Arteterapia, l'arte che aiuta

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Quaderni del volontariato

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a cura di Maria Pia Sannella

ARTE TERAPIA: L’ARTE CHE AIUTA L’esperienza di “Arte e Sostegno”


Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Sandro Penna 104/106 Sant’Andrea delle Fratte 06132 Perugia tel.075/5271976 fax.075/5287998 www.pgcesvol.net cesvol@mclink.it pubblicazioni@pgcesvol.net

Pubblicazione a cura di

Con il patrocinio della Regione Umbria

Progetto grafico e videoimpaginazione Chiara Gagliano

Š 2009 CESVOL ISBN 88-96649-03-9


I quaderni del volontariato, un viaggio attraverso un libro nel mondo del sociale Il CESVOL, centro servizi volontariato per la Provincia di Perugia, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, ha definito un piano specifico nell’area della pubblicistica del volontariato. L’obiettivo è quello di fornire proposte ed idee coerenti rispetto ai temi di interesse e di competenza del settore, di valorizzare il patrimonio di esperienze e di contenuti già esistenti nell’ambito del volontariato organizzato ed inoltre di favorire e promuovere la circolazione e diffusione di argomenti e questioni che possono ritenersi coerenti rispetto a quelli presenti al centro della riflessione regionale o nazionale sulle tematiche sociali. La collana I quaderni del volontariato presenta una serie di produzioni pubblicistiche selezionate attraverso un invito periodico rivolto alle associazioni, al fine di realizzare con il tempo una vera e propria collana editoriale dedicata alle tematiche sociali, ma anche ai contenuti ed alle azioni portate avanti dall’associazionismo provinciale. I Quaderni del volontariato, inoltre, rappresentano un utile supporto per chiunque volesse approfondire i temi inerenti il sociale per motivi di studio ed approfondimento.

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Indice

Premessa a cura di Maria Pia Sannella

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CAPITOLO I LA RICERCA DELLE SCIENZE UMANE DALLA CRISI DEGLI ANNI ’70

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1.1 Gli studi sull’uomo e sulla sua educazione

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1.2 L’Educazione nelle Risoluzioni Internazionali del II Dopoguerra

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1.3 L’Istruzione nell’Italia Post Bellica

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1.4 La sfida degli anni ’80 all’Educazione

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1.5 “La New Age” e la ricerca del benessere

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1.6 L’approccio sistemico alla complessità

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CAPITOLO II TERAPIA ED ARTE-TERAPIA

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2.1 Dalla ricerca teorica alle terapie

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2.2 Cosa si intende per terapia

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CAPITOLO III L’ARTE TERAPIA E L’ATTIVITÀ DI “ARTE E SOSTEGNO”

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3.1 Lavorare la creta

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3.2 Presentazione di “Arte e Sostegno”

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Indice

3.3 Le AttivitĂ di Arte e Sostegno

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3.4 I Corsi per adulti

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3.5 Collaborazione con Enti ed Istituzioni per il disagio sociale

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3.6 Gli Incontri con i ragazzi Down

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3.7 I Corsi per bambini

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3.8 L’Animazione per anziani

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Conclusioni

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Bibliografia

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Premessa

Rientrando dopo molti anni a Castiglione del Lago, prossima al pensionamento, mi sono iscritta ai corsi di ceramica per adulti, tenuti dalla locale Associazione “Arte e Sostegno” per continuare a coltivare una passione per l’arte, anche praticata, che mi accompagna da tutta la vita. Ho iniziato dai primi rudimenti provando a fare tutto quello che le “maestre” mi proponevano e quanto mi veniva voglia di sperimentare. Dopo il primo corso, ho frequentato anche il secondo per ampliare la mia esperienza di produzione-fruizione artistica; questa mi ha dato l’opportunità di star bene con me stessa e d’incontrare persone nuove che condividevano la mia passione. La mia partecipazione ad altri corsi per adulti, ai pomeriggi dedicati ai ragazzi Down, all’animazione presso una Residenza protetta per anziani, mi ha dato l’opportunità di fare esperienze umane significative e di approfondire un tema su cui avevo formulato una mia ipotesi: l’attività di “sostegno”, destinata solo ai soggetti con disabilità certificate, nella sua visione più ampia di “aiuto attraverso l’uso dell’immaginazione e della comunicazione non verbale”, potrebbe essere estesa ad un’utenza più ampia, segnata dal disagio della società post-industriale. Il lavoro che ho svolto nell’educazione speciale e nella formazione degli insegnanti di sostegno mi ha portato ad approfondire gli aspetti teorico-sperimentali di questo settore della pedagogia, verificando, al contempo, la formalizzazione di due tipi di educazione separati tra loro, nonostante le normative ed il gran parlare d’integrazione. Già verso la metà del secolo scorso, infatti, Augusto Romagnoli, il nostro primo tiflopedagogista, scriveva il saggio “Prima uomini poi operai” per reazione al riduttivismo educativo dei non vedenti, indirizzati quasi esclusivamente verso l’istruzione professionale (1949). Un riduttivismo che, come dirò più dettagliatamente, investirà tutta l’educazione a causa della perdita di attenzione alle potenzialità creative ed unificanti dell’emisfero destro, culla dell’immaginazione. L’idea di un “soste-

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Premessa

gno artistico” per tutti mi era venuta dalla lunga sperimentazione di una scuola e di una realtà socio-educativa che non è poi così normale, nella quale molti disagi affliggono anche i normodotati. Per chiarirmi le idee ho indirizzato i miei interessi su tale problematica, frequentando anche seminari e corsi di arte-terapia mentre entravo a far parte del Laboratorio di ceramica per impastare creta, stendere colori e sciogliere i miei nodi. Qui ho trovato anche l’occasione per verificare le mie considerazioni e conoscenze. Non sono tra le ceramiste più brave né tra le più produttive ma mi piace guardare, ascoltare, riflettere e confrontarmi su ipotesi di lavoro. Così è nato anche il progetto di questa pubblicazione, redatto da “Arte e Sostegno” in collaborazione con il Cesvol che l’ha approvato e che mi dà l’opportunità di condividere il mio percorso teorico-pratico perché possa essere di qualche utilità a chi opera nel vasto mondo dell’educazione scolastica ed extrascolastica. Di questo ringrazio “Arte e Sostegno”, il Cesvol, i miei Maestri, accademici e non, e tutti coloro che, allievi, anziani, bambini, mi hanno aiutato a riflettere e a continuare ad apprendere.

Maria Pia Sannella

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Capitolo I La ricerca delle scienze umane dalla crisi degli anni ’70



La ricerca delle scienze umane dalla crisi degli anni ’70

1.1 GLI STUDI SULL’UOMO E SULLA SUA EDUCAZIONE L’attuale e diffusa richiesta di “terapie” e di “cura” ci porta ad interrogarci su quale sia il malessere da curare e su che cosa lo abbia originato. Cercheremo quindi di delineare un quadro sintetico degli studi sulla moderna crisi dell’uomo e sulle proposte emerse per fronteggiarla nella ricerca delle scienze umane. Gli anni ’70 sono caratterizzati da una diffusa crisi sociale, economica e valoriale che sfida la cultura a ripensare se stessa e a farsi carico della responsabilità del deterioramento della società democratica, intesa da M. Mencarelli come società dell’essere (M. Mencarelli, 1986). La rapida industrializzazione del secondo dopoguerra ha prodotto un cambiamento generalizzato e talmente rapido da non permettere un’adeguata elaborazione culturale capace di gestirlo; già sul finire degli anni ’60, infatti, compaiono, nelle democrazie occidentali post-belliche, i primi preoccupanti segni del disagio che sfocerà nelle manifestazioni del ’68. Sociologi, antropologi, filosofi, psicologi e pedagogisti, di diversi orientamenti e nazionalità, cercano di mettere a fuoco i problemi che l’hanno determinata, concentrando la loro attenzione sull’uomo e sulla sua società. L’urgenza della ricostruzione post-bellica, infatti, malgrado i pronunciamenti degli Organismi Internazionali sulla necessità della formazione di cittadini “illuminati e coscienti”, ha visto prevalere le rivendicazioni di tipo salariale su quelle culturali ed il lavoratore sul cittadino che avrebbe dovuto gestire il cambiamento socio-politico. Si è così gradualmente insediata una visione dell’uomo funzionale alla produzione ed al consumo, di cui le più svariate forme di potere non hanno permesso che si prendesse coscienza critica, favorendo così l’instaurarsi di una società dell’avere (Mencarelli, 1986).

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Una società governata dalle leggi del mercato e nella quale l’uomo è ridotto a quell’homo economicus, già preannunciato dal Dewey agli inizi del secolo scorso. Il mondo della ricerca si è quindi posto, come prioritario, l’obiettivo di tornare a porsi domande sul significato dell’uomo che manifestava un’ansia metafisica di uguaglianza e giustizia e di reazione all’omologazione ed all’emarginazione. L’analisi degli esiti della frammentazione indotta dalla ricerca scientifica e tecnologica, fiorita col positivismo, avviava gli studi verso un generalizzato tentativo di ricomposizione dell’unità, riproponendo soprattutto la funzione unificante della filosofia nella visione dell’uomo. La centralità dell’interesse per l’uomo, che caratterizzerà tutte le scienze umane, darà vita ad un nuovo umanesimo al quale è necessario ricollegare il nostro discorso sull’arte terapia. Un primo cenno va fatto al filosofo tedesco M. Heidegger (18891976) per la sua concezione dell’uomo come essere-nel-mondo, cioè di un soggetto che agisce prendendosi cura delle cose, degli altri e di sé, assumendosi la gestione del progetto nel quale è stato gettato. La sua presa di coscienza della morte, come certezza costitutiva della propria esistenza, gli darà la capacità di vivere autenticamente tutte le possibilità che la precedono, prendendosi cura di sé nel senso più ampio (Essere e tempo, 1927). Per l’esponente più noto della corrente esistenzialista, J. P. Sartre, la forma più significativa dell’esistenza umana viene dall’immaginazione e dall’emozione, adottatate per rapportarsi al mondo ed attribuirgli un significato. Lo sviluppo del suo pensiero lo porterà alla teorizzazione del concetto di angoscia, generata dal confronto fra l’essere della coscienza dell’uomo, che elabora significati da attribuire alle cose ed agli eventi, e l’essere del mondo, inteso come realtà esterna ed indipendente da lui. La possibilità per l’uomo di accedere ad un’esistenza autentica risiede dunque nella difficile scelta di “assunzione della propria responsabilità”.

