La guerra dei Virus - Fiaba

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sociale Centro Servizi per il Volontariato Perugia Terni

CESVOL UMBRIA EDITORE

Quaderni del volontariato 2021

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Quaderni del volontariato 11 __________

Edizione 2021


Cesvol Centro Servizi Volontariato Umbria Sede legale Via Campo di Marte n.9 06124 Perugia tel 075 5271976 www.cesvolumbria.org editoriasocialepg@cesvolumbria.org

Edizione settembre 2021 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono impaginazione di Carla Barberi Glingler e Marina Piermatti Stampa a cura di Unione Tipografica Folignate - Foligno PG

Per le riproduzioni fotografiche, grafiche e citazioni giornalistiche appartenenti alla proprietà di terzi, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire. È vietata la riproduzione, anche parziale e ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzato.

9788831491181 ISBN _________________


I QUADERNI DEL VOLONTARIATO UN VIAGGIO NEL MONDO DEL SOCIALE PER COMUNICARE IL BENE I valori positivi, le buone notizie, il bene che opera nel mondo ha bisogno di chi abbia il coraggio di aprire gli occhi per vederlo, le orecchie e il cuore per imparare a sentirlo e aiutare gli altri a riconoscerlo. Il bene va diffuso ed è necessario che i comportamenti ispirati a quei valori siano raccontati. Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, dove il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso del quotidiano, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore. Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente o più antico, per consegnarci insegnamenti e visioni.


Quelle visioni che i cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Gli autori di questi testi, e di tutti quelli che dal 2006 hanno contribuito ad arricchire la Biblioteca del Cesvol, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza, al di là di qualsiasi tipo di conformismo e disillusione Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati. Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo. Salvatore Fabrizio Cesvol Umbria


La Guerra dei Virus Fiaba di Carla Barberi Glingler


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Simone aaaSimone Simone

Kattabei Kattabei 2020 2020

….….e ea atutti tuttii bambini i bambiniche cheleggeranno… leggeranno…

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ota dell’autrice

Nei mesi di marzo e aprile 2020 eravamo tutti chiusi in casa, nonostante fuori brillasse un tiepido sole di Primavera. Sembrava quasi una burla del destino e l’Italia cantava dalle finestre e dai balconi per vincere la paura e la tristezza. Un giorno nevicò, per strana bizzarria di questo tempo impazzito. Per le strade e nelle piazze, belle più del solito nella loro desolata, immota solitudine, rari e frettolosi passanti apparivano e scomparivano, quasi figure astratte in una pittura metafisica. Guardavo dalla finestra quel mondo in bianco e nero che aveva cancellato i colori sotto pennellate di malinconica suggestione. L’insolito incanto del paesaggio racchiudeva il cielo e la terra in un unico involucro senza suoni. Afferrai una penna e, d’istinto, appuntai pochi versi sul primo foglio che mi capitò a tiro. Quel gesto o, forse, la pena sottile dell’anima scatenò l’idea: avrei scritto una fiaba. Idealmente l’avrei raccontata a Simone, il mio piccolo nipote lontano.

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Così è nata “La guerra dei Virus” che mi ha tenuto compagnia ogni giorno con le parole e con il disegno. L’ho firmata “Kattabei” come mi succede di fare quando scrivo per gioco usando lo pseudonimo coniato nel ricordo sorridente di un farfugliato balbettio infantile. Così è nata “La guerra dei con Virus” che mi più ha Ho realizzato l’illustrazione i materiali tenuto compagnia giornoecon le parole e con improbabili scovatiogni in scatole astucci dimenticati il L’ho firmata mi da disegno. decenni, persino le matite“Kattabei” da trucco ecome il gesso succede di fare quando scrivo per gioco usando lo per i ritocchi della muratura. pseudonimo nel ricordoper sorridente di un Il racconto èconiato nato dall’amore la vita in farfugliato balbettio infantile. tempo di dolore e di angoscia. Ho conbimbo i materiali Con realizzato amore l’hol’illustrazione pensato per un di casa,più di improbabili scovatidomani in scatole e astucci dimenticati tre anni, perché sappia di aver vissuto, da decenni, persino le matite da trucco e il gesso senza rendersene conto, una pagina tragica della per i ritocchi della muratura. storia del mondo. Il racconto è nato dall’amore per la vita in un tempo di dolore e di angoscia. Carla Barberi Glingler Con amore l’ho pensato per un bimbo di casa, di “Kattabei” tre anni, perché domani sappia di aver vissuto, senza rendersene conto, una pagina tragica della storia del mondo. Carla Barberi Glingler “Kattabei”

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Neve di marzo in un tempo malato Gocciole d’acqua diventate leggere, come petali bianchi sospesi a mezz’aria! Ieri c’era il sole sopra al prato verde di margherite sparse tra i colori del mondo, oggi tutto è dipinto di bianco e di nero. Guardiamo dai vetri di case tristi serrate con occhi appannati da lacrime di gelo. Piangiamo coloro che la furia di sfere invisibili di male ha spinto nel buio di notti misteriose. Repentino appare tra le nuvole grigie uno sprazzo di luce che acquieta l’anima tra i tonfi placidi dei petali di neve! 23-03-2020 8


refazione

Ogni libro, piccolo o grande che sia, ha una storia. Ogni storia ha i suoi protagonisti. Anche “La guerra dei Virus” dunque è tutto questo. Nasce da un evento che ha sconvolto il mondo, nel quale la sensibilità e la raffinata cultura dell’autrice hanno saputo trovare elementi per portare la grande problematica della pandemia al livello di un bambino di tre anni, Simone, al quale è dedicato questo lavoro. Nel testo emerge via via l’impostazione classica della fiaba con i personaggi di rito che prendono vita in un mondo di fantasia, ma sempre contestualizzato nel reale come a dargli un senso di verità. Così appare Pipistrello che, senza averne piena coscienza, si fa protagonista di una catastrofe poi inarrestabile. Ma la forza dei due grandi valori - Amore e Speranza - permetteranno di superare la pandemia che ha portato morte e sofferenza in tutto il mondo. I fatti che hanno caratterizzato il terribile evento hanno acceso la fantasia dell’autrice che con stile essenziale, chiaro e adeguato a un bambino e nello stesso tempo ricco e stimolante per un pubblico adulto, ha saputo leggere nelle pieghe più

