Speciale per il Volontariato amministrato dal Comitato di
Quaderni del volontariato
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a cura di Abio Perugia
Abio Perugia
Il Cesvol svolge le sue attività con risorse del Fondo
Un sorriso in ospedale
gestione dell'Umbria e alimentato dalle seguenti Fondazioni bancarie: Fondazione Cassa Risparmio Perugia Fondazione Cassa Risparmio Terni e Narni Fondazione Cassa Risparmio Spoleto Fondazione Cassa Risparmio Foligno Fondazione Cassa Risparmio Orvieto Fondazione Cassa Risparmio Città di castello Fondazione Cassa Risparmio Province Lombarde
Un sorriso in ospedale
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Quaderni del volontariato
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Abio Perugia
Un Sorriso in Ospedale
Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Sandro Penna 104/106 Sant’Andrea delle Fratte 06132 Perugia tel. 075/5271976 fax. 075/5287998 www.pgcesvol.net cesvol@mclink.it pubblicazioni@pgcesvol.net
Pubblicazione a cura di
Con il patrocinio della regione Umbria
Progetto grafico e videoimpaginazione Chiara Gagliano
Š 2008 CESVOL 2008 FUTURA soc.coop. ISBN
88-95132-33-5
I quaderni del volontariato, un viaggio attraverso un libro nel mondo del sociale
Il CESVOL, centro servizi volontariato per la Provincia di Perugia, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, ha definito un piano specifico nell’area della pubblicistica del volontariato. L’obiettivo è quello di fornire proposte ed idee coerenti rispetto ai temi di interesse e di competenza del settore, di valorizzare il patrimonio di esperienze e di contenuti già esistenti nell’ambito del volontariato organizzato ed inoltre di favorire e promuovere la circolazione e diffusione di argomenti e questioni che possono ritenersi coerenti rispetto a quelli presenti al centro della riflessione regionale o nazionale sulle tematiche sociali. La collana I quaderni del volontariato presenta una serie di produzioni pubblicistiche selezionate attraverso un invito periodico rivolto alle associazioni, al fine di realizzare con il tempo una vera e propria collana editoriale dedicata alle tematiche sociali, ma anche ai contenuti ed alle azioni portate avanti dall’associazionismo provinciale. I Quaderni del volontariato, inoltre, rappresentano un utile supporto per chiunque volesse approfondire i temi inerenti il sociale per motivi di studio ed approfondimento.
Indice
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CAPITOLO PRIMO: BREVE STORIA DI ABIO Nascita dell’associazione per il bambino in ospedale Carta dei diritti del bambino in ospedale Ottobre 2004: il primo corso di formazione ABIO a Perugia
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CAPITOLO SECONDO: OBBIETTIVI ABIO ACCOGLIENZA E GIOCO La relazione con il bambino ospedalizzato Tipologie di gioco
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CAPITOLO TERZO: ESPERIENZE IN REPARTO I VOLONTARI RACCONTANO Ricordi di Alessia Ricordi di Marta Ricordi di Irene Ricordi di Anna Ricordi di Micol Ricordi di Carolina Ricordi di Laura Associazione A.t.e.na
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CAPITOLO QUARTO: DIVENTARE VOLONTARIO ABIO Requisiti richiesti agli aspiranti volontari Il corso di formazione L’impegno richiesto al volontario ABIO I compiti del volontario
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BIBLIOGRAFIA
Breve storia di ABIO
Capitolo Primo BREVE STORIA DI ABIO 1. Nascita dell’Associazione per il Bambino in Ospedale “L’OSPEDALIZZAZIONE RAPPRESENTA UN FATTORE DI RISCHIO PER LO SVILUPPO PSICHICO DEL BAMBINO, TANTO PIÙ GRAVE QUANTO PIÙ È PICCOLO IL BAMBINO”. L’ospedalizzazione ha da sempre costituito, per il bambino e la sua famiglia, un evento traumatizzante, in quanto presuppone la temporanea, ma significativa, perdita dei punti di riferimento e l’inserimento, non senza disagi, in un contesto nuovo, spesso percepito dal piccolo come ostile. In passato la situazione era ancor più complessa a causa di strutture sanitarie non idonee ad accogliere al loro interno anche gli adulti. Ciò comportava, per i genitori, l’impossibilità di rimanere accanto al figlio ricoverato. Il bambino quindi, rimaneva solo! Erano gli anni settanta e l’Italia si trovava ad affrontare una fase difficile e delicata della sua storia, attraversata da nord a sud da scioperi, disordini sociali e conflitti che rendevano la vita quotidiana complicata, ed ancor più quella di coloro che necessitavano di cure. Regina Sironi, ormai da anni figura di spicco della Fondazione ABIO ITALIA Onlus, e punto di riferimento per tutte le sedi ABIO presenti in territorio nazionale, racconta così la sua personale esperienza: Nel 1977, di ritorno in Italia dopo diversi anni, dovendo mio figlio di tre anni subire un intervento chirurgico, ci siamo rivolti al prof. Zaffaroni di Milano, iniziatore della chirurgia pediatrica. Con rustica semplicità (il suo stile abituale), ci invitò a lasciare
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Breve storia di Abio
il bambino in ospedale ed, al mio rifiuto, commentò che le madri ansiose erano il suo problema principale, dato che i bambini si adattavano benissimo. Il bambino fu operato sempre accudito dalla sua mamma”. Un anno dopo, nel novembre del 1978, fu costituita l’Associazione per il bambino in ospedale, ABIO, per precisa volontà proprio del professor Zaffaroni; aveva così inizio una fase fino ad allora del tutto sconosciuta del curare, intesa non più solamente come azioni volte a migliorare le condizioni cliniche del malato, o come mera somministrazione di medicine, ma come accezione più estesa, del prendersi cura del soggetto nella sua interezza. Per realizzare questo ambizioso processo, era necessaria la cooperazione e l’interazione tra più soggetti, figure sanitarie e non,complementari tra loro, in modo che ognuna fosse in grado di sopperire alle carenze dell’altra. “Dare vita ad un’esperienza di volontariato verso i bambini ammalati era anche affermare il bisogno-diritto delle persone di aiutarsi a vicenda, con rispetto ed attenzione, anche al di fuori ed al di là di un credo religioso, solo come civile solidarietà”( REGINA SIRONI). Da Milano e da quel lontano 1978, ABIO si è ormai diffusa e consolidata con oltre sessanta sedi operative ed autonome sparse in tutta Italia e 4000 volontari, accomunati da un unico obiettivo:concorrere all’umanizzazione dell’ospedale, offrendo appoggio al bambino ed alla sua famiglia per rendere loro l’esperienza del ricovero il meno traumatica possibile. Il compito di coordinare ed uniformare l’operato delle varie sedi spetta alla FONDAZIONE ABIO ITALIA ONLUS, costituita nel maggio 2006, che si adopera inoltre per sensibilizzare la popolazione circa le iniziative ABIO, favorendo la diffusione e la conoscenza della Carta dei Diritti del bambino in ospedale. A livello europeo, ABIO si configura come socio fondatore di EACH-EUROPEAN ASSOCIATION FOR CHILDREN IN HOSPITAL.
