A zonzo con Andreana

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sociale Centro Servizi per il Volontariato Umbria


Quaderni del volontariato 3

Edizione 2021


Cesvol Centro Servizi Volontariato Umbria Sede legale Via Campo di Marte n.9 06124 Perugia tel 075 5271976 www.cesvolumbria.org editoriasocialepg@cesvolumbria.org

Edizione marzo 2021 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Testi e disegni di Cristiana Sarchioni Stampa Digital Editor - Umbertide

Per le riproduzioni fotografiche, grafiche e citazioni giornalistiche appartenenti alla proprietà di terzi, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire. È vietata la riproduzione, anche parziale e ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzato.

ISBN 9788831491099


I QUADERNI DEL VOLONTARIATO UN VIAGGIO NEL MONDO DEL SOCIALE PER COMUNICARE IL BENE I valori positivi, le buone notizie, il bene che opera nel mondo ha bisogno di chi abbia il coraggio di aprire gli occhi per vederlo, le orecchie e il cuore per imparare a sentirlo e aiutare gli altri a riconoscerlo. Il bene va diffuso ed è necessario che i comportamenti ispirati a quei valori siano raccontati. Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, dove il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso del quotidiano, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore. Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente o più antico, per consegnarci insegnamenti e visioni. 3


Quelle visioni che i cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Gli autori di questi testi, e di tutti quelli che dal 2006 hanno contribuito ad arricchire la Biblioteca del Cesvol, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza, al di là di qualsiasi tipo di conformismo e disillusione Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati. Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo. Salvatore Fabrizio Cesvol Umbria

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L’Associazione Culturale Mongiovino - Valnestore si è costituita nell’estate del 2018 con lo scopo di tutelare e valorizzare il Santuario di Mongiovino ma anche di promuovere fattivamente il recupero del complesso monumentale che affianca la Chiesa e quindi di far rivivere in chiave culturale e sociale le antiche strutture oggi fatiscenti. Scopo dell’Associazione è anche quello di ampliare lo sguardo di valorizzazione verso quello che è il patrimonio culturale e ambientale della Valle del Nestore. In questi due anni, seppur rallentati dalla pandemia Covid-19, grazie anche alla firma di un Protocollo di intesa con Enti, Istituzioni, altre Associazioni, sono stati riaccesi i riflettori sul Santuario e sulla sua importanza storica, artistica e religiosa. Molte sono state le iniziative recenti a Mongiovino che hanno unito cultura, promozione e socialità. La collaborazione con alcune Associazioni del territorio, con il mondo della scuola e con le Istituzioni ha indubbiamente riacceso un grosso interesse verso il luogo, che ci auguriamo sia punto di partenza, per un rilancio culturale e una riqualificazione ambientale di tutta la valle. A seguito di una recente partecipazione a bandi da parte della Confraternita del SS. Sacramento di Mongiovino, proprietaria dei beni, in collaborazione con la nostra Associazione, si è potuto dare avvio ai lavori di ristrutturazione di un primo edificio del complesso monumentale adiacente il Santuario che ci auguriamo sia solo l’inizio di un percorso di riqualificazione del piccolo borgo. L’idea di scrivere questo testo è nata dal desiderio di far conoscere, incuriosire, avvicinare ragazzi e bambini verso quello che è il loro capitale culturale a “km 0”, spesso dato per scontato, e del quale viene sottovalutato il ruolo conservativo di un patrimonio “genetico” di un territorio che si racconta

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attraverso la sua storia, la sua arte e il suo paesaggio. Ivonne Fuschiotto Associazione Culturale Mongiovino - Valnestore APS

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Come immaginare il viso, l’andatura, i vestiti, il modo di guardare un prato o un dipinto posseduti da Andreana cinque secoli fa? Cristiana ci è riuscita: ha dato un volto alla ragazza che portava una brocca rovesciata sul capo e andava a zonzo a pascolare il suo gregge, magari sognando un’altra vita altrove. Gli abiti lisi, lo sguardo nuovo su tutto. La bellezza di questo prezioso racconto risiede tutta lì, in quegli occhi vivaci e nel modo di saper ascoltare le voci, che siano umane o divine, ultraterrene. La storia a noi nota dei miracoli legati al Santuario ci viene restituita dal punto di vista della protagonista: un salto nel tempo per ricomporre un passato lontano, ma che per certi versi non si è mai cancellato, è rimasto nei frammenti di brocca e nello splendore di un luogo speciale. Andreana è la testimone di un miracolo e vuole e deve condividerlo per attivare un altro miracolo, quello del cantiere, del costruire un luogo che sia bello e risuoni di canti e preghiere. L’Associazione Mongiovino Valnestore amplifica il messaggio di Andreana e lo rende attuale: ascoltare il luogo, guardarlo con occhi sempre curiosi e trovare insieme a tutta la comunità nuove strade per continuare quel miracolo. L’Amministrazione comunale ringrazia di cuore l’Associazione e Cristiana Sarchioni per il lavoro prezioso, la passione e le energie investite in questo progetto e in tanti altri. Buona lettura a tutti voi ragazzi e ragazze, al quale è affidato un patrimonio storico, artistico e paesaggistico da tutelare, proteggere e valorizzare. Intanto seminiamo. Fiori e alberi cresceranno grazie alle cure di tutti noi. ASSESSORATO ALLA CULTURA E ISTRUZIONE Anna Buso, Assessora Sabrina Caciotto, Ufficio Cultura 7



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A zonzo con Andreana

Appunti di viaggio per ragazzi curiosi Scritto e illustrato da Cristiana Sarchioni

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È andata così. La mia vita era abbastanza noiosa, tutti i giorni a fare le stesse cose, soprattutto ero una ragazzina impegnata a portare a zonzo le pecore. In realtà facevo un sacco di mestieri, pensavo all’orto, al pollaio, a riordinare casa e a preparare da mangiare, ma la maggior parte del tempo mi occupavo del nostro piccolo gregge. “E a scuola non ci andavi?” No, non c’era la scuola, era una cosa da ricchi. Spesso i figli di genitori benestanti venivano spediti a studiare in monastero, dove, oltre a imparare a leggere e a scrivere, prendevano i voti religiosi e ci rimanevano tutta la vita. Le figlie femmine, se non promesse a qualche sposo, si dovevano limitare a far le suore o le monache, non era affatto previsto che dovessero leggere o far di conto. La mia mamma faceva da balia per la Signora, e il mio babbo era sempre in giro nei campi, silenzioso e indaffarato, così me la dovevo cavare da sola. Come avrete intuito, il fatto stesso che sia nata femmina, per giunta povera, non volgeva a mio favore: una bocca in più da sfamare, una dote costosa da preparare e uno sposo decente da trovare. Di vestiti ne avevo uno, fatto di canapa e lo indossavo sopra una sottoveste gialla di lino. Lo stesso abito che prima era stato di mia zia, poi di mia mamma e che infine fu rappezzato, scucito e ricucito su di me. Ma quali scarpe?! Indossavo i miei due piedini svelti, svelti e un poco puzzolenti. Il tutto però aveva i suoi vantaggi. All’alba infilavo l’abito in un attimo e ogni mattina, di corsa, me ne andavo nella stalla a bere il latte di Lia, la mia pecora preferita. Poi, radunati i cinque animali - un numero di pecore 13