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In ambito fenomenologico M. Merlau-Ponty supera la contrapposizione di Sartre individuando nell’esperienza della percezione lo spazio in cui soggetto ed oggetto interagiscono costruendosi reciprocamente. All’esistenzialismo ed alla fenomenologia si affianca il personalismo il cui tentativo è di porre al centro della riflessione filosofica e pedagogica la persona nella sua singolarità e irripetibilità. Secondo E. Mounier la valorizzazione della persona, caratterizzata da libertà e trascendenza, si realizza nella comunità, intesa come unità etica; in essa avviene il superamento dell’invidualismo, proprio della società borghese, e dell’annullamento del singolo in un collettivismo ateo. Il suo programma pedagogico e politico-culturale è centrato sulla “presa di coscienza”, da parte del soggetto, della sua vocazione alla trascendenza ed alla partecipazione sociale. Un altro contributo, importante per l’elaborazione di una nuova visione dell’uomo, viene dal Pragmatismo, sorto negli Stati Uniti alla fine dell’800 e poi diffusosi in Europa, che accoglie alcuni elementi dell’evoluzionismo e contribuisce a realizzare il clima culturale della reazione al positivismo. Il suo esponente più noto, J. Dewey, sarà conosciuto in Italia dopo la seconda guerra mondiale, grazie alla pubblicazione delle sue opere tradotte da Lamberto Borghi (amico di A. Capitini e mio primo Maestro) che aveva collaborato con lui, durante la sua permanenza negli USA, dovuta alla sua fuga dalle leggi raziali italiane. Come per gli altri appartenenti a questa corrente, la base fondamentale della cultura e della conoscenza risiede per Dewey nell’esperienza non in quanto dato ma come problema da risolvere dal quale si origina l’idea. Il suo attivismo pedagogico ha esercitato, direttamente o indirettamente, una grande influenza nel liberare la scuola americana da pratiche antiquate. In Italia, malgrado il grande interesse suscitato nella cultura pedagogica, a partire dagli anni ’50, ha avuto scarsa incidenza sul mondo della scuola. L’educazione ha continuato a considerare l’apprendimento come un processo for-

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male, basato su un’attività mentale priva di capacità trasformativa perché separata dalla sua fondamentale funzione di riorganizzazione dell’esperienza. Il nuovo umanesimo culturale degli anni ’70 si sviluppa grazie anche al contributo di psicologi come A. H. Maslow, considerato il fondatore della psicologia umanistica (1971); di teorici dell’intelligenza come J. S. Bruner che elabora la concezione bicamerale della mente secondo cui la parte sinistra del nostro cervello sarebbe deputata a svolgere operazioni di tipo logico-analitico, mentre quella destra presiederebbe all’attività simbolica (1964); di filosofi della comunicazione come l’italiano G. M. Bertin che, nella sua prospettiva razionalista, sostiene che la formazione civile e politica del soggetto in età evolutiva va promossa sulla base della ragione: “soltanto essa gli permetterà di unificare, attraverso complesse mediazioni di carattere psicologico e culturale, i vari piani della sua vita personale (intellettuale, estetico, affettivo, fisico, professionale, etico) con gli aspetti corrispondenti della vita collettiva, al di là di ogni penoso contrasto e di ogni reciproca dissipazione.” (1971, p.69). Tra i pensatori italiani che sostengono l’importanza di una ripresa di vigore della riflessione filosofica, nell’interesse della pedagogia e di tutte le scienze umane con cui deve dialogare, va citato P. Prini del quale riteniamo emblematica l’opera “Umanesimo programmatico” del 1965. L’Autore ritiene che “Lo statuto metafisico della persona umana può essere scoperto e riaffermato in maniera ben più energica e con conseguenze ben più reali, quando ci si proponga seriamente di difenderci e di sottrarci da questa specie di collettiva dissoluzione nell’anonimia e nel conformismo. Non c’è personalità autentica fuori da un certo radicale comportamento di resistenza, d’indipendenza e di decisione”. Prini ritiene che, tra le correnti di pensiero a lui contemporanee, è stato l’esistenzialismo ad accentuare fortemente questo senso della persona umana e, con Mounier ed altri filosofi dell’esistenza, denuncia e analizza “i processi involutivi in cui l’esistenza si

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deforma e si degrada, si fa cioè “inautentica”, in conseguenza di quella rinuncia ad ogni scelta impegnativa, ad ogni responsabilità personale”. Riconosce come limite della filosofia moderna l’individualismo e come “privilegio del nostro tempo l’aver messo in evidenza i veri termini del problema persona-società” sui cui reciproci, necessari condizionamenti si concentrerà la sua riflessione. L’uomo, còlto nella sua connotazione di essere-nel-mondo, diventa il nuovo soggetto di studio anche delle diverse correnti della pedagogia, dal personalismo cristiano al neomarxismo, dove si evidenziano anche finalità di promozione sociale e civile. È il caso di P. Freire con la sua “Pedagogia degli oppressi”(1971) o di A. Agazzi che coglie il nesso fondamentale tra il principio “creativo” dell’attività umana e la “necessaria, insita variabilità e trasformazione progressiva dell’umanità e della sua civiltà”. Anche la “pedagogia della prassi rivoluzionaria” del neo marxista B. Suchodolski investe su un futuro a favore dell’uomo, partecipe di un incessante processo democratico. L’Autore si sofferma soprattutto sui valori e propone una triplice problematica educativa in rapporto alla verità, al bello ed all’esistenza. Ritiene che la pedagogia dell’essenza e quella dell’esistenza, insieme alla costruzione di idonee condizioni sociali, permetteranno la realizzazione dell’uomo nella sua essenzialità e che educare il maggior numero di uomini nel modo più completo possibile sia il grande e difficile compito che lo sviluppo della moderna civiltà pone alla pedagogia (1972, p.133).

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1.2 L’EDUCAZIONE NELLE RISOLUZIONI INTERNAZIONALI DEL II DOPO-GUERRA Per cogliere l’ampiezza del dibattito e dell’impegno politico volti, nel secondo dopoguerra, alla ricostruzione materiale e morale di popoli e territori devastati dal massacro bellico è opportuno accennare ai Pronunciamenti di alcuni Organismi Internazionali. Le Nazioni Unite, nella “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” (10 dicembre 1948), dedicano ampio spazio al diritto universale all’educazione, all’istruzione, alla conoscenza ed alla produzione artistica, peraltro già sanciti dalla nostra Costituzione promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948. In essa, infatti, si recita: Art.33: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento (...); Art.34: La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita (...). Nel 1949, nella Conferenza di Elsinor, la prima indetta dall’Unesco, si gettano le basi concettuali e programmatiche di una ricostruzione centrata sull’educazione dell’uomo considerato in stretta relazione con la democrazia. Particolare importanza riveste l’Educazione degli Adulti, principali artefici della ricostruzione, per i quali si sottolinea l’importanza degli studi volontari, intrapresi per sviluppare capacità e attitudini personali. Tale educazione ha come fine la formazione di “cittadini illuminati e coscienti”, capaci di partecipare attivamente alla vita sociale, con senso di appartenenza alla comunità mondiale. Nella Dichiarazione finale della Conferenza di Montreal (UNESCO 1960) l’Educazione degli Adulti viene analizzata nella duplice prospettiva di lotta contro l’analfabetismo e di risposta alla complessità dei bisogni dell’uomo nella sua totalità; tale risposta può venire solo da un’educazione che duri per tutta la vita, nella prospettiva dei continui cambiamenti futuri.

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È questo l’atto di nascita dell’idea di Educazione Permanente. Nel 1972 il Bureau International de l’Education propone l’Educazione Permanente ai singoli Stati come idea guida, intesa come “progetto di umanesimo adattato, da una parte alle tendenze prevedibili dello sviluppo economico e, dall’altra, ad un certo sviluppo politico delle società future”. Per E. Faure essa è strumento di formazione globale e permanente per una nuova umanità che sia adeguata agli impegni dello sviluppo tecnico, economico e politico che attendono le democrazie di fine secolo. Questa concezione di educazione deve coinvolgere sia lo scolastico che l’extrascolastico per l’esigenza di sintesi dei processi educativi. Ma è soprattutto importante l’idea che “se l’apprendere si prolunga per tutta la vita, tanto nella durata che nella diversità dei suoi momenti, e impegna tutta la società nelle sue risorse educative, sociali ed economiche, allora non si può fermare alla pur necessaria revisione dei sistemi scolastici, e si deve pensare al progetto di una comunità educante. Questa è la vera dimensione della sfida educativa di domani” (E. Faure 1973, p. 40). Da questo momento il binimio Educazione Permanente-Democrazia sarà l’idea guida della riflessione pedagogica. L’attività dell’UNESCO, in questo settore, procederà ad ulteriori approfondimenti ed aggionamenti affiancata da altri Organismi internazionali ed europei come l’OCSE, la Comunità Europea, il Consiglio d’Europa che troverà, negli anni ’70, il suo momento di svolta quando, di fronte alla crisi economica e sociale, punterà sullo sviluppo democratico delle società occidentali. Si susseguiranno nuove tappe, “caratterizzate, di volta in volta, dalla guerra fredda, dalla trasformazione industriale, dal crollo del sistema coloniale ottocentesco, dall’esigenza di porre nuove basi per la politica educativa degli anni ’70, dai processi di radicale trasformazione dell’economia e della società avviatisi nel corso degli anni ’70 ed ’80” (G. Bocca, 1993, p.5). Ma di tutto ciò quasi nulla passerà nel mondo dell’educazione scolastica, rima-

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sta legata alla Riforma del 1923, connotata dal contesto filosofico-culturale e sociale che l’aveva prodotta e a tutt’oggi non sostituita da un riforma più rispondente ai profondi e complessi bisogni culturali della nostra società. 1.3 L’ISTRUZIONE NELL’ITALIA POST-BELLICA Alle enunciazioni cui si è accennato faranno seguito fatti poco rilevanti ai fini del cambiamento auspicato. La prima Legge dell’Italia post-bellica è il Decreto Legislativo del Capo Provvisorio dello Stato del 17 dicembre 1947 n°1599 concernente “L’istituzione della Scuola popolare per combattere l’analfabetismo, per completare l’istruzione elementare e per orientare all’istruzione media o professionale. La scuola è gratuita, diurna o serale, per giovani ed adulti e viene istituita presso le scuole elementari, le fabbriche, le aziende agricole, le istituzioni per emigranti, le caserme, gli ospedali, le carceri e in ogni ambiente popolare, specie in zone rurali, in cui se ne manifesti il bisogno” (R. Moro, 1950, p.181). È evidente l’emergenza della lotta all’analfabetismo adulto in questa Legge che ha comunque il merito di aver ampliato la rete dei luoghi di istruzione che è pervenuta fino ai nostri giorni; forse proprio a questa emergenza è imputabile la resposabilità di non aver trattato l’aspetto fondamentale dei contenuti, metodi e finalità di una nuova educazione. Certamente il Legislatore non si sarà posto il problema dando per scontata la Legge del 1923, nota come Riforma Gentile che, con il contributo di Lombardo Radice, aveva codificato ogni aspetto strutturale e didattico della nostra scuola. Alla citata Legge n°1599 seguirono infatti una serie di Circolari e Decreti Ministeriali volti soprattutto alla riorganizzazione materiale dell’istituzione scolastica come l’edilizia, le attrezzature, le sovvenzioni, i compiti degli Enti locali, il trattamento economico ed il reclutamento dei docenti ed altro ancora, senza

