Quaderni del volontariato 6
Edizione 2019
Cesvol Centro Servizi Volontariato Umbria Sede legale: Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 www.cesvolumbria.org editoriasocialepg@cesvolumbria.org
Edizione marzo 2019 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Stampa Digital Editor - Umbertide Per le riproduzioni fotografiche, grafiche e citazioni giornalistiche appartenenti alla proprietà di terzi, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire. E’ vietata la riproduzione, anche parziale e ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzato.
ISBN 9788896649862
I QUADERNI DEL VOLONTARIATO UN VIAGGIO NEL MONDO DEL SOCIALE PER COMUNICARE IL BENE I valori positivi, le buone notizie, il bene che opera nel mondo ha bisogno di chi abbia il coraggio di aprire gli occhi per vederlo, le orecchie e il cuore per imparare a sentirlo e aiutare gli altri a riconoscerlo. Il bene va diffuso ed è necessario che i comportamenti ispirati a quei valori siano raccontati. Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, dove il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso del quotidiano, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore. Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente o più antico, per consegnarci insegnamenti e visioni. Quelle visioni che i cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Gli autori di questi testi, e di
tutti quelli che dal 2006 hanno contribuito ad arricchire la Biblioteca del Cesvol, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza, al di là di qualsiasi tipo di conformismo e disillusione Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati. Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo. Salvatore Fabrizio Cesvol Umbria
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Con il Cesvol c’è una collaborazione iniziata con la pubblicazione della mia tesina di Master in Consulenza Pedagogica che si intitola NaturalMenTesi. Alla Biblioteca di San Matteo degli Armeni durante l’anno 2017, con due ragazze conosciute tramite la pubblicazione, abbiamo portato avanti un progetto che si chiama EcoCustodiAttiva, chiamando formatrici e formatori sul tema olistico dell’Ecologia Profonda. Abbiamo poi scoperto che il termine Custodia in diverse Culture coinvolge le diverse Teologie nel rispetto della Natura, così in questo nuovo testo vorrei approfondire il tema della sua celebrazione, con un titolo che ne evidenzia l’aspetto religioso: ‘Pregar Natura’, appunto. Presentiamo un viaggio nelle Religioni e nel Simbolo alla ricerca, alla scoperta, alla comprensione di come la cura della terra sulla Terra ci unisca tutte e tutti, indissolubilmente, in ogni Cultura e Civiltà. Comprendere la Cittadinanza Terrestre come Diritto.
INPUT DA PIERO DOMINICI -UNIVERSITA’ DI PERUGIA“Nella civiltà ipertecnologica e delle macchine intelligenti, fondata sul controllo e sulla programmazione/(iper) simulazione totale dei processi e delle azioni e segnata da una progressiva, oltre che esponenziale, crescita della dimensione del tecnologicamente controllato – che marginalizza l’Umano e restringe lo spazio della responsabilità – le sfide del cambiamento sono proprio quelle di ripensare/ridefinire la centralità della Persona e dell’Umano, dentro ambienti ed Ecosistemi in cui non esiste più alcun confine/limite tra naturale ed artificiale. Oggi, forse come mai in passato, occorre recuperare le dimensioni complesse della complessità educativa: l’empatia, il pensiero critico, una visione sistemica dei fenomeni, l’educazione alla comunicazione, oltre a dimensioni che abbiamo volutamente rimosso, come l’immaginario e la creatività. Significa ripensare lo spazio relazionale e comunicativo dentro le istituzioni formative ed educative, rilanciare l’Educazione 5