consistente per una povera famiglia contadina dell’epoca - me la svignavo da casa veloce come il vento. Vagavo per campi e sentieri tutto il giorno insieme alle bestie, con un ramo di venco in mano. Mi piaceva uscire in primavera, quando la campagna rinverdiva, l’aria era tiepida e più adatta alla vita di una ragazzina. Avevo superato intirizzita, ma indenne, un inverno durissimo per il freddo e le malattie, soprattutto perché ero una pastorella. In primavera mi inoltravo nei boschi a cercare gustose e profumate fragoline: una delizia! Dolcetti spontanei che a noi bambini riempivano la pancia e il cuore. Incontravo poi per la via, tanti animali, insetti e strane creature che avevo tutto il tempo di osservare. Ah, avessi avuto carta e carbone per disegnarle, ne avrei fatto una collezione di bestiole e di fiori! Con i fiori però era più semplice, li raccoglievo e, una volta a casa, li contemplavo fino a sera, prima di perdermi nel sonno. Lo ammetto, tutti i giorni erano uguali ma ogni giorno, in realtà, era diverso: diverso il tempo, diversi i colori, diversa l’aria. *** Quella mattina me la ricordo bene, aprii la porta di casa mentre il sole stava nascendo. Una perla luminosa scalava la nebbia per sbucare in mezzo al cielo che si era appena alzato. Radunai le pecore e presi la strada che scendeva dal castello a valle. Girai a sinistra, tagliando per un sentiero scosceso che utilizzavo spesso come scorciatoia, volevo raggiungere uno spiazzo di prato che fiancheggiava un 14



trivio di strade e una fonte. Così buttata sull’erba mi sarei divertita a seguire con gli occhi le nuvole gonfie e veloci che quella mattina correvano rapide sopra la mia testa. Era un posto che mi piaceva. Ogni tanto, per le strade che lambivano il prato, passava qualcuno. Erano contadini che scendevano a valle per far compere al mercato o signorotti e damigelle ben vestiti - e che vestiti! - intenti a passeggiare. Passavano anche carretti trainati da asini che trasportavano le cose più strane. Capitava a volte che qualcuno si fermasse a chiacchierare con me e io, che non desideravo altro, rimanevo a bocca aperta ad ascoltare. Quel giorno però non c’era in giro anima viva. Avvolta dal prato, nessuno si sarebbe accorto di me tranne le pecore che, ogni tanto, si affacciavano quasi a controllare che non me ne fossi andata. “Andreana! Andreana!” In un attimo balzai in piedi, feci un giro su me stessa cercando con gli occhi la donna che mi stava chiamando. Non vidi nulla. “Andreana siamo qui, avvicinati.” Curiosa allungai il passo, ma ero incerta rispetto alla direzione da prendere. “Siamo qui.” Guardai meglio e mi accorsi che c’era qualcosa a pochi metri da me, in mezzo ai rovi, sotto le frasche. Per qualche minuto ascoltai in silenzio il fluire dell’acqua. Ero nei pressi della vecchia fonte, infestata d’erba, dove anch’io, a volte, venivo a bere e a pigliare l’acqua per portarla poi fino a casa. Con un po’ di timore usai il mio venco per spostare i rami e farmi spazio tra i rovi, quand’ecco che sbucò una 16


casetta con tanto di tetto, ma era davvero troppo piccola perché qualcuno potesse abitarci. Mi allungai, in un instabile equilibrio, appoggiando una mano su un tronco, cercando di evitare il roveto, faceva un male quello lì! Tranne d’estate quando si farciva di more e per mangiarle mi riempivo di graffi, ma erano talmente buone che non avvertivo il tormento delle spine. Mentre mi avvicinavo alla casetta, vidi prima due ombre colorate, poi una donna e un bambino che mi fissavano. “Andreana finalmente ci hai trovato: per favore chiedi agli abitanti del castello di toglierci di dosso tutti questi rami, ci manca l’aria!” Rimasi di stucco, occhi spalancati e bocca aperta, faticavo a crederlo. Un dipinto mi stava parlando. Buttai a terra il bastone, raccolsi a due mani un po’ d’acqua alla fonte e me la tirai in faccia. Brr... che fredda! Agitata cominciai a guardarmi intorno alla ricerca di qualcuno nascosto che si stesse prendendo gioco di me. Cercai dietro gli alberi, sopra il greppo e persino dietro un pesantissimo sasso che tentai di spostare, ma che era troppo piccolo per nascondere un bambino, figuriamoci un adulto. Controllai che il furfante non si fosse nascosto dentro la chiesa di San Martino, unico edificio che si trovava nei pressi; entrai ma, nella penombra, trovai solo ceri colanti e qualche santo sui muri che mi fissava. Rimasi stordita ancora qualche minuto, ma ragionando, presto mi convinsi di aver sentito benissimo, troppe volte Maria mi aveva parlato per essermi sbagliata. Tornai in me. Cominciava a far tardi, radunai le pecore e ripartii verso casa convinta del mio sentire. 17


*** Una volta a casa, indaffarata a preparare la cena, un pasto povero che s’addiceva perfettamente ad una pastorella e a un contadino, attesi in fibrillazione il ritorno di mio padre per raccontargli l’incredibile faccenda, talmente incredibile che non mi credette. Il babbo mi obbligò ad andare a letto prima del solito convinto che avessi qualche linea di febbre. Presi sonno tardi e feci un mucchio di sogni disordinati. Mi svegliai però con un pensiero fisso, quello di andare dal parroco a raccontargli tutto, figurati se non mi avrebbe creduto! Quella mattina, diversamente dal solito, non radunai le pecore ma corsi al castello a bussare con foga alla porta del prete, vicino alla chiesa. Avevo fretta di avvertire tutti ma, una volta venuto a conoscenza dei fatti, ci avrebbe pensato certamente il sacerdote a diffondere la voce, così avrei potuto recuperare presto le pecore e tornare alla fonte in attesa che i miei compaesani accorressero in buon numero. “Benedetto il Signore e che succede!” Bofonchiò il placido reverendo sentendo sbattere così forte alla porta. Gli raccontai della voce di Maria e del bambino, ma niente, si fece una grassa risata, mi diede una scoppola leggera sul collo e mi sollecitò a svignarmela perché le pecore erano in attesa e, farfugliando un mucchio di parole, mi disse frettolosamente che anche lui aveva da fare.

