Savelli di Norcia - storia e tradizioni

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Quaderni del volontariato

Il Cesvol svolge le sue attivitĂ con risorse del Fondo Speciale per il Volontariato amministrato dal Comitato di

Storia e Tradizioni A cura di Proloco Savelli di Norcia

A cura di Proloco Savelli di Norcia

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Savelli di Norcia

gestione dell'Umbria e alimentato dalle seguenti Fondazioni

Fondazione Monte Paschi Siena Fondazione Cassa Risparmio Terni e Narni Fondazione Cassa Risparmio Spoleto Fondazione Cassa Risparmio Foligno Fondazione Cassa Risparmio Orvieto Fondazione Cassa Risparmio CittĂ di Castello Fondazione Cassa Risparmio Province Lombarde

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Savelli di Norcia

Fondazione Cassa Risparmio Perugia

Storia e tradizioni

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Quaderni del volontariato

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a cura della

Pro Loco Savelli di Norcia

Savelli di Norcia Storie e Tradizioni

Futura

CENTRO SERVIZI PER IL VOLONTARIATO PERUGIA


Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Sandro Penna, 104/106 Sant’Andrea delle Fratte 06132 Perugia tel. 075 5271976 fax 075 5287998 www.pgcesvol.net cesvol@mclink.it pubblicazioni@pgcesvol.net

Coordinamento editoriale Chiara Gagliano Pubblicazione a cura di CENTRO SERVIZI PER IL VOLONTARIATO PERUGIA

Con il patrocinio della Regione Umbria

Un ringraziamento particolare a Agostino Lucidi per l’impegno profuso e per i lunghi giorni di lavoro dedicati alla ricerca delle storie, tradizioni, usi e costumi del nostro piccolo paese. Grazie La comunità di Savelli di Norcia

© 2008 CESVOL 2008 FUTURA soc. coop. ISBN 88-95132-35-1


INDICE

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La leggenda di fondazione La storia Il territorio Descrizione degli insediamenti Feste religiose Tradizioni Bibliografia



LA LEGGENDA DI FONDAZIONE

Una tradizione popolare tramandatasi per generazioni dalla nostra gente e molto diffusa in tutta la zona del nursino, vuole che la fondazione del paese di Savelli risalga all’epoca della dominazione italica e sabina di questo territorio. Infatti si narra che i primi uomini che abitarono la zona occidentale dei Monti Sibillini fossero gli Ausili-Pelasgi, una popolazione di origine indo-europea, che dopo aver occupato il Peloponneso, l’Epiro e le Isole Egee, fosse passata in Italia. Giunta dapprima nella pianura del Tronto fondò Ascolo, l’attuale Ascoli Piceno, poi, guidati dai nobili fratelli Peucezio ed Enotrio, valicarono il gruppo dei Monti Sibillini ed andarono ad occupare i diversi altipiani di questa parte dell’Umbria. Enotrio, che traeva origine dai re dell’Arcadia, fu re dei Sabini, da lui nacque Urso, re dei Tusci, dal quale secondo la leggenda sarebbe stata fondata Norcia, che in principio si chiamava Ursa, successivamente Nursa e alla fine Nursia. Secondo un’altra versione della leggenda a fondare la città di Norcia fu invece il nipote di Enotrio, il re Norsino, che gli diede il suo nome, oppure viceversa lo prese da Norsa, dea della Fortuna, una divinità molto venerata dai Tusci. Fratello di Norsino fu poi Imbrone, che regnò sul Sannio e su gran parte della Puglia, nel tempo in cui Peleo, padre del grande Achille giunse in questa regione. Anche Sabo, successore di Enotrio, che alcuni confondono con Norsino, regnò sulle terre dei Monti Sibillini e dal suo nome una parte dell’Umbria fu chiamata regione Sabina e successivamente alcuni Sabellici furono anche chiamati Sanniti. Secondo la tradizione nursina il primo villaggio fondato in quest’a7


rea fu detto Palatino e si trovava nei pressi della Forca di Ancarano, in posizione strategica, da dove si poteva dominare sia la piana di Norcia, che la valle del Campiano. Sempre secondo tale leggenda anche il villaggio di Palatino sarebbe stato fondato da Enotrio re dell’Arcadia o da un suo discendente, il quale fu anche il capostipite della prima dinastia dei monarchi nursini, detti appunto “enotrii”. A questa prima dinastia, di origine greca, successe poi quella dei “vespasi-clodii”, che erano invece di origine italica, i quali continuarono a fondare molti villaggi, man mano che occupavano e bonificavano le terre circostanti. Fu così che tra i villaggi fortificati costruiti nei dintorni, troviamo anche Rocca Florida, un presidio sorto lungo l’itinerario che dal territorio Piceno giungeva sino al grande Piano di Norcia e che la tradizione locale indica proprio nella parte alta del paese di Savelli, nella zona denominata oggi il Castellano. La leggenda vuole poi che ad incrementare la città di Norcia siano stati proprio gli abitanti di alcune di queste fortezze circostanti, principalmente quelli di Toturano, Rodolfiano, Presenzano, Tollenza, Rocca Palatina, Rocca di Grappa, Reggillo, Rocca Sassaria, Ocricchio, Rocca Florida, Vezzano e Torrato. L’ultimo re della dinastia dei “vespasi-clodii” fu il mitico Ufente, famoso per aver portato aiuto a Turno, re dei Rutuli, che combatteva contro Enea, reduce dalla guerra e dalla distruzione di Troia e che voleva stabilirsi sulle coste laziali. Dopo Ufente, che perì proprio durante tale guerra, si ebbe una dinastia di re che erano invece di origine osco-sabina, provenienti da una popolazione originaria della piana di Rieti, che nel frattempo aveva preso il sopravvento nella zona. Fu proprio il re sabino Gaio Sabo, che dopo la vittoria di Enea su Turno, ben valutando le conseguenze, si affrettò a stringere con esso accordi di pace e di amicizia, in modo da salvaguardare il territorio del suo vasto regno. 8


LA LEGGENDA DI FONDAZIONE Gaio Sabo riorganizzò la pastorizia paurosamente provata dalle guerre con gli Osci, con gli Umbri e con i Troiani di Enea, rivitalizzò il commercio con il retroterra adriatico, bonificò la conca detta oggi Piano di S. Scolastica, migliorò le condizioni igieniche dei villaggi circostanti e diede grande impulso all’agricoltura, nella quale la popolazione locale era particolarmente abile. Tra questo vasto programma di riorganizzazione territoriale il re fece anche costruire o risarcire un imponente fortilizio nelle vicinanze di Norcia, lungo uno degli itinerari commerciali per l’Adriatico, denominandolo dal suo nome Sabello, anche perché nel luogo aveva vasti possedimenti e probabilmente una villa. Da un’altra leggenda apprendiamo anche che dai regnanti Nursini, fu edificato ad appena tre miglia da Norcia un castello, anticamente chiamato Sabello ed ora detto Savello, posseduto ed abitato in continuazione dai nipoti del re Sabo. Secondo tali leggende locali furono quindi proprio questi insediamenti di Rocca Florida e Sabello, fondati dai monarchi italici nel 1300 a. C. circa e dal re Gaio Sabo intorno al 1160 a. C., i primi nuclei abitati sorti sul luogo dove si trova oggi il paese di Savelli, che peraltro ha variato di poco anche il nome originario. Dai discendenti di Gaio Sabo, ebbero poi origine i Savelli, una delle famiglie più illustri e nobili, proveniente dal territorio nursino e trasmigrata nel Lazio, forse a motivo di pascolo per le proprie greggi, che dominò in Roma e nei vicini castelli, insieme ai Colonna, agli Orsini, agli Annibaldi e ai Caetani, dal sec. XIII in poi. I Savelli, di cui anche importanti storici, che hanno svolto ricerche per la nobile famiglia, asseriscono essere discesi a Roma dall’agro nursino, ebbero grandi personaggi tra i propri discendenti, e nei primi secoli dopo Cristo addirittura vari santi, come S. Pellegrino vescovo, S. Lucina e S. Gavino martire. Inoltre la stessa famiglia ha dato alla Santa Chiesa ben sei pontefici, i papi Liberio, Eugenio I, Benedetto II, Gregorio II, Onorio III e 9


Onorio IV, nonché numerosi cardinali, vescovi, feudatari, condottieri, letterati, giuristi, senatori romani, marescialli di Santa Romana Chiesa e custodi del Conclave. Questi ultimi due importanti uffici pontifici erano poi addirittura ereditari tra i membri di tale famiglia e son stati ricoperti dai suoi discendenti fino alla propria estinzione, avvenuta solo nel 1712 con Giulio, figlio di Bernardino di Paolo, principe di Albano, e di Maria Peretti, nipote ed erede del papa Sisto V. Tra i membri della famiglia si annovera anche Giambattista Savelli, un famoso capitano di ventura che in epoca cinquecentesca, a servizio del Papa Paolo III, assoldò un agguerrito esercito di crudeli soldati, che apportarono in Umbria devastazioni, fame e carestia, nonché la sistematica distruzione delle mura di Perugia, che fu la causa delle lotte tra la città e lo Stato della Chiesa.

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LA STORIA

Le prime citazioni storiche su Savelli si trovano poco dopo il mille, infatti si parla del paese tra i documenti dell’antica Abbazia benedettina di Farfa, che sul posto possedeva molti terreni ed una cella monastica dedicata all’Arcangelo Michele. Ma il suo territorio ha restituito negli anni passati numerosi oggetti di scavo, vari manufatti in pietra ed almeno tre epigrafi romane di età imperiale; ciò avvalora l’ipotesi che sul luogo esisteva sin da quell’epoca un insediamento abitato e ben organizzato, tanto dal punto di vista sociale che da quello religioso. Le tre importanti lapidi romane infatti sono i residui di altrettanti monumenti funebri che erano stati costruiti lungo un’antica via romana che metteva in collegamento la vallata di Norcia con le vallate del Tronto e del Reatino. Inoltre risulta da alcuni manoscritti locali che quando fu tracciata, in epoca di fine ottocento, la strada provinciale per Forca di Civita, nei dintorni del paese si scoprirono numerose tombe, che dalla loro fattezza risalivano all’epoca pagana. Sappiamo poi che durante la dominazione longobarda tutto questo territorio era sotto il Ducato di Spoleto e vi esercitava la propria giurisdizione il gastaldo di Ponte, essendo il vasto territorio spoletino diviso in numerosi gastaldati. Dal punto di vista religioso si forma sul posto una cella monastica benedettina dipendente dall’Abbazia di Farfa in Sabina, con una chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo, che gli storici locali fissano tra il sec. VIII ed i primi dell’anno 1000. Il fatto che la chiesa sia molto antica non ci deve meravigliare poi molto, infatti sin dal sec. III fiorì a Norcia, grazie alla predicazione di S. Feliciano Vescovo di Foligno ed evangelizzatore dell’Umbria, una pic11


cola Diocesi con proprio Vescovo residente, che fu poi aggregata a quella più grande di Spoleto solo in seguito all’occupazione dei Longobardi, e che aveva delle chiese sparse per il territorio, fra cui alcune nella zona di Civita di Cascia e quindi anche oltre il paese di Savelli. Infine nella parte alta del paese, quella indicata con il termine “Castellano”, si conservano ancora i ruderi di una rocca, che alcuni storici individuano come la preromana Rocca Florida, nonché un recinto ovale, che potrebbe identificare o un castelliere preistorico, oppure le mura di cinta di un fortilizio alto-medievale. Ma nessuna citazione abbiamo in proposito che attesti in loco l’esistenza di un castello, anche se sia da parte di emissari imperiali, che da parte di quelli papali, che in tale periodo si contendevano la zona, venivano continuamente riscosse delle tasse, che attestano quindi per il paese una certa autonomia amministrativa. Comunque quando si costituisce il libero Comune di Norcia, nella prima metà del sec. XIII, Savelli, con tutto il territorio circostante, passò alle dipendenze di quest’ultimo con la qualifica di “villa”, ossia luogo non fortificato. Nel 1346, allorquando il Comune di Norcia divise il suo vasto territorio pubblico tra gli abitanti della città e quelli dei castelli e delle ville del suo distretto, Savelli ebbe una buona porzione di area montana, ricca di boschi e pascoli, nella zona di confine con i comuni di Accumoli, Amatrice e Cascia, beni agricoli che, ancora oggi a distanza di secoli, gestisce autonomamente rispetto al Comune di Norcia, attraverso la Comunanza Agraria di Savelli e Paganelli. Da tale epoca Savelli ha sempre seguito le sorti del Comune di Norcia, sia nel periodo di piena autonomia amministrativa, che nella soggezione ecclesiastica della Prefettura della Montagna prima e della Congregazione del Buon Governo poi, quando Norcia fu sottomessa allo Stato Pontificio, fino all’Unità d’Italia, ed è infine entrato a far parte dell’attuale comune di Norcia. La sua storia fu comunque continuamente segnata da attriti con le co12


LA STORIA munità vicine, sia con quelle del distretto di Norcia che con quelle confinanti, a causa dell’uso dei pascoli, dei boschi ed anche dell’acqua del fiume Pescia, nonché delle calamità naturali, che si abbatterono più volte sulla piccola comunità. Nel 1438 fu in contrasto con il castello di S. Marco in quanto alcuni abitanti di Savelli, che vivevano all’interno di tale castello, non volevano contribuire alle spese occorse per la costruzione di una cisterna per la raccolta delle acque. Nel 1562, visto il contrasto degli abitanti che si trovavano lungo le sponde del Pescia per l’utilizzo delle sue acque, il Comune di Norcia fu costretto a nominare dei soprastanti, che anteponessero il pubblico al privato interesse. Nel 1587 fu inviato a Norcia in visita apostolica Mons. Innocenzo Malvasia di Bologna, che annotava anche i mestieri che svolgevano gli abitanti dei luoghi e, a proposito delle ville di Savelli e Frascaro, dice che essi attendevano al mestiere di fienaroli e che possedevano “grosse masserie di bestiami grossi e minuti”. Anche un altro cronista locale del ‘600, P. Fortunato Ciucci, frate benedettino a Norcia, asserisce ancora che gli abitanti di Savelli vivevano per la maggior parte dell’anno a Roma esercitando sempre l’arte dei fienaroli e ritornavano in patria solo in autunno, quando provvedevano all’agricoltura dei loro campi. Nel 1626 le comunità di S. Andrea, Savelli e Paganelli, col pretesto di innaffiare le coltivazioni di canapa, avevano deviato tutta l’acqua del fiume Pescia, così che la comunità di Valcaldara si vide costretta a ricorrere all’autorità competente. Nel 1656, sempre la comunità di Valcaldara, richiese di nuovo l’intervento delle autorità comunali, contro gli stessi paesi, per ripristinare il corso del fiume. Altra istanza dello stesso tipo si ripeté nel 1658, in seguito alla quale fu incaricato il marchese Horatio Diotallevi di Pescia, come guardiano del corso del fiume. 13


