Mistero Meraviglioso

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MISTERO MERAVIGLIOSO Elaborati vincitori del Concorso di poesia e narrativa "Saverio Marinelli"

MISTERO MERAVIGLIOSO

2°edizione – anno 2016 3°edizione – anno 2017

sociale Centro Servizi per il Volontariato Perugia Terni

CESVOL PERUGIA EDITORE

Cesvol Editore


MISTERO MERAVIGLIOSO

Elaborati vincitori del Concorso di poesia e narrativa “Saverio Marinelli” 2°edizione – anno 2016 3°edizione – anno 2017


Edito da Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 fax 075 5287998 www.pgcesvol.net pubblicazioni@pgcesvol.net

Edizione novembre 2017 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Copertina a cura di Saverio Marinelli disegno realizzato durante l’anno scolastico 2005/2006 Stampa Digital Editor - Umbertide

tutti i diritti sono riservati ogni produzione, anche parziale, è vietata

ISBN 9788896649664


Prefazione Tre sono le edizioni del Concorso di poesia e narrativa “Saverio Marinelli”, tutte caratterizzate da un grande successo di partecipazione, con elaborati provenienti da tutt’ Italia, ma soprattutto una continua, crescente emozione che ha fatto da filo conduttore a tutte le edizioni. L’ Amministrazione Comunale vuole ringraziare L’Unitre di San Venanzo, la Pro-loco, la commissione esaminatrice e tutti coloro che hanno collaborato in questi anni per realizzare questa splendida avventura. Il libro “Mistero Meraviglioso” raccoglie gli elaborati delle edizioni 2016 e 2017: un sorprendente panorama di poesie e di racconti. L’ obiettivo che si sono posti gli organizzatori, cioè di incentivare il piacere della scrittura, è stato sicuramente raggiunto, soprattutto tra i giovani, dove i valori dell’amicizia della solidarietà e della gioia di vivere sono stati al centro dei tanti elaborati presentati al concorso. Usare il racconto per costruire un’ immagine migliore, per vivere meglio, cementare una morale comune che permetta la costruzione di una società con il minimo possibile di contrasti, promuovere i valori della solidarietà, la cultura dell’accoglienza e una visione unitaria del bene comune del mondo e delle sue risorse, mettere al centro la dignità della persona e non il profitto. Le poesie e i racconti di questo libro nascono dal grande patrimonio di valori che Saverio Marinelli ci ha lasciato: il coraggio, la sua grande volontà, la sua gioia e il suo amore 3


per la vita sono un esempio per tutti noi e una guida per apprezzare la bellezza della vita stessa. Stefano Posti Vice Sindaco del Comune di San Venanzo

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INTRODUZIONE Torniamo alle stampe presentando un altro volume che si aggiunge al nutrito scaffale dei libri che hanno visto la luce grazie alla nostra Associazione. A grande richiesta pubblichiamo questa antologia contenente gli elaborati vincitori della seconda e terza edizione del Concorso di Poesia e Narrativa intitolato a Saverio Marinelli, il nostro giovane concittadino scomparso prematuramente tra anni fa. Ed è proprio nel ricordo di Saverio, del quale chi lo ha conosciuto ha potuto apprezzare il profondo amore per la vita, che la nostra Associazione ha voluto organizzare questo Concorso rivolto a tutti, ed in particolare agli studenti delle scuole. Amicizia, solidarietà, rispetto degli altri, gioia di vivere: questi i valori che hanno ispirato la breve vita di Saverio; valori i quali, con questa iniziativa, vogliamo promuovere tra i più giovani. Il Concorso, di certo una delle attività più importanti organizzate dalla nostra Unitre, ha conosciuto nel corso di questi tre anni un successo crescente, registrando un numero sempre maggiore di partecipanti provenienti da varie zone non solo della nostra regione, ma dell’Italia intera. Non potevamo, pertanto, disattendere le aspettative di quanti, partecipando numerosissimi al concorso nelle varie sezioni e categorie, avranno in questo volume uno strumento per mezzo del quale raccogliere, diffondere e conservare nel tempo le disparate emozioni espresse negli elaborati. Il titolo del libro, Mistero Meraviglioso, continuando la consuetudine inaugurata nel primo volume, è proprio il titolo di uno degli elaborati vincitori, per la precisione il testo di narrativa della Scuola Media 5


dell’edizione 2017. Alla realizzazione del Concorso e alla pubblicazione del presente volume hanno collaborato vari soggetti che, a nome mio personale e di tutta l’Associazione che rappresento, voglio ringraziare di vero cuore. Ringrazio pertanto: - gli autori delle opere, perché senza i loro scritti questa antologia non avrebbe visto la luce; - i membri della Commissione esaminatrice, per la disponibilità a dedicare il proprio tempo nel difficile lavoro di selezione degli elaborati; - le signore Antonella Fasci, Rosalba Maria Farnesi e Floriana Spaccino, che generosamente hanno pensato ai premi per i vincitori; - l’Associazione Pro Loco di San Venanzo, per la preziosa collaborazione; - il Comune di San Venanzo, per l’immancabile sostegno; - la Regione dell’Umbria, per averci sovvenzionato l’organizzazione del Concorso e la pubblicazione del libro; - il CESVOL di Perugia, nella persona della Sig.ra Stefania Iacono, per la professionalità con cui ha curato l’impaginazione del volume; - gli studenti liceali dell’Istituto Omnicomprensivo “Salvatorelli-Moneta” di Marsciano, Andrea Guglielmi, Nicoletta Mariani e Lorenzo Spaccino, che nell’ambito dell’attività di Alternanza Scuola-Lavoro hanno dedicato alcuni giorni estivi alla raccolta dei testi scritti e delle foto. Luigina Farnesi Presidente dell’Unitre di San Venanzo 6


EDIZIONE 2016

SCUOLA ELEMENTARE SEZIONE POESIA

1° classificata “Mamma bella mia stella” Mamma cara, alta e snella, tu sei il fiore che germoglia nel mio cuore! Mamma cara, mamma bella, tu sei e sarai sempre la mia stella! Mamma cara, mamma bella, sempre radiosa ed anche spiritosa!

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Quando litigo con te, mi dispiace di cuore perché, per me, sei sempre la migliore! Mamma cara, mamma bella anche nei momenti peggiori tu sei vicino a me e mi consoli! Mamma cara, mamma bella, tu sei la mia topina tu sei la mia stella!!!! Florea Andreea Madalina classe 5° elementare motivazione: la metafora mamma/stella illumina e dà calore ad una filastrocca che esalta la centralità della figura materna e la sublima nel ritmo gioioso e musicale di una specie di rap di efficace modernità. 8


2° classificata “Alfabeto.... a piacere D come Dono” D come dono regaliamo un sorriso, una bocca all’insù sul viso, un bacione sulla guancia e il solletico sulla pancia. Elena Cavalletti classe 1° elementare motivazione: Fresco, spontaneo, allegro e, a modo suo, non privo di un pizzico di genialità nella scelta e nella sintesi delle immagini.

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3° classificata “ Alfabeto....a piacere L come luna” L è la luna che brilla nel cielo, una lumaca che mangia uno stelo, un libro da sfogliare, una lettera da raccontare, un lupo e un leone, io mi sento un campione. Oussama Sadraoui classe 1° elementare motivazione: breve, intensa, musicale e soprattutto molto evocativa per immagini e stati d’animo.

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SEZIONE NARRATIVA

1° Classificata “Bettina la macchinina e Graziano il marziano” C’era una volta una macchinina di nome Bettina che aveva un padrone un po’ distratto. Un giorno era andato in città per una commissione, ma quando fu il momento di ripartire, non si ricordò dove aveva parcheggiato la sua macchina e così ritornò a casa con l’autobus. Bettina, poveretta, restò lì da sola ad aspettare: passarono ben due giorni, ma del padrone nessuna traccia. Passò da quelle parti un razzo molto strano che aveva sbagliato strada: si fermò per chiedere informazioni alla macchina che, visto che era rimasta sola, decise di partire con lui. Il razzo era diretto su Marte!!!! 11


All’arrivo sembrava tutto deserto ed era anche molto freddo. All’improvviso arrivarono degli esseri strani, ricoperti di una sostanza trasparente e viscida. Erano marziani!!! Avevano orecchie molto lunghe, una strana bocca con solo quattro denti, un corpo piccolo con la testa grande e tutti, tranne il loro capo, avevano gli occhi arancioni. Alcuni avevano la pelle verde, altri rossa, altri ancora gialla, ma quelli più belli e gentili erano rosa. I marziani catturarono la macchinina Bettina e la portarono dal loro capo. Durante il tragitto la macchina non vedeva nulla di nulla a parte piccoli buchi sul terreno che emanavano aria calda. Ad un certo punto i marziani saltarono dentro un buco ma... quello non emanava aria calda, da lì si entrava in una fortezza!!!! Una volta entrati, legarono la macchina con una corda come un salame, ma non le facevano male: lei era di ferro!! Mentre tutti erano in silenzio, Bettina cominciò a sbuffare: “ brum, bruuumm, bruummm!!!” e subito dopo si trasformò in una bella bambina che parlò e disse: “ perché mi avete imprigionata? Lasciatemi andare!!!”. “Non ti lasceremo andare mai e poi mai!!” disse il capo dei marziani e aggiunse : “ ormai sei qui e resterai con noi”. Allora un marziano gentile con la pelle rosa, di nome Graziano, per farla distrarre e tranquillizzare un po’, la portò con una navicella spaziale che non inquinava a visitare il paese...no, la città....no, addirittura il continente, chiamato Nonquinato. Le case erano enormi: gusci di lumaca con porticine blu, celesti e verdeacqua. Ad un certo punto Bettina chiese al marziano che la conduceva: “ Ma perchè 12


non mi lasciate andare ? ”. “Io vorrei lasciarti andare, ma il capo non vuole; però ti voglio aiutare” rispose il marziano. Dopo il giro turistico Graziano, invece di riportare Bettina dal capo, scappò con lei per andare sulla terra. Durante il viaggio accadde un’altra magia: la bambina si trasformò di nuovo in macchina. Atterrarono nel parcheggio dove era stata lasciata alcuni giorni prima e videro il padrone disperato che stava cercando Bettina, la sua macchinina. Quando la trovò, tutto contento, salì per tornare a casa. Sul sedile c’era uno strano pupazzo di colore rosa.

Bianca Fabi classe 3°elementare

motivazione: la forza del racconto sta nella trama surreale, frutto di una capacità di affabulare e sorprendere il lettore con trovate, voli di fantasia e imprevedibile creatività.

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2° classificata “La notte del terrore” Era ora di cena, dopo aver sceso le scale spostai la sedia e mi sedetti a tavolino. Ad un certo punto, arrivò la mamma tutta entusiasta con il pollo appena sfornato e impiattato “come si deve”, lo poggiò sul tavolino e iniziò a servirlo a papà e a me. Seduta papà chiese: -Come è andata oggi Margaret?- Risposi: -Bene, abbiamo imparato a scrivere racconti Horror e a trovare la radice quadrata dei numeri!- Tra una chiacchiera e l’altra e tra un pollo e una banana, si concluse la cena. Salendo le scale andai in cameretta, ed una volta entrata, iniziai a togliere gli abiti per mettere il pigiama, mi infilai nel letto e, in quel preciso istante, entrò in cameretta mia madre per darmi la “Buona Notte”. Mi diede un bacio sulla fronte, spense la luce ed uscì dalla mia stanza; osservai dalla finestra la luna che era più bella e piena che mai. Mi addormentai, ma ad un certo punto, sentii un ululato che non sembrava di un lupo, sembrava di un minotauro. ”Ma chi vogliamo prendere in giro, i minotauri erano una leggenda greca!” continuavo a ripetermi tra me e me, ma alla seconda volta che sentii quel verso, scesi in salotto e lo risentii ancora e, con una candela in mano, decisi di uscire. Il vento mi scompigliava i capelli, ma ogni tanto risentivo quel fastidioso verso proveniente dal bosco in fondo alla città. Mi avviai in direzione di questo, ma quella sera lo trovavo più inquietante che mai. Iniziai a camminare sulla stradina fatta di terra e ghiaia, 14


che portava al centro del bosco. Spostai la frasca che mi bloccava la vista con la mano e sentii l’ululato ancora più acuto, come se mi stesse vicinissimo, ma non riuscivo a vedere niente, per via della nebbia molto fitta. Mi incamminai verso la piazzetta di terra al centro del bosco, ma non c’era nessuno; allora mi incamminai ancora più lontano, sentendo che quello strano verso mano a mano si avvicinava, ma io continuavo a non avvistare nessuno. Ad un tratto mi sentii bloccata, mi girai di scatto e vidi quello che percepivo sin dall’ inizio: vidi il terrore, un minotauro con denti così aguzzi, che me li sentivo addosso, come se mi strappavano la pelle. Scappai di corsa dalle sue grinfie, ma ad inseguirmi si aggiunsero anche due lupi selvatici e un coiote che mi chiedevo fra me e me che cosa c’entrava quest’ultimo. Continuai a correre all’impazzata tanto che in un primo momento riuscii a seminarli; girai la testa di scatto per vedere, mi stavano ancora alle calcagna, ma non mi accorsi del sasso che stava in quella strada e ci caddi sopra. Feci un silenzioso grido, per non farmi sentire dal minotauro e dai suoi spietati soci e vidi che i pantaloni del pigiama erano bucati e che dal mio stanco e affaticato ginocchio usciva del sangue. Iniziai a toccare la ferita per bloccarlo. Iniziai a strisciare indietro perché udivo i terribili versi di quelle malvagie bestie avvicinarsi e le vidi davanti ai miei occhi. In quel momento il cuore batteva così forte e velocemente, che temevo mi esplodesse nel petto ed io intanto continuavo a indietreggiare a indietreggiare finché la schiena mi si bloccò ad una roccia enorme. I due lupi e il coiote iniziavano a sbavare come ossessi ed il minotauro mi fissava con uno sguardo terrorizzante come per dirmi: -E’giunta la tua ora! 15


Sarai sbranata da noi!- Mi sentii il cuore in gola e iniziai a sudare e subito iniziai ad urlare: ”Aiuto! Aiuto!” Vidi le quattro belve assalirmi, ma a quel punto, feci un balzo dal letto e una volta accorta di essermi svegliata, mi resi conto che ero tutta bagnata di sudore; iniziai a chiamare mia madre con un filo di voce e lei venne subito da me, mi diede un bicchiere di acqua naturale, un tenero abbraccio e un bacio sulla fronte ed uscì dalla camera. Prima di addormentarmi pensai che si era trattato solo di un brutto sogno che mi dovevo togliere dalla testa perché dovevo pensare ad altro. Cristina Marchetti classe 5°elementare motivazione: in embrione il racconto contiene tutti gli elementi di una verve narrativa fluida e ricca di fantasia, attenta ai ritmi di tensione e sempre lucida e puntuale, nel rispetto della sintesi e della trama.

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3° classificata “la mia mamma” La mia mamma è una delle persone più importanti della mia vita. I suoi capelli mossi che “partono” dal rosso fino a “toccare” il giallo mi trasmettono, con il loro profumo, quell’amore immenso che lei prova per me. Lei è una donna bella, buona, ma, allo stesso tempo, si innervosisce facilmente, quando io, mia sorella e il babbo la facciamo arrabbiare, e cambia umore spesso! Ha una corporatura di media altezza, è magra, ama mangiare cibi biologici e prepararli a noi. I suoi occhi marroni, che assomigliano al colore di una barretta al cioccolato, quando mi guardano, mi fanno subito capire se ci sono problemi, oppure se mi vuole abbracciare, accarezzare o stringere fortissimo, senza smettere mai di farlo! Il suo naso è un po’ a patata, con sopra un neo che la rende ancora più bella di come è, dalla sua bocca carnosa non escono mai cose che non hanno senso, ma sempre insegnamenti per me. Il suo abbigliamento è sportivo e lo utilizza in casa, quando va a fare delle passeggiate (quando ha tempo!), ma anche elegante: per il lavoro, per le occasioni importanti ecc.. In casa, di solito, indossa le ciabatte, ma nel resto del tempo, scarpe da ginnastica o, per il lavoro, scarpe con i tacchi, zeppe nere o grigie. La mamma lavora al CNA come impiegata e questa attività è molto impegnativa e stressante, ma a lei piace tanto! Uno dei suoi passatempi preferiti è quello di andare a camminare, ma anche leggere, fare delle vacanze dove il 17


mare è bello, il clima caldo, l’hotel confortevole, pulito e ci si deve rilassare! A me piace stare con lei in tutti i momenti che ci vediamo, ma soprattutto quando ho freddo, quando piango... perché, mentre lei mi abbraccia e mi stringe forte, io, oltre a quel profumo che ha, sento il suo calore che mi viene incontro ed è come se mi volesse proteggere da tutte le cose brutte del mondo! Noi litighiamo spesso, perché vado a dormire tardi o anche se metto in disordine il salone, che poi rimetto tutto a posto, lei mi sgrida e, quindi, iniziamo a litigare... dopo tutti questi bisticci, però, ci chiediamo scusa e ci rivogliamo bene. Noi, quando siamo insieme, parliamo di come è andata a scuola, di come è andata al lavoro e se ho fatto i compiti. Quasi tutti i fine settimana, andiamo a fare shopping insieme e io adoro queste occasioni, non per comprare cibi o vestiti, ma per stare con lei due giornate intere! La sera, io, mia sorella e mamma guardiamo la TV, mentre papà dorme o va al bar per vedere le partite. Gli episodi fondamentali e più belli che ho vissuto insieme alla mia mamma sono stati: quando ho preso tutti i dieci in pagella, quando siamo state al mare insieme e quando siamo andate a fare una passeggiata e ci siamo fermate al “Traccio di Santo Venanzio”. La mia mamma, per me, è la più brava e buona del mondo: lava, cuce, mi accompagna a scuola, lavora, cucina, pulisce la casa ecc... Vorrei che, nel mondo, tutti avessero una mamma come la mia!!! Alessandra Farnesi 18


classe 5° elementare motivazione: il contenuto è molto ben strutturato e rivela una lodevole abilità descrittiva. Il testo dà, inoltre, uno spaccato della complessità dell’immagine femminile nei suoi molteplici ruoli di mamma, donna, lavoratrice.

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SCUOLA MEDIA SEZIONE POESIA 1° classificata “Lieve eterno oblio” Lieve eterno oblio provo al respiro dell’infinito. Riccardo Napolitano classe 1° media motivazione: mirabile sintesi di una riflessione espressa con linguaggio incisivo ed ermetico.

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2° classificata “Ehi fratello, dove vai” Ehi fratello dove vai? Per caso non ti ricordi di tutti i nostri guai? Ne abbiamo passate tante insieme coltivando così dell’amicizia il seme. Con te non ero più il solo a guardare le navi ormeggiate al molo. E anche se ti arrabbiavi, subito tu mi perdonavi. Gli anni sono volati, i pesi sulle mie spalle caricati, ma tu da bambino con me li dividevi perché nel nostro rapporto davvero ci credevi. Te ne sei andato, c’è poco da dire, quando ti ho visto correr via, stavo quasi per svenire. Hai scelto la massa, di me non ti accontentavi; invece per me, ti giuro che bastavi. Devi seguire il tuo cuore non la popolarità, 21


sai, senza di quella si vivrebbe in libertà. Lo so, ne son sicuro che non sei felice perché nella vita non è importante solo averle firmate le camicie. Ascoltami, ti prego, io il tuo folle gruppo non te lo nego volevo solamente farti capire che certamente ti avrei trattato come un re. Chiara Raucci classe 3° media motivazione: un sentimento profondo raccontato con originalità ed efficacia narrativa che rivaluta l’importanza dei valori sulla futilità dell’effimero.

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3° classificata “Mi vergogno di essere umano” Mi vergogno di essere umano, voglio rinascere come lupo, non voglio avere a che fare con chi toglie l’esistenza ai propri simili. Non voglio avere odio, per non nuocere a chi, forse, è innocente. Tutto per tutti è bianco o nero, io voglio essere grigio come il pelo dei lupi. Voglio dispiacermi ululando alla luna, dispiacermi per chi mi è caro e si è perso. Voglio dare un piccolo punto di riferimento, una piccola speranza di ritrovarci in un bosco di parole, pensieri mai confessati ad anima viva. Voglio essere un lupo, essere sempre libera e non avere un concetto di vita infinita. 23


Sapere che domani non poteri trovare cibo e mettere tutta l’ anima ad amare ciò che avviene, sempre. Chiara Calvani classe 3° media motivazione: una lunga metafora per presentare riflessioni sulla vita e sul desiderio di libertĂ .