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profonde di questa vicenda rendendo con spirito di vera poesia i risvolti degli avvenimenti. Le illustrazioni, volutamente immediate, profonde di questa vicenda semplici rendendoe con spirito sostengono ogni passaggio significativo della di vera poesia i risvolti degli avvenimenti. narrazione che offre vari spunti di riflessione in Le illustrazioni, volutamente semplici e immediate, rapporto allaogni vita quotidiana, con sostengono passaggio dall’approccio significativo della le prime regole che sconvolgono ritmi narrazione che scolastiche offre vari spunti di riflessione in erapporto abitudini, al tenero rapporto affettivo con “gli alla vita quotidiana, dall’approccio con animali di casa”scolastiche tanto importanti nella socialità di le prime regole che sconvolgono ritmi un bambino, al allatenero dimensione del affettivo gioco e alla e abitudini, rapporto conforza “gli del sogno nel quale realizza ogni animali di casa” tantosiimportanti nellamagia, socialitàalla di forza purificatrice della pioggia che prelude un bambino, alla dimensione del gioco e alla forza all’apparire spettacolare e nitido del sogno nel di qualeuno si realizza ogni magia, alla arcobaleno. Chiavi di lettura che sono vere forza purificatrice della pioggia che preludee proprie dimensioni esistenziali in cui laefantasia, all’apparire di uno spettacolare nitido messa in atto dall’autrice, pensando al nipote arcobaleno. Chiavi di lettura che sono vere e Simone, ha per lei stessa una proprie dimensioni esistenziali in cuistraordinaria la fantasia, funzione compensativa, come una di messa in atto dall’autrice, pensando specie al nipote “salutare fuga” questo momento così delicato Simone, ha perin lei stessa una straordinaria che ci è compensativa, dato vivere. Non effimero funzione comeununa speciefatto di editoriale quindi questo lavoro, ma un passaggio “salutare fuga” in questo momento così delicato significativo per vivere. i bambini certamente, che ci è dato None un effimero forse fatto anche più, quindi per gli questo adulti. lavoro, ma un passaggio editoriale

significativo per i bambini e certamente, forse anche più, per gli adulti. Rita Fanelli Marini Rita Fanelli Marini

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ntroduzione La fiaba si compone di due parti: la prima si articola da pag. 13 a pag. 55 e ha per protagonista la strega Epidemia che, con un potente maleficio, scatena la guerra dei Virus contro l’umanità. Il racconto trae spunto dal mondo reale, ma si arricchisce di elementi fantastici che s’incastrano in un tessuto di facile interpretazione da cui possono estrapolarsi motivi di riflessione o di ulteriore elaborazione creativa; la seconda si sviluppa da pag. 57 a pag. 82 e ha un taglio soggettivo avendo per protagonista Simone, il bambino cui è dedicata la fiaba. Anche qui la fantasia gioca la sua parte attraverso la descrizione di un microcosmo animale e vegetale guardato con gli occhi di un fanciullo che esplora la meraviglia del mondo. Nel sogno il bimbo scopre l’armonia della natura e l’importanza dell’amore e della speranza in serena condivisione con le creature della terra. La distinzione tra le due parti è sottolineata dalla tavola di pag. 56 che, con la forza del contrasto nero-rosso e attraverso il simbolismo del punto interrogativo, sottopone a piccoli e a grandi la domanda - senza risposta o che può innescare il meccanismo della congettura speculativa - sul perchè del male nel mondo da cui, per assurdo, può nascere il bene.

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Covid Covid 19 in19assetto in assetto da guerra. da guerra.

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’era una volta un paese lontano che stava proprio nel luogo dove nasceva il sole. Per questo gli uomini, le donne e i bambini che vi abitavano avevano la pelle gialla, liscia e trasparente come la luce calda e dorata dei raggi solari. La Natura, che li aveva creati con impegno e fantasia, li aveva rifiniti intingendo un pennello sottile in una pasta nera e densa come il catrame. Con quella tinta aveva disegnato sui visi tondi delle persone la linea delle sopracciglia, delicate come archi perfetti, e certi occhi a mandorla stretti e misteriosi che sembravano fissare il mondo per comprenderne le regole e governarlo. Erano tanti e tutti avevano gli occhi a mandorla e i capelli neri, fitti e lisci, che a volte legavano in un’unica treccia al centro della nuca, facendola scendere giù, lungo le spalle. Questa gente viveva in mille città movimentate e fumose che la sera si 15



accendevano di luci variopinte e di lanterne di carta rosata, gonfie e poetiche, che dondolavano sulle porte delle case e dei negozi. Era un popolo antichissimo e sempre era stato così. Tutti lavoravano e correvano da mattina a sera come formiche frenetiche, crescendo e moltiplicandosi. In quel paese, chiamato del Sol levante, c’erano monti, pianure e fiumi lunghi e lenti che arrivavano all’oceano infinito. I monti formavano delle catene che si alzavano come barriere invalicabili e alcuni toccavano il cielo con le punte luccicanti di ghiacci eterni. Le colline erano morbide e si davano la mano a formare girotondi colorati intorno alle valli e alle pianure sconfinate che erano coltivate dagli abitanti infaticabili e dagli animali mansueti. Vi crescevano ortaggi, frutti bizzarri, riso e soia. Altre terre erano aride e deserte, altre ancora verdi di boschi. 17


Uno di questi boschi era fuori del perimetro nel quale si muovevano gli uomini, separato dal resto del mondo da una muraglia magica invisibile. Vi abitavano esseri pallidi, misteriosi e cattivi. Si chiamavano Odio, Guerra, Carestia, Epidemia, Fame, Povertà… e fra loro proliferavano infinite famiglie di Mali minori che stavano nascoste tra gli alberi, dentro le caverne buie e tra i cespugli, uscendo fuori di tanto in tanto per creare zizzania tra gli uomini. Oltre a questi esseri, vivevano nel bosco creature alate, infelici e stralunate, che aspettavano il momento propizio per scappare dalla muraglia con qualche compito speciale assegnato dai Mali dai quali dipendevano. Passive e annoiate, giravano nell’opaca caligine che offuscava l’aria e passavano il tempo guardando con curiosità, dall’alto dei rami, le luci lontanissime delle città del 18



Sol levante che sembravano enormi e fumosi circhi equestri piantati nelle vaste pianure create dai fiumi. Tra queste creature ce n’era una, giovane e inquieta, che smaniava per uscire dal bosco. Si chiamava Pipistrello. Era scura come il buio, agile e infida e si muoveva volando nelle tenebre. Aveva delle ali larghe che finivano a centina come gli spicchi di un ombrello e si aprivano e si chiudevano a mo’ di fisarmoniche poderose, mostrando tra le bacchette dell’ossatura certe membrane trasparenti come raffinate carte di riso, ma forti e resistenti. Con quelle ali elastiche e robuste avrebbe potuto percorrere chilometri in un baleno! Invece Pipistrello si era ridotto a girellare dentro il bosco e si annoiava a morte. Girava con le ali rattrappite dall’ozio, ogni tanto le spalancava per fare ginnastica e si lamentava brontolando e maledicendo la 20


vita circoscritta in quell’ambito remoto, senza mai lo spasso di una novità. Spesso si appollaiava tra le foglie dei rami più alti e architettava progetti di fuga rosicchiandosi le unghie. Capiva che, senza un permesso speciale, senza una missione importante, non avrebbe potuto fare nulla: gli serviva un alleato. Pensa e ripensa, alla fine decise di andare da Epidemia che era un’Autorità tra i Mali, perché era vecchissima, furba ed esperta. Tante volte aveva visitato gli uomini nella sua vita millenaria e aveva imparato a conoscere le loro debolezze e la loro scienza. Sapeva approfittare delle prime ed era bravissima a ingannare la seconda. Studiava sempre al bagliore pallido di una candela o di un raggio di luna. Non amava il giorno e viveva acquattata in un antro del bosco, assorta nella lettura di antichi libri di magia dove si arrovellava a decifrare formule astruse di tremendi sortilegi. 21



Nel silenzio perenne, umido e freddo di quel luogo immerso nell’ombra, passava il tempo inventando sempre nuove ricette di malanni. Se usciva di notte, per cercare le erbe velenose alla luce di una lanterna, strisciava lungo i tronchi e i sentieri, furtiva e insidiosa. Era malvagia, detestava gli uomini e persino se stessa. Un giorno si era vista riflessa in una pozza d’acqua e aveva fatto un salto per la paura, guardando l’immagine tremolante della sua brutta faccia gialla, rugosa e senza denti. Così, quando usciva, si copriva con una grande ragnatela d’argento che aveva scovato tra i rami spinosi di un cespuglio. Tutti ne parlavano e tutti la temevano. Pipistrello, non senza timore, andò a trovarla. Bussò alla porta della sua spelonca, s’inchinò e le disse: “Signora Epidemia, vorrei uscire dal bosco, almeno una volta nella vita. Mi può aiutare?”