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nella prospettiva sistemica di una Educazione che non può che essere socio-emotiva. Tra cambiamento dei paradigmi e trasformazione antropologica – ribaltamento dell’interazione complessa tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale – tra interdipendenza e frammentazione, una questione profonda anche, e soprattutto, in termini di “cultura della comunicazione” (1998), resa ancor più complessa, e problematica, dall’assenza di un sistema di pensiero e di un modello teorico-interpretativo in grado di osservare, riconoscere e (provare a) comprendere l’ipercomplessità e l’irruzione, per certi versi, prepotente del caos. E già… Ordine e Caos: non è più sufficiente provare a distinguerli per ristabilire l’equilibrio perduto e il controllo. Perché anche ordine e caos coesistono, convivono, sono entrambi presenti, comunque e sempre, retroagiscono nel quadro sistemico di una complessità del vivente e, ancor di più, del sociale, che continua a rivelarsi mai comprensibile e intellegibile fino in fondo.” ht t ps : / / w w w. ag e ndadig itale . e u / c ultura - dig itale / il cambiamento-come-sfida-educativa-e-comunicativa-che-fare/
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Pregar Natura I Essere
passeggeri della terra sulla Terra
a cura di Elena Bussolotti
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A Olga E Ugo
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INDICE Introduzione p.11 Prefazione p.13 Per comprendere le Storie nella Civiltà CAP.1 p.15 Avvicinarsi alla Natura come Cultura A spasso tra Arte, Poesia e Tenerezza Elena Bussolotti CAP.2 p.79 Leggere e rileggere la Bibbia Intervista da un’esperienza di Custodia Paolo Trianni intervistato da Elena Bussolotti ed Eugenio Fallarino CAP.3 p.101 Una labile Felicità, Uomo sovrano e Custode in Genesi Eugenio Fallarino CAP.4 p.129 Il simbolo nell’Islam, Considerazioni sulla Custodia nella tradizione Arabo-Musulmana. Enrico Galoppini CAP.5 p.137 La Natura in India. Il Tantrismo. Intervista a Nunzia Coppola
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INTRODUZIONE Nella contemporaneità o post contemporaneità o ipermodernità come i sociologi e gli antropologi ci invitano a considerare la nostra liquida realtà di Nativi Digitali, diventa importante confrontarsi su due temi fondamentali che ci riguardano da vicino, come paradigmi interpretativi che ci possono formare ad una nuova consapevolezza e saggezza. Essi inoltre ci permetterebbero senz’altro di vivere meglio, in un interscambio tra la nostra interiorità ed il mondo intorno a noi, attraversando insieme quello che gli appassionati chiamano salto quantico, fondante un’ Era più felice. I due temi che caratterizzano il presente e dai quali non possiamo più prescindere sono la Natura e poi il Sapere Femminile, in un’ottica di appropriazione sociale di poesia, tenerezza, superamento della povertà intellettuale ed economica. La solidarietà è un sapere storicamente femminile che si è da sempre esercitato all’ombra delle grandi questioni sociopolitiche e che ha rappresentato nonostante la sua sottovalutazione, una risorsa importantissima per il benessere, la sorellanza o fratellanza e il senso comunitario in molte società arcaiche. In questo libro, ascolteremo delle testimonianze che trattano questi diversi temi da parte di alcuni studiosi della contemporaneità: Mario Bolognese con la ricerca sulla Dea Bambina, Enrico Galoppini, esperto di Islam e linguista, Eugenio Fallarino, scrittore con esperienza in Filosofia e Cooperazione in Israele, un’appassionata di Ecologia nelle diverse forme di pratica e meditazione, Paolo Trianni, teologo, Nunzia Coppola esperta di Mondo Indiano, Grazia Francescato, scrittrice e ambientalista, e Alberto Stella, esperto su Aldo Capitini Per me è un onore condividere questo percorso con loro, a cui ho posto quelle domande che da pensatrice antropologico pedagogica mi pongo tutti i giorni per la crescita di mio figlio in un presente difficile e talvolta poco comprensibile.
