciò che sono” oggi grazie a ciò che ho appreso e ha fatto parte di me durante tutto il tragitto. Nel disfare la valigia ci si deve ricordare la regola d’oro: un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto, di conseguenza nei miei comportamenti si vedono i “souvenir” del viaggio. Tra questi un posto di rilievo lo riveste il coraggio, quella forza d’animo che permette di affrontare, dominare, subire situazioni scabrose, difficili, avvilenti, e anche la morte, senza rinunciare alla dolcezza e all’Amore per la Vita. Da una parte affrontavo e accettavo che alla fine, anche l’ultimo dei giganti, il re del mio mondo, il grande amore della mia vita si fosse arreso e, nel frattempo, aprivo il mio cuore alle emozioni che mi arrivavano grazie alla presenza di due persone in particolare. Una di queste, era già riuscito a incrinare la dura scorza che oramai si era formata attorno al cuore. 72


Parlo del mio collega, alias “scalino” che il cuore si trovava a superare durante il tirocinio formativo, dato che la sua presenza costante metteva a dura prova il mio già precario equilibrio sentimentale. Le belle sensazioni non scaturivano solamente dai suoi comportamenti, ma anche dai suoi atteggiamenti delicati e pazienti con i quali riusciva a tirare fuori il meglio di me. Il suo compleanno cade in un mese in cui era attivo lo stage, così avendo ridotte risorse economiche ma notevole voglia di ricordare in qualche modo questo giorno, riuscii a portare a termine un pensiero assai articolato. L’oggetto della sorpresa fu di facile individuazione dato che è un amante del sushi, il piatto tipico giapponese; pensai che questo sarebbe stato un regalo sicuramente molto gradito. La prima idea fu quella di acquistare un buono per consumare un pasto presso un ristorante. Poi però un’idea illuminante mi balenò la sera stessa mentre ero comodamente distesa a leggere. Mi precipitai immediatamente alla scrivania e accesi il computer. Trovai in internet un’immagine che potesse identificarmi; il volto stilizzato di una bimba con il dito in bocca (era questa la posizione che tenevo costantemente quando il ragionamento allontanava i miei occhi dallo schermo del computer). Sarebbe stato il segno distintivo che avrebbe accompagnato tutto ciò che la mia mente stava architettando. Per prima cosa preparai personalmente un buono da consegnargli la mattina in ufficio. 73


Scaricai l’immagine e la resi di dimensione adatta. La inserii come marchio distintivo a cui aggiunsi il seguente testo: BUONO DEGUSTAZIONE SUSHI: Sashimi, Onigiri, Nigiri, Temaki, Uramaki. Da utilizzare entro il 31/12/2017 presso Via... – 2° piano... Per info e prenotazione telefonare al numero... Il giorno seguente stampai il simbolo in varie grandezze, e lo ritagliai lungo i bordi così da farlo diventare un elemento caratterizzante. Per renderlo tale, decisi di recarmi al negozio più vicino per acquistare tutto il necessario per rendere reale l’idea architettata, così fu … ed uscii con due buste. A questo punto ero in possesso dell’indispensabile e il passo successivo era quello di unire il tutto per creare così un kit personalizzato con cui avrebbe consumato il pasto. I numeri di telefono sono i miei e il luogo dove sarebbe avvenuta la consegna è l’ufficio dove è impiegato e dove io svolgevo lo stage due volte la settimana. Come sperato un pomeriggio sentii squillare il cellulare e comparve nello schermo il suo numero, che avevo salvato in rubrica. Risposi … “Plonto?” “Buonasera chiamo per il buono ricevuto. Vorrei ordinare sushi per lunedì prossimo”, esordì lui. “Celtamente, che desidela da bele?” “Grazie, ma lo porto da casa” Era difficile mantenere la serietà e soprattutto la finta parlata cinese. Nonostante fosse a conoscenza dell’identità dell’interlo74


cutore, fu bravissimo a mantenere il gioco anzi mi era d’aiuto per proseguire la conversazione. “Pelfetto, lunedì le salà consegnato il tutto. Mi faccia sapele se è stato di suo gradimento. Glazie e allivedelci”, dissi per salutarlo. “Grazie a lei. Sarà mia cura darle notizia lunedì stesso”. Chiusa la telefonata, sostituii la mia foto sull’account WhatsApp con la foto stilizzata che avevo usato per creare il buono e gli inviai il seguente messaggio: “Buonasera Le confermiamo la prenotazione per lunedì 13 novembre”. Fortunatamente quel giorno dovevo sottopormi ad un controllo medico, avendo così l’opportunità di acquistare sushi fresco. La scelta ricadde su un ristorante conosciuto in zona, dove mi recai personalmente. Una giapponese abbigliata con la divisa del ristorante mi accolse e mi consegnò il menù, dove potevo ordinare le pietanze da portare via. Il buono indicava chiaramente i piatti che avrebbe potuto degustare, ma non avendo considerato né la quantità né il prezzo complessivo del dono, optai per la barca, costituita da una composizione di sushi e sashimi con tonno, salmone, branzino, gambero crudo e hosomaki. La consegna diede avvio ad una serie incontrollata di risate, dato che per facilitare il mio accompagnatore non lo lasciai solo. Il dubbio divenne realtà quando scoprì che l’ideatore del regalo ero io. La pioggia di emozioni non era part-time, non si fermava soltanto alle ore mattutine in cui svolgevo il tirocinio, ma proseguiva “ad oltranza”. 75