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“Da questo bosco si può uscire solo per fare del male! Torna da me quando avrai qualcosa d’interessante da propormi!” Rispose Epidemia sgarbatamente. Pipistrello se ne andò, ma non era rassegnato. Cupo e scontento, pensava e svolazzava; si guardava intorno con gli occhi miopi fosforescenti, stretti a fessura per vedere meglio e… rifletteva. Una notte di luna piena, un raggio di luce argentea spettrale si fece largo tra i rami intrecciati degli alberi e s’insinuò tra gli spini di un rovo spento e rinsecchito facendo luccicare nell’ombra un piccolo frutto sferico, coronato di gemme a tre punte, rosse e brillanti come rubini. Faceva capolino in mezzo all’unico ciuffo di foglie colorate, sopravvissuto al gelo, che si apriva a corolla come uno scrigno. Proprio in quel momento passava di lì Pipistrello. “Bello!” - esclamò - e si fermò di colpo, bloccato da un’idea repentina. 25


Avrebbe regalato il frutto straordinario a quella megera di Epidemia. Delicatamente, con le unghie lunghe e taglienti delle zampe ad artiglio, staccò la minuscola sfera che sembrava un gioiello e la portò a destinazione. “Ho un dono per te, potente Signora! Questo splendido globo potrà servirti per qualche magia!” - disse inchinandosi. Epidemia lo prese e lo rigirò tra le mani adunche, mentre lo guardava fissamente. “E’ proprio quello che mi ci vuole!” Lo girava e lo rigirava sogghignando con la bocca sdentata e borbottava: “Una palla mortifera… deve diventare! E tu, caro Pipistrello, la porterai tra gli uomini!” Epidemia, zoppicando e inciampando, si avviò verso il laboratorio dove faceva gli esperimenti, seguita da Pipistrello che svolazzava vicino a lei sfregandosi le zampe per la felicità. “Ci siamo!” pensava. La spelonca di Epidemia era un 26



antro scavato nella roccia, pieno di flaconi, di bottiglie con liquidi dai colori torbidi e tenebrosi, di alambicchi trasparenti dal becco ritorto, di vasi pieni di polveri ed erbe, di pestelli, di pentole e calderoni. In un angolo, un fornello acceso diffondeva bagliori violacei. Pipistrello guardava con gli occhi miopi, stretti e strabuzzati, stando appeso come un lampadario a un ramo contorto. Epidemia, canticchiando e strisciando i piedi nodosi dentro le ciabatte logore, si muoveva lentamente, scoperchiava vecchie scatole arrugginite e rovistava tra le ampolle che giacevano dentro canestri e cassetti. Prendeva pizzichi di sostanze triturate, rompeva fiale impolverate e ne annusava i liquidi prima di buttare tutto dentro un caldaio di rame incrostato di nera fuliggine, sospeso sopra le fiamme. Mescolava e canticchiava misteriose tiritere. Sembrava una strega, anzi era 28


proprio una strega, dotata di un immenso potere. Pipistrello seguiva Epidemia in ogni movimento e guardava con curiosità quella spelonca dove non era mai entrato. Se la spassava un mondo. Altro che stare in cima agli alberi del bosco spenzolandosi a guardare da sotto in su le stelle pallide, sbadigliando con il collo storto e rattrappito! Passarono diverse ore. A mezzanotte in punto, Epidemia tolse il calderone dal fuoco. Dentro c’era un intruglio denso e filante che sembrava marmellata. Afferrò una siringa, la riempì e iniettò il micidiale contenuto dentro la stralunata sfera ingioiellata che le aveva portato Pipistrello, pronunciando una formula magica che capiva solo lei. La sfera si rimpiccolì fino a sparire. Da quel momento, più nessuno avrebbe potuto vederla a occhi nudi. 29


Epidemia, soddisfatta del lavoro compiuto, esclamò: “Ecco fatto! Ora bisogna trovare un nome adatto per questa creatura uscita dal mio laboratorio, perchè non è più la bacca vegetale nata nel cespuglio del bosco, ma un essere vivente autonomo, sconosciuto e malefico. Si muoverà velocissimo e s’attaccherà con le sue punte di rubino a chiunque lo sfiorerà, facendolo ammalare. Gli scienziati di tutto il mondo lo studieranno, ma poco e niente potranno capire! Il potente veleno che ha nella pancia è stato preparato secondo una ricetta arcana incomprensibile!” “Chiamiamolo Veleno!” Saltò su a dire Pipistrello, battendo le ali. Epidemia si grattò un neo peloso che aveva sul mento, si massaggiò la fronte, poi disse: “E’ meglio… Virus, che significa la stessa cosa, ma è un nome più elegante, più adatto all’aspetto prezioso di un oggetto incrostato 30


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di tante gemme brillanti. Farà una gran bella figura quando comparirà sotto le lenti d’ingrandimento degli studiosi. Lo fotograferanno, ne faranno manifesti colorati che saranno guardati da tutti con riverenza e spavento. In TV apparirà come un vero gioiello da corona reale!” Tacque e meditò a lungo, stringendo la testa tra le mani, poi soggiunse: “Siccome tutti quelli che hanno un posto nella storia possiedono un nome e un cognome, lo chiameremo… Lo chiameremo Corona Virus! Corona: cognome; Virus: nome. Avrà… anche un nome da battaglia con un numero che lo renderà riconoscibile fra tutti, come l’Agente 007! Sarà: Covid 19!” “Bellissimo! - strillò Pipistrello Adattissimo! Di sicuro diventerà famoso.” Misero Corona Virus in un guscio di legno imbottito di muschio perché stesse comodo e caldo e lo rimirarono. Che capolavoro! 33


Corona Virus che era nato come un frutto della natura, ora, in quell’astuccio foderato di soffice panno verde, sembrava una gemma di rara bellezza da incastonare in un diadema, ma in realtà era una minuscola mina pronta a esplodere tra l’umanità. Pipistrello, gonfio di orgoglio per l’incarico da commesso viaggiatore ricevuto da Epidemia, si preparò alla lunga trasvolata. Finalmente sarebbe uscito dal bosco! Salutò le altre potenze malefiche di quel posto inquietante, abbracciò con affetto speciale la sfilacciata e triste Povertà, che era la sua amica prediletta, afferrò con delicatezza l’involto con dentro Virus, allargò le ali a membrana e partì. Era una notte chiara e tiepida. Volando libero e felice sopra al mondo addormentato, Pipistrello vedeva sotto di sé paesi illuminati da luci tremule e vastità oscure. Tutt’intorno si spandeva il cielo tra mille sfumature d’azzurro! 34