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porre l’attenzione dovuta a programmi, metodi, formazione dei docenti in rapporto ai nuovi bisogni e alle diverse tipologie di discenti. Per i “teorici” del Ministero della Pubblica Istruzione, infatti, l’apprendimento del leggere, scrivere e far di conto veniva palesemente inteso alla stessa maniera per tutti gli scolari dai sei ai cinquant’anni. La nostra scuola resterà sostanzialmente, oltre che legislativamente, quella della Riforma Gentile, caratterizzata da un intellettualismo, progressivamente scaduto nel nozionismo, che la terrà separata dalla vita. Il successivo proliferare di scuole tecniche ne è in parte la dimostrazione anche se è soprattutto la pressione del mondo del lavoro ad indirizzare sull’istruzione professionale per l’acquisizione di abilità facilmente spendibili e retribuite in una giovane età attratta dall’indipendenza economica. Le proteste degli anni ’60 contro la precoce ed ingiusta “selezione di classe” praticata, al termine della scuola elementare, con l’ esame di ammissione alla Scuola Media o il passaggio alla Scuola di Avviamento Professionale, avevano visto la promulgazione, nel 1962, della Legge istitutiva della Scuola Media unica. Ma la sua cattiva gestione culturale, caratterizzata da un progressivo livellamento verso il basso, insieme ad un generale sbilanciamento dell’educazione verso l’istruzione tecnica richiesta dal mondo della produzione, hanno fortemente contribuito al perpetuarsi della divisione tra lavoro intellettuale e manuale in ambito sociale ma soprattutto in ambito educativo. Fino ai nostri giorni, nonostante la ripresa degli studi sull’uomo e la sua società, nonostante le numerose e significative esperienze di scuole e docenti aperti all’innovazione, la nostra istituzione educativa è stata solo malamente rattoppata perché si è ignorato il suo fine primario della formazione di cittadini “illuminati e coscienti” (UNESCO, 1949).

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Sarà la lettura di “Lettera ad una professoressa” della Scuola di Barbiana (Firenze, 1978), dopo il drammatico esito delle lotte del ’68-’69, a riproporre la questione dei contenuti e dei metodi per lo sviluppo di un uomo capace di essere socialmente diverso, cioè non omologato, e quindi padrone consapevole del proprio ruolo sociale, capace di usare la propria espressività per uscire da una dimensione statica emarginante. La Scuola di Barbiana è la più significativa testimonianza della necessità e possibilità di cambiamento della prassi educativa, la scuola dove, per la prima volta in Italia, trova spazio quell’ “I Care”, divenuto oggi di moda, e spesso usato senza cognizione di causa. Fu infatti don Lorenzo Milani a farne la bandiera della sua battaglia contro la scuola dell’esclusione dove la storia personale e familiare diveniva tout court storia scolastica (lo è ancor oggi in maniera diversa, apparentemente meno classista solo perché quella divisione in classi si è sbriciolata in una gran quantità di separazioni di altro genere). Nella sua Lettera ai Giudici, del 1965, il prete di Barbiana scrive: “Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande: ‘I CARE’. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. Me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario esatto del motto fascista Me ne frego. Per comprendere meglio questa grande figura, che ebbe detrattori e nemici anche in seno alla stessa Chiesa cattolica, mi piace aggiungere un passo dalla sua Lettera a Francuccio Gesualdi (4 aprile 1967): “stasera ho provato a mettere un disco di Beethoven per vedere se posso ritornare al mio mondo e alla mia razza e sabato far dire a Rino: ‘Il priore non riceve perché sta ascoltando un disco’. (...) Volevo anche scrivere sulla porta ‘I don’t care più’, ma invece mene care ancora molto.” (G. Pecorini, 2001). In questa breve riflessione si può leggere la difficoltà della sua battaglia per l’emancipazione culturale e sociale degli esclusi; un’impresa sostenuta da amore autentico e conoscenza che ha dovuto affrontare l’incomprensione della sua “razza” e le resistenze al cambiamento degli stessi “difensori” degli umili. 22


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Intanto la rivendicazione dei diritti sociali e civili e della creatività contro la diseguaglianza, l’ingiustizia, l’alienazione e l’omologazione, della prima metà degli anni ’60, drammaticamente sfociata nel dramma della lotta armata e delle stragi, denuncia l’incapacità culturale di una gestione pacifica e democratica dei conflitti sociali. Una breve ripresa del tentativo di rendere migliore la società compare verso la metà degli anni ’70 “che presenta una molteplicità di iniziative nel quadro generale dell’educazione permanente”. È del 1973 l’avvio delle esperienze delle ‘150 ore’ (1973), concepite per permettere, attraverso appositi corsi, l’esercizio del diritto allo studio da parte dei lavoratori. Il coinvolgimento nelle lotte sindacali e nei Consigli di Fabbrica “li aveva infatti messi nella necessità di svolgere compiti [...] che richiedevano strumenti culturali di cui si sentivano sprovvisti” (G. Bocca, 1993, p. 73). È questo un momento importante per l’emergere di una coscienza personale del fuitore dell’educazione che, accanto ad un utilizzo dell’offerta educativa finalizzato al recupero dell’obbligo scolastico o all’analisi politico-ideologica, pone esigenze di arricchimento culturale. La dinamica interna alle 150 ore offrirà importanti contributi di “alterità alla cultura ufficiale della scuola statale” come la possibilità di “raccordo tra intellettuali e masse al fine di produrre il superamento della separazione tra lavoro intellettuale e manuale” e ponendosi come “momento di elaborazione di un sapere critico e scientifico sulla società e sulla storia” (ivi, pp.77-78). La lettura dell’esperienza delle 150 ore, come riappropriazione sociale della cultura, avviene, nel 1981, anche in sede UNESCO. Ma l’involuzione politico-sociale della fine degli anni ’70, legata alla strategia del terrore, vede un’utenza che non esprime più “né interessi di classe né valori collettivi, che cerca di dare espressione a bisogni di integrazione più che di partecipazione sociale”. Si assiste così ad un generalizzato tentativo di “ritorno alla normalità” nel disimpegno, nella gratificazione economica,

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nell’anonimato dell’omologazione e del privato, della società dell’“avere”. Restano isolate le esperienze significative di educatori ed animatori socio-culturli non-violenti, come Danilo Dolci in Sicilia, Don Lorenzo Milani a Barbiana o Aldo Capitini a Perugia che si caratterizzano come “scuole alternative”ad una scuola ufficiale mal funzionante ed incapace di dare risposte efficaci alla crescente richiesta di educazione e partecipazione democratica. 1.4 LA SFIDA DEGLI ANNI ’80 ALL’EDUCAZIONE Il mondo dell’educazione torna ad interrogarsi sulla sua funzione e sulla possibilità di un suo ruolo creativo per uscire dalla conflittualità sociale ed assume l’idea di Educazione Permanente come idea guida in una società divenuta incapace di qualsiasi riconduzione ad unità significative e giustificanti. Di fronte ai problemi indotti dalla recessione economica, dalle divisioni prodotte dai conflitti ideologici sfociati nella violenza, dall’accentuarsi delle tensioni internazionali e per cercare l’uscita da una sorta di cultura della disperazione, riprendono vigore gli studi sull’uomo nei nuovi contesti socio-culturali dove anche le varie iniziative di educazione degli adulti, che si erano diffuse, non erano riuscire a dare risposte soddisfacenti. Nel 1980, presso l’Università dgli Studi di Siena e per iniziativa del Centro di Ricerca Sperimentazione e Documentazione di Educazione Permanente, si tiene un Seminario Internazionale dal titolo: “La sfida degli anni ’80 all’educazione”. L’ipotesi su cui si discute è se l’idea di Educazione Permanente, nell’ambito del discorso svolto dalla Pedagogia contemporanea sul rapporto educazione-democrazia, sia in grado di sfidare la crisi delle democrazie contemporanee e dell’educazione.

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Oltre agli Atti del Seminario (M. Mencarelli, 1981) è prezioso, per la trattazione del tema, un volumetto di M. Mencarelli-W. K. Richmond-B.Suchodolski che, nel confronto tra le loro diverse impostazioni ideologiche, approfondiscono le tematiche del Seminario (M. Mencarelli, 1986). Vi si sviluppa il rapporto Educazione Permanente e Democrazia, sulla base dei concetti chiave di creatività, valori umani, solidarietà sociale e recupero di un’umanità che sappia riappropriarsi della propria libertà e responsabilità personale. Questa nuova educazione non può realizzarsi con del “riformismo spicciolo” (destinato a naufragare sugli scogli del tatticismo) ma richiede “un grande comune impegno di creazione culturale” (ivi, p. 7). Mencarelli sostiene che, malgrado la confusa e complessa crisi che può far apparire utopica l’idea di Educazione Permanente, “i movimenti di emancipazione oggi esistenti possono anche essere interpretati (nei valori che riescono ad affermare) come l’emergere di una cultura nuova. La soglia delle difficoltà è consistente e davanti ad essa i leaders del movimento, per quanto abbiano spesso l’aspetto di ‘angeli incapaci’, costituiscono una minoranza creativa destinata a prevalere (Richmond). Il futuro, che al di là della soglia può aprirsi, è colmo di incognite: ma può essere costruito con razionalità, con coraggio, con volontà e con immaginazione (Suchodolski) . Mencarelli chiarisce, in altri suoi scitti, che l’Educazione Permanente non riguarda solo l’età adulta perché non è un particolare insegnamento ma una modalità costitutiva dell’apprendimento che si acquisisce con la prima educazione familiare e scolastica. Il bambino rinforza la sua naturale predisposizione alla creatività e all’autonomia apprenditiva ricevendo risposte adeguate alle sue domande e strumenti cognitivi idonei per continuare a porle e a trovare autonomamente le risposte. M. Knowles, l’educatore americano che nel 1989 ha pubblicato la codifica del suo metodo autobiografico nell’educazione degli adulti (traduzione italiana 1996), riferisce, mediante la narrazione autobiografica, che il suo percorso di educatore ha avuto ini-