Ancora nel 1660 si decise che il Capitano delle Appellazioni doveva fare un bando per ripristinare il corso del Pescia, in modo che l’acqua giungesse a Valcaldara. Nel 1703 il paese di Savelli subì gravosi perdite a causa di un grande terremoto che devastò molti villaggi dell’Umbria, delle Marche e dell’Abruzzo; Mons. Pietro De Carolis, commissario apostolico per il rilevamento dei danni e per dare i primi soccorsi ed aiuti, parlando di Savelli dice: “Savelli affatto demolita. Anime 160. Morti 83. Gli altri feriti in buona parte. Chiese dirute due”. Fino a non molto tempo fa, presso la parrocchiale di Savelli, in occasione del 14 gennaio, festa di S. Ponziano e ricorrenza dell’evento, si celebrava ancora una messa di suffragio per tutte le anime perite in tale circostanza. Sempre nel 1703 gli abitanti di Savelli, insieme con gli altri che si trovavano lungo il corso del fiume Pescia, dovettero poi ricorrere a ragione, contro le pretese del Marchese Antici di Recanati, a quell’epoca signore del castello di Pescia e antenato della madre del poeta Giacomo Leopardi, che voleva imporre un canone annuale a quanti sfruttavano le acque del fiumicello. Nel 1722 fu più volte in contrasto con il vicino paese di S. Pellegrino a causa del pascolo che gli abitanti di tale frazione facevano continuamente in località “i Pantani”, che invece spettava alla comunità di Savelli. Nel 1730 ci fu un altro terremoto alquanto disastroso e benché le rovine furono più numerose di quello precedente, le vittime furono assai di meno, in quanto, a differenza dell’altro, avvenne di giorno, quando la maggior parte degli abitanti era in campagna a lavorare nei campi o ad accudire il bestiame. Nel 1744, in occasione di una spedizione militare contro il Regno di Napoli, la comunità di Savelli dovette mettere a disposizione diverse bestie da soma e da tiro in favore dell’esercito che andava nel territorio straniero. 14


LA STORIA Nel 1750 viene fatta una censura da parte dell’autorità competente di Norcia alla Comunità, per spese fatte alla Casa della Confraternita del SS. Sacramento, senza la dovuta autorizzazione da parte della Congregazione del Buon Governo. Nel 1751 si ebbe una vertenza interna degli abitanti della stessa località, alcuni dei quali gestivano la proprietà pubblica come privata, a discapito degli esclusi che invece si ribellavano e minacciavano gravi ritorsioni, a tal punto che dovette intervenire addirittura il prefetto di Norcia per ristabilire l’ordine. Nel 1754 ci sono altre vertenze per l’uso del pascolo, ma a questo punto i pastori abusivi non erano più del Contado di Norcia, ma erano mercanti di pecore forestieri, che da tale epoca cominciavano ad affittare i pascoli di alcune località di montagna e poi pascolavano su tutti i pascoli circostanti. Nel 1780 il Luogotenente Generale di Norcia impose agli Amministratori della Comunanza di assegnare ai singoli focolari una quota dei terreni falciativi della montagna, in modo da non favorire troppo i possessori di numerosi bestiami, che avevano tutto l’interesse di non farli falciare e di usarli invece come pascolo. Sempre nel 1780 si presero severi provvedimenti contro gli abitanti del castello di S. Marco, che approfittando della vicinanza, si erano impadroniti di alcuni terreni spettanti a Savelli e non volevano pagarne il canone per l’uso. Nel 1798 viene fatta ancora una censura contro la gestione amministrativa della Comunanza che aveva imposto delle nuove tasse alla popolazione senza la dovuta autorizzazione della Congregazione del Buon Governo. Durante l’occupazione francese, ai primi dell’ottocento, il parroco di Savelli, Don Luigi Patrizi, nativo di Frascaro, che non aveva voluto prestare giuramento agli occupanti, fu deportato in Corsica dal 1811 fino al 1814. Nel 1855 anche Savelli fu interessato dalla grande epidemia di co15


lera che aveva interessato quasi tutta l’Europa, mietendo vittime ovunque, per cui tra i mesi di agosto e settembre, morirono nel paese ben sedici persone. Nel settembre del 1860, in seguito ad un plebiscito, l’Umbria passò dallo Stato Pontificio al Regno d’Italia, ma la situazione delle popolazioni locali fu aggravata da nuove tasse, tanto gravose che gli abitanti di tali località non riuscivano più a guadagnare i soldi necessari per il loro pagamento, costringendoli a indebitarsi. Fu così che nei primi anni del secolo successivo tanti giovani locali che prima si spostavano stagionalmente per lavoro, presero la via definitiva dell’emigrazione, principalmente verso gli Stati Uniti d’America, e con i loro guadagni, spediti in patria, hanno risollevato la disastrosa economia famigliare e paesana. Molti di costoro sono rimasti negli stati del Nuovo Mondo, ma la stragrande maggioranza ha fatto poi ritorno in patria, dopo solo pochi anni di duro lavoro, quello sufficiente per ricominciare una vita più agiata nella loro terra. Tra gli altri sconvolgimenti apportati dal nuovo regno d’Italia furono soppresse tutte le amministrazioni locali ed i beni comunitativi furono affidati in gestione diretta del Comune di Norcia, che li gestiva a proprio piacimento. Fu in tale occasione, che per realizzare la Porta Romana ed il taglio del nuovo Corso Sertorio, fu venduto da parte del Comune di Norcia il Pian Grande di Castelluccio a dei grossi mercanti proprietari di greggi di ovini, originari della Campagna Romana, che già usavano tali pascoli prendendoli in affitto. Tale vendita fu però effettuata senza tener conto dei reali diritti di uso civico che avevano gli abitanti del posto e che gravitavano sui quei terreni, iniziando così una vertenza giudiziaria che si è dilungata per tutto il secolo scorso e che ancora oggi ha i suoi strascichi; infatti i proprietari del Pian Grande di Castelluccio hanno solo la facoltà di fare il primo sfalcio di fieno e poi debbono lasciare il pascolo libe16


LA STORIA ro agli aventi diritto di uso civico, avendo così una proprietà dimezzata. Certo è che in tal modo si è comunque consentito di far rimanere integro il Pian Grande, che altrimenti poteva essere messo a coltura, snaturando il meraviglioso paesaggio, fiore all’occhiello del Parco Nazionale dei Monti Sibillini.

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IL TERRITORIO

Il territorio del paese di Savelli e delle due località ad esso connesse si sviluppa in modo assai vario ed articolato, collocato com’è all’estremo limite del vasto Piano di S. Scolastica e della zona denominata Capo del Campo. Il paese di Savelli si trova poi in una zona di vera cesura e collegamento tra le pianure coltivate, le coste soleggiate, che un tempo erano occupate da vigne, e le colline boscose che si trovano ai piedi delle montagne circostanti. Le aree pianeggianti, delimitate dalle diverse proprietà, riconoscibili da recinzioni naturali, fatte da siepi con piante folte e adatte per non far entrare gli animali a danneggiare le varie colture, sono anche delimitate da piante centenarie di roverella, un tempo molto utilizzate per la produzione della ghianda. Infatti questo era un alimento molto importante per far crescere sodi e robusti i maiali destinati alla macellazione e soprattutto quelli da consumarsi in famiglia in quanto era necessario che essi fossero belli grassi, perché dal loro lardo e strutto dipendeva il condimento che doveva durare tutto l’anno. Le querce secolari si potevano trovare e quelle residue si trovano tutt’ora anche lungo le antiche strade di collegamento dei diversi centri abitati, poste proprio lungo i confini delle strade con le varie proprietà private. Un tempo poi esisteva un’altra coltura molto diffusa e che ormai si è quasi persa completamente ed è quella delle mandorle, infatti sino a poco tempo fa molti dei terreni circostanti a questi paesi erano occupati da estesi mandorleti, che un tempo davano un’economia molto fiorente, dato che i frutti venivano ricercati da mercanti, che per l’acquisto facevano viaggi anche molto lunghi. In alcuni appezzamenti di terreno era poi diffuso l’uso della colti19


vazione dello zafferano, una spezia molto ricercata che si ricava dagli stimmi dei fiori prodotti da bulbi, che vengono messi a dimora in agosto e fioriscono ad ottobre. Questa preziosa spezia era prodotta in gran parte del territorio di Norcia e di tutta l’Umbria più in generale, tanto che giungevano mercanti perfino dalla Germania per acquistare tale prodotto, di cui si era comunque persa anche la memoria, in quanto durante il corso del sec. XVII, tale importante produzione fu abbandonata completamente ed ancora oggi ne sono sconosciute le motivazioni. L’altra grande coltivazione che si è persa, ma che è quasi durata fino ai nostri giorni è stata poi quella del vino, in quanto tutte le aree pedemontane adatte alla coltivazione erano occupate da vigne che producevano grandi quantità di uva. I vitigni utilizzati per tale coltura erano molto antichi e si erano acclimatati nel corso dei secoli, tanto che producevano del buon vino, ma l’arrivo delle malattie come la fillossera e la peronospora hanno danneggiato, fin dal sec. XIX, tutte le nostre antiche colture ed i nostri progenitori sono stati costretti ad impiantare altre specie, che comunque non erano adatte e davano del vino scadente. Un’altra coltura minore che era presente nelle campagne era anche quella dei gelsi, in quanto le loro fronde erano molto adatte all’alimentazione dei bachi da seta, che nel corso dell’ottocento furono allevati anche nelle nostre zone. Detto tutto ciò dobbiamo pensare che il paesaggio agrario di Savelli e dei paesi circostanti ha subito nel tempo diverse modificazioni ed un tempo era molto più variegato e composito di come lo possiamo vedere adesso. Attualmente le zone che circondano la parte più bassa di Savelli, ma anche degli abitati di Paganelli e di S. Andrea sono delle aree ben coltivabili e molto fertili perché si trovano lungo l’area dove un tempo scorreva il fiume Pescia e quindi con un terreno reso fertile da secoli di depositi alluvionali. 20


IL TERRITORIO Tutta quest’area pianeggiante, composta da prati, campi coltivati e tratti di terreno dove sono ancora rigogliose le varie colture arboree, che un tempo fiancheggiavano il corso del Pescia, corrisponde ai toponimi di Pianura della Madonna della Quercia, Paganelli, Prati di Paganelli, I Simoni, Campo Rotondo, Centoja, Il Campo, Piè di Miglio, Caperne, La Marina, Sopra la Fonte, Sotto le Case, Piedi le Case, Sotto le Campane, Il Lago, La Chiusa, Passatoro, Formitoro, Il Piano, Vallicina, Vallejana, Noce grande, Piedi la Valle, Valle Pescia, Il Pezzone, Pescone, Campaleonne, La Spiaggia, S. Andrea, Paja Fredda e Pacina. Il territorio che si trova invece più elevato, situato però sempre intorno ai tre paesi, dove un tempo erano praticate le colture che avevano bisogno di un territorio meno fertile, quindi anche quelle della vite, corrisponde alle seguenti denominazioni: Capanne o Immagine, Sopra al Piano, Campofermo, Capo le Case, Sopra il Muro, Francaletta, Formitoro, Vicente, Porporiscio, Piè le Macchie, Panicari, Castellano, Arcelle, Colle di Mado, Piaggie, Pantaleone, Campo della Madonna, Via del Monte, Sassi spiccioli, La Valle, Vallastra, Colle Spinoso, Cese, Valle Fontanelle, Piede al Poggio, Li Colli, Il Condotto, Vignole, Piantate, Dietro il Piano, La Valle di S. Marco, Via di S. Marco, Valle Manarda, Costa del Lago, Articcioni, Campo S. Angelo, Savelli, Contra, Vallarella, Cesa di Pompilio, Via de Pontini, Capo di Coda, Colle della Cona, Piano di Casarini, Costa del Colle, Campo delle Donne, Via di Castello, Castiglioni, Francoletto, Colle di Mezzo, Corporesi, Pasqualuccio, Matuglio, Portella, Forcelle e Castelvecchio. L’area più elevata, corrispondente principalmente ai boschi e ai pascoli naturali, che occupavano la parte più alta del territorio circostante, ha invece le seguenti denominazioni: Campofermo, La Vallarella, Fontanelle, Valle, Monte Mutaro, Macchia del Coppaio, Colle, Croce del Colle, S. Egidio, Le Prata di Castello, Piedi alli Prati, La Cesa, Le Mandre, Prata di S. Egidio, Capo le Ranaje, Sotto la Pez21


za, Sotto L’Acqua del Monte, Bracciata, Il Cupo, Il Peru, Capo l’Ornara, Sasso della Tana, Piano Valle, Sopra a Contra, Le Lame, Il Pezzone, L’Aquilente, Massajole, Vallocchia, Vallecina, Valle Mandria, Valle del Cerro, Via degli Aracci, Fiancaletta, Fosso S. Marco, Monte Mattone e Collefischio. Secondo un’antica leggenda della zona, nella zona soprastante a Savelli, in località Campofermo, si sarebbe svolta in passato un’antica battaglia tra due eserciti nemici e, nel lavorare questi terreni, molto spesso tornano alla luce dei resti di ossa umane e di armi usate proprio nella battaglia.

La Comunanza Agraria di Savelli e Paganelli Per gli effetti della legge 4 agosto 1894 n° 372, riguardante l’ordinamento dei domini collettivi delle Provincie dell’ex Stato Pontificio, le frazioni di Savelli e Paganelli riottennero da Comune di Norcia la proprietà e l’amministrazione dei beni pubblici comunali, assegnati a suo tempo a tali paesi durante la ripartizione delle terre pubbliche, avvenuta per mezzo dello stesso comune, nel 1346. Infatti in tale occasione tutto il patrimonio pubblico fu suddiviso tra la città, a cui ne fu assegnato un terzo, ed il contado, che divenne possessore degli altri due terzi, a sua volta suddiviso in tante porzioni per quante erano le frazioni, più o meno grandi a seconda il numero degli abitanti della frazione. Questi luoghi erano rappresentati da un Sindaco della località e ad ogni porzione minore di territorio fu dato il nome di sindacato, ma tutti dovevano intervenire al rinnovo di sudditanza alla città, in occasione della presentazione del pallio, durante la festa di S. Benedetto, patrono principale di Norcia. Nel paese di Savelli, presso la sede della Confraternita del SS. Sacramento, fu quindi nuovamente istituito un ente morale autonomo, 22


IL TERRITORIO peraltro sotto la vigilanza amministrativa del Sindaco di Norcia, che prese la denominazione di Comunanza Agraria di Savelli e Paganelli, ancora oggi esistente e che gestisce una superficie complessiva di oltre cinquantacinque ettari di terreno, divisi in due grandi appezzamenti, sistemati principalmente a bosco ceduo e pascolo. La direzione amministrativa viene attualmente esercitata da un Presidente e da quattro consiglieri eletti dai vari capofamiglia dei due paesi, oltre che da un cassiere e da un segretario, quest’ultimi comuni alle altre Comunanze. Infatti sono utenti della Comunanza Agraria di Savelli e Paganelli tutti i capofamiglia che risiedono da lunga data nelle due località e che quindi hanno ereditato, usufruito e possono continuare ad esercitare il diritto di pascolo e di legnatico sugli appezzamenti comuni, assegnati dal Comune di Norcia. Tali terreni sono situati in una piccola altura tra Paganelli e Savelli, che si trova mediamente sui mille metri di quota e comprende le località di Fontanelle e Monte Cafischi, il cui accesso avviene dalla strada Cascia-Savelli-Civita. La superficie forestale in essi ricompresa è costituita da un bel bosco misto, in parte anche di notevole sviluppo arboreo, con la presenza di specie centenarie, dove sono prevalenti il faggio, la roverella ed il carpino.