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Mesta e sconsolata raggiunsi la stalla, radunai le pecore, presi una vecchia brocca per attingere l’acqua, che a casa era ormai terminata, e mi avviai verso la piccola dimora dei dipinti parlanti. Alla fine della solita scorciatoia, guidai prima le pecore verso il prato, presi poi la brocca, me la poggiai in testa e mi diressi verso la fonte. Camminando mi dicevo che forse avevo sognato, ogni tanto mi capitava di appisolarmi sul prato e... “Andreana, vieni.” Accelerai il passo, raggiunto il posto spostai i rovi col bastone, guardai Maria e mi misi in ascolto. “Riempi la brocca d’acqua e portala al villaggio. Tienila sopra la testa ma capovolta, mi raccomando.” Ero perplessa, la brocca piena d’acqua rovesciata sopra la testa sarebbe servita solo per farmi una bella doccia. “Non temere, l’acqua non uscirà dal recipiente, al castello ne rimarranno stupiti e vedrai che dopo crederanno al tuo racconto.” E così feci. Tuffai la brocca in acqua, aspettai che si riempisse fino all’orlo e la risollevai dalla cavità lentamente con entrambe le mani, tanto pesava. Con attenzione la rovesciai, timorosa che si svuotasse a terra in un attimo, ma non accadde. Portai quindi la brocca sottosopra e lentamente sulla nuca. L’imboccatura magicamente tratteneva l’acqua, e mi avviai in anticipo verso il castello. *** Man mano che risalivo la via di casa incrociai qualche compaesano che, curioso di vedermi rientrare così presto 20



e per giunta con una brocca alla rovescia in testa, dopo un cenno di saluto si fermava perplesso ad osservarmi. Imperterrita proseguivo la scalata. La salita si faceva sentire e la brocca, oltretutto, era anche pesante. Arrivata alla porta del castello, in molti cominciarono ad avvicinarsi mentre io mi fermai per riprendere fiato. Un bambinetto mi si attaccò con una mano al vestito e, ondeggiando tra i due piedini, con il ditino dell’altra mano si mise ad indicare la brocca con l’acqua. I risolini iniziali di molti si trasformarono ben presto in espressioni di stupore, qualcuno si allontanò impaurito. Non mollai la brocca, bisognava che la vedesse il prete, così mi mossi verso la casa del parroco ma con un folto gruppo di persone sbalordite al seguito. Il sacerdote stavolta non ebbe fretta e non ci fu bisogno di parlare, mi chiese solo di porgergli la brocca, meno male perché non la reggevo più, si inginocchiò di fronte ad essa e si chiuse in sé per qualche minuto, in silenzio. *** Quella sera gli abitanti del castello entrarono in fermento. Anche se ormai stava calando il sole, il parroco afferrò un candeliere e andò all’istante sul posto, per valutare in prima persona le condizioni dell’edicola. Scoprii così che la casetta era un’antica cappella viaria, di quelle che si incontrano spesso lungo le strade e al cui interno è dipinta l’immagine di una Madonna con il Bambino. Vennero organizzati in un lampo i lavori di ripulitura e fu previsto anche un digiuno di penitenza per non aver creduto subito alle mie parole. E così, dopo tutta quella 22


fatica, fecero digiunare per tre giorni a pane e acqua anche me. Durante lo svolgimento dei lavori mi affacciavo ogni tanto a curiosare mentre girellavo nei dintorni con le mie pecore, ero elettrizzata, per una volta destavo interesse a tante persone che mi chiedevano di raccontare loro la mia piccola avventura. Anche il 23 di aprile, quando si festeggiò san Giorgio, successe una cosa incredibile. Finito il pane, gli operai che stavano lavorando alla ripulitura dell’edicola, sfiniti dal digiuno e affamati, interruppero il lavoro. Poco dopo, all’improvviso, si materializzò tantissimo pane e gli operai, ancora increduli, ne mangiarono a sazietà. Dovete sapere che in seguito ne avvennero tante di cose strane a Mongiovino, così tante che cominciò ad arrivare da fuori una moltitudine di gente. Quella piccola casetta dipinta e parlante fu finalmente ripulita, sistemata e presa a cuore. Ancora non sapevo che quel dipinto sarebbe diventato il fulcro di un grandioso progetto dedicato a Maria. *** La storia che vi ho raccontato si diffuse in giro così velocemente che nell’arco di pochi giorni l’edicola si affollò continuamente di gente. Alcuni curiosi scambiavano parole con i nuovi arrivati per farsi un parere sulla faccenda. Altri, in affanno, offrivano a quell’immagine sacra, che sembrava non parlasse più, tanto era intenta ad ascoltare, fiori, cibo e piccoli doni di metallo a forma di cuore o di piede, ma anche graziosi e minuti dipinti. Intorno a quella casetta infiorata e agghindata, colorata 23


e lucente, certi si mettevano in preghiera notte e giorno implorando aiuto per le più svariate cose: le si chiedeva ad esempio di curare i malanni o di rinsavire il proprio figlio, che pareva, tutto ad un tratto, essere diventato matto. La mattina e alla svelta, con la scusa delle pecore da portare al pascolo, scendevo verso valle per piazzarmi ad osservare quel vespaio. Nel frattempo imparai un sacco di cose, per esempio ho scoperto che il mondo era proprio grande, non ci avevo mai pensato, fatto di tante colline, pianure e montagne, di castelli e città, di porti e di mari. Mari giganti! Fino a quel momento, salendo e scendendo e girovagando in campagna, scrutando con attenzione l’orizzonte, avevo visto unicamente le solite lontane fortezze e un via vai di gente, soldati e cavalieri che percorrevano la grande strada a valle. Dalla cima della collina, invece, osservavo imbambolata il lago: un cerchio blu sulla cui superficie pattinavano piccole vele. Ma l’acqua del lago non era solo blu, bensì anche turchese, verde, gialla e rossa: la sua tonalità dipendeva ogni volta dal colore del cielo, che nel lago si specchiava e dal quale sicuramente erano cadute le tre isole, tre grandi gocce verdissime e immobili che facevano capolino in mezzo al grosso stagno. Tante volte fantasticavo di stare a mollo in quell’acqua, era così allettante e calma. La immaginavo piena di pesci d’argento d’acchiappare in un balzo, un sogno. *** 24



