In Umbria...perchè?

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Quaderni del volontariato

Il Cesvol svolge le sue attivitĂ con risorse del Fondo Speciale per il Volontariato amministrato dal Comitato di gestione dell'Umbria e alimentato dalle seguenti Fondazioni bancarie: Fondazione Cassa Risparmio Perugia Fondazione Monte Paschi Siena Fondazione Cassa Risparmio Terni e Narni Fondazione Cassa Risparmio Spoleto Fondazione Cassa Risparmio Foligno

BASTIA UMBRA

a cura della Pro Loco Bastia Umbra

a cura della Pro Loco Bastia Umbra

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Pro Loco

Fondazione Cassa Risparmio Province Lombarde

Premio Giornalistico - Pia Bruzzichelli

Fondazione Cassa Risparmio Orvieto Fondazione Cassa Risparmio CittĂ di Castello

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Premio Giornalistico

Pia Bruzzichelli Insula Romana 2006

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Quaderni del volontariato

Il Cesvol svolge le sue attivitĂ con risorse del Fondo Speciale per il Volontariato amministrato dal Comitato di gestione dell'Umbria e alimentato dalle seguenti Fondazioni bancarie: Fondazione Cassa Risparmio Perugia Fondazione Monte Paschi Siena Fondazione Cassa Risparmio Terni e Narni Fondazione Cassa Risparmio Spoleto Fondazione Cassa Risparmio Foligno

BASTIA UMBRA

a cura della Pro Loco Bastia Umbra

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Pro Loco

Fondazione Cassa Risparmio Province Lombarde

Premio Giornalistico - Pia Bruzzichelli

Fondazione Cassa Risparmio Orvieto Fondazione Cassa Risparmio CittĂ di Castello

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Premio Giornalistico

Pia Bruzzichelli Insula Romana 2006

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Quaderni del volontariato

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Proloco Bastia Umbra

In Umbria...perché? Riflessioni al femminile su tematiche della vita ambientale culturale e sociale della Regione Umbria: “spiritualità e territorio”

Futura


Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Sandro Penna 104/106 Sant’Andrea delle Fratte 06132 Perugia tel.075/5271976 fax.075/5287998 www.pgcesvol.net cesvol@mclink.it pubblicazioni@pgcesvol.net

Pubblicazione a cura di

Con il patrocinio della Regione Umbria

Progetto grafico e videoimpaginazione Chiara Gagliano

© 2008 CESVOL 2008 FUTURA soc.coop. ISBN

88-95132-34-3


I quaderni del volontariato, un viaggio attraverso un libro nel mondo del sociale

Il CESVOL, centro servizi volontariato per la Provincia di Perugia, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, ha definito un piano specifico nell’area della pubblicistica del volontariato. L’obiettivo è quello di fornire proposte ed idee coerenti rispetto ai temi di interesse e di competenza del settore, di valorizzare il patrimonio di esperienze e di contenuti già esistenti nell’ambito del volontariato organizzato ed inoltre di favorire e promuovere la circolazione e diffusione di argomenti e questioni che possono ritenersi coerenti rispetto a quelli presenti al centro della riflessione regionale o nazionale sulle tematiche sociali. La collana I quaderni del volontariato presenta una serie di produzioni pubblicistiche selezionate attraverso un invito periodico rivolto alle associazioni, al fine di realizzare con il tempo una vera e propria collana editoriale dedicata alle tematiche sociali, ma anche ai contenuti ed alle azioni portate avanti dall’associazionismo provinciale. I Quaderni del volontariato, inoltre, rappresentano un utile supporto per chiunque volesse approfondire i temi inerenti il sociale per motivi di studio ed approfondimento.



Indice 9

Presentazione Daniela Brunelli

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Presentazione Giuseppe Belli

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Poesia Maurizio Terzetti

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Introduzione Luigi Bovo

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Ricordo Mariano Borgognoni

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Articoli partecipanti I edizione Premio Letterario “Pia Bruzzichelli” Articolo Anna Santarelli Articolo Anna Segatori Articolo Sara Stangoni Articolo Marina Rosati Articolo Sara Biarella Articolo Carmela Neri

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Articoli vincitori I Edizione Premio Letterario “Pia Bruzzichelli” Articolo prima classificata Ida Gentile Articolo seconda classificata Giulia Yvanov Articolo terza classificata Anna Lisa Rossi

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Mostra Concorso di Pittura “Roberto Quacquarini – Vivere l’Umbria” in collaborazione con il gruppo amici dell’Arte Bastia Umbra abbinata al Premio Letterario Nazionale “Insula Romana”progetto integrato per la valorizzazione del territorio

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Ringraziamenti Biografia Pia Bruzzichelli



Presentazione Daniela Brunelli

In questa pubblicazione sono raccolti gli articoli vincitori e finalisti della I edizione del Premio Giornalistico“Pia Bruzzichelli” Insula Romana 2006 organizzato dalla Pro Loco e dal Comune di Bastia Umbra, dal titolo “In Umbria...perché”, riflessioni al femminile su tematiche di vita ambientale, culturale e sociale della Regione Umbria, affrontando in questa edizione l’aspetto “spiritualità e territorio”. Hanno partecipato al concorso giornaliste, pubbliciste e professioniste che con i loro articoli ci hanno portato a parlare dell’Umbria che si racconta nelle parole delle donne, che hanno saputo narrare sinteticamente e con incisività gli aspetti di spiritualità e di territorialità nelle bellezze naturali, nelle ricchezze culturali, nelle problematiche legate al lavoro, attraverso l’ umanità dei suoi abitanti, nei valori che accompagnano le relazioni, nei piccoli e preziosi centri carichi di storia, di arte, di folclore e di tradizione. Pia Bruzzichelli, giornalista acuta e collaboratrice della Pro Loco di Bastia Umbra, recentemente scomparsa, è l’ispiratrice della sezione di Giornalismo. Vorremmo rendere omaggio a Pia per il suo talento indiscusso, per essere stata una donna impegnata a difendere e salvaguardare l’individualità di genere, per il coraggio intellettuale mostrato nel trovare sempre nuove soluzioni progettuali e operative, per la spinta motivazionale con la quale ha spronato chi le è stato vicino, per esserci stata amica, sempre.

Daniela Brunelli Presidente Pro loco Bastia Umbra 9



Presentazione Giuseppe Belli

Sono molteplici le ragioni che hanno indotto l'Amministrazione Comunale a collaborare con la Pro Loco di Bastia Umbra nell'organizzazione del Premio giornalistico dedicato a Pia Bruzzichelli, giunto quest’anno alla sua seconda edizione. Abbiamo voluto, infatti, con questa nostra presenza, ricordare la sua instancabile attività di animatrice di iniziative culturali e sociali, sottolineare il senso profondo del suo impegno civile; diffondere tra i giovani e le giovani che si avvicinano al giornalismo il suo insegnamento per un'informazione improntata all'etica e dalla responsabilità . Per tutti questi ideali Pia ha vissuto ed ha lavorato. Ricordarla in questa occasione è sentirla più vicina, è ascoltare ancora la sua voce.

Giuseppe Belli Assessore alla cultura

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Poesia Maurizio Terzetti

Per Pia

Nella foto da giovane sembro inseguire un corteo di soldati virtuosi: mi sono molto davanti, compatti e lontani. I primi fra loro, già presa l’altura, brillano dentro armature potenti, le spade tagliano in strati sottili onde di sole discese dal cielo e mura risorgono intorno al castello.

Ho avuto coraggio, ho raggiunto i primi accampamenti. M’hanno accolta per fede e portata nel borgo: mangiavamo radici col popolo antico, il pane loro con i nostri alimenti, noi senza terra ed essi dicevano ai padri, sull’uscio: «Non manca nulla a noi, se li accogliamo; la pietra nuova non merita più dell’antica».

Nel castello è stato diverso. Il forte mi stringeva, mi nutriva di giornalismo e intelletto. Sentivo che mi guardavano, che dal borgo stupito capivano meno chi fossimo, io e i fratelli. Venivano però nella christiana signoria più sapienti che alla tomba di Francesco: ho cominciato allora a dubitare della virtù che s’incendia e acceca umiltà.

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Poesia Maurizio Terzetti

«Via dal castello! Via dal castello!» Il suo Signore era morto; più morta, da tempo, la fede in noi senza terra. Dovevamo restare contro ogni pulsione vera, monastero di cera offerto al pastore del luogo. Egli, infine, indicava la porta, contro ogni amore vero. E fu di sera che non aspettammo per la seconda volta il suo dito levato.

Avevo ritrovato la campagna, amavo la città dalle colline. La fede s’era sciolta nella vita, più dura in apparenza ma più amica quotidiana. Negli ultimi fratelli ho visto ancora i primi virtuosi, gli antichi cavalieri che nel sogno dovevano portarmi a casa mia.

Maurizio Terzetti


Intervento Luigi Bovo

INTERVENTO DI LUIGI BOVO COMPONENTE DELLA GIURIA TECNICA

Come componente della Giuria per la prima edizione del Premio al Giornalismo “Pia Bruzzichelli”, desidero porgere il mio saluto e il mio ringraziamento alle Autorità presenti, alle Giornaliste partecipanti, ai membri della Giuria, a tutto il pubblico. In particolare mi rivolgo a Maurizio Terzetti, Presidente della Giuria e ideatore del premio e a Daniela Brunelli, Presidente della Pro Loco di Bastia, che assieme ai suoi collaboratori ha profuso generosamente le sue multiformi capacità realizzative per materializzare il complesso evento a cui stasera partecipiamo. Da questo momento, però, permettetemi di parlare solamente di Pia Bruzzichelli, di cui ho avuto la fortuna di essere compagno, collaboratore, marito, per quarantacinque anni, anche se adesso pago il conto della sua dolorosa perdita. Per stare in tema, accennerò alla storia giornalistica di Pia, iscritta all’albo fin dal 1960. Pia iniziò questa professione, che non fu l’unica, perché era una persona capace di fare contemporaneamente molte cose importanti, scrivendo d’arte sacra sul periodico “Rocca” della Pro Civitate Christiana di Assisi dal 1950 fino al 1980. Dall’arte andò progressivamente allargandosi alla teologia, alla critica letteraria, ai problemi etico-sociali d’attualità, quindi alla donna negli anni dell’onda femminista. Questa particolare ricerca ebbe modo di svilupparla dall’84 al ’89 come presidente della cooperativa “Libera stampa” di Roma, editrice di “Noidonne” e di “Legendaria”. Dal ’91 al ’95 allargò i suoi interessi a nuovi problemi del mondo colti nella specificità della nostra Regione, assumendo la fondazione e la responsabilità di “Umbria”, mensile di società, cultura e ambiente, in un tempo in cui l’Umbria non aveva una pubblicazione esclusivamente dedicata a se stessa. 15