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zio a quattro anni, nel particolare rapporto dialogico col padre che lo portava con sé nelle sue visite veterinarie: “durante il percorso discorrevamo di ogni tipo di argomento...qualsiasi cosa possa incuriosire un bambino che sta crescendo. Ricordo distintamente la sensazione di essere alla pari con lui”, che sapeva “rispettare il mio pensiero”; da lui “imparai come si fa a pensare in maniera critica e ad apprendere dagli altri ponendo buone domande” (Knowles, 1996, pp. 5-6 ). L’elaborazione teorico-pratica della sua andragogia aderisce alla psicologia umanistica di Rogers e Maslow secondo cui l’uomo è un organismo vivente, un tutto superiore alla semplice somma delle parti, autodiretto, in costante sviluppo, con una capacità quasi infinita di raggiungere il suo potenziale unico. Il suo metodo autobiografico è centrato sull’autoriflessività e sull’autoapprendimento ed è costituito dalla rielaborazione del proprio vissuto in vista del presente e del futuro. Presupposto del metodo è la fiducia nelle potenzialità dell’uomo e lo scopo dell’educazione è facilitare lo sviluppo di quel “potenziale unico” (ibidem, p.43) per incanalarlo verso obiettivi utili per tutti. L’applicazione di questo metodo è avvenuta quasi esclusivamente nella formazione extrascolastica, nonostante l’apprezzamento del mondo accademico; (per una sintesi ragionata dell’argomento si rimanda al n° 6 dei “Quaderni del volontariato 2008” del Cesvol di Perugia). In Italia, dove si è rapidamente diffuso. D. Demetrio, dell’Università degli Studi di Milano, che ne è stato il maggior sperimentatore, colloca l’autobiografia tra le modalità della cura di sé all’interno di una visione ecosistemica dell’uomo (Demetrio, 1996). Numerose sono state le applicazioni di questa metodologia, ma spesso depauperata della sua valenza educativa, e quindi ridotta ad una prassi dell’intervista. Contaminata dalle più efficienti ricerche di mercato, rappresenta uno dei molti esempi dell’utilizzazione per finalità produttive di teorie e metodi dell’educazione che è invece volta alla promozione dell’uomo in sé. 26


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Accanto ai contributi della ricerca sull’educazione degli adulti vanno posti quelli dell’Educazione Speciale in cui si sperimentano importanti sintesi metodologiche per una cultura educativa dell’integrazione scolastica. Alcuni specialisti del settore, muovendo dalla giustificazione teorica delle numerose esperienze, sostengono la ricaduta di benefici effetti sull’apprendimento dei normodotati laddove si promuovano modalità comunicativo-relazionali incentrate su linguaggi non verbali. Va per questo ricordata Stefania Guerra Lisi che, verso la fine degli anni ’80, formalizza il suo metodo della globalità dei linguaggi, centrato sulle modalità espressive e comunicative del corpo, dopo averle a lungo sperimentate, giorno per giorno, caso per caso, situazione per situazione, con una carica creativa inesauribile (1987). La sua proposta è rivolta a tutto il gruppo classe, in cui si pratica l’integrazione scolastica, come supporto alla didattica disciplinare, in virtù dell’apertura alla ricchezza del simbolico offerta dalle attività di recupero della creatività personale. Gli elementi più significativi delle indicazioni delle scienze umane per uscire dalla crisi dell’uomo sono in gran parte contenuti nella proposta della Guerra-Lisi. La sua anima di educatrice l’ha portata infatti, per gran parte della sua vita, a tentare ogni strada per entrare in contatto con anime “senza porte e senza finestre”; ma è facile comprendere come il mondo della scuola non abbia saputo e potuto accogliere la sua proposta per la propria consolidata rigidità burocratica e professionale. Dura è la sentenza del pedagogista Mencarelli che spiega tale immobilismo con il fatto che gli educatori preferiscono pensare alla loro professione in termini di servizi per quelli che, per una ragione o per l’altra, devono essere tenuti in “statu pupillari”; qualsiasi interferenza esterna è da loro considerata una minaccia per le loro sicurezze ed il loro orgoglio professionale (1986, p. 49). Dagli ultimi scritti di E. Fromm, pubblicati postumi da A. Fromm col titolo “La disobbedienza e altri saggi” (Mondadori,

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1982), emerge un’importante indicazione per dare il via al cambiamento nelle società tecnologicamente avanzate che, indipendentemente dalla loro ideologia politica, hanno ridotto l’uomo ad homo consumens. La sua mèta principale non è più costituita, infatti, dal “possesso” di cose quanto piuttosto dalla possibilità di “consumare” in misura sempre maggiore “compensando la propria interiore vacuità, passività, solitudine e ansia”. Ma più l’uomo consuma e più diviene schiavo dei crescenti bisogni che la società industriale crea e manipola, attraverso la pubblicità e la comunicazione di massa, per aumentare i suoi profitti (ivi, pp. 31-32). Non resta pertanto che la disobbedienza, intesa come “rifiuto della disumanizzazione in atto in queste società”, come richiamo alla “coscienza critica”. L’Autore chiarisce che non si tratta di una pura ribellione finalizzata alla violenza ma, al contrario, della scelta di divenire “possessori di ragione e amore”, anziché “accumulatori sconfitti e avviliti di cose e di odio”. Nel Saggio IV del testo citato, Fromm sostiene che, pur muovendo da impostazioni diverse, le attuali correnti fondamentali di pensiero, cattolica, esistenziale e socialista, dialogano sulla salvezza dell’uomo intesa come liberazione dalla minaccia della totale perdita della sua esistenza spirituale. Egli afferma che “l’uomo è indipendente soltanto se si appropria della molteplicità del suo essere sotto tutti i punti di vista, in modo cioè da essere uomo completo” (ivi, p. 65). Si chiede cosa ne sia stato delle idee di perfettibilità dell’uomo nel senso di progressiva liberazione dalla povertà, dall’ignoranza e dall’ingiustizia, e di perfettibilità sociale, nel senso della realizzazione di una società di armonia, pace ed unione tra gli uomini e con la natura che erano state le idee fondanti della Costituzione Americana. Domanda che, negli stessi anni, si pone anche M. Mencarelli secondo cui la perdita di tensione verso i valori propugnati dai nostri Padri Costituenti ha lasciato spazio a quelli imposti dall’economia che ha instaurato la società dell’avere. La scelta della disobbedienza di Fromm è in

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Mencarelli scelta di resistenza al dono della libertà ed alla verità, scelta che richiede il massimo dell’ immaginazione. Nelle nostre società, invece, non ha più spazio né l’immaginazione né il sentimento e così, non essendo più capaci di vederci al posto dell’altro, non sappiamo porre limiti al nostro arbitrio né sentire la spinta ad impegnarci per il bene sociale (1986, p.101 e seguenti). Proprio l’importanza unanimemente attribuita all’immaginazione porterà L. Borghi a quell’analisi del pensiero deweyano contenuta nel dattiloscritto “L’immaginazione e la sua portata educativa nel pensiero di J. Dewey”, volta a dimostrare come questa idea maturi in tutto il corso della sua riflessione con argomentazioni scientifiche ed elaborazioni filosofiche, a partire dal 1897, anno di pubblicazione, in America, de “Il mio credo pedagogico”. Solo un piccolo gruppo di studiosi, sostiene L. Borghi, ha prestato attenzione a questo importante aspetto del pensiero del Dewey che considera l’esperienza estetica un’esperienza perfetta, l’esperienza tipo che non dovrebbe essere un’eccezione, ma una regola di vita. In aggiunta al suo significato estetico, Dewey assegna all’arte anche un senso pedagogico e sociale. G. M. Bertin aveva già messo in luce i due aspetti più significativi espressi dal Dewey in “Art as Experience”, (nel 1934 trad. it. 1999), riguardanti l’immaginazione come strumento fondamentale del processo estetico nella produzione artistica ma anche e soprattutto nei normali aspetti della vita (1974). Ma il lavoro di L. Borghi va più in profondità cercando di cogliere i passaggi teoretici che, a partire dal 1897, chiariranno il rapporto immaginazione-educazione. La cultura dell’immaginazione è fin da quegli anni l’aspetto centrale della sua concezione educativa. Questa facoltà, infatti, non opera solo nelle attività espressive ma anche negli studi scientifici consentendo una sorta di visualizzazione delle ipotesi che non sarebbero verificabili nella realtà oggettiva; la stessa ricerca scientifica fa ampio uso dell’immaginazione.

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Di grande importanza, anche per la sua attualità, è la denuncia di Dewey della tendenza a separare l’esperienza quotidiana del fanciullo da quella immaginativa perché “l’immaginazione non è una parte speciale del fanciullo (...) per lui dovunque e in qualunque cosa che occupi la sua mente e la sua attività c’è un’eccedenza di valore e di significato” (1949, p. 39). Nelle successive elaborazioni del suo pensiero Dewey insisterà “sul riconoscimento dei diritti dell’immaginazione del fanciullo come elemento formativo”; la sua vita psichica, sostiene, è strettamente collegata con il suo agire quotidiano e la sua esperienza immaginativa sta nel “dare vita e luce a ciò che è ordinario” (1950, p.102). L’immaginazione, quindi, sta alla sua vita quotidiana come questa alla sua attività intellettuale. Su tale asserzione poggia il principio del ruolo fondamentale dell’immaginazione nella comprensione sia delle materie letterarie che di quelle scientifiche; essa permette, infatti, di penetrare chiaramente “nel remoto, nell’assente, nell’oscuro” consentendo “la visione di realtà e possibilità che non possono mostrarsi nelle normali condizioni della percezione sensibile”(1961, t. 170). È inoltre importante la riduzione, operata da Dewey, della distinzione tra ‘fase artistica’, momento della produzione dell’arte, e ‘fase estetica’, momento della sua percezione e fruizione; fruitore e produttore convivono spesso nella stessa persona cosicché egli parlerà di esperienza artisticoestetica, precorrendo le più recenti teorie dell’arte come quella di Croce e Lukacs. Allo stesso modo viene mitigata la distinzione tra estetico ed intellettuale anticipando le teorie romantiche di Schiller e Schelling. Già in “Art as Experience” Dewey aveva sostenuto che la qualità dei processi formativi è data dallo sviluppo di un atteggiamento estetico, compimento di quello scientifico, e che entrambi dovrebbero pervadere l’intera umanità per condurla al felice esito di un’esperienza integrale, definita pura perché “liberata da fattori che la subordinano (...) a qualcosa che è al di là di essa”.