Dopo numerosi avvenimenti che hanno portato cambiamenti logistici al Centro socio-culturale dove risiedo, la gestione del bar è affidata ad un ragazzo moro, fisico atletico e sguardo rigido ma allo stesso tempo caldo e compassionevole. Prendere il caffè dopo pranzo era diventato un piacevole vizio. Essendo ancora in cura per debellare la dipendenza affettiva che ormai da anni mi accompagnava, ho spesso frainteso la simpatia che ci legava spingendolo ad una chiusura nei miei confronti. Il limite l’ho toccato quando seduta al mio solito tavolino, lo vedevo flirtare con una ragazza venuta a fargli un saluto. Ho evitato scenate davanti a loro quindi sono salita in casa, dove a farne le spese fu il mio vicino venuto gentilmente a risolvere un problema che gli avevo esposto nel pomeriggio. Il giorno successivo “vuotai il sacco” dato che mi fu chiesto il motivo del mio comportamento alquanto aggressivo. “Potrei sapere cosa ti è successo ieri che eri così arrabbiata?” mi è stato domandato. “Scusami tanto ma non ce l’avevo con te, sei sfortunatamente capitato al momento sbagliato!”ho tranquillamente risposto. Il pomeriggio era abitudine fermarmi al circoletto dove il gestore e il mio vicino erano soliti fare quattro chiacchiere. Questa volta l’argomento era il mio brutto comportamento e nel sentire che parlavano di me, il gentile ragazzo si trasformò improvvisamente in una persona ostile. Sentendomi ferita, lo guardai e gli dissi: “Guarda che sei tu la causa del mio nervosismo!” 76


“Io?” “Si caro, proprio tu”. “Potrei sapere il perché per favore?” Con la coda dell’occhio vedevo nel viso del mio amico un impercettibile sorriso fra le labbra. “Perché sono gelosa!” dissi tirando fuori tutto il coraggio che avevo. “Gelosa?” rispose lui ridendomi e guardandomi negli occhi. Anche se aveva uno sguardo direi impenetrabile, riuscii a percepire un’estrema dolcezza che ogni volta era una carezza dell’anima. “Si sono gelosa di te. Ieri pomeriggio quando è venuta a trovarti la moretta, hai riservato a lei tutte le attenzioni!” “Ma sei fuori di testa?”, mi rispose con uno sguardo basito. “Mi dispiace ma è così. Non sei tu il problema, è la mia mancanza di affetto”. “Mancanza di affetto?” Lo vedevo sempre più sbalordito della conversazione, anche questa volta avevo inscenato un film in cui ero la protagonista. Il guerriero che depone le armi e alza bandiera bianca, questo ero ai suoi occhi. Un guerriero che non ha mai abbassato la testa, conscio del fatto che, altrimenti, avrebbe perso di vista l’orizzonte dei suoi sogni. Sogni custoditi gelosamente nel cuore e nella mente, risalenti a dieci anni fa, vivi e pulsanti come allora. Hanno sempre influito in ogni scelta portando anche sofferenza e tristezza, ma erano finalmente giunti al bivio: realizzarli o accettare la differente realtà e amare da lontano, come si fa con le stelle, in silenzio. 77


… IN ATTESA … “Lo sa come si fa a riconoscere se qualcuno ti ama? Ti ama veramente, dico? Non ci ho mai pensato. Io si. E ha trovato una risposta? Credo che sia una cosa che ha a che vedere con l’aspettare. Se è in grado di aspettarti, ti ama.” (Alessandro Baricco) Queste sono le parole migliori che ho trovato per descrivere questo sogno/desiderio che dal momento della sua nascita è divenuto la mia ombra. Ad un attento lettore non sarà sfuggita la continua ricerca di una figura maschile, influenzata negativamente dalla presenza di questa “illusione” in grado di sostenermi per continuare il cammino sentendo il meno possibile il peso delle difficoltà. Tale necessità è esplosa precisamente nell’anno 2008 quando il Caso si divertì a intrecciare le abitudini di due persone. Quelle persone eravamo io e l’attuale tirocinante fisioterapista il quale, per rendere più efficace la terapia, mi confermò l’esistenza del vero Amore. Le poche ore trascorse insieme mi portarono a capire che tra di noi c’era un legame forte, grazie all’enorme sensibilità appartenente ad entrambi. Il tutto era fortificato dallo scambio di messaggi altrettanto forti. “Solo Dio sa se sono troppo piccolo per aiutarti”. Questa fu la sua risposta alle mie continue critiche alla sua giovane età. La confusione sorse però quando mi arrivarono parole tranquillizzanti sul futuro, ad esempio del tempo che 78


avremo avuto per parlare o delle attenzioni che avrei ricevuto. La “bomba” scoppiò quando con sicurezza affermò che ero sua. Tra noi regnava quella tranquillità che ti fa credere di stare accanto ad una persona conosciuta da sempre. Il feeling era percepibile anche nei discorsi più profondi, quelli che avevano come argomento principale un rapporto di coppia. La mia allora condizione fisica, rendeva però impossibile qualsiasi tipo di legame dato che avevo bisogno di una badante che mi aiutasse nelle più semplici operazioni di vita quotidiana. Questo lo spinse ad allontanarmi per il mio bene per permettermi di concentrarmi esclusivamente su me stessa. Tale decisione fu presa anche dopo l’esito della conversazione sostenuta con la terapista che conosceva entrambi. La separazione fu causa di rabbia e tristezza, avevo trovato finalmente la persona che da sempre cercavo. Perché se ne era andato? Perché non stava con me? Il mio stato di salute continuava a condizionarmi e a portarmi in quei posti bui da cui è molto difficile uscire. Non accettai di buon grado tale separazione, continuai per alcuni mesi a chiamarlo, mandargli messaggi, insomma provai in tutti i modi possibili a fargli cambiare idea, ma inutilmente. Era irremovibile, sicuro di sé e convinto della sua scelta. Sono passati esattamente dieci anni dalla sua conoscenza e questo tempo lo ho vissuto con il suo pensiero fisso e 79