Intervento Luigi Bovo

Lasciato il casale di S. Fortunato di Assisi e trasferitasi a Bastia all’inizio del 2000, Pia collaborò con il “Giornale di Bastia”, periodico della Pro Loco di questa città e con “UVISP informa”, trimestrale di questa organizzazione di volontariato per lo sviluppo e la pace, continuando a dare la sua intelligenza e la sua creatività anche alle attività della Libera Università, fino alla vigilia della sua morte avvenuta l’11 febbraio dell’anno scorso. In “Mai stata ferma”, pubblicata in questi mesi dalle “Edizioni Corsare” di Perugia, di cui è responsabile una cara amica di Pia, Giuliana Fanti, ho raccolto, insieme a una documentazione delle molteplici iniziative e pubblicazioni di Pia, una antologia di suoi testi, impreziosita da commenti di suoi amici. Ne viene fuori uno spaccato interessante e pregnante degli ultimi sessanta anni di vita sociale, culturale e religiosa in Italia. Da questa antologia di testi riprendo uno scritto di Pia che si presta a chiosare il sottotitolo del nostro premio: “In Umbria... perché”, riportando le riflessioni che Pia fece nel maggio 1995 proprio su questo tema. Erano i mesi in cui Pia aveva partecipato alle elezioni regionali senza esserne eletta, esperienza amara perché, come lei stessa annotò: “si corre sempre per vincere anche se è saggio saper perdere”. Il contrattempo le diede l’occasione di pubblicare nel n. 45 di “Umbria” il suo pensiero sulle tematiche culturali, ambientali e sociali della nostra regione. Scrive Pia: “vi faccio conoscere quattro punti. Anzitutto gli aspetti e gli assetti generazionali”. Una società nella quale diverse generazioni non riescono a comunicare è una società povera, priva di memoria e di fiducia nel futuro, annichilita nel presente; credo che sia possibile e necessario creare occasioni di partecipazione e interesse reciproco tra le generazioni”. Pia poi parla di sviluppo dell’occupazione, tecnologia e ricerca scientifica. “La lotta per l’occupazione non trova un ostacolo nello sviluppo della tecnologia. 16


Intervento Luigi Bovo

Al contrario è importante che ai giovani vengano date nella scuola ampie possibilità di formazione”. Il terzo punto riguarda la diffusione della cultura della solidarietà e non solo della proclamazione della solidarietà e della pace. “Sviluppare il rapporto tra culture diverse diffondendo valori di solidarietà, della fiducia e della non violenza. La solidarietà deve diventare, a mio avviso, un modo di affrontare tutti gli aspetti della vita sociale, in maniera professionale. Bisogna vivere la tradizione e la storia come matrici di cultura solidale”. Infine Pia domanda di “dare un’anima al turismo”. Senza incertezze afferma che: “è forse l’impresa più difficile, ma anche la più necessaria per una regione come quella umbra che dal turismo attende beni di sussistenza e dunque la deve affrontare con energia e lungimiranza per dare il meglio di sé senza venire travolta dalle sue stesse ricchezze artistiche ed ambientali” (cfr. Mai stata ferma, p. 165). Ripeto, in questi quattro succinti punti Pia ha saputo rispondere, a suo modo, a quello che anche questa sera ci chiediamo: in Umbria, perché? Il bando del premio, che stasera viene qui assegnato, parla anche di “riflessioni al femminile”. Parlare di Pia come pensatrice, oratrice, scrittrice “ al femminile” richiede un intero saggio. Mi limito a una, per me riuscita, definizione in cui Pia “autobiografa” il significato esistenziale della sua vita e significa il suo modo di vivere: “La donna è stata capace di abbracciare l’utopia e di riempirla di conquiste concrete per sé e per l’intera società, segnando non tanto il rifiuto della morale, quanto il valore universale dell’etica. La donna ha anche riaperto (spesso nonostante lei) uno spiraglio su alcuni aspetti del sacro, spezzando la solitudine dell’uomo segregato nel primo gradino del mondo intero o dietro le sbarre delle prigioni del mondo... . 17


Intervento Luigi Bovo

Io penso che la donna e il corpo che è lei, e i corpi che in lei sono come segno perenne, sia al centro del cambiamento, o meglio, sia uno dei centri di un cambiamento complesso e multiculturale. Che fare: vivere il proprio corpo non come mio, ma come me e così ritenere i corpi degli altri” (cfr. Mai stata ferma, pp. 148149). Con questi pensieri di Pia Bruzzichelli faccio l’augurio commosso che il premio concorra, adesso e in futuro, a tenere aperti gli orizzonti di cui lei ci ha parlato.

Premio Giornalistico “Pia Bruzzichelli” “In Umbria...perché?” Mercoledì 8 marzo 2006 Sala consiliare Comune di Bastia Umbra

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Mariano Borgognoni

RICORDO DI PIA BRUZZICHELLI Devo dire anzitutto che queste sono cose difficili. Farò il possibile per ripercorrere alcune tappe di quelli che sono stati i miei rapporti con Pia Bruzzichelli, discussioni, dialoghi. Vorrei cominciare con il dire che sono contento per Pia della partecipazione di questa sera, vi sono veramente tanti suoi amici, un mondo che viene da tante parti. E sono contento anche per Bastia perché questa, vedo con piacere, è una città che sempre più sa ricordare e quando c’è gratitudine credo ci possa essere anche speranza e senso del futuro. Io ho conosciuto Pia senza che lei conoscesse me, e anche Gigi, negli ormai lontani anni settanta, ai corsi di studi cristiani della Cittadella, di cui allora Pia era il responsabile. Partecipavo un pò così da irregolare, con molta curiosità, molto interesse, senza un’appartenenza certa, come una persona in cammino cui piacevano un pò come a Pia, e credo agli amici della Cittadella, le terre di confine, quelle in cui ci si poteva incontrare e dialogare. La qualità di questi convegni, il clima che si respirava, le persone che vi partecipavano, erano sempre esperienze assolutamente liberanti. Che ne sò? Si conosceva e si approfondiva il marxismo, per esempio, con Roger Garaudy e Lucio Lombardo Radice, e non era la stessa cosa che conoscerlo attraverso altri, perché c’era la dimensione aperta, creativa, pronta a rimettere in questione le rigidità ideologiche, pronta a confrontarsi con altre culture. E nello stesso tempo si conosceva il cristianesimo attraverso Italo Mancini o padre Ernesto Balducci, uomini che sfidavano la fissità delle identità precostituite e che cercavano di aprire un varco, come faceva Pia, alle novità, a un mondo nuovo che fermentava in quegli anni. Parliamo di trenta anni fa, però io credo che allora si è costruito un orizzonte attraverso il dialogo culturale, un orizzonte che oggi può diventare perfino concretezza politica. 19


Mariano Borgognoni

Oggi ci siamo tutti liberati da fissità e zavorre ideologiche, ma il lavoro di scavo, chi lo vide in anticipo, lo visse allora. Oggi però molti di noi pensano che essersi liberati dalle zavorre ideologiche non significa liberarsi dalla grande ansia ed esigenza di giustizia, cioè venendo insieme da tanti percorsi si può convergere liberi appunto da ideologie totalizzanti ed oppressive, si può convergere verso un traguardo di giustizia e quella rimane una sfida che ci interpella. Io credo che il lavoro di Pia, della Cittadella, di tanti altri allora ha costruito le condizioni per questo tipo di cammino. Poi tra la metà e la fine degli anni ottanta cominciai a conoscer Pia più da vicino, frequentarla, a discuterci di tante cose. C’era una discreta distanza di animi tra me e lei, però devo dire, come testimonianza personale, che l’ho sentita sostanzialmente come una coetanea, ho sentito che i miei problemi e la mia ricerca e i miei interrogativi erano i suoi problemi, la sua ricerca, i suoi interrogativi, la sua curiosità, la capacità di farsi interrogare dal tempo nel quale viveva. C’era una distanza di anni, però lei era molto forte, vitale, solare. L’altra cosa che mi sorprendeva era che lei era sempre a suo agio, poteva stare a discutere con Ivan Illich, oppure con il falegname, Pia era pressa poco la stessa, questo dice molto dell’equilibrio e della maturità umana che aveva. Non ho sentito mai in lei un atteggiamento di tipo magisteriale, insomma non faceva la saggia un pò anziana, questo ruolo non le si attagliava e non ha mai cercato di recitarlo, era sempre pronta a fare una ricerca comune, e mai una ricerca puramente intellettuale. Quello che è stato detto fin qui, io lo condivido completamente, Pia si poneva sempre, alla fine, il problema di cosa fare concretamente, come trasformare i sogni e le utopie in qualcosa da realizzare domani. Mi sembra che questo fosse lo spirito di Pia: fare una riunione, 20


Mariano Borgognoni

inventarsi una rivista, organizzare una festa a S. Fortunato, quella festa che era scomparsa da molto tempo, buttarsi su un premio letterario, su qualsiasi cosa seria, però c’era sempre questa ansia e questa esigenza di “sporcarsi le mani”. Agli inizi degli anni novanta, sempre per seguire questo filo dei ricordi, Pia mi chiese di scrivere, e anch’io con lei. Decidemmo così che anch’io avrei scritto nella nuova rivista “Umbria” che con assoluta temerarietà Pia aveva iniziato. Gran bella idea, perché purtroppo in Umbria non c’era mai stata, e forse neanche adesso, una rivista, un giornale che non sia né di gossip politico, né di cose che si consumano tutti i giorni, ma sia qualcosa che invece rifletta sulla nostra regione, pacatamente, articolatamente, mettendo a frutto mille competenze e sensibilità, questo è stato il tentativo bello di “Umbria” ed io pubblicai una serie di racconti, non qualcosa propriamente da politico, e alla fine, come frutto di questa collaborazione, uscì un libro, “La terra dei semi”. Mi si offre ora l’occasione per dire che lo presentammo alla festa dell’Unità a Palazzo di Assisi. Io avevo chiesti giudizi a tanti e ci fu chi mi disse: bravo, hai raccontato la storia di qualche vicenda religiosa in Umbria, ed altri: hai fatto del folclore locale, anche questo è interessante. Pia, quella sera, iniziò a presentarlo dicendo: io trovo un Cristo enorme in questo libro e poi poco altro. Fece scoprire a me stesso, per certi versi, una cosa di me che non avevo notato. Questo per dire che aveva una capacità, un fiuto, con il cuore e la ragione, di cogliere sempre l’essenziale, senza disperdersi in accademie o altre cose di questo tipo. Fu l’unica, per un certo periodo, a capire veramente il senso, poi magari non riuscito, di quello che avevo scritto. Una considerazione sul: “Mai stata ferma”. Trovo bellissimo il titolo di questo libro, titolo assolutamente felice. Eppure, vorrei giocare un pò sul filo del paradosso, io avrei trovato anche bello il contrario: “Mai mossa”; o tutti e due insieme: “Mai stata ferma, mai mossa”. E mi viene in mente un altro toscano, padre 21