Volava con le ali allargate che proiettavano minacciose ombre fluttuanti. All’alba scorse una città con tante case e pensò che fosse piena di tanta gente. Sembrava il luogo adatto all’atterraggio. Planò silenzioso e su un cartello lesse, non senza un certo sforzo, un nome scritto con strambi ghirigori: “Wuhan”. “Suona bene! Mi piace! Sembra il nome di un vento!” e rallentò. Era la prima volta che vedeva da vicino un luogo dove vivevano gli uomini. Sfiorava con la punta delle ali qualche tetto a pagoda che lo incuriosiva, aspirava gli odori, guardava tutto, anche se vedeva poco e male. Quasi si dimenticava di cercare il posto migliore dove lasciare Virus, come gli era stato raccomandato da Epidemia! “Che peccato che una così importante missione stia già per finire! Peccato! Arcipeccato! Però, quando sarò tornato nel bosco, guarderò con un cannocchiale tra i 36



rami degli alberi, per vedere come andrà a finire questa storia. E’ troppo interessante! Sarà come andare al cinema o a teatro!” Così pensando, si fermò. Tolse Virus dal contenitore da viaggio, lo fece rotolare tra l’erba di un giardino pubblico e volò via. Virus continuò a dormire tranquillo nel silenzio del prato. Si svegliò la mattina dopo per il gran rumore che si era scatenato intorno a lui: rombo di automobili, strombazzare di clacson, suono di campanelli, voci e richiami da ogni parte. Il giardino si trovava vicino a una grande strada dove sfrecciavano mezzi di ogni tipo, dove camminavano o andavano in bicicletta le persone e dove correvano i bambini per arrivare in tempo a scuola. “Che diavolerio!” pensò e, ancora mezzo addormentato, cominciò a rotolare piano piano tra i fili d’erba, sbadigliando. 38



Passò un cane che scodinzolava contento e Virus quasi si sarebbe attaccato al suo pelo, ma gli sembrò ruvido e sporco; poco dopo due uccelli piombarono in picchiata su di lui e lo becchettarono spingendolo a destra e a sinistra; passò un gatto che lo annusò, poi gli diede una solenne zampata facendolo volare sopra un fiore: “Che maniere! Sembra che ce l’abbiano tutti con me!…” - Esclamò Virus. Mentre pensava che gli animali proprio non gli piacevano, una mano maschile, ossuta e tremolante, raccolse il fiore. Era un signore anziano che camminava verso casa appoggiandosi al bastone. Il fiore era il segno che la primavera stava arrivando e per questo l’uomo si era chinato a raccoglierlo. Strada facendo, distrattamente lo avvicinò al naso per sentire se profumava. Fu quello il momento in cui Virus, indispettito e spaventato, si toccò la pancia e spruzzò un po’ del veleno 40


di Epidemia dentro quelle narici scure e pelose che aspiravano come se volessero inghiottirlo. Subito il signore starnutì. Tossì e starnutì e mentre tossiva e starnutiva, come per magia, a ogni colpo di tosse e a ogni sbuffo d’aria che usciva dalle narici, si sprigionavano da ogni gocciolina di saliva tante minuscole sfere, in tutto simili a Virus e con il medesimo veleno dentro la pancia rotonda. Corona Virus capì che in quel momento, nel paese del Sol levante, stava cominciando a compiersi il maleficio di Epidemia. Infatti, in un battibaleno, la città di Wuhan perse il movimento della vita quotidiana, in poche parole, si spense! Sempre più persone si ammalavano nelle case, cadevano a terra per le strade, smaniavano nei letti con la febbre alta e il mal di testa, non respiravano più e avevano paura. Le porte e le finestre si chiusero, gli ospedali si riempirono, le strade si svuotarono. I pochi che circolavano erano 41


vestiti con scafandri, maschere, stivali, copricapi con visiere e occhiali di plastica trasparente: sembravano extraterrestri. Il gran Capo del paese del Sol levante ordinò che ogni meccanismo si fermasse, che nessuno più si muovesse, che i luoghi stessi e perfino gli zampilli delle fontane si cristallizzassero come nella fiaba della “Bella addormentata nel bosco”. Potevano circolare solo gli uomini e le donne chiusi negli scafandri come i Marziani. Erano i medici, gli infermieri, i soldati che dovevano combattere contro i milioni di tondi malefici Virus che giravano come trottole impazzite nell’aria fumosa della grande città. Gira che ti rigira, avevano superato presto i confini di quel centro urbano ormai appestato e nello spazio di pochi giorni si erano trasferiti in sciami volanti, in stormi paurosi anche in altre zone vicine, poi più lontane: famelici, violenti e sempre più 42



assetati di vittime innocenti. Avevano indossato elmi piumati e corazze medievali che li rendevano impermeabili alle deboli reazioni umane e spaventosi agli occhi di chi riusciva a guardarli attraverso indescrivibili macchinari e sovrapposte lenti d’ingrandimento. Portavano dentro di loro la stessa carica di odio della strega Epidemia; non avevano pietà per nessuno e provavano un gusto tremendo a far soffrire le persone, giovani o anziane che fossero! Si era scatenata così una vera e propria guerra al massacro. Pipistrello stesso, che scrutava con il cannocchiale tra i rami del bosco, era impaurito: “Ma guarda un po’ che ho combinato! Altro che teatro! Altro che circo equestre! Questa è una tragedia!” pensava e quasi piangeva, facendosi prestare le lacrime dal coccodrillo di un antico detto popolare. 44


Ci vollero settimane e mesi per disperdere con le pompe piene di liquidi disinfettanti i veleni sparsi dal ciclone epidemico in quella terra lontana d’Oriente. Gli uomini gialli, un po’ con la loro pazienza proverbiale, un po’ con la scienza e molto con l’ubbidienza alle regole piovute dall’alto, alla fine riuscirono a sloggiare i pestiferi Corona Virus. Ma… non li avevano annientati! Gli invitti, gloriosi globi virali, figli, nipoti e pronipoti del primo, ormai ci avevano preso gusto e, a ondate successive e ripetute, riprendevano fiato e vigore. Erano orgogliosi di portare un nome, un cognome e un soprannome diventati famosi in tutti i continenti e si sentivano investiti di una missione storica distruttiva, una specie di Crociata del Male. Si erano messi in mente di diventare i padroni dell’intero globo terracqueo: così vasto, così ricco, così bello! 45