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Particolarmente significativo, per il discorso sui giorni nostri, è ciò che egli sottolinea nella sua opera pubblicata in America nel 1929, ma tradotta in italiano solo nel 1966 col titolo “La ricerca della certezza”: in un mondo “incerto, instabile, precario e pericoloso, la capacità di formulare ipotesi è la tavola di salvezza dal naufragio nel vasto mare delle cose reali che circondano l’uomo” (1966, p.310) un mondo che Dewey ritiene l’ambiente idoneo alla nascita del pensiero e della funzione idealizzante dell’immaginazione. Tale funzione, come espresso in altre opere, riveste un ruolo totalizzante di conoscenza perfetta, di collegamento passato-futuro per vivere a pieno il presente e modificarlo in funzione dell’idea di futuro: essa permette, infatti, tentativi di prova nel pensiero che non influenzano i fatti fisici, precorrendo e prevedendo gli esiti di posssibili errori e fallimenti effettivi. Il carattere essenzialmente filosofico della concezione deweyana dell’immaginazione, da non confondersi con l’immaginario, cioè l’irreale, ha forse ispirato lo slogan anni ’60 l’immaginazione al potere, molto vagamente riecheggiato nell’uso odierno della frase di Dostoevsky “solo la bellezza salverà il mondo”. L’immaginativo, che è strettamente legato al cognitivo e all’affettivo apporta una dimensione innovativa alla conoscenza e svolge una fondamentale funzione totalizzante: “Ogni atto può portare dentro di sé una coscienza del tutto che consoli e che sostenga, di quel tutto al quale esso appartiene e che in un certo senso gli appartiene (...). In presenza di esso noi buttiamo via la mortalità e viviamo nell’universale.” (“Human Nature and Conduct”, trad. it. 1999, pp. 349-350). Questa straordinaria elaborazione concettuale degli inizi del XX secolo, resta uno dei principali punti di riferimento nella crisi dell’uomo e delle società democratiche dell’occidente ma non riesce ad incidere nella nostra educazione scolastica, come si è più volte evidenziato anche nel caso di altri contributi più recenti. La loro importanza fondamentale sta, comunque, nell’aver creato quell’ampio clima culturale e sperimentale che ha aperto la strada ad

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una nuova coscienza umana e sociale, recepita da diverse aree del volontariato e della ricerca personale di “cura”, confluita anche in vasti gruppi culturali. 1.5 LA “NEW AGE” E LA RICERCA DEL BENESSERE Uno dei movimenti più importanti è quello della “New Age”, sorto in California nel 1965 e caratterizzato da una ricerca plurima, intellettuale, psicofisiologica, artistica, cosmopolita e transculturale che ha avuto una rapida e continua espansione in tutti i paesi occidentali. Ha rappresentato, e rappresenta, un veicolo di diffusione internazionale dell’incontro tra cultura orientale e cultura occidentale e ad essa vanno fatti risalire i più recenti incontri tra educazione e salute, pedagogia e terapia, epistemologia della complessità ed attenzione per la ricerca filosofica buddhista, induista e taoista. Uno studioso del movimento (N. Druy, 1993) ha evidenziato che attorno ai teorici della New Age si ritrovano tutti coloro che, in polemica con la spersonalizzazione prodotta dalla moderna società tecnologica, hanno rivalutato la coscienza, la soggettività e gli stati mentali “globali” contro il riduzionismo della scienza. Questi hanno indicato vie per espandere e modificare le percezioni fisiche, emozionali e cognitive di adulti in crisi, alla ricerca di nuovi valori, sia laici che trascendenti, incrociandosi con movimenti pacifisti, ecologisti, animalisti ed antirazzisti. L’attenzione per il “cervello destro”, cioè per tutto quanto concerne la sfera della creatività e del pensiero divergente, porta la ricerca new age del benessere psicofisico, generalmente perduto dall’occidente, a collegarsi ad un concetto orientale di integralità, presente nelle pratiche di meditazione, nello yoga e simili. Tale approccio è stato recentemente riscoperto dalla fisica teorica, dalla biologia, dalla sociologia e dalla psicologia contemporanea di James a cui si deve anche la formulazione della “plura-

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lità del sé”, in contrapposizione alle tesi tradizionali dell’occidente che, a partire da Platone, sostengono la prevalenza unificante dell’io razionale. Il contributo dei vari protagonisti new age è quello di aver laicizzato percorsi di cura di sé, propri di diverse tradizioni religiose e metafisiche, finalizzandoli alla ricerca del benessere psicofisico. Si sono così diffuse pratiche meditative ed introspettive, di distacco dalla materialità e necessità quotidiana, in cui convivono benessere personale e cura degli altri in una continua autoeducazione permanente. All’espansione di questo movimento si fa risalire l’ampia diffusione di varie forme di terapia, di prevalente ispirazione orientale e la circolazione di un sapere non-occidentale.

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1.6 L’APPROCCIO SISTEMICO ALLA COMPLESSITÀ L’elaborazione culturale della crisi, che aveva preso le mosse dall’analisi della frammentazione e disumanizzazione delle società industrializzate, perviene all’elaborazione del concetto di complessità delle società post-industriali, come esito della frammentazione. (Bocchi-Ceruti, 1985). Questo “male”, già annunciato dai teorici della prima crisi, di cui si è detto, è divenuto ora pressante e con esso debbono fare i conti tutte le scienze dell’uomo, dalla speculazione filosofica alla cultura d’azienda. Siamo di fronte a ciò che J. Maritain aveva definito “il bivio” che ci obbliga a scegliere fra il “parzialismo” e “l’integrità” dell’educazione. Egli sostiene che il parzialismo educativo è la causa di molti affanni del mondo perché non si può educare una sola parte dell’uomo senza subirne le conseguenze. Il suo umanesimo integrale resta un punto fermo della pedagogia di tutti i tempi come la sua individuazione degli errori fondamentali dell’educazione del suo tempo e delle principali regole che dovrebbe invece osservare. La sua denuncia del misconoscimento dei fini dell’educazione, delle false idee riguardo al fine, del sociologismo, dell’intellettualismo si accompagna all’esortazione a liberare le buone energie, a centrare l’attenzione sull’intima profondità della personalità e del suo dinamismo precosciente e a far lavorare insieme mani e mente perché “l’intelligenza dell’uomo non è solo nella sua testa ma anche nelle sue dita”. L’insegnamento deve liberare l’intelligenza, non appesantirla, deve cioè ottenere “la liberazione dello spirito mediante il dominio della ragione sulle cose insegnate” (1963). Le società attuali sono ancora difronte al “bivio” mentre la ricerca culturale ha individuato nell’approccio sistemico la possibile soluzione della complessità. L’uomo viene definito un sistema costituito da mente, corpo e relazione in interazione continua.

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Nella visione pedagogica la mente è una struttura sistemica con compiti di organizzazione e regolazione nei confronti di tre intelligenze, cognitiva, corporea e relazionale la cui diversa relazione e predominanza determina la varietà delle identità individuali. Ne consegue che il lavoro educativo va organizzato in funzione dell’azione su ciascuna intelligenza tenendo conto del fatto che promuovere il mutamento anche di una sola di esse determina una complessiva riorganizzazione della mente. Il sistema è infatti molto di più della somma delle sue parti perché rappresenta la sintesi della loro riorganizzazione e cambiare anche solo una parte significa cambiare il tutto (D. Demetrio, 1993). La stessa visione sistemica è fatta propria dalla sociologia che sostiene l’impossibilità di ridurre il sistema sociale alla somma delle sue parti. Ogni evento va concepito come parte di un contesto più ampio ed ogni intervento deve essere in grado di leggere le interazioni e le retroazioni che lo vincolano a questo contesto. Queste le asserzioni più significative della ricerca contemporanea che aprirebbero importanti possibilità operative se il mondo della scuola, della formazione e della vita sociale non fosse lasciato solo e disperso in tatticismi privi di forti idealità. Lavoro culturale ed impegno realizzativo continuano a percorrere strade separate che confluiscono solo nell’opera di persone “disobbedienti”, capaci di vivere, ed aiutare a vivere il cambiamento con fede e amore per l’uomo e la sua vita sociale.

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Capitolo II Terapie ed Arte-terapia


Terapie ed arte terapia

2.2 DALLA RICERCA TEORICA ALLE TERAPIE L’intellettualismo, come uso pressoché esclusivo di razionalità, generalmente ritenuto il maggior responsabile della crisi dell’uomo e delle società occidentali, continua a detenere un primato che, al di là delle buone asserzioni, perpetua l’antica separazione tra lavoro intellettuale e manuale, tra teoria e pratica, tra mente e corpo. Per il cambiamento auspicato si è rivelato necessario, ma non sufficiente, il vagheggiamento delle grandi rivoluzioni culturali ma, visto il fallimento delle strategie finora adottate, vale forse la pena tentarne di nuove. Una, che ha antiche radici, si fonda sull’impegno quotidiano per i piccoli cambiamenti, orientati da un’ idea guida ed un sentimento forte, operati prima in noi stessi, come ha dimostrato Francesco d’Assisi, e poi nelle piccole comunità, come nella visione laica nonviolenta di A. Capitini, fondatore di Centri di Orientamento Sociale (COS), Centri di Orientamento Religioso (COS) ed altri. L’apporto delle ricerche, delle quali si è detto, consiste nella validazione scientifica di una nuova concezione dell’uomo e della sua società caratterizzate dalla costante, necessaria relazione tra le parti; nell’aver evidenziato l’urgenza di riappropriazione, da parte dell’uomo, della sua integralità favorita dall’uso dell’immaginazione e dall’esperienza estetica. Di particolare interesse sono poi le riflessioni emerse sulla “disobbedienza”, la “resistenza”, la “presa di coscienza” in un personale impegno per il cambiamento, che superi la paura della propria diversità, dell’ uscita dall’omologazione attraverso il recupero dell’essere. Un aiuto alla disobbedienza individuale può venire dall’incontro con chi manifesta segnali di bisogni analoghi e che può dar luogo all’instaurarsi di “sub-culture”, come avvenuto per la New Age, e come avviene in molte forme oggi esistenti di associazionismo. Il confronto tra competenze culturali e terapeutiche non formali, può dar luogo all’avvio di un autentico e duraturo cambiamento. 38