Mariano Borgognoni

Ernesto Balducci, quando diceva: io sono nato a Santa Fiora, paese dell’Amiata, mi alzavo presto, mio padre faceva il minatore, di fronte a casa mia c’era un convento e vedevo alla mattina che una dopo l’altra si accendevano le luci di questo convento, era il tempo della gratuità, cantavano lo sposo. E Balducci commenta: io, in realtà, da quella finestra di casa non mi sono mai mosso. Io penso che, in fin dei conti, si possa dire la stessa cosa di Pia, o almeno a me così sembra. Pia ha ancorato il suo muoversi a un orientamento di fondo a cui, pur nelle diverse stagioni della sua vita che sono state tante, è rimasta profondamente fedele. Io penso di poterlo dire e sulla base dei colloqui e sulla base di quello che c’è scritto qui, in questo libro straordinariamente curato da Gigi. E cosa è questo ancoraggio e questo fondamento? Io credo che la radice sta nella sua scelta del 1947, quando lei scrive di sé: lasciai la città, l’insegnamento e venni in Assisi per fare cristiana l’anima del tempo moderno. Oggi non si direbbe più così, è una terminologia di quegli anni, però il fondo di quella scelta è rimasto per tutta la vita di Pia. Se non fosse troppo carico di ambiguità, mi sentirei di usare per lei un termine che è quello che Pia è stata pervasa da un certo ottimismo cristiano, che per certi versi, nell’esperienza della Cittadella, anticipa anche il Concilio Vaticano II. Dico ottimismo cristiano nel senso nobile, altrimenti sembra davvero una banalità, come annota Pia stessa : “Quando mai la speranza è una cosa semplice?” Non ci può essere un ottimismo a buon mercato, ma ottimismo cristiano nel senso del concilio, cioè basta essere profeti di sventura, come disse papa Giovanni iniziando il concilio, confrontiamoci con tutte le asperità che possono esserci con la modernità, non siamo i custodi del passato, incarniamoci, stiamo dentro questo mondo. In questo senso io credo di poter usare per Pia la parola ottimismo cristiano, che si sposa con una sorta di umanesimo di eco 22


Mariano Borgognoni

rinascimentale o toscano. Io credo che il punto d’incontro tra questo ottimismo cristiano e questo umanesimo è tutto quello che viene fuori dalla esperienza di Pia espressa nella prima parte di questo libro, l’idea della bellezza, la ricchezza di questo termine, la bellezza che salva il mondo, secondo la celebre frase di Dostoevskij, la bellezza che nasce da un’arte creativa, non un’arte su commissione. Da qui tutta la battaglia di Pia perché gli artisti trovino un nuovo rapporto con la chiesa, con la liturgia e non sia la chiesa a dire loro cosa devono fare, possono farla gli artisti una nuova teologia, per un certo verso, possono narrare la fede dentro un’umanità di fede, naturalmente. C’è una frase su Chagall che vorrei citare, molto rivelativa, a pagina 38, quando Pia dice: “Quando ventenne verrà la prima volta a Parigi in mezzo all’avanguardia artistica di cui uno dei canoni era il rifiuto della pittura a soggetto e il disprezzo per il racconto, il giovane Chagall, povero ed affamato, continuerà a raccontare l’antico e il nuovo testamento, che è come dire se stesso, con tutta la sua infanzia, il suo ghetto, la preghiera, gli inni ebraici, la storia del suo popolo e in più questo Cristo che lo incanta e lo tormenta, lo segue dovunque, gli dà il senso delle cose, soprattutto gli dà la misura dell’uomo”. Ecco, una fede che vive nel racconto più che nella dottrina e soprattutto un Cristo che non è solo Gesù Dio-salva, ma è anche la misura della pienezza umana. Un uomo secondo il sogno di Dio potremmo dire, comunque misura della pienezza umana, non una cosa che è contrapposta all’umanità, come Pia dice di avere visto in Chagall. Quindi penso che si possa dire che in nessun modo di pensare e di essere c’è contrapposizione o frattura tra fede e vita, tra fede e storia. In fondo, rendere cristiano il mondo moderno, secondo la frase di don Giovanni Rossi, è come dire portare a pienezza l’umanità, renderlo umano. Per questo io credo che Pia sia stata una donna di fede forte, ma di fede non ostentata ma vissuta, che riusciva a stabilire un rapporto 23


Mariano Borgognoni

con gli altri in cui non c’era bisogno di sottolineare la propria appartenenza. E mi è piaciuto in questo libro, tra l’altro, il recupero di Maria: “riprendere Maria tra di noi”, come scrive a pagina 49. “Nessun ragionamento teologico nè elevazione spirituale può staccare Maria dal nostro essere creature dinnanzi al Creatore. Riprendere Maria fra noi, introdurla di nuovo nelle relazioni di comunità di fedeli, diventare umili imitatori delle sue virtù piuttosto che cantori delle sue bellezze, è forse diminuirla? Non credo. Credo che ci sarà qualche fulgido aggettivo in meno per lei e un fermento di fede e di forza nella comunità cristiana”. Anche qui si manifesta quella che potremmo chiamare fedeltà alla terra, al mondo, alla vita. Direi, in conclusione, che si può dire di Pia che è stata una cristiana “conciliare” con il carisma del dissenso – il dissenso è qualche volta un servizio – anche nei confronti della chiesa, anche delle sue gerarchie. Ma un dissenso sempre solare e affettuoso, come emerge in molti degli scritti qui pubblicati, nella consapevolezza che c’è questa forte esigenza di apertura e di confronto con il mondo. Verrebbe in mente la frase di Dietrich Bonhoeffer in cui avverte che si può cantare il gregoriano solo dopo aver combattuto le battaglie di giustizia. Se lo si canta senza aver combattuto battaglie di giustizia potrebbe essere un po’alienante, le due cose devono andare sempre insieme. Secondo me, azzardo, questa è stata la radice della generosità di Pia nel parlare, nello scrivere, nell’essere una donna impegnata in compiti di governo e di amministrazione, in impegni di carattere politico e concreto. Arrivata a Bastia si è buttata subito sulle cose vive della città, Unilibera, UVISP, Pro Loco, cioè in quelle situazioni che facevano della città una comunità vera, con spirito di generosità, di contraccambio, di attenzione a tutte le difficoltà. E la cosa straordinaria – io l’ho potuto constatare di persona – è che lei ci metteva lo stesso impegno per qualsiasi iniziativa, in qualunque posto fosse, e sempre con la stessa generosità. 24


Mariano Borgognoni

Qualche volta, in politica, con qualche ingenuità, e meno male, anche se non sempre la politica è riconoscente con le persone generose. Però io credo che alla fine questa generosità non vada mai dispersa e oggi Bastia e gli amici di Pia, ricordandola in questo modo, dimostrano che questo impegno, questa generosità sono le corde che veramente restano. E per questo credo che dovremo continuare a ricordare e a mettere a frutto gli insegnamenti che Pia ci ha lasciato.

Mariano Borgognoni

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ARTICOLI PARTECIPANTI I EDIZIONE PREMIO LETTERARIO INSULA ROMANA “PIA BRUZZICHELLI”

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Articolo Anna Santarelli

Un viaggio in Umbria è un’esperienza dell’anima. Abbraccia e sintetizza in modo mirabile paesaggio, arte, religiosità e tradizione. L’Umbria, terra ricca di acque, disegnata da verdi colline, da borghi medievali con la caratteristica trama di viuzze e costruzioni antiche, mette l’uomo a tu per tu con se stesso. Solitudine, silenzio, pace, restituiscono alla persona la sua dimensione più autentica, invitano alla meditazione. A contatto con una natura che continuamente si rigenera e, al tempo stesso, rigenera le sue creature. Il paesaggio umbro restituisce intatto il filo della storia. Una forte memoria, come quella che affiora da questi luoghi, dà il senso pieno del nostro passato, illumina il presente, aiuta a costruire il futuro, senza perdere di vista i valori spirituali che questa terra antica custodisce. Una ricerca della spiritualità umbra non può prescindere dall’arte, a cominciare dall’architettura, che incarna la struttura stessa della città. Si ammira la maestosità e si coglie in pieno la poesia del romanico nel duomo di Spoleto. Si sperimenta l’elevazione dello spirito e si coniuga la bellezza dell’arte con la ricerca dell’assoluto nel duomo di Orvieto. Riecheggia il messaggio di San Francesco nella basilica di Assisi a lui dedicata. Qui gli affreschi di Giotto si fanno parola, predicazione rivolta al mondo. Assisi è il luogo dell’anima per eccellenza: situata su un colle, raccolta, silenziosa, eppure universale. Un luogo attraversato da pellegrini giovani e meno giovani, che si sintonizzano sul linguaggio di San Francesco e diventano un’unica comunità. Al di là delle barriere linguistiche, religiose, territoriali. La pace, la fratellanza, l’amore per tutte le creature, sono il messaggio che Assisi rivolge agli uomini. Di qui a Gubbio. Città di pietre, ben custodisce lo spirito e l’insegnamento di San Francesco, che vi ammansì un lupo feroce, in segno di amore verso tutto il creato. Una terra fortemente spirituale l’Umbria, che ha saputo parlare al mondo anche attraverso le figure di Santa Chiara e San Benedetto da Norcia. I valori della preghiera e della meditazione, unitamente alla sacralità dello studio e del lavoro, hanno lasciato il segno nel solco della storia. 29