La Pro Loco di Savelli Da vario tempo si sentiva a Savelli la necessità di costituire un’associazione che assolvesse ai vari compiti di organizzazione sociale delle manifestazioni e delle attività ricreative, per affiancare l’operato dei vari santesi che organizzavano le feste ed anche l’attività collettiva della Comunanza Agraria. Finalmente il 12 settembre 1976, presso i locali della sede della Con23


fraternita del SS. Sacramento, adiacenti alla chiesa parrocchiale, si tenne una riunione a cui erano presenti Amici Pasquale, Petrangeli Furio, Taraddei Domenico, Taraddei Ugo, Ambrosini Gino, Taschetti Roberto, Funari Lorenzo, Diotallevi Don Antonio, Petrangeli Pietro, Filippi Raffaele, Di Bernardini Pietro, Conti Giuliano, Berardi Lorenzo, Bucchi Achille, Bucci Guerrino e Taraddei Bruno. Tutti i convenuti alla riunione espressero la volontà e la decisione di promuovere la costituzione di una associazione, chiamata successivamente Pro Loco, tra gli abitanti del paese, per fini culturali, sportivi, ecologici, folkloristici, ricreativi e organizzativi, che dovevano andare per il bene dell’intera comunità. Impegno primario per l’associazione in quel momento era la realizzazione di un campo sportivo per il gioco del calcio in località “Il Lago”, su un appezzamento di terreno di proprietà del Beneficio parrocchiale di S. Michele Arcangelo di Savelli. Il primo Consiglio di Amministrazione dell’associazione venne così composto: presidente Amici Pasquale, vice presidente Petrangeli Furio, consiglieri Taraddei Ugo Filippi Raffaele e Berardi Lorenzo, revisori dei conti Bucci Guerrino Taschetti Roberto e Conti Giuliano, segretario Diotallevi Don Antonio. Nell’anno successivo, il 1977, l’associazione fece l’atto giuridico ufficiale per la costituzione della “Pro Loco di Savelli”, per mano del notaio Nicola Capozzi di Cascia, al quale venne anche allegato lo Statuto, dove erano stabiliti i compiti e le finalità che gli associati si proponevano di raggiungere. Successivamente, con decreto del Presidente della Giunta Regionale dell’Umbria del 3 febbraio 1978 n° 123, la Pro Loco di Savelli venne iscritta all’albo regionale delle Pro Loco, insieme a quelle delle località di Gualdo Cattaneo, Marsciano e Vallo di Nera, ed ancora oggi è attiva ed operante.

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DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI

Savelli Villaggio situato all’estremità del Piano di S. Scolastica, proprio sul punto dove inizia la stretta valle del Pescia e la salita della strada provinciale “abruzzese”, che mette in collegamento le valli di Norcia e della Salaria. Il centro abitato è suddiviso in tre nuclei ben distinti, situati intorno alla chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo: Savelli Piano, Savelli Cuntra e Castellano. Savelli Piano sono tutto il gruppo di case che si trovano a valle e a monte della chiesa parrocchiale, allineate lungo le strade provenienti

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da Norcia e che si dirigono verso Pescia e Castel S. Maria, in comune di Cascia. Savelli Cuntra è il gruppo di case che si trovano invece dall’altra parte del torrente Pescia, ed è così chiamato in quanto si trova posizionato proprio di fronte agli altri due nuclei più grandi dell’abitato. Nell’area di Savelli Cuntra si possono notare anche un antico edificio un tempo utilizzato come mulino ad acqua, che per tale attività usava le acque del torrente Pescia, raccolta più a monte attraverso un canale di adduzione. La zona Castellano è invece quella che si trova sopra la collinetta che sovrasta l’abitato, accessibile da un arco, un tempo in pietra, che forse chiudeva come in una fortificazione tutto il gruppo di case ivi esistente. Dalla casa Berardi, già appartenente alla famiglia Zaccarelli, in seguito ai danni provocati dal terremoto del 1979, in località Piano, è stato staccato un affresco raffigurante la Madonna di Loreto e S. Sebastiano. Nell’area di Castellano, a monte dell’abitato, esisteva un tempo la chiesetta della Madonna del Colle, andata distrutta in seguito ai terremoti, la cui statua lignea bruciò insieme ad altri arredi e suppellettili in un incendio del 1913. Inoltre nella parte più alta di questo insediamento, verso il Piano di S. Scolastica, si trovano i ruderi di un’antica torre, indicata nel tempo come torre di difesa o di vedetta, in bella muratura circolare, oggi ricoperta da edera, appartenente forse ad un antico insediamento medievale, se non addirittura romano, in quanto da alcuni storici indicata come l’ultima reliquia di Rocca Florida. Tra i primi due insediamenti abitati si trova inoltre un’antica fontana, con lungo abbeveratoio, che riutilizza diversi elementi di recupero romani ed in particolare quello centrale con un rilievo a forma di “patera”, un utensile di epoca romana. Nei pressi della fontana e del torrente Pescia si trovava poi anche una grande vasca di acqua, 26


DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI utilizzata in passato per lavare i vari greggi di pecore prima della tosatura, in modo che le loro lane risultassero più pulite. Nel centro abitato di Savelli Piano, proprio davanti al bivio della strada che va verso Savelli Cuntra, si trova un’edicola votiva, oggi in stato fatiscente, dedicata alla Madonna Addolorata, costruita nel 1888 da Martorelli Giuseppe, addossata alla sua casa e costruita al posto di un’altra fatiscente e di più antica fattura, demolita nella stessa epoca, proprio per la realizzazione della costruzione. Nel centro abitato di Savelli Cuntra esiste poi una cappella dedicata alla Madonna della Pietà , rinnovata recentemente, ma esistente sin dall’epoca antica i quanto si trovava all’inizio della strada per Nottoria e S. Marco ed era curata dalla famiglia Petrangeli, che nei pressi era proprietaria di un elegante fabbricato. Nella parte più alta di Savelli Piano, dove nel tempo si è andata sviluppando la nuova espansione edilizia, si trovano infine un edificio destinato ad albergo ristorante ed uno stabilimento per la lavorazione delle carni di maiale. Chiesa di S. Michele Arcangelo La chiesa di S. Michele Arcangelo di Savelli è la chiesa parrocchiale della zona, con origini molto antiche, fondata come cella monastica benedettina, dipendente dall’Abbazia di S. Maria di Farfa, utilizzando nella costruzione anche materiali di recupero romani, essendoci nella zona un insediamento documentato e diversi monumenti votivi e funerari, come era in uso negli insediamenti dell’epoca. Dalle visite pastorali dei vari vescovi di Spoleto sappiamo poi che la chiesa era in origine divisa in due navate con pilastri o colonne al centro, come se ne vedono molte nei dintorni, aveva due portali in facciata, il campanile a vela a tre archi su un lato e la sacrestia ricavata dietro l’altare maggiore, accessibile da due porticine. Gli altari della chiesa erano nove, quello maggiore era nell’abside, era 27


dedicato al SS. Sacramento ed era sormontato da un grande tabernacolo in legno dorato con due angeli porta candelabri ai lati, gli altri, tutti con pale d’altare e tele, erano dedicati alla Madonna del Rosario, a S. Antonio Abate, alla Madonna di Loreto, a S. Luca, a S. Silvestro, a S. Erasmo, a S. Biagio ed al patrono S. Michele Arcangelo. La costruzione della chiesa fu comunque più volte modificata nel corso dei secoli e dopo alterne vicende fu completamente ricostruita nel sec. XVII, in seguito ai gravi danni subiti dal terremoto del 1703 e la struttura che vediamo adesso è il risultato dei lavori effettuati a seguito di tale importante ricostruzione. Dell’antica chiesa si possono comunque vedere alcune infrastrutture riutilizzate e principalmente i due altari laterali vicino a quello maggiore, che sono di epoca tardo cinquecentesca, anche se ridipinti e ornati nell’Ottocento, probabilmente scampati alla distruzione settecentesca e risistemati nella nuova chiesa.

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DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI La chiesa oggi si presenta con una bella facciata a capanna, con portale ed oculi trilobati ai lati, campanile a torre e guglia sul lato destro della facciata e portale dell’oratorio del SS. Sacramento nell’altro, interno a navata unica, pavimentata in marmo, coperta a volta e con altari laterali addossati alle pareti laterali. Nel primo altare di destra, con macchina in legno, si trova la tela seicentesca della Madonna di Loreto con i SS. Benedetto, Antonio Abate, Francesco d’Assisi, Antonio da Padova e Scolastica; esso fu restaurato nel 1837, con le offerte dei vari paesani e possidenti di greggi; presso questo altare si celebravano un tempo le feste di S. Antonio Abate e della Madonna di Loreto. Nel secondo altare, sempre di legno, si trova una nicchia ove è sistemato un Crocifisso, il cui culto, diffuso dalle varie predicazioni missionarie è ancora vivo nel paese, soprattutto in occasione delle processioni triennali del Venerdì Santo. Il titolo dell’altare è co-

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DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI munque quello della Madonna del Colle, in quanto vi fu trasferita la relativa cappellania e sistemata, dopo il crollo della chiesa con il terremoto del 1703, la statua della Madonna, prima conservata nell’omonima chiesa e andata poi distrutta durante l’incendio della sacrestia del 1913. Presso questo altare, che fu restaurato nel 1838 con l’elemosine raccolte presso tutti gli abitanti del paese, si costumava in antico fare la festa della Madonna Addolorata, detta anche la festa delle ragazze, in quanto organizzata da due giovani santesi, e la benedizione della gola nel giorno di S. Biagio. Il terzo altare è quello del Patrono, dove è sistemata, entro bella mostra lignea, restaurata nel 1883, la statua in legno dorato di S. Michele Arcangelo, festeggiato nell’ultima settimana di settembre, con molte manifestazioni civili e religiose, che durano alcuni giorni; in passato l’altare aveva un’amministrazione autonoma.

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Ai lati dell’altare si trovano alcune memorie di particolare protezione avuta da parte del santo come in occasione del colera del 1855, che comunque fece ben sedici vittime, della guerra del 1915-18, che invece ne fece soltanto una, nonché una memoria del Prevosto Don Luigi Patrizi morto nel 1828. L’altare maggiore è moderno ed è stato rinnovato completamente dopo gli ultimi restauri, in cui è stata realizzata anche la moderna mensa in marmo, decorata con un rilievo dove compare l’immagine del Buon Pastore. Dell’antico ciborio, che viene descritto come un’opera di pregio, scampato dai terremoti settecenteschi, si sa solo che fu smantellato e le varie parti vendute alle chiese parrocchiali di Colle Posta in Abruzzo e Buda di Cascia, ma un altro, a tempietto in legno dorato, si trova sistemato dietro la residenza. Un tempo si ricordava presso questo altare anche un coro ligneo ed un paliotto di pregio, alienato in epoca ottocentesca alla parrocchia di Pescia, mentre a lato c’è la memoria del defunto Prevosto Don Salvatore Petrangeli morto nel 1849. Ai lati dell’altare maggiore si trovano poi due grossi candelabri con stemma gentilizio, di epoca seicentesca, che in origine erano stati realizzati per la chiesa di S. Agostino Minore di Norcia, già sede di una confraternita agostiniana. L’altare che si trova sulla sinistra è una curiosa sistemazione di una statua di epoca cinquecentesca, raffigurante la Madonna col Bambino, inserita in una nicchia con macchina più tarda, dove sono anche sistemati i piccoli quadri dei quindici Misteri del Rosario e una tela con i SS. Domenico e Caterina da Siena. In questo altare ogni prima domenica del mese si cantavano le litanie della Madonna, vi si celebrava la messa ogni terza domenica del mese, vi si svolgeva la festa della Madonna del Rosario, quella del Sacro Cuore ed infine il giovedì santo vi si allestiva il santo sepolcro per riporre il SS. Sacramento. 32


DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI L’altare successivo, in legno, contiene la tela ove è raffigurato il compatrono di Savelli, S. Egidio, vestito da eremita e con ai piedi la cerva risanata, una cui chiesa, con relativo eremo, era anche situata in una vicina collina; presso questo altare vi si svolgevano molte feste della Madonna, compresa quella della Pietà. L’ultimo altare è dedicato alla Madonna del Suffragio, con relativa tela e mostra in legno, presso il quale in passato fu istituita una pia associazione laicale, con il compito caritativo di fare dei suffragi in espiazione delle Anime del Purgatorio, chiamata talvolta in alcuni documenti anche col il nome di Confraternita. Presso quest’altare si svolgeva la festa detta del Suffragio ed era documentato anche un sottoquadro raffigurante S. Filomena vergine e martire, nonché due piccole statue in legno che raffiguravano Angeli, fatti fare dallo stesso sodalizio. Nella controfacciata si trova una cantoria con sotto una bussola di legno con tre porte, due acquasantiere in pietra a colonna realizzate con materiali erratici e compositi ed il fonte battesimale dei tre paesi di Savelli, S. Andrea e Paganelli, formato da colonna e tazza in pietra con sopra un tabernacolo di legno. L’organo sopra la porta d’ingresso fu acquistato nel 1830 dalla Ditta Ferdinando Fedeli di Corneto di Camerino, ma operante a Foligno, ed è stato restaurato nel 1993, mentre la cantoria e la mostra dell’organo, a spese della popolazione, furono invece realizzate dal falegname nursino Paolo Antonio Marignoli. Nel 1833 furono poi realizzati i quadri delle stazioni della Via Crucis, grazie all’interessamento e alla sollecitazione di Fra Sisto da Beroide, predicatore della Quaresima e Guardiano del Convento di Montesanto di S. Pellegrino, opera del pittore nursino Luigi Coccia, e la residenza per l’esposizione del SS. Sacramento, sempre a cura dei frati di Montesanto, del pittore Mario Mari di Arquata. Nel 1837 fu poi realizzata la nuova sacrestia, sul fianco destro della chiesa, poi successivamente ampliata fino a diventare di tre stan33


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DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI ze, oltre che il campanile a torre, iniziato in tale epoca e completato soltanto nel 1927. La torre campanaria con alta guglia, restaurata recentemente, conserva ancora le tre antiche campane della vecchia chiesa, già situate sul vecchio campanile a vela, che recano le seguenti iscrizioni: Iesus, Maria, Anna, Ioseph, Tetragrammaton. Michael Arcangele veni in adiutorium populo tuo ne pereamur in tremendo judicio. AD MCCCCCLXXVI. Gaspar Avillanus me fecit; Christus Rex venit in pace et homo factus est. AD 1713; Sancte Michael Arcangele a flagello terremotus libera nos Domine AD 1794. Chiesa del SS. Sacramento Accanto alla chiesa parrocchiale, sul lato sinistro della medesima, sorge un corpo di fabbrica, ancora oggi chiamato l’Oratorio, che è stato costruito dalla locale Confraternita del SS. Sacramento, che lo utilizzava come cappella privata. La sua epoca di costruzione fu certamente contemporanea agli speroni con i quali furono fortemente rinforzati i muri laterali della chiesa di S. Michele Arcangelo, presumibilmente in seguito ai danni provocati dal terremoto del novembre del 1599, che aveva sconvolto tutta la zona e quindi anche il paese di Savelli. Fu dunque la sede storica della Confraternita del SS. Sacramento, che a Savelli fu fondata proprio alla fine del sec. XVI, seguendo alla lettera le direttive imposte dalla nuova Controriforma, scaturita per combattere la Riforma Luterana, in quell’evento importante per la Chiesa Cattolica, che fu il Concilio di Trento. Presso l’Oratorio i membri della Compagnia vi si riunivano per svolgere le loro funzioni religiose private e soprattutto per trattare i vari argomenti inerenti la vita liturgica, ma anche economica e sociale della piccola comunità. Infatti presso la sede della Confraternita fu istituito anche il Monte Frumentario, gestito dal medesimo sodalizio, con lo scopo di forni35


re ai bisognosi il grano necessario per sfamarsi e per seminare, aspettando la successiva raccolta per la restituzione, e solo con un piccolo interesse per mantenere la massa del frumento da distribuire, infatti si prestava con le misure tirate a raso e si restituiva a colmo. In tal modo gli abitanti di Savelli si potevano così sottrarre ai prestiti fatti dagli usurai, che fino all’istituzione dei Monti Frumentari, promossi principalmente dall’Ordine dei Frati Minori Francescani, pretendevano interessi molto alti. Oltre a questi compiti istituzionali, l’edificio religioso, che aveva annessi diversi locali oltre alla stanza detta dell’oratorio, nel corso dei secoli, è stato adibito anche ad altri usi, quali abitazione per il cappellano della Madonna del Colle e del Predicatore della Quaresima, sede della Scuola Elementare, dell’Asilo Infantile, gestito dalla Parrocchia, di un centro culturale e ricreativo, della Comunanza Agraria di Savelli e Paganelli e della locale Pro-loco. Attualmente nel locale, usato come magazzino della chiesa, si trovano ex-voto di emigranti e di combattenti della prima guerra mondiale, capitelli, candelieri ed altre suppellettili provenienti dalla chiesa parrocchiale e da altre del circondario. Presso i locali di questa chiesa in passato era riposta anche una carrozzella o lettiga che veniva usata per il trasporto dei malati all’ospedale di Norcia, fornita dalla benemerita Società dei Pizzicaroli Nurcini a Roma e per questo utilizzata anche dagli abitanti di tutti gli altri paesi circostanti. Chiesa di S. Maria del Colle A Savelli oltre alla chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo era esistente, fino al terremoto del 1703, anche la chiesa della Madonna del Colle, che si trovava sopra la collina, che tuttora sovrasta l’abitato, in prossimità dell’antica torre. Non si conosce l’epoca di fondazione della chiesa in quanto non menzionata nella visita pastorale del Vescovo Barberini del 1611, 36