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SEZIONE NARRATIVA 1°classificata “Jasmina” Jasmina era una ragazza di tredici anni viveva in un paese poco noto del Sud del mondo in una piccola casetta di mattoni e lì passava tutta la sua giornata. Come tutte le mattine doveva svegliarsi prima che si levasse il sole per andare a prendere l’acqua dall’altra parte del villaggio e al suo ritorno avrebbe dovuto accudire i suoi fratelli minori affinché fossero puntuali per l’arrivo a scuola. Il padre andava a lavoro e lei e la madre restarono a casa a svolgere le loro faccende. La giornata di Jasmina era per lo più silenziosa e tranquilla, possiamo dire che non le era permesso fare niente. Nel suo paese le donne non hanno il diritto di cantare né di ballare. Tutti i giorni si ripeteva la stessa storia Jasmina vedeva i suoi fratelli studiare e si domandava come mai lei non poteva e la risposta del padre era sempre la stessa ‘’ Non puoi studiare perché sei donna’’. Il giorno dopo Jasmina e sua madre andarono al mercato. Per uscire di casa dovevano indossare un mantello tutto nero che quasi non gli permetteva di respirare, il burqa. A Jasmina questa cosa non piaceva affatto lei sapeva di meritarsi qualcosa di più di quello che le era permesso. Quando qualche volta delle amiche passavano davanti casa sua, giocavano per un po’ e quello per Jasmina era il momento che attendeva da tutta la settimana, per una volta in sette giorni si sentiva libera: libera di parlare con qualcuno, di confidare le cose che non avrebbe mai potuto svelare a nessuno. La domenica il padre e i fratelli si recavano al 25


luogo di culto del paese ma Jasmina e la madre restavano a casa perché non era consentito che loro andassero a professare liberamente ciò che credevano. Passarono i mesi ed un giorno Jasmina dovette pulire la casa da cima a fondo per l’arrivo di una persona importante. Jasmina non sapeva di chi si trattava. Entrò in casa della famiglia un signore dal volto poco pacifico, da lì a poco tempo quello sarebbe stato il marito di Jasmina. Tutte le sere la ragazza scoppiava in lacrime, sapeva che la vita dopo il matrimonio sarebbe stata più dura, sapeva che quelle due ore passate a giocare e a chiacchierare con le sue amiche dopo lo sposalizio non ci sarebbero più state. Il giorno del matrimonio arrivò per una volta Jasmina uscì di casa senza il burqa ma si sentiva talmente ridicola che avrebbe preferito indossare quello strano manto nero. Alla fine della festa Jasmina ebbe paura non sapeva per quale motivo, ma ogni volta che vedeva il suo nuovo marito le si gelava il sangue, aveva voglia di piangere, di correre dalla sua mamma per dirle che voleva tornare con loro e che non voleva stare con una persona che neanche le parlava. Gli anni passarono e Jasmina rimase sempre in quella umile casetta scambiando due o tre parole al giorno con il marito che era sempre indaffarato con il suo lavoro. Jasmina ebbe due figli una delle quali femmina, alle volte voleva che sua figlia non fosse nata perché sapeva come avrebbe dovuto affrontare la vita. Nel suo paese le donne non contavano niente e la cosa è molto triste. In molte parti del mondo ancora oggi le donne vengono messe in disparte senza nessun diritto. In questo mondo sarebbe bello che una donna, un giorno, potesse dire ‘’Oggi per me decido io!’’. 26


Chiara Marchetti 3° media motivazione: la drammatica condizione dell’universo femminile nel mondo maschilista del Sud del pianeta è descritta dalla giovane autrice con la capacità di immedesimarsi nella psicologia della protagonista coinvolgendo il lettore sulla problematica della negazione del diritto fondamentale alla libertà.

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2° classificata ”Un cuore soffice al titanio”

Il rapporto tra fratelli è secondo me il rapporto più bello fra tutti; superiore anche all’amore. Un rapporto che cambierà di certo durante il corso della vita, ma che comunque resterà immutato nei sentimenti e nelle emozioni. Un rapporto che, anche di fronte a grandi incomprensioni e problemi, mai si romperà, ma anzi si fortificherà. Avere un fratello è un’emozione indescrivibile. Si dice “avere un fratello”perché il fratello si possiede, il fratello ha tutto quello che tu non hai: un fratello ti completa! Il mio di rapporto con Saverio era speciale! Fratelli diversi, forse anche troppo; diversità, che però mai ci ha allontanato o separato, perché parliamoci chiaro, come si fa a non volere bene ad un fratello con cui hai condiviso 12 anni di vita e credetemi 24 ore al giorno 7 giorni alla settimana. Litigavamo come due fratelli normalissimi che avevano 7 anni di differenza e veramente poche se non pochissime cose in comune. Pochi mi crederanno perché in pochi lo sanno, ma io per 12 bellissimi anni sono stato braccia e gambe di Saverio (inutile dire che il cervello era lui), non è stato facile; Saverio aveva bisogno di un ambiente sereno e calmo, con persone altrettanto serene, altrimenti tutti in famiglia sapevamo che si sarebbe creata una strana atmosfera di falsa tranquillità, che però Saverio con la sua straordinaria intelligenza avrebbe in poco tempo smascherato. 28


Avere un fratello disabile è dura, soprattutto se sei il piccolo; devi crescere in fretta, devi cambiare in fretta forse troppo in fretta e devi comprendere cose, che anche gli adulti fanno fatica a capire. Una cosa ho capito in questi 12 anni passati con Saverio: noi troppo spesso ci lamentiamo del fatto che la vita ci riservi troppe poche gioie e vittorie...grazie alla mia esperienza di vita, io oggi sono in grado di affermare il contrario! La vita ci riserva una moltitudine di gioie e vittorie, ma sta a noi riconoscerle tali; ho capito questo giorno dopo giorno, vedendo che per Saverio una vittoria era finire il pasto del pranzo o magari più semplicemente avere passato una bella serata in famiglia. A lui, bastava poco per essere contento e spesso mi chiedevo come poteva essere felice, quando le sue migliori aspettative di vita erano di 30 anni scarsi. Restavo ogni giorno più meravigliato dal suo modo di affrontare la vita nelle difficoltà e non la smettevo di rimproverarmi per non aver fatto abbastanza per lui durante la giornata. Uno dei migliori momenti, se non il migliore, era la domenica, sicuramente, perché tutta la famiglia si raccoglieva intorno a lui, ma soprattutto perché sapeva che alle 14:50 la televisione era sul canale più bello del mondo : il 201, dove tutte le sante domeniche trasmettevano le partite della Juve, la nostra straordinaria Juve, il nostro grande amore! Nessuno sa meglio di me che ad ogni goal che il nostro amore realizzava, il clacson della carrozzina di Saverio suonava all’impazzata...non vi racconto neanche la reazione di noi due alla vittoria del primo dei quattro (speriamo 29


cinque) scudetti consecutivi conquistato nel 2012! Oggi, quando la domenica gioca la Juve, penso sempre a lui e naturalmente esulto anche per lui! Grazie Sav per avermi insegnato a vivere e a vedere il bello anche lì dove non c’è!! P.S. SEMPRE E COMUNQUE FORZA JUVE! Francesco Marinelli classe 3°media motivazione: il dramma di una disabilità costellata di trionfi e sconfitte rivive nella dolcezza del racconto di chi quel dramma ha accompagnato fino alla fine, sublimandolo nelle piccole gioie del vero amore che sa vedere “il bello anche lì dove non c’è”.

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3° classificata - “Quello che si nasconde nel mio giardino” -Sophie, Sophie, Sophie Smith! Presti attenzione alla mia lezione, non vorrà perdersi la spiegazione sul triangolo isoscele, vero? Capisco che non è facile essere una nuova arrivata, ma giovedì c’è la verifica!- Dovetti smettere di pensare a ciò che è successo la sera prima quando sentii gracchiare la Signorina Label, che minacciava di mettermi un brutto voto la settimana successiva... Quando la maestra riprese la sua noiosissima spiegazione: -Dunque, il triangolo isoscele ha due angoli uguali e...- Capii che la matematica non faceva proprio per me, che avrei preso comunque un votaccio, allora ricominciai a pensare a quello strano avvenimento di ieri che... “Sbam!”. Sento un calcio sullo schienale della sedia, ma cosa è stato; per caso, chi 31


è seduto dietro di me, mi legge nel pensiero ed ha voluto evitarmi una sgridata? Ad ogni modo credo che la botta abbia attirato l’attenzione anche della maestra, che, però, proprio quando stava per sgridare sia me che il compagno seduto dietro di me, viene interrotta dalla campanella. “Grazie” penso tra me e me, ma credo di averlo pensato così forte che l’ha sentito anche Miss. Label, che mi lancia un’occhiataccia, ma non può dirmi niente perché io sono già in corridoio, pronta per uscire. Una volta fuori mi incammino per la strada di casa e, ora che viviamo in un piccolo paesino come Tarascon, posso andare da sola. Mentre giro l’angolo sento una mano posarsi sulla mia schiena e qualcuno che chiama il mio nome con un particolare accento francese, allora mi giro e vedo dietro di me il viso minuto di una mia coetanea, credo di conoscerla... Ma certo! È la mia compagna di classe, quella che qualche minuto fa mi ha voluto salvare dalla furia della signorina Label, che è molto gentile, ma quando si arrabbia... Allora le dico, con tono diffidente: -Cosa c’è?- Lei, tutta cordiale, mi risponde: -Ciao! Sono Veronique, Veronique Martin, la tua compagna di classe, ti ricordi?- Io, bugiarda tale sono: -Si, si, certo...- Allora lei: -Non mi sembri molto convinta, comunque la mia casa è per di qua, perciò ti va se facciamo la strada insieme?!- Sinceramente non molto, non sono una persona molto aperta e, pertanto, non mi piace fare amicizia con persone nuove, ma non potevo dirglielo: -Okay, va bene- Le rispondo indecisa, ma lei, estroversa com’è, mi chiede subito di parlarle un po’ di me. Ecco, ci mancava, un’altra cosa che odio fare! -Emmm, mi chiamo Sophie Smith e vivevo a Parigi, solo che mio padre è dovuto venire a lavorare qui in Provenza 32


e ci siamo trasferiti tutti: la mamma, il papà, io ed i miei due fratelli minori, Michel e Pierre, due impiastri!- E qui ridiamo, è la prima volta che lo faccio da che sono qui a Tarascon. Poi continuo: -Loro cominceranno l’anno prossimo la scuole elementari, a differenza mia che faccio la terza, e, purtroppo, verranno nella nostra scuola...-E della tua nuova casa cosa mi dici?-È bella, grande, spaziosa, i miei fratelli dormono insieme al primo piano, accanto alla stanza dei miei genitori, io, invece, dormo in un stanzetta abbastanza grande nel sottotetto, che mi piace molto e...- Veronique mi ascolta zitta e mi dice, quando ho un’ esitazione: -Mi interessa, dai, non ti fermare!- Io, però non so che dirle della mia stanza, perché ciò che era successo il giorno precedente mi aveva leggermente sconvolta ed è come se lei mi avesse letto nel pensiero, mi chiede, infatti: -C’è qualcosa che non va? Perché non mi vuoi raccontare della tua stanza? Cosa succede?! C’entra, per caso, con il motivo per cui oggi in classe non stavi attenta?- La mia nuova compagna mi è molto simpatica, allora decido di aprirmi, cosa che mi capita veramente molto raramente: -Ieri sera, mentre facevo i compiti, è successa una cosa non poco strana, ora ti racconto... Stavo scrivendo il tema di italiano, quando mi cade la penna, allora mi chino per raccoglierla e, in un angolino, vedo qualcosa luccicare, allora mi avvicino e, con mio grande stupore, vedo la maniglia di una minuscola porticina, emozionata e un bel po’ agitata, la tiro verso di me e, all’ultimo momento vedo... un piccolo piedino!Veronique mi guarda e mi ascolta attentamente senza mai interrompermi, ma non ha una faccia sconvolta e 33


sconcertata come la mia, sarà che in questo piccolo paesino fiabesco sono tutti abituati ad avvenimenti magici! Poi mi accorgo che la mia nuova amica mi fissa, come se mi stesse analizzando, infine, quando nota che sto arrossendo, dice: -Tu, tu stai pensando possa esserci, non so, qualcosa di magico?- Io non so cosa risponderle, credo che la magia sia una cosa stupida, a cui credono solo i bambini piccoli, così rispondo con un gesto accennato del viso, ci deve pur essere una spiegazione logica! Rimaniamo in silenzio, a pensare, quando Veronique mi dice: -Ehi Sophie, ti devo salutare, questa è la mia casa-. Mi giro e mi rendo conto di essere arrivata anch’io. La casa della mia migliore amica, ormai lo è, è proprio accanto alla mia e questo mi fa molto felice! Allora la saluto allegramente e la guardo entrare, poi mi fermo, comincio ad osservare, come incantata, la sua casa, bella e grande, ha un so che di... magico! È di un rosso che vira verso il rosa, con il tetto spiovente a tegole nere e la facciata frontale è attraversata da edera rampicate, che parte dal giardino in basso a destra ed arriva, scalando la parete, in alto a sinistra, con una curva dove ci sono le finestre, che hanno le veneziane tinteggiate di un verde acceso. Le finestre, ampie e molto decorate, hanno dei vasi con dei fiori stupendi, di colori accesi come il fucsia, il giallo il viola. Il giardino è, anch’esso pieno di fiori rigogliosi, che non so come facciano a vivere, visto che siamo in inverno... Forse vengono concimati con la polvere di fata! Ehi, e se la mia ipotesi non fosse sbagliata, e se... No, non esistono le fate, no, no e poi no! Così entro a casa e tento di concentrarmi solo sui compiti, mica facile! Il giorno seguente invito Veronique a casa, perché la 34


mamma vuole conoscere la bambina che è riuscita a tirarmi su il morale dopo la partenza. All’uscita di scuola torno a casa con la mia amica, a cui voglio molto bene, la conosco da poco, ma siamo già legatissime, ci completiamo, siamo una l’opposto dell’altra, ma si sa: gli opposti si attraggono! La considero come un angioletto venuto qui ad aiutarmi a superare le difficoltà del vivere in una nuova città e di non avere più amici; lei, infatti, è una sola, ma la sua amicizia, forte com’è, supera tutta quella che potrebbero dimostrarmi altre cento persone, ma che dico cento, mille persone! Veronique, appena entrata in casa mia, comincia a curiosare qua e là, senza scrupoli, poi mi segue in camera. Lì ci mettiamo a parlare dello strano avvenimento di qualche giorno fa e lei insiste con la magia, tentando di convincermi che le fate potrebbero anche esistere e, con quella sua faccina dolce, mi sta cominciando a far venire qualche dubbio, poi, quando la mamma esce di casa per accompagnare i miei fratelli a calcio, cominciamo a perlustrare la casa, alla ricerca di altre porticine o piedini che corrono su per le scale... A casa non c’è niente, allora usciamo in giardino, dove, dopo un po’, in un’ aiuola fiorita, forse l’unica che c’è nel mio giardino in questo periodo, che confinava con il recinto della casa di Veronique, intravedo un bagliore, allora mi avvicino e vedo la cosa più spettacolare che esista in questo mondo: sopra ad un petalo di rosa, color rosa confetto, vedo... Un neonato che una fata sta accudendo. I due superano di poco l’ altezza di un pollice e sono veramente dolcissimi! Io, allora impallidisco e la mia amica si avvicina sorridendo, poi guarda il bambino e la fata, che le dice: -Ciao Ver!- Io la guardo ancora più sconvolta. E se la mia amica non fosse 35


un angioletto, bensì una fata?! Lei risponde al mio pensiero: -Si, sono una fata anche io, ma la vera domanda è: tu lo sei?In quel momento si trasforma in una fatina, è veramente deliziosa ed il suo vestito, formato da bellissimi petali di fiori bianchi e rosa, le sta a meraviglia. Io la guardo paralizzata e l’altra fata interviene, capendo che ho bisogno di ulteriori spiegazioni: -Io mi chiamo Catherine, sono la mamma di Veronique e siamo tutte fate, compreso lui,dice indicando il neonato, -che è il fratello della tua amica. Lei è stata capace di leggerti nel pensiero perché noi fate siamo in grado di farlo con le persone con cui abbiamo un legame magico e speciale. E voi lo avete. La domanda che ti ha fatto mia figlia è dovuta al fatto che sentiamo, da quando ti sei trasferita qui, un campo magico-. Quando finisce di parlare sento di star per svenire e balbetto, con grande confusione in testa: -E...e... e come si fa a capire se sono anche io una di voi?- Loro si sorridono e poi mi portano nel loro giardino, qui raccolgono della vera polvere di fata dal petalo di un’orchidea e ci soffiano sopra, facendola finire su di me. A questo punto mi sento come se il mondo si stesse ingrandendo tutt’ad un tratto, aspetta... Sono io che mi sto rimpicciolendo! Poi sento qualcosa che esce dalle mie scapole, sono delle ali! Comincio a svolazzare qua e là, come se fossi una fata da sempre e mi accorgo di indossare un fantastico vestito di petali d’orchidea, uguali a quelli dell’orchidea da cui le due avevano preso la polvere di fata. Loro, felicissime, esclamano in coro: -Evviva, hai superato la prova: sei una vera fata!- Chi era più felice ero, però, io, che cominciavo ad esplorare questo fantastico mondo segreto, che tanto mi affascinava, quanto mi incuriosiva, e che adoro! 36


Chiara Meloni classe 1°media motivazione: il sogno e la realtà convivono raramente in una stessa unità di tempo, ma nel giardino di Sophie i due piani del fantastico e del reale si alternano in un gioco di dissolvenze orchestrato con lodevole abilità .

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SCUOLA SUPERIORE Sezione poesia 1° classificata “La mia poesia” La mia poesia non è pien d’angoscia, lacrimata speme, sudate carte o morte stagioni. La mia poesia è piccola piccola, è rotolarsi come un petalo su un prato urlare una canzone al vento riscaldarsi intorno al fuoco abbracciare il sorriso di un’amica tenerti compagnia e poi sorprendersi continuamente in un’eterna primavera. I cieli scuri, le nebbie, i tormenti sono laggiù lontani non li sento neppure. Maria Chiara Tramontana classe 2° 38


motivazione: il testo colpisce per originalitĂ dei contenuti e per delicatezza del linguaggio; mira a capovolgere gli schemi tradizionali della poesia, affermando una visione ottimistica della vita.

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2° classificata “Andarsene in un giorno di marzo” Il cielo questo dì piange in una tumultuosa tempesta, riversa tutte le sue gocce sui volti sconvolti di chi oggi ha perso qualcuno. Il suo respiro ... sempre più debole il battito i suoi occhi si spengono per sempre. Andare via è così semplice? Morire è un istante tutto si ferma, tutto tace. Solo quell’ odore di morte. La luna questa sera brilla alta come sempre anche lei sa che è arrivata alla fine del suo ciclo. Poi ricomincia daccapo.

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D’Agostino Cecilia Convitto Alberghiero “G. De Carolis” - San Paolo- Spoleto motivazione: un contenuto intenso e profondo è stemperato dalla similitudine con il superamento della tempesta primaverile affidata alla consapevolezza della sicura rinascita.

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3°classificata “Come un violino” Accarezza la corda l’archetto del violino come fosse un delicato e lento saluto che solo per un istante dona vita ad una sinfonia di suoni che muore disperdendosi lentamente nella stessa melodia nella quale è nata diventando un silenzioso grido. Mallamace Mattia Convitto Alberghiero “G. De Carolis” - San Paolo- Spoleto motivazione: un uso adeguato del linguaggio poetico, con numerose ed efficaci figure retoriche, evoca lo scorrere dell’archetto sulle corde di un violino e comunica il magico messaggio della musica. 42


Sezione narrativa 1°classificato “ Lo scroscio dei sogni” Eccolo che arriva, oramai è salito. È una barca bianca con sgargianti strisce rosso fuoco. Un filo, non tanto spesso ma resistente si unisce ad un gommone più o meno lungo quindici metri. È una macchia nera. Mi tremano le vene del collo. Deglutisco lentamente per rispettare il rumore delle due imbarcazioni. Mi alzo e corro verso la spiaggia vicino al porto. Nel piazzale delle banchine ci sono centinaia di persone che si muovono come formiche indaffarate ad accogliere quelle due barche. Più di dieci ambulanze ed una miriade di auto con le portiere spalancate colmano lo spiazzo. I due mezzi pian piano, come in un videogioco, si rivelano nei particolari. Piccoli puntini bianchi emergono nella tensione di quella chiazza di nero che interrompe l’azzurro del cielo. Sembra fastidiosa con quella sua innaturale imprecisione. Cammino velocemente verso l’entrata del porto e mi intrufolo dentro lo spazio zeppo di paramedici. Mi allontano e mi siedo su un container dove ho una perfetta visuale di quell’attimo a me nuovo, senza risposta. Arrivano, sono sempre più vicine, sale la tensione, sale la paura, salgono le domande ma nulla interrompe il silenzio assordante che rimbalza lungo le chiglie delle navi in vicinanza e si confonde con le onde dormienti. Ecco, sono uomini. Quella macchia nel mare vive, respira, ha paura, è felice, forse è anche morta. Si ferma e i mille occhi della chiazza scura si smuovono freneticamente. Tutti sul porto sono pronti per l’arrivo, sono pronti a ricevere le onde e 43


a prenderle al volo. Devono essere tutti bravi a giocare a questo gioco, vedo freddezza e concentrazione. La paura ora non deve avere che un posto secondario, non serve a nulla. Il primo scende dalla barca. Le sue gambe tremano. Cade. Viene sollevato e steso per terra. Le lacrime mi imperlano le guance. Ne scende un altro, sembra Jonathan con quella sua camminata veloce e matematicamente calcolata da un ritmo cadenzato ma sicuro. Sorride e solleva le braccia al cielo. Tutti urlano di gioia e sorridono. Una lacrima mi è cascata lungo le labbra ed il sapore salato mi congiunge al mare. Scendono pian piano tutti quanti e pian piano lo spiazzo si trasforma in un piccolo tripudio di persone, medicine e coperte luccicanti. Il gommone è vuoto e rimane solo il silenzio a gridargli contro. Il silenzio della morte di due ragazzi. Ne sollevano uno e sembra proprio lui, proprio Bob. Gli occhiali hanno la montatura bianca e cascano nell’acqua perdendosi sul fondo. Una mano è inerte e viene scossa dal movimento dei due che cercano di portarlo fuori dalla sua trappola. Gli occhi sono chiusi ma si scorge il bianco del bulbo nelle vibrazioni del corpo. Avrebbe corso per sempre nella sua prateria dei sogni. Avrebbe salutato il suo amico Bolt dall’alto e gli avrebbe sorriso con i dentoni luccicanti. Lì di riso non ne avrebbe trovato e invece avrebbe mangiato tonnellate di succulenta frutta e verdura che aveva visto nei film proiettati ogni mese nella piazza del piccolo accampamento dove viveva. Il corpo lo hanno poggiato per terra su un telo nero. Sembra sorridere e ringraziare tutti per averlo fatto arrivare sulla terra dei suoi sogni. Non ce la faccio. Scappo via, sono vigliacco. Corro con le lacrime agli occhi ed il telefono squilla frenetico 44


avvertendomi che mia madre è allarmata. Me ne frego della vibrazione e corro senza un perché ma con l’obbiettivo di allontanarmi da quel posto, dal quel posto dentro il mondo in cui fa freddo per tutti ora. L’immagine mi rimbomba nella mente scatenando impulsi frenetici, psichedelici, allucinogeni. Non capisco più nulla ora, sono senza me stesso e mi muovo senza rendermene conto. Svolta a destra, svolta a sinistra e dritto per un chilometro. Mi sembra di seguire Peter Pan nella sua isola ma mi ritrovo steso sulla sabbia del lido dove di solito passo l’estate. La sabbia mi graffia il volto. Non so perché ma quella sensazione di ruvido calma le mie lacrime. Loro pian piano si tranquillizzano e ritornano ad accumularsi agli angoli degli occhi. Mi brucia tutto, è tutto un tumulto e l’anima si percuote imprecando contro un qualcosa di onnipotente che possa aver causato questo. E Ivo? Quell’altra onda, quell’altra anima cosa avrebbe fatto, cosa avrebbe passato lungo chilometri di freddo per raggiungere questa terra che tanto odio? Che cazzo succede? Forse tutto si sta rivoltando in un’incomprensibile codice di tristezza, confusione e rabbia verso un mondo creato da noi stessi. Forse Ivo si sarebbe salvato e avrebbe incontrato Jonathan per chiacchierare davanti ad un caffè e per parlare dei loro sogni avverati. Si sarebbero capiti nella loro lingua dei numeri e delle leggi fisiche. Sorrido come uno scemo e continuo ad immaginare una loro vita perfetta come nei sogni. Forse quella loro disperazione e quella loro ostinazione li porterà davvero a realizzare quei loro sogni giganti per piccoli uomini. Forse Ivo toccherà veramente con mano il buio dello spazio e sarà veramente la stessa parte luminosa delle stelle più belle. 45


