Quaderni del volontariato 2
Edizione 2018
Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 fax 075 5287998 www.pgcesvol.net pubblicazioni@pgcesvol.net
Edizione gennaio 2018 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono in copertina: Il disegno di Penelope ( 9 anni ) qualche giorno dopo la scossa del 30 ottobre 2016 Stampa Digital Editor - Umbertide
tutti i diritti sono riservati ogni produzione, anche parziale, è vietata ISBN 9788896649688
Le parole che trasformano Con la collana “I Quaderni del Volontariato”, giunta alla sua undicesima edizione, il Cesvol con ben 116 titoli, concretizza una delle proprie finalità istituzionali, che rimane quella di promuovere la cultura del volontariato, della solidarietà e della cittadinanza attiva. Si tratta di testimonianze e di esperienze di vita che possono contribuire a tessere un filo di coesione e di dialogo positivo, contaminando il nostro immaginario collettivo con messaggi valoriali ed equilibrati, in perfetta controtendenza rispetto al flusso, ormai pervasivo, di contenuti volgari ed, in molti casi, violenti ed aggressivi di cui è piena la contemporaneità con le sue “vie brevi” di comunicazione (come i social). Se consideriamo la nostra mente come un bicchiere, sarebbe da chiedersi di quale liquido si riempie quotidianamente. Se la nostra rappresentazione della realtà viene costruita dai programmi televisivi, se il nostro punto di vista su un tema specifico viene condizionato dai commenti della maggioranza dei nostri amici di facebook, se abbiamo appreso tutti la facilità con la quale è possibile trattar male una persona, mascherati e non identificabili, senza che questo produca qualche tipo di turbamento alla nostra condizione psicologica, se nel postare i nostri punti di vista ci consideriamo degli innovatori solo perché siamo ignoranti e tutto quello che sappiamo lo abbiamo ricavato da ricerche lampo su Google… ebbene, se riflettiamo su tutto questo, forse non va ricercata molto lontano la risposta alla domanda ormai cronica del perché di una polverizzazione delle relazioni, di un isolazionismo nelle nostre “case elettroniche”, dell’adesione acritica ai vari estremismi di turno che, quelli sì, sono perfettamente consapevoli del potere trasformativo della parola e della sua comprensione sia razionale che emozionale. Eppure, le parole (e quindi i pensieri e le emozioni che vi sottendono) creano la realtà. Non occorre scomodare tanta letteratura per 3
comprendere quanto i pensieri siano potenti nel determinare la nostra realtà, nel convincerci che una cosa è in questo modo piuttosto che in quell’altro. Lo abbiamo sperimentato più o meno tutti nella nostra esperienza di ogni giorno, ma poi perdiamo la consapevolezza della nostra stessa origine: all’inizio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio. Il verbo era Dio. Più laicamente, questa “sequenza” è stata ripresa in tutte le millenarie tradizioni sia orientali che più vicine a noi. Ma ancora una volta, oggi se ne è persa la consapevolezza. La parola è un “fattore” unico nel suo genere, una vera e propria bacchetta magica. Ascoltare, leggere, udire solo parole negative produce nel destinatario un vero a proprio campo energetico negativo. L’energia altro non è se non un trasferimento di informazioni. Un trasferimento che avviene attraverso il filo sottile della comunicazione. Oggi, forse inconsapevolmente, l’umanità sta letteralmente usando il potere della parola senza rendersi conto di quanto questa stia trasformandola, conducendola agli estremi di qualsiasi punto di vista. E, quindi, l’un contro l’altro armati. Dice il noto psichiatra Vittorino Andreoli, “Ci troviamo ad un livello di civiltà disastroso, regrediti alla cultura del nemico”, ma a noi, come osservatorio della sottile realtà dell’associazionismo e del volontariato, piace conservare e consolidare la speranza che, ad un certo punto, rispuntino da qualche parte parole come amicizia, solidarietà, condivisione e, perché no, amore. Le parole, non urlate, che appartengono e che ispirano il comportamento di quella parte di cittadinanza che ha preso in carico la sua quota di responsabilità nella società che abita. E che non resta alla finestra, o peggio, dietro al rassicurante schermo di un computer. Sono queste le parole che popolano il piccolo mondo della Collana del Volontariato, che con queste testimonianze prova a riempire con il liquido magico della parola trasformante quel bicchiere ancora mezzo vuoto. Salvatore Fabrizio Cesvol Perugia I Quaderni del Volontariato
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Associazione L’Oasi Onlus di Cascia
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Saluto del Dirigente Scolastico Prof.ssa Rosella Tonti Una terra aspra e dura è quella su cui poggiano le cittadine di Cascia e di Norcia; una terra ruvida ma vera, sincera, che conforma gli animi e li apre al contatto con se stessi e la natura. Forse “una natura matrigna” ? Come diceva il grandissimo Giacomo Leopardi: “O natura, o natura/ Perché non rendi poi/ Quel che prometti allor?/ Perché di tanto/ Inganni i figli tuoi?”, ( A Silvia ,1828) o come quella sperimentata sulla propria carne dalle popolazioni della Valnerina, messe alla prova dalla violenza di terremoti che, in momenti successivi dal mese di agosto 2016 in poi, si sono abbattuti sugli antichi borghi e sui nuovi, creando rovina e distruzione. Una ferita difficile da rimarginare sì, ma non impossibile, perché la gente di queste zone è abituata al lavoro, alla collaborazione, all’azione, ma soprattutto alla rinascita!! Non è un caso allora che la nostra terra sia anche la terra di San Francesco che scriveva “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba “(Laudes Creaturarum,1226).E allora, proprio compiendo la loro scelta, in una sorta di riconciliazione con l’intero universo, gli allievi di Cascia, in sinergia con il Dirigente Scolastico e i docenti,hanno voluto assestare un duro colpo alla paura e alla paralisi seguite a questi eventi, esorcizzando le sensazioni più profonde, esprimendo le proprie emozioni più genuine, parlando dei propri timori, sfogando la propria rabbia ed esibendo la propria voglia di ricominciare, di iniziare una nuova fase di ripartenza, anche con un nuovo 7
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progettare se stessi, le case, i borghi pur mantenendo le tradizioni che sono le nobili radici di questi paesi.
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Prefazione Gli eventi sismici, che hanno colpito il centro Italia, hanno messo a dura prova tutti coloro che vivono in queste terre. Il 30 Ottobre 2016 ha fatto vivere alla popolazione della Valnerina un terribile incubo: di nuovo la terra tremava… ….e in maniera devastante. Alla paura dei primi giorni hanno fatto seguito lo sconforto e la disperazione. Nell’ottica di esorcizzare la paura e di infondere nuovi stimoli e speranze, gli insegnanti di lettere del Liceo Scientifico di Cascia hanno chiesto ai propri alunni di descrivere i personali stati d’animo, di dar sfogo alle proprie emozioni, di raccontare quella terribile esperienza. Come spesso accade, SCRIVERE ciò che si è vissuto e provato permette di liberarsi da angosce e timori. Attraverso la scrittura l’essere umano ha la possibilità di superare le proprie paure, di rendere il proprio vissuto, esperienza utile per se stesso e per gli altri. Da questo scopo è nata la raccolta, composta da elaborati e poesie nei quali i ragazzi non hanno seguito schemi e regole prestabilite ma hanno tenuto conto solo dei personali pensieri ed impressioni e liberamente li hanno raccontati. Il risultato è stato che, come spesso accade, i ragazzi sanno “interpretare” ciò che ci circonda in maniera più sincera; sanno essere diretti, non amano “i giri di parole”; non negano l’esistenza della paura ma, al contempo, non le si arrendono; sono fragili ma sanno essere forti. La raccolta si avvale anche della collaborazione dei ragazzi dell’associazione “L’Oasi Onlus” di Cascia che, nonostante abbiano perso in seguito al sisma la loro sede, hanno deciso 9
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di non arrendersi e di far conoscere ciò che aveva colpito queste terre. Hanno usato le immagini: splendide fotografie fanno da straordinaria cornice ad un lavoro unico!