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PREFAZIONE Per comprendere le Storie delle Civiltà Elena Bussolotti Leggere le culture significa fornirci degli strumenti per interpretarle e creare ponti quotidiani di senso e pratica, come il nostro Papa dice, per essere Custodi di quel “Creato” che in ogni modo ci invita a preservare ed onorare, come buoni operatori di Pace e di Speranza per le nostre generazioni e quelle future. Queste ultime, come dice un proverbio Masai, ci hanno dato in prestito la terra sulla Terra in cui viviamo, per cui diventa incontrovertibile esperienza positiva e creatrice, diventare buoni Ecocittadini (Elvira Tarsitano) e buoni Cittadini terrestri (Alba Naccari). Nello studio delle Culture e delle Controculture contemporanee ci possiamo rendere conto che c’è un filo che unisce Evoluzione ed Elevazione, attraverso la poesia che salva la vita (Daniela Bisutti), l’etica (Aldo Capitini), attraverso ciò che si può chiamare ‘pulizia’ dell’immaginario, che si attua mettendo in pratica la potenza dello stesso, che stimola un’innovazione che nasce da un buon uso dell’antica osservazione (La timidezza delle chiome, Pietro Maroè). Per entrare nel vivo di questi temi, tante sono state le scoperte che ho fatto, come l’elemento, il fatto che nella Sura delle donne del Corano si parla della Donna come Custode del nucleo famigliare, protetta e protetto dall’uomo, ad evidenziarne l’importanza che originariamente essa aveva e con delle caratteristiche spirituali tali da poterla avvicinare al Creatore. Ho scoperto che la tenerezza è una virtù che da Gesù Cristo passa alla paladina Simone Weil ed arriva fino a noi, con testi come quello di Paolo Portoghesi, dal titolo “Il sorriso di Tenerezza” raccontandoci che la vera bellezza la possiamo rintracciare in essa, la quale quindi forse può graziosamente avere delle virtù salvifiche. Ho scoperto che la parola ed il suo universo simbolico possono far nascere emozioni attraverso il senso comune (“Detti e modi dire”, Heritier) che trascendono il senso letterale. È importante allora mettersi a dialogo, anche tra poeti, facendo insieme un nuovo trattato che unisca le genti, come succedeva tra i 13
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Dravidici. Tutto questo mi ha portato a cercare, a ricercare, nel dialogo con gli autori coinvolti, al fine di trovare un nuovo Habitus (P. Bordieu), che ci permetta di realizzare in Terra alcuni di quei sogni che nascono nell’internazionalismo, nella multiculturalità , nel dialogo e nella convivenza pacifica tra le diversità integrate.
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CAPITOLO 1 AVVICINANDOSI ALLA NATURA COME CULTURA A spasso tra Arte, Poesia e Tenerezza Elena Bussolotti Qualunque cosa io ricavi da te, o Terra, possa ricrescere velocemente. E che il mio impeto, o Essere puro, non Ferisca mai i tuoi punti vitali, il tuo cuore, PRITHVI SUKTA, PREGHIERA CONTENUTA NELL’ANTICO TESTO INDIANO ATHARVA VEDA.
(Hymn to the Earth, JaiMaa.org)
[…] E’ dunque poesia Quel possedere Senza possesso Il languido abbandono Che dà al silenzio Echi di tamburo? […] Dammi respiro d’ali Poesia Lascia che voli sogna la densità Terrosa di questo corpo. (A. Melucci, Mongolfiere, Archinto, Milano 2002, pp. 12-15) 15
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LA RELIGIOSITA’ DELLA TERRA
E’ da quando nasciamo che la ricerca di senso ci accompagna nelle nostre gattonate intorno casa, nei giochi in giardino, nelle corse in campi o parchi. Sentiamo nel rapporto con ciò che ci circonda, inconfondibilmente un rapporto religioso con l’esistente: perché esso o essa, la Natura, esisteva prima di noi ed infondo noi siamo, in quanto essa è. Questo è ciò che Duccio Demetrio identifica come Religiosità della terra, e ne parla diffusamente in un libro omonimo che ne sviscera i meandri, la storia, le origini. Egli parla di religiosità prima delle religioni e di fede civile che può unirci tutte e tutti, in uno stesso respiro, pacifico, di