​ orse il suo sogno sarà realtà perché sono i sogni a fare la F realtà, sono i sogni a dare forma al mondo. Jonathan sarà un premio Nobel, ne sono certo, sicurissimo, me lo sento. Me lo sento come si sente il vento freddo che sbatte contro le finestre di casa. Me lo sento come Bob si sentiva che sarebbe arrivato a correre nell’infinito e ci è riuscito. Me lo sento perché mi fido della perseveranza e potenza dell’animo umano. Me lo sento perché corro, salto, calcolo, penso, scrivo, vivo come loro e come loro avverto che una cosa avverrà. Non ho paura di ridere da solo e lo sto facendo come mille altre stelle ridono con me. Eccola, si vede da qui un piccolo bagliore che nasce nuovo e limpido nel cielo. Bob ora mi saluta e mi accarezza l’anima senza rimorsi, solo con la convinzione che la vita non smette di sorprenderci e di definirci invincibili. Siamo invincibili quando riusciamo a passare nottate nella merda d’uomo per arrivare in una nuova terra. Siamo invincibili quando riusciamo a resistere al sangue delle vesciche sotto i piedi dopo ore di camminata. Siamo invincibili perché vinciamo noi stessi e perché sì, dannazione sì, siamo grandi come le stelle e piccoli come gli atomi che danno vita a questo mondo. Siamo quel tutto che ho immaginato sulla panchina che osserva il mare e che conosce tutti. Lei conosce la direzione ostinata e contraria di chi ha scelto di essere diverso, di chi con il marchio speciale di speciale disperazione non ha pensato a se stesso ma al suo futuro con chili di frutta intorno, con delle scarpe da podismo nuove di zecca, con una matita in mano e con la felicità alle stelle. 46


“Eco d’o mare a tutt ‘e guagliun parlen ancor d’ammore e libertà scuordete o male addò e criature cu poco e niente o’ssaje se sanne accuntentà Eco del mare a tutti i ragazzi Parlano ancora d’amore e libertà Scordati il male dove le creature Con poco o niente, lo sai, si sanno accontentare”. Eco del mare – Rocco Hunt feat Enzo Avitabile Artiom Noto classe 3° motivazione: la cruenta realtà di un naufragio di profughi, osservato da una panchina di fronte al mare, “mette in tumulto” l’ animo dell’ autore il quale mostra una particolare abilità nel trascinare in un unico dramma la forza degli elementi naturali del vento e del mare e le vittime innocenti dell’ennesimo eccidio. La forma narrativa è fluida e ben strutturata e il linguaggio è ricco di creatività e forza descrittiva.

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2° classificato “Un amore da gustare” Tutto iniziò una mattina d’autunno. “ Drin!” e la sveglia suonò per andare a scuola. C’era l’esercitazione speciale di cucina per deliziare gli ospiti russi. Mi ero vestita con una semplice tuta; feci colazione e presi la navetta per andare a scuola. Entrata nell’Istituto, mi cambiai con la mia divisa bianco- latte ed i pantaloni sale e pepe. - Buongiorno, signorina!-mi disse il professore tutto in tiro pronto per la giornata. Piano piano iniziarono ad entrare tutti gli alunni coinvolti. Uno in particolare mi colpì come un fulmine a ciel sereno. Era per me uno spettacolo della natura. L’attività iniziò e tutti ci mettemmo al lavoro per creare qualcosa di stupefacente per le papille gustative russe. Tutti avevamo un compito ben preciso da svolgere. Ad un certo punto, mi trovai a dover mettere un preparato di funghi in un tritatutto. Avendo qualche problema al polso, questo mi si bloccò e, come un angelo venuto in mio aiuto, arrivò quella meraviglia che avevo visto entrare dalla porta. –Scotta?- mi chiese. Io con il cuore in gola : - Sì, scotta molto! Risposi così per non fare quella che per me era una brutta figura. - Vieni, ti aiuto io- replicò quell’essere meraviglioso. Da quel momento e per tutta la mattinata, mi aiutò in tutte le mie preparazioni. Ero in estasi. Tutto quello che lui diceva mi incantava. Aveva gli occhi che catturano l’anima senza che te ne accorgi. Ero rimasta stupita per il modo 48


in cui ragionava quello splendore così giovane. Mi aveva preso e non potevo farci nulla. Purtroppo quelle ore passarono così veloci che, in un batter d’occhio, mi ritrovai con la mia tutina nella stanza del convitto pensando a lui. Per otto lunghi mesi era diventato per me come un’ossessione; ogni volta che lo incontravo, lo fissavo. Lo cercavo proprio dappertutto. Ogni giorno mi chiedevo se mai avessi avuto l’opportunità di stringergli la mano o chissà ... di lavorare di nuovo insieme. Mi ricordo di uno splendido giorno quando, sulla navetta, si incrociarono gli sguardi. Io arrossii, abbassai subito gli occhi e, con il cuore che mi batteva all’impazzata, vidi i suoi occhi dentro i miei. Dopo questo episodio mi domandai: - Perché non chiedergli un accendino? Così avrei avuto l’occasione di scambiarci due chiacchiere. Allora, andai da lui e, con l’ imbarazzo che mi si leggeva in viso, gli chiesi: - Scusa, avresti da accendere? Lui, con fare molto burbero, mi allungò l’accendino senza guardarmi e senza proferire parola. Fumai quella sigaretta e nemmeno me ne accorsi. Ero rimasta veramente delusa. Suonò la campanella ed entrai in classe piangendo. Il mio cuore, calpestato, era ridotto a brandelli. Passata quella mattina, uscii da scuola e andai a fare una passeggiata, pensando a lui. Mentre camminavo, mi ero auto-convinta che magari lui non si era accorto di chi fossi. Così ricominciò la mia “ lotta “ per arrivare a lui. Per otto mesi ... mille domande, mille inseguimenti, duemila sguardi non compresi. Stavo male, davvero molto. Cercavo di distrarmi il più possibile, ma ogni cosa mi riportava a lui. Tutti mi consigliavano di farmi avanti, di parlarci, di provarci. 49


Purtroppo, però, non sono quel tipo di persona che fa tutto ciò che le passa per la mente: devo essere più che sicura. Un giorno mi dissi: - La scuola sta per finire, salutalo! Allora diedi l’incombenza ad una mia compagna di classe di salutarmi quella persona meravigliosa. Lei portò il mio saluto in incognito, come le avevo suggerito ma, ovviamente, lui si incuriosì. Dopo tutte le sue ricerche, scoprì chi ero. La sera stessa mi mandò un messaggio in un social: - Ciao, comunque grazie del saluto. Ero già nella mia stanza, le mie compagne dormivano tutte. Talmente tanta era l’euforia che lui mi aveva risposto ... accesi tutte le luci e svegliai le mie “coinquiline” per chiedere consiglio. Dopo averle ascoltate: - Ciao, prego!- accompagnato da un semplice smile. La notte non chiusi occhio per l’adrenalina che avevo in corpo. Pochi giorni dopo in convitto c’era la “ Festa di Primavera”. Inizialmente presi la decisione di tornare a casa: avevo paura di vederlo e di fare una brutta figura. Il giorno stesso della festa una mia amica mi disse che ero stupida: un’occasione del genere non la potevo sprecare. Così mi feci coraggio e andai. Fu una sera a dir poco fantastica, passata tra balli e risate. Lui aveva un gran raffreddore e io gli passavo sempre i fazzoletti per soffiare quel nasino mozzafiato. Quella serata passò in un baleno. La notte non riuscivo a prendere sonno. Ero troppo emozionata! Il giorno successivo andai a scuola, ma lui non c’era. Non so perché. Appena finite le lezioni, tornai a casa come ogni sabato. Ero triste perché sapevo che nel week-end non ci saremmo 50


visti. Allora il sabato pomeriggio presi il telefono e gli mandai un messaggio. Così senza pensarci due volte. -Ciao, grazie della bellissima serata, sono stata davvero bene! Da quel momento iniziammo a mandarci messaggi sino a tardi. Ero al settimo cielo. Messaggio dopo messaggio, decidemmo di incontrarci il lunedì, appena rientrati. Fu un pomeriggio da favola. Lui con quel fare principesco, mi aveva proprio rapito il cuore. Trascorse le ore pomeridiane a nostra disposizione, mi riaccompagnò in convitto. Prima di scendere dall’ auto mi diede un bacio. Io rimasi senza parole. Non sapevo proprio cosa dire. Me ne andai. Tutta la sera ci mandammo messaggi. Passarono un paio di giorni e lui mi disse che doveva parlarmi. Il Ventisette maggio decidemmo di incontrarci e di andare a fare una passeggiata, così lui poteva dirmi tutto quello che doveva. Mi portò in un posto magnifico dove si poteva ammirare tutto il mondo dall’alto. La Rocca di Spoleto. Iniziammo a parlare. Ad un certo punto lui si inginocchiò: - La scuola sta per finire e quest’estate non ci vedremo, però voglio provarci perché sei una persona meravigliosa. Vuoi diventare la mia fidanzata? Avevo il cuore che batteva forte, forte. Lo guardai negli occhi: - Sì, era quello che aspettavo da otto mesi. Sapevo che non era una facile situazione perché lui, il giorno dopo, sarebbe partito per lo stage e poi in Svizzera per la stagione estiva. Il sentimento che provavo ha ignorato tutto questo. Da quel momento, prima di rivederci, 51


passarono tre difficili mesi. Ci telefonavamo tutte le sere e stavamo ore su ore al telefono, anche accompagnati da momenti di silenzio. Tutto questo non era importante; per me, l’importante era sapere che lui c’era anche a migliaia di chilometri di distanza. Durante questo periodo gli feci una sorpresa: lo andai a trovare. Ci stetti solo tre giorni ma furono intensi e a dir poco stupendi. Mi portò a visitare la città di Losanna e tutti i piccoli paesi limitrofi. Mi portò anche a fare una passeggiata nel lungo lago. Una camminata favolosa e romantica. Lì, ci siamo detti ”Ti amo”. Un’emozione indescrivibile. Purtroppo questi tre giorni passarono in tutta fretta. Tornai in Italia triste, molto triste. Avevo però in me la convinzione che, quando lui tornava, sarebbe iniziata una vita speciale insieme. Così è stato. Lui tornò verso metà Agosto. Da lì ebbe inizio la nostra vita fisicamente vicini. Abbiamo fatto due milioni di cose insieme. Ne abbiamo passate tante belle e brutte. Ora, tutto ciò che facciamo, lo facciamo insieme, uniti come non mai. Tornando indietro nel tempo, non avrei mai e poi mai pensato di arrivare sin qui, di vivere questa magnifica favola. Sì, dico magnifica. E’ vero, siamo giovani, non possiamo fare tutto ciò che vogliamo, ma questa stupenda creatura è disposta, per me, a fare di tutto, come lo sono io. Non posso avere tutto quello che voglio, ma ... ho lui che mi dona ogni giorno il suo sorriso smagliante, la sua pazienza, il suo amore. Da quel ventisette maggio siamo sempre qui, insieme, più uniti che mai sperando di continuare per molto e molto tempo.

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Aurora Tosti Convitto Alberghiero “G. De Carolis” - San Paolo – Spoleto motivazione: finalmente una bella storia a lieto fine, condita con la freschezza e la semplicità di un amore palpitante fatto di ansie, trepidazioni e sorrisi e raccontato con il linguaggio naturale di un’adolescente che si avvia a realizzare il sogno della propria vita.

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3° classificato “20 marzo 2011, Siria” Edward percorse le strade piene di bambini e ragazzi, adulti e anziani, con lo sguardo perso, lo stesso sguardo che rifletteva come uno specchio la loro anima. E si poteva notare il disorientamento, lo straniamento verso tutto ciò che li circondava, come se niente di tutto quello che stava accadendo intorno a loro gli appartenesse, come se niente fosse legato a loro, loro erano solo vittime, vittime che sfortunatamente si erano trovate nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Ed anche Edward era una di esse, sapeva che trasferirsi in Siria non sarebbe stato facile, molti dei suoi familiari erano scettici riguardo alla sua decisione, forse perché accecati dai pregiudizi che sono ormai pane quotidiano della società. In questi sei mesi Edward lo aveva capito, aveva capito che aveva fatto bene a seguire il suo istinto, a continuare a nutrire la sua passione, non importava dove e come, l’importante era rincorrerla. La sua passione era l’architettura, fin da bambino amava disegnare, e crescendo aveva perfezionato questo suo talento fino a farlo diventare una vera e propria professione. Così quando gli venne proposto un progetto da realizzare in Siria, non ci pensò due volte ad abbandonare la sua amata Londra, per intraprendere una nuova avventura. Ed ora, che erano passati sei mesi da quando era qui, si era “abbuffato” di tutte le meraviglie e le ricchezze che questa terra così sottovalutata aveva da offrire. Si era “rifatto gli occhi” di fronte ai comportamenti completamente differenti che avevano i siriani - rispetto agli occidentali - verso gli sconosciuti, l’apertura mentale 54


che dimostravano era un dono di pochi, spesso era proprio la semplicità delle cose che lo rapiva e lo ammaliava completamente. Il progetto che Edward aveva iniziato insieme ai suoi collaboratori stava finalmente prendendo forma dopo sei mesi, era così fiero, perché non era un progetto qualunque, la motivazione che vi era dietro era troppo importante: c’era in ballo il bene di una comunità. Ed è per questo che, nonostante tutte le difficoltà riscontrate, Edward non si arrese e continuò imperterrito con le sue idee, con il suo lavoro, con il suo sogno di poter regalare finalmente una scuola, un luogo per poter seminare le radici del futuro di questi bambini che ancora non avevano avuto la fortuna di conoscere il mondo, di conoscere la bellezza della cultura, di poter essere indipendenti e ragionare con la propria mente. La consapevolezza di essere il ponte che collega questi bambini all’istruzione lo rendeva felice. Perché si sentiva utile, per una causa che aveva molto a cuore: sapere di poter garantire un’istruzione, un tetto su cui fondare i propri studi, un posto che avrebbe potuto essere l’inizio dell’infinito amore che anche Edward aveva provato nel momento in cui aveva iniziato a studiare, nel momento in cui si era reso conto che non esisteva potere più forte di quello della cultura. E dopo sei mesi si potevano raccogliere i frutti del duro lavoro che lo accompagnarono sin da quando mise piede nel suolo di questa terra straniera, ma che ormai aveva fatto breccia nel suo cuore, si era appropriata di una piccola parte, incollandola nelle vie, nei paesaggi, nelle persone che aveva avuto la fortuna di conoscere. 55


Edward pensò che a volte il destino, il caso, la sorte o qualunque altra cosa sia, era proprio buffo, nel momento in cui si inizia a respirare dopo anni di apnea, subito c’è qualcuno pronto a spingerti e a farti affondare nuovamente, questa volta però non sei stabile come la prima volta, questa volta sei graffiato da tutte le esperienze subite, esperienze che non vogliono essere dimenticate ed è per questo che lasciano il loro segno con delle cicatrici indelebili. Questa volta l’abisso è infinito, la luce e la superficie sono troppo lontane da poterle scorgere con l’occhio e la forza di volontà pian piano inizia a cedere, inizia a frantumarsi come un terreno fragile nel momento in cui viene percorso da un forte terremoto. Edward si sentiva esattamente così in quel momento, aveva capito che non bisogna mai cantare vittoria quando l’opera non è ancora pronta definitivamente, perché basta un niente, un niente capace di spazzare via tutte le certezze, tutti i sogni che pian piano si stavano costruendo fino a formare un castello. Peccato però che Edward si rese conto che questo castello era fatto di carte, carte fragili e sottili, che si tenevano in piedi per miracolo ed in questo caso una guerra è stata più che sufficiente ad eliminare, a spegnere quel barlume di speranza che era tutto ciò che gli dava lo stimolo ad andare avanti. La guerra civile. Per colpa di quest’incubo divenuto realtà tutte le cose intorno a lui stavano perdendo senso e valore. Edward si sentiva frustrato, stremato, esausto. Un paio di ore prima aveva visto le mura della nuova scuola che stava progettando crollare sotto i suoi occhi, uno 56


scenario terribile, che non avrebbe augurato a nessuno. Perché per gli altri quello potrebbe essere soltanto un comunissimo e banalissimo edificio in costruzione e anche se un bombardamento lo aveva distrutto per sempre, c’era di peggio, non c’era il bisogno di dispiacersi più di tanto. Poteva andare peggio sì, quello è vero, ma mentre Edward vide la bomba esplodere in mezzo a quelle mura nel giro di pochi secondi vide tutte le poche certezze che era riuscito a costruire sgretolarsi al suolo, andare in fumo e perdersi per sempre nell’aria: era ormai impossibile poterle recuperare. Ed era impossibile riuscire a trattenere una lacrima solitaria che solcò la sua guancia, segno di estrema agonia e stress, prova inconfutabile della delusione e rassegnazione, portandolo allo stremo delle forze, alla completa apatia, fino a quasi perdere la ragione, dubitando di qualsiasi cosa gli passasse accanto, perfino di se stesso. Dopo quella visione che per tutta la vita gli rimarrà impressa, una di quelle scene che anche quando sarà anziano, un po’ sordo, un po’ cieco e un po’ smemorato, non riuscirà ad uscire dalla mente, ormai stampata come una fotografia che si ripeterà continuamente davanti ai suoi occhi, vagava lungo le caotiche strade siriane, senza meta, senza destinazione, aveva perso la voglia di vivere. Aveva perso tutto. Non riusciva a concepire che per colpa di una bomba adesso i bambini avrebbero dovuto aspettare altri anni prima di potersi finalmente sedere davanti ad un banco, con un quaderno e una penna. Era troppo, troppo anche per lui. Quando sviò, entrando in una stradina abbastanza isolata, la sua attenzione venne completamente catturata da un 57


bambino che si trovava rannicchiato su se stesso, seduto sopra ad un gradino. Aveva il capo talmente chino che Edward non riusciva nemmeno a scorgere il volto. Lentamente si avvicinò, accovacciandosi vicino a lui e dopo qualche secondo il bambino finalmente scoprì il suo viso, rigato dalle lacrime, osservando e studiando con attenzione l’uomo davanti a lui che in quel momento gli stava sorridendo. Non riusciva a capire che motivo avesse quest’uomo per sorridere, vista la situazione tragica in cui erano coinvolti. “Come ti chiami?” Gli chiese Edward gentilmente, increspando le labbra in un altro accenno di sorriso, facendo nascere due fossette ad entrambi i lati delle guance. “S-Samir.” Rispose in un soffio il bambino, la voce era un sussurro, titubante ed esitante, timoroso di iniziare una conversazione con questo sconosciuto. E come biasimarlo, era normale che avesse paura di tutto e di tutti, che non si fidasse più di nessuno, il mondo gli aveva dato migliaia di motivi per farlo. Ma Edward nell’istante in cui incrociò gli occhi di Samir si rese conto che mai e poi mai lo avrebbe abbandonato, una sensazione di protezione verso di lui si espanse internamente, aveva la necessità di farlo sentire al sicuro, di non farlo sentire solo. “Io sono Edward. - Si presentò e il bambino continuò a guardarlo leggermente perplesso, ma senza proferire parola - dove sono i tuoi genitori?” Sapeva che questo poteva essere un argomento delicato, aveva quasi paura di conoscere la risposta, ma doveva chiederglielo. “Non lo so - ammise Samir distogliendo lo sguardo - è 58


da quando c’è stato il bombardamento che non li trovo più. Sono scomparsi.” Nel pronunciare quelle parole la voce del bambino si spezzò, provocando una fitta allo stomaco di Edward che potrebbe essere paragonabile ad una pugnalata, ma forse nemmeno quella renderebbe l’idea appieno. Deglutì il grosso groppo che aveva alla gola e dopo un paio di sospiri si rivolse a Samir: “Non preoccuparti, ora ci sono qui io. Non ti lascio.” Affermò deciso, e immediatamente una strana luce invase gli occhi neri fino a quel momento vuoti e spenti del bambino. Quelle semplici parole gli avevano infuso speranza, coraggio e per la prima volta non si sentiva solo, la solitudine che nelle ultime due ore lo aveva perennemente accompagnato, se ne stava finalmente andando, secondo dopo secondo lo abbandonava, e non esisteva sensazione più liberatoria di quella. Ma Samir sapeva che questa volta non avrebbe potuto reggere altre delusioni, aveva soltanto bisogno di qualcuno che gli stesse accanto, qualcuno che fosse in grado di dargli certezze, e forse Edward poteva essere la persona adatta. “Promesso?” Samir gli chiese in un flebile sussurro che Edward riuscì ad udire solo grazie alla poca distanza che li separava. Subito dopo Edward si alzò e allungò la sua mano verso il bambino che lo stava osservando con un’espressione velatamente confusa, con le sopracciglia leggermente aggrottate. Dopo qualche secondo di esitazione, Samir afferrò la mano di Edward e rimasero per altri secondi ad osservarsi e ognuno di loro nel profondo del proprio subconscio sapeva di essere stato fortunato ad aver incontrato l’altro e 59


nell’aver incrociato le loro vite che ora mai più si sarebbero separate. Edward non si sentì mai così sicuro come in quel momento, non sapeva cosa gli avrebbe riservato il futuro, ma qualsiasi cosa avesse fatto ci sarebbe stato anche Samir, proprio come un padre fa con un figlio. “Te lo prometto Samir, te lo prometto.” Rebecca Romoli classe 4° motivazione: l’eterna lotta tra il bene e il male è fatta rivivere dall’autore in una storia commovente, ambientata in uno scenario di guerra di grande attualità. L’invenzione narrativa sa toccare le corde giuste, il linguaggio è semplice ed il racconto si concretizza in definitiva come ottimo strumento di riflessione.