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L’adulto di oggi, alla ricerca della sua linfa vitale, trattenuta in un emisfero destro marginalizzato, è spesso nella solitudine della sua sofferenza e del proprio incoffessato bisogno di trascendenza. Ma sta forse mettendo in atto, inconsapevolmente, quella reazione che caratterizza la “Pedagogia degli oppressi” di P. Freire, spinto da una forza naturalmente insita in lui. Questa è scientificamente definita tensione anagogica, riconosciuta fin dall’antichità in tutte le culture, che lo porta a ricercare il proprio miglioramento in ogni situazione esistenziale. L’uomo possiede le potenzialità per il cambiamento fin dalle origini della sua storia, caratterizzata dalla comunicazione di credenze, saperi, informazioni utili alla vita ma anche di stati d’animo, emozioni, senso del sacro e di idee volte a costruire il consenso per la coesione dei gruppi. Tale comunicazione, di cui restano importanti tracce, si è avvalsa di un’ampia gamma di modalità espressive: da quella verbale, orale e scritta, a quelle non verbali come danza, pittura, disegno, graffito, musica e scultura in funzione simbolica, rituale o religiosa. Di fronte al bivio che si è riproposto alla nostra società, in cui compaiono sempre più evidenti segni di ricerca di appagamento di questi bisogni ancestrali dell’uomo, appare dunque più realistico collaborare con quanto è già in atto nel mondo adulto per compensare il disagio esistenziale. L’aggiunta di un’idealità forte, culturalmente elaborata in questa direzione, da parte di chiunque voglia contribuire allo sviluppo del potenziale umano, può facilitare l’instaurarsi di una cultura dell’uomo e della società liberate dall’ingerenza omologante e disumanizzante del mondo produttivo.Tutto quanto detto, per dare validità scientifica all’attuale bisogno di cura, ci è sembrato necessario per tentare una ricomposizione tra elaborazione intellettuale e lavoro terapeutico giustificando entrambi ed evidenziando la pecurialità dei loro contributi.

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2.3 COSA SI INTENDE PER TERAPIA Terapia è definita, in senso stretto, quella parte della medicina che cura le malattie e, in senso esteso, ha il significato di cura. Se compare come seconda parte di una parola composta del linguaggio medico significa “metodo di cura”. Terapeutica è quindi la scienza della cura delle malattie e terapeuta è chi studia o si occupa di terapeutica o un medico particolarmente competente nella cura delle malattie. Questa è la definizione secondo un noto dizionario, definizione tecnica su cui si innestano le variazioni e distinzioni legate ai mutamenti culturali. Alle terapie farmacologiche per la cura o la diminuzione della sofferenza del corpo e della psiche, facenti parte della medicina ufficiale, si sono infatti via via aggiunte le più disparate forme di cura e di terapie volte all’acquisizione del benessere psicofisico oltre che al supporto della malattia in senso stretto. Tale fioritura è considerata da alcuni pedagogisti un chiaro segno del vuoto creato nell’uomo da un’educazione scolastica che non ha saputo o potuto prendere atto dei bisogni umani evidenziati dalla ricerca a cui si è fatto riferimento. Così la disattenzione per il ruolo fondamentale dell’immaginazione e della creatività nell’apprendimento si è in qualche modo resa complice dell’interesse economico per l’omologazione. Tale disattenzione ha fortunatamente spinto molti “disobbedienti” a lavorare al di fuori dello scolastico con proposte di formazione alternativa o di opportunità “terapeutiche”. Nella nostra Regione, oltre al lavoro sperimentale per l’innovazione didattica, svolto per qualche anno dalla Cattedra di Educazione degli Adulti dell’Università di Perugia con il metodo autobiografico, va ricordata l’iniziativa della “Cittadella” di Assisi che da anni si pone come luogo di incontro e di formazione per arteterapeuti organizzando Seminari e Corsi di Arteterapia.

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Ben nota, a volontari e non, è anche l’opera svolta dal Cesvol della Provincia di Perugia per la promozione, il sostegno e la divulgazione di attività di cura no profit. Il Convegno Cesvol, tenuto nel dicembre 2008 a Pila per il X anniversario dell’Associazione, ha rappresentato un momento ricognitivo e programmatico significativo per “Le nuove vie del ben-essere”, mettendo a confronto ruoli e prospettive delle “X-Terapie” nella provincia di Perugia. Nell’occasione, unica pedagogista tra terapeuti, come è accaduto altre volte, ho potuto verificare la separazione esistente tra culture dell’uomo e chiarire la mia visione di un’arteterapia per “normodotati”. Il confronto tra esperti ed operatori dell’area della malattia e del benessere, sulle terapie non convenzionali (TNC) e X-terapie, mi ha rassicurato sulla mia visione psicopedagogica di un’arte-terapia per tutti. Al convegno si è parlato infatti di “alienazione” prodotta dalla malattia psicofisica, alla quale ho assimilato quella sociale, e dell’aiuto proveniente dalla condivisione delle emozioni e dei sentimenti attraverso varie tecniche comunicative assenti nell’educazione formale. Nel dibattito hanno trovato inoltre risposta le domande che mi ero rivolta nel “1° Seminario di Arteterapia”, tenutosi nel 2005 presso la Cittadella di Assisi, sulla possibilità di includere nelle Arti-terapie il lavoro pedagogico con l’arte. Nella sua relazione, infatti, Paola Luzzato, psicologa arteterapeuta, forse più nota a New York e Londra dove ha lavorato, rifacendosi alle radici storiche dell’arteterapia, sosteneva che essa si sostanzia dell’uso delle competenze dello psicologo-arteterapeuta, supportato dall’artista: “il campo e la specificità dell’arte-terapia è definito dalla duplicità della comunicazione PazienteTerapeuta mediante il lavoro simbolico”. Questo mi aveva portato a dubitare della correttezza della mia ipotesi ma una successiva elaborazione del dubbio, dovuta alla mia ostinata fiducia nell’educazione, avveniva nel III Seminario di Arteterapia del 2007 (Cittadella-Assisi). Ne trassi il titolo di un breve scritto, “Le feri-

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te dell’anima”, pubblicato su “L’Incontro” del C.S.A di C. Lago, per veicolare, in modo semplice e sintetico, le idee lì maturate nel senso psicopedagogico di “cura”. Ognuno di noi, scrivevo, ha le sue ferite e con esse convive attuando diverse strategie comportamentali; ma il dolore lavora dentro e a volte ricompare, inaspettato, turbando equilibri mentali, fisici, affettivi e relazionali. Per questo va tirato fuori raccontandolo in una maniera creativa che non ci produce imbarazzo. Come altre attività artistiche, la manipolazione della creta, docile sotto le nostre mani che modellano ciò che la mente, il cuore, la tensione del momento dettano loro, consente di realizzare qualcosa che potrà piacere o meno agli altri ed anche a noi stessi ma che, comunque, ora è là, impronta del nostro io sofferente o ritrovato, materializzato fuori di noi che ci sentiamo più leggeri e più sicuri. Ogni terapia ha la sua utilità e particolarità curativa ma poichè tutte le attività di produzione-fruizione artistica hanno, come si è detto, un ruolo primario unificante, ritengo che offrire opportunità di questo tipo, al maggior numero possibile di persone, debba essere l’impegno “terapeutico” di chi crede nel valore di un’educazione integrale dell’uomo. Le carenze individute nel mondo dell’istruzione possono in parte essere affrontate con il supporto di una cultura e di una pratica dell’arte capillarmente diffuso. L’arteterapia è la madre di tutte le terapie in primo luogo perché a questa conclusione ci porta tutto quanto si è sinteticamente riportato sulla ricerca intorno alla crisi dell’uomo e della sua società; in secondo luogo perché quasi tutte le terapie del benessere sono centrate su forti componenti affettivo-relazionali, simboliche, immaginative, collegate all’esperienza sensoriale e proprie di quell’emisfero destro su cui ho richiamato l’attenzione. Molteplici sono le forme dell’arte e le modalità espressive di ciascuna ed altrettanto varie le loro utilizzazioni terapeutiche in funzione del tipo di cura, di soggetto e di situazione.

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Terapie ed arte terapia

È evidente che il loro uso comporta una buona conoscenza dell’arte impiegata, da tutti i punti di vista: della materia usata, delle potenzialità e dei limiti insiti nella materia, delle possibilità del suo uso e delle relative tecniche, dell’opportunità di inserimento di altre arti. È inoltre necessaria la conoscenza delle diversità dei percorsi di apprendimento dei soggetti e delle regole da rispettare per favorire l’autonomia espressiva di bisogni personali. La concezione di arteterapia, come verificato al Convegno Cesvol 2008, si è ampliata, così come il concetto di malattia che si è esteso a quello di benessere: restano i punti fermi delle competenze congiunte e necessarie dell’artista e dello psicologo terapeuta nell’ambito più proprio della patologia grave. Ma la gradualità insita nell’ampio spazio della “cura” consente di utilizzare il lavoro con l’arte in situazioni di sofferenza, di marginalità, di chiusura non strettamente patologiche ma che hanno bisogno di essere alleviate o superate. L’arte che diviene arteterapia si caratterizza per essere autocentrata e meramente espressiva per cui i prodotti e le modalità di produzione servono a conoscere meglio il soggetto e a proporre l’attività più idonea a rinforzare o alleggerire gli stati d’animo, i pensieri, i movimenti. Ma anche quando la finalità prevalente di un soggetto è la realizzazione di oggetti, non vengono meno le valenze curative di cui si è detto perchè il confine tra la produzione-fruizione artistica è molto sottile. Entrambe sono presenti nelle attività svolte dal Laboratorio di ceramica di “Arte e Sostegno”, caratterizzate dal senso della “cura” non solo per un circoscritto disagio, ma anche e soprattutto per il più ampio disagio personale e sociale di cui soffre la nostra attuale “normalità”. In senso lato infatti l’arte-terapia consiste nella messa in atto di un processo creativo che, mediante l’uso di modalità espressive diversificate facilita lo sviluppo psico-sociale, cognitivo ed affettivo di ogni soggetto.