preservazione dell’esistente; ciò è doveroso nei confronti di chi alla cura della Terra dedica la quotidianità, come l’operatore agricolo, naturalistico, forestale e nei riguardi dei nostri bambini e bambine che devono poter godere delle stesse nostre esperienze di fratellanza e sorellanza col ‘creato’. Dice Duccio Demetrio La fede civile che qui mi interessa proporre.. è la fede di quanti non siano indifferenti alle sorti del Pianeta.. non posso fare a meno di avvertire l’importanza del fatto che alla Terra dobbiamo molto altro: oltre ai pannelli solari, pale eoliche, leggi di rispetto, movimenti animalisti e no TAV. Alla Terra occorre restituire.. racconti negati, storie interrotte sul nascere, parole ispirate, oltre che all’etica, dalla poetica dell’esistenza. La nostra.. è una fede di carattere sociale e culturale.. chi si riconosca .. in una religiosità naturale, che.. sussumiamo nel concetto di religiosità della Terra pur non aderendo all’una o all’altra fede, è costretto ad ammettere di non essere insensibile a un sentimento particolare di carattere emotivo, non solo riconducibile all’esercizio della riflessione e del ragionamento. (109-110) 16
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E ancora qui le caratteristiche di questa religiosità: E’ una religiosità senza dogmi, senza sacerdoti, senza leggi che non siano quelle osservate, sopportate, accettate o addomesticate della Natura. E’ una religiosità che rinasce in ognuno e si spegnerà nell’ultimo giorno. E’ una religiosità mista al respiro che ci tiene in vita, al sentire di avere ancora un corpo abile o insopportabile, comune con chi condivide la nostra stessa sorte: persona, animale, pianta, clima. E’ una religiosità umilmente umana, primitiva e colta; né bizzarra, né monotona. Si rinnova in ogni istante pur non sapendolo. (Ibidem) Accogliere l’appello della Terra, in nome di una comune fedeltà alle esigenze della stessa significa passare dal simbolo della Terra come Madre a tutti e tutte comune, al simbolo della Terra come Figlia bisognosa di cure, di protezione, di incoraggiamento. La fede cristiana dice che la Natura da sola non salva, che l’umanità e la Natura dipendono entrambe da Dio, in questo la Natura è Sorella, alla quale siamo legati perché vediamo in essa la comune dipendenza dal Creatore. Nella lode a Dio nel creato si incontrano Ebraismo e Cristianesimo, Corano e tradizioni religiose orientali, pensiero filosofico e religioni naturali. Un motivo in più quindi per raccogliere il messaggio planetario che può giungere dall’esercizio di una maggiore attenzione alla religiosità della Terra per un dialogo non soltanto spirituale, ma in grado- grazie anche alle promesse di papa Francesco- di agire contro la miseria dei più poveri e perciò anche contro l’impoverimento e le ingiustizie. (113) 17
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Molti religiosi ci hanno insegnato questa via (da una tradizione mistica ed ascetica pre- francescana e siriaca dei padri del deserto e di alcuni monaci italiani come Eutizio, Benedetto da Norcia, Romualdo, Bonaventura) leggendo la storia dell’universo come librum divinorum operum (Ildegarda di Bingen, Matilde di Magdeburgo, Meister Eckart, Julienne de Norwick, Giovanni della Croce) fino al Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi. Molte le realtà viste con sospetto dalle gerarchie cattoliche, come adamiti, albigesi, catari, gioachimiti. Angelius Silesius sosterrà che l’uomo è pastore universale, ma nel XVIII secolo si assiste ad un irrigidimento verso le ‘mistiche creaturali’ e nel romanticismo si dibatterà tra teismo (Dio è in tutte le cose) e teismo (il mondo è creatura ma non dimora). Josef Sudbrack parla di religione ecologica, ossia un sentimento della vita che diventerà interlocutore del Cristianesimo e, solo attraverso una sintonia con la Natura, l’uomo proverà la libertà e troverà il suo posto nel divenire cosmico. Charles Camming propose il tema dell’eco-spiritualità per