Articolo Anna Santarelli

Un patrimonio al quale possono attingere gli uomini di tutti i tempi. A Perugia, un percorso che coinvolga il cuore e la mente porta inevitabilmente alla chiesa di San Pietro. Sia pure arricchita da uno sfarzoso apparato decorativo, con il suo impianto basilicale classico, poderoso e lineare, rimanda ai primi secoli del cristianesimo. In posizione quasi appartata, è il luogo ideale per accogliere dentro di sé il mistero e confrontarsi con la nudità della proprio anima. Tutto il tessuto urbano di Perugia è ordito all’insegna dell’armonia, come un mosaico fatto di mille tessere che legano arte, storia, vita quotidiana, esperienza religiosa, dando luogo a fermenti culturali e spirituali sempre nuovi. Una religiosità intensa trabocca dalla ricca collezione della Galleria nazionale dell’Umbria. catturano la sensibilità del visitatore la raffinata Madonna col bambino di Gentile da Fabriano, che ha saputo trasferire nella sua pittura la sacralità più intensa e commovente, il luminoso polittico di S. Antonio di Piero della Francesca, le splendide tele di Giovanni Boccati, venate di suggestioni terrene, Madonna dell’Orchestra e Madonna del Pergolato. Fino al cromatismo nitido, luminoso e spirituale che anima gli affreschi del Perugino, al Collegio del Cambio. Questo illustre figlio dell’Umbria incarna bene l’anima della regione, con la sua pittura ispirata alla grazia e attenta al fascino del paesaggio. Un viaggio in Umbria vuol dire riscoprire le nostre radici, rivalutare un grande patrimonio spirituale e renderlo ancora attuale, per raccogliere le molteplici sfide che aspettano noi, uomini e donne di questo tempo. Vuol dire risvegliare la nostra interiorità, praticare nuovi modelli di vita, vivere la femminilità richiamandosi all’essere più che all’avere, all’ascolto più che all’ostentazione, all’idealità più che all’effimero. Vuol dire coltivare le ragioni del cuore, l’impegno e la speranza.

Anna Santarelli 30


Articolo Anna Segatori

Spiritualità come ispirazione alla natura, come partecipazione della natura e di un territorio. È forse l’Umbria meno strillata ad evocare di più questo tipo di spiritualità. Regione mistica, dicono, terra di Santi. Affermazioni limitative per una terra certo ricca di spiritualità ma ispirata non soltanto dalle tante figure religiose vissute qui e dai santuari e monasteri a queste dedicati. È la stessa orografia della regione a suggerire molto di più. Paesaggi dove una natura, a volte prepotente, a volte gentile, accoglie con benevolenza chi vi si accosta con la predisposizione d’animo giusta, pronta al rispetto per le regole non scritte, per un silenzio che racconta delle genti che hanno vissuto qui. L’Umbria è arte, e non soltanto dell’uomo. L’Umbria è una delle massime espressioni artistiche di una natura che nel corso dei secoli ha dato vita a paesaggi unici nel loro genere e tanto diversi tra loro. Il termine spiritualità, in Umbria forse più che altrove, assume quindi una valenza che va oltre l’aspetto più prettamente religioso. Al di là dell’indiscutibile fascino che emanano scenari come la piana di Castelluccio di Norcia nel periodo della fioritura, o gli altipiani di Colfiorito, è difficile non partecipare del paesaggio semplicemente andando per le strade secondarie che collegano città e piccoli centri. Come quando, uscendo dalla Strada Flaminia, si sale su per il monte Serano attraverso antiche piante d’olivi, fino a scorgere il castello di Campello Alto. O come quando si percorrono le colline della zona di Bevagna e Montefalco con i vigneti di Sagrantino che volgono al rosso. Non è raro incontrare un turista fermo a fotografare apparentemente nulla, ma forse con l’intento di fermare una sensazione. L’Umbria, con i suoi 830mila abitanti, che ha mantenuto intatti i suoi borghi medievali e non ha subito un’urbanizzazione selvaggia, resta tuttora fonte d’ispirazione per artisti che decidono, sempre più numerosi, di trovare un rifugio qui, esuli volontari di grandi e caotiche città. L’Umbria, meta prescelta da molti turisti, offre numerose occasioni per evadere dalla frenesia del quotidiano. 31


Articolo Anna Segatori

Sia che si opti per delle passeggiate nella natura meno conosciuta; sia che ci si regali una visita a manifestazioni culturali di elevata qualità famose in tutto il mondo come Umbria Jazz o il Festival dei Due Mondi; sia, ancora, che si visitino borghi storici valorizzati grazie ad una conservazione architettonica ed artistica per nulla invadente. Città più note e piccoli centri meno conosciuti, infatti, armoniosamente integrati nella natura, contribuiscono anch’essi ad ispirare spiritualità. Come non restare ammutoliti quando, al termine della discesa del valico della Somma, dietro una curva si scopre, inattesa ed imponente, la Rocca albornoziana che sovrasta Spoleto? O quando si rivela improvvisamente il Duomo di Orvieto? O, ancora, quando si scopre lentamente la Basilica di San Francesco, ad Assisi? A mantenere intatta questa regione dalle tante sfaccettature, è anche il profondo rispetto che gli umbri hanno per la propria terra. Soprattutto nei piccoli borghi, basta passeggiare per trovare chi pulisce una strada, o accudisce piante cresciute fuori dal cancello della propria abitazione. Vox populi vuole gli umbri persone chiuse. Ma forse c’è un altro livello di lettura, che è, appunto, quello della cultura del rispetto e dell’amore per un territorio. L’accoglienza verso chi, il rispetto, lo porta con sé, viene spontaneamente. La spiritualità, in Umbria, non va dunque cercata soltanto in suggestivi monasteri o nella storia dei santi vissuti qui. Va più che altro ricercata in se stessi e nella propria disponibilità ad aprirsi per accogliere un territorio che è natura, tradizione, storia, arte e cultura.

Anna Segatori 32


Articolo Sara Stangoni

Lo ha fatto pensare Giovanni Paolo II con le sue visite e gli incontri ecumenici proprio qui. Lo ha richiesto ai deputati europei Franco Gualdrini, vescovo emerito di Terni, Narni e Amelia: «l’Umbria è chiamata, può e deve svolgere il servizio di essere e divenire l’oasi di spiritualità dell’Europa». Perché tanta intensità e sacralità? Decido di scoprirlo. Mi libero dei tacchi, spesso un frivolo conforto per sentirmi “all’altezza” della situazione. Spengo il cellulare e come una visitatrice solitaria mi aggiro tra il dolce declinare delle colline e le limpide acque di questa terra, felicemente novellata da poeti e letterati. Si aprono al mio sguardo ridenti valli costellate di borghi e castelli. Luoghi ideali per vivere appartati nella natura. Ma un filo rosso collega ogni angolo dell’Umbria, sul quale scorrono frammenti di vita di uomini e donne, da un passato non sempre glorificato. Sono loro, i Santi, i veri protagonisti della storia umbra. Resto incantata: arte e fede si fondono in un lieto connubio. Mi rapiscono pitture e affreschi dal gusto scenografico e dalla ricercata vivacità narrativa. Sono ovunque. Piccoli pezzi di un grande puzzle, e per terminarlo si devono trovare tutti. Ma brividi di ammirazione percorrono il mio corpo quando scopro l’austera semplicità con cui la gente mi apre le porte, quella semplicità voluta proprio da queste figure religiose. È la “terra di santi”. Li definiscono chiusi, “gli umbri”, un popolo di poche parole. Li ho osservati con cura, da fedele reporter, e ho capito. Gli umbri preferiscono ascoltare una voce che non emette suoni, che non dice nulla, ma trasmette tutta la spiritualità di questi luoghi. È la voce del silenzio. Turisti e pellegrini invadono ogni anno questa terra sedotti dalle bellezze naturali, catturati da atmosfere magnetiche. Ma la vera anima dell’Umbria è il silenzio. Basta mettersi seduti sui gradini di una scalinata. O nel chiostro di un monastero. O semplicemente abbandonarsi su un prato. Si proietta lo sguardo verso l’orizzonte, al di là delle strade e della gente. In totale silenzio. Il tempo si ferma, non è più reale. 33


Articolo Sara Stangoni

E l’anima si sente libera. Seduta in questa tranquillità, scopro il vero messaggio che l’Umbria ha voluto trasmettere nei secoli. C’è qualcosa di straordinariamente magico nel silenzio! Allontana di colpo l’insopportabile quotidianità. Tutte le abbazie, chiese e cappelle diventano strumenti di raccoglimento e sacrificio. Mi ricordo quando d’estate i miei genitori mi portavano a visitare l’abbazia di Sant’Eutizio, sui Monti Sibillini. La guardavo con soggezione, era enorme. Sembrava aggrapparsi per miracolo su quel pendio. Ma domina la valle da più di 1500 anni, con orgoglio e possanza, e il culto del suo santo non si è mai arrestato. Sono questi i circuiti spirituali per ritrovare la nostra identità. Già, l’identità. Ne parlano tanto oggi, fin troppo. Sembra stare dappertutto e in nessun luogo. E guarda caso, mai dove siamo. Ma forse ciò che abbiamo dimenticato, in chissà quale angolo, è solo la nostra anima. E vi giuro, in questo paradiso sembra essercene un po’ per tutti. Basta fermarsi solo un attimo, e ascoltare. Il silenzio dell’anima riecheggia tra le mura arroccate, si sente nelle vallate più nascoste, fino a risalire oltre l’immensità del cielo. Il segreto? Il fascino di un luogo sacro dove rivive ancora oggi l’originaria fraternitas divulgata da San Francesco di Assisi. “Iddio non è nel frastuono”, chi medita tace. Nella società moderna tutto è rumore. La gente grida anche quando parla. Abbiamo smarrito il gusto e il piacere di ascoltarci. La sfida dell’uomo di oggi è proprio quella di ritrovare i sentieri del silenzio. E qui si sente nel respiro dei boschi, mentre il vento si infila fra gli alberi. Nelle voci degli animali e nel profumo dei fiori. “Procurino di stare in silenzio” ammoniva San Francesco nelle regole per i frati. Sono proprio all’interno della sua basilica e posti per eccellenza della meditazione, incastonata nel monte Subasio come la gemma più preziosa di un gioiello regale. Le parole dei Santi sono scritte nei luoghi in cui furono dette, impresse nelle rocce, nelle case, negli edifici religiosi. 34


Articolo Sara Stangoni

Guardo la cartina dell’Umbria e noto di colpo un particolare. Incredibile. I paesi dei Santi formano un’immaginaria croce sacra: Santa Veronica Giuliani a Città di Castello, Jacopone a Todi, San Benedetto e Santa Scolastica a Norcia, San Valentino a Terni. Quattro vertici con al centro il cuore della religiosità umbra: San Francesco e Santa Chiara d’Assisi. Perché come disse Giovanni Paolo II alle clarisse in una sua visita ad Assisi: “È difficile distinguere questi due nomi: Francesco e Chiara; questi due fenomeni: Francesco e Chiara; queste due leggende”. E da oggi voglio pensarla così l’Umbria. La mia Umbria. Dove sono orgogliosa di essere nata, dove adoro vivere. Questo silenzioso cuore verde protetto da una croce, custode di memoria e speranze.