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2. Carta dei diritti del bambino in ospedale. La carta fa riferimento alla convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, ratificata da tutti i governi europei e si ispira alla carta di EACH, redatta nel 1988. L’intento è quello di sensibilizzare le istituzioni alla necessità di passare dal curare le malattie al prendersi cura dei bambini malati senza dimenticare il ruolo fondamentale delle famiglie. Prendersi cura significa porre attenzione anche alla qualità dell’ambiente, quindi al bisogno del bambino di essere accolto e curato nel rispetto delle sue esigenze, tra le quali anche il gioco, il sorriso, i colori. Art. 1 I bambini e gli adolescenti hanno diritto sempre ad avere la migliore qualità delle cure. Possibilmente a domicilio o in ambulatorio e, qualora non esistessero alternative valide, in ospedale. A tale fine deve essere garantita loro una assistenza globale attraverso la costruzione di una rete organizzativa che integri ospedale e servizi territoriali, con il coinvolgimento dei pediatri di famiglia. Art. 2 I bambini e gli adolescenti hanno il diritto di avere sempre accanto a loro in ogni momento (giorno, notte, esecuzione di esami, anestesia, risveglio, terapia intensiva) i genitori o un loro sostituto adeguato al compito e a loro gradito (nonni, fratelli, persona amica, volontari), senza alcuna limitazione di tempo e di orario. Art. 3 L’ospedale deve offrire facilitazioni (letto, bagno, spazio per effetti personali, pasti a prezzo convenzionato) ai genitori dei bambini e adolescenti ricoverati e deve aiutarli e incoraggiarli se ciò è compatibile con le loro esigenze familiari a restare in ospedale. Inoltre, 11
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perché possano adeguatamente prendersi cura del loro figlio, i genitori devono essere informati sulla diagnosi, sull’organizzazione del reparto e sui percorsi terapeutici in atto. Art. 4 I bambini e gli adolescenti hanno diritto ad essere ricoverati in reparti pediatrici e mai in reparti per adulti possibilmente aggregati per fasce di età omogenee affinché si possano tenere in debita considerazione le differenti esigenze di un bambino o di un adolescente. Non deve essere posto un limite all’età dei visitatori, compatibilmente con il rispetto delle esigenze degli altri bambini e adolescenti ricoverati e alle necessità assistenziali del bambino o adolescente stesso. Art. 5 Ai bambini e agli adolescenti deve essere assicurata la continuità dell’assistenza pediatrica da parte dell’èquipe multidisciplinare ospedaliera 24 ore su 24 sia nei reparti di degenza sia in pronto soccorso. Art. 6 I bambini e gli adolescenti hanno diritto ad avere a loro disposizione figure specializzate (pediatri, infermieri pediatrici, psicologi, mediatori culturali, assistenti sociali, volontari) in grado di creare una rete assistenziale che risponda alle necessità fisiche, emotive e psichiche loro e della loro famiglia. Art. 7 I bambini e gli adolescenti devono essere trattati con tatto e comprensione e la loro intimità deve essere rispettata in ogni momento. A bambini e adolescenti devono essere garantiti il diritto alla privacy e la protezione dall’esposizione fisica e da situazioni umilianti, in relazione all’età, alla cultura e al credo religioso loro e della loro famiglia. 12
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Art. 8 I bambini e gli adolescenti e i loro genitori hanno diritto ad essere informati riguardo la diagnosi e adeguatamente coinvolti nelle decisioni relative alle terapie. Le informazioni ai bambini e agli adolescenti, specie quando riguardano indagini diagnostiche invasive, devono essere date quando possibile in presenza di un genitore e in modo adeguato alla loro età, capacità di comprensione e sensibilità manifestata. Art. 9 Nell’attività diagnostica e terapeutica che si rende necessaria, devono essere sempre adottate tutte le pratiche finalizzate a minimizzare il dolore e lo stress psicofisico dei bambini e degli adolescenti e la sofferenza della loro famiglia. Fondazione Abio promuove la conoscenza della Carta dei Diritti, alleandosi con tutte quelle realtà ospedaliere impegnate nello sforzo di umanizzare l’ospedale, rispettando il diritto dei bambini e adolescenti non solo alle cure migliori, ma anche al rispetto dei bisogni affettivi ed emotivi degli stessi.