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Un particolare ringraziamento agli operatori della Cooperativa L’Incontro e all’ASL del territorio che si prodigano ogni giorno affinché i ragazzi vivano la quotidianità con tranquillità e spensieratezza Un ringraziamento agli studenti del Liceo Scientifico dell’Omnicomprensivo Statale di Cascia, autori di alcuni dei testi contenuti in questo libro e ai loro docenti
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LA TERRA INTORNO A ME TREMA di Vanni Matteo, classe IV Liceo Scomposte, agli occhi del vento, rimangono le pietre, che con amore e sacrificio vennero assemblate dalla mia gente, il ruggito del mostro sotterraneo continua a percuoterle e l’eco del loro suono spegne il sorriso nei nostri volti. Il senso di impotenza divora gli animi... Ăˆ una visione apocalittica, carezzata dalle nebbie del mattino... Oggi tutto intorno è diverso, ma dentro di me nasce la voglia orgogliosa di non dargliela vinta, cercando il modo giusto per ritrovare la quiete, che il mostro ci voleva rubare...
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THE LAND AROUND ME TREMBLES (translated into English ) Broken down, the eyes of the wind, (only stones remain from what my people made/created with love and sacrifice) remain the stones, which with love and sacrifice were assembled by my people, the roar of the underground monster still strikes them, and the echo of its sound kills the smile on our faces. The sense of helplessness devours souls... Is an apocalyptic vision, cherished by the morning mist... Today all around is different, but inside me comes the proud desire not to give in, looking for the right way to regain peace, that the monster wanted to steal us...
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“ perché non c’è mai fine ad un viaggio ....” Claudio Baglioni
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La Bestia di Alessandro Demofonti, classe III liceo Laggiù tra le ormai Spoglie vallate Una mattina un cacciatore Sente in lontananza un Boato… È la bestia La terribile Bestia Delle profondità, quel mostro che senza preavviso, si scatena su qualunque cosa che trova al suo passaggio. Il cacciatore impaurito dalla Bestia Torna, dalla sua famiglia, ma…. La Bestia gli aveva già portato via tutto, così il cacciatore sprofonda in quella terribile realtà quella della distruzione e della solitudine non solo sua , ma comune. La sua casa non c’è più, ormai è distrutta. 16
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Ora il cacciatore Spinto dalla disperazione e Per amore della sua famiglia Prende a scavare tra le macerie. Improvvisamente una voce rompe il silenzio È la voce di suo figlio e della sua amata, l’uomo in lacrime scava ora con più tenacia, fino a liberarli dal peso di quel che resta della sua casa. Il ragazzo con il fiato strozzato Abbraccia suo padre e sua madre E a loro sussurra “ vi voglio bene”. La Bestia delle profondità Ormai fuggita Ha portato con sè Distruzione e morte ma Non è riuscito a distruggere Ciò che era più importante La famiglia.
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IN UN BATTITO DI CIGLIA di Ludovica Ottaviani, classe IV Liceo Una favola, forse un incubo. Senza preavviso, senza luce, nel sonno più profondo: tutto trema. La sveglia macabra sta suonando. Gli occhi fissati al lampadario. In fretta tutti sotto al muro portante, stretti in un abbraccio vitale, che soffoca e che dà speranza. “Correte, usciamo”. Un fumo bianco candido sopra di noi. Gli antifurti suonano. Le urla di una donna in gravidanza spezzano il tiepido silenzio del cuore. Gli abbracci dei concittadini che reputavi quasi estranei. Le lacrime di sconforto perché sembra essere tutto finito e di gioia perché la tua famiglia c’è e la casa in cui sei cresciuto che sarebbe potuta essere una tomba è ancora lì, integra, pronta ad accoglierti nuovamente. Ambulanze e vigili del fuoco che corrono perché c’è qualcuno da soccorrere. Le chiamate non partono, si ricorre ai messaggi: “Noi siamo vivi”, “Norcia è distrutta !”. Seduti in macchina, aggrediti dallo sconforto, arriva un allarme: “Allontanatevi dalla zona, rischio fuga di gas”. Si serra casa, si risale in macchina e ci si allontana dalla propria abitazione, allontanamento che comporta visioni da brivido. “Papà andiamo a vedere come è messo il negozio?” “No Ludo, non ho coraggio”. Nonno ci scrive “Venite da me a Perugia, casa è vuota. Scappate da quell’inferno”; si rientra in casa, si prendono le prime cose che capitano, si carica tutto in macchina e si parte. Uscire da Norcia é stato un dramma a causa delle 18
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strade chiuse per i crolli. …Volti distrutti come costruzioni, strade spaccate. Arrivano le prime foto, tutte le strutture pubbliche crollate. Tramite i video che girano sul web riusciamo ad avvistare il negozio di mio padre, il palazzo è in piedi, un sospiro di sollievo. Tenacia e speranza ci spingono alla ricerca di un nuovo locale per far continuare l’attività di mio padre, per far vedere che Norcia vive, che il mio paese natale ancora è vivo, o forse sopravvive. Il dolore che noi abitanti proviamo è condiviso da persone apparentemente disinteressate a quei luoghi e questo dà sollievo, dà speranza. C’è voglia di andare avanti, di superare questo dolore, questo periodo di strazio per poter ritrovare le proprie abitudini, la propria quotidianità. Pensiamo al peggio, pensiamo a chi ha perso tutto e così noi possiamo ritenerci fortunati, o forse miracolati per la violenza del fenomeno che ci ha colpiti. Alla paura e al travolgimento di emozioni negative si affiancano importanti emergenze prioritarie come ad esempio l’assenza dei beni primari essendo chiuse le principali strutture di vendita alimentare. Queste emergenze mettono in moto meccanismi nazionali di beneficenza per accogliere e soddisfare le esigenze dei cittadini colpiti dal devastante sisma. Si presentano anche rilevanti danni all’economia cittadina e di conseguenza all’economia regionale essendo stati colpiti territori protagonisti di importanti flussi turistici per l’aspetto del territorio ospitante, per le doti culinarie e una rilevante importanza è investita dall’antica presenza di importanti pilastri religiosi come ad esempio San Benedetto, fondatore dell’ordine dei monaci Benedettini e patrono d’Europa, e Santa Rita conosciuta come santa dei casi impossibili. 19
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Un altro importante rischio a cui si va incontro è quello dello spopolamento causato dalla perdita delle abitazioni, dalla paura di rientrare nelle case non danneggiate e per la carenza di attività lavorative in quanto sono andate in rovina a causa del crollo di importanti capannoni industriali, inoltre va aggiunta a ciò la diminuzione di flussi turistici che comportano la crisi lavorativa per i commercianti, i piccoli imprenditori ed i lavoratori di rilevanti strutture alberghiere. La maggior parte della popolazione ha deciso, con lo stimolo delle istituzioni, di insediarsi in strutture alberghiere situate soprattutto nel perugino; la riapertura delle scuole prevista per lunedì 14 novembre stabilisce sì un piccolo segnale di ritorno alla normalità, ma anche un disagio per le famiglie che hanno deciso di accogliere l’invito ad allontanarsi dalla zona colpita dal sisma in quanto, avendo le abitazioni danneggiate e non essendo iniziate ancora le verifiche per l’agibilità, non si ha un tetto limitrofo alla zona in cui risiede la scuola di appartenenza. Andremo avanti, nonostante tutto; arriverà un tetto sotto il quale ripararsi. E’ Norcia il posto in cui sono cresciuta e non può essere solo un ricordo, non può svanire né essere dimenticata, deve rinascere. Abbiamo un fuoco che ci arde dentro, che è sintomo di rinascita e di fame. Norcia e l’Umbria hanno voglia di rialzarsi e tornare ad accogliere turisti per la cultura, la storia, l’arte e i paesaggi che le contraddistinguono.