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né in quelle dei suoi predecessori, ne parla per la prima volta solo il Vescovo Lascaris, nella sua visita pastorale del 1712, dove la definisce come una piccola chiesa rurale, poveramente strutturata, con unica porta, unico altare e l’Immagine della Madonna dipinta sul muro. In realtà la chiesa doveva essere molto più antica e più importante se è vero che un’antica statua romanica, detta della Madonna del Colle, si conservava ancora nella sacrestia della chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo fino al sec. XIX e andata distrutta in un incendio del 1913, che bruciò gran parte degli arredi e delle suppellettili, che si erano accumulate nel corso di secoli di devozione. Dalla documentazione in possesso della parrocchia si sa poi che, nel sec. XVII, si era provveduto ad un radicale restauro dell’edificio, grazie ad una generosa elargizione del concittadino Ennio Zaccarelli, che con un suo testamento, aveva istituito erede principale dei suoi beni la Compagnia del SS. Sacramento. Con i cospicui proventi di tale eredità, infatti, la Compagnia doveva provvedere al restauro dell’edificio, nonché a garantire il servizio religioso nella chiesa della Madonna del Colle, stipendiando un cappellano, il quale, oltre che a celebrare un certo numero di messe in suffragio dell’anima del testatore, doveva garantire l’insegnamento della Retorica e della Grammatica a tutti i giovani del paese. La medesima Confraternita aveva però il diritto di scegliere il cappellano, anche se per una clausola testamentaria, aveva l’obbligo di eleggere un prelato della stessa famiglia Zaccarelli, qualora figurasse tra gli aspiranti a rivestire l’incarico. La chiesa cadde poi sotto le scosse del terremoto del 1703 ed il Vescovo Lascaris, benché la descrivesse nella sua forma originaria, la definisce anche come andata completamente diruta ed ancora sepolta sotto le rovine del terremoto. Il cappellano della Madonna del Colle continuò comunque a ricoprire e svolgere il suo incarico, in quanto il titolo della chiesa fu trasferi38


DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI to presso un altare della chiesa parrocchiale e così gli abitanti di Savelli poterono continuare ad usufruire dei benefici della scuola, fino a quando non fu istituita quella pubblica. Chiesa di S. Egidio Entro i limiti della parrocchia di Savelli, ad una distanza da circa due chilometri dal paese, sopra un alto colle ed in mezzo ad un folto bosco, si trova ancora oggi una piccola chiesa campestre, dedicata a S. Egidio Abate. Dai ruderi sparsi che un tempo si vedevano intorno alla chiesetta si può supporre che un tempo vi sia stato un eremo, ciò è avvalorato dal fatto che la tradizione orale vi localizza la presenza di religiosi e che la dedicazione è rivolta ad un santo che ha praticato l’eremitaggio e molto venerato nel mondo eremitico. A poca distanza dal fabbricato, per uno spazio circostante allo stesso, ancora si vedono le vestigia di un largo viale che girava intorno e di una chiudenda che recingeva una parte del colle, in modo da isolare l’abitazione del custode. Prima delle demaniazioni post unitarie la chiesa di S. Egidio possedeva anche dei beni rustici che costituivano un beneficio semplice, di cui era investito il canonico della cattedrale di Norcia, Don Vittorio Cionci, ma in seguito alla soppressione gran parte dei suoi beni furono venduti e solo alcuni sono rimasti alla locale Confraternita del SS. Sacramento, che li usava per i mantenimento della chiesa. Attualmente il piccolo edificio, dopo essere stato per lungo tempo in abbandono, allo stato fatiscente ed allo stato di rudere, è stata restaurata completamente, grazie all’interessamento della locale Pro Loco ed è oggi meta sempre più frequentata di un pellegrinaggio che si svolge in occasione della festa del titolare.

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Paganelli Villaggio situato nella parte più in alto del Piano di S. Scolastica, detta “Capo del Campo”, dove erano anche dislocati gran parte dei villaggi situati nella pianura suddetta e che costituivano il contado vero e proprio della cittadina. Ha l’aspetto di una villa agricola e di transito, situata al centro di una fertile area intensamente coltivata, dove un tempo scorreva il fiume Pescia, ora captato a scopi idrici, e lungo antichi itinerari di collegamento tra i vari paesi della zona. Lungo l’alveo del fiume Pescia, ormai asciutto, si può notare anche un antico edificio, un tempo destinato ad uso dell’attività molitoria, servizio necessario ed indispensabile per la panificazione, che era alla base dell’alimentazione. Il nome potrebbe derivare da “pagus”, villaggio agricolo romano, sorto forse in epoca della centuriazione romane, quando furono assegnate terre ai veterani di varie guerre, soprattutto al tempo dei Gracchi e dell’imperatore Augusto. Una foto area della zona circostante ha poi rivelato la presenza di due castellieri di epoca preistorica, a forma circolare, poco distanti dal paese, che si trovano in due alture vicine all’abitato, che superano di poco i mille metri. L’antichità di Paganelli è comunque documentata anche dai diversi reperti archeologici, rinvenuti in loco ed in gran parte ancora conservati, come conci riutilizzati, cornici modanate, fregi, are votive ed iscrizioni. Inoltre una delle porte della cerchia muraria di Norcia, quella che usciva verso Capo del Campo, oltre ad essere chiamata Porta Massari, viene anche detta Porta Pagani, con indicazione che da lì si andava fino a Paganelli. Secondo un’antica leggenda, diffusa tra le popolazioni della zona, fu da questa porta che uscirono tutti gli abitanti di Norcia che non vol41


lero convertirsi al cristianesimo e si rifugiarono in una zona che poi prenderà il nome di Paganelli. Al centro dell’abitato, che non presenta particolari edifici con particolari pregi architettonici, si trova una piazza dove prospettano la piccola chiesa della località, dipendente dalla parrocchia di Savelli, con davanti un’ara votiva dedicata ad Ercole Santo del sec. I a. C., ed un’antica fontana, che fino a qualche decennio fa, conservava elementi architettonici riutilizzati nella costruzione. Nei pressi di Paganelli è invece documentato che vi si accamparono diverse compagnie di ventura, che tra il sec. XV ed il successivo, scorazzavano per l’Italia, come quelle di Francesco Sforza, di Guerriero d’Ascoli, di Everso dell’Anguillara e di Pierluigi Borgia, nipote di papa Callisto III, inoltre anche lo stesso paese è stato patria di due condottieri: Antonio di Mancino, aiutante di Niccolò Piccinino, ed Andrea Tartaglia, suo nipote, capo delle guardie pontificie di Sisto IV. Molti degli abitanti di Paganelli, secondo quando ci riferisce nella sua accurata relazione del 1587, il visitatore apostolico Mons. Innocenzo Malvasia, erano dediti all’arte della fienagione e usavano spostarsi nella buona stagione fino a luoghi molto lontani dal paese, per svolgere la loro arte ed avere quindi un guadagno integrativo con cui poter sopravvivere durante il lungo invero. Tale arte del lavoro stagionale si è poi prolungata sino ai giorni nostri, anche se l’arte è variata poi nella pastorizia e nella norcineria e le mete di lavoro sono state quelle di Roma, nonché delle cittadine e campagne laziali e toscane. Paganelli fu fortemente colpita dai danni provocati dal terremoto del 1703, infatti dalla relazione del Commissario Apostolico, Mons. Pietro De Carolis si apprende che era rimasta senza abitazioni e dei 37 abitanti, ben 27 erano morti sotto le macerie e gli altri erano riparati in altri luoghi, compreso il cappellano della chiesa dei SS. Pietro e Paolo, che aveva avuto distrutto sia la chiesa che la sua abitazione. Anche i recenti terremoti hanno provocato ingenti danni, tanto che 42


DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI la maggior parte delle case sono state demolite e ricostruite, facendo perdere al paese le caratteristiche architettoniche che invece lo connotavano precedentemente. Nella parte retrostante della chiesa, vicino alla pubblica fontana, che conserva tra i materiali di costruzione pezzi di recupero molto antichi, si trova anche una piccola edicola, restaurata di recente, che raffigura l’immagine del Sacro Cuore di Maria tra i SS. Michele Arcangelo e Benedetto. Chiesa di S. Salvatore La chiesa di S. Salvatore era in origine dedicata a S. Paolo ed era dipendente dalla chiesa parrocchiale di Savelli, ma cambiò il titolo in seguito al crescente culto per una immagine miracolosa del Volto Santo, posta sopra l’altare maggiore, che in epoca seicentesca, si diffuse in molte parti dello Stato Pontificio. La chiesa fu molto rimaneggiata e ridimensionata in seguito ai gravi danni subiti dalle scosse dei terremoti del 1703 e 1730, riduzione tra l’altro applicata anche agli altari della chiesa, che sono diminuiti anche di numero, da tre a cinque. Infatti in origine nella chiesa più antica esistevano ben cinque altari, uno con funzione di altare maggiore, dedicato ai SS. Pietro e Paolo, e gli altri a S. Nicola, a S. Giuseppe, alla Natività di Maria e a S. Giovanni Evangelista. L’antichità della chiesa è comunque attestata dai tre pilastri cinquecenteschi, appartenenti alla primitiva sistemazione, e da alcune date presenti, la prima del 1571 nella canonica e le altre del 1592 sulla soglia della porta. L’esterno è con una semplice facciata a capanna, dove si aprono il portale e il rosone soprastante, arricchita poi a lato da un campaniletto a vela, con due celle campanarie sovrapposte, dove si conserva ancora una campana originaria del 1695, che assolve alla sua funzione, insieme con un’altra più recente. 43


L’interno, recentemente restaurato in tutte le sue strutture portanti dei muri e del tetto, è pavimentato in cotto, dove si aprono anche delle tombe a pozzetto, e coperto da un grazioso soffitto ligneo a piccoli cassettoni policromi. Alle pareti laterali si trovano, entro nicchie, due altari gentilizi con le statue della Madonna a destra e di S. Giuseppe a sinistra, entrambi i lavori sono del sec. XVI e interessanti sono pure i sottoquadri, del Cuore di Maria e di S. Vincenzo Ferrer. L’altare maggiore è dedicato attualmente al Volto Santo di Gesù, da cui il nome della chiesa di S. Salvatore, raffigurato in un dipinto su rame del sec. XVII, che replica l’immagine venerata nella Basilica Vaticana di Roma, posto al centro della macchina d’altare in legno, con ai lati due tele della stessa epoca, raffiguranti gli apostoli Pietro e Paolo, già antichi titolari della chiesa, e due teche laterali, dove si conservano dei paramenti liturgici di epoca seicentesca. La venerazione ai santi tutelari del posto è anche documentata da due ex-voto ottocenteschi che si trovano appesi ai due pilastri del presbiterio, nei quali sono raffigurati due episodi di scampato pericolo, come quello dell’assalto dei briganti ad un cavaliere, presso la chiesa di S. Scolastica di Norcia, per l’intercessione del Volto Santo di Gesù e quello della guarigione da una malattia per l’intervento dei santi apostoli Pietro e Paolo, a cui una devota si era rivolta. Infatti sia l’icona del Volto Santo di Gesù che la venerazione dei santi apostoli, hanno suscitato nei tempi passati una grande devozione da parte degli abitanti di Paganelli e delle altre frazioni di Capo del Campo, soprattutto per le loro speciali virtù traumaturgiche, ed in particolare quella esercitata verso gli apostoli Pietro e Paolo, in quanto si riteneva che fossero passati per questa zona, per cui, come in altre zone circostanti, si prendeva anche l’olio della lampada accesa nella chiesa, per ungere le parti doloranti e per allontanare artriti e sciatalgie. 44


DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI

S. Andrea Piccolo gruppo di case che si trova allineato lungo il torrente Pescia, in uno slargo della valle, a breve distanza da Savelli ed ai piedi del colle dove si trova l’abitato di Castel S. Maria, distinto in più nuclei, a volte anche distanti tra loro. Conserva in tal modo la classica tipologia di una villa di transito, circondata da fertili prati irrigui, campi e filari di pioppi cipressini, un tempo utilizzati per l’alimentazione degli animali e come legno di costruzione. Nel primo gruppo di case che si incontra provenendo da Savelli, si trova la piccola chiesa della località, mentre nel gruppo di case posto dalla parte opposta del fiume, detta “lu vicinatu”, si trova un antico mulino ad acqua, riconoscibile dalla forma di costruzione e dal canale di adduzione dell’acqua.