Questa Sì, che sarebbe stata una conquista straordinaria e meravigliosa! Il mondo, in mano ai Corona Virus! Animati dal sogno ambizioso, si riunirono in consiglio e decisero di trasferirsi nelle città e nei paesi dell’Occidente. Si sarebbero spostati al Nord e al Sud: dai ghiacci, ai deserti, dai mari agli oceani, in breve tutto il mondo sarebbe stato di loro proprietà. Così il piano fu definito nei dettagli tra l’entusiasmo generale. Del resto, il mondo era sferico e i Virus, guardandosi allo specchio, si erano sentiti molto simili a quell’enorme palla che potevano considerare, a torto o a ragione, la loro madre naturale! Mentre l’esercito dei Corona Virus carichi di potenza nefasta volava velocissimo spinto dai forti venti che soffiavano sopra la terra, gli uomini dell’Occidente si dondolavano sull’altalena delle loro illusioni d’invulnerabilità, come ragni 46



sospesi alle trame delle ragnatele. Vivevano totalmente immersi nei mille intrecci di faccende pubbliche e private, tessute con ricami laboriosi e difficili. Non avevano tempo - assorti com’erano nei loro calcoli e impicci - per pensare a dei Virus lontani e sconosciuti. Gli Occidentali avevano saputo, Sì, che nelle terre d’Oriente erano circolate chiacchiere su una certa Epidemia che aveva provocato catastrofi e tragedie, ma, se anche fosse stato vero, erano mali che riguardavano gli uomini gialli, dai capelli neri e dagli occhi a mandorla. Loro si sentivano protetti dalla distanza e dal manto della facile illusione di essere irraggiungibili e inattaccabili. D’altronde, erano diversi per razza, per scienza e conoscenza: avevano la pelle chiara o tutt’al più ambrata; i loro capelli erano biondi o castani o anche scuri, ricci o lisci e le signore li tingevano pure a strisce 48


e in certi casi - ma solo le più azzardate e chic - con colori stravaganti, dall’arancione al cremisi, passando attraverso l’azzurro, l’indaco e il viola…! I loro occhi erano marroni, nocciola, celesti, grigi, perfino verdi e la loro forma variava con fantasia, come quella del viso e della corporatura. Nei paesi freddi del Nord gli uomini e le donne erano altissimi, come se dovessero sempre afferrare senza scale gli uccelli appollaiati sugli alberi. Al Sud gli individui di entrambi i sessi avevano la carnagione ambrata ed erano più bassi e robusti. Sembrava che il sole caldo e prepotente li avesse sospinti verso la terra per coltivarne con le forti braccia i frutti succosi o li avesse invitati ad abbronzarsi sulle spiagge dorate e a nuotare dentro l’acqua tiepida dei mari verso i sogni di epoche gloriose e di antiche sponde remote. 50 49



La diversità dei popoli occidentali rappresentava la loro forza… ma costituiva anche la loro litigiosa debolezza. Lo sapevano i Corona Virus, per effetto dell’intelligenza stregata di cui erano stati provvisti dal maleficio di Epidemia in quell’impolverato laboratorio segreto del bosco dei Mali. Così, facendo affidamento sulla propria violenza e sull’invisibilità, decisero di aggredire il mondo degli uomini del Sol calante. Arrivarono inaspettati e terribili. Non attaccarono subito. Si misero in posizione di assedio, aspettando. Avevano studiato nei manuali di guerra che la sorpresa è fondamentale per vincere, così si appostarono in luoghi strategici per attuare la tattica migliore. Presero di mira le città affollate, con gli autobus e i treni della metropolitana sempre pieni di gente, i mercati e le stazioni, i bar e le sale dove si facevano feste e conferenze, 51


ma non disdegnarono nemmeno i piccoli paesi dove le persone erano così fiduciose. Spiavano gli individui, specialmente i più anziani che apparivano stanchi e deboli. Infatti, nelle strade e nelle piazze, negli ospedali e negli ospizi, le loro sagome curve procedevano a passi lenti e le coppie camminavano a braccetto perché uno reggeva l’altro. Non pareva proprio che tali esseri, affranti dall’età e dagli acciacchi, sarebbero stati capaci di combattere. Così i Virus li scelsero come bersaglio privilegiato e partirono all’attacco. Si aggrapparono alle suole delle scarpe, s’insinuarono nelle pieghe dei fazzoletti o tra le dita delle mani che reggevano sporte e bastoni e penetrarono anche dentro gli occhi, strisciando e rotolandosi sotto gli occhiali. Nel giro di pochi giorni le vie, le piazze, i mercati, le chiese, i campi sportivi, i cinema e i bar divennero campi di battaglia pieni di feriti e di caduti. 52



Le persone, diventate facile bersaglio e assalite, dapprima cominciavano a tossire e a starnutire, poi si accasciavano senza fiato. Prima di stramazzare al suolo, a ogni colpo di tosse e a ogni starnuto, spruzzavano fuori con forza dalle bocche e dalle narici i microscopici Virus a pallina che si divertivano un mondo facendo capriole nell’aria e fabbricando con gli spruzzi della saliva spettacolari fuochi d’artificio! In breve, successe in Occidente ciò che era successo a Oriente. Dovunque si cominciò a parlare di Epidemia, anzi, dopo pochi giorni, l’opinione pubblica ne riconobbe la potenza inaudita e la onorò con il titolo regale di Pandemia che significa signora e padrona dell’universo mondo. E il mondo impazzì: le ambulanze correvano con i lampeggianti accesi, le sirene laceravano il silenzio, le campane delle chiese suonavano a martello. La gente, frastornata e spaventata, si nascose 54


dentro le case in attesa che il pandemonio finisse. Solo pochi combattevano contro i Virus nelle trincee che la gente di buona volontà aveva scavato intorno agli ospedali e alle città. Si distinguevano fra tutti i medici e gli infermieri, i volontari e i netturbini, i soldati e i poliziotti. Però le loro corazze sembravano di cartone e gli elmi parevano fatti con la mollica del pane, come il berretto a punta di Pinocchio. La guerra era durissima e le vittime cadevano come soldatini di piombo colpiti da palline di ferro. Che succedeva? - Se lo chiedevano tutti. Se lo chiedeva anche un bambino di tre anni che si chiamava Simone.

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Simone viveva con la sua famigliola in una casa piccola e chiara sulla collina in mezzo alle ginestre, agli olivi e alle querce. Quando usciva fuori, vedeva un paesaggio tutto verde dove giravano degli animali che gli altri chiamavano piccoli, ma per lui erano solo strani: le formiche, nere e indaffaratissime a rubare le briciole della sua merenda; le farfalle appoggiate ai fiori con le ali al vento come fossero ballerine del cancan davanti al pubblico in delirio; gli scoiattoli che portavano via le nocciole del campo senza pagare! Quel territorio campestre era una fonte inesauribile di scoperte. Poi c’erano i due gatti e il coniglio grasso di casa, ma quella era un’altra cosa! Da quando era cresciuto, cioè da quando aveva festeggiato il compleanno con una torta alla panna coronata da tre candele, lo avevano mandato a scuola. Non che gli dispiacesse la scuola, ma gli aveva 57


rivoluzionato la vita! Tutte le mattine lo svegliavano di prepotenza e lo facevano scapicollare: lo buttavano giù dal letto senza un minimo di grazia, gli facevano ingoiare la colazione in fretta e furia, poi a rompicollo doveva lavarsi e infilare i vestiti e le scarpe. Ma perché tanta precipitazione? Gli adulti sembravano dei pazzi scatenati, sempre di corsa e con il fiato in gola! In quel tempo di guerra con i Virus, però, le cose erano cambiate di colpo. La mamma, che spiegava sempre tutto, gli aveva detto che per qualche settimana non sarebbe andato all’asilo. C’erano in giro pericolosi Covid 19. Simone non si era preoccupato, anzi la notizia gli aveva fatto piacere perché finalmente avrebbe trovato un po’ di pace: si sarebbe alzato tardi e avrebbe giocato a più non posso. Che pacchia! Avrebbe buttato all’aria i colori, i fogli, i gessetti, i libri delle fiabe, le macchinine. 58