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ADULTI SEZIONE POESIA 1° classificata “Presenza” Hai sparso frammenti di te. Così, ora noi siamo e altri saranno. Un ricordo, diventato racconto, ti rende presente, ti chiama affinché continui ad esistere in colui che in sé ha una parte di te. Ti penso e sento le emozioni, le attese, gli affanni di un tempo. 61


Radici nascoste che continuano a dare la vita ai propri germogli. Non c’è vento che può portare lontano il legame profondo che ci unisce e che attende di diventare una nuova presenza e un nuovo abbraccio. Mi guardo intorno e sorrido. Mattei Samuela motivazione: la lirica è ricca di immagini suggestive ed emozionanti. Il linguaggio è delicato, incisivo e, al tempo stesso, volutamente essenziale al fine di esaltare l’intensità e la profondità dei contenuti.

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2° classificato “Torna a me...perch’ io ritorni” L’inseguii sul fiume trascinato dalla corrente di plenilunio fin quando, il nero manto, non si screziò del chiarore dell’alba. Non ebbi il tempo di riconoscerlo. ...E lo vedevo sperdersi sulle siepi spoglie e sull’erba stenta, dove guazza muoveva fra viscidi steccati e cancelli. Come se non fosse mai passata Primavera, nel cuore quella stanchezza che fa dire solo di no. Come se fossi io 63


a correre le cose mi si avventarono contro, spigolose, in quella fredda umidità che pian piano mi incatenava i piedi. Un dÏ eri davanti a me, anche quando di te non mi avvedevo: stoloni vigorosi, di foglie coperti, e viticci avvolgenti, che ascendevano rapidi sulle rocce esposte. Poi sei stato come l’ombra rombante in tempo di guerra: qualcosa che la mente vacilla a misurare! 64


Altre volte eri già ieri, croci sul petto scritte con l’aria. Come l’organismo che lentamente si adatta scopre la ricchezza che l’aspetta... la rinuncia è il vero fallimento! E t’ho aspettato... fintanto che la ghiaia dei sentieri non è riemersa dalle foglie morte e sul muro, tante volte, l’ombra minacciosa ho visto salire, al cadere della fiamma. Prima che cali l’ultima favilla ardente, vestito dei panni penitenziali del passato, sordo sarò 65


ai sussurri corrotti dell’esperienza perchè il mio cuore non sia eletto ad arma di detenzione. Nell’oscurità che si addensa dico: “Torna a me...perch’io ritorni, come le stelle tornano dopo la notte d’Inverno... Perchè la speranza divampi, perchè sia ancora Domani. Lucio Fringuelli motivazione: un’esperienza dolorosa che “trascina e fa dire solo no”, si trasforma in un segno di speranza e nella volontà di una rinascita. La ricchezza e la precisione lessicale servono a presentare immagini e situazioni vissute con dovizia di elementi naturali di grande suggestione evocativa e vigoroso impatto emotivo.

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3° classificato “Poesia di vita” Se non scrivi è perché stai meglio, stai seguendo un percorso è iniziato un risveglio.. (o) Se non scrivi è perché stai male, più di sempre stavolta non si placa il dolore... (o) Se rileggi è perché ti cerchi nelle foto che hai scritto nei momenti fermati in parole stampate, come briciole dietro lasciate, in quegli attimi lunghi come vita che fugge.. (ma) Se riscrivi è perché vuoi di nuovo 67


regalarti la vita ogni giorno capace di ridarti fiducia. Visotti Carmen motivazione: la voglia di scrivere è vissuta, con originale intuizione, quale metafora della vita e l’autore, con grande fiducia, vi si aggrappa con una misurata struttura di versi che trasudano dolore “ma” lasciano aperto uno spiraglio di speranza.

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SEZIONE NARRATIVA

1° classificato “L’aspirazione” Aveva cielo blu e orizzonti lontani, tante idee per il futuro. Tutto si presentava nelle migliori condizioni per il resto della vita, pensando alla prima parte che ormai era trascorsa senza tanti scossoni gravi. Tutto il futuro esibiva le migliori aspettative per continuare e aspirare ad una esistenza senza sorprese. Le prospettive, considerando la normalità corrente, si proponevano come roseo tramonto per il futuro. I pochi scogli, presenti nel mare dell’esistenza, venivano superati con facilità dalla vitalità giovanile sprigionata dalla vita stessa. La stessa all’improvviso veniva scossa da un terremoto, senza rimedio. Tutto crollava nel giro di un attimo. Tutto si ribellava, quella che era la normalità si tramutava in speranza, poi in tragedia. Sorgeva una nuova forza, mentre il tempo si opponeva, lentamente, inesorabilmente, questa prendeva possesso, espandeva la conquista. La lotta tra le due forze si alternava nella conquista, poi la forza interna invisibile si faceva largo, occupava la parte attiva della vita. Il tempo non fu un rimedio buono, anche se si attenuò da un lato la pressione interna, ed iniziò dall’altro un lento allontanamento della realtà normale ed il divario si allungò, 69


senza toccare le distanze critiche. L’occupazione continuava e nessuna difesa era più in grado di resistere. A questo momento vitale hanno contribuito molti fattori e nessuna forma fu predisposta per arrestarlo. In queste condizioni quelle che erano le prospettive auspicate e in parte verificate, le speranze, le aspirazioni venivano messe da parte, nascoste, oscurate. L’unica resistenza era la speranza e l’aspirazione nella vita, oltre che nella fede in Colui che tutto può. Era una battaglia decisiva. Il pensiero brillava nelle aspirazioni del cielo azzurro e orizzonti lontani, le stelle favorevoli venivano oscurate dal calo della nebbia, la strada scompariva, la prospettiva diveniva buia e le possibilità di ritrovare la strada si riducevano al lumicino. Non esisteva tentativo, salvo estremo, che le stelle lasciassero rivedere il loro splendore e rimanessero in quella posizione. Auspicare una nuova prospettiva era la migliore aspettativa, rimaneva solo la speranza di percorrere la strada intrapresa, la sola disponibile. Il momento in cui la speranza di una nuova prospettiva prendeva possesso del pensiero e diveniva una meta, non più evanescente, quasi reale e quindi possibile da raggiungere, la vita riprende a germogliare. Il tentativo di germogliare alimentato dalla volontà di essere e dalla Speranza di farcela, non ebbe l’effetto auspicato. In questa condizione l’aspettativa di speranza si trasforma in aspirazione. Spesso interviene la delusione resa amara più ancora, al 70


pensiero che la causa di tutto è l’organismo, come fosse stanco di continuare a lottare. ​L’animo non si arrende, la sua forza è nello spirito di vittoria contro ogni rassegnazione e stanchezza delle forze e del rilassamento per il mancato raggiungimento della meta sperata. In questa condizione di continua lotta e aspettativa il tempo a disposizione diminuisce. Il tempo imperturbabile non aspetta, il suo lento o veloce fluire porta con sé la vita, le speranze, le illusioni, le gioie, i dolori, il bene e il male, mentre tutti s’inchinano, lui passa e prende con sé le anime che trova al suo passaggio lungo il cammino, non lascia indietro nessuno, sa che dietro c’è la vita che semina. Il tempo è il rinnovatore del mondo. Mentre il tempo per ognuno scade, lo spirito continua a volare nel cielo blu. L’unica aspirazione in nostro possesso: essere nel ricordo dei nuovi arrivati e nella memoria del tempo di chi prende il nostro posto. Giovanni Cianchetti motivazione: l’aspirazione all’eternità, insita nell’essere umano, è fatta rivivere dall’autore come immagine consolatrice di un’esistenza travagliata in cui gioia e illusioni si alternano con delusione e rassegnazione. Sullo sfondo, inesorabile, il trascorrere del tempo, descritto con un linguaggio semplice, efficace e non privo di una profonda amarezza. 71


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2° classificato “La fata Argentina” C’era una volta un vecchio re che aveva tre figli che non erano ancora maritati. Il re era preoccupato perché doveva nominare il suo successore, ma c’era bisogno anche di una reginetta, altrimenti il popolo non avrebbe obbedito a un re senza moglie e senza eredi. Il sovrano si consultò allora con la vecchia regina che aveva nomea, magari esagerata, di essere la donna più saggia del reame, che disse: «Mio signore, facciamo che per tre giorni saliamo sulla torre del castello. Il primo giorno all’alba, il secondo giorno a mezzogiorno e il terzo all’imbrunire. Ogni volta deve venire con noi uno dei nostri figli e dovrà scoccare una freccia: dove finirà la freccia, là ciascuno dovrà sposare la sua donna». Detto questo, subito chiamarono i tre figli per metterli al corrente. Il più grande disse: «Io sono il primogenito e devo tirare con l’arco per primo». Il mezzano disse: «Io sono il secondogenito e devo tirare con l’arco per secondo». Il più piccolo non disse proprio nulla perché i fratelli avevano già detto tutto. Il giorno dopo, all’alba, il maggiore tirò ed essendo anche il più forte ebbe fortuna: la freccia finì sulla torre più alta di un castello lontano, dove viveva segregata una vergine in attesa di marito. Costei era la bella figlia d’un ricchissimo cortigiano, impiegava il tempo tra sospirare e immaginare 73


il suo principe azzurro, il ricamo e manicaretti che poi a malapena assaggiava, a tema ingrassare il suo stretto vitino. A mezzogiorno del dì successivo, anche il mezzano tirò la sua freccia, che cadde però sul castello più vicino, quello di un nobile cavaliere senza più le terre che aveva perduto al gioco. Anch’egli aveva una figlia da maritare, che aveva però metà faccia bella e metà faccia brutta, era una provetta spadaccina e una brava cacciatrice. Per il resto del tempo faceva la sarta, visto che doveva farsi la dote da sola. Per ultimo, all’imbrunire del terzo giorno, tirò il piccolo principe. Ancora inesperto del tiro con l’arco, anche perché era quasi buio e si vedeva male, la sua freccia con una maldestra parabola finì nell’ovile vicino al castello. Gli toccò così in moglie una povera pastorella, che per colmo della malasorte era anche cieca. Costei seguiva il gregge sentendo il campanellino appeso al collo di un minuscolo agnellino dal vello soffice come una piuma, argentato e luccicante, graziosissimo e poco più grande di un topolino. Ora però bisognava scegliere l’erede al trono. Come al solito il re chiamò la regina e le chiese come fare. Quest’ultima subito rispose: «Mio re, sarà incoronato colui tra i nostri figli che ha la sposa migliore!». Ovviamente sia al re che alla regina non andava a genio che il regno finisse a una misera pastorella, per di più anche cieca. E mentre pensava questo la maligna sovrana prese dal cassettone tre bianchissime lenzuola di lino. Diede poi a ciascuno dei figli un lenzuolo e disse: «Le vostre fidanzate hanno tre giorni di tempo per ricamare ognuna il suo lenzuolo. «Colei che farà il ricamo con il 74


disegno più bello sposerà il futuro re!» Così il primo figlio, tutto contento, portò il suo lino alla bella cortigiana, e mentre percorreva la strada pensava: «Sarò io ad essere incoronato re, perché la mia futura regina ha avuto sicuramente buone lezioni di ricamo e poi ha così gusto nel vestire che sicuramente saprà fare delle pregevoli decorazioni». La stessa cosa più o meno pensava il secondo figlio, a maggior ragione ove la sua fidanzata, metà bella e metà brutta, era anche una provetta sarta. Il più piccolo era ovviamente anche il più perplesso, ma non si perse d’animo e si recò all’ovile, ove sotto una vecchia quercia trovò l’umile pastorella a far da guardiana al gregge. La poverina per combattere la tristezza derivante dal suo stato, cantava un dolcissimo motivo accompagnandosi con la lira. Il principino rimase incantato e dalla sua abilità musicale e dal tono soave della voce. Non disse dunque nulla della prova di ricamo, per non mortificare quella creatura, che per la sua dolcezza, piuttosto che per una bellezza tutto sommato modesta, si stava insinuando nel suo cuore. Era ormai l’imbrunire e stava per andare via, quando si senti apostrofare dalla fanciulla: «Mio principe, ma tu non devi darmi qualcosa?». Piuttosto interdetto per la sorpresa, le porse così il lenzuolo, spiegandole cosa il re e la regina si aspettassero da lei, mentre lacrime silenziose rigavano il viso del giovane. La pastorella naturalmente non poteva vedere, però sapeva leggere l’invisibile trama del cuore. Disse semplicemente: «Vai pure a casa e dormi tranquillo. Torna domani a 75


mezzogiorno in punto». Sebbene sempre più perplesso, il giovane si allontanò senza dire altro. Il giorno dopo, tutti e tre i figli portarono le lenzuola, ancora ben ripiegate e chiuse, al cospetto del re, della regina e di tutti gli alti dignitari riuniti per l’occasione nel gran salone delle udienze. Il ciambellano aprì il lenzuolo della bella cortigiana, adornato da un ricamo che rappresentava il figlio primogenito, con gran dovizia di particolari. Il re esclamò soddisfatto: «È stupendo, sicuramente questa donna sarà degna di mio figlio!». Lui in fondo non aveva mai nascosto le sue preferenze. Fu poi il turno del lenzuolo ricamato dalla figlia del cavaliere, che essendo una sarta aveva eseguito un ricamo che sembrava un affresco, rappresentandovi il castello reale, il lago circostante e persino tre bellissimi cigni bianchi che vi si specchiavano dentro. Insomma era un vero capolavoro, alla cui vista la regina madre esclamò: «Questo ricamo sarà sicuramente il più bello del reame, degno della futura regina che l’ha creato!». Naturalmente le sue simpatie erano per il figliolo mezzano, ma aveva sempre nascosto questa preferenza per non adirare il suo vecchio signore. A questo punto il ciambellano aprì il lenzuolo della pastorella e restarono tutti a bocca aperta. Per contro dovettero socchiudere gli occhi, tanto abbagliante risultava alla vista il ricamo. Infatti a grandezza naturale, in tutti i minuti particolari, erano ricamati il dipinto del pittore più valente del mondo allora conosciuto, il re e la regina, entrambi giovanissimi come il giorno del loro lontano 76


matrimonio. E ancora, tutto intorno alle due figure e a far da luminoso sfondo, con il più sottile e pregiato filo d’oro, era stato riprodotto lo stemma imperiale. Era veramente un omaggio di gran valore. A dire il vero, il re, la regina e l’intera corte ne rimasero veramente impressionati, ma non lo diedero a vedere. Tutti dissero che bisognava bandire un’altra gara per scegliere definitivamente, perché questa era finita alla pari. A quei tempi un re era monarca assoluto e poteva con faccia tosta fare quello che gli pareva, tanto non c’era nessuno che osasse gridare: «Il re è nudo!». Comunque, tanto per non cambiare, il re fece la solita scena di interpellare la regina, e costei prontamente disse: «Bisogna che ciascuna delle future spose prepari una pietanza: la più saporita deciderà chi sarà la futura regina». Fu quindi stabilito per editto reale che per tre giorni nel regno nessuno degli alti dignitari di corte avrebbe dovuto mangiare, se non quello servito ogni giorno, a turno, da ciascuna delle tre fanciulle. Il primo giorno il figlio maggiore si recò al castello della sua amata, la quale con somma cura aveva preparato tre anatre all’arancia. Tutto contento il baldo giovane portò il lauto pasto ancora ben caldo alla corte paterna. Re, regina e alti dignitari si abbuffarono, fecero uno sperticato elogio alla cuoca e si leccarono i baffi a fine pasto. Il primogenito si sentiva così sicuro del fatto suo. Infatti la figlia del cavaliere preparò tre lepri in salmì, ma erano bruciate e sciapite. Ovviamente lei era brava a cacciare, ma non lo era affatto come cuoca. Toccò quindi il giorno successivo alla pastorella cieca, che 77


disse al piccolo principe, quando quest’ultimo si presentò a mezzogiorno: «Prendi il mio piccolo agnellino con la campanella e uccidilo, così che io lo cucini». Il giovane impugnò il coltello e stava per scannare l’agnellino, ma improvvisamente scagliò lontano la lama ed esclamò: «Al diavolo! Io non posso uccidere il tuo innocente piccolo amico! Comunque sia io ti voglio bene e ti sposo anche se perdo il trono!». Nello stesso istante, l’agnellino trasmutò nella meravigliosa e ben nota Fata Argentina, che tra i suoi compiti aveva la protezione di tutti i ciechi e così vegliava sulla sorte della pastorella. Quest’ultima era in realtà la figlia di un potentissimo re, cui era morta la moglie. Poiché come sappiamo dove c’è un re deve esserci anche una regina, costui era convolato a nuove nozze. La perfida matrigna aveva però commissionato un incantesimo alla strega del castello, facendo cambiare fisionomia alla fanciulla perché il padre non la riconoscesse. Per colmo di cattiveria la rese cieca, e sino al giorno che non avesse trovato qualcuno di sangue reale disposto a sposarla in quello stato, l’incantesimo non si sarebbe rotto. E difatti avvenne che il re scacciò la sua amata figliola che vagò in solitudine, patendo fame e sete, sino all’incontro con la dolce fata che la prese sotto la sua protezione. Mentre quindi quest’ultima spiegava l’arcano allo sbigottito principino, anche la pastorella riacquistò non solo la vista, ma tutta la sua sfolgorante bellezza. Nel vedere un fidanzato così bello, finalmente sicura del fatto suo, gli buttò le braccia al collo e lo compensò con la sua riconoscenza: un 78


bacio nonostante non fossero ancora sposi. Per il pasto dei vecchi regnanti ci andò di mezzo il macilento vecchio caprone del gregge, che la principessa rivelata cucinò con tanti aromi e spezie e con un piccolo incantesimo, zampino ovviamente della fatina. Inebriarono così di sapori e aromi il re, la regina e tutta la corte, che restarono ancora a bocca spalancata nonostante avessero finito il pasto, quando giunse la nobile fanciulla, fasciata in una veste di raso turchese, con pendenti di lapislazzuli, diamanti e merletti d’oro, in una carrozza d’argento trainata da quattro caproni grandi come cavalli e con il vello argentato, perché si sa che quando una fata è la madrina fa regali così strambi e favolosi che possiamo trovarli solo nelle fiabe. E che fine fecero i fratelli del principino? Ebbene tanta era l’invidia accumulata, che schiattarono per la rabbia e rinnegarono persino le rispettive fidanzate. Ora l’una è diventata vecchia nella torre e aspetta ancora un marito; l’altra si è irrancidita tra i duelli e la caccia, senza marito e senza figli. E la matrigna cattiva? Tranquilli, cari lettori: anch’essa ebbe la sua giusta parte. La principessa rivelata volle invitare il padre per celebrare in pompa magna il suo matrimonio e quindi inviò un messaggero che gli racconto di questo e dell’altro. La sposa traditrice e la vecchia megera del palazzo furono passate a fil di spada, poi bruciate e sparse le ceneri in tre laghi, ove non si ricomponessero mai più in fantasmi e cattivi sortilegi. E finalmente la coppia reale celebrò il più bel matrimonio che si fosse visto fino a quel tempo. Scialarono tutti in 79


allegria con gustosissime pietanze e vino, suoni, canti e danze che ancora oggi i bardi narrano questa storia, perché la fantasia oggi è cosa più necessaria, se non del pane, almeno del companatico! Nunzio Industria motivazione: per ammissione dello stesso autore, abbiamo un grande bisogno di fantasia e di storie a lieto fine. La fata Argentina si colloca in questo filone seguendo i canoni classici della fiaba con fluidità narrativa, invenzioni fantasiose, esaltazione di buoni sentimenti e miracolistica attesa di felicità.