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…E allora piangi piangi forte e ridi ancora più forte così che scoppi di vita così che scacci la morte… Jovanotti con Francesca e Sabrina alloggiate dopo nella struttura alberghiera di San Feliciano, Ali sul Lago, Ottobre 2016. 21
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PAROLE DIFFICILI DA SCRIVERE di Elisa Flammini, classe III Liceo Mi ritrovo a scrivere sulle note del mio telefono, era molto tempo che volevo raccontare cosa ho, abbiamo vissuto e provato per arrivare poi a rendermi conto di quanto possa far male riprendere quei momenti, riviverli nella tua mente e provare a trasformarli in parole, frasi. Adesso mi ritrovo qui, qui dove la mia vita è cambiata per sempre, in un agriturismo alla camera 110 dove ogni pensiero diventa cosi pesante dentro di me, tutto quello che mi circonda si vela di una strana malinconia, una sorta di precarietà che mi impedisce di guardare oltre. Decido cosi di scrivere, scrivere e basta. Forse non sarà un vero e proprio testo “espositivo rammarico” ma sono le mie parole e i miei pensieri scritti come la mia mente li detta, parole che escono dalla mia anima e si appoggiano pian piano su di un foglio. Parole purtroppo vere, macchiate di tristezza, sconforto, paura, rabbia ma anche speranza. 30/10/2016 – ore 7.40: un minuto per distruggere e cambiare una vita di sacrifici, un minuto per renderti davvero conto di quanto di fronte alla potenza della natura siamo deboli, un minuto per stringere la tua vita a te e non lasciarla andare, un minuto che resterà per sempre dentro di me, attimi confusi, voragini di ricordi cancellati inspiegabilmente. È veramente difficile spiegare e raccontare quei momenti con parole, è quasi impossibile, ma tenterò, per quanto possa, ad avvicinarmi. Credo che ciò che ho provato in quel momento, ciò che sto provando adesso resterà in parte chiuso nella mia anima e probabilmente prenderà una 22
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parte di me per sempre. Potrei dire che dal 24 agosto la paura è entrata dentro di me, potrei dire che poi senza neanche accorgertene la tua mente tende non a dimenticare (non si dimentica nulla) ma piuttosto ad archiviare quella sensazione, chiuderla in un cassetto e cosi pian piano torni alla tua quotidianità, pian piano torni a casa, torni nella tua camera da cui quella notte hai pensato di non poter uscire e la tua vita accenna a riprendere di nuovo, scuola, passioni e cosi via. Riesci persino ad abituarti alle troppe scosse di assestamento, al cosiddetto “sciame sismico” e poi una sera ecco che lui ti sorprende ancora, con la sua terribile forza, con la sua voglia di distruggerti e distruggere e cosi tra la pioggia, i fulmini torni in macchina ad affrontare quelle notti in bianco che come una sorta di cicatrice restano con te per sempre, quelle notti in cui non credi al mattino ma poi quel mattino arriva e alla luce puoi renderti conto delle ferite che il buio cerca di nascondere. E cosi di nuovo devi rialzarti, le crepe che trovi cresciute, la tua vita che ancora una volta viene colpita, la paura insistente che ancora una volta vuole entrare dentro di te, si torna a piano terra, ci si arrangia come si può, ci si guarda allo specchio e ancora una volta ci si dice che bisogna andare avanti, di farsi coraggio e cosi sembra quasi di ripercorrere una strada già fatta, di provare qualcosa già sentito ma con un carico doppio, quella paura che inevitabilmente giorno dopo giorno ti distrugge. Poi il 30/10/2016, il giorno dove tutto è cambiato radicalmente, dove non si scende più a piano terra, no, dove ci si trova costretti ad andare via, a lasciare tutto quello che aveva fatto parte di te, quel paesino in cui c’è la mia anima, il mio cuore; quel paesino in cui mi sentivo veramente me 23
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stessa; quel paesino che quasi mi parlava, mi sorrideva e adesso piange, è ferito, sta per morire. No. Non posso andarmene. No. No. No…… La mia casa, il mio rifugio che mi proteggeva quando il mondo fuori di li non era fatto per me, che mi scaldava quando i freddi giorni di inverno si facevano sentire con tutto il loro affetto, la mia camera dove ogni cosa porta con se un pezzetto di cuore, e adesso? “non puoi entrare!” ti viene detto. Allora, accompagnata dai vigili, sali per prendere ciò che poi ti servirà per vivere domani, dopodomani e mentre butti come ti capita le tue cose in un sacco, ti accorgi di lasciarne li altre, sempre troppo importanti per te e cosi ti rimane solo di sperare che un giorno potrai tornare li, a casetta, come quando tutto questo non era ancora. Erano le 7:40 si, il latte pronto in tavola, io che appena sveglia ero ancora al letto ad ascoltare, cosa che forse mi resterà sempre dentro, una canzone che ormai non riesco più ad ascoltare perché ogni nota, ogni parola mi riporta li. Poi... quel minuto che mi fa cosi male descrivere, arriva lui, lui che non ha pietà di nessuno, lui che distrugge ogni cosa, lui che ti distrugge. Si scappa, si arriva alla porta, calcinacci addosso, crepe che si aprono davanti ai tuoi occhi, la porta che non vuole aprirsi, quella forza cosi potente che ti muove senza riuscire ad opporgli resistenza, ti senti cosi su di un filo, non sai se riuscirai ad uscire o no, non sai se la sua forza sarà ancora più violenta o si arresterà, non sai nulla in quegli attimi in cui lotti per vivere. Poi finalmente fuori, in strada e li, solo in quel momento ti accorgi che questa volta non 24
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sarà facile rialzarsi, no, ti volti verso il tuo paese e vedi il palazzaccio cadere a pezzi sostituito da polvere che si alza in aria, ma poi il tuo pensiero va a chi non è li con te, mio papà e allora la tua mente si spinge dove non avresti voluto, arriva a pensare al peggio e la speranza non c’è. No. Non riesce ad esserci. Preghi di poter abbracciare la tua famiglia e basta. Attimi troppo lunghi, lacrime che rigano il viso, parole che non riescono ad uscire dalle labbra, parole sussurrate, abbracci che non si dimenticano, sguardi che i tuoi occhi non potranno mai scordare, persone che facevano parte della mia quotidianità che adesso sono state costrette a partire e che non so quando rivedrò, mi mancano i loro saluti, le loro parole, persone a cui mi sono legata, affezionata e che fa troppo male dover salutare con le lacrime agli occhi. Ti ritrovi a dover progettare di nuovo la tua vita, dove dormirai? Dove vivrai? Tornerai un giorno a sorridere? Torneranno un giorno i tuoi sogni? … Cosi cerchi di rialzarti per quanto riesca con le tue ferite addosso, decidi di dormire in camper, mangiare alle tende, vivere di giorno in giorno senza la forza di poter far nulla se non cercare di andare avanti, solo sopravvivere in questo disastro. Sono i momenti i cui ti fermi a pensare, i momenti in cui il silenzio ti fa compagnia i più terribili, perché proprio in quei momenti ti ritrovi a tirare le somme della tua vita adesso scoprendo che nulla sarà più come prima. Vedere la propria città in pezzi, ferita a morte, è indescrivibile. Norcia per me non era una semplicemente una città, era uno dei miei posti nel mondo, aveva preso una parte del mio cuore. Una mattina, poi, la forza indomabile della natura 25