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3. Ottobre 2004: Il primo corso di formazione ABIO a Perugia. Dall’Ottobre 2004, anno in cui si è tenuto il primo corso di formazione per aspiranti volontari ABIO a Perugia, l’associazione è presente nel territorio umbro con quella che fino ad oggi è l’unica sede situata ed operativa proprio nel capoluogo. Ricordano la signora Fara Lo Iacono (fino al 2007 presidentessa di ABIO Perugia) ed il personale di Milano che ne permise l’apertura, come non fu semplice riuscire a portare avanti questo progetto, più volte tentato, ma, prima di allora, mai riuscito. Nonostante infatti si fosse effettuata una campagna di sensibilizzazione della popolazione attraverso gli organi di stampa e la diffusione di comunicati via internet, il numero dei partecipanti al primo incontro del corso (di frequenza obbligatoria), era sempre esiguo, ed insufficiente per garantirne la prosecuzione. Solo nel 2004, quando cioè si raggiunse la quota idonea di almeno una trentina di soggetti interessati, si potè proseguire con l’intero ciclo di incontri che si concluse, come da programma, ad inizio Dicembre. In undici decisero di prendere attivamente servizio, organizzate in turni settimanali da due,nel reparto di pediatria del policlinico di Monteluce; un reparto, come spiegò allora la caposala, vecchio e fatiscente, nel quale all’ansia ed allo stress dovute alla notevole quantità di nuovi casi che ogni giorno vi approdavano, si univa il disagio, per gli operatori sanitari stessi e per le famiglie dei piccoli ricoverati, del dover intraprendere il cammino in una struttura non più in grado di fronteggiarne i bisogni e le necessità. Non esistendo all’interno del reparto uno spazio da adibire a ludoteca, i volontari effettuavano il turno giocando con i bambini e gli adolescenti (fino a 18 anni), direttamente nelle camere. Inizialmente ciò creò non poche difficoltà, specialmente per coloro che, di carattere più timido e chiuso, si trovavano a dover operare sempre sotto lo sguardo vigile e spesso diffidente del genitore o di colui che assisteva il piccolo ospite; inoltre, essendo ABIO 14
Breve storia di Abio
ancora una realtà sconosciuta, in più di una occasione il volontario è stato percepito come elemento di intrusione della sfera privata e, per questo motivo, allontanato. In qualche caso addirittura si è stati fraintesi per venditori di giocattoli, probabilmente anche per l’impossibilità di comunicare con persone di lingue differenti dalla nostra; altre volte invece è stato chiesto se il servizio necessitava di ricompensa,e solo dopo aver ricevuto risposta negativa, si poteva finalmente entrare in contatto con il bambino ed aiutarlo a distrarsi dalla complessa e spesso dolorosa situazione che stava attraversando in quel momento insieme ai suoi familiari. Nonostante tutto, i volontari hanno sempre portato avanti il loro impegno; ogni autunno è stato effettuato un nuovo corso di formazione che ha permesso all’associazione di sostituire e reintegrare con i nuove persone coloro che, per impegni di studio, lavoro, etc... si sono trovati nell’impossibilità di garantire una costante presenza in reparto. Dal 2004 comunque, molti passi in avanti sono stati compiuti; dal 1° Gennaio 2006 infatti, la sede perugina è diventata autonoma rispetto a quella centrale di Milano, alla quale in ogni caso si deve riferire riguardo alle iniziative che si vogliono intraprendere, alle manifestazioni alle quali si intende partecipare, alle spese sostenute ed a quelle in programma, ai corsi di formazione da organizzare annualmente. Oggi ABIO Perugia opera nel nuovo reparto pediatrico dell’ospedale Santa Maria della Misericordia; un reparto finalmente concepito a misura di bambino, reso più accogliente da allegre decorazioni che ravvivano le pareti delle camere, e con un grande spazio comune adibito a sala d’aspetto e ludoteca, dove i piccoli ospiti possono trascorrere del tempo giocando insieme agli altri bambini ed ai volontari. Grazie al numero sempre crescente di persone che hanno deciso di entrare a far parte dell’associazione (attualmente si contano venti soci), sono stati introdotti turni che coprono più fasce orarie nell’arco di una giornata, in modo da garantire una presenza amica 15
Breve storia di Abio
continua e costante, e l’avvicendarsi di tanti volontari permette al bambino ospedalizzato di sperimentare giochi diversi, scelti in base alle esigenze dei bambino stesso, ma anche alle attitudini ed alle capacità di coloro che sono lì proprio per offrirgli un’opportunità di svago.
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Obiettivi Abio: accoglienza e gioco
Capitolo Secondo OBIETTIVI ABIO: ACCOGLIENZA E GIOCO 1. La relazione con il bambino ospedalizzato Entrare in relazione con il bambino e la sua famiglia in una situazione di ospedalizzazione è il primo passo fondamentale che il volontario è tenuto a compiere. Offrire loro appoggio, sostegno, ascolto, cercare di comprenderne necessità e bisogni,garantire una presenza amica nel caso in cui il genitore sia costretto ad allontanarsi, permette di rendere assai meno traumatica l’esperienza del ricovero, vissuta in maniera estremamente negativa dall’intero nucleo familiare. Non sempre, comunque, tale obbiettivo risulta essere facilmente perseguibile;alcune volte infatti, prevale un sentimento di diffidenza nei confronti della figura del volontario, in altre invece si manifesta una difficoltà di comunicazione dovuta a linguaggi e culture profondamente differenti. Per agevolare comunque questo importante percorso di “umanizzazione” dell’ospedale, è ormai opinione comune che alcuni spazi del reparto, frequentati quotidianamente da bambini e genitori, assumano una dimensione più accogliente e ludica. Ciò si realizza concretamente con la creazione di apposite sale gioco, ludoteche, ovvero spazi vitali dove il piccolo ha la possibilità di recuperare la sua dimensione sana in un ambiente che ne enfatizza quella malata. “In ospedale uno dei bisogni principali è quello di superare l’angoscia e ritrovare, per quanto possibile, sicurezza e serenità. È necessario quindi recuperare e riscoprire elementi rassicuranti e familiari”. Per il bambino, è proprio il gioco a rappresentare un elemento di continuità con la vita extra-ospedaliera, attraverso il quale egli può dirottare l’ansia legata al suo stato di salute verso attività 17
Obiettivi Abio: accoglienza e gioco
divertenti, scaricare le proprie energie in modo piacevole ed entrare in contatto con gli altri ospiti del reparto, con i quali ha la possibilità di parlare e raccontare le esperienze vissute. La socializzazione tra bambini (che l’attività del volontario deve favorire) permette di interrompere l’isolamento ed il rapporto esclusivo con il genitore in un momento in cui il forte stress che entrambe le parti si trovano a dover gestire crea ansie e tensioni. Tali attività devono essere mirate ad accrescere il senso di autostima e di protagonismo dei singoli bambini, perché “sentirsi considerati ed attivi è importante per affermare la propria voglia di vivere e per reagire di fronte al malessere, stimolando appunto le risorse positive dell’organismo”. Ogni azione ludica, nella sua duplice valenza preventiva-curativa (intesa come prendersi cura) deve avere sempre determinate caratteristiche: a) essere coinvolgente b) essere individualizzata in base alle potenzialità di ognuno. c) essere personalizzata in base ai gusti dei partecipanti. Si dovrà inoltre tenere in considerazione: 1) la diversa età dei giocatori(e proprio per facilitare ciò il turno settimanale viene effettuato in coppia o in tre volontari, in modo da poter svolgere contemporaneamente attività diverse). 2) le condizioni di salute dei bambini, offrendo la possibilità di distrarsi e divertirsi anche a coloro che sono impossibilitati ad alzarsi dal letto. 3) la presenza dei familiari, che, in alcuni casi, possono essere coinvolti nei giochi. 4) gli spazi disponibili. L’ambiente preposto al gioco deve essere 18
Obiettivi Abio: accoglienza e gioco
arredato con armadi e scaffalature solidi, semplici, facilmente accessibili anche da parte dei bambini e di materiale pulibile, per garantire sempre un’accurata igiene. Tutto ciò, per permettere di ricreare un clima di affetto, simpatia, confidenza e collaborazione, per rendere l’ospedale non solo un luogo di cura, ma anche un posto ricco di relazioni umane, dunque, un luogo migliore.