finalmente ho imparato che l’amore arriva al momento giusto, che la maturità viene gradualmente, che la famiglia è tutto, che i buoni amici sinceri sono pochi, che i giorni migliori verranno sempre e soprattutto che la felicità varia a seconda delle scelte che si fanno. Troppo spesso siamo talmente concentrati sulle nostre esperienze passate e sui nostri progetti da dimenticare che il tempo presente è l’unica certezza che abbiamo per realizzare i desideri più intimi. Recentemente navigando nei social network l’attenzione mi è caduta su una frase in particolare: “Se il vostro karma è di unirvi, succederà comunque. Se non lo è, niente che tu possa fare sarà in grado di modificare il corso della vita”(Isabel Allende) Leggendola e rileggendola finalmente ho accettato che solo il tempo potrà rispondere alle mie domande e mi metterà accanto la persona giusta nel momento giusto. Nel frattempo potevo concentrarmi esclusivamente sulle difficoltà che ormai da anni mi opprimevano. Le circostanze erano favorevoli, l’agenzia dove si stava concludendo il mio percorso di formazione aveva indetto tre concorsi per l’assunzione a tempo pieno ed indeterminato per un totale di n. 6 unità di personale con varie mansioni. Nonostante il mio curriculum formativo si avvicinava solamente alla figura richiesta da uno di questi, istruttore amministrativo, decisi di intraprendere questa prova nella sua totalità dato che rientravo nei requisiti richiesti. Raccolta la documentazione richiesta con l’aiuto fondamentale del mio “angelo del lavoro”, colei che aveva seguito tutto il mio percorso di integrazione lavorativa, presentai le domande e cominciai a pensare al passo 80


successivo, quello di mettere insieme testi e dispense necessarie per superare la prova orale dove a giudicarmi sarebbe stata nuovamente una Commissione. Sentendo tale parola, mi si gelò subito il sangue dato equivale a giudizio e conseguentemente ad un cambiamento, sia positivo che negativo. Il primo aiuto venne da una mia collega/amica la quale mi consegnò un cd contenente tutti i riassunti e le spiegazioni delle leggi inserite nel bando di selezione. Il successivo aiuto provvidenziale arrivò dalla zia e da una mia compagna del burraco. La prima essendo una dirigente dei servizi sociali in pensione mi aiutò moltissimo nella spiegazione delle gare d’appalto, materia presente in due dei tre concorsi. Il primo appuntamento fu di venerdì mattina, giorno in cui non devo eseguire il tirocinio. “Buongiorno Barbie, entra pure ”, mi disse la zia accogliendomi alla porta. “Ciao Mari, buongiorno a te” le risposi entrando e appoggiando i libri sopra il tavolino in cui aveva già preparato il computer, fogli e penne. Fui però immediatamente bloccata. “Prima di cominciare prendiamo il caffè? Ho una veneziana che possiamo dividere a metà”. “Grazie, mi sembra un’idea fantastica e un buon inizio”. Dopo aver gustato la colazione e aver fumato l’immancabile sigaretta, la zia indossò i suoi occhiali rossi e ha iniziato la lezione. Da persona attenta e premurosa quale è, si presentò con delle dispense fatte da lei personalmente in cui riassumeva in modo semplice e comprensibile i punti fondamentali delle materie previste dal bando di concorso. 81


Dopo una spiegazione esaustiva passò alle domande per accertare l’esito di questa. II riscontro positivo, ci dette la possibilità di completare il tutto prima di pranzo. Per la prova di Istruttore Amministrativo mi appoggiai invece alla signora Dina, dirigente amministrativa per trenta anni in un ente pubblico. Con lei affrontammo la materia della contabilità pubblica fino alla redazione del bilancio. Con enorme pazienza oltre alle nozioni teoriche, mi furono dati degli esempi pratici sui quali trovai l’apertura mentale necessaria. La selezione prevedeva una prova orale sulle materie indicate nel bando, l’accertamento sulla conoscenza della lingua inglese e dell’informatica. Le difficoltà previste dalle materie d’esame furono affrontate in maniera graduale, grazie al calendario delle prove che vedevano per me la più semplice al primo posto. La sede in cui si svolgevano gli esami era di mia conoscenza, dato che per ogni mattina da un anno mi recavo lì per svolgere le ore di tirocinio extracurriculare. In seguito alle firme di identificazione, i membri uno dopo l’altro mi esposero una domanda a cui risposi cercando di essere il più esauriente possibile. L’accertamento sulla conoscenza dell’informatica prevedeva di prendere un biglietto dentro un contenitore, a cui era collegata una domanda, il che non era fonte di preoccupazione. Lo era invece la prova sull’accertamento sulla padronanza della lingua inglese dato che l’esaminatore era di madrelingua e quindi di difficile intendimento. Mi sono ritrovata di fronte un uomo di mezza età, capelli 82


biondi, occhi azzurri e sorriso stampato su un viso a prima vista sereno. Sedeva al termine della scrivania e teneva di fronte un insieme di fogli ed una penna, che sarebbero stati gli strumenti necessari a valutarmi. “Good morning”, fu la frase che mi accolse. “Good morning”, gli risposi. Successivamente mi sottopose le domande di rito, come stavo, da dove venivo e così via. Fino a questo punto riuscii a sostenere la conversazione senza alcun problema. Passò poi a domande più importanti, a cui riuscii a rispondere anche se alquanto incerta. La fortuna era che anche se ogni procedura prevedeva la prova sulla padronanza della lingua straniera, l’esaminatore era la stessa persona. Dopo aver sostenuto l’esame ci venne rilasciato un foglio in cui veniva indicato il codice identificativo con cui consultare il sito internet su cui sarebbe stato pubblicato l’esito. Il primo “step” era risultare idoneo. I giorni successivi mi collegai quotidianamente per controllare. Dopo circa una ventina di giorni ci fu la risposta. L’attesa è sempre stata un punto dolente del mio carattere e nonostante le esperienze passate, che avrebbero dovuto darmi un grande insegnamento, lo era ancora. Mentre aprivo il link dei risultati, il cuore iniziò ad accelerare energicamente, ma tutto si stabilizzò quando i miei occhi videro sotto la parola IDONEO il mio codice. Come immaginavo non ero risultata idonea alla prova per la mansione di Istruttore Tecnico. 83


Sarebbe stato difficile ricoprire quel ruolo, dato che la figura in questione avrebbe dovuto effettuare sopralluoghi nei posti di lavoro. Un primo sospiro di sollievo lo avevo tirato, anzi per me era già un notevole traguardo al percorso fatto durante questa lunga convalescenza. Questo anno trascorso come tirocinante mi ha fatto crescere mentalmente e mi ha permesso di mettermi in gioco nuovamente, cosa che per anni ritenevo impensabile. In cuor mio però sapevo che non era sufficiente; un posto di lavoro fisso avrebbe modificato radicalmente la qualità di vita. Non mi restava altro che aspettare nuovamente!