far fronte alla sfida ecologica. Tra chi sostiene che la Natura abbia un senso e trovi nell’Essere Umano una saggezza solidale (Vito Mancuso), e chi ritiene che non ci sia una finalità in Natura e che all’Essere Umano è richiesta quindi l’etica nel suo comportamento (Telmo Piovani); tra queste due posizioni va trovata un’alleanza per la Terra, per noi stessi, pena forse, l’apocalisse... All’allontanamento di molti cristiani dalla Natura, Christian Godin contrappone una compassione ecologica, nella ricerca del giardino edenico nel qui e ora, negli atti d’amore verso la Terra, che siano preparatori alla ‘parusia’, ossia al ritorno dell’idea (di Gesù per i cristiani) sulla Terra, poiché la redenzione non potrà che essere cosmica e dare origine ad una Nuova Terra. Papa Francesco dice nella prima omelia del 19 marzo 2013: “..la vocazione del Custodire non riguarda solamente i cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti.. è il Custodire l’intero creato, la bellezza del creato.. è l’aver rispetto per ogni creatura di Dio e 18
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per l’ambiente in cui viviamo.. tutto ciò è affidato alla Custodia dell’uomo ed è una responsabilità che ci riguarda tutti” (126) Dimitrios Arhondonis poco dopo diceva che La crisi ecologica è essenzialmente un problema spirituale.. non possiamo più rimanere indifferenti nei nostri stili di vita avidi ed egoisti. Svuotando e profanando la Terra, stiamo distruggendo la vita stessa. (127, dall’intervista concessa a Marco Ventura. A Gerusalemme per l’unità dei cristiani… Salviamo insieme la terra, in “La Lettura”, Corriere della sera, 30 giugno 2013) Nell’enciclica- lettera Lumen Fidei scritta da papa Francesco e Joseph Ratzinger La fede risveglia il senso critico, in quanto impedisce alla ricerca di essere soddisfatta nelle sue formule e la aiuta a capire che la Natura è sempre più grande. Invitando alla meraviglia davanti al mistero del creato, la fede allarga gli orizzonti della ragione. (129, Jorge Mario Bergoglio, “Lettera enciclica lumen fidei del sommo pontefice ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici sulla fede”, Libreria editrice Vaticana, Centro editoriale Dehoniano, Bologna 2013) Qui si chiude il nostro percorso religioso introduttivo, che però si rende necessario in quanto negli altri capitoli ci verranno offerte delle chiavi di lettura per comprendere le realtà teologiche più influenti nella contemporaneità. Chiudendo questo capitolo, cito Simone Weil e ancora Duccio 19
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Demetrio che, con i loro contributi, riescono a spiegare cosa si intende per Religiosità della Terra e per Pregar Natura anche dal mio punto di vista, in un dialogo tra silenzio e voce che ritroveremo più avanti. L’amore per l’ordine del creato, per la bellezza del creato, è il complemento dell’amore per il prossimo.. con questo amore noi imitiamo l’amore divino che ha creato noi come tutti i nostri simili… per questo occorre che si rinunci alla nostra illusione di essere situati al centro.. significa aprire gli occhi alla realtà, all’eternità, vedere la vera luce, sentire il vero silenzio. Sono parole meravigliose che si trovano in Attesa di Dio, (Simone Weil, 1966, tr.it. Rusconi, Milano, 1991, pag.124) Secondo Demetrio quel silenzio può parlare all’Essere Umano se si mette nella condizione di essere difensore civile della Terra, non solo occupandosi dei problemi relativi alle logiche dissennate del profitto e alle tendenze di sviluppo che vanno contro la nostra salute, ma favorendo i passi per le economie rispettose dell’ambiente, per la qualità e distribuzione equa del cibo.. Questo è alla base di un vivere e convivere etico e civile. Ma potremo onorare la religiosità che ci infonde la Terra come leggendo sotto si evince, con un intervento ancora più capillare e profondo nei suoi confronti. La si protegge anche attraverso la diffusione di una sensibilità culturale ed estetica per la bellezza che ci offre. Il degrado di cui siamo complici, la dissacrazione, le nostre blasfemie a lungo tollerate [...] potranno essere arginati se impareremo ad ascoltarla, a guardarla, a raccoglierne i linguaggi. La religiosità della terra si esprime nel silenzio e con la parola, il racconto, il rispetto e la salvezza 20