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Obiettivi Abio: accoglienza e gioco
2. Tipologie di gioco. “Il gioco rappresenta una forma fondamentale di vita, che appartiene al fatto di essere vivi e porta in maniera naturale all’esperienza culturale” (Winnicott). Secondo le varie e diversificate attività proposte, potrà essere utilizzato materiale strutturato, semplice o costruito direttamente dai bambini, raggruppato in diverse aree: a) giochi strutturati: pupazzi, costruzioni, giochi tattili, giocattoli per spingere, tirare, battere, infilare… giochi, quindi, adatti a bambini fino ai tre anni di età, attraverso i quali i piccoli hanno modo di sviluppare alcune competenze e scaricare le energie. Dovranno essere necessariamente infrangibili, lavabili e sufficientemente grandi da non poter essere inghiottiti. Per i bambini di età superiore invece, verranno proposti puzzles, costruzioni più articolate, giochi in scatola e da tavolo, che, prevedendo l’utilizzo di regole da rispettare, sviluppano le capacità di rapportarsi agli altri, aumentandone il senso del rispetto reciproco. b) Musica: Può essere considerata un linguaggio privilegiato che permette di arrivare dove la parola non sempre riesce a giungere; in molte situazioni infatti, soprattutto in quelle cariche di tensione e sofferenza, non si riescono mai a trovare le parole giuste. Ecco allora che la musica può diventare strumento di comunicazione, in quanto in grado di toccare le nostre emozioni più profonde, facilitando anche la loro manifestazione. Il bambino ospedalizzato che suona, canta, non solo si sta divertendo, ma sta anche dando libero sfogo alle proprie sensazioni, vivendo quindi un autentico momento di crescita. Pertanto, nel luogo adibito a ludoteca potranno essere proposti momenti di ascolto di musica, intesa non unicamente come canzoni (preferibilmente scelte dai bambini stessi, secondo le loro conoscenze), ma anche suoni (come ad esempio le voci del personale sanitario, suoni della città, della natura etc...), o fiabe sonore. 20
Obiettivi Abio: accoglienza e gioco
c) Teatro: Il gioco di imitazione e rappresentazione assume spesso valore catartico; il bambino infatti, attraverso la rappresentazione e la proiezione su burattini dei sentimenti vissuti, li comunica, li rende manifesti e, di conseguenza, se ne libera. Tale attività può riguardare storie già esistenti, inventate dai bambini o racconti inerenti al tema del ricovero. Non è da sottovalutare infine, come l’utilizzo da parte del volontario di marionette possa semplificare notevolmente l’approccio anche con il piccolo più timido e diffidente, rappresentando pertanto un valido ed efficace strumento di intermediazione tra i due mondi. d) Disegno: Il disegno è senza alcun dubbio il mezzo attraverso il quale il piccolo riesce ad esprimere la sua fantasia, le emozioni più profonde altrimenti difficilmente manifestabili. In ambito ospedaliero, l’utilizzo del colore , così come le figure rappresentate etc.. permettono al bambino di aprirsi circa l’esperienza dolorosa che sta attraversando, senza essere costretto a parlare a voce di ciò che lo preoccupa. risolversi con il classico lieto fine, che trasmette ai bambini un senso di fiducia e sicurezza. Il raccontare fiabe è una delle attività che deve essere presente nel reparto pediatrico, in quanto permette di coinvolgere, in questo viaggio verso il mondo del fantastico, anche bambini costretti a letto. Quale che sia dunque il gioco che il volontario metterà in atto durante il suo turno (anche tenendo in considerazione le proprie capacità e non soltanto i desideri del ricoverato), ciò che veramente conta è che giochi per davvero perché i piccoli comprendono subito quando c’è coinvolgimento anche da parte dell’altro o quando invece si sta giocando unicamente per far piacere a loro, in modo cioè disinteressato ed annoiato.