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Fu sempre in continua rivalità con il vicino paese di Savelli, anche per i motivi più disparati, principalmente per l’utilizzo delle acque del Pescia, che in particolar modo durante la stagione estiva non erano sufficienti per tutti, ma soprattutto per il fatto che in passato S. Andrea era dipendente dalla località principale. La località compare per la prima volta nella storia nel 1233, quando versa un contributo a Omodeo vicario di Montagna per conto del Cardinale Giovanni Colonna, che in quel periodo era il rettore feudale del Ducato di Spoleto, per conto della Curia Pontificia, per la quale quindi riscuoteva tali tasse, dette anche “fodrum”, ossia fuocatico, da dividere perciò per famiglia, e che servivano per mantenere l’esercito e come legittimo e tangibile atto di sudditanza. Inoltre come le vicine località di Savelli e Paganelli, fu anticamente sottoposta all’Abbazia di S. Maria di Farfa, sia dal punto di vista religioso che da quello temporale, per il fatto che nella zona la stessa abbazia farfense aveva diversi possedimenti terrieri e proprio nel centro di Savelli aveva da lungo tempo fondato una cella monastica benedettina, dedicata a S. Michele Arcangelo, che divenne poi la successiva chiesa parrocchiale di tutti e tre i centri abitati. In seguito, sempre nel sec. XIII, non appena si costituì il libero Comune di Norcia, il paese di S. Andrea, insieme con gli altri vicini, andò a far parte del suo territorio, con la qualifica di “villa”, ossia villaggio non fortificato, iniziando così a seguire le sorti della vicina città, di cui ancora oggi è frazione. Un tempo alcune case di S. Andrea, e precisamente quelle ultime lungo la strada per Pescia, non facevano parte né del paese né della parrocchia di Savelli, ma si trovavano sotto il paese di S. Marco, per cui erano chiamati Casali di S. Marco. Lungo la strada tra Savelli e S. Andrea è stata recentemente realizzata una edicola dedicata alla Madonna del Buon Consiglio, mentre un’altra sempre dedicata alla Madonna si trova al centro del nucleo principale del paese. 46


DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI Tra le diverse altre testimonianze di pietà popolare che si trovano nel paese, sono da segnalare un affresco raffigurante S. Antonio Abate in casa Taraddei del 1599 e un altro di S. Antonio da Padova, in casa Venturini, invece del sec. XV. Nel paese esisteva un tempo ed è ancora facilmente individuabile, nelle case lungo la vallata di fronte al nucleo più antico del paese, un mulino ad acqua per macinare il grano, che utilizzava le acque del fiume Pescia, mentre un altro ne esisteva un poco più a monte del paese ed era chiamato Le Mole, che in passato era utilizzato principalmente dagli abitanti di S. Marco e di Castel S. Maria, ora in comune di Cascia, ma un tempo facente parte del distretto nursino. Chiesa di S. Andrea Nella frazione di S. Andrea esiste ancora oggi un unico edificio religioso dedicato all’omonimo apostolo, le cui orini sono molto antiche, come testimoniato dalla Visita Pastorale del Vescovo Barberini, svolta nel 1611, da cui si apprende che le condizioni statiche erano molto preoccupanti, in quanto le volte che lo coprivano erano sul punto di crollare e quindi necessitavano di urgenti lavori. La stessa chiesa la troviamo invece molto ben strutturata e custodita durante la successiva Visita Lascaris del 1712, seguita a pochi anni dai danni provocati dal terremoto del 1703, segno evidente che non solo essa era stata ristrutturata già nel secolo precedente, ma anche a quell’epoca erano già stati riparati e cancellati i danni, evidenziati invece dal Commissario Apostolico Mons. Pietro De Carolis, da dove si apprende che gli abitanti erano 100, i morti 2 , la chiesa aveva subito diversi danni ed il campanile era addirittura crollato. Forse fu proprio in seguito a tale ristrutturazione che furono celati gli affreschi del sec. XV, che sono invece tornati alla luce in occasione di un nuovo crollo della chiesa dopo i terremoti del 1979, all’altezza del pavimento della costruzione più moderna, quindi distaccati con un pronto intervento a cura della Soprintendenza. 47


Gli affreschi attualmente restaurati e conservati momentaneamente presso un deposito di Norcia mostrano una teoria di santi protettori, tra cui è più volte ripetuta la Madonna di Loreto, molto venerata nella località. L’edificio attuale si trova all’inizio del paese, poggia su una lunga volta che costituisce il vano inferiore della chiesa, attualmente inaccessibile, ed è stata in gran parte ricostruita e restaurata recentemente a seguito dei danneggiamenti del terremoto del 1979 ed ha nei pressi un’antica fonte di origine medievale. Alle pareti laterali della chiesa un tempo erano situati due altari di epoca barocca, uno dedicato alla Madonna di Loreto, con nicchia dove si trovava la relativa statua, e l’altro a S. Antonio di Padova, la cui macchina d’altare proveniva da una delle distrutte chiese di Norcia e qui collocata a spese della famiglia Simoni. Attualmente la chiesa ha la porta su un fianco dell’edificio, ha su un lato un campanile a vela due fornici affiancati e realizzati di recente, in quanto quelli antichi erano stati demoliti dal terremoto. All’interno, recentemente sistemato con due quinte lignee che celano la sacrestia e il luogo per suonare le campane, conserva l’altare maggiore a colonnine con sopra la nicchia per la statua del santo protettore del paese.

Il Santuario della Madonna della Quercia Il santuario della Madonna della Quercia sorge in aperta campagna, vicino ad alcune querce centenarie, nelle vicinanze di Valcaldara e Paganelli, anche se la giurisdizione ecclesiastica dipende ancora dalla parrocchia di Savelli. Per la giurisdizione di tale chiesa ci furono in passato anche diverse controversie soprattutto tra gli abitanti di Paganelli e le monache seguaci della Beata Lucia di Valcaldara, che avevano edificato un pic48


DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI colo monastero nella stessa Valcaldara e vantavano dei diritti sulla chiesa, ma le controversie vennero meno allorquando le monache lasciarono il piccolo paese per trasferirsi a Norcia e quindi non si occuparono più dei diritti sulla ormai distante antica chiesa campestre. Forse quello della Madonna della Quercia non è il titolo originario di questa chiesa che fu antichissima e denominata anche come la Madonna di Capo del Campo, sorta intorno ad un’edicola, lungo la via Pellerina, uno dei maggiori percorsi seguiti dalla transumanza, in quanto metteva in collegamento l’area del Piceno con la Vulnerino e quindi con Roma e tutta la campagna circostante. Il titolo attuale fu dato sicuramente in occasione dei lavori della ricostruzione cinquecentesca, dato che in quel periodo si era diffuso il culto della Madonna sotto tale titolo, dopo il ritrovamento, nella zona del viterbese, di una immagine della Vergine dipinta su tegola e inserita tra i rami di una quercia da un devoto. Le poche notizie che si ricavano dalle Visite pastorali non accennano nemmeno ne alla fondazione, ne all’importanza che la chiesa aveva in passato sia per gli abitanti della zona che per i viandanti che transitavano per il Piano di Norcia. Una leggenda locale vuole che sul posto in epoca cinquecentesca fosse avvenuta una miracolosa apparizione della Vergine ad un ragazzo o una fanciulla e per questo motivo cominciò ad accorrere una moltitudine di fedeli che richiedevano grazie, tanto che un tal Pierdomenico, alias Pozzo dalli Paganelli commissionò ad un maestro pittore locale, attivo a Norcia nella prima metà del sec. XVI, una immagine che raffigurava proprio la Madonna col Bambino in braccio, seduta su una panca, con in alto due angeli che la incoronano e sullo sfondo una quercia stilizzata, mentre in basso è raffigurato il committente che divenne ben presto anche il custode dell’immagine e della costruenda chiesa di S. Maria della Cerqua. Divenendo subito un santuario mariano molto frequentato, soprattutto da viandanti e pellegrini, l’altare che racchiudeva la sacra im49


magine ed il presbiterio furono separati dal resto della chiesa da una grande cancellata in ferro che era possibile superare passando da due porticine in pietra situate ai lati, nei cui architravi era incisa la seguente scritta: “Ihesus – 1526 – Virgo Maria – Al tempo de Francisco de Sannibaldo e Lorito de Iovanno Antonio Santisi”. Nonostante il grave stato di fatiscenza in cui versa attualmente, l’edificio mostra ancora una grande impostazione architettonica cinquecentesca di cui restano all’esterno robusti pilastri e volte costolonate in pietra sponga, che denotano una costruzione originaria a tre navate, preceduta e circondata da trasanne. Nella facciata si trovano ancora il grande portale a tutto tondo, con le due finestrelle devozionali ai lati e l’oculo in alto al centro, mentre sul lato destro, in corrispondenza della sacrestia, si eleva un piccolo, ma snello campanile a vela. Il grande edificio, presso il quale con il tempo si era affievolito il culto, dovette però soccombere in seguito alle scosse del terremoto del 1703, dopo il quale fu comunque approntato un pronto restauro settecentesco che salvò almeno il presbiterio e la navata centrale, con i quali continuò a svolgere il suo ruolo di santuario, ma successivamente con l’incuria del tempo e soprattutto a causa dei danni provocati dai terremoti del 1979 attualmente risulta scoperchiato e spoglio, ad eccezione della parte presbiterale con campanile recentemente restaurata. Da questa chiesa sono stati anche distaccati una serie di affreschi del sec. XVI, che si trovavano lungo le pareti della chiesa e che attualmente sono conservati nel Museo della Castellina di Norcia e che raffigurano principalmente la Madonna col Bambino, venerata in questa chiesa sotto il titolo della Madonna della Quercia. Presso questa chiesa, nel corso dei secoli, venne edificato anche un piccolo eremo, rimasto abitato fino alla fine del sec. XIX, quando nelle immediate vicinanze venne costruito anche il cimitero per tutte le frazioni di Norcia, facenti capo a questo territorio denominato Capo del Campo. 50


DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI La Fiera della Madonna della Quercia Subito dopo la costruzione del grande santuario mariano di Capo al Campo, venne istituita nella stessa località anche una grande fiera o mercato, che ebbe da subito una grande importanza sia per gli interessi economici che vi giravano intorno, che per l’interessante ingaggio che si poteva effettuare, da parte di mercanti e commercianti, di lavoranti stagionali per l’inverno successivo. Proprio per questo ultimo motivo la fiera che si svolgeva fino al sec. XIX intorno alla chiesa di S. Maria della Quercia, nei giorni immediatamente successivi alla festa dell’Assunzione di Maria, cominciò ad essere conosciuta nel circondario con il curioso nomignolo di “Fiera di sienti ‘mpuò”. Anzi questa fiera è ancora quella che si svolge a Norcia il 16 agosto ed è ancora conosciuta con la stessa identica denominazione, che malgrado siano cambiate le condizioni economiche, conserva la particolare dicitura, in quanto per secoli è stato questo un giorno particolare, per chi doveva cercare lavoro e per chi si doveva assicurare la manodopera stagionale. Di tale fiera si conservano anche i Capitoli che il Comune di Norcia redasse nel 1560, nonché varie Riformanze Comunali dove, già da prima della redazione dei Capitoli, venivano nominati i Soprastanti, uomini incaricati di provvedere alla pubblicizzazione e al miglior svolgimento della fiera. La sua indizione veniva fatta a mezzo di un provvedimento preso dalla suprema Magistratura comunale, che veniva bandito in diversi luoghi della città e del Contado, affinché tutti potessero prendere parte alla manifestazione. I Soprastanti, che erano quattro, due della città e due del Contado, dovevano provvedere, per la buona riuscita della fiera, con piena autorità e decisione, ad far allestire taverne, osterie e banchi di vendita di carne, frutta, vettovaglie e ogni altra cosa da mangiare, in modo che non mancasse niente ai partecipanti. 51


Avevano poi piena autorità di redimere qualsiasi controversia, di far pulire le strade prossime alla chiesa, di far sgombrare i terreni dove si sarebbero sistemati i venditori di oggetti e di bestiame e di provvedere in prossimità della fiera di non far deviare l’acqua del Pescia, molto necessaria dato il raduno di tanta gente. Il giorno della festa dell’Assunzione, il 15 agosto, si potevano lucrare presso la chiesa delle Indulgenze plenarie, per cui si doveva provvedere a far dire diverse messe e in ultimo una Messa cantata, dove venivano poi offerti dei ceri per l’altare della Madonna della Quercia, da parte del Sindaco del Comune, dei Capi d’Arte, dei Connestabili delle Guaite e dai Vicari, Massari e Sindaci dei vari centri del Contado, chiamati con ordine attraverso il suono di una tromba. Tutti costoro si dovevano radunare davanti al piazzale della chiesa, in prossimità di un’edicola esistente un tempo nel piazzale e chiunque non compariva, doveva pagare una multa in denaro, che andava sempre a beneficio della chiesa. Subito dopo aveva luogo la fiera, che poteva durare sino a dieci giorni, con tutti i privilegi e le facilitazioni di vendita e acquisto delle merci e dei bestiami, che avevano in Norcia le fiere di S. Benedetto e di S. Giovanni. Alla fiera dovevano partecipare tutti i venditori e mercanti di Norcia e dei centri vicini, provenienti anche dai territori confinanti, e principalmente i venditori di stoffe e merci varie, calzolai, fabbri, ramai, vasari, vetrai e fruttaroli, nonché tutti coloro che avessero degli animali da vendere, grosso o minuto che fosse. Tutti costoro dovevano poi accordarsi con i Soprastanti, per organizzare case mobili, padiglioni, baracche, capanne tettoie e recinti, che potevano restare in piedi nei luoghi prestabiliti, fino alla fine del mese di agosto. Il giorno 16 agosto, successivo alla festività, si correva poi il Palio delle Cavalle, una sorta di corsa, dove vinceva il cavaliere che arri52


DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI vava primo, con partenza dal luogo chiamato la mossa ed arrivo nel piazzale della stessa chiesa. La fiera si continuò a svolgere, forse con minor concorso di popolo e con minori festeggiamenti religiosi fino a circa la metà dell’Ottocento, quando il Comune di Norcia provvide a far trasferire d’autorità la fiera all’interno della Città. Il trasferimento non avvenne comunque da un giorno all’altro, se è vero che in alcuni documenti di archivio settecenteschi, compaiono già diverse richieste da parte del comune di Norcia alle autorità competenti, per tale trasferimento. Avvenuto il trasferimento della fiera in città, il Comune pian piano venne meno agli obblighi di mantenimento, malgrado i vari cappellani che prestavano servizio nella chiesa si appellavano di volta in volta e la chiesa inesorabilmente iniziò un lento declino, che l’ha portata alla situazione attuale.

Il Santuario della Madonna della Neve Sul luogo dove oggi ci sono i resti della grande chiesa della Madonna della Neve, sorgeva in passato una piccola chiesa dipendente dal priorato di S. Angelo di Savelli e di conseguenza dall’Abbazia di Farfa, ma essendo andata distrutta nel tempo, era stata sostituita da un sacello campestre con dentro l’immagine della Beata Vergine Maria dipinta entro una nicchia, in un vocabolo detto Collefitto o Collefischio, vocabolo che dava il nome anche alla suddetta maestà. Il piccolo sacello della Madonna di Collefitto o Collefischio era già venerato dalla popolazione locale sin dal sec. XV, cioè fin da quando era stato costruito e l’immagine di tale Madonna venne poi conservata sopra l’altare maggiore della nuova chiesa, che si iniziò a costruire dopo un prodigio verificatosi sul posto. Infatti in quegli anni avvenne il ritrovamento miracolosamente in vi53


ta, dopo tre giorni di gelida bufera, di un viandante riparatosi entro il sacello della Madonna e da quel momento le popolazioni circostanti cominciarono a frequentare il luogo e a lasciare diverse offerte, che furono all’inizio della costruzione. Quindi l’origine della fondazione del nuovo Tempio si deve proprio ad un evento storico, sebbene di sapore leggendario, che tramandatosi oralmente per secoli fu trascritto nella Visita pastorale del Vescovo di Spoleto Carlo Giacinto Lascaris e prima ancora, raffigurato in una formella della cantoria dell’organo, ora non più esistente, ove si vedevano due squadre di spalatori di neve che erano alla ricerca dell’uomo perduto, mentre esso stava in preghiera dentro l’antico sacello. Da allora in poi questo luogo venne denominato Madonna della Neve, il cui titolo ricorda la fondazione della Basilica Romana di S. Maria Maggiore, avvenuta durante il pontificato di Papa Liberio e grazie ad una provvidenziale nevicata che segnò proprio gli spazi dove doveva sorgere la nuova chiesa mariana. Era l’anno 1564 e l’anno dopo furono discussi dalla Comunità di Norcia vari progetti, ma tra questi ne fu scelto uno che si ispirava a quello del Bramante, mai realizzato completamente, per la Basilica di S. Pietro a Roma. Il Comune ne approvò il progetto il 13 ottobre 1565 e scelse a presiedere i lavori D. Pomponio Tebaldeschi di Norcia e Giovanni Battista Demensi di Spoleto, la prima pietra fu posta dal Vicario Foraneo Tebaldeschi, la seconda da Giovanni Battista Seneca, pievano della Collegiata di S. Maria, la terza dai Consoli nursini, i lavori continuarono dal 1565 al 1571 progredendo velocemente, sostenuti anche dal Vescovo di Spoleto Fulvio Orsini, che ogni tanto si recava a vedere i lavori. La chiesa si presentava esternamente a membranature ottagone, culminante in cima con un tiburio più piccolo, con oculi ai lati, ma della stessa identica forma della chiesa, mentre all’interno racchiudeva una pianta a croce greca. L’edificio, interamente rivestito in pietra, con paraste angolari, ca54


DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI pitelli e cornice di sottogronda, fu realizzato dalle maestranze lombarde che in quegli anni stavano costruendo la Castellina e la chiesa di S. Maria Argentea. Due eleganti portali con nicchie laterali e sormontati da finestroni, si aprivano su due lati, pregevole fattura di M. Gerolamo di Giuliano Marchetti di Como, che qualche anno dopo realizzò anche i portali della chiesa di S. Maria Maddalena di Cascia, attualmente conservati nelle immediate vicinanze del Santuario di S. Rita. Lo spazio interno della croce greca era organizzato da elementi architettonici che ne rendevano elegante la realizzazione, ornati come erano da capitelli, cornicioni ed arconi che marcavano le quattro volte dei bracci e la cupola centrale. Ai quattro lati della croce corrispondevano le due porte d’ingresso, l’altare maggiore e la porta della sagrestia con sopra la cantoria e l’organo, nei tre bracci delle navate, tranne in quello ove era l’altare maggiore, si aprivano sei nicchioni, che accoglievano altrettanti altari laterali di varia committenza. L’altare maggiore era chiuso da una cancellata in ferro, con sul davanti un’urna lignea per le offerte con lo stemma del Vescovo Fulvio Orsini, ed era provvisto di una grandiosa macchina d’altare lignea, intagliata e dorata con al centro i resti della Madonna in affresco del sec. XV, già nel primitivo sacello. In seguito ai lavori di smantellamento, dopo il crollo del terremoto del 1979, sono tornati alla luce sotto l’altare maggiore alcuni elementi antichi, tra cui un rocchio di colonna romana, che forse sta a testimoniare la continuità di un luogo di culto posto lungo uno degli itinerari più transitati della zona. I sei nicchioni delle pareti laterali furono affrescati da Camillo e Fabio Angelucci da Mevale dal 1570 al 1584, che con il padre Gaspare avevano fondato nelle montagne di Norcia una vera e propria scuola di pittura e furono attivissimi in tutto il territorio della Valnerina, del Nursino, del Casciano e dello Spoletino. 55


Il primo nicchione fu affrescato da Camillo e Fabio nel 1570, fu commissionato da un compagnia di Donne devote alla Madonna, con a capo la priora Ursulina di Giacomo, che fecero raffigurare L’Assunzione di Maria tra gli Apostoli, con in alto, sopra l’arco, in tondi, l’Annunciazione e l’Incoronazione, mentre ai lati si vedevano raffigurati due vegliardi e alcuni angeli. Il secondo fu dipinto dal solo Camillo nel 1573, fu commissionato dal rettore Lattanzio Redicino e fu raffigurata la Natività di Gesù nel tamburo, Dio Padre tra gli Angeli nel catino, sopra l’arco una formella con l’Epifania, ai lati le Sibille Delfica e Samia, l’Annunciazione e i Profeti David e Salomone. Il terzo nicchione raffigurava la Visitazione, sull’esempio della pala che si trova nel monastero di S. Giacomo di Cerreto di Spoleto, fu senza dubbio di Camillo che la realizzò nel 1574 e l’ornò anche nel catino con l’affresco della Madonna tra la Beata Rita ed il committente, tal Filippo Ruscialo di Cascia. Il quarto nicchione, di rimpetto al terzo nella navata dove si apre la porta della sacrestia, fu realizzato da Camillo e Fabio Angelucci nel 1576, dietro commissione dei fratelli D. Pasquino e Giovanni Benedetto De Zaccarelli di Savelli, in suffragio dei loro morti, con raffigurata la Crocifissione tra la Madonna e S. Giovanni, con ai lati S. Antonio Abate e S. Rocco e Cristo Risorto tra gli Angeli nel catino. Il quinto raffigurava la Trasfigurazione e fu dipinto dal solo Fabio che lo realizzò nel 1580 ornandolo nel catino prima con la Deposizione della Croce e poi con il Giudizio Universale, mentre nella parte esterna si trovava la Pentecoste, sei formelle con Profeti e Santi e due stemmi del Vescovo Fulvio Orsini, che forse fu il committente dell’opera, non essendo citato nessuno nella didascalia. Il sesto nicchione fu realizzato da entrambi i fratelli Camillo e Fabio nel 1584, con la Madonna del Rosario tra S. Domenico e S. Caterina, con intorno le formelle dei Misteri del Rosario, mentre nel catino è raffigurata l’Incoronazione, sopra lo Sposalizio e due Sibille 56


DESCRIZIONE DEGLI INSEDIAMENTI e ai lati i quattro Evangelisti entro finte nicchie, tutto commissionato dalla Compagnia del SS. Rosario di Castel S. Maria. Anche una tela che si conservava in sacrestia e che raffigurava il Crocifisso era stata realizzata da Fabio Angelucci ed altri resti di affreschi si notavano sempre nella sacrestia, ma purtroppo di tutto questo patrimonio culturale resta ormai ben poco dopo il crollo del tetto a seguito del terremoto del 19 settembre 1979. Attualmente si conservano solo alcune pareti della chiesa e per fortuna quelle con alcuni resti di affreschi nei nicchioni, che sono stati fissati e protetti da ripari provvisori in ferro e vetro e di cui si auspica una migliore salvaguardia. La Fiera della Madonna della Neve Nel 1568 il Comune di Norcia stabilì una fiera da tenersi il giorno della festa, il 5 agosto, intorno al nuovo santuario mariano della Madonna della Neve, alla scopo di attirare maggior concorso di popolo nel giorno della festa. La chiesa era stata proprio costruita in quel periodo in seguito ad un evento prodigioso e grazie al contributo e all’interessamento del Vescovo di Spoleto, del Comune di Norcia e di tutte le popolazioni limitrofe. Per favorire l’ordinato svolgimento della fiera il Comune di Norcia, per mezzo delle sue autorità, aveva provveduto alla nomina di due Soprastanti, cioè uomini incaricati al buon andamento ed al regolare svolgimento della manifestazione; I Soprastanti vennero eletti per qualche anno di seguito, uno della città di Norcia e uno del Contado, con il compito di provvedere a tutti i bisogni della fiera, compreso l’allestimento degli spazi di vendita, la sistemazione dei venditori negli spazi ad essi assegnati e la risoluzione di ogni questione insorta. La fiera comunque ebbe breve durata, in quanto non esistono nei vari archivi né i Capitoli di costituzione, né notizie relative alla svol57


gimento di tale mercato, ma l’edificio porticato che si trova a lato della chiesa sta ancora oggi a testimoniare che, oltre all’accoglienza dei pellegrini, si poteva provvedere a svolgere anche il commercio al coperto dalle varie intemperie o temporali, che frequentemente si possono avere in questo periodo dell’anno.

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FESTE RELIGIOSE

17 gennaio: Festa di S. Antonio Abate a S. Andrea A S. Andrea, piccola frazione del comune di Norcia, poco distante da Savelli, le due famiglie Turrioni e Diotallevi, benestanti del luogo, in occasione della festa di S. Antonio Abate, per il pranzo cucinavano una grande pentola di farro e lo distribuivano a tutti gli abitanti del paese, assieme ad alcune pagnottelle di pane, benedette dal parroco al mattino durante la santa messa. Dopo la funzione religiosa il parroco dava la benedizione agli animali, che gli abitanti di S. Andrea portavano nella piccola piazza antistante alla chiesa e per l’occasione, essi venivano tutti ripuliti e infiocchettati. Altre volte il parroco si recava a benedire gli animali direttamente nelle stalle, dove il contadino l’aspettava, e dopo la benedizione regalava al padrone un santino che veniva devotamente affisso dietro la porta della stalla. Un tempo analoga cerimonia si svolgeva anche a Savelli con benedizione degli animali che si effettuava sulla piazza della chiesa, mentre durante la celebrazione della messa le persone portavano a benedire delle pagnotte di pane e per tale occasione si mangiava il “farricello”, cioè una minestra a base di farro.

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25 gennaio: Festa della conversione di S. Paolo a Paganelli Questa festa, che avviene in un periodo dell’anno in cui gran parte degli abitanti si trovano fuori del paese, per motivi di lavoro, viene organizzata dal parroco insieme con i membri dell’amministrazione religiosa che gestisce i vari beni di proprietà della chiesa della piccola località. In realtà si tratta dei componenti di due famiglie originarie del posto che per antico lascito aiutano il parroco ad amministrare i terreni e le tartufaie di spettanza della chiesa. Il giorno della festa, dopo la celebrazione della santa messa in forma solenne, c’è un bel pranzo offerto da tale amministrazione ai sacerdoti intervenuti e a tutti i capofamiglia del paese.

Venerdi Santo: Processione del Cristo morto a Savelli Il Venerdì Santo viene celebrato solennemente ogni tre anni nel paese di Savelli con una processione in costume, al quale partecipano pressoché tutti gli abitanti del paese, che si svolge di notte lungo un itinerario ad anello fuori dal paese, illuminato soltanto da rari “faoni”e dalle torce che recano in mano i penitenti. La processione esce dalla chiesa parrocchiale e all’inizio vede sfilare tutti i vari costumanti che raffigurano i personaggi legati alla passione e all’uccisione di Gesù, avvenuta proprio nel giorno del Venerdì Santo. Il Cristo o Gesù Nazzareno, con tunica, capelli lunghi, ai piedi le catene e sulle spalle la croce, è preceduto da un suonatore di tromba ed è seguito da oltre cento personaggi scelti tra la popolazione del paese e quella dei paesi vicini che per l’occasione aiutano gli abitanti di Savelli a rendere più bella la cerimonia. 60


Tra i diversi personaggi ci sono quelli del Cireneo, tutto malvestito e con la croce sulle spalle, dei ladroni, di Erode vestito da re, di S. Elena, con abiti molto belli e tanti gioielli addosso, delle Pie donne, della Maddalena con i capelli sciolti, della Veronica, di Pilato, di Giuda, della Madonna, dei bambini vestiti da angeli e quelli caratteristici dei carbonai, particolari proprio di tale processione. Dopo aver visto sfilare tutti i personaggi vestiti in costume si uniscono al corteo coloro che portano la statua del Cristo Morto e della Madonna Addolorata, con gruppi di donne vestite di nero a lutto e gruppi di uomini che durante tutta la processione cantano alternativamente lamentazioni e l’antico miserere umbro.

Lunedi di Pasqua: Festa della Madonna della Neve a Castel S. Maria Il giorno del lunedì di Pasqua, secondo un antico uso le parrocchie di tutti i paesi del circondario di Savelli si recavano in processione al Santuario mariano della Madonna della Neve, situato poco distante, nelle montagne poste sopra a Savelli e S. Andrea, nelle vicinanze del confine con il paese di Castel S. Maria. Le processioni arrivavano dalle diverse direzioni a piedi, accompagnate ognuna dalla loro Confraternita ed entravano in chiesa dove assistevano alle celebrazioni religiose, che si svolgevano presso l’altare della Madonna verso la quale era rivolta una speciale devozione da parte di tutte le popolazioni circostanti. Dopo aver partecipato alle funzioni religiose la gente si intratteneva nei prati circostanti a consumare un pranzo all’aperto, che si era portato da casa dentro grandi cesti, dove non mancavano tutti i cibi tradizionali di Pasqua. Successivamente la gente si intratteneva per partecipare ai diversi giochi popolari che venivano organizzati per l’occasione sempre nei pra61


ti circostanti e che spesse volte erano anche causa di litigi e baruffe fra gli abitanti dei diversi paesi.

Martedi di Pasqua: Festa della Madonna della Quercia a Paganelli Secondo un’antica tradizione tutte le popolazioni dei paesi del territorio di Capo al Campo del comune di Norcia si recavano in pellegrinaggio al Santuario della Madonna della Quercia nel martedì che segue la festività della Pasqua. Tale pellegrinaggio rientrava probabilmente nelle varie pratiche propiziatorie che tutte le popolazioni umbre e della montagna dell’Appennino in particolare, facevano durante il periodo della primavera, per richiedere la grazia di una buona stagione e quindi di un buon raccolto. Sembra comunque che tale ricorrenza sia stata fissata sin dalla fondazione della chiesa e da quel periodo gli abitanti di Paganelli e dei dintorni hanno sempre ricordato l’evento con i festeggiamenti del martedì successivo alla Pasqua. Dopo le celebrazioni religiose gli intervenuti si intrattenevano a consumare il pasto nella campagna circostante, infatti già dalla mattina, le donne si incamminavano dalle loro case, portando sulla testa grandi ceste colme di cibo, dove non mancava mai l’agnello arrosto, preparato il giorno precedente alla festa e la pizza dolce di pasqua, che è tipica della zona.

Pentecoste: Festa delle Quarant’ore a Savelli Anticamente nel giorno di Pentecoste e nei due giorni successivi, a cura e spese dell’omonima Confraternita, si faceva nella chiesa par62


FESTE RELIGIOSE rocchiale di Savelli, con speciale solennità, l’esposizione del SS. Sacramento sotto forma di Quarant’ore. In ognuno di questi tre giorni si faceva la messa cantata e successivamente ogni ora si cambiavano turno, a due a due, tutti i confratelli che facevano la guardia solenne a Gesù sacramentato, mentre le altre persone della parrocchia potevano rimanere quanto volevano e senza obbligo di tempo. Verso sera, dopo una funzione religiosa si dava la benedizione e si toglieva il Santissimo, mentre l’ultima sera si faceva una processione per le vie del paese, che passando per il Piano e per la Via della Fontana rientrava in chiesa.

3a domenica di agosto: Festa del SS. Salvatore a Paganelli I fedeli di Paganelli, recentemente in quanto prima la festa cadeva nella terza domenica di settembre, festeggiano in questa occasione una rappresentazione del SS. Salvatore lavorata a sbalzo su rame, conservata nella chiesa del paese. Organizzano la festa due santesi estratti a sorte dal parroco con il compito di reperire le elemosine attraverso delle questue per il paese e presso gli antichi abitanti e di organizzare sia i festeggiamenti religiosi che quelli ricreativi. Infatti, oltre al programma religioso che prevede la celebrazione della S. Messe solenne a cui assistono i fedeli, nel pomeriggio si espletano i festeggiamenti civili, consistenti in corsa dei sacchi, gioco delle pigne, corse campestri, gare di briscola, estrazione dei biglietti della lotteria o palio e il gioco del coniglio. Il coniglio viene posto in un prato circondato da alcune cassette numerate, ogni concorrente dopo aver pagato il biglietto scommette che il coniglio potrebbe entrare in una cassetta alla quale corrisponde un 63


numero, il coniglio viene sollecitato a muoversi con un bastone e pertanto si dirige nella cassetta preferita, vince il concorrente che ha scelto il numero corrispondente alla cassetta in cui entra l’animale e il gioco continua fin quando ci sono conigli da mettere in palio. Il pranzo del giorno del SS. Salvatore è particolarmente ricco e curato e viene consumato nelle varie famiglie del paese insieme ai propri amici o parenti. La sera tutti gli abitanti di Paganelli si riuniscono poi per una cena collettiva nella piazza comune, dove ogni famiglia prepara una pietanza da condividere con tutti i partecipanti al banchetto all’aperto. La festa generalmente si conclude con uno spettacolo pirotecnico e con il ballo in piazza accompagnato dal suono dell’organetto, anche se recentemente è stato sostituito da complessi di musica leggera.