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delle storie che la Terra ci consegna, espressione sua e delle culture che l’hanno coltivata nel rispetto e con fatica […] sono storie che dobbiamo restituirle, difendere, arricchire riscoprendo il valore che anima tutte le sensibilità e le arti che della Terra hanno detto, scritto, dipinto, cantato. E’ qui, nelle parole che mai le hanno nociuto esaltandone la bellezza, il mistero, la potenza, l’esempio più prezioso e antico. (Pag. 128) Demetrio dice, inoltre, che tale fede civile si può rintracciare nelle tradizioni umanistiche che hanno saputo guardare sia il cielo, sia la terra, per darle voce, voce che è affidata all’Essere Umano. Egli individua un undicesimo comandamento “Non profanare più la terra invano” e l’eco- narrazione come strumenti di preservazione. Non ci dimentichiamo infatti, che la Terra nasce grazie alla parola, il logos platonico, il verbum latino, nella Genesi, con Adamo che nominò le creature. Dio punì l’Essere Umano, facendoci produrre i frutti con fatica, ma accogliendo e ‘risanando’ Giobbe e Qoelet. Si trova il diluvio nella Cultura greca, con la coppia Deucalione e Pirra che ridettero vigore al Genere Umano gettando delle pietre donate da Gea, che si prende cura della Natura ed è Natura essa stessa. Gea si occupa della polis, in cui fa prosperare la giustizia, in un vivere civile ordinato e festoso. Era levatrice di bambini, profetessa ministra del culto dei morti. Demetra e Persefone rappresenteranno la molteplice natura della Terra. Martin Heidegger in Essere e tempo rivela la Terra come Cura; la Cura è il nostro fondamento esistenziale, antecedente ad ogni situazione dell’esserci e ad ogni fenomeno; è impulso alla vita, un essere avanti a sé, essendo già in essere. Ciò lo troviamo anche nel mito di Igino, di cui vedremo più avanti nel saggio di Eugenio Fallarino. Attraverso esso apprendiamo che l’anima umana appartiene alla Cura, che in latino ha 21
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un doppio significato: di sofferenza o di accudimento, contraddizione apparente che somiglia al nostro passaggio terrestre, che ha in sé dolore e gioia, terra e spirito. Sono questi passaggi culturali fondamentali per la comprensione dell’esistenza, della nostra esistenza storicoculturale sulla Terra, che si può sostanziare ed arricchire con l’Ecologia narrativa, coltivando le Arti povere che ci consentiranno di essere Miti Custodi del presente (Laudato Sì, 2015; Enzo Bianchi) Quali sono i passi di un narratore ecologo? Sulla scia dell’epistemologo Gregory Bateson e dello psicologo Jerome Bruner, attraverso l’eco- narrazione (Pag. 206-208): · Si propone una declinazione più attenta del concetto di logos, che sia anche parola, voce, storia, oltre che racconto o discorso dotato di interna coerenza, soffio creativo e vitale · Si cerca un confronto ed una commistione di codici e linguaggi narrativi ed espressivi diversi · Si accetta la totale libertà creativa che abbia fini ecologici, tenendo saldo il dovere civile del racconto non omologante Nell’arte del silenzio, che è culla di noi stessi e della poesia, e nell’arte del camminare meditabondo, si può riscontrare e ritrovare il nesso che lega la propria interiorità alla Terra, il filo che tesse l’arazzo dell’esistenza, in un’etica dell’attesa che fa entrare il corpo nel tempo, attraverso la carta che diventa altra epidermide. Si può vivere così da cercatori di una Religiosità della Terra, che è illuminante, e che forse ci porta verso quella mitezza che è anticipazione del regno dei cieli (discorso della montagna di Gesù) e della Pace in Terra, tra Natura e Cultura, tra Terra e Umano.