Nei giorni a seguire, dal primo carro, cominciarono a scaricare grosse pietre, belle pesanti, a giudicare dalle smorfie degli operai che strabuzzavano gli occhi ogni volta che, ripetitivamente, ne liberavano una a terra. I pietroni arrivavano delle cave vicine e servivano a dare avvio a una piccola chiesa che sarebbe sorta intorno all’edicola, i cui prodigi erano stati ritenuti veritieri addirittura dal Papa. La piccola cappella, infatti, lasciata esposta al vento e alle intemperie, ma anche alla mercé di tutti, rischiava di rovinarsi. Per evitare che Maria se la prendesse a male, si era deciso di mettere la mamma e il suo bambino a riparo. In pochi anni vidi materializzarsi una nuova chiesa, che non è roba semplice da fare: c’è lo scalpellino che dà forma ai blocchi di pietra, il falegname che misura i tronchi e poi, per ore, li pialla e li aggiusta; l’architetto, che è anche un po’ ingegnere, dirige svelto il lavoro con in mano le sue grandi carte piene di disegni e scritte, calcoli, che ai miei occhi apparivano come complesse linee curve, dritte e arzigogolate. Nel frattempo il ceramista cuoceva le tegole per il tetto e poi c’era il fabbro e un sacco di altra gente che correva a destra e sinistra, montava, aggiustava, metteva e toglieva, un gran formicaio di indaffarati! Non mi fecero entrare finché la chiesa non fu terminata, troppo pericoloso mi dissero, non ne fui contenta, ma l’attesa venne poi ripagata. Ero talmente impaziente che, completato l’edificio, mi fecero varcare la porta per prima, il parroco fu il secondo, ne fui orgogliosa, d’altronde tutto quel movimento a Mongiovino era anche merito mio. Appena entrai mi resi conto che della piccola edicola 26


era rimasta in vista Maria, suo figlio, e quattro faccine di angioletti, un paio in basso e gli altri due in alto, che tenevano aperto un lenzuolo. Piazzato tutt’intorno all’immagine c’era un altare gigante in costruzione, una cornice imponente e a punta con tanto di colonne e figurine in rilievo, alcune solo abbozzate. Due signori, ignari della mia presenza e molto concentrati erano intenti ad applicare delicatamente foglie sottilissime d’oro sulla superficie del cornicione che inquadrava l’immagine prodigiosa. La volta in alto e le nuove pareti, nate per custodire l’altare, riflettevano una superficie candida. Messere Rocco, l’Architetto, mi spiegò che le pareti erano bianche perché ancora dovevano chiamare i pittori ma che sarebbero state dipinte molto presto. Così, qualche anno dopo, successe che sul muro del coro, uno di quei pittori, mi fece pure il ritratto. Nel frattempo erano già al lavoro gli scalpellini, che io chiamavo “mani di piuma”: dalle grigie pietre, che abilmente modellavano, emergevano tralci di foglie, fiori, frutti e animali mai visti. Realizzavano figurine così levigate e aggraziate che non sembrava fossero fatte di sasso. Dovevo sforzarmi di assistere al lavoro in silenzio, a volte mi buttavano fuori, per forza! Ero una chiacchierona, volevo sapere un sacco di cose riguardo al loro mestiere e così li distraevo, loro sbagliavano qualcosa, e considerando che non ci si poteva permettere di buttare all’aria ore e ore di lavoro, mi beccavo i rimproveri e in seguito venivo invitata, non proprio carinamente, ad uscire. Una volta fuori mi ricordavo che avevo delle pecore da badare ma riflettevo anche su quanto fossi fortunata: non potevo andare a visitare il mondo, che ormai avevo compreso essere così 27


grande e misterioso, però avevo la netta sensazione che fosse il mondo a venire da me. *** Nel frattempo successe che la Signora, decise di far tornare ogni tanto la mamma a casa. Forse sperava che tramite la figlia, che parlava con Maria, potesse ottenere qualche grazia. Ma la grazia Maria la fece a me, finalmente potei passare qualche ora con mia madre che oramai quasi non mi riconosceva più, tanto ero cresciuta. Secondo lei mi sarei dovuta cominciare a comportare da signorina perché di lì a poco avrei dovuto “prendere” marito. Il motivo non mi era chiaro, stavo benone con le mie pecore e mi ero fatta un sacco di amici tra gli operai e gli artigiani nel cantiere della chiesa. La mamma aggiunse stoffa al vestito riadattandolo nuovamente al mio corpo, secondo lei “non stava bene che girassi mezza nuda con le gambe all’aria”, non s’addiceva a una giovinetta. Mi insegnò a sistemarmi i capelli, ai quali non avevo mai dato importanza se non, a volte, tagliuzzandoli alla bell’e meglio, giusto per evitare che mi si annodassero di continuo, e imparai ad avvolgerli delicatamente con un velo di lino sottile. Il cambiamento non passò inosservato, il mio nuovo aspetto spiazzò gli operai del cantiere e anche l’architetto, li avvertivo assai imbarazzati e cominciarono a parlarmi in modo strano, più sostenuto. A volte mi accorgevo che dei giovani garzoni mi spiavano da dietro qualche muro.

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*** Non fecero in tempo a finire l’oratorio che arrivò di nuovo l’architetto e stavolta si era portato con sé strambi strumenti di legno e ferro e fogli di carta giganti. Lo salutai ma fu cosa rapida, messere Rocco mi congedò velocemente accennando un breve saluto accompagnato da un mezzo sorriso. Ad un tratto era diventato un tipo serioso, non faceva che misurare, guardare, appuntare, dava udienza solo ai suoi aiutanti. In cantiere l’aria si era fatta pesante, c’era in ballo una cosa grossa: la costruzione di un’altra chiesa, ma stavolta era prevista così grande che l’edicoletta e la sua chiesina sarebbero apparse minute in confronto. Si diceva che troppi erano i prodigi di quella Madonnina ed esorbitante il numero dei pellegrini che arrivavano da ogni dove, era dunque necessario avviare un nuovo cantiere che prevedeva la costruzione di un imponente santuario capace di contenere tanta gente. Pochi mesi dopo prese il via la fabbrica, i lavori per il nuovo edificio si protrassero per lungo tempo. Man mano vidi salire in cielo centinaia di pietre, volte e cappelle spuntavano da un giorno all’altro come i funghi nei boschi. Conobbi, ormai vecchiarella, scultori, decoratori e grandi pittori, alcuni bislacchi come quel fiammingo che veniva da un posto lontano e che si agghindava in modo strampalato, il cui parlare mi faceva la stessa impressione del suo vestire. Davanti ai miei occhi e per diversi anni, si srotolarono metri di superfici dipinte che vennero abitate da svariati personaggi. Le pareti e le volte cominciarono a raccontare 30


un sacco di storie, anche la mia, quella della ripulitura dell’edicola. Ma il cantiere durò così a lungo che non ne vidi la fine, però la immaginai, ad esempio cogliendo suggerimenti nei progetti sparpagliati qua e là in giro per la grande fabbrica. Avevo cominciato anch’io, ogni tanto, a riparlare a Maria che però non mi rispondeva più. Comprensibile, in troppi le riempivano le orecchie di parole, tutto il giorno e tutti i giorni. A volte, quando il cantiere si svuotava, mi stendevo, un po’ a fatica lo ammetto, sul pavimento - le vecchie sfortunatamente hanno le ossa che si piegano male - e con il naso all’insù mi immaginavo quella cupola immensa al posto di quello che in quel momento era solo un grosso buco. Contemplavo, da quella apertura, il passaggio veloce delle nuvole, ricordando che lì dove ero stesa, qualche anno prima, c’era solo un grande prato gremito di insetti e inondato dal profumo della primavera.