Avrebbe anche potuto guardare i cartoni animati e - magari - la mamma gli avrebbe permesso di pasticciare in cucina con la farina e con l’acqua. Urrà! Era cominciata in questo modo la vita meravigliosa di Simone nel “Paese dei Balocchi”, insieme ai due gatti Oscar e Camilla e a Mirtillo, il coniglio domestico largo e tondo come una botticella di birra che di tanto in tanto la nonna suggeriva di cuocere in porchetta fra lo scandalo e le proteste di tutti. A Simone non dispiaceva neanche il compito di lavarsi le mani, come spesso gli ricordavano di fare - per igiene dicevano! In fondo, era un trastullo montare sulla seggiola vicino al lavandino e manovrare la cannella formando laghetti e ruscelli sul pavimento, dove Mirtillo e Camilla sguazzavano a più non posso, o schizzare tante goccioline sul grande specchio davanti al quale la mamma si spazzolava i capelli lunghi e morbidi! 61


Gli dispiacevano solo certe regole, come quella di stare dentro casa, quando fuori c’era il sole. Le regole? “Proprio No!” Lo aveva dichiarato solennemente un giorno in cui si era arrabbiato. Non gli piacevano le regole! Non le capiva. Come non capiva perché il babbo adesso, quando tornava a casa, salutava in fretta da dietro al vetro della finestra e scendeva a mangiare e a dormire in uno studio al piano terra, in “quarantena” - spiegavano. Aveva chiesto alla mamma che significava “quarantena”. Quella volta la mamma si era impappinata, perché aveva detto che il nome veniva da quaranta e, siccome Simone sapeva contare sulla punta delle dita fino a dieci, gli aveva fatto aprire e chiudere a pugno le manine per quattro volte dicendo: ”Dieci + dieci + dieci + dieci”! “Così tanto?” Si era spaventato Simone. “Ma No! Solo quattordici giorni!” “E allora, perché la chiamano quarantena ? 62



Davanti alla domanda, la mamma si era inceppata e lui non ci aveva capito più nulla. Questa cosa dei conti era veramente un brutto affare e Simone quella sera, sfregandosi gli occhi per la confusione e il sonno, se n’era andato a letto, seguito da Mirtillo. S’era addormentato subito perchè durante il giorno aveva girato, non si sa quante volte, intorno al tavolino con la bicicletta, con l’automobile rossa che gli aveva regalato la zia Raffaela, con la carriola piena di giocattoli che poi aveva dovuto rimettere a posto, come volevano quei rompiscatole degli adulti. Che fatica! Ci sarebbe voluta una magia per sistemare tutto negli scaffali e nei cassetti! Adesso, nel letto, sognava beato stando accoccolato e caldo sotto l’imbottita. Sognava che il gatto Oscar era salito dal garage dove si rintanava di solito e aveva chiamato la gatta Camilla che stava acciambellata sopra la stufa tiepida e il 64


coniglio Mirtillo che aveva schiacciato il muso nella cuccia sotto le orecchie morbide e pelose. “Svegliatevi, dormiglioni!” Aveva miagolato piano Oscar, infilando il muso nell’inferriata. E loro erano corsi a guardarlo sul davanzale. Dei tre animali, Oscar era il più vecchio e il più saggio. Lo consideravano un eremita, non si sa se mistico o pauroso. Non gli piaceva la folla né la confusione. Non gli piaceva stare dentro casa insieme con gli altri nel trambusto rumoroso delle giornate: chi passava l’aspirapolvere, chi strillava, chi saltava e faceva cadere gli oggetti, mentre la televisione non la smetteva mai di strombazzare musiche ad alto volume e chiacchierate lunghe e noiose. Oscar arrivava a orari fissi solo per mangiare e poi se la filava indisturbato. Nessuno mai sapeva dove andava o dove stava. Era un gatto campestre, bonario e girellone, molto educato! 65


Gli altri due animali lo rispettavano. Quella notte Oscar li aveva chiamati e loro uscirono, non si sa come (perché nei sogni tutto è misterioso) e lo seguirono. Simone nel sogno aveva sentito il debole tramestio delle bestiole di casa e aveva deciso di pedinarle per controllare dove sarebbero andate a parare nel buio della notte. Avrebbero potuto combinare qualche guaio, si sarebbero potute perdere tra i campi e gli sterpi… Questo proprio No! Solo il pensiero di un tale rischio gli fece accapponare la pelle. Così si buttò giù dal letto, infilò le calze di lana col fondo ruvido e tanti pallini di gomma, afferrò lo zainetto dove teneva le sue cose più preziose - tra cui la pila che gli aveva regalato il babbo si mise addosso il primo maglioncino che incontrò a tentoni sulla sedia e corse verso la porta di casa. Ci mise un po’ ad aprirla e, quando fu nel prato, fece appena in tempo a scorgere la coda a batuffolo di Mirtillo che 66


era l’ultimo nel gruppetto di fuggiaschi. Si affannò a correre dietro di loro, ma decise di rimanere lontano per non essere visto. Non intendeva scompigliare i loro piani. Quando i notturni esploratori infilarono il viottolo che scendeva verso il torrente, scavato nel fondo del declivio e ormai privo di acqua, li vide bene tutti e tre, mentre risalivano la collina diretti verso la boscaglia che s’inerpicava dall’altra parte. Oscar andava avanti, guidato dagli occhi verdi, grandi e fosforescenti come due fanali; dietro camminava morbida e prudente Camilla con il cestino dei croccantini di riserva e dietro, molto indietro, zampettava Mirtillo con i baffi tesi tra l’erba e il naso palpitante. Simone non capiva come facesse quest’ultimo a tenere il passo, grasso e ghiotto com’era. La sua sagoma rotonda ogni tanto incespicava e rotolava, ogni tanto s’arrestava all’improvviso. Simone pensava 67


che sicuramente quell’ingordo si era fermato per rosicchiare una foglia saporita che non aveva assaggiato mai e gli sembrava buonissima. Però, poteva anche essere che una spina l’avesse agguantato per i peli e lo trattenesse spaventandolo a morte. Mirtillo non era abituato a uscire, preferiva sciare sulle mattonelle di casa o saltare sui cuscini elastici del divano. Anche Simone, a quell’ora di notte e fuori del solito ambiente, si sentiva impacciato tra i rovi aspri della macchia. Procedeva guardingo con quelle calzature inadeguate che s’impigliavano qua e là. Sembrava che lo facessero per dispetto ad agganciarsi a ogni spuntone che tirava i fili di lana e imbrogliava i passi! Chissà che avrebbe detto la mamma, vedendo gli strappi e le sfilature in quelle pantofole colorate che, con un bacio d’amore, gli aveva regalato proprio lei! 68