Sara Stangoni

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Articolo Marina Rosati

Da quando nel 1876 Giosué Carducci la promosse a rango di regione più verde d’Italia l’Umbria è il simbolo della possibile convivenza tra uomo e ambiente, dove la natura è madre e non schiava. Dove le nervature delle montagne si addolciscono verso la vallata creando un giardino di colori. Ci sono poi i suoi borghi, arroccati su sporgenze rocciose, come Assisi, Gubbio, Trevi e Spello, dove il passato è presente nelle stradine che s’inerpicano verso gli antichi bastioni, nelle piccole edicole e nelle grandi chiese e basiliche. Tutto è storia e spiritualità: non c’è angolo nelle città umbre che non parli da sé, eventi e manifestazioni come il Canta Maggio, la Passione o l’infiorata che rendono speciale il rapporto tra popolazione e territorio. Un territorio tagliato “fuori” dalle grandi arterie infrastrutturali e nonostante questo l’Umbria ha sfruttato al meglio il suo centrismo facendosi lambire dalle vie di comunicazione più importanti, senza rinnegare la sua natura e distruggere il suo patrimonio caratterizzato dalla cultura contadina, dove la pace della provincia italiana è regina e la maggior parte delle vecchie tradizioni legate alla prevalente cultura campestre resistono. Quando da bambina sentivo ripetere sempre queste cose non riuscivo a capire quale fosse la fortuna di vivere in un ambiente di provincia lontano e semi isolato dai grandi centri in cui le aspirazioni e i progetti di un adolescente alla ricerca della propria crescita personale apparivano più difficili da realizzare. E io che sognavo la città, la metropolitana, i grandi palazzi, un pò di rumore dopo anni di “incessante” silenzio, mi sentivo quasi presa in giro. Poi invece la metropoli l’ho conosciuta davvero, l’ho anche apprezzata, ma ben presto mi sono resa conto che il suo fascino è sublime, immediato e poco duraturo. Ho iniziato così ad odiare quei palazzi che oscuravano il cielo, quel rumore che, da bambina, mi sembrava segno di vita, è diventato insopportabile. E poi l’umanità: quella che in periferia è gentilezza, condivisione, amicizia, in città si trasforma in indifferen36


Articolo Marina Rosati

za totale, in vera e propria solitudine. Così da grande ho iniziato a sognare, quando da bambina insieme alle mie cugine aspettavamo la Pasqua: la mamma e le zie preparavano le torte e noi pensavamo ai disegni da fare sulle uova da portare a benedire il sabato santo. E in estate quando era tempo della battitura del grano c’era un gran movimento: gli uomini impegnati sull’aia con i macchinisti e le donne, le vere regine della casa, che davano una mano fuori ma preparavano il pranzo dentro, pronte a servire a trebbiatura finita. Nonne, mamme, sorelle e zie erano le colonne della famiglia, tanto più in un ambiente tipicamente patriarcale e contadino come quello umbro la figura femminile conquista la scena: dal lavoro dei campi alla cucina, dai figli all’impiego fuori casa. Istantanea del passato non troppo lontana tuttavia dal presente; in un contesto ancora a misura d’uomo come quello umbro la naturale evoluzione femminista concilia l’immagine della donna che lavora con la madre di famiglia. Così ho ricominciato a pensare ai miei borghi, al misticismo di Assisi e alla pace di Gubbio, alla suggestione artistica di Spoleto e all’imponenza di Orvieto. Ho pensato che nessun altra regione per le sue dimensioni, la sua posizione strategica, il suo ambiente, la spiritualità che i suoi santi ci hanno lasciato, l’arte e la cultura, la tranquillità ponderata e non eccessiva, la ricchezza dei suoi paesaggi vale tanto. Non che il resto d’Italia sia privo di tanta bellezza, ma l’Umbria riesce a sintetizzare modernità e tradizione, ambiente ancestrale e qualità, vocazione agricola e piccola rappresentanza industriale. In Umbria convivono apparenti contraddizioni come il laicismo universale di Capitini e la spiritualità cattolica di San Francesco che, superate le strumentalizzazioni politiche, si ritrovano nell’unico e inconfondibile significato della parola pace. Stanno insieme la piccola dimensione rurale e l’internazionalismo multietnico di Assisi, la cultura nostrana e le grandi forme artistiche di Umbria Jazz e Festival dei Due mondi. 37


Articolo Marina Rosati

Alla luce di tutto ciò credo che questa regione meriti di essere preservata nel suo Dna, esaltata nelle sue eccellenze e comunque dotata di quegli strumenti essenziali di godimento e fruibilità logistica che, adeguatamente conciliati con il territorio, vadano a comporre il quadro del “perché in Umbria”. Contemperare questo standard di vita “borghigiano” con la necessaria evoluzione socio-economica è la “puntata” vincente, sulla quale tutti, ciascuno per le proprie competenze e responsabilità, siamo chiamati a scommettere.

Marina Rosati

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Articolo Sara Biarella

Una gru, dal consueto color ocra, spicca nel gelido cielo di dicembre, nell’agglomerato edilizio di San Mariano. E la campana della chiesetta, confusa dai colpi dei martelli pneumatici, batte le sedici. È compiuta l’ultima ora di lavoro dell’anno 2005, il geometra è pronto a chiudere il cancello, pochi minuti per raccattare gli attrezzi, per due giorni si riposa. Ne mancava uno all’appello, lo chiamarono. Non rispose. Dal quarto piano era sceso al terzo, in una pozza di sangue. Nessuno aveva sentito colpo, né grido. Trentatrè anni, e due giorni di agonia. Dal Silvestrini al porto di Napoli in Mercedes, e l’ultimo viaggio in traghetto verso la sua isola. Poi al deposito del cimitero del paese, poiché un loculo non era disponibile al suo approdo. La pioggia battente di gennaio cancellava la rossa macchia, e arrugginiva il crocefisso, che lui aveva inchiodato ad una trave di legno. “Niente alcool e sigarette, neanche una bestemmia!”, racconta un collega conterraneo, “lui portava Santa Rosalia, qui aveva San Mariano, si sentiva custodito dai vostri Santi, in una botte di ferro… bensì è tornato a casa in una bara di legno”. Tra i tintinnii del ferro, la radio trasmette un motivo di Bennato: “situazioni che stancamente, si ripetono senza tempo... .” recita il ritornello. È un tentativo per tornare alla normalità. Il caposquadra la spegne, cogli occhi affaticati dal dolore sussurra: “al nostro paese c’è la fame, anche suo padre fa il pescatore, da voi il carpentiere non lo vuole fare nessuno! Noi abbiamo la partita iva e ci pagano bene”. Sono ingegneri, periti e geometri, sono salpati dalla Sicilia, dal Nord-Africa, taluni sono atterrati dall’Europa Orientale, convinti che l’Umbria sia il paradiso che procura pane e ali, per volare al di sopra del lastrico. Altri sono immigrati dopo il terremoto, poiché nelle gare d’appalto i loro preventivi erano i più bassi. Risiedono in Umbria da anni e colmando il deficit di manodopera nell’edilizia hanno eretto un’impresa, fabbricato una posizione, impastando fede e cemento. Perché il binomio “birra e bestemmia del muratore” è un pessimo luogo comune: lui pregava, man39


Articolo Sara Biarella

giava coi colleghi durante la pausa, aveva una moglie, sognava un erede, metteva da parte, per potenziare il destino che era stato assegnato. E la sera, dal cantiere, portava alla sposa un sorriso. Anche lui aveva chiuso gli occhi per sognare, in fondo al cuore: un figlio, una cravatta al collo, la macchina col mirino, l’azienda con gli operai. E neppure il suo crocefisso e San Mariano l’hanno salvato. Lui che, inchinandosi, si toglieva l’elmetto al sopralluogo di chi, avendo il nome stampato sul nubile cartello della recinzione, indossava la cravatta. L’Umbria registra l’assurdo primato di incidenti mortali sul lavoro, l’attuazione delle norme di sicurezza spesso scarseggia, i trattamenti previdenziali ed assistenziali talvolta sono rarità. Si lavora in nero nell’edilizia, soprattutto. Si muore pure se la legalità è osservata, se Dio chiama. E il cemento invade le splendide campagne, nasconde la storia, semina disgrazie. E qualche sedicente “santo” mercanteggia miracoli sui piani regolatori e sui commi delle leggi conquistate dai sindacati. Ma a San Mariano era davvero tutto in regola, si investiva in sicurezza, soprattutto. “Nel cantiere contiguo gli extracomunitari lavoravano finanche la notte. Avevano a loro carico un decreto di espulsione, hanno arrestato i padroni”, confida un muratore, “un cantiere pulito come il nostro non l’avevano mai visto, c’erano davvero tutte le protezioni, eppure ci è scappata la sventura”. È il primo di Febbraio, alla stessa ora del mese precedente, la campana della chiesa di Torgiano annuncia con pochi sordi rintocchi la Messa di suffragio. È una musica per pochi amici. Sono nomi che si scrivono e si cancellano come un’orma nel deserto, sono gente a cui nessun comune intitola una piazza. Sudando nel qualunquismo del mestiere, hanno sognato una posizione; legando al cielo le ruvide mani, hanno consumato un panino davanti al fuoco, spesso ricolmando le tasche dei padroni. Il salario equivale ad un metro quadrato, che per molti ha il valo40


Articolo Sara Biarella

re della sopravvivenza. Le chiamano “morti bianche” perché non lasciano traccia, perché succede quando un principe sta visitando Assisi o è in corso un congresso politico a Perugia, quando la stampa è impegnata altrove, o perché tutto ciò fa scarsa notizia. E sono rischi che le donne non corrono. Sono i nostri padri, fratelli, mariti e amici. Ignote iscrizioni sepolcrali, che non si notano. Angeli che nella terra hanno investito l’ambizione per elevare un solaio, per schermare un tetto, poveri diavoli che volano dai ponteggi, senza ali né aureola, quelli che hanno innalzato le regge dei soliti noti, coloro che dal paradiso ci gridano che tutto poco importa. Sono soprattutto ricordi, che svaniscono, come il sangue che hanno lasciato sul cemento. Oggi è l’unica musica che echeggia tra quei puntelli, un sorriso che intiepidisce questi glaciali attimi, in uno dei numerosi cantieri di San Mariano. Pure lui, da anonimo, era in Umbria per cambiarne i tratti e, più di tutto, la sua esistenza. E perché anche oggi, stupito, ci rivolge lo sguardo, sorride, inchina il capo togliendo l’elmetto. Perché Gaspare neppure questo si aspettava.