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L’ABITARE Gli umanisti, antropologi, scrittori e filosofi ci hanno parlato di Habitus come rapporto tra l’ Essere Umano ed il Territorio, tra il paesaggio interiore e quello esteriore. Leggiamo insieme qualche autore: Il geografo, scrittore e viaggiatore Eugenio Turri scrive: “L’artificializzazione del mondo può non solo portare all’ oltrepassamento dell’ordine naturale sul piano ecologico, ma anche sul piano psicologico, della sanità mentale, culturale, dell’uomo; con soffocamento dell’Io, e conseguente perdita di ogni iniziativa che possa rinnovare in senso positivo la cultura e l’intero mondo dell’uomo nell’anarchia delle tante opzioni possibili che il futuro ci prospetta”.
Con questo intervento l’autore ci mette difronte alla crisi a cui possiamo andare incontro attraverso un eccesso di intervento nei confronti di ciò che ci circonda; forse si riferisce anche alla rischiosa impossibilità di provare un sentimento ‘panico’ di ricongiungimento alla Natura, che si può provare invece difronte a paesaggi incontaminati, in cui l’occhio può perdersi ancora nell’orizzonte infinito, non costruito. Lo scrittore, saggista, poeta e traduttore Jorge Luis Borges sul paesaggio interiore: “Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, di isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto.” Qui si vuole far riferimento allo specchio che la Natura e la Cultura ci offrono, ma che la nostra responsabilità ci deve 23
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portare a salvaguardare, sempre, con un imperativo categorico che affonda le radici sulla volontà di esistenza, convivenza e amore. L’antropologo Marco Aime: “Guardando la terra dal cielo, se ne vedono le vene d’acqua, le rughe di pietra dei monti, il verde della clorofilla, il blu dei mari. Nessun confine. Il mondo, prima di noi, non ne aveva. Poi quell’idea che diventa roccia, muro, barriera, che segna terra, acqua, aria. Pensiero che incide il terreno, come l’aratro fa con il solco. Quel solco che divise i fratelli di Roma e tante genti a venire.(…)
Grazie a questa citazione comprendiamo quanto ogni separazione sia fittizia e dovuta all’essere umano e quanto diventa importante il Diritto nella condivisione delle terre. Quindi diventa importante comprendere le dinamiche dell’ “abitudine che muove”. Per il filosofo e sociologo Pierre Bordieu l’habitus è un attitudine sociale, trasferibile, duratura ma non statica ed eterna: “In quanto storia fatta natura, [l’habitus] è ciò che conferisce alle pratiche la loro relativa autonomia rispetto alle determinazioni esterne del presente immediato. Questa autonomia è quella del passato, messo in atto e agente che, funzionando come capitale accumulato, produce storia a partire dalla storia e assicura così la permanenza nel cambiamento che rende l’agente individuale un mondo nel mondo.” (Bourdieu 2005 [1980]: 90). “L’habitus si costituisce in relazione a pratiche, conoscenze, abilità legate al territorio. E allora quali sono gli habitus di chi cerca di vivere in modo più armonioso con l’ambiente circostante? Quali le pratiche sostenibili che fanno nascere e crescere nuovi habitat?” 24
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I BISOGNI, L’ETICA E LA NATURA
Per parlare delle pratiche virtuose e sostenibili, è necessario partire dai bisogni dell’Essere Umano, all’interno del Sistema Ambiente, Natura e Mondo. Leggiamo dal Manuale (anche on- line) Manuale di Ecologia, Sostenibilità ed Educazione Ambientale (Autori e curatori Aurelio Angelini , Piergiorgio Pizzuto con Contributi di Claudio Longo, Gianni Mattioli, Massimo Scalia, Edito da Franco Angeli, 2007). Andiamo oltre la Piramide dei Bisogni Primari e Secondari di Maslow per sposare una visione più rispondente alla realtà, quale sembra la rappresentazione di Max- Neef. Qui i bisogni vengono organizzati in due categorie: esistenziali e valoriali. I bisogni esistenziali (essere, avere, fare, interagire) connessi ai bisogni valoriali (sussistenza, protezione, affezione, comprensione, partecipazione, creazione, piacere, identità e libertà) dànno vita ad una matrice che risponde bene all’esigenza di una visione sistemica e complessa. Secondo gli studiosi, nella contemporaneità, il