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Capitolo III L’Arte-Terapia e l’Attività di “Arte e Sostegno”


L’arte terapia e l’attività di “Arte e Sostegno”

3.1 LAVORARE LA CRETA Impastare terra e acqua è uno dei giochi più amati dai bambini che, prima di essere bloccati dal divieto di sporcarsi, sperimentano con gioia questa attività di esplorazione sensopercettiva delle proprie mani nella materia informe. Guardandoli ho più volte pensato che, senza il nostro controllo, si coprirebbero di fango cosa che, con danni accettabili, fanno con la sabbia del mare o del lago. Un uso del fango anch’esso antico quanto l’uomo, come testimoniano i rituali di alcune tribù “non civilizzate” in molte parti del mondo e che ci è pervenuto, attraversando la storia, nelle forme delle cure termali. Il bambino ama questo gioco con la terra mista ad acqua e per questo motivo ha trovato spazio in alcune esperienze terapeutiche per soggetti con gravi e gravissimi handicap psico-fisici. Particolarmente significativa, intorno agli anni ’80, è stata quella di S. Guerra-Lisi che afferma che “Plasmare è comunicare a due sensi: verso l’interno e verso l’esterno” (1987 p. 52). In breve tempo, poi, il bambino impara a finalizzare questo gioco alla costruzione di torri, piste, palline, torte decorate con foglie e sassolini da mangiare “per finta” in un rito relazionale simbolico. Questa apparente digressione viene dal fatto che molti studiosi di diverse discipline sostengono che le tappe dello sviluppo dell’uomo riproducono quelle dell’evoluzione della specie e quindi osservare un bambino è, non solo vedervi noi stessi, ma ciò che siamo stati nella notte dei tempi; per questo il suo gioco ci affascina, per la nostalgia del gioco abbandonato che possiamo ritrovare nell’attività artistica senza provare vergogna. L’arte della ceramica è, non a caso, una delle più antiche perché naturale ed elementare: nasce dalla capacità dell’uomo di modellare creta mista ad acqua per realizzare contenitori di uso quotidiano, monili, statuette votive che acquistano durezza al calore del sole, come avviene ancora in molti villaggi del mondo.

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L’arte terapia e l’attività di “Arte e Sostegno”

Plasmando questa materia docile e piacevole al tatto, l’uomo se ne compiace ed oltre che funzionale la fa bella, di forme diverse e con decori entrando nel mondo del bello, del simbolico e del sacro. Sembra una fiaba ed in parte lo è in ciò che proviene dal ricordo del mio primo incontro con la creta, quando il tempo delle “torte di terra” era assai lontano. Il resto è storia di un’arte che si sviluppa ed arriva ai giorni nostri ampliando e perfezionando tecniche ed impieghi ma continuando a farci bene all’anima. Intorno a quest’arte, goduta per se stessi ed offerta agli altri, è cresciuta l’Associazione “Arte e Sostegno” della quale presentiamo le diverse attività, tutte in qualche modo collocabili nella “cura” di sé e/o dell’altro, due facce della stessa esperienza artistica, due risposte, spesso sovrapponibili, al bisogno di espansione dell’io.

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L’arte terapia e l’attività di “Arte e Sostegno”

3.2 PRESENTAZIONE DI “ARTE E SOSTEGNO” L’attuale Associazione ONLUS “Arte e Sostegno”, di Castiglione del Lago, nasce dalla passione per l’arte ceramica e dalla consapevolezza dei suoi benefici effetti sulla persona e sul suo modo di relazionarsi. Nell’anno scolastico 1995-96, Annalisa Perusi, insegnante di sostegno, e Graziella Sorci, insegnante di educazione artistica, entrambe presso la Scuola Media Statale di Castiglione del Lago, pensarono ad un laboratorio per aiutare gli alunni in difficoltà, per disagio sociale e/o handicap. Messe in sinergia le loro esperienze e competenze, presentarono un progetto in cui erano formulati i seguenti obiettivi e metodi: - far acquisire la capacità di manipolare materiali diversi; - far conoscere ed utilizzare varie tecniche plastiche; - far acquisire atteggiamenti di solidarietà all’interno del gruppo, di collaborazione con Associazioni locali di volontariato come AVIS e AIDO e di apertura alle più ampie problematiche del mondo circostante; - far maturare il senso di responsabilità personale, attraverso l’assolvimento dei compiti legati all’attività plastica e sociale, destinando il ricavato della vendita dei loro manufatti ad associazioni benefiche. Il progetto Perusi-Sorci fu approvato e sostenuto, anche economicamente, dalla locale Sezione AVIS che, grazie al suo Presidente dott. Paolo Angori, rese possibile l’inizio delle attività. All’interno dell’edificio della Scuola Media, in orario extra-scolastico pomeridiano, le due insegnanti tenevano incontri settimanali gratuiti con 25-30 ragazzi. L’amore e la fiducia negli effetti benefici dell’arte vennero ripagati da un costante incremento di alunni partecipanti e di operatrici volontarie. L’espandersi dell’iniziativa, per le numerose richieste provenienti da altre scuole e dai cittadini, fece sì che, nell’anno scolastico 1999-2000, l’aula “attrezzata” divenne troppo stretta e si trasformò nel “Laboratorio Trasimeno

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Fantasia” che organizzava anche corsi per adulti. Nel 2002 il Laboratorio, per la sua riconosciuta utilità sociale, divenne Associazione ONLUS denominandosi “Arte e Sostegno”, con chiaro riferimento all’unione delle competenze di Graziella Sorci e Annalisa Perusi, felice intuizione del futuro dell’Associazione. Stipulata una convenzione con il Comune di Castiglione del Lago, rinnovata di anno in anno, le vennero assegnati locali indipendenti, adiacenti la stessa scuola, ed aumentarono attrezzature, iniziative, soci e lavoro. Un giorno alla settimana venne riservato all’attività con i ragazzi Down e gli altri a molteplici attività socio-culturali. Il tessuto connettivo dell’Associazione e del Laboratorio è costituito da coloro che continuano a lavorare per se stessi e/o per gli altri, accomunati dal piacere di dar vita ad un sogno, ad un’ispirazione, ad un bisogno di trasferire all’esterno qualcosa che preme dentro. Nel 2007 si sono tenuti i primi corsi di ceramica per bambini degli ultimi anni della scuola elementare: l’avvio della realizzazione del mio desiderio di salvare uno spazio di creatività per le giovani menti che avevano iniziato a fare i conti con l’intellettualismo deteriorato di una scuola vissuta, purtroppo spesso, con sofferenza o frustrazione. Questi, in sintesi, i fatti dietro i quali si sviluppa una storia significativa di intuizioni, ipotesi, progetti e confronti al di fuori ed all’interno dell’Associazione, dove convivono anime e finalità diverse ma unite dall’amore per l’arte ceramica.

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3.3 LE ATTIVITÀ DI “ARTE E SOSTEGNO” L’azione complessiva dell’Associazione no profit “Arte e Sostegno” è naturalmente più ampia delle attività svolte dal suo Laboratorio di ceramica ma è prevalentemente attraverso di esse che si realizzano le sue finalità statutarie di impegno “per il superamento dei fattori che ostacolano la piena integrazione sociale, culturale e lavorativa soprattutto di soggetti svantaggiati” (Statuto, Art. 2) 3.4 I CORSI PER ADULTI Mi piacerebbe affiggere la scritta di Don Milani all’interno del nostro laboratorio, certamente meno eroico e neppure scuola alternativa come quella di Barbiana, ma un’extrascuola in cui si cerca, più o meno consapevolmente, di trovare sollievo alle ferite dell’anima. Infatti chi frequenta i corsi di ceramica, e poi continua a frequentare il laboratorio, lo fa mosso dal desiderio di avere un po’ di tempo per sé, di mettersi alla prova come artefice di un qualcosa di cui attende l’uscita dal forno quasi come di un bambino che nasce. Chi è presente al conto alla rovescia del termometro del forno aspetta (la ceramica ha tempi lunghi...cioè naturali!) e poi guarda, esclama, si complimenta con l’autrice che fiera si schernisce e chiede conferme; ma anche pareri critici sulla riuscita del manufatto che, tra ideazione, manipolazione, essiccamento, smaltatura, pittura, cottura ed altro, ne ha di insidie di percorso!. Quello trascorso in laboratorio è dunque un tempo per se stessi (anche quando lo si dedica agli altri) riservato ad un’attività creativa in cui, ci diciamo spesso, si riesce a “staccare” da un quotidiano dal quale siamo sempre più posseduti, invece di esserne costruttori; è il tempo per ritrovare un sé marginalizzato, mortificato, omologato da uno stile di vita che ha mercificato tutto, imponendo bisogni, scelte, ritmi funzionali non

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all’uomo ma all’economia. Poi, dopo quel tempo rubato tra pennelli, colori, creta appena modellata, ad un tratto si fa ora di tornare a casa e, come se la nostra bolla variopinta scoppiasse all’improvviso: “Oh Dio!...com’è tardi! Il tempo è volato. La cena,...il marito...i figli... i nipoti...la lavatrice...! Alla prossima!”. Il ritmo, gli sguardi, i movimenti riprendono la consueta accellerazione...siamo atterrate. Si torna alla realtà quotidiana ma con qualcosa in più dentro di noi, con l’arricchimento prodotto dall’esperienza estetica vissuta ciascuna in un suo modo speciale ma per tutte come “ricarica” per rientrare nella solita vita. Questo è ciò che porta ogni anno molte donne a frequentare i Corsi di Ceramica che si tengono presso il Laboratorio di “Arte e Sostegno”. In una prima riunione, fatta con tutte le persone che hanno inviato la loro adesione, si individuano i bisogni riguardo ad orari, livelli iniziali di competenza ed obiettivi dei singoli partecipanti. Quindi si organizzano corsi pomeridiani e/o serali, di primo e/o secondo livello, di manipolazione e modellatura della creta o solo di pittura su biscotto pronto. Le socie fondatrici, o assimilate per anzianità di appartenenza e per competenza, insegnano le varie tecniche secondo la gradualità propria di quest’arte ma non stanno in cattedra, si “sporcano le mani” con gli allievi ed in breve si diventa compagni di lavoro in cui chi più sa più mette. Ogni iscritto è un nuovo socio che, al termine del corso, a volte resta e a volte se ne va, prima o poi, ma in ognuno e di ognuno resta un segno...nel ricordo o in manufatto rimasto lì, forse in attesa di essere ritrovato. Tutti i lavori che nascono nel laboratorio hanno un’impronta chiara che li collega all’autore perché sono usciti da lui e a lui riconducono per la peculiarità espressiva e manipolativa di un’immaginazione che racconta un io normalmente relegato ai margini dell’esistenza. Questa ricerca di un proprio spazio vitale, nella produzione-fruizione artistica, può avere un carattere compensativo rispetto ad una vocazione negata o all’aver duvuto rinunciare alla gratuità e libertà creativa di un’espressione e di una

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comunicazione significativa; può più semplicemente essere la ricerca di un sentirsi bene con se stessi e con gli altri, almeno finché la pittura è fresca o la creta è molle. Tutto questo ed altro avviene mediante quella deweyana esperienza totalizzante, dovuta all’immaginazione; e pura perché liberata da fattori che la subordinano a qualcosa che è al di fuori di essa. Questo ho personalmente sperimentato in Laboratorio come quando, ad esempio, ho chiesto di acquistare un manufatto che mi era particolarmente piaciuto. L’autrice ha voluto farmene dono in una sorta di reciproco imbarazzo per un apprezzamento non atteso e forse l’aver cercato di quantificare il valore di un oggetto non nato per questo. Dallo spiacevole equivoco è comunque nato un nuovo tipo di amicizia, fatto di una tacita intesa più profonda.