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3° classificato “Déjà-Vu” Questa mattina, come del resto tutte le mattine da un anno a questa parte, mi sono svegliato con il sorriso sulle labbra, e sapete perché? Il motivo è molto semplice, io ho un piano. Mi chiamo Marco, ho 28 anni, sono alto, muscoloso e affascinante, ho una laurea in ingegneria edile, ovviamente conseguita con il massimo dei voti, e un master in progettazione. I miei ex colleghi di università arrancano a trovare un lavoro, ma non io. Io non ho perso tempo con interminabili colloqui infruttuosi, che portano solo a grandi frustrazioni personali. Io sono un vincente, io non vengo rifiutato. Sapete cosa ha fatto Marco Trovano? Cioè me medesimo? Partiamo dal principio, dopo aver individuato l’azienda nella quale avrei voluto lavorare, e cioè la “Construction Future”, con sede a Roma, che vanta al suo attivo la progettazione di ben 250 centri commerciali, di innumerevoli palazzine di lusso, di villette di vario tipo, ma soprattutto ha disegnato la blindatissima casa dell’ attuale presidente della Repubblica, che pare, abbia anche delle stanze segrete, non visibili dall’esterno, e non presenti ovviamente nel progetto. Ma torniamo a noi, ora io lavoro per questa che è una delle aziende più ambite da tutti gli aspiranti ingegneri, voi vi domanderete come ho fatto a farmi assumere, certo sono bravo, sono intelligente, ma purtroppo come circa un quarto di quelli che hanno fatto il mio stesso percorso di studi, ma io ho una marcia in più, non per vantarmi, non sono solo intelligente, sono anche furbo. Circa due anni fa, appena conseguito il mio master, pensai 81


a qualcosa che potesse mettermi in una posizione tale, da non essere respinto al mio primo, e speravo unico colloquio di lavoro. Ebbene, indagai su colui che circa cinquanta anni prima aveva fondato quest’azienda, cioè l’Ingegnere Marrazzi, che era ormai in pensione, ma al suo interno ci lavoravano due figli maschi, anche loro ingegneri, che erano le vere menti della società. Un’altra figlia invece, avuta in seconde nozze, stava facendo uno stage in azienda, come web designer, questo, pensai, significava solo una cosa, ‘non era sufficientemente brava per fare l’ingegnere’. Mi informai su di lei e scoprii che effettivamente non aveva le capacità dei suoi fratelli, ma soprattutto era indolente alle responsabilità, il suo unico interesse erano lo shopping e le uscite con le amiche al pub o in discoteca. Marika, questo è il nome della viziatissima figlia del signor Marrazzi. Il suo caro papà non mancava di portarla con lui a tutti i convegni di ingegneria, perché sperava che sua figlia, così poco incline al lavoro, potesse incontrare un bravo ingegnere con cui poterla sistemare, abbastanza bravo da inserirlo nella sua società, in maniera tale da poter lasciare anche a lei la sua fetta di eredità all’interno dell’azienda. Ma il suo proposito era stato vano, almeno fino a quando io non ho trovato lei. Mi sono documentato sulle sue abitudini diciamo che ho fatto quasi lo stalker, seguendo, spiando e studiando le sue abitudini e le sue amicizie. Così ho fatto in modo di conoscere casualmente una sua amica, anche lei ovviamente ricca e viziata, una volta entrato nel giro il gioco era fatto, stupida com’è Marika, e devo dire anche bruttina, non c’è voluto niente a farla innamorare di me, è stato sufficiente fare la corte a tutte le sue amiche, e lei lasciarla in disparte, per una abituata ad avere tutto, questo 82


era davvero improponibile. Investii i miei risparmi in abiti firmati, e il resto lo ha fatto tutto da sola, quando poi ha saputo che ero un ingegnere, ha così insistito per farmi fare un colloquio nell’azienda di paparino che, sembrava quasi le stessi facendo un favore. Ora ad un anno di distanza ritengo che il mio progetto stia andando per il verso giusto. Se faccio un piccolo bilancio posso affermare che tra circa sette mesi mi sposerò, cosa ci posso fare, sono innamorato, ma non di Marika ovviamente, ma della sua azienda, del mio lavoro, del mio prestigio, sono diventato quasi indispensabile per la Construction Future, tra non molto sarà anche mia grazie al mio matrimonio. Firmo fatture e approvo progetti al pari dei miei futuri cognati. Oggi per esempio devo prendere un aereo insieme a uno di loro, che mi condurrà nientemeno che nella city, nella grande mela, New York, per presentare un progetto da me realizzato, ovvero un super centro commerciale per V.I.P., con negozi di brand prestigiosi e di alta moda. Per entrare nel complesso, bisognerà essere invitati e avere uno speciale pass, dove dei personale shopper ti accompagneranno tra le varie boutique per consigliarti gli abiti, le scarpe o i gioielli più in voga del momento, senza turisti o gente comune che interferiscono o si mischino con l’alta società. Mio suocero mi adora, dice che questo progetto sarà la svolta, il mio pass nella storia. Bella la vita. Sono le 7:00 della mattina e mentre sorseggio il caffè penso che la vita sia proprio bella, scosto un po’ la tenda del mio appartamento che si trova al secondo piano di via Merulana a Roma, la mia attenzione viene attratta, non so perché, da un uomo che cammina con passo deciso, lo analizzo, 83


deformazione professionale, ha un paio di scarpe da ginnastica logore, un paio di jeans che neanche mio padre usa più, un giubbotto che deve essere almeno due taglie più grande e un berretto di una marca assolutamente sconosciuta , forse dell’est europeo. Penso che, con grande probabilità, è uno dei tanti laureati sfigati che inseguono ancora un sogno, l’amore ad ogni costo, un mutuo, dei figli, le cene a casa dei suoceri la domenica, costruire chissà quale alloggio per gli orfani, o gli anziani o ancora peggio gli Handicappati, mi viene quasi la nausea, poi ad un certo punto si gira e guarda nella mia direzione, non con fare incerto, ma deciso, come se sapesse che lo sto guardando, mi scosto come se la sua inettitudine potesse in qualche modo contagiarmi, ma lui si rigira e continua il suo percorso; che sciocco perché perdere tempo con queste frivolezze, io ho un aereo da prendere. Mi lavo, mi rado con cura, metto il dopo barba di Dolce&Gabbana in edizione limitata, regalo della mia ricca fidanzata, mi metto un abito Armani, afferro il mio trolley ed ecco che l’auto aziendale con l’autista suona in strada, sì devo ripeterlo è proprio bella la vita. Parto da casa con circa quaranta minuti di anticipo, assolutamente calcolato, perché ho intenzione di sedermi al bar che si trova all’angolo, vicino alla sede del mio ufficio, e gustarmi un buon cappuccino, mi devo sedere sul tavolino a destra, quello un po’ appartato, in modo da potermi ricontrollare le carte del progetto, diciamo che è una specie di rito scaramantico, lo faccio tutte le volte che mi aspetta una giornata importante, e questa lo è senz’altro. Spero solo che il mio tavolo non sia occupato, mi sono fatto amico il barista del locale, un pezzente sud americano, che 84


vanta arti da ballerino, gli lascio una mancia considerevole, e ogni volta fa in modo che il mio tavolo sia libero. Ma oggi quando arrivo noto un uomo poggiato al “mio” tavolo, è in piedi e mi dà le spalle, il barista mi fa spallucce, e io non capisco perché non l’abbia mandato via. Mi avvicino pronto a reclamare il mio posto, ma mentre mi accosto avverto una strana sensazione, anche se non lo vedo in faccia capisco che è il tizio che ho scorto poco prima dalla finestra, stesse scarpe, stesso abbigliamento arcaico e stesso capello. Sì, sono quasi sicuro che sia lui, sembra impossibile che io possa notarlo per ben due volte. L’uomo si gira, ha vagamente qualcosa di familiare, ma più mi avvicino più mi rendo conto del fetido odore che emana, anche lui mi guarda e con voce pacata mi dice:- “ciao Marco”. Come fa a conoscere il mio nome? - “Scusa chi sei? Ci conosciamo?” Mi fa un sorriso storto e risponde :- “io sono te, e qualcuno mi ha dato un’altra possibilità”!!! Arretro di un passo, penso di avere difronte uno squilibrato e quasi ho paura, ma lui comincia a sviolinarmi cose della mia vita di cui nessuno potrebbe essere al corrente, addirittura conosce alcuni dei miei pensieri più intimi. Mi siedo con lui al tavolo e mi dice: -“Ti prego non prendere l’aereo”! Rispondo ridendo: - “Tu non puoi essere me, altrimenti sapresti che sto andando incontro all’occasione della mia vita”!: - “Lo so, dove stai andando, ma non è come credi. Tuo cognato non arriverà, ti dirà che sua moglie non sta bene, e che eventualmente prenderà il volo della sera, ma in realtà non partirà mai, non appena metterai piede sul suolo americano ti arresteranno per truffa, diranno che stavi scappando, perché, in realtà non esiste nessun compratore per il tuo progetto, hanno architettato tutto i tuoi futuri cognati, non volevano che la 85


loro stupida sorella sposasse un poveraccio, e poi l’azienda era in crisi, il settore edilizio è crollato a picco dopo la crisi finanziaria che ha colpito il nostro paese, e loro hanno costruito indebitandosi con le banche. Così hanno sottratto milioni di euro agli investitori, per poi portarli in uno dei tanti paradisi fiscali. Quale miglior capro espiatorio se non il povero ragazzo di campagna che vuole arricchirsi in fretta? Tutte quelle firme ai progetti, ti sentivi, anzi mi sentivo importante, e invece stavo firmando la mia condanna. I giornali, in seguito, scriveranno che i soldi non furono ritrovati, e aggiungeranno che 10 anni di carcere sarà il prezzo da pagare per vivere da milionario il resto della vita. Ma non sarà così, finirò in strada come un barbone, senza soldi, senza lavoro, senza amici e senza famiglia”. I tuoi amici ricchi? Scomparsi ovviamente. La tua fidanzata? Non darti pena, si è presto consolata con un altro, anche i tuoi genitori ti hanno lasciato.....!!!” Gli dissi quasi urlando: “Taci, imbroglione, i miei genitori non mi avrebbero mai abbandonato”. Fece una faccia molto triste: “Sai come la pensi riguardo al fatto che mamma e papà avessero domandato un prestito per farti studiare. Non avevi chiesto tu di essere messo al mondo, era loro dovere pagarti gli studi, cosa ti interessava se papà a sessanta anni ancora faceva due lavori per pagare i debiti, e la mamma andava a fare le pulizie nelle case della genti più abietti. Non li chiami praticamente mai, e non rispondi alle loro chiamate, non gli hai neanche detto che ti sposi, ma tanto loro ad una cerimonia così elegante si sarebbero sentiti a disagio, in fondo lo hai fatto per loro...!! Questo pensi, o se preferisci pensiamo, giusto? Tu forse non lo sai ma lo scandalo ha investito anche loro, mamma non è più 86


stata chiamata da nessuna famiglia, per lavorare, dicevano che non si fidavano, dopo che avevi rubato tutti quei soldi anche ai piccoli investitori onesti. Sono andati a trovarti in carcere, poi hanno venduto la casa per poterti pagare l’avvocato, visto che i tuoi conti erano bloccati. Ma poi papà è morto di infarto, e mamma poco dopo l’ha raggiunto, troppi dispiaceri. Hanno dato tutto quel che avevano per te, anche la loro stessa vita probabilmente. Quindi ti chiedo questo, ti prego chiamali, io lo farei se potessi, ti prego ama, costruisciti una vita di amore fatta di cose vere, di una donna da amare di figli da accudire, e lavora per vivere, non vivere per lavorare. Mi devi ascoltare, se non farai come ti dico, finirai per essere un uomo arido, spogliato da tutti i veri affetti” Mentre ascoltavo mi squillò il telefono, il display mi diceva che era mio cognato, si stava tutto avverando. Poi lui aggiunse :- “Il mio tempo è scaduto, devo andare, verrò qui ogni giorno, finché non mi darai ascolto, ho la possibilità di farti rivivere questo momento ancora per molte volte.” Ero sconvolto, sentivo uno strano fischio nelle orecchie, ma non era il telefono che squillava, era la sveglia, stavo sognando, copiose gocce di sudore scendevano dalla mia fronte, ma sorrisi a me stesso, era soltanto un bruttissimo incubo, non poteva essere altrimenti, la mia vita perfetta, non poteva finire, non poteva essere vero, che sciocco averci creduto anche solo per un attimo, sono troppo intelligente, troppo furbo. Mi alzo, sono le 7:00 della mattina e mentre sorseggio il caffè penso che la vita sia proprio bella, scosto un po’ la tenda del mio appartamento che si trova al secondo piano di via Merulana a Roma, la mia attenzione viene attratta, non so perché, da un uomo che cammina con passo deciso, lo 87


analizzo, deformazione professionale, ha un paio di scarpe da ginnastica logore, un paio di jeans che neanche mio padre usa più, un giubbotto che deve essere almeno due taglie più grande e un berretto di una marca assolutamente sconosciuta, forse dell’est europeo, cammina con passo deciso, quando passa sotto la mia finestra si gira verso di me. .............!!!!. Un urlo strozzato mi esce dalla gola: Nooooooooooooo Manuela Concas motivazione: il racconto, scorrevole e ben strutturato, descrive a meraviglia le contraddizioni del nostro tempo dominato dalla necessità di adattare la propria identità alla logica del successo e dell’individualismo per pagare poi a questa condizione il prezzo ineludibile della propria fragilità.

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LA GIURIA Prof. Giancarlo Busti Prof.ssa Giuditta Forasiepi Prof.ssa Deanna Mannaioli Sig.ra Agnese Vescovo (membro della Proloco)

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EDIZIONE 2017

SCUOLA ELEMENTARE Sezione poesia 1° classificato “Felicità” La felicità è un sorriso che ti riempe il viso. Ogni giorno è fortunato se un sorriso hai regalato; se la felicità hai nel cuore la trasformerai in amore. Basta un po’ di affetto per un sorriso perfetto; se ogni giorno sei di buon umore più a lungo batterà il tuo cuore. Ogni giorno non è sprecato se un sorriso hai donato! Giulia Angori classe 5° elementare 90


motivazione: la felicità non può prescindere da un sorriso e la rima della poesia ha gioco facile nel legare un sorriso “donato” ad un “giorno non sprecato”.

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2° classificata “Campanellino” Vorrei un campanellino da appendere sul mio lettino. Mi basterebbe di semplice metallo ma lo vorrei di colore giallo per vederlo anche con la debole luce che, di notte, la mia lampada produce. Così la sua cordicina potrei tirare per farlo leggermente tintinnare e tutte le sere, prima di dormire, il suo magico suono potrei udire. E in un momento scenderebbe sul mio sonno l’incantesimo di un bellissimo sogno. Marta Cavalletti classe 3° elementare

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3°classificato “ When the sun rises” When the sun rises all the flowers open and leves come green and when it come the white moon all flowers and leaves sleep Masonocic Peter classe 4° elementare 93


sezione Narrativa 1° classificato “Matricola 47565” STORIA DI GIOVANNI BOCCALI CALZONI DA GIOVANE SOLDATO DI LEVA A PRIGIONIERO NEI LAGER NAZISTI. 1943-1945. LA CHIAMATA ALLE ARMI. Mio nonno Giovanni è nato il 24 giugno 1921 a S. Maria Rossa in provincia di PG. Il nonno ha frequentato la scuola fino alla quinta elementare, poi iniziò subito da bambino a lavorare nei campi per aiutare la famiglia e poi come artigiano. Lui costruiva sedie di paglia che venivano trasportate, con la sua cavallina, in tutta l’Umbria per essere vendute così guadagnava qualche soldo. A sedici anni iniziò a lavorare come operaio alle fornaci di Marsciano e Collepepe ed era un lavoro di cui era fiero perché guadagnava due lire e tre centesimi al giorno. Il 10 agosto del 1940 si sposò con Laura Minestrini, conosciuta da tutti nel paese come Rina. Nel gennaio 1941 alle fornaci di Marsciano arrivò una lettera al nonno, dove era scritto che doveva andare a Roma come militare. Il nonno si rattristò molto perché doveva partire ora che stava arrivando la sua prima figlia. Il 25 settembre 1941 il nonno parte da Roma per arrivare in Grecia a Nauplia. Il nonno aveva molta nostalgia di casa perché da tempo non aveva lettere che gli davano notizie di casa. La sua nostalgia passò un pochino quando fece amicizia con una famiglia del posto molto povera. Il nonno a volte gli regalava del 94


pane in cambio gli lavavano la biancheria. Nell’esercito venivano date cinque sigarette al giorno per allontanare le zanzare. Dopo qualche tempo finalmente al nonno arrivò una lettera dove c’era scritto che era nata la sua bambina e che anche suo fratello Fernando era stato chiamato dall’esercito e da tempo non si avevano sue notizie. L’ARMISTIZIO Il 3 settembre in Sicilia viene firmato l’armistizio con gli americani. Il capo del governo Badoglio con questo armistizio con l’America disse che gli italiani non potevano attaccare gli americani, ma se venivano attaccati da altri paesi esteri potevano rispondere. L’Italia rimase senza un governo e per un periodo ci fu un grandissimo caos. Molti tornarono a casa, altri vennero catturati dai tedeschi e fucilati e altri si organizzarono da soli per fare la guerra. Comunque tutti si aiutarono a vicenda soprattutto a non essere catturati dai tedeschi. Per il nonno e i suoi amici era una bella notizia quella dell’armistizio ma subito dopo il nonno venne catturato e portato nei lager nazisti. I tedeschi da amici erano diventati nemici. Il nonno si ricorda che i vagoni dove venivano fatti salire erano quelli degli animali e sulle finestre c’era il filo spinato. Veniva dato un filone di pane per ogni vagone che doveva bastare per cinquanta persone. Erano tutti ammucchiati ed era molto freddo. Il nonno venne portato ad Atene, poi in Bulgaria, Romania e si fermò per qualche giorno a Vienna in Austria. In queste notti il nonno sentì molto freddo, non riuscì a dormire e mangiò molto poco. Venne anche maltrattato dai tedeschi. Da Vienna venne fatto ripartire e arrivò in Germania a Trier. Il nonno 95


racconta che Trier era un campo di smistamento dove i prigionieri rimanevano per alcuni giorni e poi mandati in altri lager nazisti. GLI “IMI” INTERNATI, MILITARI ITALIANI TRADITI, DISPREZZATI DIMENTICATI. Gli IMI sono le forze armate italiane che sono state catturate dai tedeschi dopo l’Armistizio del 1943. I soldati italiani che fino a quel momento erano stati alleati dei tedeschi ora sono considerati dei traditori. Venivano imprigionati per lavorare sotto il comando di Hitler. Infatti 50.000 militari vennero perseguitati, uccisi, morirono di malattia e malnutrimento. Fecero una seconda guerra contro il freddo, la fame, le violenze ed il duro lavoro. Si sentivano anche dimenticati perchè lo stato italiano li aveva abbandonati senza dargli nessun aiuto. I prigionieri per sopravvivere a tutto questo pregavano e si affidavano a Dio. Anche mio nonno è stato un IMI con il numero 47565 in Germania. LA VITA NEI LAGER (canzone degli internati nei lager) oltre il reticolato la vita è bella qua dentro c’è la morte di sentinella. Sotto una coltre bianca sta un internato ormai non ha più freddo se ha nevicato per la seconda volta m’ han prelevato lo schiavo dei tedeschi sono diventato stanotte per la fame non so dormire vorrei chiudere gli occhi e poi morire ma non posso morire così per via devo portar quest’ossa a mamma mia. 96


Il nonno nel campo di Trier trovò un prigioniero di un paese vicino al suo, Sant’Enea. Fu molto emozionato e contento perché finalmente aveva qualcuno con cui parlare. Una notte a 300 km da Trier l’America fece cadere delle bombe. Il nonno e il suo amico pensarono di morire ma la fortuna li aiutò e furono risparmiati. Una notte molti prigionieri, tra cui il nonno, partirono con il treno e non sapevano dove stavano andando. Scoprirono poi che stavano andando a raccogliere macerie e corpi nel luogo dove c’era stato il bombardamento. Finito il lavoro vennero riportati nei lager a Trier. Dopo un po’ di tempo vennero di nuovo divisi per luoghi diversi. Il nonno e molti altri arrivarono in un paesino in Francia dove cominciarono a lavorare in una galleria. Dovevano rinforzare con le pietre queste gallerie. Questi tunnel servivano per lavorare in segreto i liquidi con cui venivano fatte le bombe tedesche. In questo posto il nonno scoprì che c’erano sette prigionieri di Perugia. Un amico del nonno mentre stava lavorando si ammalò e quindi non andò più a lavorare nelle gallerie ma andò nelle cucine. Il mattino dopo, l’amico del nonno aveva ancora la febbre e gli disse: “ tu Giovanni vai a lavorare ma stasera quando torni a me non mi trovi più”. Così fu, perchè le persone malate erano un peso per i tedeschi e venivano uccise. Il nonno era molto magro perché mangiava molto poco. Nonostante questo quando si doveva scrivere una lettera alla famiglia i tedeschi li obbligavano a scrivere solo cose belle e che stavano bene. Infatti un amico del nonno scrisse una lettera alla sua famiglia che stava bene, ma a 34 anni lo uccisero perché era malato.