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… DI PRENDERE IL VOLO … La vita è piena di opportunità, bisogna solo saperle cogliere. Una volta chiusa la porta e riflettuto sui fatti che vi hanno condotto alla situazione attuale, arriva il momento di scoprire nuove opportunità e di godere del mondo che si apre davanti agli occhi. Ci sono ancora molte cose da fare, molte porte da aprire, avventure da vivere, persone da conoscere, lavori da iniziare, città da visitare! Come “ricompensa”, ho ricevuto un Dono grandissimo in un periodo molto importante, mi è stata data la possibilità di conoscere Silvio Muccino il giorno di Pasquetta. Avevo questo desiderio da alcuni anni. In verità il mio sogno era quello di conoscere il fratello Gabriele, regista del film che mi ha toccato profondamente “Padri e Figlie”. Padri e figlie è una storia d’amore tra un padre e una figlia che vivono a New York City. Il primo, romanziere premio Pulitzer rimasto vedovo, lotta contro un serio disturbo mentale mentre cerca di crescere nel miglior modo possibile la figlioletta Katie di 5 anni. 25 anni dopo, Katie è una splendida ragazza che vive a Manhattan, da anni lontana dal padre, combatte ancora i demoni della sua infanzia tormentata e l’incapacità di abbandonarsi ad una storia d’amore. La sensibilità e la profondità con cui venne trattato questo delicatissimo tema, mi hanno spinto alla ricerca del regista, realtà difficilissima in quanto la sua residenza è in America. 85


Dopo inutili tentativi, ho deciso di chiudere a chiave il cassetto in cui avevo segretamente rilegato tale fantasia. Mentre stavo cenando tranquillamente, una voce ha investito le mie orecchie come un fulmine a ciel sereno: “…Silvio Muccino rilascia un’intervista dal comune di Todi, piccola cittadina umbra in cui l’attore risiede da due anni…” Essendo un’anticipazione al telegiornale, ho atteso pazientemente il servizio completo. In questi due anni di permanenza nella verde cittadina, l’attore aveva affrontato un duro lavoro su se stesso, una forte introspezione che lo aveva portato fino alla scrittura di un libro che sarebbe stato presentato il Lunedì dell’Angelo presso il Comune di Todi. Ricevetti così le informazioni necessarie per poter provare a raggiungerlo, ma grazie alla mia caparbietà non mi fermai a questo. Grazie al prezioso contributo di un Amico, sono riuscita ad ottenere la prenotazione in seconda fila per tale evento anche per la mia accompagnatrice. I giorni precedenti l’evento furono interminabili: la sola idea di conoscerlo personalmente mi creava grande agitazione. Trattandosi di una presentazione, il primo pensiero fu quello di leggere il libro oggetto dell’evento. Mi adoperai immediatamente per l’acquisto, fortunatamente il primo tentativo che feci alla mia libreria di fiducia, andò a buon fine. I tempi per la lettura erano stretti, ma ciò non si rivelò un problema dato che la modalità di elaborazione era di facile comprensione e il contenuto estremamente interessante. 86


Più andavo avanti con la lettura, più trovavo similitudini con la mia esperienza dato che il protagonista e i personaggi rivestivano figure forti ma al tempo stesso fragili. Terminai il romanzo due giorni prima, ebbi così occasione di formulare domande che gli avrei rivolto personalmente. Le buone condizioni meteorologiche del periodo mi permisero di indossare l’abbigliamento adatto all’occasione: un vestitino nero avuto come regalo di compleanno e scelto in maniera molto accurata. Abbinai collant neri e stivaletti dello stesso colore. La temperatura richiedeva però di indossare un maglioncino e su consiglio della mia amica mi portai anche un giacchetto dato che il paese di Todi è situato in una posizione dove la sera di solito fa freddino. Con attenzione e premura truccai molto delicatamente gli occhi e per finire indossai degli orecchini particolarmente allegri. La discussione era prevista per le ore 18.00 e dato che il tragitto richiedeva una quarantina di minuti, decidemmo di partire alle 16.30 per permetterci la sosta caffè e per risolvere eventuali difficoltà. La felicità che mi stava attaccata addosso da parecchi giorni ebbe un blocco alla visione della scalinata che mi distanziava dalla realizzazione del mio desiderio. Essendo un giorno festivo erano chiusi gli uffici dotati di ascensore, quindi l’unica soluzione era quella di raggiungere la sala a piedi. La mia enorme caparbietà, la grande volontà e l’aiuto provvidenziale di un passante, mi aiutarono a raggiungere l’obiettivo. 87


L’evento si svolgeva nella “Sala delle Pietre”, una delle sedi espositive più prestigiose della città situata all’interno dei Palazzi Comunali, tornata al suo splendore dopo gli interventi di riqualificazione e di adeguamento funzionale. Ci accolsero calorosamente gli organizzatori i quali, consultata la lista in loro possesso, ci indicarono i nostri posti che erano estremamente vicini al tavolo dove si sarebbe seduto Silvio. Da personaggio famoso quale è, il suo arrivo fu annunciato con un forte applauso e la parola “ Eccolo……!!”. Grazie all’ambiente raccolto, alla mancanza di telecamere e alla gentilezza dello staff, tutto aveva un aspetto caldo e rassicurante. La presentazione fu tenuta anche dalla sua aiutante già conosciuta al suo fianco. Per rendere il tutto ancora più familiare, si sedettero entrambi sul tavolo anche se la premessa fu fatta solamente dalla signora, la quale alla fine presentò lo scrittore. L’opportunità a mia disposizione andava sfruttata fino alla fine, quindi raccolsi tutto il coraggio a mia disposizione per alzare la mano, chiedere il microfono e fare una domanda che mi avrebbe finalmente permesso il contatto diretto con l’interlocutore. Avere i suoi occhi piantati nei miei, faceva scivolare in secondo piano tutto il resto, avere le sue attenzioni anche per un tempo molto limitato fu un grandissimo regalo e lo fu ancora di più, quando ebbi l’onore di conoscerlo. La felicità non ha prezzo, ma ha regole, e tra di esse c’è quella di essere coraggiosi e osare. Vivere significa avanzare, mettere un piede davanti all’altro mentre il 88