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decide di distruggere tutto, di strapparti quel posto. Norcia per me aveva una sua anima, ogni chiesa, ogni palazzo avevano un’anima. Sembrava ti parlassero, ti accogliessero, ti volessero bene e ti facessero sentire bene sempre. Norcia sorrideva, amava la vita, ti riempiva d’amore e adesso? Norcia sta piangendo, è ferita, chiede aiuto, sta per morire ma... C’è qualcosa che può salvarla e farla guarire, un antidoto che le ridonerà di nuovo il sorriso: la speranza. La speranza dei cuori di chi non si arrende, di chi si rimbocca le maniche, di chi crede in un giorno migliore. Cosi l’anima di tutti quei luoghi feriti tornerà ad illuminarsi di sole e d’azzurro. Credere che tutto tornerà a splendere è già un passo, se pur piccolo, verso quel domani che sono sicura verrà. Credi nella primavera, affronterai meglio il tuo inverno. Credi nella primavera che verrà con il suo vestito nuovo addosso, vestito fatto di fiori, colori, cielo azzurro, sorrisi, speranza. Credi nella primavera, credi in un domani migliore di oggi, credi nel sole. La natura ci insegna questo. Ci insegna a superare il freddo inverno e a respirare veramente la bellezza della primavera. Ci insegna ad affrontare il freddo con la luce del fuoco come lo sconforto, la tristezza, la rassegnazione con la luce della speranza. Mi sento in dovere di sperare. In dovere verso coloro che non possono più sperare. La vita a volte riesce ad essere stonata, ti mette davanti a qualcosa di più grande di te, non sai se riuscirai a superarlo, se riuscirai a superarlo un po’ ferita o se non riuscirai a superarlo. È un po’ come ci si sente in quei 60 secondi. Ti senti su di un filo 26
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appeso nel vuoto. Non smettere però di sperare mai che “se c’è un segreto è fare tutto come se vedessi sono il sole”. Scusi prof delle mie così tante parole, mi ritrovo alla 3^ pagina e sento ancora di non essere riuscita a descrivere come ci si possa sentire qui, adesso in questi freddo giorni d’autunno, dove il freddo è ladro dei tuoi pensieri e probabilmente non riuscirò perché ci sono momenti della tua vita in cui le parole non bastano per raccontare come ci si sente, momenti in cui improvvisamente le parole non servono più. Momenti in cui ti rendi veramente conto di quanto poi nella vita quotidiana ci si fermi in superficie, ci si fidi delle apparenze e non si tenti di andare oltre, momenti che ti cambiano per sempre. vorrei concludere così... È così difficile Polvere in volo su di me Attimi confusi, è inspiegabile Camminare su di un filo E avere paura di cadere Nel vuoto che il buio porta con sé. Mi ritrovo adesso qui A scrivere parole che Volano via dal cuore Senza far nessun rumore. Credi nella primavera In ogni colore, in ogni fiore Credi in un giorno migliore 27
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Credi nella vita e ricorda Che nonostante tutto Alla fine basta metterci il cuore, il cuore... Credi in ogni tramonto E ogni sole che poi tornerà Credi di ogni mattino Che vera luce porterà Credi in ciò che puoi fare Per risistemare ogni pietra della tua vita. Credi nella primavera In ogni colore, in ogni fiore Credi in un giorno migliore Credi nella vita e ricorda Che nonostante tutto Alla fine basta metterci il cuore, il cuore... PerchÊ in ogni notte Ci sono stelle pronte ad aiutarci In ogni momento della nostra vita Anime pronte a salvarci E in ogni dolore speranze in grado di illuminarci. Credi nella primavera In ogni colore, in ogni fiore Credi in un giorno migliore Credi nella vita e ricorda Che nonostante tutto Alla fine basta metterci il cuore, il cuore... 28
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L’incubo che non gestisci di Serena Rasi, classe IV Liceo C’è chi urla c’è chi corre c’è chi piange un infinito disastro: massi che cadono muri che tremano bicchieri che si rompono vite che si spezzano speranze che si perdono paure che aumentano in una frazione di secondo e dopo aver ricominciato rieccolo, il mostro è tornato senza avvertire facendosi sentire. Gli alberi si piegano a terra, le strade si alzano come le onde del mare, le macchine ondulano come barche; a distanza una nuvola bianca si alza sono i crolli delle case. Finito il tremore si scorge che di alcune chiese ne resta solo la facciata, muri e cinte ricoprono le strade, le case diventano cartone spalancato volti impauriti segnati dal dolore si spargono su persone di ogni età facendo cornice al surreale. 29
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Tutto si confonde: sembrano briciole di pane che si accasciano a terra come ricordi, come abitudini ormai perse. Se ti guardi attento intorno cercando di capire in quale mondo strano sei andato a finire e per consolarti pensi: magari è solo un sogno, mi sveglierò domani e tutto sarà normale, ma la realtà non cambia, la terra ancora trema, ci obbliga a scappare e a non dormire a casa. Chiudono le scuole, montano le tende, le case sono vuote, la gente è spaventata arrivano gli aiuti ed insieme i militari. Ma noi che siamo uniti, legati a queste terre ci armiamo di coraggio e scendiamo in guerra. Pietra dopo pietra, mattone su mattone, passo dopo passo uniti e sempre insieme ricominceremo e ricostruiremo tutto. 30
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Serena Forconi, classe IV Liceo Lavoro, speranze e sogni Marciapiedi, case e chiese Seppelliti sotto ricordi di anni Che facevano il paese La paura è regina imperatrice Ogni notte non si affievolisce Non si riesce a fuggire, sognatrice E con te sempre la cicatrice Tutto trema e anche tu, il tuo corpo, le tue braccia, È finito ormai, ora sei ferma Ora di te non c’è più traccia
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Willy, il principe dell’Hotel di Gioele Recchi, classe III Liceo Questa è la maxi storia di come la mia casa è crollata, capovolta , sotto sopra sia finita, seduto sul divano qui con te ti parlerò di Willy, terremotato nell’Hotel. Sentendo le scosse sono cresciuto Per terra tremava, wow, che fissa ogni minuto, le mie toste giornate filavano così, tra un sisma ogni tanto e un avviso di Giulianì! Poi quel tremolio arrivato un po’ più in sù Andò proprio sulle mura della mia casa laggiù, la struttura si imballò , fece una trottola di me e la mamma disse “vattene in hotel!”. L’ho pregata, scongiurata ma alla corte vuole che vada Lei mi ha fatto le valige e ha detto è meglio che per strada! Dopo avermi dato un bacio e i vestiti per partire Con il container nel giardino ho detto “ qua è meglio sgommare!” Wow …Magrelli ma è uno sballo Divanetti viola e tavolini di cristallo Se questa è la vita che fanno in hotel… Poi tanto male non è! Ho chiamato alla reception col mio fischio collaudato, dopo tutte queste scosse mi sentivo gasato, una vita tutta nuova sta esplodendo per me, avanti a tutta forza, portami in hotel!! Oh che sventola la Corte, mi sento già straricco, la vita di prima mi puzza di vecchio, 32
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guardate adesso gente in pista chi c’è il Principe Willy, lo sfollato nell’Hotel!!!