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Chi ci capisce è bravo

Breve guida del Santuario di Mongiovino per ragazzi temerari

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Nel testo che segue sono presenti molte parole che fanno parte della lingua misteriosa degli storici e degli storici dell’arte, niente paura, per ogni termine troverete una definizione nel glossario a pagina 49. Per visitare il Santuario di Mongiovino dovete venire in Umbria, nel territorio del Comune di Panicale. Lo avvisterete tra le colline sopra il paese di Tavernelle, lungo il tragitto della vecchia strada che collega la città di Perugia a Chiusi. Mongiovino è un piccolo borgo ai piedi di un colle, sulla cui sommità è ben visibile il Castello di Mongiovino Vecchio. All’inizio del 1500 (secolo XVI), si cominciò a venerare un’antica immagine miracolosa di Maria dipinta in un’edicola viaria che si trovava lungo la vecchia strada che da Mongiovino saliva al castello, nei pressi di una fonte. La storia racconta che un primo miracolo fu quello legato a una pastorella di nome Andreana a cui Maria avrebbe parlato chiedendo di riscoprire e riprendere ad adorare l’edicola sacra, ormai abbandonata tra i rovi. Il racconto narra che Maria, per convincere gli increduli, ricorse al miracolo della brocca piena d’acqua e rovesciata sopra il capo che vede protagonista la giovane Andreana. Spesso le edicole venivano costruite lungo le strade e gli incroci, come ex voto, per ringraziare da uno scampato pericolo, una pestilenza o una carestia, ma erano anche e tuttora sono, luogo di aggregazione cristiana per la preghiera. È molto probabile che, nel caso di Mongiovino, l’edicola sia stata edificata per una particolare devozione 35


che le donne del luogo nutrivano verso la Vergine Maria. L’immagine molto essenziale della Madonna con il Bambino, caratterizzata da incarnati morbidi e dalla dolcezza dei volti, è stata dipinta da un pittore perugino nell’ultimo quarto del 1300 e rappresenta l’immagine della Vergine e di Gesù tra quattro angeli reggi cortina. A guardare bene le aureole ci si accorge di alcuni fori, questi sono riferibili alle corone, di metallo prezioso, che le due immagini della Vergine e del Bambino indossavano fino a qualche decennio fa. Alla fine del 1500, infatti, prende piede la pratica di incoronare l’immagine di Maria. Veniva raccolto oro e argento tra la popolazione per farne delle coroncine da esibire sul capo delle figure sacre. Le due coroncine in argento dorato fanno parte del “Tesoro del Santuario”, ovvero della ricca raccolta degli oggetti, paramenti e arredi sacri in uso a Mongiovino, la cui sontuosità ci fa immaginare lo splendore che caratterizzava le antiche celebrazioni liturgiche del Santuario. Il dipinto miracoloso è oggi racchiuso all’interno di un cinquecentesco altare monumentale dorato e strutturato come tempio antico di Antis, caratterizzato cioè da due colonne sporgenti chiamate ànte.

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Madonna con Bambino, pittore anonimo, seconda metà del 1300

Fotografia della Vergine e del Bambino con le coroncine, immagine tratta da Bozzi-Teza, “Il Santuario di Mongiovino”, Edizioni Eranuova, 1998

Particolare del volto di Maria, visibili i chiodi sull’aureola per l’applicazione della coroncina

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In seguito a una serie di vicende miracolose legate all’immagine sacra di Maria, confermate dallo stesso Papa Leone X Medici che ne autenticava gli “strepitosi prodigi”, e al gran numero di pellegrini che cominciarono ad affluire a Mongiovino per chiedere una grazia alla Vergine, si decise di costruire, nel 1513, un oratorio per proteggere, dare risalto al dipinto e contenere il flusso dei devoti. Successivamente l’oratorio venne inglobato dall’architettura del Santuario, e di esso divenne il vano absidale e contemporaneamente la cappella dedicata a Maria che contiene l’altare principale della chiesa. L’accesso alla Cappella della Madonna è caratterizzato da una facciata (iconostasi) a due ordini in pietra serena che, in alto, ospita tre statue in terracotta, Mosè, Gesù ed Elia, realizzate nel 1579-80, dall’architetto e scultore perugino Valentino Martelli. La cappella venne dipinta nella seconda metà del 1500 da diversi pittori, in uno stile riconducibile alla corrente artistica chiamata manierismo. Lungo le pareti sono raffigurate le storie che raccontano la vita della Vergine, realizzate dal fiammingo Giovanni Wraghe di Anversa e dal toscano Nicolò Circignani detto il Pomarancio. Questi dipinti sono racchiusi in eleganti archi di pietra serena, la pietra grigia e delicata estratta dalle vicine cave di Macereto e Cibottola, con la quale è stato costruito il Santuario, sapientemente lavorata e decorata dagli scalpellini.

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Cappella della Madonna, bassorilievo con san Giorgio e il drago

Lungo le pareti delle chiese, attraverso i dipinti, venivano di proposito raccontati gli episodi religiosi per poter essere compresi da chi non sapeva leggere. Nel coro, cioè nello spazio posteriore all’altare, il pittore marchigiano Giovanni Battista Lombardelli dipinge in maniera fresca e narrativa gli episodi legati alla storia del Santuario: il miracolo del velo, la predica del parroco, la ripulitura dell’edicola sacra e il miracolo della moltiplicazione dei pani, avvenuto nel giorno di san Giorgio, il 23 aprile 1513. Nell’affresco che rappresenta i lavori di ripulitura dell’edicola, è ben visibile a destra e in primo piano, una figura femminile che sorregge una cesta, immagine, ci piace pensare, ascrivibile ad Andreana, che appare affaccendata ad assistere e a rendersi utile agli operai. 39


Giovanni Battista Lombardelli, Miracolo della moltiplicazione dei pani e la ripulitura dell’edicola sacra con figura di ragazza (forse Andreana?),1587

Nel giro di pochi anni ci si accorse che il piccolo oratorio non era sufficiente a contenere i pellegrini che andavano aumentando, perciò nel 1524 si diede inizio alla costruzione di una nuova grande chiesa che prese le forme dell’attuale Santuario. Il progetto fu ideato da Rocco da Vicenza, un architetto e scultore vicentino che da qualche anno stava lavorando in Umbria, lo stesso che portò a termine nel 1525 la costruzione della Cappella di Maria, data che possiamo leggere proprio su uno dei pilastri della cappella.

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Pilastrino della cappella di Maria con la data di realizzazione, “Ave Maria MDXXV” (1525)

Il Santuario ha la forma di un cubo, con una abside sporgente che contiene la Cappella della Madonna ed è sormontato al centro del tetto da un’alta cupola. Le quattro facciate terminano con dei timpani orizzontali che ospitano, al loro interno, i rosoni. Due sono i portali principali a nord e a sud. Il campanile in cotto rosso è settecentesco ed è andato a sostituire quello più antico che si trovava tra il coro e la sacrestia.