nostro cuore si apre a nuove opportunità con una buona dose di forza e coraggio. Ecco era arrivato il momento di andare avanti e l’occasione giusta mi era venuta a cercare e mi aveva trovato. Quest’occasione aveva il nome di “progetto di vita indipendente”!! Un percorso ideato per rendere il più autonomi possibile, le persone affette da disabilità. La singola persona presenta ad una Commissione composta da diverse figure mediche, un progetto che se rispetta determinati requisiti, viene finanziato per un certo periodo. Mi sono subito adoperata per concretizzare tale idea, raccogliendo tutte le informazioni e i contatti necessari. La referente, già di mia conoscenza, si dimostrò ben disposta nei miei confronti quando mi recai al colloquio: “Ciao Barbara, accomodati pure, ti presento le altre persone impegnate per l’erogazione del contributo.” Mi presentai con tutti, presi posto nella sedia che si trovava davanti e ascoltai attentamente la spiegazione. Prese la parola l’organizzatrice: “ La Regione stanzia un contributo per un massimo di 18 mesi a sostegno delle persone affette da disabilità con lo scopo di fargli acquisire maggiore autonomia. Per accedervi è necessario presentare un piano in cui si giustifichi l’assegnazione di questi soldi, a tale proposito ci sono dei moduli da compilare e consegnare il prima possibile all’ufficio addetto o spedire tramite raccomandata A/R o tramite posta elettronica certificata. Troverai anche una copia dell’avviso di riferimento, in 89


cui sono indicati le modalità e i tempi di esecuzione”. Ringraziai avendo già in mente il programma da seguire per ottenere tale beneficio. Per prima cosa mi recai al bar dove con l’aiuto dell’operatrice sociale riempii i modelli che sarebbero stati spediti per posta il giorno successivo. Dopo aver inserito i dati anagrafici e l’attuale condizione di vita, passai a stilare la mia proposta al fine di risultare idonea. La prima parte prevedeva la volontà di andare a vivere da sola di conseguenza il primo passo era quello di trovare un’abitazione conforme alle attuali difficoltà. La spesa dell’affitto sarebbe stata coperta da una quota pari al 40% del versamento. Nonostante la ricerca fu molto articolata, nessuna casa vista copriva appieno le mie esigenze. Le difficoltà maggiori le incontrai nell’unire la località, che doveva rimanere la stessa della mamma, il prezzo del canone d’affitto e l’assenza di scale. I continui “buchi nell’acqua” e la consapevolezza che una componente importantissima, nella vita e nella felicità di tutti i giorni, è la qualità degli spazi che viviamo, mi hanno portato a chiedere aiuto alle agenzie immobiliari della zona. La nostra casa può diventare esattamente ciò che vogliamo: un rifugio dove isolarci dal caos di tutti i giorni, il focolare domestico centro della nostra vita famigliare, la nostra vetrina da esibire ad amici e conoscenti. Come se fosse la risposta a questa idea, al momento solo mentale, fui accompagnata dalla zia a vedere quella che sarebbe poi diventata la casa ideale in quanto in possesso 90


delle otto caratteristiche imprescindibili che deve avere la casa dei sogni: 1. GIUSTE DIMENSIONI: ovvero che lo siano per me. Trattandosi di un locale di circa 25 mq., a prima vista può sembrare troppo piccolo, ma dato che l’handicap motorio è ancora presente, queste dimensioni sono giuste per le mie esigenze; 2. BUONE CONDIZIONI DELLA CASA: non cercavo una casa nuova, ma ero interessata allo stato in cui si trovava e al livello di tecnologia; 3. BUON RAPPORTO CON I VICINI: questo punto non è stato preso in considerazione al momento della decisione dato che non ho avuto la possibilità di accertarmi della loro presenza; 4. SONNO DI QUALITA’: nonostante in una zona servitissima e centrale, è stata ricavata dalla divisione di una villa situata in una via molto tranquilla; 5. CLIMA INTERNO CONFORTEVOLE: essendo particolarmente soleggiata nei mesi invernali, periodo più lungo dell’anno riceveva una buona luce e un buon calore. 6. GIUSTO LIVELLO DI UMIDITA’ 7. COSTO DELLE BOLLETTE CONTENUTO: questo è collegato al primo punto. 8. LUMINOSITA’: come già indicato nel punto cinque. Diversi studi confermano che una buona presenza di luce naturale in casa porta infatti a un maggiore benessere psico-fisico. La contentezza per il risultato ottenuto mi ha portato a firmare il giorno stesso la proposta d’affitto, con cui mi assicuravo tale abitazione. 91