Nonostante la naturale preoccupazione, capì che doveva accelerare l’andatura senza pensare più ai piedi, anche se erano insanguinati e indolenziti. Del resto, in quell’avventura, lui - per proteggere gli animali di casa - ci stava rimettendo la pelle, con graffi, pizzichi e ammaccature! Era un eroe! Stava dimostrando il suo senso di responsabilità e un grande coraggio! Così cominciò a strattonare e a muovere più velocemente le corte gambette. Raggiunse, quasi, il trio e cominciò a procedere a zigzag nascondendosi dietro i tronchi, occhieggiando tra i cespugli e aguzzando le orecchie. Ogni tanto Oscar si girava a guardare i compagni con gli occhi verdi, tondi e spalancati e li spronava: “Su! Via! Svelti!” Camilla, che era insonnolita e stanca, bofonchiava: “Ma dove andiamo? Così, di notte, al buio?” Ma che buio! La notte era bellissima. 70


C’era la luna piena nel cielo tra tante stelle fredde e luminose che sembravano infiniti punti luccicanti nell’immensità. Oscar, assorto nella ricerca, non rispondeva e gli altri gli andavano dietro. A un certo punto si fermarono. Stavano davanti a una barriera di cespugli fitti, alcuni fioriti di piccoli fiori bianchi, stretti a bocciolo nel sonno della notte. Oscar cominciò a cercare a testa china, muovendo i baffi e annusando. Annusava e cercava con grande concentrazione. Gli altri due lo seguivano appiattendo il ventre a terra e muovendo piano la coda. “Ma che cerchi?” - Gli soffiava all’orecchio Camilla, curiosa e preoccupata. “Sssst!” - Rispondeva con un miagolio soffocato Oscar. All’improvviso Simone capì che Oscar aveva trovato ciò che stava cercando e si acquattò aguzzando lo sguardo per osservare meglio. 71


Vide che il gatto si era infilato in un buco sotto a un cespuglio ed era sparito spingendo indietro la terra che aveva grattato. Camilla e Mirtillo erano strisciati dietro di lui. L’ultima a scomparire era stata la coda di Mirtillo. Pensando di perdere di vista gli amici, Simone si aprì un varco tra le frasche e i fuscelli e piombò dall’altra parte su un mucchio di foglie tenere e molli. Si trovò in un prato di velluto, largo, contornato da alberi, sotto il cielo stellato. In mezzo al prato c’erano due figure danzanti, fatte di aria e di colori. Una era tutta a fiamme: arancioni, gialle, rosse, dorate… che si accavallavano, si avviluppavano sfumando e riaccendendosi in un impalpabile pulviscolo di scintille mosse da un fuoco che non si vedeva; l’altra era tutta a respiri di verde, a fremiti d’argento, a pennellate trasparenti di giada, di cielo e di mare. 72


Si allontanavano e si avvicinavano in evoluzioni leggere, sfiorando appena la terra, nella musica delle foglie e dell’erba. Intorno, muti, con gli occhi spalancati, stavano gli animali del bosco che erano corsi a guardare lo spettacolo ubbidendo non più alle leggi della natura che li voleva addormentati, ma a quelle impalpabili del mondo dei sogni che li voleva svegli. Gli uccelli erano appollaiati sui rami, come nella galleria di un teatro; le farfalle, i moscerini, le libellule e tutti gli insetti del bosco si appoggiavano sulle corolle dei fiori; gli scoiattoli, le volpi, i ghiri, i bruchi, le lucertole… e i quattro avventurosi protagonisti di questa storia erano seduti al bordo della radura, immobili. La danza meravigliosa catturava il loro sguardo e tutta la loro attenzione. Sembrava che lo spazio si fosse dilatato ad abbracciare l’universo, senza più tempo, in un miracolo di grazia e di equilibrio. 73




Era come se l’anima dei presenti si fosse unita in armonia con la natura in un palpito comune di felicità. Camilla si avvicinò a Oscar e gli chiese sottovoce chi fossero le due creature che volteggiavano nell’aria, lievi e leggiadre, intrecciando le loro movenze su quello scenario di sogno. “Sono i ballerini più conosciuti della terra. Danno spettacolo in tutti i teatri del mondo, li onorano anche i Capi di Stato, i Re, i Principi e persino il Papa! - rispose Oscar. I loro nomi sono su tutti i cartelloni dei cinema, su tutti i libri, su tutte le bocche! Si chiamano Amore e Speranza”. Simone ascoltava e non gl’importava più nulla di essere scoperto. Anzi ne era contento! In quell’atmosfera fatata in cui i bambini, senza crescere di misura, diventano grandi, capì il segreto che la gioia del cuore nasce dall’armonia con la natura e dall’unione con gli altri. 76


Intanto lo spettacolo era finito e gli spettatori sciamarono verso le loro case. Anche Oscar, Camilla e Mirtillo si avviarono parlottando. Simone, a distanza ravvicinata, seguiva il piccolo gruppo e ascoltava attentamente. Oscar spiegò che quella notte Amore e Speranza avevano ballato in quel modo e in quel luogo per creare un incantesimo potentissimo che avrebbe sconfitto il sortilegio di Epidemia con la musica del creato, con i colori dell’iride, con l’aiuto del Cielo e con le parole prodigiose “andrà” “tutto” “bene”. Così avevano dichiarato i bambini del mondo appendendo ai balconi e alle finestre di milioni di case i loro disegni con tanti cuori rossi e con tanti arcobaleni. Oscar, Camilla e Mirtillo sapevano che cos’era il cuore perché lo sentivano battere d’amore per i loro padroni, sotto il manto grigio e soffice delle loro pellicce: “pum - pum - pum”. 77


Con quel rumore di piccola, calda pompa d’affetto si addormentavano ogni sera e si svegliavano ogni mattina saltando a turno nei letti di casa. Dell’arcobaleno non sapevano nulla, non l’avevano visto mai. Oscar guardò verso l’alto, come per chiedere ispirazione al cielo. Stranamente vide che la luna e le stelle non c’erano più. Al loro posto si stavano ammucchiando verso il centro di quella cupola infinita, nuvole arricciate, a onde bordate di chiaro, tra squarci d’infinito. Una goccia d’acqua, pesante, cadde proprio in quel momento al centro del suo muso, sopra al naso. “Correte! Comincia a piovere!” E un lampo bianco illuminò le chiome nere degli alberi. I nostri amici arrivarono trafelati, appena a tempo, nella casa sulla collina e si tuffarono dentro per la solita porta dei sogni. Questa volta entrò pure Oscar, spaventato dai lampi e dai tuoni. 78


Com’era bella e comoda quella casa bianca e solitaria sulla collina! Simone, stiracchiandosi nel letto dove si rigirava nel misterioso garbuglio dei sogni, dormiva con la serenità sorridente della sua gioiosa innocenza. La mattina dopo, la mamma si affacciò alla finestra spalancata verso la valle e vide gli ulivi, le ginestre, il prato, i campi… lavati dalla pioggia notturna e gocciolanti. Il cielo sembrava di vetro, spennellato di un timido acquoso celeste con qualche rada sfilacciatura di bambagia bianca e rosa. Nel quadro del creato si stendeva ad abbracciare il mondo, proprio ad arco sopra il tetto della casa, un arcobaleno bellissimo, brillante e trasparente nei colori dell’iride. Si stendeva sopra il paesaggio e sembrava proteggerlo con la sua scia luminosa. “La pioggia ha pulito l’universo!- mormorò la mamma di Simone - Speriamo che abbia portato via i Virus!” 79