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LA LIBERAZIONE ED IL RITORNO A CASA L’ottobre 1944 dopo cena le sentinelle incominciarono ad urlare, fuori! via! Stavano arrivando gli Americani a liberare i prigionieri italiani. La mattina dopo un tedesco chiese di avere dei gruppi di prigionieri per portarli alle industrie della Mercedes, il nonno per tutto il mese di Novembre dovette pulire e raccogliere i corpi senza vita dei suoi compagni. Il dicembre del 1944 i tedeschi portarono i prigionieri a costruire delle strade per nascondere gli aerei. Nel febbraio 1945 gli anglo-americani avevano scoperto e bombardato il rifugio degli aerei tedeschi, durante il bombardamento era freddo e c’era un metro e mezzo di neve. Le bombe cominciarono a cadere, e una di queste cadde vicino al nonno e il suo amico Emilio, pensavano di morire, invece si salvarono perché la bomba non esplose. I due si abbracciarono e pregarono perché si erano salvati dal bombardamento, però, i tedeschi li trasferirono in altre industrie della Mercedes. Ormai è questione di giorni; il 22 Aprile 1945 il nonno si trova in Stoccarda, quando sente suonare l’allarme e vede i tedeschi fuggire dai lager. Nel luglio 1945 i militari americani attraversano le strade di Stoccarda con i camion per riportare i prigionieri dei lager a casa. La mattina del 25 Luglio 1945, il nonno prende il treno in Austria che lo riportò in Italia a Bolzano. Durante il viaggio, il nonno, insieme a un compagno marchigiano, incontrò una persona di Perugia che conosceva, e quella persona era suo fratello Fernando. I due fratelli proseguirono il viaggio insieme e il 26 Luglio 1945 arrivarono alla stazione di Foligno. Il nonno conosceva bene Foligno perché da piccolo portava le sedie con il 98


carretto. Incontrarono un carbonaio di Torgiano che aveva consegnato il carbone e raccontandogli la loro esperienza, si commosse e gli diede un passaggio a Pontenuovo di Torgiano. Al ritorno nel paese di San Nicolò di Celle, incontrarono una compaesana che li riconobbe e andò di corsa a casa del nonno ad avvertire che Fernando e Giovanni erano tornati. Il 26 Luglio 1945 fece ritorno a casa e riabbracciò i genitori, i fratelli, la moglie e sua figlia. Ringraziò tutti quelli che non lo avevano mai abbandonato e pregò: “Grazie Signore, Madonna del Divino Amore, Sacro Cuore di Gesù”. Ogni anno il giorno del 4 Novembre, a San Niccolò di Celle, si festeggia la “Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate” e vengono ricordati tutti i soldati caduti in guerra e in special modo i compaesani locali. Fino alla sua morte il nonno Giovanni ha organizzato questa manifestazione locale. Il 26 Luglio 2012 il nonno Giovanni ha lasciato la vita terrena per raggiungere i suoi cari in cielo. Brunetti Matteo classe 5° elementare motivazione: l’importanza di non dimenticare emerge con forza dalla puntuale ricostruzione della vita del nonno che fa intuire un profondo rapporto di amore e di confidenza e che il nipote ci racconta con un linguaggio semplice, ordinato e ben strutturato.

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2° classificato “ Cappuccetto blu e le sue amiche stelle” Tanto tempo fa viveva tra le stelle una bambina di nome Cappuccetto Blu. Si chiamava così perché indossava sempre un completo formato da un abito e un cappello di colore blu come il cielo di notte. Le piaceva trascorrere le giornate passeggiando per la galassia e andava a trovare le sue amiche stelle. Quando la vedevano arrivare, si illuminavano ancora di più perché erano contente di stare con lei. Nel cielo c’era sempre una luce immensa e Cappuccetto Blu viveva felice e spensierata. Un brutto giorno, arrivò nel cielo un uomo vestito completamente di nero dall’aria minacciosa: era Mister Buio. Lui non aveva amici e, vedendo la bambina così felice, provò una grande invidia perciò decise di spegnere le stelle per farle un dispetto. All’improvviso nel cielo fu buio pesto e Cappuccetto non riusciva più a trovare le sue amiche stelle. Si mise a piangere disperata ma qualcuno la sentì: era la sua grande amica Luna. -Amica mia perché piangi?- le disse. Cappuccetto Blu le raccontò quello che aveva fatto Mister Buio. -Non ti preoccupare, posso aiutarti io con l’aiuto della mia amica Stella Cometa- disse Luna. Quando tutte e tre furono riunite, escogitarono un piano perfetto: Cappuccetto Blu attirò con una scusa Mister Buio in una parte del cielo, Luna arrivò e subito divenne piena e con la sua luce abbagliante lo accecò; Stella Cometa con le scintille della sua coda, riaccese tutte le stelle e trasformò Cappuccetto Blu nella stella più luminosa del cielo. Il piano venne messo in atto alla perfezione e Mister Buio, sconfitto, decise di partire per un’altra galassia. Ora Cappuccetto Blu era ancora più felice insieme alla sua amica 100


Luna e alle stelle e tutti salutarono Cometa che ripartì per il suo lungo viaggio. Da allora, quando noi guardiamo il cielo e vediamo una stella più luminosa delle altre, quella è Cappuccetto Blu che ci sorride felice. Fabi Bianca classe 4° elementare

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3° classificato “ La domestica senza cuore” Tanto tempo fa c’era una giovane e bella domestica che lavorava in una bellissima villa antica. Aveva dei padroni buonissimi ma lei era invidiosa di loro perchè erano ricchi e felici. Decise così di ucciderli e, ogni giorno, metteva un po’ di veleno nel loro cibo. Loro non si accorgevano perchè il veleno era poco e non lasciava il sapore ma, piano, piano li stava uccidendo. Arrivò il giorno che essi morirono e lei dovette andarsene da quella casa perchè, ormai, non aveva più un lavoro. Ma non si pentì di quello che aveva fatto. Aveva sentito dire che un signore cercava una domestica nel paese vicino. Ci andò e ottenne il lavoro. Il signore era un giovane che si innamorò di lei, perchè era proprio bella. Ma lui non era un bell’uomo e lei si stufò presto del suo amore e, una sera, presa dalla rabbia, lo uccise con un coltello. Ora però doveva scappare. Si diresse verso il bosco; era buio ma lei correva all’impazzata. All‘improvviso sentì dei versi brutti : erano degli zombie che venivano verso di lei. Erano morti che erano addetti a prendere le persone malvagie. Gli zombie le dissero: - Se non ti decidi a cambiare noi ti faremo fuori. Lei si spaventò, ma all’improvviso essi scomparvero. Lei continuò la sua fuga, pensando a ciò che gli avevano detto quegli zombie. All’improvviso si trovò davanti ad una capanna, proprio in mezzo al bosco. Sembrava abbandonata e pensò di entrare per rifugiarsi lì. Quando entrò vide una cosa strana. Dentro c’era un corridoio lunghissimo con tante porte, tutte su un lato. Da fuori la capanna sembrava piccolissima e, da dentro, sembrava non finire mai. 102


La ragazza aprì la prima porta e si trovò di fronte una stanza tutta buia, che sembrava non avere pareti. Un uomo, tutto vestito di nero e con un cappello a cilindro si fece avanti, illuminato dalla luce del corridoio. La invitò ad entrare e le disse che quello era il mondo degli incubi e lui era il maestro del male. Lì poteva apprendere tutte le tecniche della magia. Pensò che tutto ciò le piaceva ma era incuriosita da tutte le altre porte e decise che sarebbe tornata più tardi. Senza salutare sbattè la porta e andò verso la seconda. Quando l’aprì era ancora tutto buio e senza pareti. Sentì tanti rumori e grida. Lei non si spaventò ma le tornarono in mente le parole degli zombie e decise di non entrare, perchè quello era sicuramente il regno die morti. Richiuse in fretta la porta e proseguì lungo il corridoio. Aprì la terza porta: c’era una luce che accecava e, quando riuscì a tenere gli occhi aperti, vide un mondo tutto colorato. C’era una signora, un po’ anziana e vestita bene, con una voce dolce e calma. La salutò dicendo :Buongiorno, benvenuta nel mondo dei sogni. Lei era la maestra del bene e le disse di rimanere in quel mondo per apprendere la bontà. La domestica pensò di fermarsi un po’ in quel mondo, per vedere se poteva rubare o approfittare di qualcosa. Allora con sgarbo le rispose -Dammi una casa perchè la sto cercando. La signora rispose: - la casa è laggiù ed è bellissima, te lo assicuro. La domestica percorse un viale circondato da rose profumate e quell’odore gli piaceva. Tutt’intorno c’era calma e silenzio e questo le dava una sensazione di pace. Questo posto iniziava a piacerle. La casa, poi, era proprio carina: aveva un piccolo porticato con un dondolo. Quando entrò dentro vide che tutto era 103


addobbato con i fiori e ci volavano le farfalle. La signora anziana le disse che, se avesse accettato di fermarsi, sarebbe rimasta lì per sempre perchè la Regina Bianca, padrona di quel mondo, non l’avrebbe fatta più andar via. La ragazza decise di fermarsi perchè in quel posto regnava una pace che lei non aveva mai provato prima. Allora due signore scesero dal piano di sopra e la aiutarono a farsi un bel bagno, le diedero un vestito bellissimo di colore fucsia, verde, giallo, arancione, rosso, la pettinarono e la truccarono. La domestica si guardò allo specchio e si vide diversa, bella fuori ma vide che qualcosa di bello spuntava anche dai suoi occhi. Le due donne rimasero sempre con lei e, giorno dopo giorno, diventò sempre più brava, educata, garbata e buona. Aveva capito che con l’amore e l’aiuto reciproco si può essere veramente felici, mentre, con l’invidia e la cattiveria, si sta male e si muore. Con il passare del tempo però le mancava il suo mondo. Andò dalla Regina Bianca e le chiese se poteva tornare nel mondo reale. La regina le rispose: -Certo che puoi. Pronunciò le formule magiche e si aprì un portale . Lei lo attraversò e si ritrovò nella sua casa, la bella villa antica, con i suoi padroni vivi e vegeti. Capì che le era stata data l’occasione di non sbagliare. Da quel giorno diventò buona con tutti perchè aveva capito che la bontà è ciò che rende felici.

Provenzani Dea classe 4° elementare 104


SCUOLA MEDIA Sezione poesia 1° classificato “Rotecastello” Il paese ha un bel castello e si chiama Rotecastello. La torre, alta e possente, fa da vedetta a tutta la gente; l’arco che ci accoglie ha tante piante e foglie; il borgo con pochi abitanti ha scorci preziosi come diamanti; la ruota intorno al castello è lo scorrere lento del ruscello; discese, piazze e scalette, le uniche vie delle casette. Il silenzio si riempie di gioia con la gente che non si annoia quando di tanti colori spesso lo veste per essere il re di tutte le feste.

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Riccardo Sciri classe 1°elementare motivazione: con semplici rime il lettore viene accompagnato a scoprire le meraviglie di un piccolo borgo che, normalmente immerso nel silenzio, si risveglia nei giorni di festa.

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2° classificato “ Arcobaleno” Vorrei vedere un arcobaleno e capire che è tornato il sereno sulla campagna e sulle case, sulle piante e sulle cose, su tutti gli animali e sui cuori degli esseri umani. Pasquini Andrea classe 2° media

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3° classificato “Cielo stellato” Gli occhi si riempono, straboccano facendo scendere lacrime amare, l’aria stracciata dall’angoscia trema accompagnando le lacrime, cadono a terra producendo un rumore sordo. Impugno l’arco, fletto la corda, atrofizzo l’aria scoccando un’altra freccia, un’altra parola arriva diritta al bersaglio, colpendolo. La mente offuscata, le membra dolenti, il crepuscolo, le prime stelle di cui il petto brilla, gli occhi gonfi, rossi, stanchi, l’affanno, fanno di me un soffio di vento leggero, sotto questo ormai cielo stellato. Sofia Rengo classe 3° media

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Sezione narrativa 1° classificato “ Un mistero meraviglioso” La vita è un mistero mai risolto perché non sappiamo se ciò che ci guida in questo cammino è solo un caso o una decisione del destino. Anch’io a volte mi chiedo perché sono qui, e ora; perché proprio io e non qualcun altro. E se non fossi nata cosa sarebbe cambiato? É solo fortuna o una decisione di qualcun altro? Ogni uomo, in ogni tempo, ha cercato di trovare una soluzione a questi grandi dilemmi, con religioni, filosofie, gnosticismo o ateismo. Nessuno però è riuscito a dare una risposta certa a queste domande profonde che continueranno sempre a torturare l’uomo perché riguardano la ragione ultima e nascosta del suo esistere. L’unica certezza è che si vive. La vita è qui, e l’essere nati è l’unica possibilità di esistere. Non abbiamo certezza di altro. Per questo motivo la vita non va sprecata. È un bene prezioso da coltivare al meglio nel rispetto di se stessi e della vita stessa che ci circonda. Così la vita è una cosa meravigliosa e non si deve avere paura di viverla perché essa non è un problema da risolvere ma un mistero da vivere. Ludovica Mazzocchini classe 2° media

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motivazione: se la vita è un mistero tanto vale viverla senza porsi troppe domande. L’importante, suggerisce la giovane autrice, è non sprecarla perché è e rimane una cosa meravigliosa.

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2° classificato “La forza in me” Mi chiamo Jonatan Ris e sono un ragazzo appassionato di tennis. Quarantacinque giorni fa sono diventato orfano a causa di un dannato incidente stradale nel quale hanno perso la vita i miei genitori e mia sorella. Stavamo ritornando dalla vacanza al mare in Basilicata, felici e spensierati come ogni anno, non avrei mai immaginato quello che sarebbe successo. Verso la metà del viaggio, un camion velocissimo si è messo alle calcagne della mia auto, sterzando continuamente; mio padre ha accelerato per seminarlo, ma non è servito a nulla perché il camion ci ha travolto. In quel momento ho pensato che sarei morto. Poi sono svenuto. Quando ho aperto gli occhi, mi trovavo sulla barella dell’ospedale, pieno di flebo, al mio fianco i miei due nonni ancora in vita che piangevano e pregavano per me. Quando si sono accorti che ero sveglio hanno chiamato il medico. Lui si è avvicinato e mi ha sorriso. Ho subito chiesto informazioni sulla mia famiglia e il dottore, un po’ imbarazzato, ha risposto che stavano tutti bene e che non avrei dovuto preoccuparmi, poi, forzatamente, mi ha sorriso di nuovo e se ne è andato. Io, invece, mi sono preoccupato ancora di più, perché quando ho fatto la domanda al dottore ho visto che la nonna aveva cominciato a piangere e, quando le ho chiesto spiegazioni, si è giustificata dicendo che si era emozionata nel vedere che mi interessavo della mia famiglia nonostante il dolore fisico che provavo. 111


Qualche ora più tardi, dopo essermi riposato un po’, ho acceso la TV che in quel momento stava mandando in onda la notizia “dell’ultima ora”. Il giornalista leggeva: “poco più di un’ora fa, sull’autostrada che collega Napoli a Roma, c’è stato un tremendo incidente che ha causato la morte di ben tre persone, e ora vediamo il servizio della nostra inviata giunta lì sul posto”. Quando è partito il servizio, stavo per cambiare canale ma il cronista ha fatto il nome delle vittime ed io mi sono sentito stringere il cuore: si trattava dei miei genitori e di mia sorella. Ho cominciato a piangere dalla rabbia e dalla tristezza senza riuscire a prendere fiato. Ho chiesto ai miei nonni il motivo per cui non mi fosse stata rivelata la verità, ma, come immaginavo, hanno fatto finta di nulla, poi, pian piano, hanno cercato di cambiare discorso: da quel momento mi sono sentito tremendamente solo. La mattina seguente mi sono svegliato con un po’ più forza e i miei nonni, che non mi avevano lasciato un momento, mi hanno chiesto come stavo. Io, per capriccio, non ho risposto: aspettavo ancora delle spiegazioni valide e, a poco a poco, lo hanno capito. Alla fine mia nonna mi ha detto: “scusa Jonatan, non volevamo farti sentire peggio, hai già molte ferite, perdonaci!”. Quando è tornato il dottore con l’infermiera a togliermi la flebo e a dirmi che potevo tornare a casa, gli ho chiesto con decisione se sarei stato in grado di partecipare al torneo di tennis e agli allenamenti; all’inizio mi sembrava indeciso e preoccupato, poi mi ha sorriso e mi ha risposto che se me la sarei sentita, avrei potuto fare di tutto. Allora l’ho ringraziato e l’ho invitato al torneo. Tre giorni dopo, ben riposato, sono tornato al circolo sportivo per riprendere gli 112


allenamenti. Lì c’erano tutti i miei amici preoccupati per le mie condizioni, gentilissimi e rispettosi nei miei confronti; mi hanno persino regalato una racchetta nuova personalizzata che mi è piaciuta molto, tanto che, dall’emozione, mi sono messo a piangere. Mentre palleggiavo per riscaldarmi, ho cominciato a ricordare quando, a sette anni, giocavo con papà, poi all’improvviso, mi sono arrivati addosso tutti i ricordi dell’incidente: lo schianto, la paura, il dolore... e sono svenuto. Ancora. Quando mi sono ripreso, ero circondato dai miei amici, da altre persone che non conoscevo, dal maestro e dal personale del 118 che, oltre a farmi bere acqua e zucchero, mi hanno fatto delle domande e dopo aver sentito il racconto, hanno detto che era normale considerato quello che avevo passato. Mi hanno consigliato di far finta che fosse passato molto tempo da quel giorno, e di cercare di chiudere almeno un po’ quel cassetto dei ricordi. Poi se ne sono andati. Dopo due giorni di duro allenamento, è arrivato il momento del torneo finale internazionale dove, con forza e disciplina, ho vinto tutte le partite che ho giocato, persino contro i ragazzi più grandi di me. Alla fine delle gare mi hanno consegnato il trofeo. I giornalisti mi hanno intervistato e io sono partito da lì trionfante sotto gli occhi di tutti i presenti, tra cui c’erano i miei parenti, gli amici e il medico che mi ha aiutato molto quando ero in ospedale. Quanto mi è accaduto è stato un grande insegnamento: non è importante quante o quali cose ti possano capitare, l’importante è non arrendersi e trovare la forza per andare avanti! Emanuele Martino classe 1° media 113


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3° classificato “Vita alla scuola media” Appena tornati dalle vacanze estive, in quinta elementare, l’argomento più discusso, fin dal primo giorno, era il tunnel della morte che ci avrebbe risucchiato l’anno seguente, ovvero la scuola media, cioè la società che uccide ogni libero alunno (era questo ciò che dicevano). La scelta della scuola per me è stata naturale: tre minuti a piedi per raggiungerla, zero ritardi e niente più bisogno di correre per casa, alle otto di mattina, in cerca di vestiti da poter indossare... o almeno questo era quello che credevo: non potevo di certo immaginare che tutte le mattine sarei comunque arrivata a scuola trafelata, a causa del tempo che impiegavo prima di uscire per ripassare storia, geografia, scienze o tedesco, perché quel giorno avrei avuto una verifica. Ad ogni modo, il dilemma era quale sezione scegliere. Quando alla domanda, gettonatissima in quel periodo, “Tu in quale sezione andrai?”, i miei compagni rispondevano, sicuri della loro scelta, “A, B o C...”, elencando poi tutte le qualità della sezione e delle relative insegnanti, io ero sempre più spaesata e il senso di panico cresceva sempre più forte in me. Certo, per loro era semplice, visto che dovevano prendere in considerazione, come unico criterio di scelta, la classe in cui era andato il fratello o il cugino. Era normale che non potessero comprendere le mie paranoie: non erano loro che dovevano conciliare in una sola classe la presenza della mia migliore amica fin dai tempi del nido, Agnese, con la quale un giorno avevo fatto una promessa, che intendevo rispettare: “Siamo state separate alla materna 115


e alle elementari: se non staremo insieme alle medie, non andremo a scuola neanche sotto tortura!”. Inoltre era necessario che a farmi compagnia ci fossero le mie BFFE (acronimo di “ best friends forever”, “for” ed “ever” separato perché ci servivano quatto parole), cioè le mie migliori amiche delle elementari, mentre la scelta della classe dove sarebbe andata la bambina che proprio non sopportavo, è stata eliminata in partenza. In ultimo, e forse anche per importanza, le professoresse dovevano essere almeno un “pochino” brave. Alla fine ho scelto la B, convinta dai modelli di scienze che, il giorno dell’open day, mi avevano tanto affascinato. L’unica pecca di quella classe, ai miei occhi era la seconda lingua: il tedesco. Cioè ma vi rendete conto? Il tedesco! Ad oggi mi chiedo perché io non abbia ascoltato il mio papà, che mi spingeva a fare francese, lingua che lui adorava, invece della lingua impossibile, in cui le parole sono lunghe come intere frasi e composte da sole consonanti, chiamata anche tedesco, per semplicità. Fino a luglio, inoltre, non si sapeva con certezza in quale sezione si sarebbe finiti, e ricordo ancora quel giorno in cui sono uscite le liste in cui erano elencati tutti gli ammessi ad una determinata sezione e, vedendo che nella mia classe c’erano tutte le mie amiche, ho iniziato ad urlare neanche avessi vinto alla lotteria; poi ho cominciato a saltellare per tutta casa e ci mancava solo che iniziassi a fare ruote e spaccate per sembrare una ginnasta impazzita... impazzita lo ero. Quando poi ho afferrato il telefono ho immediatamente chiamato le mie amiche, che, probabilmente hanno pensato che in linea avessero una scappata dal manicomio, ed il risultato della chiamata è stato: “Oddio raga, avete 116


visto?! Non ci posso credere! Non è la cosa più bella che vi sia capitata?! No vabbè... è incredibile..., un sogno che si realizza!” il tutto accompagnato dal mio fiatone da ginnasta olimpionica un po’ avanti con l’età post gara... è inutile dire che non si capiva niente di ciò che stavo farneticando, e la loro risposta è stata: “Si vabbè, ma calmati Chia’...”. Ricordo, poi, tutte le giornate passate con le mie amiche a parlare e riparlare delle aule (“ma è vero che le classi sono minuscole e non c’è nemmeno spazio per respirare?”), e di come trovarle (“mi fai avere una mappa dettagliata dell’edificio, altrimenti mi perdo e iniziamo con la caccia alla classe?”), delle compagne (“speriamo che non siano insopportabili...”), dei compagni (“speriamo che non siano dei mostri con le gambe...”), del come comportarsi (“ma è vero che se tossisco mi becco una nota e se starnutisco mi spediscono giù dalla preside?”), ma soprattutto delle professoresse (“ma seriamente sono dei robot sputafuoco programmati per rovinarci l’esistenza”) e delle verifiche (“no, vabbè, io non ce la posso fare?! Interrogazioni giornaliere, in cui ti propinano uno scarso quattro nonostante tu gli abbia portato la Divina Commedia dei tempi nostri... qui avrebbero fatto passare Einstein per un nullafacente!”). E, dopo aver sentito pareri secondo i quali, in confronto, l’Inferno dantesco sarebbe una punizione decisamente più accettabile, dopo aver passato intere nottate per progettare piani di fuga attraverso le finestre con il solo ausilio delle lenzuola ed essere diventati professionisti del “no mamma, oggi proprio non ce la faccio ad andare, ho un mal di pancia pazzesco”, è arrivato il fatidico giorno: il giorno in cui avrei attraversato quella porta e tutto sarebbe cambiato (la mia vita sarebbe diventata un’Odissea ed a uscirne sconfitta 117