1 settembre: Festa di S. Egidio a Savelli In epoca abbastanza recente si è ripreso l’uso antico di fare un pellegrinaggio alla piccola chiesa campestre dedicata a S. Egidio Abate, comprotettore del paese di Savelli e che ha un altare a lui dedicato anche nella chiesa parrocchiale. Questa tradizione si svolgeva anche nei tempi passati, ma era andata in disuso in quanto la chiesa non era più custodita dall’eremita e nel corso del tempo si era ridotta ad un rudere e non ci si celebrava più nessuna liturgia. Oggi che la chiesa è stata risanata la popolazione di Savelli e dei paesi circostanti ha ripreso anche l’abitudine di fare un pellegrinaggio per assistere alla messa che viene celebrata in onore del santo che, lasciata la sua condizione di benestante, essendo egli un nobile, volle trascorrere la sua vita in solitudine e penitenza. Dopo la celebrazione religiosa la gente si intrattiene nei terreni cir64


FESTE RELIGIOSE costanti per consumare insieme una colazione, che inizialmente consisteva solo nel distribuire agli intervenuti un rinfresco solo a base di ciambella e vino, ma che attualmente è diventato un vero e proprio pranzo, in quanto la Pro Loco provvede sempre di più a reperire degli alimenti per organizzare da mangiare per tutti quelli che si avventurano o a piedi o in macchina a raggiungere il piccolo santuario.

8 settembre o domenica successiva: Festa della Madonna di Loreto o Festa delle Ragazze a S. Andrea Per l’organizzazione di tale festa il sacerdote estrae a sorte due ragazze del paese dette“le santesi”, che hanno il compito di andare per il paese a fare la questua e quindi reperire i fondi necessari per fare la festa. In genere le persone del paese fanno delle offerte in denaro, ma può succedere anche che i fedeli offrono uova, farina, formaggio. La mattina della festa, dopo la celebrazione della santa messa, segue una lunga processione per le vie del paese alla quale prendono parte le ragazze vestite di bianco con un velo lungo in testa mentre gli uomini indossano un camice bianco con mantellina azzurra e sorreggono la statua della Madonna. Le santesi preparano poi un pranzo a cui partecipano le loro famiglie, i vari preti intervenuti ed ogni altra persona che intendono invitare. Nel pomeriggio vengono poi organizzati degli spettacoli per intrattenere in allegria la gente del paese e gli ospiti per cui in genere c’è il gioco delle pigne, il tiro del gallo, il tiro della fune, la corsa dei sacchi per i bambini, la corsa delle conche per le ragazze, la corsa a piedi per i giovani e l’estrazione del palio. 65


Dagli organizzatori della festa viene poi anche offerto a tutti gli intervenuti un rinfresco o del cocomero tagliato a fette. Tutti gli abitanti del paese invitano amici e parenti che poi si fermano anche al ballo che si svolge durante la serata. Un’antica usanza prevedeva che durante la festa da ballo le santesi portavano due ciambelle e alcuni ragazzi del vino, che venivano poi consumati da tutti.

29 settembre: Festa di S. Michele Arcangelo a Savelli S. Michele Arcangelo è il patrono principale di Savelli ed in passato si festeggiava sia l’8 maggio che il 29 settembre, ma in seguito ad uno scampato pericolo a causa di un incendio avvenuto proprio durante la festa di settembre, da quel giorno in paese i fedeli hanno ricordato sempre S. Michele con la festa che si tiene immancabilmente ogni anno il 29 settembre. Il sacerdote estrae a sorte due santesi, scelti fra i capofamiglia, con il compito di organizzare la festa, reperire i fondi necessari per le spese e stilare un ricco programma di festeggiamenti civili e religiosi. Fino a non molto tempo fa i santesi dovevano andare per la questua per il paese, ma gradualmente questa consuetudine si è andata perdendo poiché i fedeli di Savelli hanno preferito mettere le loro offerte in una busta chiusa da consegnare direttamente al parroco, provvedendo comunque ad addobbare le loro case e le vie del paese con archi di bosso e lampioncini colorati. Il giorno della festa, dopo la celebrazione della S. Messa, segue la processione per le vie del paese, accompagnata dalla banda musicale e alla quale prendono parte i fedeli, con alcuni uomini vestiti in camice bianco che sorreggono gli stendardi. Anche nei giorni precedenti e successivi si svolgono altre celebra66


FESTE RELIGIOSE zioni religiose e festeggiamenti civili, supportati recentemente anche dalla pro loco della località che per l’occasione collabora attivamente con il parroco e con i santesi. I santesi offrono nella loro casa il pranzo ai preti intervenuti per la celebrazione ed ogni famiglia invita i propri amici e parenti per la ricorrenza, mentre nel pomeriggio vengono offerti merende e rinfreschi a tutti gli intervenuti. Il pranzo del giorno della festa era particolarmente ricco; prendevano parte alla festa oltre alla gente di Savelli, anche persone provenienti dai paesi vicini. I santesi per intrattenere gli intervenuti organizzano poi alcune attività ricreative, e durante tutto il pomeriggio si svolgono le corse per i bambini, le corse dei cavalli, le corse di bicicletta e perfino anche quelle di motocicli. Si ricorda che un tempo si svolgevano anche altre gare come quelle dell’albero della cuccagna, il tiro a segno, le corse dei somari e inoltre alcuni uomini, con le mani legate dietro la schiena, facevano a gara a chi finiva prima un piatto di spaghetti, prendendoli solo con la bocca, e la sera poi c’era il cinema all’aperto. Fino al 1960 circa si faceva anche l’estrazione del palio ed il premio più ambito poteva consistere nella stoffa per un paio di pantaloni o qualcosa di simile, ma da qualche anno a Savelli si organizza una vera e propria lotteria con ricchi premi. Al termine dei giochi c’è poi la festa da ballo ed infine uno spettacolo pirotecnico.

2a domenica di ottobre: Festa della Madonna Addolorata o delle ragazze a Savelli Il sacerdote per antica consuetudine estraeva a sorte due santesi tra le ragazze di Savelli, che avevano il compito di pulire la chiesa du67


rante tutto l’anno e di andare per la questua, in modo da reperire i fondi necessari per organizzare la festa. La mattina della festa i fedeli ascoltavano le sante messe, che culminavano con quella cantata che si svolgeva poco prima di pranzo, alla quale prendevano parte tutte le ragazze ed in particolar modo le santesi. Le santesi poi organizzavano un bel pranzo presso la loro casa ed invitavano a prendere parte sia i sacerdoti intervenuti, che qualsiasi altra persona intendevano invitare, in particolar modo parenti ed amici. Nel pomeriggio si svolgeva poi la processione, alla quale prendevano parte tutte le ragazze di Savelli vestite di bianco con un velo in testa; l’abito era anche ornato con un fiocco azzurro che cingeva la vita delle giovani e i capelli venivano fermati da una rosa rossa di raso confezionata dalle suore di Norcia. In genere anche questa festa si concludeva nella serata con una festa da ballo che soprattutto nei tempi passati si faceva con l’ausilio del suono dell’organetto o di una fisarmonica e con uno spettacolo pirotecnico.

30 novembre: Festa di S. Andrea a S. Andrea Un tempo a S. Andrea si festeggiava il santo patrono del paese con una solennità maggiore di adesso, che invece al momento consiste solo con la celebrazione di una messa nella chiesa che è proprio dedicata a tale santo. Nel paese si ricorda comunque che la sera della festa si faceva un grande falò davanti alla chiesa, realizzato generalmente con rami di ginepro che venivano raccolti nella campagna, anche in luoghi molto distanti, e composti a mo di pagliaio, intorno ad una stanga di legno infissa nel terreno. 68


FESTE RELIGIOSE Alla fine, quando il fuoco si spegneva, la gente portava a casa per devozione dei tizzoni accesi, che servivano per accendere il fuoco della propria casa ed inoltre i carboni venivano messi da parte in modo da usarli a scopo terapeutico.

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TRADIZIONI

La Pasquarella In occasione della festività dell’Epifania e nei giorni immediatamente precedenti una piccola comitiva di giovani del paese o di altri paesi vicini passano di casa in casa per annunciare la ricorrenza, per fare gli auguri e per richiedere un’offerta. Questi annunci avvengono in forma cantata e sono accompagnati da suonatori di organetti o fisarmonica, ma anche di altri strumenti locali quali il tamburello con sonagli, il triangolo e la caccavella, una sorta di bastone che viene spinto a forza entro un cilindro rivestito di pelle che emette un suono di accompagnamento. Si può pensare che tale usanza sia il residuo di antiche rappresentazioni sacre, ma al momento sono soltanto canti che mescolano il resoconto della nascita di Gesù, con presentazione di auguri alla famiglia e profane richieste di uova, prodotti della norcineria, vino, dolci e formaggi, per mangiarli insieme in allegria. Con il frutto della questua si organizzano delle cene dette “delle vecchie” o addirittura delle feste da ballo, dove tutta la popolazione è invitata a partecipare e dove durante la serata vengono distribuiti a tutti rinfreschi, dolci e bevande. Durante il giorno poi un tempo giravano di casa in casa anche i bambini che tenendo in mano un canestrello facevano una richiesta di doni e dicevano: “Siamo venuti per lu suffitello Come l’usanza è solito di darlo E sotto lo portiamo un canestrello E quello che ci date pijeremo Per il Bambino Gesù l’accetteremo 71


E quello che ci date noi pijamo E per il bambino Gesù l’accettiamo”

Usanze per la Candelora La mattina del 2 febbraio in tutti i paesi il prete che celebra la messa distribuisce a tutte le persone una candelina benedetta, che veniva portata devotamente a casa per essere appesa a capo del letto e per essere utilizzate il giorno di S. Croce per confezionare delle crocette talismano, messe nei campi a protezione delle colture. A Savelli in particolar modo un tempo veniva data una candela più grande ai capo famiglia, in quanto quella doveva servire per la protezione di tutta la famiglia e doveva essere accesa quando c’era qualche problema da risolvere. A S. Andrea in occasione di tale ricorrenza viene ancora recitato il seguente detto: “Per la Candelora, De l’inverno semo fora, Ma se scappa lu suliciju, Semo ‘n mezzu a ‘nverniciju.”

Usanze per S. Biagio In tutti i paese della zona di Norcia S. Biagio viene considerato il protettore della gola, in virtù del fatto che durante la sua conduzione al martirio riuscì a salvare con il solo sguardo un giovane che aveva una spina di pesce infilata nella gola. Per tale ricorrenza, che avviene il 3 febbraio, il giorno dopo della Candelora, tutte le persone un tempo si recavano a messa e dopo aver assistito al sacro rito si svolgeva la cerimonia dell’unzione della go72


TRADIZIONI la, che a Savelli avveniva presso l’altare del SS. Crocifisso, dove si celebrava anche la messa in onore di S. Biagio. Il sacerdote prendeva una candela del giorno precedente e faceva il segno della croce sulla gola dei fedeli dopo aver intinto la candelina nell’olio santo.

Usanze per Carnevale A Savelli e nei paesi circostanti in occasione del Carnevale si ballava tutti i sabato sera, e così anche per il giovedì grasso e per gli ultimi tre giorni della ricorrenza, ma solo fino alla mezzanotte di martedì, quando entrava la Quaresima. Le ragazze si riunivano in gruppi di tre o quattro e preparavano i vari dolci da portare a “festino”, generalmente ciambelle o quelli tipici del Carnevale che consistevano in frappe dette “pizzarelle” o “pizzelle” come vengono chiamate a S. Andrea e castagnoli con miele detti “surici melati” o “gnocculiji” a Savelli. Le ragazze poi partecipavano al ballo accompagnate dai genitori o da qualcuno di famiglia e vi prendevano parte soltanto se erano state invitate da parte dei ragazzi organizzatori della festa, altrimenti erano destinate a rimanere a casa. Qualche volta durante il ballo intervenivano anche delle persone mascherate, che rimanevano il più delle volte incognite e dopo alcuni balli e scherzi lasciavano la festa senza essere riconosciute e magari andavano presso un altro “festino”. Una tradizione molto antica che si ricorda nella zona era anche quella di mettere da parte i gusci delle uova, dopo aver fatto uscire il contenuto da due piccoli fori, e di utilizzarli per farne delle collane da utilizzare durante le mascherate. La domenica di settuagesima era chiamata la domenica de le commari o degli amici, perché si invitava nella propria casa questo ge73


nere di persone, inoltre i giovani andavano a fare una merenda nel pomeriggio in campagna. La domenica seguente è invece quella dei parenti, in omaggio al fatto che si invitano le persone unite dal vincolo di parentela ed in questa occasione a Savelli era usanza che le figlie sposate tornavano a trovare i propri genitori.

Usanze per la Quaresima Al termine del Carnevale le donne di casa dovevano lavare i piatti e le stoviglie di casa con la “lisciva”, una sorta di acqua bollita con cenere, usata anche per lavare i panni, in modo da sgrassare perfettamente tutti gli utensili domestici. Cominciava poi il periodo di astinenza e durante tutti i quaranta giorni si badava a non fare uso di cibi molto conditi, si rispettavano i digiuni e le astinenze ed in modo particolare non si mangiava carne per tutto il lungo periodo. Nella nostra zona il pesce, che invece non era proibito durante i giorni di vigilia, era molto scarso, per cui si ricorreva a comprare dei pesci sotto sale, in genere alici, sardine, baccalà ed aringhe e molto spesso nemmeno si disalavano, in modo che con una piccola quantità di pesce ci si poteva mangiare molto pane. Una versione molto più restrittiva dei rigidi precetti mangerecci della quaresima prevedeva anche l’astensione dal formaggio e dalle uova, per cui si ricorda anche un’ottava che si recitava molto spesso durante il periodo quaresimale: “Quaresima ciffuta, non ce fussi mai vinuta, per quarantasei giornate, non se magnano più frittate, né frittate e né caciotte, che magneranno le bocche jotte?, né caciotte e né cappuni, che magneranno li pappuni?”

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TRADIZIONI

Le Anime Sante Durante il periodo della Quaresima, e qualche volta anche nel mese di novembre, si svolgevano in tutti i paesi della nostra zona anche delle celebrazioni religiose in suffragio delle Anime Sante del Purgatorio ed in particolar modo di quelle piÚ abbandonate e scordate, che invece necessitavano di preghiere. Le celebrazioni religiose si svolgevano in forma di ufficio funebre e consistevano in diverse messe lette nella mattina presto, in modo che anche le persone che lavoravano potevano prendervi parte, poi culminavano con una messa cantata che si svolgeva nella tarda mattinata e a cui partecipavano tutti i preti. Agli organizzatori, che generalmente erano dei santesi nominati dal parroco, spettava anche il compito di preparare la colazione ed il pranzo per i vari preti che prendevano parte al rituale, venendo da paesi anche distanti. Inoltre essi venivano pagati con le offerte che si ricavano dalle questue che si effettuavano per il paese, spesso fatte anche in forma di canto, che veniva svolto di sera, di casa in casa, ricordando alla famiglia gli ultimi decessi avvenuti, in modo che l’offerta che veniva data fosse piÚ consistente del solito. A Savelli in particolar modo si effettuavano questue di grano, di mosto e di denaro, che dovevano servire sia per pagare gli uffici funebri che la festa con predicazione e processione della seconda domenica dopo la Pasqua.

Usanze per S. Giuseppe In occasione della festa di S. Giuseppe, sposo della Madonna, a Savelli si usava fare una novena di preghiere a partire dal 10 di marzo, che si concludevano con una celebrazione religiosa, che si faceva nell’altare laterale del SS. Crocifisso. 75


Per la ricorrenza di S. Giuseppe, il 19 marzo, a Savelli e nei paesi circostanti era usanza poi di fare delle frittelle dolci tradizionali, che si scambiano anche con i vicini, per vedere chi è stato più bravo a farle più buone e più belle. Per la realizzazione di tali dolci, detti anche “fritteji”, ognuno conserva una sua ricetta personale, ma sono comunque tutte fatte a base di uova, latte, zucchero, cannella, farina o riso e si friggono a cucchiaiate nell’olio bollente.