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Terremoto Giulia Pettaccio, classe III Liceo Se prendessimo un qualunque vocabolario, cercando nella sezione “T”, ci si imbatterebbe nella parola “terremoto”. Troveremmo sicuramente qualcosa come: terremòto ter/re/mò/to pronuncia:/terre’moto/ sostantivo maschile 1 rapida e violenta vibrazione della crosta terrestre. 2 in senso figurato si dice di persona, animale o cosa che produce scompiglio. Nessuno, compreso il dizionario, riuscirà mai a spiegare cos’è e cosa comporta. E’ distruzione. Distruzione di tutto, te stessa inclusa. E’ sera. Mi trovo costretta a scrivere nel mio scomodo letto in questa grande tenda. Scrivo al buio, cercando di fare meno rumore possibile, non voglio svegliare nessuna delle altre ventotto persone che sono qui con me. Sembra un po’ il campeggio. Non ho mai fatto campeggio in tutti questi anni. Pensavo fosse divertente. In realtà, ho capito che non mi piace così tanto dormire in una tenda, grande o piccola che sia. Sto provando veramente a concentrarmi, ma la poca luce e il signore poco più giù, che russa come un trombone, non aiutano affatto. Le persone chiedono continuamente: “Come stai?” Rispondo banalmente con un “Sto bene, grazie.” Vorrei evitare di rispondere con queste frasi convenzionali, ma si fa così in questi casi, no? In tutta sincerità, risponde34
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rei con un: “Come vuoi che stia? Non posso entrare in casa mia. Non ho più le mie cose. Ho visto crollare il paese in cui sono nata. Ho visto andare in frantumi i miei sogni, le mie aspettative per il futuro, le mie speranze, i miei progetti. Ho visto crollare le mie abitudini, la mia vita. Seconde te, come sto?” Forse è meglio non dirlo. Forse è meglio tenerlo per me. Nel frattempo mi sono alzata e sono uscita da quell’ammasso di plastica. Novembre è arrivato, e ha portato con sé un freddo talmente glaciale che Avendita sembra essersi trasformata nella Siberia. Il fatto che io non abbia preso neanche la giacca, non aiuta affatto. Ma dovevo uscire. Avevo bisogno d’aria. Non ce la faccio più. Nessuno ce la fa più. Siamo stanchi, esasperati, impauriti, impazziti. Siamo imprigionati in un vortice oscuro, di terrore e paura. Senza un minimo spiraglio di luce. Buio pesto. Solamente tanta oscurità. Vorrei volare veloce, veloce via da qui. Vorrei tornare a casa mia. Vorrei tanto essere normale. Un insieme di vorrei che, adesso, sembrano troppo lontani per essere raggiunti. Ho capito che c’è qualcosa che va oltre me. Oltre tutti noi. Forse aveva ragione Leopardi. 35
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Forse la natura è veramente un meccanismo crudele in cui la sofferenza degli esseri e la loro distruzione è necessaria per il processo di conservazione della specie. Forse la causa dell’infelicità è esclusivamente della natura. Vorrei pensarla diversamente. Vorrei essere una di quelle persone sempre gioiose e allegre, nonostante questa situazione. Ed invece sono scontrosa e anche un po’ irascibile. Vorrei essere indifferente a tutto ciò. Ed invece non lo sono. Sono anche un po’ senza speranza. Sarà questa la mia vita ora? Come tornerò alla normalità? Si può tornare alla normalità? Perché proprio a me è successo? Perché proprio a noi? Domande senza nessuna risposta. Ne avrei bisogno disperatamente, di risposte. Di capire. Mi sento impotente. Probabilmente lo sono. Sì, sono impotente… Se fosse stato compito mio scegliere, di certo non avrei scelto questo… Per nessuno. La vita a volte è crudele. Si prende gioco di noi poveri uomini destinati a vivere qualcosa di già scritto e costretti ad accettare il venire immobile ed inermi. In qualche strano modo sto cercando disperatamente di credere che verrà qualcosa di migliore in futuro. Magari è solo un’illusione che presto si sgretolerà davanti ai miei occhi. 36
Io resto fermo!
Magari no. Nessuno può saperlo. Dobbiamo solo aspettare. L’idea che qualcuno possa leggere qualcosa di così privato per me; non mi reca poco disturbo. Preferisco lasciare per me tutto ciò che scrivo, ma ho accettato ( con qualche difficoltà) il compito assegnato, anche se visto come una mancanza di rispetto per noi alunni che stiamo affrontando un momento così difficile e delicato. L’ho presa come una sfida. Se ci pensiamo, la vita è fatta di sfide e non sempre possiamo tirarci indietro. La vita è una sfida. L’ho accettato anche per me stessa. Ho usato l’occasione per sfogarmi, per liberarmi e per svuotarmi da questo insieme di pensieri, concentrati densi nella mia testa. Non per il giornale o per il voto perché, e di questo ne sono assolutamente convinta, non c’è voto che si può assegnare per una sofferenza così grande da segnarti per sempre.