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Santuario della Madonna di Mongiovino

Dall’alto a sinistra: Santuario e particolari della cupola, della facciata, di un timpano, di un rosone e del campanile

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La chiesa, al suo interno, ha una pianta quadrata con croce greca inscritta, cioè una croce che è disegnata all’interno di un quadrato. L’ambiente centrale è coperto dalla cupola che poggia su quattro grossi pilastri ed è stata affrescata all’inizio del 1700 con la scena dell’Incoronazione della Vergine, da Mattia Batini. Le quattro cappelle posizionate nei quattro lati principali della chiesa sono state invece dipinte nel 1500, di queste le due opere più significative sono: la “Deposizione” del fiammingo Hendrick van den Broeck da Malines detto Arrigo Fiammingo e l’altare della “Resurrezione” di Nicolò Circignani detto il Pomarancio, così chiamato perché originario di Pomarance in Toscana.

Pianta del Santuario1

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Nel 1564, Hendrick van den Broeck affresca l’episodio sacro della “Deposizione di Gesù” chiamato nei documenti “della scaviglia di Cristo”; l’artista raffigura il momento in cui il corpo di Gesù viene deposto dalla croce. In basso san Giovanni sorregge Maria svenuta dal dolore per la morte del figlio mentre le tre pie donne si raccolgono intorno a lei. In primo piano, accanto ai chiodi e alla corona di spine, è leggibile la firma dell’artista che si definisce “Henricus Malinus”, indicando la sua provenienza dalla città di Malines, nei Paesi Bassi. Se osserviamo le persone rappresentate nel dipinto, possiamo notare alcune caratteristiche del suo stile: le figure solenni e robuste sono come allungate. Utilizza i colori in maniera contrastante avvicinando ad esempio i rossi ai verdi. Le pennellate sono larghe e i colori trasparenti. Nella cappella posta a sinistra dell’ingresso principale il Pomarancio fu chiamato a dipingere la “Resurrezione di Gesù”, ovvero l’episodio del Vangelo secondo il quale, dopo tre giorni nel sepolcro, Cristo è risorto. La scena è affollata ma ordinata. Il pittore dispone in primo piano dei soldati romani messi a guardia del sepolcro. I soldati vengono rappresentati riversi per terra e in varie pose. I due soldati laterali si danno le spalle. Uno, al centro, appoggia la testa tra le braccia incrociate e guarda rassegnato il sepolcro vuoto. In alto splende la figura del Cristo Risorto con ai lati angeli e cherubini. I panneggi sono come gonfiati dal vento e il movimento dei soldati accentua l’agitazione e la sorpresa della Resurrezione. L’affresco fu eseguito nel 1569 come ricorda la data inserita nella decorazione delle grottesche, mentre nella 44


firma, “Nicolaus Florentinus pinxit [...]IIII”, l’artista cita la sua formazione artistica fiorentina.

Hendrick van den Broeck noto come Arrigo Fiammingo, Deposizione, 1564

Particolare della firma del pittore “Henricus Malinus”

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Nicolò Circignani detto il Pomarancio, Resurrezione, 1569

Particolare della firma del pittore “Nicholaus Florentinus me pinxit […]IIII”

Dettaglio della datazione dell’opera inserita nelle grottesche

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I colori che venivano utilizzati dai pittori non erano venduti in tubetto e pronti all’uso, ma ricavati direttamente dal mondo animale, vegetale o minerale e preparati nelle botteghe artigiane con molta attenzione. Le materie prime venivano macinate dentro il mortaio fino ad ottenere una polvere finissima che poi veniva conservata in vasetti appositi. Per preparare il colore si prendeva la polvere che veniva impastata nella giusta quantità con il collante prescelto. I leganti utilizzati erano diversi: rosso d’uovo, gomme vegetali, olio, calce spenta o colle animali. Tra i colori, uno dei più preziosi e pregiati era il blu che si otteneva dalla macinatura di una pietra semi preziosa: il lapislazzuli. Da questa pietra si otteneva il più apprezzato e intenso blu degli affreschi medievali, il cui costo era paragonabile a quello dell’oro. Nel 1600 al lato della chiesa si costruiscono (o ristrutturano) le Pie Case, edifici destinati ad ospitare i cappellani, il prelato e il massaro di turno, oltre ai pellegrini che si recavano da lontano al Santuario per pregare; tra i fabbricati fu inglobata anche la sorgente d’acqua, l’elemento naturale protagonista del miracolo fondativo. Nel 1728 terminarono i lavori di rifacimento dell’antica chiesa di San Martino, che esisteva prima della costruzione del Santuario, e che venne in seguito dedicata anche a san Giorgio in ricordo del miracolo della moltiplicazione dei pani. Nella piazza antistante l’attuale entrata principale del 47


Santuario è presente il bel pozzo seicentesco, sotto il quale è nascosta la coeva e suggestiva cisterna sotterranea che raccoglie l’acqua piovana e sorgiva. Nei pressi della piazza nel lato nord ci sono il pozzo che ricorda il miracolo di Andreana e i vecchi lavatoi, oggi interrati e coperti dalla vegetazione.

Planimetria del complesso di Mongiovino1 1. Immagine tratta dall’opuscolo “Santuario della Madonna di Mongiovino, Ministero per i Beni e le attività culturali. Soprintendenza per i Beni Architettonici, il Paesaggio, il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico, dell’Umbria. Lavori di consolidamento e restauro 1999 - Giubileo 2000”. L’immagine è stata in parte modificata.

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Glossario

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abside, vano absidale Nelle chiese cristiane è una struttura semicircolare posta in fondo alla navata centrale cioè dietro l’altare delle chiese e contiene il coro. affresco Tecnica di pittura murale che consiste nello stendere pigmenti colorati sciolti in acqua su un muro umido così che questo li assorba. altare Nel cattolicesimo è la mensa sopra la quale i sacerdoti celebrano la Messa. aureola Sia Maria che Gesù hanno intorno alla testa un cerchio dorato che si chiama aureola, questa sta ad indicare che le persone rappresentate nei dipinti sono personaggi sacri, santi o angeli. canapa Dalla pianta di Cannabis sativa si ottiene una fibra tessile utilizzata da migliaia di anni per la produzione di tessuto e impiegata per svariati usi come, ad esempio, la produzione di vestiti, corde e vele delle navi. La canapa è utilizzata anche per la realizzazione di carta. Se questo tessuto vi incuriosisce, andate a visitare il Museo della Canapa a Sant’Anatolia di Narco, in provincia di Perugia, potrete scoprire il mondo del tessile sperimentando telai e filati. 50