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Adulti al lavoro

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3.5 COLLABORAZIONE

CON

ENTI

ED

ISTITUZIONI

PER IL DISAGIO

SOCIALE

Nell’Associazione si discute e si progetta anche e soprattutto un lavoro per gli altri, secondo l’intento che le aveva dato inizio nel 1995. Distinguere nelle attività del laboratorio la cura di sé dalla cura dell’altro, come ho già detto, è molto difficile perché le due, soprattutto per chi rimane e vive la vita dell’associazione, si compenetrano arricchendosi reciprocamente. Rientra tuttavia nella libera scelta di ciascun socio aderire o meno alle proposte che vengono fatte ad Arte e Sostegno per accogliere persone segnalate per una particolare situazione Le mani raccontano di sofferenza, disabilità o disagio sociale e relazionale. Le richieste vengono dallo Sportello del cittadino del Comune di Castiglione del Lago che tiene rapporti anche con il Tribunale per minorenni di Perugia. Negli incontri programmatici si valutano le difficoltà del soggetto, l’opportunità di inserirlo nei corsi, di riservargli spazi personali o di lasciargli la libertà di frequentazione ed utilizzazione del laboratorio e dei materiali con l’appoggio di un socio responsabile. Gli esperti di ceramica valutano le diverse opportunità che questa pratica offre in relazione ai bisogni della persona per indirizzarla verso le più idonee. Il percorso poi si sviluppa giorno per giorno, autoregolandosi in un rapporto amicale di reciproca fiducia e di confronto in cui si cerca di realizzare l’equilibrio ottimale tra tecnica e libertà espressiva per favorire una comunicazione significativa.

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3.6 GLI INCONTRI CON I RAGAZZI DOWN Un giorno alla settimana, da tempo il lunedì, è dedicato all’attività di manipolazione con ragazzi e ragazze down, un piccolo gruppo ormai legato da amicizia, tra loro e con noi. Ciascuno ha difficoltà e potenzialità proprie nel rapporto con la materia che l’educatore deve saper cogliere come opportunità per favorire la relazione interno-esterno. L’oggetto prodotto, dal bistorto bastoncino all’assemblamento del colombino, gioca un ruolo importante nella visualizzazione di potenzialità altrimenti inespresse. Il compiacimento altrui diviene autocompiacimento e la gratificazione rinforza l’esperienza ed accresce l’autostima. In qualche caso, questa attività ha facilitato l’inserimento lavorativo di alcuni soggetti. Quelli del lunedì sono pomeriggi particolarmente movimentati e giocosi in cui l’atmosfera amicale favorisce la comunicazione verbale anche di chi la evita così come il contatto con la creta. In quei pomeriggi di incontro gratificante tra amici, di comune lavoro giocoso, il culmine della gioia collettiva e della condivisione arriva comunque con la merenda! Baci, abbracci e arrivederci alla prossima settimana.

La gioia dell’attività condivisa

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3.7 I CORSI PER BAMBINI Rivolti a bambini di 4° e 5° Elementare, sono nati dalla volontà di offrire uno spazio riservato all’immaginazione, alla creatività e alla manipolazione che, centrali nella Scuola materna, diventano progressivamente marginali nell’educazione scolastica successiva. Ha così inizio quel dimezzamento dell’uomo che produce il senso di disagio e di perdita che porta gli adulti al Laboratorio. Un disagio che appartiene a quella crisi dell’uomo contemporaneo su cui si sono interrogate le scienze dell’educazione, indicando i presupposti per il suo superamento. Rimandiamo a quanto precedentemente esposto per comprendere meglio il senso delle attività che stiamo presentando ed in particolare questa iniziativa di “cura per la normalità”. I bambini che, oltre alla scuola dell’obbligo, frequentano anche altre attività, sono arrivati al laboratorio di ceramica sotto il peso dei loro enormi zaini, lamentando la loro stanchezza e con la speranza, negli occhi, di potersi scatenare. Dopo un iniziale trambusto, l’attrazione per la creta, di un’infanzia non lontana, ha fatto concentrare il movimento sulle mani, attivando il pensiero come guida delle dita e della coordinazione oculo-manuale. Al primo incontro sono emerse piccole resistenze, insicurezze e paura di sporcarsi già indotte da stili di vita adulti familiari e scolastici: avvertivo la sensazione di una voglia di volare trattenuta, frenata anziché opportunamante indirizzata. I più bloccati e dipendenti dalle indicazioni delle ceramiste sono apparsi i più bravi a scuola e a casa, i più liberi quelli ritenuti irrequieti e disattenti. È strano che mi venga improvvisa l’associazione con i disobbedienti, quelli di Fromm? In pochi incontri, mettendo insieme competenza artistica e psicopedagogica, l’attesa di ordini è divenuta richiesta di consigli, la produzione per copia di modelli, personalizzazione del prodotto e tentativo di libera creazione; l’agitazione scomposta si è auto-

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regolata per la necessità di difendere il proprio lavoro e, di conseguenza, quello altrui; la valorizzazione di ogni singolo risultato ha favorito il superamento della competizione e l’apertura allo scambio di suggerimenti e alla collaborazione, almeno lì, con la creta, in un altro mondo. Il mondo “dell’esperienza perfetta” dove ogni oggetto prodotto parla di un bambino tutto intero, con esuberanze o incertezze tra le sue grandi potenzialità, della sua maturazione sociale e comunicativa, del suo tipo di sensibilità e di controllo formale finalizzato alla gioia della realizzazione di un prodotto artistico personale. L’opera d’arte, esibita con orgoglio ai genitori, spesso fatta per essere donata loro, è il frutto di un percorso personalissimo di spinta all’esterno; di una motivazione ritrovata a fatica dentro di sé. Prendere il proprio posto di lavoro con la propria creta, lo scambio degli utensili necessari, il ripristino della pulizia di tutto quanto utilizzato per lasciare posto ad altri sono alcune delle regole apprese e rispettate avendone capita l’utilità e sono anche quelle che più hanno sorpreso i genitori. Non ho ancora potuto verificare quanto e cosa sia rimasto in loro di questa esperienza ma già il modo in cui mi dicono “ciao Mariapia”, quando li incontro, mi sembra abbastanza per riprovarci.

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Le bambine operose e felici

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3.8 L’ANIMAZIONE PER ANZIANI Da un progetto patrocinato dal Cesvol di Castiglione del Lago e redatto in collaborazione con i responsabili della Residenza Protetta e Centro Diurno “Olindo Brancaleoni” di Panicale, un incantevole borgo medievale su uno dei colli affacciati sul lago Trasimeno, è nata l’esperienza di animazione per gli anziani dei volontari di Arte e Sostegno. Il processo di abbandono progressivo della nostra metà creativa, colto ai suoi inizi nei bambini della seconda infanzia, verificato nel diffuso malessere degli adulti che approdano al laboratorio, evidenzia il suo punto di arrivo negli anziani istituzionalizzati , malgrado l’ottimizzazione dei servizi costantemente perseguita in questa struttura. La marginalità sociale dell’anziano, decretata dalla visione produttivistica della nostra società, che pur si compiace di iniziative frammentarie di recupero della memoria di usi e costumi di un mondo disperso, resta comunque un dato di fatto. L’anziano, economicamente improduttivo, troppo legato ad un passato di valori e di esperienze “scientificamente superate”, considerato un peso ingombrante, viene rimosso. La visione che il mondo ha di lui lo porta a restarsene in silenzio, in attesa del suo ultimo autobus. Nella prospettiva dell’animazione che caratterizza questa struttura e che comprende anche la creazione di opportunità di incontro con l’ambiente esterno, l’attività ceramica si è inserita con due finalità: una di riapertura espressivo-comunicativa ed un’altra di valorizzazione del prodotto come testimonianza di una presenza. Per mobilitare le energie residue di questi anziani è infatti importante partire dall’opera, far cioè vedere l’utilità dell’impegno finalizzato alla realizzazione di oggetti da regalare a figli, nipoti o amici e da esporre in una mostra cittadina.

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Uno scopo esterno al puro piacere della produzione è necessario per attivare meccanismi assuefatti alla rinuncia e alla sopravvivenza statica. Così, tra resistenze, ritrosie un po’ civettuole delle donne, rifiuti virili, schermaglie e ironia, si lavora: si muovono le mani, come si può e si scioglie la lingua, ci si conosce e ci si affeziona. La mostra finale, organizzata in modo ammirevole dai responsabili e dal personale tutto della struttura, è stata presentata ufficialmente in una festa di tutta la cittadinanza intervenuta. Il bisogno fondamentale di questi anziani del rapporto col mondo esterno, normalmente favorito dalla struttura, ha avuto, in questa occasione, il valore aggiunto del loro protagonismo artistico, unanimemente riconosciuto e significativamente gratificante.

Volontarie ed anziane a Panicale

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L’intreccio del “colombino”

L’attenzione e l’allegria

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Conclusioni



Conclusioni

Al Cesvol di Castiglione del Lago mi è giunto da Sara un aiuto inatteso per concludere. Le dicevo che questo lavoro soffre di uno squilibrio, ricorrente nella rielaborazione personale, tra l’area teorica e quella pratica. Lei mi ha risposto che si tratta invece di una ricerca di equilibrio. Aveva capito, in una rapida scorsa del testo per motivi tecnici, la motivazione più profonda del mio impegno. Come ho più volte cercato di evidenziare, il problema di fondo della difficoltà del cambiamento culturale auspicato, consiste proprio nella separazione e nell’incapacità di comunicazione tra abilità, competenze e conoscenze. Procedendo separatamente tra loro e addirittura all’ interno di ciascuna, diminuiscono l’efficacia dei loro contributi e talvolta la neutralizzano nella difesa del proprio particolare. Le conclusioni, quindi, ciascun interessato potrà trarle a proprio modo. Da parte mia ho fatto il possibile per comunicare il mio “percorso di ricerca”, indicandone tappe e difficoltà, esponendomi, in prima persona, a quel rischio di intellettualismo che ho denunciato ma del quale sono io stessa vittima. Il mio amore per l’arte e la sua costante pratica lo ha compensato ma non risolto. A mia discolpa posso dire che ci ho sempre provato e continuo a provarci, come testimonia questo lavoro fatto per “far pace nel mio cervello” ma anche per dare un’indicazione a chi vorrà accoglierla.

Maria Pia Sannella

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Bibliografia



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