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Nuova scossa. Epicentro: Cuore….. di Etemi Mujo, classe IV Liceo Il 30 Ottobre, alle 05:30, non avendo chiuso occhio per tutta la notte (i sedili della macchina sono molto, molto scomodi e il freddo nelle ore piccole diventa molto, molto pungente) propongo ai miei di rientrare a casa. “I terremoti sono imprevedibili tanto. Ora si sta anche facendo giorno, si riesce a vedere”, sono le mie argomentazioni. Il sonno e il freddo hanno la meglio, e la paura cede. 7:41. Le pareti vibrano, gli sportelli si aprono e si chiudono, il letto sembra aver preso vita e si muove con una ebbra corsa. Una nuova scossa, persino più forte delle precedenti. La casa è spinta con violenza perversa, con un moto indescrivibile. Reggerà questa volta? Si va sotto al letto, sotto gli archi, si urla. “Non uscite”, conosco fin troppo bene gli edifici limitrofi, tutte vecchie strutture. Rimanere e ripararsi è una mossa istantanea, forse anche sbagliata. Il corpo non si muove, atterrito. Reazione naturale al terrore, o a quel moto cieco e furioso che sembra non fermarsi, ma che anzi rabbioso si fa più intenso. Il tempo si dilata: pochi secondi che sembrano eternità. Lo spazio si accartoccia, si deforma, appare plastico. Quel caloroso luogo famigliare sembra diventare una trappola. Che fare? Non smette. Fuggire? Restare sotto al letto? Le idee, pavide, si confondono, si accavallano e la paura cresce esponenzialmente. Smette. Si scappa. Fuori si vede molta polvere. Non è la nebbia mattutina che accompagna tutti nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nella quotidianità. No, questa è la nebbia del terrore: brucia agli occhi, si attacca al corpo, non lascia vedere ed esser visti. Qualche crollo, molte tegole venute 38
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giù ed altre, le più pericolose, con sguardo maligno guardano dall’alto, dai tetti. Tutti i vicini fuori, ci risiamo. Si rientra in fretta per prendere qualche indumento ed effetti personali; ma le scosse ora si susseguono, molto intense. Si va in piazza: la Chiesa è gravemente compromessa, qualche vecchio palazzo è del tutto crollato, raso al suolo, letteralmente. 7.1 la scossa. Anzi no, 6.5. “L’hanno abbassata”, grande rabbia. È normale che la magnitudo cambi nei primi minuti. Non c’è da arrabbiarsi, 6.5 è molto potente. Epicentro Norcia. Lo sapevo, se non distrugge Norcia non è felice. Le prime foto delle mura, di San Benedetto, i primi feriti ma non si parla ancora di vittime. Grande sollievo. Stiamo tutti bene; si gioisce, ma qualche lacrima non può non bagnare questa terra tremante. Il breve silenzio è squarciato dalle sirene, dai commenti con i vicini, dai telefoni che chiamano e sono chiamati senza interruzione. In pochi istanti siamo protagonisti, anzi spettatori, della potenza della terra, che si agita, che vuole scrollarci di dosso. Un’esperienza terrificante. Noi che siamo abituati alle strutture in cemento, in muratura, all’asfalto, ai marciapiedi, quello scontro squilibrato corpo a corpo con la terra ci distrugge. Per noi che ci troviamo in una società così avanzata che sembra aver superato il concetto di spazio, questo oscillare della terra, questa mancanza di terreno a intermittenza ci risulta ancora più insopportabile. Ci fa sentire inermi, passivi, imponenti. È indomabile e l’angoscia ci conquista nel timore di finire nelle sue viscere. Di nuovo il centro Italia, di nuovo noi. Nelle cartine siamo oscurati dal rosso, da cerchi, da stelle rosse. 39
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Sotto quel rosso c’eravamo noi, ci siamo noi. Borghi bellissimi che hanno udito il fragore delle spade che secoli addietro squarciava il clima idilliaco di quel verde incontaminato, che hanno visto un uomo, un santo che con grande vigore ha imposto il suo ordine, che con severità ha scandito la vita di tutti i chierici. Le scosse continuano, senza sosta, minuto per minuto quasi. Si parla di “sciame sismico”. Dopo ben tre volte in due mesi, cosa dovremo aspettarci? Avrà tregua? Ma del resto noi siamo veterani. In Umbria si nasce con la consapevolezza del terremoto. La vita di tutti sembra scorrere in attesa di una nuova scossa. “Fa troppo caldo”, “è da tanto che non tira”, “è tempo da terremoto”, sono queste le frasi delle persone che hanno la cultura del terremoto. “Eccolo”, non c’è bisogno neanche di pronunciarne il nome. Lo riconosciamo senza troppe difficoltà. Pochi secondi, generalmente, nei quali qualsiasi pensiero si annulla, tutto diventa piccolo e insignificante. Conta solo fuggire, ripararsi, salvarsi. Ma noi siamo abituati a questo, sin dai tempi dell’apri-fila e chiudi-fila delle elementari. L’indimenticabile notte del 24 agosto ha frantumato 298 vite sotto le macerie. Questa volta, fortunatamente nessuno. Ma tanto anche se sei umbro, anche se pensi di conoscere il terremoto, anche se sei preparato a questo resti impotente e sbigottito dinnanzi alla potenza della natura. E non dormi. Scosse che non fanno crollare solo palazzi e abitazioni, chiese e monumenti, ma che lesionano gravemente tutte le certezze che noi abbiamo, tutte. Un giorno si mangia a casa, un altro in albergo, l’altro ancora in chissà quale mensa. Questo significa terremoto: non avere certezza di nulla; essere pavidamente esposti alla caotica imprevedibilità del 40
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destino. Qui, dove la terra trema, abbiamo bisogno di conforto, si sicurezza, di certezze. Vogliamo sapere come si costruisce, non vogliamo aspettare che crolli tutto. Abbiamo bisogno di strumenti per poter tentare una convivenza con l’onda. Abbiamo bisogno di aiuto. Ora la situazione sembra calmatasi. Siamo tutti sparsi: chi nelle tensostrutture, chi da parenti, amici, chi negli alberghi. Inermi a questo destino così dinamico, tra lacrime e speranza, perché quella, la speranza, non ha una struttura capace di compromettersi con sismi; è totalmente antisismica. Quando si cammina, anche distanti dalle zone terremotate, si guarda in alto, si osserva se ci sono tegole pericolanti, si guardano le crepe degli edifici, non l’architettura, non i colori. Persino i bambini fanno ciò: “Mamma, secondo te questo palazzo è antisismico?”. Ma del resto è un bene: dobbiamo trovare una convivenza con questo mostro, che del resto è soltanto un fenomeno naturale sempre esistito. Per far ciò dobbiamo conoscerlo e saperlo contrastare. Norcia, nonostante l’intensità del sisma, ha retto: 0 vittime. Una valle più in là: 298 morti. Famiglie intere, bambini, genitori, parenti, amici. Per loro è più difficile. A Norcia, seppur spaventati, ci siamo tutti. E dev’essere questo il nostro punto di partenza. Siamo stati molto fortunati. È un dovere pensare alla ricostruzione, un obbligo etico e politico per tutti. Tutti ci stanno aiutando: i soccorsi sono arrivati da ogni dove, le comunità che hanno accolto gli sfollati sono molto ospitali e sensibili. Non dobbiamo cadere in una spirale di passività e nervosismo, con quella non si risolve nulla. Soprattutto noi gio41
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vani. La sera dopo il sisma, quando tutto il paese era radunato attorno ad un grande falò improvvisato, una signora anziana, udendo il malcontento di alcuni ragazzi disse: “Se voi giovani vi rassegnate in questo modo, noi vecchietti che dobbiamo fare? Noi contiamo su di voi. Sono le vostre terre queste, ci siete cresciuti, avete giocato, sbucciato gomiti e ginocchia, imparato a vivere, e ora ancora di più; datevi da fare, siete forti.” Vedere il nostro territorio ridotto così ci lesiona dentro, è vero. Ma dobbiamo essere propositivi, dobbiamo avere le forze per ripartire. Diamine, vogliamo tutti farci il Corso Sertorio, accompagnati dal buon gelato di Benito, fermarci vicino alle misure di san Benedetto, osservare la fioritura della grande Piana di Castelluccio da una delle sue deliziose trattorie. L’unico modo per fare tutto ciò è essere uniti, combattere energicamente per una buona ricostruzione. Persino lui, il Santo di Norcia, che si trova ancora lì, in piedi, ci guarda con sguardo severo, per non farci rassegnare. E seguiremo lui, pregheremo e lavoreremo insieme. Norcia e Cascia ce la faranno, noi ce la faremo.