L’erogazione del contributo annullava la destinazione dei servizi socio assistenziali e sanitari di cui usufruivo regolarmente dall’anno 2006 dato che una parte dello stesso andava destinato ad un aiuto concreto, un'assistente che mi aiutasse nella vita quotidiana. L’idea stessa della nuova organizzazione, da una parte mi spaventava mentre dall’altra confermava le frequenti parole che le mie orecchie udivano: “Baby!! Complimenti!! Stai molto bene, hai fatto molti miglioramenti.” La scelta è stata indirizzata verso persone di mia conoscenza, quindi a mio parere, più giuste ad accompagnarmi in questa avventura cercando di attutire il più possibile gli eventuali urti causati dalle difficoltà che giorno dopo giorno mi si sarebbero presentate. Per prima cosa mi rivolsi ad un sindacato, per avere un’idea del costo che avrei sostenuto e delle ore che mi sarebbero spettate. Nel frattempo, in maniera del tutto inaspettata, mi sono ritrovata a parlare di questa nuova situazione che mi si stava per prospettare, alla mia attuale collega che mi ha messo in contatto con una sindacalista. La mattina successiva, durante l’immancabile “pausa caffè” o “ricreazione” come è solito chiamarla il nostro responsabile, ho preso appuntamento per incontrare la mia futura assistente. Si trattava di una conversazione, durante la quale entrambe avremmo potuto valutare gli obblighi e i doveri che sarebbero sorti in seguito all’instaurazione del rapporto di lavoro. “Baby, io e l'assistente abbiamo pensato di andare a bere qualcosa insieme, così avete la possibilità di parlare e 92


chiarire i punti più importanti. Va bene se ti passiamo a prendere domenica sera alle 21.00?”, ha domandato la mia collega. “E’ veramente un’ottima idea, va benissimo, fatemi uno squillo quando state per arrivare così mi faccio trovare sotto”, le ho risposto. Il cellulare mandò un suono dal comodino della camera all’ora e al giorno stabilito. Mi ritrovai di fronte insieme alla mia collega, la persona che sarebbe diventata la mia assistente: una ragazza più giovane di me, capelli lunghi color castano, occhi dello stesso colore e uno sguardo che già dal primo contatto mi trasmisero quella sicurezza che solo una persona buona e paziente è in grado di offrire, e questo era ciò di cui avevo più bisogno. Salita in auto, respirai subito un’aria di leggerezza mista a lealtà, virtù che mi furono successivamente confermate. La scelta ricadde su un bar molto conosciuto, poco distante da casa mia, dove avremmo potuto accompagnare la bevuta ad uno snack se necessario. Grazie alla costante presenza e attenta collaborazione della mia collega non fu difficile trovare un accordo, dato che aveva un buon grado di conoscenza di entrambe. Al momento di salutarci ci accordammo per il passo successivo: la firma del contratto. “ Sono contenta di averti conosciuto e soprattutto di avere il tuo aiuto”, dissi rivolgendomi a colei che si sarebbe presa cura di me nei mesi prossimi. Salutai la collega, le ricordai che ci saremmo viste al lavoro il giorno successivo e andai a casa. Mi rigirai molto tempo nel letto prima di prendere sonno, questa volta dovevo assumermi la responsabilità 93


dell’assistenza, non era più presente la figura della cooperativa che aveva il compito di provvedere alla sostituzione in caso di ferie o malattia dell’operatrice, assicurandomi in tal modo un servizio continuo. Sarebbe stato a carico mio anche lo svolgimento delle pratiche burocratiche e l’erogazione materiale dello stipendio e dei contributi previdenziali. Per quanto riguarda le risorse finanziarie non c’era alcun problema, dato che l’intero costo sarebbe rientrato nel progetto. Non si poteva dire la stessa cosa per la puntualità nei pagamenti, in quanto essendo tutto subordinato all’erogazione dei soldi da parte del Comune, i suoi tempi sono assai lunghi ma fortunatamente sicuri. La tranquillità mi era data dall’altra faccia della medaglia, la certezza di aver incontrato la persona giusta al momento giusto. Questa consapevolezza era il risultato dello studio sul comportamento che tenne durante tutta la serata. Qualcuno che si impegna in qualcosa non lo fa solo nei grandi piani e nei grandi progetti, ma anche nei piccoli gesti. E i piccoli gesti, in realtà, hanno un valore molto più grande di quanto si pensi. Speranzosa nella riuscita di questa esperienza, mi girai nella mia posizione preferita e piano piano mi addormentai.

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… VERSO LA SERENITÀ Gli eventi umani sono talmente imprevedibili che spesso si è travolti da immani tempeste: è dunque fondamentale non perdersi dietro a futili banalità, ma porre la nostra attenzione su ciò che è veramente importante per noi e per la nostra Vita. Questo è quello che bilanciava il senso di ansia, ogni qualvolta i miei pensieri si indirizzavano verso l’avvicinarsi del cambiamento che a breve si sarebbe verificato. Il cambiamento non è solo il traguardo di un percorso, ma anche un punto di partenza. La frase che ha accomunato le diverse opinioni espresse dai miei conoscenti, è stata: “Grazie alle tue risorse, puoi affrontarlo rispettando i tuoi tempi e modi e imparando a vivere con più naturalezza ciò che la vita ti ha riservato”. Nonostante venivo tranquillizzata ogni qual volta aprivo il discorso della casa, dentro me avveniva una lotta fra la paura e la consapevolezza di dover fare tale passo. Arrivata la chiamata tanto attesa, sapevo che era giunto il momento di buttarmi in questa nuova esperienza. Per prima cosa mi recai in Comune, ai servizi sociali, dove grazie alla mia ormai lunga conoscenza fui calorosamente accolta dalla coordinatrice di tale progetto. Fui supportata dall’operatrice sociale, la quale al mio messaggio di ringraziamento mandatole alla fine del servizio: “Grazie per avermi accompagnato anche in questa avventura!”​. Rispose: 95