Usanze per la Pasqua Secondo un’antica usanza, il giovedì santo, quando si legavano le campane, i contadini si recavano in campagna e legavano gli alberi da frutto, per andarli poi a slegare il sabato santo, in modo che anche i fiori e i frutti legassero all’albero. Durante tutto il periodo che le campane rimanevano legate, le cerimonie in chiesa venivano annunciate con il suono di altri strumenti che a Savelli erano chiamati “marturelle” ed erano formati da una tavoletta di legno su cui era fissata una piastra di ferro con due altri ferri mobili che facevano molto rumore quando lo strumento si agitava facendolo roteare con l’impugnatura. In occasione del periodo in cui si slegavano le campane, il sabato santo, i ragazzi si recavano in chiesa e si rotolavano per terra in modo da preservarsi dai dolori di pancia, mentre quelli più piccoli che non camminavano, venivano deposti in terra dalle mamme in modo tale che anche le loro gambe si slegassero. La mattina di Pasqua, osservando un’antica usanza, i ragazzi dei nostri paesi giocavano a “scoccetta” con le uova sode e dipinte, che ogni famiglia preparava nei giorni precedenti, in modo che ognuno poteva averne una certa quantità. Le uova venivano fatte bollire in una pentola d’acqua dove si met76


TRADIZIONI tevano anche dei pezzi di stoffa o di carta colorata che stingevano, dando il colore voluto alle uova, oppure inserendo altre sostanze coloranti, come la cipolla o la fuliggine. A volte prima di immergere le uova nell’acqua ci si facevano colare delle gocce di cera, in modo che dove si trovava la cera, che poi veniva tolta, il guscio non si colorava e così l’uovo risultava nello stesso modo colorato e variopinto. Il gioco della “scoccetta” consisteva nel fatto che due ragazzi muniti di un uovo sodo a testa facevano una gara sbattendolo l’uno contro l’altro e vinceva quello a cui l’uovo rimaneva integro; le uova rotte diventavano quindi appannaggio del vincitore, che alla fine della gara poteva mangiare tutte le uova che aveva rotto. Con le uova sode si poteva poi fare anche un altro gioco, che era quello detto della “cuturella”, una sorta di gara fatta in un luogo con una pista in pendenza, dove vinceva il concorrente a cui l’uovo ruzzolava più lontano ed anche in questo caso l’uovo del perdente veniva acquisito dal vincitore. Tradizionale della Pasqua era poi la colazione che veniva fatta a metà mattinata del giorno della ricorrenza, a base di uova sode, salumi e coratella d’agnello, accompagnati dalla pizza dolce tradizionale e da buon vino nuovo.

Le Rogazioni Durante la primavera e principalmente il 25 aprile, giorno in cui ricorre la festività di S. Marco, si svolgeva a Savelli e in tutti i paesi circostanti un rito propiziatorio per la buona stagione ed il buon raccolto, chiamato “Rogazioni”. Ci si riuniva la mattina presso la chiesa parrocchiale dove si svolgeva una piccola funzione religiosa, poi si usciva in processione con una croce astile e con il parroco ed i chierichetti vestiti con gli 77


abiti liturgici e ci si dirigeva per la via rotabile fino al luogo detto Il Muraglione o Scontrone, dove un tempo esisteva una piccola icona in muratura, recitando o cantando le litanie dei santi, da cui si dominava un vasto territorio circostante e da lì si svolgeva il rito. Il parroco prendeva in mano la croce e mirandola verso uno dei punti cardinali recitava in latino ed in cantilena sia i mali e gli eventi atmosferici da allontanare che gli eventi propizi da favorire ed il popolo rispondeva sempre cantilenando. L’operazione veniva ripetuta dal parroco e dai fedeli ad ogni punto cardinale, poi, passando per la Fontana e Via di Cuntra, arrivava nella zona dove c’erano le vigne e si ripeteva di nuovo il rito ed un terzo si se ne faceva nella piazza. Altre processioni sempre con scongiuro e benedizione si svolgevano poi nei giorni addetti alle “Rogazioni”, il primo giorno si arrivava sino a S. Andrea, il secondo giorno fino a Paganelli e il terzo giorno dove un tempo si trovava la piccola chiesa della Madonna del Colle, sopra la contrada detta Castellano. Altra processione simile si svolgeva la mattina dell’Ascensione e si arrivava sino alla croce posta nella Piana, simile processione si svolgeva poi il 3 maggio per il giorno di S. Croce con l’omonimo reliquario e si ripeteva anche la sera, con altri tre scongiuri fatti alla croce della Piana, alla Fontana ed in piazza.

Il Piantamaggio In occasione della fine del mese di aprile e l’inizio di quello di maggio si svolgeva un tempo la festa del Piantamaggio, una sorta di scena rituale in cui i giovani dovevano andare in montagna, tagliare un albero molto alto e portarlo in paese. L’albero era generalmente di faggio e veniva tagliato in un luogo se78


TRADIZIONI greto in modo che non doveva essere rubato, poi veniva tagliato anche un albero di ciliegio fiorito, in modo da legarli insieme e fare una sorta di matrimonio degli alberi. Riportati gli alberi in paese tra suoni, canti e balli, quello di faggio andava subito ripulito dai rami e dalla corteccia, mentre quello di ciliegio veniva solo aggiustato per essere legato in cima all’altro con tutta la sua chioma fiorita. Preparata la buca nel terreno si avvicinava la base del faggio e si doveva poi provvedere ad innalzare gli alberi solo con l’ausilio di corde e scale in modo che l’albero fosse diritto ed innalzato generalmente al centro della piazza. La festa continuava sempre tra suoni, canti, balli e grandi distribuzioni di cibo e bevande, che mettevano allegria a tutti i partecipanti, ai giovani era poi riservato il compito di fare degli stornelli amorosi e scherzosi alle ragazze, dove si faceva cenno e nemmeno tanto velato a scambi di rapporti sessuali. Quasi sicuramente tali festeggiamenti sono il residuo delle grandi feste che si svolgevano in epoca romana durante le Calende di Maggio e siccome erano dedicati al Dio Bacco, venivano chiamati anche Baccanali.

Usanze per S. Croce Nel giorno in cui si ricordava il rinvenimento della Santa Croce a Gerusalemme da parte di S. Elena, che benché anziana, aveva voluto compiere il pellegrinaggio per riportare a Roma delle reliquie della passione e morte di Cristo, si piantano per i campi delle “crocette”, dopo averle portate a benedire in chiesa. Nei giorni precedenti, a seconda della necessità, si confezionano le diverse croci unendo due pezzi di legno, uno più lungo ed uno più corto, nel cui incrocio venivano inserite un pezzetto della candelina 79


della Candelora, un ramoscello di palma ricevuta nella domenica delle Palme ed una foglia di giglio campestre. La croce serviva a proteggere le varie coltivazioni, soprattutto di cereali, la candela a farle crescere bene, la palma a farle mantenere e il giglio a farle venire più belle possibile, in modo da non avere problemi per la stagione seguente.

Usanze per l’Ascensione La sera precedente l’Ascensione, rispettando un’antica usanza del luogo, la gente dei dintorni di Norcia poneva sul davanzale della finestra una candela accesa, una bottiglia di acqua ed un piatto o altro recipiente ricolmo di sale. Infatti erano questi i segni degli elementi primordiali della natura: aria, acqua, terra e fuoco, che venivano benedetti attraverso l’ascesa al cielo di Gesù Cristo e di cui le persone si dovevano poi servire durante il corso dell’anno successivo. Il resto della candela, che andava spenta la mattina successiva, doveva servire in casi eccezionali quando si ammalava una persona o una bestia della famiglia, nel qual caso veniva riaccesa in modo da richiedere la grazia della guarigione. L’acqua che era contenuta nella bottiglia doveva essere consumata nel giorno della festa, o bevuta o usata in cucina, in modo che la stessa doveva fungere da protezione contro qualsiasi malattia che si poteva contrarre in futuro. Il sale veniva anch’esso consumato da persone e animali della famiglia e soprattutto veniva utilizzato per salare la forma di formaggio confezionata in quel giorno, contrassegnata anche con la lettera A, che veniva inserita nel cerchio di legno e che serviva a farla riconoscere dalle altre e consumala in famiglia. Un’altra usanza era quella di uscire in campagna la mattina presto 80


TRADIZIONI e di lavarsi il viso con la rugiada o “guazza”, oppure mangiare dell’erba, sempre in segno di protezione del corpo ed in particolar modo per la protezione contro il mal d’ossi. Qualche pastore della zona soleva poi distribuire agli amici o alle persone del paese la cagliata fatta con il latte prodotto in quella notte, condita con zucchero e cannella, anche questa come segno di ringraziamento per i doni ricevuti.

Usanze del Corpus Domini In occasione della festa del Corpus Domini a Savelli e nei paesi circostanti, come avviene in quasi tutte le parrocchie cattoliche del mondo, essendo questa una festa di precetto, si organizza una solenne processione per portare in tutte le strade del paese Gesù, come SS. Sacramento sotto un baldacchino. Un tempo questa festa con processione veniva organizzata dalla Confraternita del SS. Sacramento, che era costituita in quasi tutte le parrocchie, ma attualmente, non essendoci più questo tipo di organizzazione, viene fatta dalla parrocchia. Per l’occasione le strade vengono addobbate con erbe profumate e fiori raccolti nei giorni precedenti, le finestre ed i balconi vengono ornati con i drappi e le coperte più belle della casa, lungo il percorso venivano realizzati addobbi ed altarini ed a Savelli, in particolar modo, si rappresentavano in terra, davanti alla chiesa, delle forme di calice con ostia, realizzate con petali di fiori.

Usanze per S. Antonio da Padova Il giorno di S. Antonio da Padova, il 13 giugno, a Savelli e nei paesi vicini, si mangiava la “giuncata”, cioè del latte appena cagliato, 81


mentre a S. Andrea, tutti quelli che producevano il formaggio, lo distribuivano ai poveri del paese. Anche se non vengono fatte feste particolari in tutti i paesi si ricorda tale santo, che è uno dei santi più popolari e a cui si ricorre più frequentemente. Questo santo viene infatti molto rispettato sia nel mondo contadino che anche da tutte le altre categorie di persone in quanto si ritiene che lo stesso faccia ritrovare le cose smarrite e per ottenere questa grazia si recita una preghiera particolare detta il “responsorio”, che tutte le persone anziane di un tempo conoscevano.

Usanze per S. Giovanni Nella sera della vigilia della festa di S. Giovanni Battista, che avviene il 24 giugno, le ragazze del paese di Savelli e degli altri paesi del circondario raccolgono fiori ed erbe odorose per fare l’Acqua di S. Giovanni, una sorta di acqua profumata. Infatti secondo un’antica credenza, nella notte della vigilia il santo precursore di Gesù passa in tutte le case e benedice queste bacinelle di acqua profumata poste all’aperto nei davanzali delle finestre con dentro erbe profumate e fiori. A seconda delle varie posizioni che assumono poi le erbe ed i fiori durante la notte le ragazze non ancora fidanzate possono trarre i pronostici ed i buoni auspici per il futuro marito ed i tempi previsti per arrivare al matrimonio. Inoltre l’acqua profumata viene usata come lavanda per fare le pulizie mattutine del corpo e secondo la tradizione anche questa pratica è di buon auspicio per la salute e per la futura vita matrimoniale delle ragazze innamorate. Un’altra tradizione era poi quella di mettere in una bottiglia di acqua una chiara d’uovo e, a seconda della forma che essa assumeva 82


TRADIZIONI durante la notte, le ragazze da marito traevano degli auspici sul mestiere del futuro sposo. Nel giorno di S. Giovanni poi si raccoglievano anche la malva, i fiori di camomilla di rosa e di sambuco, che venivano raccolti in mazzi e messi ad essiccare per essere poi usati durante l’anno come decotti e tisane per alleviare diversi dolori. Nello stesso giorno le ragazze regalavano ad un’amica preferita un piccolo mazzo di fiori, se l’altra ragazza accetta di stringere di più questa amicizia, ricambia lo stesso dono per il giorno di S. Pietro, l’anno successivo insieme ai fiori si unisce anche un piccolo dono e quello ancora seguente si pranza insieme; passati i tre anni l’amicizia si trasforma in commaranza e le due ragazze si chiamano per sempre comare e quindi diventano comari di S. Giovanni.

Usanze per i Morti Tutto il mese di novembre era dedicato al ricordo ed al suffragio dei morti che venivano particolarmente ricordati nel giorno a loro dedicato con diverse celebrazioni religiose, la prima delle quali si svolgeva all’alba. Tutte le sere del mese poi in famiglia veniva recitato il rosario in suffragio dei morti della casa e a ricordare ciò ci pensava una donna del paese molto devota che girava per le strade con un campanello in mano che ogni tanto suonava e ricordava agli abitanti del luogo di pregare per i loro morti e per le Anime Sante del Purgatorio, che erano in attesa di preghiere per andare in Paradiso. In occasione del mese dei morti spesso poi passavano per il paese delle persone povere che chiedevano la carità in suffragio delle persone defunte ed in cambio di ciò recitavano un certo numero di preghiere per i loro morti. Qualche famiglia, secondo antichi lasciti e tradizioni, in occasione 83


della ricorrenza dei defunti, cuocevano molto pane in modo da distribuirlo agli abitanti del paese o ai poveri che si recavano per l’occasione a richiedere la carità. A Savelli in particolare si dice poi che non si deve andare in giro durante la notte precedente il giorno dei morti, perché altrimenti capiterebbero disgrazie.

Usanze per S. Martino In questa ricorrenza c’era l’usanza di spillare le botti di vino nuovo, di fare il giro per le varie cantine del paese in modo da assaggiare i vari vini e sentire qual’era quello migliore ed infine poi alla sera, di fare grandi mangiate e stare in allegria, soprattutto da parte dei giovani, che approfittavano così di ogni occasione per fare festa, mangiare insieme e stare alzati fino a tardi a raccontar storie. In tutta la zona c’è poi la credenza che S. Martino è il santo protettore dei cornuti e ciò deriva dal fatto che, secondo una leggenda, il santo fu preso in giro dalla sorella che riuscì ad incontrarsi ed intrattenersi con il fidanzato, senza che lui si accorgesse di nulla, benché fosse presente all’accaduto. Anche a Savelli e nei paesi circostanti si ricorda ancora questa usanza ed anzi si svolgono ancora delle cene per stare insieme ed in allegria.

Usanze per il Natale Un’altra ricorrenza importante per gli abitanti di Savelli e dei paesi circostanti era quella del Natale, ma era soprattutto nel giorno della vigilia che si concentravano gli usi e le tradizioni legate alla cultura popolare del posto. 84


TRADIZIONI Particolare attenzione veniva posta nella preparazione della cena della vigilia, rigorosamente di magro, ma con un menÚ che doveva almeno comprendere sette diverse pietanze, dove non mancavano mai i fagioli, gli spaghetti di magro con tonno, alici o addirittura tartufi, il baccalà fritto o arrosto o in agrodolce, la pasta dolce e la torta o torciglione, una sorta di strudel con noci e mele. Sul camino veniva posto poi un ceppo di legno molto grande, che doveva durare tutta la notte ed era oggetto di benedizione da parte del capofamiglia e a cui si spruzzava anche del vino, in segno di buon auspicio per i futuri raccolti. Se inoltre durante la messa di mezzanotte veniva lasciato nella casa qualche bambino a dormire, si metteva fuori della porta una scopa, in modo da prevenire la visita inopportuna di qualche strega che poteva arrecare danni all’infante; infatti prima di entrare in casa la strega doveva contare tutti i filamenti di cui era composta la ramazza, permettendo cosÏ alla madre di assistere tranquillamente a tutta la messa e ritornare prima che la strega potesse entrare nella casa.

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