https://www.museodellacanapa.it/it/perugia-santanatolia-di-narco_17.html cappella In architettura è un’ampia nicchia ricavata all’interno di una chiesa, oppure un piccolo edificio, spesso funzionalmente legato ad un altro edificio più grande ad esempio la cappella di un convento. chiedere grazia Favore straordinario, intercessione miracolosa che il credente chiede a Dio, alla Madonna, ai Santi. Negli ex voto che i devoti offrono per riconoscenza e a testimonianza di un beneficio ricevuto, si legge la formula “Per grazia ricevuta”, anche PG o PGR. cisterna Costruzione in muratura, generalmente sotterranea, nella quale si raccoglie e si conserva l’acqua piovana. coro È la parte strutturale finale della chiesa. cortina Tendaggio destinato a isolare l’interno di una stanza o una parte di essa dall’ambiente circostante. croce greca È una croce formata da quattro bracci di uguale misura che si intersecano ad angolo retto. 51


cupola Copertura a base circolare, poligonale o ellittica, poggiata sopra un muro continuo, su pilastri o su colonne, usata come copertura di edifici, specialmente quelli monumentali. edicola “L’edicola devozionale è una struttura architettonica, di piccole o grandi dimensioni a forma di tabernacolo, nicchia o tempietto, eretta a protezione di un’immagine sacra (dipinto, statua, targa, ecc.), spesso con un’iconografia mariana, posta all’esterno o all’interno di una chiesa, o di un edificio pubblico o privato, od anche su un muro di cinta, solitamente ad un crocevia, o all’aperto in posizione isolata”, definizione tratta da https://it.cathopedia.org/wiki/Edicola_devozionale ex voto Oggetto offerto in dono alla divinità (in età cristiana a Dio, alla Vergine, a un santo) per grazia ricevuta o in adempimento di una promessa. Sopra le porte del Santuario sono poste delle tavole in legno con delle formelle di ex-voto lignee rotonde e ottagonali alternate, che raffigurano i miracoli ricevuti. Queste insieme a una piccola raccolta di voti in argento racchiusi in una vetrinetta, rappresentano un minuscolo campionario degli ex-voto che sappiamo decoravano il santuario nei secoli passati. facciata È la parte esterna, in genere anteriore, di un fabbricato. 52


Il Santuario è costituito da quattro facciate, le due principali, sono caratterizzate da un portale d’ingresso d’entrata a nord e d’uscita a sud. fiamminghi Sono i pittori provenienti dalla regione anticamente chiamata Fiandre, nell’attuale Belgio settentrionale. greppo Sponda rialzata di una strada di campagna o di un fosso. grottesche Sono un tipo di decorazione parietale che deriva da quella trovata a Roma nei sotterranei chiamati “grotte”, della Domus aurea di Nerone e si caratterizza per le figure vegetali miste a figure umane e ad animali stravaganti. iconostasi È la parete (spesso decorata da icone, cioè un’immagine sacra dipinta su tavola, propria dell’arte bizantina, poi russa e balcanica), che separa lo spazio dedicato ai fedeli da quello riservato alla liturgia. lino Il lino è una fibra tessile ricavata dal Linum usitatissimum e si può classificare in base al grado di finezza delle fibre: i lini fini, ad esempio, sono utilizzati per filati sottili e adatti alla produzione di tele pregiate come pizzi e merletti; i tessuti di lino vengono impiegati per la produzione di biancheria e per l’abbigliamento. Il lino viene utilizzato anche per la creazione di corda e 53


spago e per la produzione della carta. manierismo Si riferisce ad un orientamento artistico che ha caratterizzato l’arte figurativa fra gli anni venti del Cinquecento e la fine del secolo. Si basa sull’imitazione dei modelli michelangioleschi e raffaelleschi, rivisitati in forme a volte esasperate o caratterizzate dal gusto per l’eccentrico e il bizzarro. Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio insieme a Leonardo da Vinci, sono i tre pittori più importanti di un’altra corrente artistica antecedente il Manierismo, ovvero del Rinascimento. massaro Amministratore di una proprietà fondiaria o di un ente. oratorio Tradizionalmente è una cappella isolata, di piccole dimensioni, che si diffuse fin dai primi tempi del cristianesimo. Gli oratori si trovano nei pressi di monasteri o chiese. paramenti e arredi sacri I paramenti liturgici sono gli abiti speciali che il sacerdote indossa prima delle celebrazioni e cambiano di tipologia in base al rito che sta per compiere. Gli arredi sacri sono mobili e oggetti, generalmente in legno, che adornano un edificio sacro. Varia la tipologia del legno a seconda delle epoche e delle posizioni in cui si trovavano. Fanno accezione gli altari che generalmente 54


erano in pietra compreso il tabernacolo, cioè l’edicola chiusa, collocata sopra l’altare, in cui si conserva l’Eucarestia, oppure potevano essere sormontati da strutture in legno per il posizionamento del tabernacolo in legno dipinto. pellegrinaggio, pellegrini Pratica devozionale consistente nel recarsi, collettivamente o individualmente, in un luogo sacro per compiervi atti di venerazione, specialmente a scopo votivo o penitenziale. Pellegrini di conseguenza sono coloro che si recano in pellegrinaggio. pianta In architettura è un tipo specifico di disegno architettonico ridotto in scala, in particolare si tratta di una sezione orizzontale dell’edificio. pigmento Materiale colorato in polvere che si utilizza per alcuni tipi di pittura. pilastro È un elemento architettonico verticale portante, che trasferisce i carichi della sovrastruttura alle strutture sottostanti preposte a riceverlo. rosone È un finestrone decorativo di forma circolare applicato alle facciate delle chiese. 55


sagrestia o sacrestia È il locale attiguo alla chiesa nel quale si custodiscono gli arredi sacri. santuario “Nelle varie tradizioni religiose, luogo che ha acquistato carattere sacro per la manifestazione o la presenza in esso della divinità, o perché connesso a eventi e fenomeni considerati soprannaturali; nella tradizione cristiana, luogo di devozione legato a eventi o manifestazioni divine della Madonna, dei santi e dei martiri; anche, parte della chiesa dove sono conservate reliquie o immagini miracolose, che perciò è oggetto di particolare venerazione e meta di pellegrinaggi”, definizione tratta da Dizionario Treccani. scalpellino “Chi sgrossa e lavora la pietra e il marmo con lo scalpello; in particolare, l’operaio qualificato capace di eseguire lavori di riquadratura in pietra o marmo; o l’operaio specializzato che esegue, su disegno, cornici variamente sagomate con ornati semplici, di marmo o pietra”, definizione tratta da Dizionario Treccani. secolo XVI Spesso, per indicare la data di un’opera o altro, si usano i numeri romani. I numeri romani sono sequenze di simboli, ciascuno dei quali identifica un numero. Di seguito trovate l’elenco dei simboli romani con accanto i corrispondenti valori espressi nel sistema numerico decimale: 56