Sara Biarella

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Articolo Carmela Neri

Cieli, cieli infiniti sorvolano l’Umbria dei borghi e dei colli, del lago e delle città. Guardarli è impossessarsi di un pezzo di divino. Tutto questo azzurro solcato di nubi estive “leggere e vaganti”, di gelidi e rossi tramonti invernali riflessi sulle acque dei fiumi, di livide, rugiadose albe d’autunno, dell’umida primavera delle mimose e dei fiori di ciliegio, sovrasta un paesaggio lineare, remoto, macchiaiolo, fatto di pietra e vegetazione, connubio di aerea santità e terragna bellezza. Sublime e semplice, “naturalmente” spirituale, così l’Umbria; come i suoi poeti, i suoi santi, la sua cucina, la sua gente le sue feste. Ed è facile, attraversando per caso una delle tante strade vicinali che ricamano la dolcezza rotonda delle colline – care al Perugino e a Dottori, a Duccio e Giotto e a Signorelli, Raffaello, Pier della Francesca, Ghepardi – o delimitano le piane piatte e ordinate delle valli fluviali, tra filari di olmi e querce, capire perché in questi luoghi si pensa e si costruisce la pace, si ritemprano corpo e mente, ci si riconnette con il proprio mondo interiore, accedendo ai sentieri più nascosti del paesaggio e del cuore con la stessa intima gioia che fece dire a Jacopone: “O iubelo de core, / che fai cantar d’amore! / Quanno iubel se scalda, / si fa l’omo cantare, /e la lengua barbaglia / e non sa che parlare: / dentro non pò celare, / tant’è granne “l’dolzore”. Qui San Francesco, dantesco sposo di Madonna Povertà, predicatore d’umiltà e carità, nudo e scalzo, da cotanta privazione trasse messaggi di straordinaria pienezza: “Laudato sì, mi Signore, per frate vento / et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, / per lo quale a le tue creature dai sustentamento... .” Per non tacere di San Benedetto da Norcia, che in un mondo devastato e in ginocchio, con due sole parole – “Ora et labora” – dissolse le nebbie barbariche rifondando cultura latina e, insieme, spirito ed economia europei. In Umbria la santità, l’eroismo, partono dal basso per arrivare ovunque. E il “basso” è spesso, materialmente, proprio la terra, 42


Articolo Carmela Neri

quella, ancora, semplice e francescana, come l’acqua “utile et umile et preziosa et casta”, e che “produce diversi fructi con coloriti flori et erba”. Terra ombrosa, boschiva, selvaggia, di poche parole, di molti fatti, che da un secolo invita il visitatore sull’onda di un piccolo “bacio” di cioccolata, promessa d’intrigo e d’amore e segno d’antico genio imprenditoriale, trattenendolo poi in un cammino a ritroso per strade rupestri in cui, tra vigneti e boschi carichi di funghi e castagne, roseti profumati s’inerpicano lungo le facciate sregolate e petrose di cinquantacinquemila casali di poggio, montagna o pianura, costruiti della pietra calcarea o arenaria del nord o del vulcanico tufo sud-occidentale, sovrastati di “coppi” di terracotta freschi di fornace, testimoni a cielo aperto di una produttività umile, mezzadrie, da sempre solida spina dorsale di una regione aspra e appenninica, ma anche fluviale e lacustre, traversata da ampie vallate un tempo paludose e poi, da etruschi e romani, rese fertili, agevoli, comunicative. Almeno quanto le montagne restavano alte, dure, inaccessibili, intrichi di pini, abeti, lecci e faggi battuti da gelidi venti, piegati da pesanti nevicate come dal primo sole, dalle precoci gemme di primavera; e disseminate di leggende, canti, canzonature, stornelli, magie, Sibille, mentre il cocchio di Ponzio Pilato trainato da cavalli impazziti, evocato in un febbricitante immaginare, spariva negli inghiottitoi carsici della piana di Castelluccio... . Un mondo mercantile e aristocratico in città, capace di lussi e audacia militare e politica... . Un mondo soprattutto povero e contadino a ogni latitudine della campagna, che ha vissuto di poco per interi millenni, e da quel poco oggi trae la ricchezza di agriturismi, torri e castelli riadattati in residenze d’epoca. Nati perché, dalle opulente città, i mercanti, tra il XV e il XVIII secolo, amarono edificare nel contado case per il loro riposo, e per la produzione agricola: costruzioni fatte a immagine e somiglianza di quelle cittadine dotate di eleganti scalinate esterne, archi, loggette, porticati e torri colombaie, d’una 43


Articolo Carmela Neri

ruralità quasi signorile, ripetuta poi nei secoli secondo disegni tradizionali, e ancora splendide agli occhi di chi le guarda, sperdute nell’insediamento sparso d’ascendenza germanica e feudale che denota una tendenza antica della gente umbra allo ‘understatement’, alla distanza e alla riservatezza, spesso anticamera di vera spiritualità. Così l’Umbria è terra di case rurali e, insieme, di santuari, abbazie, conventi, eremi, romitori, grotte, dove a lungo santi ed eremiti più o meno noti si isolavano in preghiera, tra sofferenze, dubbi atroci della fede, meditazioni e tormenti, mute domande e imperscrutabili soliloqui con Dio. Ma è anche terra di fede giocosa, di feste e sarabande, saltarelli e madrigali, nelle aie e nei palazzi, nelle corti e nei castelli; come di balli di carnevale in dimore nobiliari, piazze e teatri; di feste a tema che illuminano le calde sere di una troppo breve estate. Santità mista a paganesimo, trasgressione rimata a devozione...sottili linee, tremuli percorsi tra ciò che avvicina a Dio e ciò che è umano, troppo umano... . Vantaggi duplici di una terra essenziale come una lirica di Montale, che sa arrivare all’anima, sa prenderti con niente, col bambino che, vestito da angelo, sta serio vicino alla capanna nel presepe vivente di Natale... o che, nelle notti d’aprile, brandendo una fiaccola, segue le processioni pasquali segnate dal funereo ritmare delle confraternite... . Infine, che ti entusiasma facendo correre i suoi santi preferiti, in un tifo da stadio, su alti ceri; o travestendosi in solenni cortei medievali, rinascimentali o barocchi; cimentandosi con archi e balestre; o lanciando in alto bandiere a scacchi colorati e, al suono dei tamburi, spronando al galoppo cavalli arabi e spagnoli in giostre, palii e quintane, alla conquista d’anelli e onore contro i saraceni. Terra di duellanti rioni e terzieri, gaite e guaite, mercati e fiere medievali; di devoti “faoni”, i fuochi che a Norcia illuminano di 44


Articolo Carmela Neri

notte il passaggio della Madonna di Loreto; e di beneaugurali “pasquarelle” cantate dai ragazzi la vigilia dell’Epifania, bussando di casa in casa... .Terra di “palombelle” orvietane del Corpus Domini, evocanti il vicino miracolo di Bolsena, e delle pentecostali infiorate di Spello, Città della Pieve, Cannara... . Religione frammista a rievocazioni storiche, feste di piazza, scatenati carnevali, sagre paesano... . Come la dolce festa di San Martino, che tra le brume di novembre, un pò ovunque, a S.Martino in Colle come a Bastia, rievoca un gesto di cristiana carità offrendo a tutti, prosaicamente, vino nuovo, “arvoltoli” e castagne. È qui che il sacro convive con la storia, anche violenta o sensuale, sempre e comunque; come nel castello dei Cavalieri di Malta di Magione, che ristorava pellegrini in viaggio verso Roma o crociati in partenza per Monte Sant’Angelo e Gerusalemme, a difesa della cristianità. O come nella magia dei “Calendimaggio” assisani, in cui dalle sfide medievali tra le parti “de sopra” e “de sotto” spunta, botticelliana e pacificatrice, Madonna Primavera, simile alle crinite Maddalene rossovestite, alle fiorenti Agate, Lucie e Caterine, alle bionde sognanti Vergini dagli azzurri mantelli dipinte e scolpite della Galleria Nazionale dell’Umbria...simulacri di fanciulle fatali, muse di pittori, nei cui occhi si specchiano i colli tracimanti d’ulivi, macchie color verde-salvia che inghirlandano il Trasimeno, Perugia, la Valtiberina da Città di Castello a Trevi, a Spoleto... .Terre d’olio, e di vini bianchi (etruschi) e rossi (romani) da Torgiano a Montefalco, da Orvieto a Todi, da Città di Castello a San Martino in Colle, da Spoleto a Marsciano... . Terre di colture biologiche, erbe officinali, di grano e fieno, foraggi, e campi infiniti di papaveri e girasoli. Prodotti arcaici e naturali, che portano a tavola dolci poco elaborati, ricette vecchissime, da fare anche in casa, imparando dalle nonne, e quasi sempre coincidenti con la festa di qualche patrono (forse per i trecentodiciott’anni di dominio pontificio?), con qualche ricorrenza, come i torcoli perugini di San Costanzo, le “ciaramicole” di 45