“Svegliati Simone! Vieni! Vieni a vedere l’arcobaleno!” Simone in pigiama e i tre animaletti di casa, ancora assonnati, corsero a guardare, appoggiandosi al davanzale e stropicciandosi gli occhi. “Penso che la reclusione finirà presto esclamò la mamma - e tu, briccone, dovrai tornare a scuola!... Finalmente!” Pronunciò la frase con un’incrinatura nella voce, come un brivido di nostalgia. Simone capì che, prima o poi, avrebbe dovuto salutare il Paese dei Balocchi in cui si era spassato per tanto tempo, ma gli piacque l’idea di rivedere i suoi amici dell’asilo e soprattutto Leonardo e Alice che gli andavano proprio a genio. Sorrise e sorrisero anche, sotto i baffi, Camilla e Mirtillo che avevano imparato cos’era un arcobaleno senza che Oscar dovesse sforzarsi per spiegare un fenomeno così difficile fatto di atomi di luce e di riflessi! I piccoli animali della casa 81


sapevano - per certo - che i Corona Virus sarebbero stati spinti per sempre nel buco nero dell’universo dall’incantesimo di Amore e di Speranza. Dal canto suo, Simone non vedeva l’ora di raccontare alla maestra e ai suoi compagni il sogno bellissimo che aveva fatto. Voleva far conoscere anche a loro ciò che i vecchi saggi della terra affermano dopo aver tanto studiato e che lui, così semplicemente, aveva scoperto stando in quel teatro di tronchi ammantato di stelle: cioè che, insieme ad Amore e a Speranza, l’armonia con il creato e l’unione con gli altri sconfiggono il Male del mondo… se gli uomini ci si mettono d’impegno!

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ommario ommario

Dedica Dedica Nota dell’autrice Nota dell’autrice Poesia “Neve di marzo…” Poesia “Neve di marzo…” Prefazione Prefazione Introduzione Introduzione Racconto - Prima parte parte Racconto - Prima Seconda parte Racconto Seconda parte Sommario Sommario Ringraziamenti Ringraziamenti Cenni biografici Cenni biografici

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pag. 5 pag. 65 pag. 68 pag. 98 pag. 11 9 pag. 11 14 - 55 pag. 14 55 57 - 84 pag. 85 57 - 84 pag. 86 85 pag. 86 89 pag. 89


ingrazio

i miei figli Leonardo e Raffaela, per l’assistenza tecnologica nell’uso del computer; Rita Fanelli Marini, per avermi incoraggiato a pubblicare la fiaba e per averne valorizzato il significato educativo scrivendo una prefazione che dà importanza alla capacità suggestiva della lettura; Carlo Rampioni, per avermi aiutato a definire la stesura di stampa con preziosi suggerimenti fornendomi anche un valido supporto organizzativo con generosa disponibilità; Elvira Guglielmi per l’amicizia illuminante; Marina Piermatti della “Restore 3.0” per il paziente lavoro d’impaginazione.

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I capolettera usati nelle pagine 6 - 9 - 11 - 85 - 86 sono tratti dal catalogo “Archeoclub e Scuola” stampato nell’anno 2007, a cura della sezione di Foligno di Archeoclub d’Italia, in occasione della mostra di elaborati scolastici sul tema “Segni Disegni Figure” del Medioevo folignate e umbro. Le lettere fanno parte dell’alfabeto miniato realizzato dagli studenti del Laboratorio artistico della Scuola Media St. Giuseppe Piermarini. E’ significativo l’uso di una elaborazione d’arte ludica in un libro di narrativa giocosa per rendere omaggio, in un abbraccio ideale fra età diverse, alla meravigliosa potenza della creatività, allo splendore della fantasia e all’appassionante ricerca di una espressività.

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Carla Barberi Glingler

E’ nata a Fabriano nelle Marche, attualmente vive in Umbria, a Foligno. E’ rimasta legata al luogo delle origini da vincoli di parentela e da ricordi di atmosfere remote, di scene e di figure familiari. Con sottile ironia ha affermato che, essendo Fabriano la città della carta, forse le ha fatto amare la carta per scriverci sopra. Foligno è il luogo caro della quotidianità, del lavoro e degli affetti. Ha frequentato il Liceo Classico Federico Frezzi e ha conseguito la laurea in Lettere classiche presso l’Università degli Studi di Perugia. Ha insegnato in Istituti di diverso ordine e grado. Nel corso degli anni ha scritto recensioni e articoli culturali e, per diletto personale, racconti e poesie. Ha partecipato a vari concorsi letterari e fotografici ottenendo lusinghieri consensi e la Farfalla d’oro per la prosa nell’Edizione 2001 del XIX Concorso 50 e Più Premio Riva del Garda - Trentino. Ha ricoperto il ruolo di Vicepresidente e successivamente di Presidente della sezione locale di Archeoclub d’Italia, poi Archeoclub di Foligno, negli anni 2000/2012. Ama la vita semplice e con piacere si dedica alla casa e ai figli. Quando non viaggia, coltiva la passione per la creatività con il disegno, con la lavorazione della ceramica e con altre forme di artigianato che realizza in modo del tutto personale utilizzando materiali di recupero di varia natura.

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Giunti alla fine della lettura desideriamo spiegare le motivazioni che ci hanno portato a divulgare questo piccolo libro. Noi dell’Associazione Mai Soli ci occupiamo di pazienti in stato vegetativo, coma e minima coscienza che ancora oggi vengono assistiti in strutture di fatto non sufficientemente organizzate per i loro bisogni. Ci siamo incontrati con l’autrice che ha apprezzato la nostra missione quindi insieme abbiamo deciso di condividere questa esperienza. L’Associazione è abituata da tempo a confrontarsi con persone che vivono momenti digrande difficoltà, l’autrice, ex insegnante, è da sempre abituata a spiegare, chiarire ed insegnare. Insieme abbiamo pensato che pubblicare e divulgare questo testo avrebbe aiutato i bambini a superare le difficoltà legate alla pandemia; da qui la nostra collaborazione. Un ringraziamento particolare alla signora Glingler che ha deciso di devolvere il ricavato della vendita dei libri alla nostra Associazione permettendoci, speriamo, di raggiungere il nostro “ambizioso obiettivo”. Marina Martorelli Presidente Associazione Mai soli


Dall’esperienza di tre famiglie nasce: “MAI SOLI” una associazione di promozione che ha come obiettivo principale l’assistenza e la cura delle persone in coma e stato vegetativo permanente e persistente. E’ un organismo che persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale e svolge la sua attività nel settore dell’assistenza sociale e socio-sanitaria promuovendo la realizzazione di apposite strutture per l’accoglienza e la cura adeguata di pazienti con tali patologie. Si prefigge di far inserire nel piano ospedaliero della Regione Umbria le Suap, le Unità dei Risvegli e le unità per il sollievo delle persone in coma e stato vegetativo. www.assmaisoli.com



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