I = 1 - V = 5 - X = 10 - L = 50 - C = 100 - D = 500 - M = 1000 statua Scultura in pietra, in ceramica, in legno o in metallo che rappresenta figure umane o altro. storico dell’arte “Lo storico dell’arte svolge attività di studio e ricerca finalizzate all’accertamento, alla valorizzazione e alla promozione del patrimonio artistico. Questa figura, inoltre, può insegnare la storia dell’arte come anche occuparsi di interventi di tutela e conservazione”, definizione tratta da https://www.filo.unioncamere.it/ P42A8431C8498S0/Storico-dell-arte.htm tempietto, tempio Edificio sacro, luogo consacrato al culto di una divinità e concepito per lo più come dimora, permanente o temporanea, della divinità stessa, che vi può essere rappresentata da un’immagine o da una statua. timpano In architettura è la parete triangolare compresa tra le cornici inclinate e quella orizzontale del frontone dei templi dell’antichità classica, spesso decorata con sculture o con basso o alto rilievo; anche la parte triangolare o arcuata sovrastante la cornice di coronamento di facciate, finestre o porte di edifici e chiese di epoca rinascimentale e barocca. A Mongiovino il timpano è rettangolare. 57


vinco o venco Varietà di salice (Salix viminalis) dai lunghi rami flessibili usati per lavori d’intreccio, per legature di piante ecc.

Curiosità Sfogliando questo testo avrete sicuramente notato queste mani, con l’indice puntato, messe a lato di una pagina. Il nome latino di queste particolari mani è maniculae. Queste manine, di forme e grafie variegate, sono documentate soprattutto nei manoscritti medievali e rinascimentali e apposte ai margini di una pagina per mettere in evidenza una parte specifica del testo. La manicula è la pioniera dell’odierno evidenziatore.

Immagine tratta da http://www.younghistorians.it/edizione-2018/le-relazioni/

Immagine tratta da https://jessehurlbut.net/wp/mssart/?tag=manicula

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Prove d’artista

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Dipingere con la terra Se osservate il paesaggio in campagna, quando i campi sono nudi e non coperti dalle colture o dai prati, vi accorgerete delle moltissime tonalità che hanno i terreni. Le sfumature della terra infatti sono molteplici, vanno dal marrone, all’ocra, dal rossastro al nero. Già i pittori della preistoria dipingevano pietre e rocce con le terre colorate, le mescolavano all’acqua, al grasso oppure al sangue per farle aderire alla superficie da dipingere. Molti artisti medievali invece, usavano il tuorlo d’uovo come collante da unire alle terre per comporre le loro opere su carta, legno o altri materiali. Vuoi provare anche tu? Raccogli diversi campioni di terra, segui la ricetta e realizza il tuo dipinto. Cosa ti occorre: terra essiccata di vari colori colino 1 uovo (tuorlo) pennello di setola 1 foglio di carta spesso acqua

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Come si fa: Con il colino setaccia la terra e raccoglila in un vasetto. Separa l’albume dal tuorlo dell’uovo e metti quest’ultimo in un piattino. Con il pennello mescola una manciata di terra con un po’ di tuorlo, se il colore ti sembra troppo denso puoi diluirlo con dell’acqua. Prepara varie tonalità quante sono le terre che hai raccolto, prendi il foglio e divertiti a dipingere.

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Tingere con lo zafferano Lo zafferano è una spezia dall’odore intenso che vi consiglio di assaggiare aggiungendola ad un gustoso risotto. Oltre ad un sapore pungente, lo zafferano ha un potere colorante, il suo caratteristico tono giallodorato lo si ritrova in molti piatti che ne prevedono l’uso. La spezia si ricava dagli stigmi del fiore del Crocus sativus, una pianta perenne che fiorisce in autunno i cui pistilli vengono raccolti a mano e fatti poi essiccare. Lo zafferano, oltre che per uso alimentare, è stato adoperato anche come colorante di stoffe fin da tempi molto antichi: il suo impiego, ad esempio, è documentato nella tintura dei tessuti cretesi, ma anche dai reperti egizi e romani. Vuoi divertirti a tingere una t-shirt di cotone? Fatti aiutare da un adulto. Cosa ti occorre: 4 bustine di zafferano una t-shirt bianca di cotone della tua taglia aceto bianco sale grosso elastici guanti di gomma e grembiule

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Come si fa: Indossa i guanti di gomma e il grembiule per evitare di macchiarti. Immergi la tua maglietta di cotone in una soluzione di acqua e aceto bianco (1 parte di aceto x 4 parti di acqua) per un’oretta circa e poi risciacqua. Strizza bene la maglietta, appallottolala con le mani e fissala con diversi elastici. Fai bollire 2 litri di acqua con una manciata di sale grosso e due bustine di zafferano. Togli dal fuoco e attendi che il liquido intiepidisca. Immergi la maglietta per alcuni minuti. Se vuoi aggiungere delle sfumature più scure, sciogli altre due bustine di zafferano, togli gli elastici e immergi nuovamente solo alcune parti della t-shirt, otterrai un effetto sfumato. Risciacquala bene, sistemala su una stampella e lasciala asciugare all’aria aperta. Bella vero?

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Indice A zonzo con Andreana

Appunti di viaggio per ragazzi curiosi

p. 11

Chi ci capisce è bravo

Breve guida del Santuario di Mongiovino per ragazzi temerari p. 33

Glossario p. 49 Prove d’artista p. 59

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Bibliografia F. Bozzi - L. Teza, Il Santuario di Mongiovino. Una perla d’arte nel triangolo storico Arezzo Perugia Chiusi e il Trasimeno, lungo la valle del Nestore, Edizioni Era Nuova, 1998. S. Caciotto - E. Lunghi, Panicale in Umbria. Il castello e il suo territorio, Fabrizio Fabbri Editore, 2009. Ministero per i Beni e le attività culturali. Soprintendenza per i Beni Architettonici, il Paesaggio, il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico dell’Umbria, Pieghevole Santuario della Madonna di Mongiovino, Lavori di consolidamento e restauro 1999, Giubileo 2000. P. Simonini, Tesi di Laurea Il Santuario di Mongiovino nella storia e nei documenti, Relatore A. M. Marabottini, Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere, Anno Accademico 1985-86.

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A ZONZO CON ANDREANA Appunti di viaggio per ragazzi curiosi Progetto ideato e curato da

Associazione Mongiovino - Valnestore APS Presidente Lidia Rossi con il Patrocinio del

Comune di Panicale Sindaco Giulio Cherubini Assessore alla Cultura Anna Buso Assessore al Turismo Giselda Marina Bruni Referenze fotografiche Gianmarco Binaglia Elvio Lunghi Cristiana Sarchioni Si ringraziano Sabrina Caciotto Giada Costa Ivonne Fuschiotto Glenda Giampaoli

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Cristiana Sarchioni si è laureata in Conservazione dei Beni Culturali a Viterbo, abita nella campagna umbra ed è appassionata da sempre di arte, musica, natura e non solo. Le piacciono i libri per ragazzi e gli album illustrati, che regala spesso e volentieri a suo figlio Leonardo. Disegna e fa cose “artistiche” sin da bambina spinta da una passione innata.

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Comune di Panicale


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