sarei di certo stata io). Al termine della giornata le mie impressioni erano queste: -sì, effettivamente le classi sono piccole e noi siamo tanti: il risultato è che sembriamo delle acciughe rinchiuse in una scatoletta; -alla fine la mappa non l’ho avuta, e non mi sono persa perché in aula ci ha accompagnato la professoressa, ma, aspettate, chi si ricorda su che piano era la nostra classe?!; -no, le compagne non sono insopportabili, o almeno non tutte...; -no, in effetti i compagni non sono proprio orribili, o almeno non tutti...; -visto che è ancora estate, non ho tossito né starnutito, ad ogni modo... meglio non rischiare!; -ho appurato che le professoresse non sono robot, né tantomeno sputano fuoco, ma per quanto riguarda il “programmate per rovinarci l’esistenza”, potrebbe anche essere... -per quanto riguarda verifiche e interrogazioni il mio pensiero rimane lo stesso: non ce la posso fare! Molti mi descrivevano il passaggio dalle elementari alle medie come un piano cartesiano, in cui il valore dei voti si riconosceva a prima vista, rappresentato da un picco verso il basso che affondava sempre più giù, neanche fosse il Titanic. Per quanto riguarda, invece, il mio piano cartesiano, sono partita da un livello che la mia professoressa di matematica amava definire medio-alto, con un innalzamento progressivo e repentino durante tutta la prima media, che mi ha portato ad ottenere una pagella eccellente (alla faccia vostra terroristi morali!). In seconda media la linea rappresentante il mio percorso sembrava un elettrocardiogramma: su, giù, su, giù, ma senza mai scendere sotto il sette (senza contare un cinque in musica... ma facciamo finta che non sia mai esistito, okay?). Alla 118


fine di questi anni, però, ho constato una cosa... non è vero che alle medie le professoresse mettono voti orribili: per mantenersi sul livello delle elementari basta solo (e ti sembra poco!) studiare. Studiare tanto, intendo, nel senso di passare ore ed ore sui libri, trascorrendo notti in cui si alternano il tentare di memorizzare formule su formule, alla sottolineatura (o per meglio dire la tinteggiatura del libro attraverso evidenziatori di svariati colori) di pagine che sembrano infinite sul modo di dipingere di Raffaello, Michelangelo o chissà chi, ad un viaggio all’interno del corpo umano, durante il quale ci ritroviamo nell’apparato digerente a svolgere la funzione degli enzimi, e così via... Per quanto riguarda, invece, il piano cartesiano della mia vita sociale, era caratterizzato da picchi verso il basso in corrispondenza dei giorni prima delle verifiche e durante tutto il mese che precedeva la chiusura del quadrimestre, quando mi confinavo in camera, in esilio dal mondo, a studiare fino a tardi, addormentandomi sui libri, svegliandomi sui libri, e soprattutto... piangendo sui libri! Alla scuola media, però, mi sono anche fatta molte amicizie con le nuove compagne, ed ho rafforzato il bene che volevo a quelle che già avevo, stabilendo con loro un rapporto quasi fraterno... loro che sopportavano le mie crisi di nervi pre verifica. In ogni caso, sono sopravvissuta, o almeno fino ad ora, perciò la scuola media non è come me la descrivevano... state calmi voi che l’anno prossimo varcherete quella porta, come ho fatto io un anno e mezzo fa: le medie non sono l’Inferno, al massimo il Purgatorio. Chiara Meloni classe 2° media 119


SCUOLA SUPERIORE SEZIONE Poesia 1° classificato “Risate che non sentiremo più” Macerie Macerie Solo macerie. Di questo bellissimo paese solo polvere. Di questo bellissimo paese ricco di monumenti storici solo pietre UN SOLO TERREMOTO anni e anni di storia UN SOLO TERREMOTO. Ieri la gente rideva si divertiva nessuna preoccupazione. Oggi pregano di poter vivere pregano per i loro parenti. 120


Ricordate di loro i sorrisi Ricordate di loro le risate risate che non sentiremo più. De Nisco Victoria Corso di scrittura creativa Convitto Alberghiero di Spoleto motivazione: ci sono tanti modi per far rivivere il dramma del terremoto: tra questi l’autore della poesia ha scelto forse quello più efficace, perché un paese può anche rinascere dalle sue macerie, ma nessuno potrà mai restituirci le vite spezzate e quelle “ risate che non sentiremo più”.

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2° classificato “Ti trovo” Ti trovo nelle nuvole ti trovo nei miei dolci gesti proprio uguali ai tuoi. Ti trovo nelle canzoni che inesorabilmente parlano di te, ti trovo nei respiri sì, anche nei respiri dopo un pianto, una lacrima quando sai che sei forte o meglio quando devi essere forte. Ti trovo quando rido perché so che in quell’ istante stai ridendo anche tu. Nizi Fiamma Corso di scrittura creativa Convitto Alberghiero di Spoleto

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3° classificato “Piccolo inno a Primavera e ad Amore” Dentro di te uno spirito di primavera. Lacerato il ventre e il seno in fiore. Non morte non dolore Ma colore e delicato drappo. Prato rifiorito e trapunto di ciliegi Ora bianchi, puri, perlacei Poi frutti carnosi e sanguigni Come porporati cigni. La luce e le acque di torrente Sgeleranno i sogni in letargo. Come il salmone riprende la vita. Come l’ostrica che dischiude la perla, naturale orpello di beltade Pendente di pala d’altare O pendente da gote svelate. La tua mano riposa sui seni 123


E copre l’amore che non riposa. Non geme forte non chiosa Pudico e non dissecco Vitreo velo di pensieri sereni. E ancora mi fai lucido per dire per guardare Te che come Venere esci dal mare e come Artemide prendi vita dai prati stellati e dai campi fioriti di sole. Nuovo canto di primavera e di amore. Batocchi Edoardo classe 3° Liceo ginnasio

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SEZIONE Narrativa 1° classificato “Violata” Freddo Insensibile Violento. Ecco cos’ era. Ecco chi era. Quella sera del 24 Marzo io persi la cosa più preziosa che avevo. Accadde quella notte, in un vicolo freddo e buio; era la notte del 24 Marzo. Venni stuprata dal mio migliore amico, dalla persona che credevo di conoscere, la persona della quale mi fidavo di più. Quella sera fui abbandonata da chi volevo al mio fianco; sì, era così. Io lo amavo più di quanto avessi mai amato me stessa e non avrei esitato a stare con lui ma la verità è che, mentre mi alzava il vestito e mi strappava le calze, lui era freddo. L’ unica cosa a cui ambiva era il sesso. È stata proprio la sua insensibilità a farmi sentire usata, sporca, sola al mondo. Ora sono ancora qui, ma nulla potrà cambiare quella notte. Nessuno mai potrà non farmi sentire usata. Nessuno riuscirà a non farmi sentire marchiata. D’Agostino Martina Corso di scrittura creativa Convitto Alberghiero di Spoleto 125


motivazione: usando un linguaggio crudo ed asciutto, l’autrice, con lodevole abilità narrativa, scaraventa il lettore in “un vicolo freddo e buio” e lo rende partecipe del consumarsi di una violenza di profondo impatto emotivo e straordinaria attualità.

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2° classificato “ Il ricordo di un amico speciale” Mi congratulo pienamente con la famiglia Marinelli per aver tentato di curare Saverio all’ ospedale “Bambino Gesù” di Roma perché, dovete sapere, che anch’io da piccolo ho avuto dei grossi problemi, e quindi i miei genitori mi hanno portato lì, mi hanno curato con tanto amore, si sono impegnati a rimettermi in buona salute e adesso sto bene!!!! ORA Vi PARLERO’ UN PO’ DELLA MIA STORIA CLINICA E DELLA CONOSCENZA DI SAVERIO. Io sono nato il 9 Aprile 2001, di pomeriggio, all’ospedale “Monte Luce” di Perugia; appena venuto al mondo sono stato messo in incubatrice perché sono nato prematuro e pesavo un chilo e quattrocento. A parte la prematurità, sono nato con una malformazione all’ esofago chiamata “atresia esofagea”: mi mancava un pezzo di esofago quindi, dopo ventiquattro ore dalla nascita, sono stato sottoposto ad un intervento chirurgico di cinque ore che non è stato risolutivo perché non è stato possibile ricongiungere i due monconi; a questo punto mi hanno dovuto creare un foro nello stomaco per potermi alimentare, mi è stato messo anche un sondino nel naso per aspirarmi la saliva perché non potevo ingoiare niente. L’ indomani, quando i miei genitori sono entrati in terapia intensiva, dopo l’intervento, il dottore del reparto ha confermato che io ero un bambino che lottava per vivere malgrado le difficoltà quindi dovevano stare tranquilli perché ce l’avrei fatta!!!! Dopo quattro mesi a Perugia, i miei genitori, grazie ai consigli di altre persone di fiducia, con un’ambulanza mi hanno trasportato all’ ospedale pediatrico ” Bambino Gesù” 128


di Roma, più attrezzato per i problemi neonatali. Sono arrivato nella capitale il 23 Agosto 2001 e da subito sono stato sottoposto a vari esami per prepararmi all’intervento definitivo, di sei ore, per ricongiungere l’esofago. Dopo di esso sono stato in terapia intensiva neonatale e sedato per otto giorni; i miei genitori potevano entrare solo un’ ora al giorno, ma non potevano né chiamarmi né toccarmi, perché dovevo stare immobile, altrimenti i due monconi si sarebbero staccati. Finalmente sono ritornato nel reparto dove hanno iniziato ad alimentarmi per bocca: all’inizio prendevo poche gocce di latte, e dopo quindici giorni mi hanno dimesso dall’ ospedale, ma senza togliermi la sonda che mi alimentava tramite lo stomaco. Dopo dieci giorni che sono tornato a casa, non riuscivo più a deglutire bene il latte perciò, per circa sei mesi, sono dovuto tornare all’ospedale ogni quindici/venti giorni per essere sottoposto alle dilatazioni dell’ esofago e ogni volta dovevo stare ricoverato per tre giorni. Negli anni successivi sono stato sottoposto a vari ricoveri per dei controlli di routine, ed è proprio qui che ho conosciuto la magnifica persona che era Saverio Marinelli. Quando ho conosciuto Saverio, la cosa che mi ha colpito di più in lui è stata la sua serenità, al contrario di me che sono un ragazzo molto ansioso. Lui era mio compagno di stanza e quando ci siamo presentati, con stupore, abbiamo scoperto che venivamo dalla stessa regione. Siccome in ospedale c’era la sala giochi e la biblioteca, abbiamo giocato insieme a carte e abbiamo letto qualche libro. Visto che la famiglia di Saverio è molto credente e anche la mia, insieme alle nostre mamme siamo andati nella chiesina dell’ospedale ad 129


ascoltare la messa. Durante i vari ricoveri facevamo delle passeggiate lungo i corridoi, per fare conoscenza con gli altri bambini ricoverati. C’erano bambini di tutte le regioni d’Italia: Sardegna, Puglia, Sicilia, Campania e tante altre. Tutti con malattie diverse ma sempre piuttosto gravi! Quando facevamo queste passeggiate tutti i bambini si univano a noi ed erano tutti contenti della nostra amicizia e di passare un po’ di tempo con noi; ognuno raccontava la sua storia, le sue difficoltà e non vedevamo l’ora di tornare tutti a casa, ai nostri giochi, alle nostre abitudini, alle nostre comodità! In stanza dormivamo insieme sognando che i nostri problemi venissero risolti al più presto. Una notte siccome non riuscivamo a dormire abbiamo chiamato Lorenzo, un ragazzino della Sardegna tanto amico con noi e ci divertivamo a chiamare l’ ascensore e a farlo andare su e giù; con nostra sfortuna però se n’é accorto il dottor Dall’ Oglio, il dirigente del reparto, che ci ha fatto una lavata di testa a tutti e tre: non ce la scorderemo mai però ci siamo divertiti e abbiamo riso a crepapelle!!!! Finalmente, dopo tante difficoltà e tanta attesa in ospedale, è arrivato il giorno più bello:” Si ritornava a casa”!!!!! E la cosa più bella era che uscivamo insieme, sia io che Saverio! Dopo qualche tempo che eravamo tornati a casa ci siamo sentiti telefonicamente per salutarci e ci siamo messi d’ accordo per organizzare un incontro e rivederci per stare un po’ insieme: qualche volta io sono andato da lui e qualche volta lui è venuto da me. Durante una visita a casa sua ho conosciuto anche il fratello Francesco, bravissimo, come Saverio. Passavamo i nostri pomeriggi così: andavamo a comprare il gelato, ci fermavamo al parco, guardavamo la televisione e parlavamo della scuola e di come riprendere 130


a studiare. Nelle nostre chiacchierate parlavamo del nostro futuro, quali professioni avremmo voluto svolgere da grandi. Lui voleva diventare un grande dottore per aiutare i più bisognosi, date le difficoltà che avevamo passato. Aveva pensato di andare anche in Africa a curare i bambini poveri, quelli che non possono sottoporsi a certe cure data la grave situazione di povertà! Voleva andare lì perché mi aveva raccontato che un giorno, guardando un documentario, aveva visto gli occhi tristi di un bambino che chiedeva aiuto. Ha capito benissimo che, anche se abbiamo passato un brutto periodo, noi siamo sempre vissuti nel benessere, mentre loro nei loro paesi non avevano niente: né acqua pulita, né scuole, né cure mediche e neanche un tetto dove proteggersi e sentirsi al sicuro. Vedendo tutte queste cose si è sentito fortunato per tutte le possibilità che ha avuto nel curarsi!!!! Sarebbe stato felicissimo all’idea di regalare un po’ di serenità a queste persone sfortunate, perché sono nate in posti dove manca tutto, siccome poteva succedere anche a noi dobbiamo cercare di dare un aiuto. Mentre lui voleva diventare un medico, io sognavo di lavorare all’ aria aperta, tenuto conto del lungo tempo in cui sono dovuto stare chiuso in ospedale, a contatto con medicine e odori di disinfettanti!!!!! Desideravo aprire un’ azienda agraria con tanti terreni, con varie colture ed avere tanti attrezzi agricoli, in particolare grossi trattori, perché sono appassionato ad essi! Un giorno ho fatto un giro su un trattore appartenente ad un’azienda vicino a casa nostra per vedere come si manovrava un mezzo di quelle dimensioni, mi sono accorto che non mancava nessun confort: c’era l’aria condizionata, la radio, il sedile regolabile ed ammortizzato, in grado di far stare 131


comodo il conducente facendolo lavorare anche 8\9 ore sul trattore senza alcun problema! Ad un certo punto ho provato anche a guidarlo, amavo la sensazione che mi dava quel potente motore di 125 cavalli a quattro cilindri, era veramente una musica!!!! Nell’ azienda, oltre che tanti mezzi agricoli, desideravo avere anche tanti animali che possono vivere all’ aria aperta e pascolare liberamente in tanto spazio. Vorrei allestire al meglio il tutto in modo tale da dare la possibilità ai ragazzi delle scuole di venirla a visitare, di essere curiosi di imparare e di apprezzare la tranquillità e il profumo della campagna: questo sarebbe il mio sogno e vorrei tanto realizzarlo!!!! Adesso concludo sottolineando che per me Saverio è stato un punto di riferimento, mi ha dato tanto insegnandomi che la vita è un dono meraviglioso e vale la pena di viverla, nonostante le difficoltà. E’ stato sempre un ragazzo con un’ incredibile forza di volontà, ha affrontato tanti ostacoli tentando di curare la sua malattia perché voleva vivere!!!!!! Ho conosciuto un amico speciale, con un sorriso stupendo che mi trasmetteva conforto solo guardandolo, e soprattutto sentendo le sue parole!!!! Lui era gravemente malato ma, nonostante questo, era forte, studiava, si divertiva, usciva con gli amici .....: insomma, ha vissuto la sua vita a pieno! Terrò sempre questo ragazzo nel mio cuore!!!! Paolo Ciacci classe 1° Istituto professionale per il commercio

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3°classificato “Vento di passione” Passione, parola avventata, ma piena di significati. Dire mille cose su di te, dolce fanciulla, quando posso parlare dei miei sentimenti, ti sembrerà strano. Non guardo solo le tue labbra delicate, i tuoi occhi pieni d’amore, ma come sei dentro. Piaci a tante persone che ti vedono come una preda ambita e forse lo fanno solo per la tua bellezza esteriore. Beh, sbagliano! Tu sei molto più bella dentro che fuori, sei dolce e amorevole, non fai la stupida con i ragazzi. Sei l’unica che riesci a fermare la mia ira contro il mondo. Mi aiuti a combattere contro i miei demoni, anche se non lo sai. Mi basta un tuo sguardo, un tuo abbraccio, stare vicino a te. Attendo ogni sabato per vederti, così mi dai la forza per affrontare la settimana. Ecco come sopravvivo. Vorrei stare con te tutti i giorni, tutte le ore, tutti gli attimi che vivo. Solo un problema ci divide: il mio migliore amico si è confidato : anche per lui sei vita. Mi dispiace abbandonarti ma per lui non posso, non posso, NON POSSO! Voglio solo che tu sia felice. Anche se non sarò IO al tuo fianco, non voglio vedere una lacrima sul tuo viso, non voglio vedere quel bel visino spento, lo voglio solare come sempre. Non so se avrò mai il coraggio di dirti tutto questo. Però, se hai bisogno, sono qui per te. Spolverini Marco Corso di scrittura creativa Convitto Alberghiero di Spoleto

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ADULTI Sezione poesia 1° classificata - “ Il viaggio” Signori si parte! La voce del vetturino solerte a cassetta che schiocca la frusta. Emozionante e spavaldo il tempo del viaggio. C’è sempre da fare! In perimetri ampi di illuminazioni e stupore imbastisce emozioni permeate di tutto. Passo veloce mai forzato al rilento, il viaggio nutre, disseta, si svela con l’adesione emotiva di un giro di valzer. 134


Rivedrà quanto già visto, l’albero che non c’era, il grano maturo, gente che fissa cartelloni incollati sul muro. L’incanto ammaestrato del frusciar della carta che rotola al soffio, ad un tratto svanisce. Sul traguardo di ogni storia lanciata al destino il viaggio finisce. Giuseppe Gentili motivazione: la fugacità della vita mirabilmente rappresentata come un viaggio in cui lo “stupore” e la “spavalderia della partenza” si consumano e svaniscono con la stessa emozionante brevità di un “giro di valzer”

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2° classificato “L’aquilone” Nella vita n’ho mancato mae ‘na sfida Chi me diceva: “vieni qua si c’hai coraggio”. Fusse anche ‘n toro ‘nferocito da corrida me trovava sempre pronto pe l’ingaggio. Sentivo ‘l monno che girava sotto a me e che potevo fa’ vince ‘l bene contro ‘l male solcavo un cielo che più terso non ce n’è me sentivo ‘nsoma come n’aquila reale. Più volte tracinato dall’orgoglio me so’ trovato sull’orlo del burrone quanno mancava gnente pe’ lo sbaglio che poteva marca’ a foco la mi’ reputazione. Come ‘n trono che fa parti’ la luce e te cambia tutto ‘l monno che c’hai ‘ntorno all’improviso de ‘gni cosa ero ‘ncapace come se fussi cascato nto l’inferno. Ho passato ‘na stagione della vita che giravo a voto ntra la gente, caminavo a testa bassa senza meta, ‘nciapicavo tra i capricci della mente; come si me trovassi nto ‘na stanzia vota 136


‘l monno me pareva di là da ‘n vetro opaco pe’ accostalla ta ‘na cosa che ve po esse’ capitata è come quanno hai bevuto troppo e sei ‘nbriaco. ncuminciavo la giornata nun so come me vestivo con quil ch’era pronto a mette’; de me nun m’arcordavo manco ‘l nome m’arinfrancavo col silenzio de la notte. Speravo che sul giorno vincesse sempre l’buio così me se spariva ‘gni cosa d’affronta’ cunvinto che me fusse passato ‘l mejio pensavo tai mi cocchi a nun crea’ difficoltà. La devianza che te fa sbaja’ ‘l pensiero è che l’amore che c’hai pe’ la famijia t’arriva fino a ‘n punto così nero che de leva’ ‘n peso è ‘l cruccio che te pija. Te scorrono nto la mente immagini severe, ‘l cervello se prepara e scrive’ la condanna, Ma nissuno po passa’ quanno se ‘mpone ‘l core che tracima dell’amore che prova la tu’ donna. Se spalanca la finestra che c’eva ‘l vetro opaco tutto ‘l monno fori s’arcumincia a colora’, dentro de me sento cresce a poco a poco ‘na sensazione bella e me sembra de vola’, 137


adesso, però ho capito la lezione pijerò del monno tutto quillo che me manna, nun so‘ ‘n’ aquila, però so’ ‘n aquilone, l’vento per vola’ ce l’ mette la mi’ donna Luca Caciotto

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3° classificato “Trattala bene” Trattala bene. Lei è un alito caldo, è tiepido latte, è pianto, è canto. È sonno di ore. È sole. Trattala bene. Lei un capriccio, un salto di corda, un filo di rafia, un cuore alla porta. Trattala bene. Lei è figlia, è sposa, è sogno e sorpresa, è bacio e abbraccio, è buio e firmamento.