“Devo accompagnarti all’altare ancora!!” seguito da tre emoticon che ridono. Ero già stata diverse volte in questi uffici ma l’importanza di ciò che andavo a fare rendeva quest’azione più difficile da portare a termine. Lo si notava già dal portamento che era diventato pauroso e titubante. Ci accomodammo ad una scrivania di cui non si riusciva bene a distinguere il colore, per il gran numero di pratiche appoggiate sopra. Di fronte a noi si sedette l’assistente sociale referente del progetto, che avevo già incontrato sia per il deposito della domanda che per la visita di valutazione. Iniziò dandomi tutte le informazioni del progetto, durata, obblighi e doveri delle parti, scadenza ed erogazione del contributo. Mi soffermai sui doveri posti in capo a me. Per prima cosa dovevo presentare le “pezze d’appoggio” cioè il contratto d’affitto regolarmente registrato e il contratto stipulato con la persona che avrebbe preso il posto della mia attuale assistente personale. Quella sarebbe stata la prima firma a cui ne sarebbero seguite tantissime. Il tutto era articolato in fasi che dipendevano una dall’altra e si completavano una dopo l’altra. Per affrettare i tempi, durante il colloquio presi l’appuntamento al sindacato dove ero stata giorni prima per ricevere informazioni, mentre ero già in parola con il proprietario di casa. Dato che la proposta d’affitto era ormai giunta alla data di scadenza e andava quindi trasformata in regolare contratto, presi appuntamento e in settimana ci 96


incontrammo nel locale oggetto della locazione. La mattina dell’appuntamento fui accompagnata dalla mamma e dalla zia per cercare di non farmi dominare dall’emozione causando danni che sarebbero stati poi difficili da gestire. Percepii una maggiore appartenenza al posto e i miei movimenti di conseguenza furono più sicuri, questo grazie anche al fatto che ci andai con la mia macchina. La seconda visita, forse per la maggiore tranquillità che l’accompagnava, mi permise di osservare tutto con più attenzione e di organizzare mentalmente la successiva disposizione dei mobili. Rispetto alla volta precedente osservai con attenzione tutte le difficoltà che sarebbero potute insorgere, prima delle quali era nel bagno. Fu quindi deciso di applicare due maniglioni uno all’interno e uno all’esterno della doccia, per permettermi di lavarmi autonomamente. Grazie al supporto dell’agenzia immobiliare a cui mi ero rivolta, tutto si risolse senza alcun problema, i patti erano che al momento della stipula avrei versato la caparra e il primo affitto, poi entro il 5 di ogni mese la banca si impegnava a bonificare l’importo della locazione. La titolare si sedette accanto a me e al proprietario e lesse ad alta voce quello che era il contratto di locazione vero e proprio. Prima di effettuare questa seconda importante firma, eseguii gli esercizi di respirazione e rilassamento appresi durante gli anni di convalescenza. Inspira dal naso, espira dalla bocca … Inspira, espira … Inspira, espira. In maniera abbastanza rilassata presi in mano la penna e 97


firmai ogni foglio del contratto. Stessa cosa venne fatta dal titolare dello stesso. Per rendere regolare l’atto, questo andava registrato all’Ufficio delle Entrate in seguito al pagamento di una tassa in parte a carico mio e in parte a carico del proprietario. Per semplificare il tutto se ne incaricò la titolare dell’agenzia immobiliare alla quale versammo l’equivalente al costo della registrazione. Anche l’assunzione della “badante” si realizzò senza alcun intoppo. Io, la sindacalista, colei che sarebbe stata assunta e la mia collega, il nostro “braccio destro”, ci recammo al sindacato dove avremmo portato a termine anche questa importante commissione. L’appuntamento era per le 15.00, ma già alle 14.50 eravamo fuori dall’ufficio ad aspettare il nostro turno. Puntualissimo si presentò l’impiegato, un ragazzo nostro coetaneo, capelli neri e occhi di un blu bellissimo in cui era facile perdersi. Conosceva già la situazione, gli avevo spiegato tutto alcuni giorni prima, quindi prese i nostri documenti e codici fiscali e si mise immediatamente al lavoro nel suo PC. Ecco ero pronta con la penna in mano a superare anche questo atto, fonte di inquietudine. Finite le pratiche burocratiche, andammo alla “casina” per preparare un piano strategico a prova di bomba e le modalità per seguirlo fedelmente al momento di cominciare l’avvio del progetto. Già sapevo di aver fatto la scelta giusta, ponendo l’attenzione su di lei al momento della scelta per l’aiuto 98


personale, ma ebbi maggior conferma quando lei, pazientemente, ha organizzato il lavoro per la settimana successiva, venendo incontro ad ogni mia esigenza e annotando tutto su un foglio bianco che poi mi avrebbe consegnato. Concluse le parti amministrative era ora di pensare al trasloco vero e proprio. Traslocare può diventare un vero e proprio incubo. Comporta, infatti, molti aspetti da valutare e fattori da tenere in considerazione. Organizzarsi da soli può risultare difficile ed è fonte di grande stress, ma con l’appoggio di qualcuno è possibile rendere questo momento più sereno e facile da gestire. Con la “lista della spesa” redatta insieme ad un amico, in seguito alla pianificazione del tutto, abbiamo passato una giornata intera entrando ed uscendo da negozi di articoli per la casa. Avendo bisogno di tutto, ho apprezzato i doni ricevuti da alcune delle persone a me più vicine come bicchieri, posate, tazze, tovagliette, ecc… Oltre ad altri articoli quali pentole, stendino, utensili da cucina, ecc. dovemmo acquistare tutti i prodotti per l’igiene della casa. Ogni articolo acquistato o regalato veniva istantaneamente depennato dall’elenco. La non immediata necessità di trasferirmi, mi permise di concludere il trasloco mettendo maggiore attenzione nei dettagli e agendo con calma. L’ingresso non ha alcuna barriera architettonica, di conseguenza di semplice accesso. Entrando ci si trova di fronte ad un ampio e luminoso locale pavimentato con parquet in cui nel mezzo vi sono 99


delle ante bifacciali rifinite su entrambi i lati, per separare la parte giorno da quella notte. Nella prima si trova un tavolo allungabile con quattro sedie tutto di colore bianco e un mobile da salotto formato da una vetrina e una credenza, anch’esso di colore bianco. A destra dell’ingresso si trova un angolo cottura, di piccole dimensioni ma funzionale. Di color panna, è isolato da una porta a soffietto. La parte notte è arredata da un letto matrimoniale e un mobile a ponte ideale per ottimizzare lo spazio a disposizione. Un piccolissimo corridoio la divide dal bagno. Quest’ultimo è rivestito con mattonelle a mosaico di colore blu che gli danno un tocco unico adatto all’ambiente. Ha le stesse dimensioni del resto della casa, ma comunque particolarmente funzionale. La prima settimana fu completamente dedicata alle pulizie: insieme ad un’amica abbiamo sgrassato ed igienizzato ogni centimetro quadro dell’appartamento nonché l’interno e l’esterno dei mobili. Successivamente siamo passate alla sistemazione vera e propria. Cominciando dalla cucina, abbiamo lavato e asciugato ogni utensile lo abbiamo ordinato nella maniera più facilmente adoperabile in relazione alle mie difficoltà motorie. Avendo sempre avuto un debole per gli abbinamenti di colore, ho cercato di coordinare le tazze per la colazione, le tazzine da caffè, la caffettiera e tutto l’utile per la colazione. 100