Articolo Carmela Neri

Pasqua, i torciglioni e le folignati rocciate di Natale adagiati sui piatti di ceramica gualdese o derutese, con tovagliette di tombolo del Trasimeno o pizzo d’Orvieto; i tozzetti da gustare col vinsanto, le mandorlate “fave dei morti”, gli aromatici panpepati natalizi amerini e ternani, le “cialde” all’anice di carnevale, versione “secolarizzata” e zuccherata dell’ostia benedetta... . Religione “gastronomica”, da consumare dopo la pasta fatta in casa, farro e lenticchie, risotti alle erbe, prosciutto e tartufo, arrosti alla brace e porchetta longobarda di Costano, crostini di fegatini di pollo, “imbrecciate” fontignanesi di legumi, accompagnati da torte pasquali al formaggio (portate a benedire in chiesa il Sabato santo) o cotte al “testo” di pietra, le cui varianti eugubine e tifernati sono le quasi marchigiane “crescia” e “ciaccia sul panaro”... .Ha origini millenarie – nelle vecchie cucine rustiche di campagna col grande caminetto, dove oltre che stare “a veglia” nelle fredde sere invernali, a raccontare, bere e scherzare, si cucinava la straordinaria sapienza e cultura alberghiera e della ristorazione legata all’antica capacità delle famiglie patriarcali contadine di preparare ogni giorno, e con pochi mezzi, pasti per nuclei parentali allargati anche a trenta-quaranta persone, che raddoppiavano per la mietitura e la battitura, o la raccolta delle olive in novembre... . Ed è forse nell’intimità sommessa di quel focolare notturno che resta, ancora, nei discorsi tra amici, o nella solitaria ipnosi indotta dal fissare la fiamma, il senso profondo della meditazione sulla vita, un’adesione più viva e sincera alle “voci di dentro”, troppo spesso nel mutilare d’oggi nascoste e, come la nostra povera “animula vagula blandula”, dimenticate... . Chissà come quei fuochi notturni parlarono a Francesco e Chiara, Benedetto e Scolastica, Angela e Valentino, vescovo e patrono di Terni e degli innamorati. Giacchè anche le loro storie di fede sono popolari, intrise di piccole cose, della vita di ogni giorno che vediamo, ancora intatta, riflessa nelle “laude” medievali come nei “fioretti” di Francesco, nella vita di Santa Rita dilaniata dalle faide 46


Articolo Carmela Neri

di famiglia; o nella “Donna de Paradiso” di Jacopone, madre addolorata e piangente come doveva averne viste lui stesso il giorno in cui, nel fior degli anni, scampò per caso al crollo di un pavimento durante una festa da ballo, in cui tanti giovani come lui – tra cui la stessa, amata moglie – persero la vita.

Carmela Neri

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ARTICOLI VINCITORI I EDIZIONE PREMIO LETTERARIO INSULA ROMANA “PIA BRUZZICHELLI”

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Articolo Ida Gentile

In Umbria per diventare più forte e dare così anche forza agli altri: non è una donna comune la presidente della Comunità di Capodarco di Perugia, Francesca Bondì. A renderla speciale non è stata la difterite che l’ha colpita a sei anni, ma il fatto che nel lungo tempo della malattia abbia trovato la forza di resistere e vincere per poi aiutare molte persone in difficoltà a causa di malattie. Dal giorno in cui, mentre andava a scuola, non è più riuscita a muovere nessuna parte del corpo sono passati quasi 40 anni. Quella bimba siciliana di cinque anni che non poteva più camminare da allora di strada ne ha fatta tanta: è guarita grazie a lunghe cure che l’ hanno obbligata a stare lontano dalla sua famiglia, prima a Palermo nel cosiddetto “ospizio marino” e poi in Umbria, nell’istituto per poliomielitici di Colle Umberto, nelle vicinanze di Perugia, dove ha continuato gli studi. In seguito ha dato vita ai centri diurni d’accoglienza per persone con disabilità, ed ai gruppi famiglia della Comunità di Capodarco di Perugia. Da poco c’è anche “La casa del Nibbio” – il sogno di Francesca – la prima residenza umbra dove soggetti con problematiche gravi potranno vivere in modo autonomo aiutati da alcuni operatori. “Prima della malattia – ha raccontato Francesca – ero una bambina felice. Vivevo a Ventimiglia, un paesino nella campagna siciliana dove mi conoscevano tutti. La mia era una famiglia tranquilla. Dopo la malattia i miei genitori mi hanno ricoverata in un istituto dove potevo ricevere cure adeguate. In quel posto, ho conosciuto la mancanza di rispetto ed i soprusi che sono costretti a subire i bambini e le persone che, a causa di una malattia, non possono difendersi. “Per anni – ha osservato – mi sono sentita prigioniera senza aver mai commesso nessun reato e quando tornavo a casa per le vacanze mi sentivo un ospite che aveva poca confidenza con i propri familiari”. Dall’ospizio marino Francesca è stata poi trasferita nell’istituto per poliomielitici di Colle Umberto, dove è rimasta fino a 18 anni, l’età in cui ha conseguito il diploma di maestra elementare. 51


Articolo Ida Gentile

“Dopo la maturità sarei dovuta tornare in Sicilia – ha riferito – ma volevo rimanere a Perugia per laurearmi e poi lavorare. Non potevo contare sull’appoggio dei miei genitori e non avevo nessuna possibilità economica per stare fuori casa”. Poi la svolta. “Dall’istituto uscivamo due volte l’anno – ha raccontato – per andare alla Standa, a Perugia, dove facevamo piccoli acquisti. In quell’occasione ho notato la sede della Regione Umbria e così ho imboccato la porta ed ho chiesto un colloquio con qualcuno che potesse aiutarmi. Mi ha ricevuta l’assistente sociale che ha trovato un posto nella Comunità di Capodarco di Gubbio per me e ed altre amiche che vivevano con me nell’istituto di Colle Umberto”. È iniziato così il percorso di Francesca nella Comunità. Da Gubbio a Perugia il passaggio è stato breve: “In un primo momento io e le mie compagne – ha raccontato Francesca – abbiamo dato vita al primo nucleo abitativo in via del Lavoro, poi è stata la volta de “la collina” a Prepo, il primo gruppo diurno per disabili del comprensorio”. La presidente di Capodarco ha ricordato che, grazie all’aiuto del parroco di Prepo, don Peppe Gioia, lei e le sue amiche hanno sistemato una vecchia casa abbandonata dove, in seguito, sono state ospitate una decina di persone con disabilità. “I primi anni sono stati durissimi – ha detto – lavoravo e studiavo nello stesso tempo. La difficoltà più grande era far quadrare il bilancio perché i soldi erano veramente pochi e le necessità tante. Ma mi sosteneva il desiderio enorme di accudire con affetto chi non può difendere i propri diritti e non può comunicare i propri bisogni: un anziano, un disabile o un bambino. Nell’ospizio marino ne avevo subite veramente tante. Ci facevano sentire un nulla ed era terribile visto che conoscevo i miei diritti”. Francesca ce l’ha fatta: si è laureata in pedagogia con 110 e lode, nel 2000 si è resa indipendente dalla Comunità di Capodarco di Gubbio ed è diventata la presidente della Comunità di Perugia, che ora vanta tre centri diurni frequentati da 34 persone ed un gruppo famiglia che segue 7 52


Articolo Ida Gentile

soggetti con disabilità psichica. “La casa del Nibbio” è l’ultima nata: “Il luogo in cui anche chi non è autosufficiente può realizzare il suo bisogno di essere indipendente perché tutti abbiamo il diritto di dare sfogo al nostro desiderio di libertà. Mi dispiace immaginare che persone adulte debbano continuare a vivere con i genitori solo perché non sono autosufficienti – ha detto. Tutte le persone, anche quelle con disabilità, sentono il bisogno di condurre una vita da adulti e di avere una casa propria e chi non può farcela da solo deve essere aiutato”. Francesca Bondì ha trovato in se stessa la forza di resistere e vincere sulla sua malattia. Ama definirsi una Cenerentola, non solo perché è bionda e con gli occhi azzurri, ma perché ha realizzato il suo desiderio più nascosto. E non è stata solo fortuna. Ha anche incontrato “il principe azzurro”,si è sposata ed è diventata mamma

Nella foto Federico Fioravanti – Direttore Corriere dell’Umbria consegna a Ida Gentile prima classificata Premio Giornalistico Bruzzichelli, il premio offerto da Vacantioner Viaggi Bastia Umbra.

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Articolo Giulia Ivanov

Perché l’Umbria? È come chiederti perché ti sei innamorata di quella persona, si proprio di quella. Ci sono mille e nessuna risposta. È la miscela sottile dei colori e dei profumi. È la luce che accarezza e taglia i paesaggi in un susseguirsi di chiaroscuri. Sono gli spazi che le colline ti lasciano intravedere, è la sua gente, semplice, con la riservatezza e la solidità della gente della montagna, pochi fronzoli, come nell’architettura di pietre pulite e tagliate spontaneamente che contraddistinguono i suoi borghi medievali; le strade strette, inerpicate, e gli squarci di cielo dove immagini che basta allungare solo un pò le dita per toccarlo. Sono i silenzi che diventano voci dentro di te. Una visione romantica? Stereotipata? In certi momenti forse, quando la riservatezza ti appare ostilità e diffidenza, quando dalle colline o dalla campagna piombi nei sobborghi periferici delle città e ti chiedi con sgomento dove abiti lo spirito di pace e di riflessione che ti pervade camminando nei suoi boschi, lungo le rive dei corsi d’acqua e sulle sponde del suo lago dalle infinite sfumature, o quando tu, anche non praticante, entrando nelle sue chiese non puoi fare a meno di sentire la presenza del soprannaturale e dell’infinito. Sono passati più di vent’anni da quando un colpo di fulmine mi spinse a scegliere l’Umbria quale paese d’adozione e, ancora oggi, ogni volta che, uscendo dal buio della galleria di S. Faustino, si delinea davanti agli occhi l’acropoli con i suoi palazzi imponenti e i campanili che dominano la collina, sento dentro di me un’emozione intensa, come la luce di quel lontano sole agostano nel quale per la prima volta conobbi l’Umbria. In questi anni ho assistito a molti cambiamenti, talvolta brutali, ho visto colline d’olivi trasformarsi in agglomerati di cemento senza personalità, ho visto supermercati e banche soffocare gli antichi ritrovi nelle vie cittadine, ho visto l’asfalto avanzare come un fiume in piena e mi chiedo cosa facciamo per fermare questa corsa verso una nuova impersonale identità. 55


Articolo Giulia Ivanov

La natura è ancora forte, presente, e probabilmente riuscirà a resistere agli attacchi scellerati cui è sottoposta; guardo Assisi adagiata nel suo biancore sulle pendici del Subasio e sento la presenza di Francesco e Chiara chiamati dalla voce di Dio. Ripercorro sentieri deserti e ascolto le voci di anime lontane, mentre nelle sue pietre vetuste leggo la storia degli uomini e delle donne umbre che è poi la nostra storia fatta di fatiche e di speranze. Ecco, la speranza è il sentimento a cui faccio appello nell’augurarmi che non vadano perdute le peculiarità di questa terra per inseguire sogni di un progresso a tutti i costi. Ci sono molti luoghi dell’Umbria che rappresentano un’oasi di pace e per il nostro spirito, dove possiamo ancora trovare il tempo di ascoltare noi stessi e sono proprio questi luoghi che affascinano e attraggono i nuovi abitanti. Innumerevoli volte mi sono sentita chiedere il perché di questa scelta: «sei sposata con un umbro?». «No!» «E allora perché?» ripetono i miei interlocutori, sorpresi essi stessi che l’Umbria, terra chiusa, difficile nel passato anche da raggiungere, terra di emigranti, sia diventata nel tempo luogo di accoglienza desiderato e cercato da italiani e stranieri. «Perché l’Umbria non si spiega – rispondo – dell’Umbria ci si innamora.»