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Trattala bene. Anche quando ti fa male, quando ti ghiaccia gli occhi e quando si allontana. Quando non ti ama. Trattala bene. Quando ti curva la testa e ti ferisce il ventre. Quando è deserto e quando si alza il vento. Trattala bene. Sempre. Toccala con due dita. La vita. Gaetana Luchetti

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SEZIONE Narrativa 1° classificato “Per non disturbare” La prima volta che Angelo riuscì a volare aveva quarantacinque anni. Un fatto così straordinario, contrariamente a quanto si possa immaginare, non suscitò alcuno scalpore. Difatti, quantunque predicasse come fosse facile volare, nessuno diede ascolto alle sue parole. -Basta spiccare un salto verso l’alto,- spiegava con serafica semplicità - comprimere le reni in un certo modo, e vi assicuro che tutti possono volare - . Ciononostante, a dispetto dell’impegno profuso, le sue numerose dimostrazioni caddero nell’oceano dell’indifferenza. - Possibile - si chiedeva incredulo – che nessuno voglia imparare a volare? - . Il prodigio che cambiò la vita di Angelo avvenne dentro i locali dell’Oasi. Una pizzeria situata appena sopra la strada per Morcella alla periferia di Marsciano, dove, con i suoi amici, si recò nottetempo per festeggiare un compleanno. Aveva appena appeso il soprabito quando il solito impulso, che da anni lo portava a misurare le sue modeste capacità d’elevazione, lo costrinse ad alzare lo sguardo verso il soffitto. A circa quattro metri d’altezza, appesa a una trave, vide una lampada, e immediatamente ebbe la sensazione di poterla toccare. Volse lo sguardo attorno per sincerarsi di non essere visto; si concentrò per qualche secondo; piegò le gambe e scattò verso l’alto col braccio proteso. Si sollevò in aria 141


dolcemente avvertendo una piacevolissima sensazione di benessere. Riuscì a toccarla con estrema facilità, quindi ridiscese con la stessa leggerezza. Riprovò molte altre volte e ogni volta il suo stupore cresceva, perché seppe di potere arrivare sempre più in alto. Poiché a ogni prova rischiava di battere il capo sul soffitto tentò di mettersi in posizione orizzontale. Nel momento in cui riuscì a sollevare il bacino con appropriati movimenti della schiena, si accorse d’essere in grado di volare. In stato di notevole esaltazione iniziò a volteggiare tra i tavoli, riscuotendo incomprensibilmente solo qualche piccolo cenno d’interesse. Deluso, sempre volando, uscì dal locale. Nei giorni seguenti si dedicò esclusivamente a perfezionare la tecnica. Appena ne fu padrone cominciò a volare tra i vicoli del paese, dove sentì e vide cose che avrebbe preferito non sentire e non vedere. Per questo motivo decise di volare oltre i tetti, riuscendo a essere tanto più felice, quanto più in alto fu capace di salire. Dopo qualche tempo, una bella mattina, con la mente lucida, ripassò gli avvenimenti per fare il punto della situazione. Suo malgrado, dovette ammettere a se stesso che alla gente non piacciono le persone capaci di volare, perciò decise di tornare alla normalità, riservandosi di librarsi alto nel cielo solo di tanto in tanto; nel pieno della notte, distante da occhi indiscreti. Per non disturbare. Alberto Alpini motivazione: con tocco leggero e delicato, così “per non disturbare”, l’autore affida alla metafora del volo lo struggente desiderio di sollevarsi al di sopra delle banalità del comune sentire. 142


2°classificato “Una rosa antica” Aldo si recò al vigneto come ogni mattina, a controllare la pianta di una vite in particolare, a cui teneva più delle altre. Aveva praticato, su consiglio di suo fratello Lucio, un innesto che avrebbe dovuto rinnovare quel vitigno di trebbiano che da tempo aveva perso il suo magico sapore. Era un’ alba tipicamente estiva. La campagna aspettava quei raggi di sole per imbiondire ancora un po’ il grano tardivo, non ancora raccolto e ai grappoli che stavano crescendo, serviva la giusta esposizione per donare al vino un’abbondante dose zuccherina. Quando arrivò vicino alla pianta da osservare, si accorse che il terreno in prossimità sembrava come scavato e c’erano delle impronte di scarpe tipo da ginnastica, di un piede non molto grande. Non sapeva spiegarsi chi e per che cosa si fosse avvicinato 143


alla vite, a meno che lo avesse fatto qualche operaio, magari su ordini ben precisi di Lucio. Decise di andare a chiederglielo subito. Tornò verso casa, un vecchio casale degli anni ’50 che era stato completamente ristrutturato, in cui vivevano un tempo i nonni, insieme ai suoi genitori. Ora era abitato da lui e suo fratello, ne occupavano un piano ciascuno, con le rispettive famiglie, ma spesso si riunivano per pranzi memorabili, avendo un po’ di nostalgia dell’infanzia e di quella vecchia famiglia patriarcale. Lucio stava scendendo la scalinata esterna, tipica delle costruzioni rurali di quell’epoca. Vasi di gerani rossi ornavano i gradini e il gelsomino ricopriva interamente la facciata, inondando l’aria con quel suo profumo intenso... Aldo aspettò che scendesse le scale e poi, senza nemmeno pensare di salutarlo, tanto era impaziente di ricevere una risposta, gli chiese: -Hai fatto qualcosa alla vite del trebbiano, hai ordinato a qualcuno di mettere del concime?- Assolutamente no, rispose Lucio, anche perché per il momento va soltanto annaffiata con assiduità, per far sì che l’innesto diventi un tutt’uno con la vecchia pianta. Perché me lo domandi, cosa è accaduto che io non so? - Ma niente, ho visto del terreno smosso e delle impronte di scarpe - rispose Aldo e continuò: - Comunque non ha importanza, la mia era pura curiosità.In realtà importanza per Aldo, questo fatto, ce l’aveva eccome, ci teneva molto a riportare la qualità di quel vino ai livelli di un tempo, in cui le vendite erano molto soddisfacenti! Quindi aveva “adottato” quella vite praticando un innesto e la seguiva quasi come si fa con un bambino; tutte le speranze erano nella buona riuscita 144


dell’operazione. Il mattino seguente decise di alzarsi ancora prima, pensava che recandosi ai campi in anticipo rispetto agli altri giorni, forse avrebbe potuto scoprire qualcosa. Si vestì in tutta fretta, con tenuta da campagna, prese solo un caffè, non voleva far tardi e s’incamminò per raggiungere la vigna. L’alba era chiara, in previsione di una nuova giornata di sole, quindi nessun impedimento a vedere bene già da lontano. Scorse appunto una figura, sembrava un ragazzo, accovacciato proprio in quel punto dove stava la sua vite prediletta. Non riuscì a tacere e ad alta voce gridò: - Ehi tu cosa stai facendo? – L’individuo si alzò di scatto e si mise a correre a più non posso. Aldò si affrettò, la sua preparazione atletica non gli consentiva di fare altro e giunse sul posto, ma in ritardo ovviamente. Niente, se non le solite impronte e un po’ di terra smossa. Alzò di nuovo la testa, ma il “velocista” si era dileguato. Chissà cosa avrebbe dato per capire cosa stesse facendo e il perché... ma la colpa in fondo era sua che preso dall’impulso aveva alzato la voce. Non doveva farlo, ma avvicinarsi di soppiatto ed in silenzio. Se ne tornò a casa, ma decise di non dire nulla a suo fratello che trovò già fuori, intento a lavori di manutenzione ad una parte della recinzione vicino al cancello d’ingresso. Si salutarono e Lucio conoscendo benissimo “i suoi polli”, immaginava già dove fosse stato Aldo e gli chiese: - Sei andato alla vigna? Novità? – Aldo non poteva negare di esserci stato, ma non raccontò nient’ altro e rispose: - Sì 145


sono stato per innaffiare un po’, ma tutto tranquillo, nessuna novità. – E lì finì quel piccolo interrogatorio. La giornata passò in fretta, in campagna ci sono sempre mille cose da fare e con la bella stagione si cerca di farne il doppio. L’indomani e nei giorni seguenti, Aldo si recò in orari diversi alla vigna, ma non incontrò più nessuno e la sua vite stava in ottima salute, nessuno l’aveva molestata. Trascorsero un paio di settimane, quando una sera, al tramonto, recandosi per dare acqua, vide un’ombra al solito posto. Questa volta, non fece rumore alcuno e si avvicinò alle spalle per cogliere di sorpresa il ragazzo, accovacciato in cima al filare della vigna. Aldo sarebbe finalmente riuscito a svelare l’arcano. Quando la sua ombra fece ombra al ragazzo, questo si alzò di scatto e si voltò. Aldo lo afferrò per un braccio. Non era un tipo atletico nel correre, ma lavorare nei campi fin da bambino aveva sviluppato in lui una buona muscolatura e una certa forza nella presa. Inoltre il ragazzo era veramente giovane e di corporatura esile. - Bene, bene, finalmente ti ho sorpreso! Devi spiegarmi qualcosa...? – Disse Aldo, in maniera molto ironica e abbastanza innervosito. Il ragazzo avrà avuto sedici o diciassette anni, ben vestito, non certo del mestiere, spaventato a morte, nel rispondere quasi balbettava, per la paura. - Bu-buonasera, mi chiaaaamo Paolo. Sono il nepote di Guglielmo dell’azienda agraria che confina con la vostra signore, abito a Genova, sono qui in vacanza... - E si fermò. 146


- Sì, e allora? – Rispose Aldo. - Non volevo fare nu- nulla di male, ve lo giuro- Continuò... - Allora spiegati e in fretta – Aggiunse Lucio, abbastanza alterato. Paolo fece un bel respiro e iniziò a raccontare –Ho perso una sorella gemella due anni fa, forse ricorderete la notizia. Eravamo qui in vacanza, fu un incidente proprio qui in campagna... Aldo lo interruppe e aggiunse: - Sì ricordo benissimo, un trattore la investì, dissero che si era sfrenato, fece tutto da sola... tuo zio da allora non è più la stessa persona... - Sì è così, aggiunse Paolo, mentre delle lacrime scendevano lungo il viso. E’ per lei che mi trovo qui. All’inizio di ogni filare di viti, voi piantate delle rose. Lei le amava molto, ma in particolar modo quelle antiche, perché profumatissime. Io quando sono qui in vacanza, le vado a cercare e prendo la più bella per regalarla a lei. Ho una sua foto sul comodino e un piccolo vaso, dove metto sempre una rosa profumata. Ecco questo è tutto. Non volevo fare danni, né appropriarmi di nulla, se non di una rosa ogni tanto... Mi scuso e sono mortificato. – Aldo lasciò la presa e mise la sua mano sulla spalla del ragazzo. - Sono io che mi scuso, per il brusco modo in cui ti ho trattato, ma come sai si aggira tanta delinquenza e bisogna stare attenti, non si sa mai con chi si ha a che fare...Poi continuò: -La rosa viene messa in realtà perché funge da sentinella e viene chiamata “pianta spia”, perché manifesta prima i sintomi di eventuali malattie o attacchi di parassiti. Praticamente fa da sentinella alla vigna, permette di salvaguardare il filare e d’ intervenire in tempi rapidi per preservarne lo stato di salute. Ma se ne cogli qualcuna, non 147


fai del male a nessuno, anzi ora che so, coglile pure! – Aldo era un uomo abbastanza rude, ma aveva un cuore tenero di fronte ai sentimenti. Era molto esplicativo per tutto ciò che si rifaceva al suo lavoro, mentre si sentiva quasi in imbarazzo e aveva difficoltà a parlare di affetto e di amore in generale. Prese le forbici dalle mani di Paolo, tagliò le due rose più belle e gliele porse, dicendo queste parole: - Portale a tua sorella ragazzo mio e vieni pure a prenderne delle altre quando queste saranno sciupate. Poi questa rosa è vicina a una vite alla quale tengo in particolar modo e, avendo anche lei ascoltato questa storia, dovrà per forza dare il meglio di sé alla prossima vendemmia!Paolo ringraziò ossequioso e si sentì di abbracciare Aldo, ormai divenuto suo amico. Si salutarono con un “ arrivederci”, perché prima o poi si sarebbero rivisti proprio là. Lolita Rinforzi

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3° classificato “ il grande esodo” Erano gli anni del fuggi fuggi, quelli della seconda metà del ‘900, quando un gran numero di contadini abbandonò le campagne e il lavoro della terra alla ricerca di un futuro migliore. Nel comune di San Venanzo, dalle frazioni, quasi come un fiume in piena, la gente abbandonava la terra. La vicina Marsciano e altre zone più fertili assorbirono tanti contadini usciti dalle nostre campagne. Da Ospedaletto, da San Vito in Monte e da Pornello fu proprio un’emorragia, e nessuno tentò di arginare questa fiumara in piena, al punto che si formarono vuoti paurosi e campagne desolate. Certo le famiglie contadine erano alla ricerca di un po’ di buono e di qualcosa di meglio, ma chissà se, dove sono andate (come recitava il detto di una volta), “avranno trovato le vigne legate con le salsicce?” infatti può anche darsi che continuassero ad essere legate “col filo di ferro e con il vinco”. In altre parole, forse hanno trovato il da fare, i problemi e le fatiche che si sono portate da dove erano partite! Le nuove zone avranno richiesto altre esigenze e altri modi di vivere che non tutti conoscevano, e per adattarsi non sempre sarà stato facile! Il mondo rurale della nostra Umbria da lungo tempo si reggeva sulla mezzadria che, dopo secoli, con l’aumento del benessere, finalmente non poteva andare più bene. Quanta manodopera era impiegata nelle nostre campagne e quante generazioni sono passate senza poter vedere un profitto proprio per le proprie fatiche! Eppure, alle famiglie patriarcali che vivevano su quei poderi non poteva passare per la testa l’idea di riuscire a migliorare le proprie condizioni di vita 149


e alleviare le proprie fatiche. Tutto iniziava al mattino e tutto finiva alla sera, quando ci si ritirava in casa e la nuova giornata di sudore si concludeva per dover ricominciare all’alba di ogni giorno. Così passavano le settimane, i mesi e gli anni del nostro essere. Noi di una certa età ricordiamo la vita contadina; come si viveva nei campi e i duri lavori che si dovevano fare per mangiare un pezzo di pane. Io ai miei figli cerco di raccontare quanti sacrifici abbiamo fatto noi e quanti ne hanno fatti i nostri avi e quante fatiche, specialmente negli anni in cui andavano male le stagioni, e di conseguenza anche i raccolti venivano meno. Ora di tutto questo ne parlerà la storia alle generazioni future. La mezzadria è stata sradicata alle fondamenta e gli uomini si sono avvicinati ai centri urbani dove hanno trovato più comodità e una vita più agiata e più sicura. Certo se non fosse aumentato il benessere e non ci fosse stato il progresso industriale e tecnologico, non avremmo ancora potuto raccontare il grande esodo e il vuotarsi delle nostre campagne: non sarebbe cambiato ancora niente, come di fatto è stato per tanti secoli. Ma la mia generazione ha avuto la sorte di attraversare il cambiamento e il coraggio di mettersi in marcia verso qualcosa di nuovo che poteva anche essere sconosciuto. Tuttavia gli anni cinquanta e sessanta, mentre il progresso e il benessere sembravano voler arrivare alla portata di tutti, furono anni bui e tristi per le nostre zone di montagna. Le campagne si spopolavano e le frazioni si vuotavano senza che nessuno tentasse di fare qualcosa per riparare ai danni che ne derivavano. Adesso pare che siamo giunti alle porte di un nuovo esodo. Il nostro Comune si sta spopolando di nuovo: Tra le giovani generazioni ci sarà qualche buon pensante che riuscirà a 150


riparare a tutto questo? Teodoro Paolo Corradini

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LA GIURIA Prof. Giancarlo Busti Prof.ssa Carla Franceschini Prof.ssa Deanna Mannaioli Sig.ra Gabriella Spaccini (membro della Proloco)

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INDICE DEGLI AUTORI Edizione 2016 Sezione poesia scuola primaria CAVALLETTI ELENA - Scuola primaria San Venanzoclasse I Alfabeto a piacere...D come Dono (2°classificato) p.9 FLOREA ANDREEA MADALINA - Scuola primaria San Venanzo – classe V Mamma bella mia stella ( 1° classificato) p.7 SADRAOUI OUSSAMA - Scuola primaria San Venanzo – classe I Alfabeto a piacere...L come luna ( 3° classificato) p.10

Sezione narrativa scuola primaria FABI BIANCA - Scuola primaria San Venanzo – classe III Bettina la macchinina e Graziano il marziano ( 1° classificata) p.11 FARNESI ALESSANDRA - Scuola primaria San Venanzo – classe V La mia mamma (3° classificato) p.17 MARCHETTI CRISTINA – Scuola primaria San Venanzo – classe V La notte del terrore (2° classificato) p.14

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Sezione poesia scuola media CALVANI CHIARA – Istituto Comprensivo “Felice Fatati” - Terni – classe III Mi vergogno di essere umano (3° classificato) p.23 NAPOLITANO RICCARDO - Istituto Comprensivo “Felice Fatati” - Terni – classe III Lieve eterno oblio (1° classificato) p.20 RAUCCI CHIARA - Istituto Comprensivo “Felice Fatati” - Terni – classe III Ehi fratello dove vai? (2° classificato) p.21 Sezione narrativa scuola media MARCHETTI CHIARA – Scuola media San Venanzo – classe III Jasmina (1° classificato) p.25 MARINELLI FRANCESCO – Scuola media San Venanzo – classe III Un cuore soffice al titanio (2° classificato) p.28 MELONI CHIARA – Scuola media “L. da Vinci” - Terni – classe I Quello che si nasconde nel mio giardino (III classificato) p.31 Sezione poesia scuola superiore D’AGOSTINO CECILIA - Convitto San Paolo alberghiero “G. De Carolis” - Spoleto Andarsene in un giorno di marzo (2° classificato) p.40 MALLAMACE MATTIA - Convitto San Paolo alberghiero “G. De Carolis” - Spoleto Come un violino (3° classificato) p.42 154


TRAMONTANA MARIA CHIARA – Liceo artistico “Leoncillo Leonardi di Spoleto” - classe II La mia poesia (1° classificato) p.38 Sezione narrativa scuola superiore NOTO ARTIOM – I.I.S. Giordano Bruno - Perugia Lo scroscio dei sogni (1° classificato) p.43 ROMOLI REBECCA - I.I.S. Giordano Bruno - Perugia 20 marzo 2011, Siria (3° classificato) p.54 TOSTI AURORA - Convitto San Paolo alberghiero “G. De Carolis” - Spoleto Un amore da gustare (2° classificato) p.48 Sezione poesia adulti FRINGUELLI LUCIO – Marsciano Torna a me...perch’io ritorni (2° classificato) MATTEI SAMUELA – San Venanzo Presenza (1° classificato) VISOTTI CARMEN – Ficulle Poesia di vita (3° classificato) Sezione narrativa adulti CIANCHETTI GIOVANNI – Grugliasco L’aspirazione (1° classificato) CONCAS MANUELA – San Venanzo Déjà-vu (3° classificato) INDUSTRIA NUNZIA – Napoli La fata Argentina (2° classificato) 155

p.63 p.61 p.67

p.69 p.81 p.73


Edizione 2017 Sezione poesia scuola elementare ANGORI GIULIA – Scuola primaria I° Circolo Marsciano – classe V Felicità (1°classificato) p.90 CAVALLETTI MARTA – Scuola primaria San Venanzo – classe III Campanellino (2°classificato) p.92 MASONOCIC PETER – Scuola primaria di Giove Guardea – classe IV When the sun rises ( 3° classificato) p.93 Sezione narrativa scuola elementare BRUNETTI MATTEO – Scuola primaria Santa Maria Rossa – S.Martino in Campo Matricola 47565 ( 1° classificato) p.94 FABI BIANCA - Scuola primaria San Venanzo – classe IV Cappuccetto blu e le sue amiche stelle (2° classificato) p.100 PROVENZANI DEA - Scuola primaria San Venanzo – classe IV La domestica senza cuore (3° classificato) p.102 Sezione poesia scuola media PASQUINI ANDREA - Scuola media San Venanzo classe II Arcobaleno (2° classificato) p.107 RENGO SOFIA – Scuola “Cocchi – Aosta” - Todi – classe III 156


Cielo stellato (3° classificato) p.108 SCIRI RICCARDO – Scuola media San Venanzo – classe I Rotecastello (1° classificato) p.105 Sezione narrativa scuola media MARTINO EMANUELE – Istituto comprensivo di Attigliano – Guardea – classe I La forza in me (2° classificato) p.111 MAZZOCCHINI LUDOVICA – Scuola media San Venanzo – classe II Un mistero meraviglioso (1° classificato) p.109 MELONI CHIARA - Scuola “L.da Vinci” - Terni Vita alla scuola media (3° classificata) p.115 Sezione poesia scuola superiore BATOCCHI EDOARDO - Liceo classico “A. Mariotti” classe III Piccolo inno a primavera e ad amore (3° classificato) p.123 DE NISCO VICTORIA – Convitto San Paolo alberghiero “G. De Carolis” - Spoleto Risate che non sentiremo più (1° classificato) p.120 NIZI FIAMMA - Convitto San Paolo alberghiero “G. De Carolis” - Spoleto Ti trovo (2° classificato) p.122

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Sezione narrativa scuola superiore CIACCI PAOLO - Istituto professionale per il commercio – Marsciano – classe I Il ricordo di un amico speciale (2° classificato) p.128 D’AGOSTINO MATTIA - Convitto San Paolo alberghiero “G. De Carolis” - Spoleto Violata (1° classificata) p.125 SPOLVERINI MARCO - Convitto San Paolo alberghiero “G. De Carolis” - Spoleto Vento di passione (3° classificato) p.133 Sezione poesia adulti CACIOTTO LUCA – San Venanzo L’aquilone (2° classificato) GENTILI GIUSEPPE – Narni Il viaggio (1° classificato) LUCHETTI GAETANA – Marsciano Trattala bene (3° classificata)

p.136 p.134 p.139

Sezione narrativa adulti ALPINI ALBERTO – Marsciano Per non disturbare (1° classificato) p.141 CORRADINI TEODORO PAOLO – San Venanzo Il grande esodo (3° classificato) p.149 RINFORZI LOLITA – Assisi Una rosa antica (2° classificato) p.143

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