Per la cucina la scelta è caduta sul color rosso, mentre per il bagno sul color blu dato che il mosaico riprendeva tale tonalità. Sbaglia chi crede che il disagio nel dormire da soli riguardi solo i bambini. «Negli adulti la fobia può sorgere all’improvviso, spesso dopo un trauma o in un periodo in cui si è sotto pressione», «In altri casi, è un sintomo di insicurezze e fragilità. Nodi non risolti, come quelli di dipendenza nei rapporti affettivi, possono portare a una sorta di regressione infantile». La solitudine è il peggior nemico di chi ha vissuto l’abbandono, perciò avevo già messo in conto che il primo lavoro da fare era quello di lavorare sulla paura di stare sola, sul timore di essere rifiutata e sulle barriere invisibili del contatto fisico. Le ferite causate dall’abbandono non sono facili da curare.

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UN NUOVO INIZIO In questi anni ho imparato una cosa importante e cioè che esiste un modo per rendere positivo qualunque tipo di cambiamento: il sapersi adattare. Sicuramente l’adattamento alla nuova vita è stato lungo e difficile, ma alle cose belle ci si abitua subito. Arriva un momento nella vita in cui non rimane altro da fare che percorrere la propria strada fino in fondo; quello è il momento di inseguire i propri sogni, è il momento di prendere il largo forti delle proprie convinzioni. Per “acchiappare” il mio sogno però non bastano le mie mani e le mie gambe, pensavo di esserci quasi riuscita. A volte bisogna saper rinunciare a ciò che si desidera di più perchè potrebbe essere ciò che ti porta alla distruzione. Dopo una titubanza difficile da comprendere, sono riuscita a trasferirmi nella nuova casa e grazie alla presenza costante dei miei numerosissimi amici, il tempo in cui rimanevo sola era veramente poco e quei momenti diventavano preziosissimi. Nonostante questo, il buco che sentivo dentro di me rimaneva ed era diventato ancora più profondo. La mia “fame d’amore” aveva un disperato bisogno di essere saziata, ma come? Solo forti emozioni costanti sarebbero riuscite a sfamarla, ma come un bambino deve essere svezzato, così una persona smarrita deve ricevere attenzioni poco alla volta. Solo la consapevolezza di non avere bisogno ma di volere mi ha aiutato a compiere un importantissimo passo che ha portato: 102


UN NUOVO, NUOVO ... INIZIO!! Non è un errore, né tanto meno una ripetizione del capitolo, dato che per me oggi è veramente il secondo nuovo inizio. Ho voluto vivere in modo diverso, buttandomi e acquistando una casa tutta mia. Cambiare casa significa cambiare abitudini, spazi e talvolta anche ritmi di vita. Significa mettersi in gioco perché qualcosa dentro di noi sta mutando. Significa accogliere nuove sfide, emozioni ed opportunità. Beh, ne è “passata di acqua sotto i ponti” da quando, per passare le interminabili giornate di ricovero, scherzavo con gli infermieri di turno dicendo:“ Quando me la mettete la cassetta postale fuori dalla camera?”. Cambiare casa è un evento complesso ma anche ricco di opportunità. Una casa nuova inizialmente sembra vuota, impersonale, priva di sensazioni e vissuti che messi a confronto con il bagaglio della casa precedente può creare disagio e dispiacere, invece per me la nuova casa è il mezzo per lasciare alle spalle ricordi tristi del passato e dire ancora una volta: Io ce l’ho fatta!!!

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Indice Prologo p.9 Con calma, rallenta, frena … il cervello!!

p.9

Il nuovo passato e il vecchio presente

p.16

La palestra del corpo...

p.27

... E la palestra del cuore

p.30

Come un’autovettura p.37 Come un’astronave p.45 Due colpi in successione … per esplodere

p.50

Le schegge del cuore p.56 Soprav … vivere intensamente

p.63

Riaprire la ferita, pulirla, disinfettarla e guarirla

p.68

Una valigia piena … p.72 … In attesa … p.78 … Di prendere il volo …

p.85

… Verso la serenità p.95 Un nuovo inizio p.102 Un nuovo, nuovo... inizio!!!

p.103


Nota dell’autrice A mio padre "Il gladiatore", che pur di non scendere a compromessi e non assecondare la mia volontà in netto contrasto con la sua, ha preferito soffrire e nire i propri giorni in solitudine. Molti avvenimenti raccontati nel libro sono il risultato di un difficile rapporto tra padre e glia che solo il tempo riuscirà a curare nonostante la grande forza e volontà di cambiamento che è dentro di me.


Quando accadono eventi traumatici o dolorosi, vengono alla luce parti di noi che non avevamo incontrato: è proprio in quei momenti che scopriamo chi siamo, che può non coincidere esattamente con ciò che avevamo sempre pensato. Raccontando la mia storia ho visto ri esso in ogni istante ciò che avevo effettivamente dentro ed è stato difficile ammettere che rabbia, paura e frustrazione fanno parte di me tanto quanto ne fanno parte dolcezza, generosità e gioia. Allo stesso tempo è emersa un'anima forte che mi è venuta in soccorso nei momenti difficili.


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