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Articolo Giulia Ivanov

Nella foto da sinistra, Daniela Brunelli Presidente Proloco Bastia Umbra, Francesco Lombardi Sindaco del Comune di Bastia Umbra, Lina Franceschini – Sponsor dell’iniziativa (Villa Salus dimora di San Crispino Resort e Spa) premiano la seconda classificata Giulia Ivanov.

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Articolo Anna Lisa Rossi

Il primo fu Dante Alighieri verso il 1318 o 1320, due o tre anni prima di morire. Dopo di lui nessuno è riuscito a tratteggiarla con altrettanta iconica plasticità: “Però chi d’esso loco fa parole, / non dica Ascesi, che direbbe corto, / ma Oriente, se proprio dir vuole.” È il canto XI del Paradiso, dove San Tommaso tesse le lodi di San Francesco. “Ascesi, sineddoche mistica per definire il luogo trasfigurato dall’aver dato i natali al serafico Fraticello, geograficamente è in ascesi: “Fertile costa d’alto monte pende” scrive il Poeta per indicare il monte Subasio, sacro agli Umbri preistorici che vi salivano per i loro riti. Sulle sue pendici boscose vissero antichi stregoni, guaritori, sacerdoti e sacerdotesse; poi, dai primi secoli cristiani, monaci ed eremiti celebrarono i riti della fede per le popolazioni impaurite dalla violenza della natura, dalle malattie, dall’uomo stesso. Passarono quindici, forse venti secoli, vennero Francesco e Chiara che dal monte di Assisi gridarono al mondo un messaggio di povertà e di amore, la Povertà di Cristo, l’Annuncio del suo Evangelo. In tanti li seguirono, scalzi e vestiti del saio cinto del cordone tre volte annodato, segno di povertà castità e obbedienza, a sequela – difficile e talora infedele – della Perfetta Letizia; innalzarono chiese monumentali, affrescate da Giotto e Cimabue, scolpite dai maestri Comacini per la catechesi al popolo illetterato e stupefatto. La fusione d’arte e di spiritualità propria di Assisi fu talora misconosciuta: nel Settecento gli intellettuali europei che praticavano il laico pellegrinaggio del “Gran Tour”, trascurarono quel misero borgo medievale: Wolfgang Goethe vi si fermò per ammirare le forme classiche del tempio della Minerva, ma nel suo “viaggio in Italia” non c’è traccia di Francesco e delle sue chiese. Il secolo seguente ritrovò Assisi e il suo poverello soprattutto a partire dal 1818, quando dalle fondamenta della Basilica inferiore ne emerse la sepoltura. Da allora fu un crescendo di fervore lungo la “fertile costa”, una vera fioritura – come le ginestre a 58


Articolo Anna Lisa Rossi

maggio – quando, erano gli anni Sessanta del Novecento, Papa Giovanni scese pellegrino sulla tomba del fraticello e dal concilio Ecumenico Vaticano II partì la spinta per il ritorno ad una chiesa più evangelica e aperta all’uomo, più povera e attenta agli ultimi, vittime dello sfruttamento e della crudeltà di tutte le guerre. Il messaggio di pace lanciato dalla piccola città “lucerna sul Monte”, voce di religioni e culture diverse, viene da allora espresso in forme grandiose – le marce della pace, gli incontri ecumenici voluti da Giovanni Paolo II – e minime, nascoste, umili risposte al richiamo della fede. Come quella di Maddalena che negli anni settanta giunge a Spello, attratta da Francesco e da Fratel Carlo Carretto, lì approdato dopo l’esperienza del deserto. Maddalena viene dalla Francia in quegli anni scossa da fermenti del Sessantotto le cui radici affondano nell’immediato dopoguerra, quando lei, universitaria alla Sorbona, incontra le filosofie materialiste allora dominanti e ne subisce il fascino, ma anche una devastazione dell’anima e del corpo dalla quale uscirà con una sofferta e totale conversione a Cristo. Il suo “maggio” rivoluzionario Maddalena lo mette in marcia dentro di sé, dedicandosi ai miseri, barboni e lavoratori magrebini del porto di Nizza, quando capisce che la più grande contestazione è donare se stessa ai deboli e ai rifiutati che la vita pone sulla nostra strada. In Umbria Maddalena prova a rispondere alla chiamata di Dio, fattale per bocca del suo direttore spirituale, un gesuita combattente per la fede e la povertà del mondo. A Spello la sua vocazione si concretizza nella casa della povera gente, in via della Povera Vita: un edificio fatto con la pietra grezza e rosea del monte, nel centro storico, ampliato ed adattato, estremamente semplice, enormemente accogliente, dove chi non ha tetto può trovare per una notte un letto, sempre un pasto caldo, consumato insieme a Maddalena, a Ester e Claudia che con lei condividono la scelta di vivere ultime tra gli ultimi, ad Alessandro, marito e sponsor delle sue scelte, ai gatti Nuvola, Pascià, al cane Neige. 59


Articolo Anna Lisa Rossi

Una minuscola “arca di Noé” che galleggia sicura fra le tempeste, oasi di silenzio nel frastuono confuso del mondo, dove molti sostano in cerca di segni di pace e semplificazione. Perché Maddalena stessa è l’icona della semplicità, con il suo volto marcato dagli anni dove gli occhi brillano di serenità: i capelli raccolti all’antica, le gonne ampie, i maglioni fatti a mano, infilati su braccia sempre pronte ad accogliere. E il sorriso, soprattutto. La vita in via della Povera Gente è fondata sui pilastri della preghiera e dell’adorazione dell’Eucaristia, posta nella piccola cappella al centro della casa. Per il resto piccoli lavori domestici, letture e conversazioni con gli ospiti. Maddalena ha scritto diversi libri, non per vanto “mi sento un miserabile strumento del Signore!”, ma per obbedienza alle guide spirituali e per condividere e restituire la grandezza del dono ricevuto. Per le stesse ragioni ha aperto un sito web, www.maddalenadispello.it, al quale si può accedere per navigare nei mari dello spirito o, semplicemente, fare un pò di pausa interiore. Lasciando via della Povera vita, mentre fuori, si diffonde la luce dorata del tramonto che ricopre di ombre e di silenzio Spello, Assisi e, più giù, la piana brulicante di vita, si prova la sensazione, la certezza, che il messaggio di Francesco (e di Chiara) abbia trovato un testimone nel nostro tempo.

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Articolo Anna Lisa Rossi

Nella foto Fabio Gialletti, titolare delle Ceramiche Pinturicchio Deruta premia la terza classificata, Anna Lisa Rossi.

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MOSTRA CONCORSO DI PITTURA “VIVERE L’UMBRIA SEZ. ROBERTO QUACQUARINI” IN COLLABORAZIONE CON IL GRUPPO AMICI DELL’ARTE BASTIA UMBRA ABBINATA AL PREMIO LETTERARIO NAZIONALE

“INSULA ROMANA” PROGETTO INTEGRATO PER LA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO

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Margherita Ferracci

Margherita Ferracci

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Orfeo Santoni

Orfeo Santoni

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Giuliano Belloni

Giuliano Belloni

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Carlo Fabio Petrignani

Carlo Fabio Petrignani

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Silvana Jafolla

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Marco Giacchetti

Marco Giacchetti

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Ringraziamenti

Un ringraziamento agli Sponsor dell’iniziativa letteraria: Vacantioner Viaggi Bastia Umbra Giulio Franceschini - Villa Salus - Le Dimore di San Crispino Resort e SpA Ceramiche Pinturicchio Deruta

Si ringrazia per l’operato la giuria tecnica della prima edizione del Premio Bruzzichelli composta da: Luigi Bovo, Roldano Boccali, Clotilde Ceccomori, Federico Fioravanti, Edi Peterle, Maurizio Terzetti

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Biografia Pia Bruzzichelli

Nata a Montepulciano (SI), ha partecipato alla Resistenza. Si è laureata nel 1945 in lettere moderne a Roma. Sin dal 1947 e per parecchi anni nella Pro Civitate Christiana, attraverso contatti con gli artisti, la realizzazione di mostre, convegni e pubblicazioni; ha contribuito alla formazione delle raccolte della Galleria d'arte contemporanea della Cittadella. I suoi numerosi articoli su “Rocca” hanno parlato di Cristo attraverso la bellezza. Sposatasi con Luigi Bovo, con lui aveva creato un centro di incontri e studi a San Fortunato, nelle colline prossime ad Assisi. Di lassù, e nella successiva residenza a Bastia Umbra, aveva condotto una vasta attività culturale anche in seno all’associazione Proloco di Bastia Umbra, sempre attenta agli umori culturali, alle problematiche femminili e allo scenario politico contemporaneo. È stata per lungo tempo membro della Società Teologica Italiana. Iscritta all’albo dei giornalisti dal 1960 è stata presidente della Cooperativa Libera Stampa. Ha diretto il mensile Umbria dal 1990 al 1996. È mancata l'11 febbraio 2005.

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