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COLPITI MA NON AFFONDATI di Diego Di Curzio, classe IV liceo Sono passati 2 mesi dal terremoto del 24 agosto che sembra esser ormai acqua passata, la mia vita stava riprendendo la sua naturale quotidianità. Quel 26 ottobre andava in scena, nel campo comunale di Norcia, il derby della Valnerina, per l’appunto Norcia contro Cascia. La partita finì 2 a 2, molti gol, molte emozioni ma nella via del ritorno accade di nuovo, magnitudo 5,4. Sembra un sogno, anzi un incubo già visto dal quale ero riuscito a svegliarmi ma che ora mi si ripresenta. In serata un’altra scossa magnitudo 5,9 ci fa capire che il terremoto ancora non è finito infatti aveva appena iniziato. I giorni successivi passano in fretta, la luce solare diffonde in noi un apparente tranquillità ma il timore aumenta al giungere della notte. Ma il terremoto si sa, è imprevedibile e nella mattina del 30 ottobre torna più forte che mai, magnitudo 6,5. In poco tempo percepisco la potenza distruttiva della natura ma soprattutto riesco a capire realmente cosa significhi essere impotenti di fronte ad una tale minaccia; è proprio questo che mi incute timore: dover essere spettatore senza poter far nulla per placare tutto ciò. Il terremoto rende insicure le nostre case che, come afferma il famoso architetto Renzo Piano, sono molto di più che un semplice riparo dal freddo e dalla pioggia bensì una protezione fisica e mentale, il luogo del silenzio, il luogo della fiducia, il rifugio dalle paure e dalle insicurezze. Malgrado ciò non posso crollare, non possiamo crollare, ci vorrà tempo ma le nostre cittadine torneranno a splendere. Viviamo in posti fiabeschi, circondati da natura, santità ma 43
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anche buon cibo ed in ogni fiaba che si rispetti che sempre un lieto fine.
“Amico mio, accanto a te non ho nulla di cui scusarmi, nulla da cui difendermi, nulla da dimostrare: trovo la pace… Al di là delle mie parole maldestre tu riesci a vedere in me semplicemente l’uomo. (Antoine de Saint-Exupery) 44
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Se mi guardo…. di Valeria Nedilko, classe III liceo Se mi guardo attorno, non so più chi sono . Ho girovagato tanto per questo mondo, ma non mi sono Sentito così solo. Abbandonato, qui su questa terra che non smette più di tremare E la paura non se ne vuole andare. E non è vero che l’uomo è padrone su questo mondo, lo è La natura, ma la natura a volta sa essere così immatura! E perché, mi chiedo io, Lei spezza le nostre vite? E perché fa crollare le case? Mi guardo attorno e vedo solo terre rase. Terre rase al suolo, e i miei amici, neanche loro sanno più chi sono . C’è chi ha perso un figlio, c’è chi ha perso il lavoro, ma solo la speranza può permetterci qualcosa di buono.
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Trema, fuori e dentro! di Claudia Liberatori, classe IV Liceo La vita di ciascuno di noi è caratterizzata da una miriade di situazioni ed istanti che si susseguono l’uno dietro l’altro come le lettere composte da una macchina da scrivere: come le lettere di una stessa parola, anche le varie occasioni della vita sono l’una correlata all’altra e sono in armonia tra di loro. Ci sono però attimi che stravolgono questa armonia, la devastano; questi attimi non si dimenticano ma rimangono impressi nella memoria e nel cuore di una persona, per sempre. Posso, ahimè, raccontare in prima persona questa tremenda sensazione, ma non basterebbero parole per esprimere tutto ciò che ho provato e tutt’ora provo. Da quel tremendo 24 agosto 2016 tutta la mia quotidianità è stata stravolta: vedere i miei piccoli paesini, le mie montagne, i miei ricordi cosi straziati dalla forza imprevedibile della natura è devastante. Quei luoghi natii, dove ho trascorso la mia infanzia e la mia adolescenza, che ho imparato ad amare ed apprezzare nonostante non mi offrissero la totale possibilità di conoscere la totalità del mondo poiché circoscritta in una piccola realtà, mi appaiono come un ricordo offuscato ed irreparabilmente danneggiato. Ogni cosa non ha più la sua stessa natura fisica, tutto è deformato o totalmente distrutto. Ciò che mi circonda appare come un dipinto fatto di acquarelli colpito da una forte pioggia: le forme perdono il loro stato originale e dunque il loro vero significato. La mia amata Norcia è quasi irriconoscibile: sono poche le case o gli edifici pubblici che ancora riconosco. Essi sono stati trafitti da profondi spacchi, da ferite che mi porto nel 46
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cuore e nell’anima. Non solo la mia terra trema ma con essa trema la mia interiorità, la mia anima, il mio essere. Vorrei poter dare forza ai miei genitori e alla mia famiglia perché leggo nei loro occhi la rassegnazione di fronte a tale forza: hanno visto crollare in un istante tutti i sacrifici di un’intera vita e diventare vane le ambizioni per il futuro. Guardo gli occhi di mia nonna: sono spenti. Lei, il fulcro di tutta la nostra famiglia, grazie alla sua immensa forza e dedizione al lavoro volto esclusivamente a garantire un futuro migliore per i suoi figli e i suoi nipoti. Lei, una persona instancabile, nonostante la fame sofferta, sempre pronta a dare il massimo e a rialzarsi da qualsiasi situazione difficile. Lei, ora, comunica con gli occhi: sono rassegnati, sono vuoti. Volgo poi lo sguardo ai miei genitori e percepisco il loro stato d’animo: sono impotenti di fronte ad una tale tragedia e allo stesso tempo consapevoli di essere incapaci di garantire ai noi figlie un futuro propizio e sereno. Temono per la nostra serenità e quasi si condannano per quello che stiamo vivendo: si sentono responsabili di questo macabro accaduto e si rimproverano di essere così inutili per noi figlie e per tutta la famiglia. E come dargli torto? Io rispondo così: ‘’La terra suona una ninna nanna macabra e torna a ricordarci che non siamo niente’’. Guardo poi mia sorella, di soli 10 anni che cerca di trovare conforto tra le braccia di un adulto e si rivolge a me, alla sua sorellona e mi sforzo di essere forte e felice per lei. E’ proprio per i più piccoli che dobbiamo combattere questo terremoto, questa distruzione: i bambini hanno bisogno, o meglio, hanno il diritto di trascorrere un’infanzia spensierata e serena, come la mia, ed è così ingiusto che a causa del sisma essi siano costretti a vivere nella paura e nella distru47
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zione. Ogni rumore, ogni minimo movimento è ricondotto a quegli interminabili secondi che hanno trafitto il nostro cuore ed è quasi impensabile tentare di tornare alla normalità in un luogo che sembra non appartenermi più. Non avrei mai pensato di essere catapultata in un attimo in una tragedia del genere; tutto ciò che mi riconsola è volgere lo sguardo al passato e ripiangere quei piccoli gesti quotidiani che consideravo quasi scontati. E forse, è proprio questo il vero ‘’insegnamento’’- se così possiamo definirlo- del terremoto: perdere tutto ciò che si ha fa apprezzare di più ciò che si aveva. Voglio ricordarla così Norcia, la mia piccola cittadina immersa nel verde; è così che voglio ricordare la mia casa che sono stata costretta ad abbandonare: spesso mi capita di passarle davanti, fermarmi per pochi secondi ad osservarla ed è straziante vederla così buia, fredda e abbandonata. Voglio ricordare il mio amato Castelluccio come il paesino avvolto dal manto dei monti sibillini, quel luogo paradisiaco dove in infanzia trascorrevo l’estate. Purtroppo la macabra verità è che ho perso una parte di me, forse la più bella, la più forte. Il mio cuore è straziato ma nonostante questo non mi perdo d’animo, non perdo la speranza. Proprio dal ricordo questi luoghi incantati e dalle loro macerie ripartirò da zero affinché essi tornino a splendere ancor più di prima. Devo ritenermi fortunata poiché a causa del terremoto ci sono state molte vittime: io e la mia famiglia siamo salvi e questo forse significa che ho il dovere di guardare avanti e di reagire nel rispetto di chi ora non può più. Sarà per me e per tutti noi una sfida, ma ce la faremo. Ci rialzeremo perché lo sappiamo tutti, siamo stati spogliati di ogni cosa ma non della speranza e ‘’la speranza è l’ultima a morire’’. 48
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Un rombo in lontananza s’avverte di Ginevra di Pasquale, classe IV Liceo A rumble in the distance it’s felt. “Run away!” screams the reason. And thus begins the frantic run to salvation. They tremble. Houses, legs, hands tremble. Thoughts. They run away. People, certainties, emotions run away and only one remains: Fear. Confusion and Pain are added. A deep Pain, a Pain in the heart. Thoughts crowd, screams are heard and suddenly, the quietude. But then it returns, with ruthless power, the Endless dark presence.