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Esperienze in reparto: ricordi di Alessia
Capitolo Terzo ESPERIENZE IN REPARTO: I VOLONTARI RACCONTANO Ricordi di Alessia Nel reparto di pediatria dell’ospedale di Perugia (oggi trasferitosi al Santa Maria della Misericordia), le degenze dei piccoli ricoverati sono, fortunatamente, quasi tutte di breve durata. Non sono presenti infatti malati oncologici, che necessitano di periodi di cura piuttosto lunghi, per i quali, vista la gravità della patologia, esiste un reparto apposito. Difficilmente quindi, effettuando il turno una volta alla settimana, si ritrovano gli stessi bambini, e questo rende praticamente impossibile instaurare rapporti che vadano oltre una conoscenza sommaria e superficiale; eppure, ciò non impedisce di entrare subito in sintonia con loro, con il loro mondo, fatto di piccole e semplici cose, nel quale però non esistono cattiverie ed ipocrisie, e si possono esprimere sentimenti ed emozioni senza timore di essere scherniti o giudicati. Quando si riesce a catturare l’attenzione di un bambino (e questo non è sempre così scontato: capita spesso infatti che stiano male, siano stanchi e provati dalla situazione di stress che stanno vivendo in un ambiente a loro estraneo e percepito come ostile), quando si può leggere nei suoi occhi l’interesse che si è riusciti a suscitare, la curiosità, quando chiede di giocare insieme e lo si vede ridere e divertirsi, allora si comprende davvero quanto basti poco per riuscire a far sentire meglio una persona. Ma ciò che sorprende di più, è rendersi conto che non è solo un “dare”, ma anche e soprattutto un “ricevere”; mi sono capitate situazioni nelle quali i bambini non volevano andare via (dall’ospedale!) per continuare a giocare, bambini che salutano con un abbraccio forte, sincero. un gesto così spontaneo, così affettuoso, 22
Esperienze in reparto: ricordi di Alessia
così inaspettato per quel poco che si è fatto, da riempire il cuore di gioia. Ci sono piccoli che ti riconoscono anche in contesti differenti e vengono felici a salutarti... . E poi ci sono i casi più complicati, colpiti da infezioni e malattie delle quali una persona estranea all’ambiente medico ignora totalmente l’esistenza, che comportano sofferenze e paure, ma che vengono affrontate dai bambini con una forza ed un coraggio talvolta ben superiori a quelli di un adulto; “PICCOLE DONNE” e “PICCOLI UOMINI” capaci di dare sostegno ai genitori stessi, con parole e gesti di conforto e speranza. Sono casi, seppur risoltisi positivamente, di estrema crudeltà, perché se risulta già difficile accettare la malattia in una persona adulta, è praticamente impossibile farlo quando ad esserne colpito è un bambino. Ricordo ancora una bimba con un’infezione che le provocava dolori insopportabili in tutto il corpo – anche internamente – tanto da non riuscire più a mangiare, ad alzarsi; è rimasta in ospedale molto a lungo, assistita amorevolmente dal padre, in quanto la madre era costretta a casa per accudire il fratellino più piccolo. Ho incontrato la bimba varie volte, in momenti nei quali sembrava stesse meglio ed in altri nei quali il male si manifestava in maniera assai violenta... eppure, neanche allora l’ho mai sentita lamentarsi, anzi, si scusava con il padre per i disagi e la stanchezza che la degenza prolungata aveva causato in lui. Persone di una dignità, di una gentilezza d’animo , di una serenità, nonostante le vicissitudini che stavano attraversando, da lasciare veramente un segno profondo nel mio cuore. E proprio grazie a loro ho compreso quanto sia importante apprezzare la vita, saper gioire per i momenti belli che essa ci regala, e che tante volte invece, presi dai frenetici ritmi quotidiani ai quali il modo di vivere odierno ci ha abituati, non riusciamo neppure a scorgere. 23
Esperienze in reparto: ricordi di Alessia
Infinite volte, quando mi sono trovata di fronte a tali sofferenze, mi sono sentita inutile, totalmente inadatta a donare sorrisi in momenti cosÏ drammatici, incapace di proseguire... ma avere accanto persone che come te condividono quegli stessi valori, aiuta a superare le difficoltà , le insicurezze, le tristezze. Volontari tanto diversi tra loro, ognuno con le proprie caratteristiche, le proprie sensibilità , il proprio modo di rapportarsi con i bambini e per questo unici, ma tutti ugualmente speciali,che entrano a far parte del tuo mondo, ne diventano una componente fondamentale, e ciò che maggiormente desideri è che vi rimangano per sempre, per poter affrontare ancora insieme nuove esperienze.
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Obiettivi Abio: ricordi di Marta
Ricordi di Marta Questa non è la mia prima esperienza di volontariato, anche se, in un certo senso, è come se lo fosse; con ABIO sono entrata per la prima volta in ospedale, o meglio, nella pediatria di un ospedale. La scoperta più grande è sicuramente quella di aver compreso e visto con i miei occhi come, anche in situazioni difficili come una malattia, i bambini abbiano sempre qualcosa in più da dire e da dare rispetto agli adulti. Con semplicità sanno chiedere aiuto quando ne avvertono il bisogno, non hanno pregiudizi nei confronti di chi glielo offre, sanno sorridere ed apprezzare le piccole cose. Quando il venerdì, terminato il mio turno settimanale, esco da quella porta, mi accorgo di guardare il mondo e le persone che mi circondano con occhi nuovi, ed ogni volta ho la sensazione di aver appreso qualcosa in più su ciò che realmente da senso alla vita.
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Esperienze in reparto: ricordi di Irene
Ricordi di Irene Ho conosciuto ABIO Perugia alla fine del 2006, e, dopo aver frequentato il corso di formazione (obbligatorio se si desidera entrare a far parte di questa realtà), sono diventata volontaria. Purtroppo, in tutto questo periodo, non mi è mai accaduto di arrivare in reparto e scoprire con gioia che non vi sono bambini ricoverati, e ciò mi ha dato modo di incontrare e conoscere nel mio cammino tante persone, adulti e bambini, profondamente diversi tra loro, per cultura, esperienze, luoghi di provenienza, accomunati però dal dolore, grande o piccolo che sia, della malattia, e dal disagio della permanenza in ospedale. Strappare un sorriso a questi bimbi, vederli giocare e distrarsi tranquilli e sereni, o, semplicemente scambiare due parole con i genitori, offrire loro sostegno in un momento in cui sono stanchi e provati, mi fa sentire più leggera, perché, senza la pretesa di poter risolvere il loro problema, di cancellare la sofferenza dai loro volti, credo comunque di contribuire a rendere più sereno un brutto momento.
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Esperienze in reparto: ricordi di Anna
Ricordi di Anna Per rispondere a coloro che mi chiedono di questa mia recente esperienza in ABIO, proverò a frugare nelle tasche dell’anima. Ne esce sicuramente e prepotentemente il sorriso di un bambino, e senti che saresti capace di metterti a testa in giù e piedi in alto per ottenerlo, perché è anche la tua gioia. Ne esce lo sguardo un po’ meno ansioso di un genitore che si sente sperduto o di uno straniero che parla un attimo del suo paese che ama e che ha dovuto lasciare. Ne esce poi l’immagine di una sala giochi un pò triste che si riempie di musica, di risate di bambini che giocano e fanno loro un ambiente fino ad un momento prima estraneo; ne esce infine l’immagine della tua compagna di avventura che culla un piccolo con tenerezza e serenità.