Un rombo in lontananza s’avverte. “Scappa!” grida la ragione. E inizia così la frenetica corsa per la salvezza. Tremano. Tremano le case, le gambe, le mani. I pensieri. Scappano. Scappano le persone, le certezze, le emozioni e ne rimane solo una: la Paura. Confusione e Dolore s’aggiungono. Un Dolore forte, un Dolore al cuore. Pensieri s’affollano, grida s’odono e all’improvviso, la calma. Ma poi ritorna, con spietata potenza, l’Oscura presenza interminabile. Agonia straziante.
Heartbreaking agony. 49
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Il freddo congela gli animi e queste città di cui ormai è rimasto solo il fantasma. Incomprensibile se sia la terra che si muove ancora o se sia solo il battito del cuore a far rumore, a far tremare il petto degli uomini che continuano ad essere cullati dalle perverse mani della Terra.
The cold freezes the souls and these cities of which now remains only the ghost. Incomprehensible if it’s the ground that moves again or if it’s only the heartbeat that makes noise, that shakes the chest of the men who continue to be lulled by the perverse hands of the Earth.
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TERREMOTO: IL TERRORE IN UN ATTIMO di Francesca Novello, classe IV Liceo In quella frazione di secondo, che non ha fine, il “mostro”, come lo chiamano i bambini, ha squarciato i nostri ricordi, portando via con sé abitazioni, chiese, meravigliose piazze, monumenti: pezzi di storia e capitale umano. La tranquillità e la spensieratezza di ognuno di noi sono state sostituite, con ferocia, dalla paura provocata dal terremoto che è entrato, bruscamente, nelle nostre vite. Nell’aria si respira il terrore e la disperazione delle persone che hanno perso tutto. Le luci delle case, che illuminavano il mio paese nella notte, sono spente, come spenti sono i nostri cuori ormai distrutti in mezzo alle macerie di una Cascia in gran parte da ricostruire. Il terremoto del 30 novembre mi ha sorpreso a letto: tutto intorno a me tremava, anche la mia voce. Ho visto la casa muoversi, ho visto il fumo delle macerie provenire dalle frazioni limitrofe, ho sentito urla di disperazione pervadere ogni singola parte del paese, anche io ho urlato con tutto il fiato che avevo; ho visto tutto cadere e anche io sono caduta. Sono caduta nello sconforto, nella paura, nella tristezza. La sensazione di malessere e di abbandono mi invade e nel vedere tutto distrutto, pensando ai sacrifici che ha fatto ognuno di noi, mi piange il cuore. Le persone vagano, come stordite, alla ricerca di una tranquillità, purtroppo inesistente, di una parola di conforto che sollevi gli animi. La mia quotidianità non esiste più: le mattinate a scuola e i miei pomeriggi di studio e di svago sono stati sostituiti da lunghe chiacchierate e passeggiate in giro per il paese: l’importante è non rimanere in casa perché il “mostro” è 51
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sempre in agguato; la mia nuova camera è stata la macchina, per tre lunghe notti, poi un luogo “più confortevole”: un prefabbricato che condivido con altre persone. Mi chiedo sempre quando finirà tutto questo, quando potrò e potremo riavere la nostra quotidianità, ma è difficile saperlo! Anche se siamo nell’era del progresso, l’uomo rimane inerme di fronte alle forze della natura, maligna, che si scagliano contro di lui. Insieme dobbiamo reagire e non perdere la SPERANZA di ricostruire e ricreare il nostro passato. Si, la SPERANZA, ovvero la capacità di ripartire, rialzarci e guardare verso il nostro futuro con animo speranzoso perché essa “è quella cosa piumata che si posa sull’anima, canta melodie senza parole e non smette mai”, come scriveva Emily Dickinson. Non smette mai, e non deve smettere di “cantare” in noi giovani che siamo il futuro del paese e abbiamo il compito di “tenere aperto l’oblò della speranza anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro” come Bob Dylan disse in un’intervista. Anche se abbiamo perso in un attimo i sacrifici di una vita, la tranquillità, la nostra identità e spensieratezza, sono certa che risorgeremo, grazie alla fiducia, alla speranza e all’ottimismo, più forti di prima e non permetteremo che le nostre radici rimangano “macerie”.
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Raccolta di Fotografie
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“Momenti di convivialità” I ragazzi dell’associazione L’Oasi onlus di Cascia
“Nulla di quello che accade all’uomo deve risultarci estraneo” Papa Giovanni XXIII Incontro con il Sig. Graziano Adami fondatore e Presidente dell’azienda Casone di Noceto ( Parma)
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“La Befana vien di notte…”; ospiti dell’Associazione “Sé de J’Angeli se” di Santa Maria degli Angeli
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“ Viaggiando alla scoperta dei paesi troverai il continente in te stesso� (Proverbio indiano)
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“ Fra tante belli cose c’ha criato ‘o Padreterno ‘ncopp’ a chesta terra, na cosa ha fatto che nce s’è spassato: immiez’ a nu golfo nu pezzullo ‘e terra.” Ischia mia ,Totò Tempo di relax e di sole nell’Isola di Ischia
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“Il vero spirito sportivo partecipa sempre dello spirito di solidarietà”
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“ Se potrò impedire a un cuore di spezzarsi, non avrò vissuto invano. SE allevierò il dolore di una vita O guarirò una pena, o aiuterò un pettirosso caduto a rientrare nel nido, non avrò vissuto invano.” Emily Dickinson
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“Non camminare dietro a me, potrei non condurti. Non camminarmi davanti, potrei non seguirti. Cammina soltanto accanto a me e sii mio amico.� A. Camus Uscita estiva a San Feliciano sul Lago Trasimeno
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Serena Forconi, classe IV liceo Lavoro, speranze e sogni Marciapiedi, case e chiese Seppelliti sotto ricordi di anni Che facevano il paese La paura è regina imperatrice Ogni notte non si affievolisce Non si riesce a fuggire, sognatrice E con te sempre la cicatrice Tutto trema e anche tu, il tuo corpo, le tue braccia, È finito ormai, ora sei ferma Ora di te non c’è più traccia
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Informazioni sull’associazione L’Oasi Onlus
L’associazione ha sede a Cascia (PG) ed è regolarmente iscritta dal 1998 al registro delle Associazioni Onlus presso l’Agenzia delle Entrate con il numero 2390. L’associazione opera in questo territorio e accoglie circa 10-11 adulti con disabilità. è sostenuta grazie ai soci e all’opera dei volontari che collaborano durante le varie attività