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Esperienze in reparto: ricordi di Micol
Ricordi di Micol Quando ho intrapreso l’esperienza del volontariato ABIO ero assolutamente entusiasta... ma anche un pò titubante. Mi preoccupava soprattutto il pensiero di come sarebbe stato relazionarsi con una circostanza dolorosa ed inspiegabile come la sofferenza di un bambino; temevo di non saper reagire nel modo appropriato, mi chiedevo quali requisiti avrei dovuto avere per saper stare vicino ad un essere così prezioso in un momento tanto delicato della sua vita. Ma, dopo le prime “avventure” in pediatria, ho capito che non avevo bisogno di “metodi” o strategie, bensì che mi sarebbe stato utile riscoprire un’attitudine a cui la vita quotidiana spesso ci disabitua, ma che risulta fondamentale in reparto: la capacità di mettersi in ascolto. Mi sono resa conto, infatti, di come quest’attitudine di totale disponibilità sia il modo migliore per creare una relazione con i piccoli e spesso un po’ disorientati ospiti di pediatria. Ed allora si impara a saper leggere dietro ad un silenzio timido eppure desideroso di farsi avanti; si può assecondare la creatività incontenibile di certi bimbi anche nello spazio ridottissimo di un lettino; si riesce a comunicare con i piccoli di lingua straniera ed a costruire attraverso il gioco una relazione con i bimbi italiani; e si è in grado di “sentire” quando chi è impaurito ha solo bisogno di qualcuno che si sieda accanto a lui. Ogni movimento vissuto accanto ai bambini ospiti del reparto di pediatria è prezioso, dal sorriso ritrovato dei piccoli, che riscoprono nel gioco un pezzetto di “normalità”, alla gratitudine dei “grandi”, che vedono i loro bimbi più sereni, e quella del personale medico, che ci dà il suo supporto. Ed un grazie immenso per questa splendida esperienza va senz’altro agli altri volontari, persone che sanno dare se stesse e mettersi in gioco, e lo fanno davvero con il cuore.
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Esperienze in reparto: ricordi di Carolina
Ricordi di Carolina Tante volte, svolgendo il mio turno in reparto, mi sono sentita chiedere: “ma siete retribuiti per fare questo servizio?”, oppure “ma come mai fare tanta strada (io vengo da Gubbio) per arrivare fino a qui?”, ed altrettante volte ho cercato di spiegare che ciò che facciamo non è poi così difficile, né impegnativo... . Credo però di non essere mai stata capace di riuscire veramente a far comprendere con che gioia nel cuore e con che forza esci dal reparto dopo che un bambino che, fino ad allora non ti aveva mai visto, ti sorride, ti saluta e timidamente ti chiede: “ma dopo torni a trovarmi?”. I bambini hanno ancora qualcosa che noi adulti, purtroppo, siamo portati dalla vita quotidiana a dimenticare: la gioia, la voglia di giocare, di ridere… . L’ospedale può sembrare un bosco sconosciuto e cattivo, ma in realtà riuscire a divertirsi insieme, a giocare, lo trasforma in un luogo più amico. Non mi porto dietro un ricordo particolare di questi tre anni passati in reparto, ma tanti sguardi intensi nella loro gioia e nel loro dolore che mi accompagnano durante il tragitto per tornare a casa, e che mi insegnano che sorridere non costa nulla ma può cambiare realmente le cose.
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Esperienze in reparto: ricordi di Laura
Ricordi di Laura (Associazione A.t.e.n.a) Francesco è un bambino di 5 anni nato con una gravissima malformazione fisica e affetto da un grave ritardo mentale. La sua camera ci è apparsa subito come la stanza di un ospedale, con alcuni strumenti, un’infermiera e un dottore che tengono sempre sotto controllo le sue condizioni fisiche. I genitori ci hanno contattato, dietro consiglio del loro medico per vedere se grazie all’aiuto di Artù (il mio collaboratore a quattro zampe), riuscivamo a rendere più piacevoli gli esercizi di fisioterapia e spingere Francesco a collaborare di più durante queste sedute, spesso dolorose per lui. Al nostro ingresso nella stanza, Francesco, ci ha fatto subito capire con movimenti molto veloci delle braccia che ci stava aspettando con ansia. Artù si è avvicinato al suo letto ed ha appoggiato il naso umido sulla sua mano cercando di annusarlo, Francesco continuava ad agitare le braccia, ma dopo qualche minuto è riuscito a toccare la testa di Artù per un attimo con suo grande piacere. Con l’aiuto del fisioterapista presente siamo riusciti per circa una mezz’ora a far fare dei movimenti, più o meno coordinati, a Francesco, che dimostrava moltissimo di gradire la presenza di questo infermiere così speciale, che ricambiava tutte le attenzioni del bambino con delle leccatine sulle mani. Le visite si sono susseguite per due mesi, due volte a settimana e dietro i suggerimenti e la guida del fisioterapista, ogni volta si facevano esercizi diversi con l’aiuto di Artù. Il rapporto di amicizia e di reciproco rispetto che si era instaurato tra Francesco e Artù, ha aiutato il bambino a fare gli esercizi necessari e indispensabili per la sua salute fisica in maniera allegra e senza pensare troppo al dolore che questi, ogni tanto, gli provocavano.
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Esperienze in reparto: ricordi di Laura
Ora la famiglia del bambino con la guida e i consigli di un loro amico veterinario, dello psicologo e del fisioterapista ha adottato una cucciola che è diventata subito la beniamina di tutti e di Francesco naturalmente. Francesco ha dovuto anche subire diversi ricoveri in ospedale e anche lì il cane almeno per una volta è potuto entrare per la gioia anche degli altri bambini ricoverati. La pet therapy all’interno delle strutture ospedaliere sta lentamente portando un pò di allegria e di sollievo ai piccoli malati e penso che con il tempo e con progetti sempre più precisi si potrà vedere di frequente un cagnolino o un piccolo animale accanto ai bambini malati. L’affetto e il calore che possono dare gli animali sono importanti per stimolare i bambini a reagire alle malattie.
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Diventare volontari Abio
Capitolo Quarto DIVENTARE VOLONTARI ABIO 1. Requisiti richiesti agli aspiranti volontari Per poter diventare un volontario ABIO, sono necessari alcuni requisiti personali. a) Innanzi tutto, colui che fosse interessato ad entrare a far parte attiva di questa realtà deve avere un’età anagrafica compresa tra i diciotto ed i sessantanove anni; tali limiti, che in nessun caso devono sembrare discriminatori, sono infatti stabiliti dall’agenzia di assicurazione che copre ogni singolo volontario nello svolgimento del suo turno in reparto. Essere assicurati è ovviamente garanzia di sicurezza per la struttura ospedaliera ed i suoi ospiti, oltre che per il volontario stesso, anche se tale copertura riguarda casi di estrema gravità, quali gravi danni a terzi o incidenti particolarmente seri capitati al soggetto operativo in quel momento. Deve inoltre essere in condizioni fisiche idonee cioè non presentare gravi patologie in atto. b) La seconda caratteristica in realtà raccoglie più aspetti concernenti la sfera caratteriale, in quanto, per poter affrontare e gestire al meglio anche le situazioni più difficili e complicate, dai pesanti risvolti psicologici, è necessario che il volontario sia una persona serena e positiva, capace di ridere, scherzare. Deve inoltre avere pazienza, fantasia, ma anche la capacità di comunicare ed ascoltare. Capita spesso infatti che genitori, nonni, o altri soggetti impegnati nell’assistenza al piccolo ricoverato, sentano il bisogno di parlare, di sfogarsi, in special modo con soggetti estranei che, molto probabilmente, non rivedranno più; tale sfogo, può riguardare avvenimenti accaduti in ambito ospedaliero, ma anche racconti di vita 32
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privata, estranei quindi alla situazione che si trovano ad affrontare in quel momento, ed al volontario spesso difficili da comprendere. Eppure, per tante persone potersi aprire con qualcuno è sentita come una reale necessità, sicuramente dovuta alla tensione ed allo stress accumulati... ecco allora perché è indispensabile il saper ascoltare. c) Saper lavorare in gruppo: Tale richiesta è facilmente intuibile, visto che il volontario non si trova quasi mai ad operare da solo, ma effettua il suo turno sempre in compagnia di un collega. Inoltre, appartenere ad un’associazione con queste finalità, vuol dire sentirla propria, sentirsi parte di essa, ed avere la consapevolezza che il motore che la spinge ad andare avanti è proprio il gruppo, l’interazione cioè tra più persone che condividono le stesse idee in quell’ambito. Ecco perché vengono spesso organizzati incontri in reparto aperti a tutti i volontari, ma anche uscite a cena insieme, etc..., proprio per mantenere sempre vivo lo spirito di gruppo, e dare modo a persone che effettuano i turni in giorni ed orari differenti, di rivedersi ed approfondire la propria conoscenza. d) L’ultimo requisito, ma non certo ultimo per ordine di importanza, è il saper accettare la diversità. In un mondo quale è quello in cui ci troviamo a vivere, sempre in continua evoluzione e movimento, venire a contatto con persone provenienti da realtà diverse dalla nostra fa parte della quotidianità di ciascuno di noi. Così, anche in ambito ospedaliero, gli stranieri sono normalmente presenti in reparto, con il loro bagaglio di esperienze vissute, di culture differenti rispetto a quella alla quale siamo abituati, di modalità espressive e di linguaggio molteplici e per noi pressoché incomprensibili, ma non per questo di minore valenza ed importanza.
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2. Il corso di formazione “LA FORMAZIONE È UN MOMENTO ESSENZIALE NEL PERCORSO DEL VOLONTARIO” (FONDAZIONE ABIO ITALIA ONLUS). Per entrare a far parte dell’associazione ABIO Perugia è necessario iscriversi e partecipare al corso di formazione per aspiranti volontari che si tiene annualmente verso fine settembre. Il corso, con frequenza obbligatoria, è costituito da cinque incontri, strutturati con cadenza settimanale o quindicinale, e così suddivisi: il primo, un incontro informativo tenuto dalle responsabili dell’associazione, ha lo scopo di fornire informazioni precise e dettagliate riguardo all’attività che si svolge a tutti coloro che sono interessati, per permettere loro di comprendere meglio tale realtà. Successivamente, segue un incontro organizzato dalle psicologhe responsabili della formazione provenienti dalla FONDAZIONE ABIO ITALIA ONLUS di Milano. Esse strutturano tale incontro in lavori di gruppo, utili per scoprire la personalità dei singoli individui e verificare la capacità di interagire degli stessi con gli altri soggetti membri del gruppo di appartenenza, ed operare, in base ai risultati ottenuti, una sorta di selezione che comporta l’esclusione di coloro che non sono ritenuti idonei. Il terzo incontro invece, affronta il tema fondamentale del gioco in ospedale, della sua importanza come elemento di sostegno ed aiuto per i piccoli ricoverati, analizzando anche le varie tecniche, diversificate per fasce di età, preferenze, capacità… . Il seguente è tenuto solitamente da una psicologa, per discutere ed affrontare insieme eventuali dubbi, perplessità, difficoltà e paure che possono insorgere negli aspiranti volontari durante il corso. Infine, il quinto ed ultimo incontro è generalmente effettuato dal 34
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personale sanitario stesso in quanto riguarda il rispetto delle norme igieniche e comportamentali all’interno dell’ospedale. Una volta completato l’iter formativo teorico, i partecipanti si apprestano a fare il loro ingresso in reparto, sempre affiancati, almeno nella prima fase del nuovo percorso, da un volontario con almeno un anno di servizio. Ha inizio così il periodo di tirocinio pratico, della durata di 60 ore, che consentirà all’individuo di confrontarsi concretamente con la realtà della quale, fino a quel momento, ha solo sentito parlare, di verificare esso stesso (unitamente al tutor che lo accompagna) se la scelta che egli ha fatto riguardo all’ambito di intervento è giusta per il suo modo di essere e di porsi di fronte agli altri. Ciascun soggetto iscritto all’associazione è coperto, dal momento in cui comincia a prestare la propria attività, da una polizza assicurativa, ed effettua il turno in t-shirt con stampato il logo ABIO, adottata da ciascuna sede come divisa, e cartellino di riconoscimento.
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3. L’impegno richiesto al volontario ABIO. “LA PERSEVERANZA È FONDAMENTALE PER GARANTIRE LA CONTINUITÀ DEL SERVIZIO ED È LA PROVA DELLA SERIETÀ E VALIDITÀ DELL’ASSOCIAZIONE” ( FONDAZIONE ABIO ITALIA ONLUS). L’impegno che ABIO richiede ai propri volontari riguarda vari aspetti. Per prima cosa ovviamente la presenza assidua e costante di tre ore alla settimana in reparto, secondo i turni stabiliti tenendo in considerazione la disponibilità di ciascun soggetto, da svolgere generalmente in coppia, ma anche in tre. I turni tendono a coprire le fasce orarie principali nell’arco della giornata: la mattina, dalle 9.00 alle 12.00, il pomeriggio, dalle 15.00 alle 18.00, ed ora anche la sera con il turno dalle 19.00 alle 21.00, per offrire momenti di allegria, divertimento e svago anche in un orario solitamente assai monotono per i ricoverati, in quanto il vitto viene servito piuttosto presto, quando ancora non è ora di andare a dormire. Eventuali variazioni della disponibilità di ciascun individuo deve essere segnalata al responsabile, in modo da poter concordare insieme l’inserimento in un nuovo turno. Si richiede inoltre l’impegno almeno per un anno, affinché il cosiddetto “calo fisiologico” del numero dei volontari possa essere compensato con i nuovi aspiranti che si apprestano ad entrare. Ciò infatti è di fondamentale importanza per la sopravvivenza stessa dell’associazione, in quanto un numero esiguo di soggetti non sarebbe sufficiente a poter garantire il servizio in reparto. “IL VOLONTARIO ABIO NON È UN VOLONTARIO DEL TEMPO LIBERO, BENSÌ UNA PERSONA CONSAPEVOLE CHE IL PROPRIO IMPEGNO COSTITUISCE UN VALORE SOCIALE” (FONDAZIONE ABIO ITALIA ONLUS). Infine, è richiesta la partecipazione alle riunioni, proprio per avere 36
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l’opportunità di rivedere gli altri volontari e potersi confrontare tutti insieme circa le esperienze personali vissute in reparto.
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4. I compiti del volontario ABIO. “IL VOLONTARIO ABIO DEVE ADOPERARSI PER RISPONDERE CONCRETAMENTE AI BISOGNI DELL’ALTRO” (FONDAZIONE ABIO ITALIA ONLUS). Per realizzare tale intento occorre rispettare alcune regole fondamentali: a) rispettare il proprio ambito d’intervento all’interno del reparto, non cercando mai ed in alcun modo di sostituirsi all’operato del personale sanitario negli atti assistenziali rivolti al paziente. Inoltre, si deve evitare di esprimere considerazioni o offrire consigli ed interpretazioni personali circa la terapia adottata dalla struttura ospedaliera, neanche quando situazioni simili siano state affrontate dal volontario in persona. Questa regola è valida per tutti indistintamente ed indipendentemente dalla professione che i soggetti svolgono quotidianamente. b) Saper ascoltare e mantenere il segreto professionale circa le informazioni delle quali si è venuti a conoscenza riguardo ad un particolare caso, evitando pertanto di parlarne con chi non è addetto all’assistenza del malato in questione ed evitando comunque di discuterne con il paziente o i suoi familiari. c) Comprendere i meccanismi organizzativi, i ritmi, i tempi del reparto affinché con la propria attività non si vada ad intralciare il delicato, faticoso e complesso lavoro del personale medico ed infermieristico. d) Mantenere sempre buono il rapporto con tutte le figure professionali che gravitano attorno ai bambini ricoverati. In molte strutture ospedaliere infatti, sono presenti anche altri soggetti, quali ad esempio gli insegnanti; il ruolo del volontario in quel caso si propone come integrativo, di completamento, e non assume mai carattere competitivo. 38
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Nella foto i volontari di Abio Perugia con, partendo da sinistra Alessia, Erika e Francesco.
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Bibliografia
Luciani, R., 2002, Che ci faccio in ospedale?, Firenze, Giunti progetti educativi. Un libro per bambini fino ai 10 anni di età, che li aiuta ad orientarsi ed a comprendere tutto ciò che avviene durante il ricovero in ospedale. Dartington, T., Lyth M.T. Polacco W.G., 1992, Bambini in ospedale, Napoli, Liguori. Il testo analizza i disturbi emotivi dei bambini sottoposti a periodi lunghi di ospedalizzazione. Dell’Antonio, A., Ponzo, E.,1982 Bambini che vivono in ospedale, Milano, Borla. Il testo presenta l’analisi dei tradizionali modelli di intervento forniti, evidenziandone carenze e limiti. Offre inoltre modelli di ristrutturazione dei servizi più aderenti ai bisogni ed alle necessità dei bambini, avvalendosi di osservazioni del comportamento degli stessi in ospedale. Filippazzi, G., Un ospedale a misura di bambino; 1997, Milano, Franco Angeli. Nel testo vengono presentate esperienze in atto nei vari paesi europei, e proposti interventi che consentano di fare del reparto pediatrico un reparto a “misura di bambino”. Kanisza, S., Dosso, B. 1998, La paura del lupo cattivo, Roma, Meltemi. Questo testo suggerisce una metodologia di lavoro per aiutare il bambino a trovare un suo spazio di crescita e di vita autonoma anche in una situazione traumatizzante come quella dell’ospedalizzazione. Nucchi, M., Aspetti psicologici del bambino in ospedale, 1995, Milano, Sorbona. 41
Bibliografia
Presenta e descrive gli aspetti psicologici del bambino ospedalizzato dando particolare importanza all’analisi del gioco e del disegno. Petrillo, M., Sanger, S., Assistenza psicologica al bambino ospedalizzato, 1980, Milano, Casa editrice Ambrosiana. Testo raccomandabile per le indicazioni fornite sul come entrare in relazione con il bambino, sul come offrire sostegno ai genitori, con particolare attenzione alle tecniche del gioco. Robertson, J., Bambini in ospedale, 1973, Milano, Feltrinelli. VARI., Ti voglio dire che…, 1997, Telecom Italia. Il testo analizza la comunicazione del bambino in ospedale con particolare riguardo alle tecniche del disegno. Un capitolo riguarda invece la percezione dell’ospedale e dei suoi operatori da parte del bambino. Bregani, P., Damascelli, A.R., Velicogna, V., Il gioco in ospedale, 1984, Milano, Emme edizioni. Gioco come strumento di aiuto per superare i traumi del bambino in ospedale. Capelli, A.C., Il bambino, l’ospedale, il gioco, 1981, Ivrea, CIGI. Capurso, M., Gioco e studio in ospedale, 2001, Trento, Erikson. Creare e gestire un servizio ludico-educativo in un reparto pediatrico, Erikson, Trento, 2001.
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