reddito non è sufficiente a garantire le potenzialità di accesso ai vari bisogni dell’uomo. Per Rawls “il reddito e la ricchezza, intesi come mezzi per qualsiasi scopo (dotati di valore di scambio)” non sono i soli beni basilari da considerare. Come fondamento di una piena esistenza vanno intese le “condizioni sociali e mezzi, per qualsiasi scopo di vario tipo necessari, in generale. Questo perché i cittadini possano sviluppare adeguatamente ed esercitare appieno i loro poteri morali e perseguire la propria concezione del bene” Affinché i cittadini abbiano la possibilità di sviluppare appieno le loro potenzialità è necessario che vi siano delle condizioni minime di base che permettano di partecipare alla vita sociale in modo sano ed autonomo. Ognuno ha diritto ad una parte minima di mezzi per soddisfare i propri bisogni ed un minimo livello di qualità della vita. Il problema etico assume così due dimensioni interrelate tra loro: la responsabilità nei confronti della Natura e la responsabilità di garantire ad ogni individuo la possibilità di soddisfare i propri bisogni. La nuova etica infatti, di cui parla Hans Jonas, implica che nuovi imperativi vengano presi in considerazione. Alla luce della sua nuova condizione l’uomo dovrebbe agire in modo 25
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che le conseguenze delle sue azioni siano compatibili con la permanenza della vita umana sulla Terra. Questo nuovo imperativo etico dovrebbe costituire il primo passo di ogni percorso volto verso la sostenibilità. Importantissimo è proprio il cambiamento di paradigma a livello etico che, tramite la materia frontiera dell’etica ambientale, e a partire da essa, si può ottenere nei contesti educativi e comunicativi, al fine anche di costituire Comunità. (Pag. 178) Secondo il celebre studioso W. Sachs del Wuppertal Institute, la giustizia non può essere raggiunta con la diffusione di una illimitata crescita economica, ma ha bisogno del senso del limite ecologico. Non esiste giustizia in questo mondo senza Ecologia, perché altrimenti la Biosfera perderebbe il suo equilibrio. La giustizia riguarda sia la limitazione dell’uso del potere, sia il contenimento dell’uso della Natura. Il nuovo filone di studi che riguarda i risvolti etici del rapporto Uomo-Natura e l’analisi del valore intrinseco del mondo naturale, ha già dato dei frutti importanti. Richard Primack, nel suo bel testo Conservazione della Natura, elenca sinteticamente i principi fondamentali che sorreggono l’etica ambientale. • Tutte le specie hanno ugual diritto di esistere e ciascuna di esse ha di per sé un valore intrinseco non legato ai bisogni umani. • Tutte le specie sono interdipendenti. • L’uomo ha la responsabilità di agire come Custode della Natura. • L’uomo è responsabile verso le generazioni umane future. • Il rispetto per la vita e l’interesse verso i problemi umani sono compatibili con il rispetto della diversità biologica. • La Natura ha un valore estetico e spirituale 26
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che trascende il suo valore economico. • La Biodiversità è necessaria per ricostruire la storia della vita. È evidente che principi etici di tal genere sono molto lontani dai valori della cultura attualmente dominante. Sarà una bella impresa che si diffondano nel tessuto sociale, governato oggi da flussi di informazione che portano avanti la causa della supremazia assoluta dell’uomo su tutte le altre specie, della necessità del singolo individuo di primeggiare a tutti i costi sugli altri e dell’identificazione edonistica nel consumo. Tuttavia oggi nuovi modelli culturali si affacciano all’orizzonte. L’etica ambientale, così come l’etica sociale, rappresentano delle speranze e delle sfide che se, debitamente alimentate e portate avanti, potranno dare un contributo significativo verso una società globale sostenibile. L’ostacolo più grande verso un’equità sociale ed ambientale sembra essere incarnato proprio dal sistema economico, se ci si affida solamente ad esso per generare e distribuire benessere. La convinzione che la crescita economica possa appianare le disparità globali mostra le sue fallacie, infatti a fronte delle crescite del Pil mondiale non si è assistito ad una corrispondente diminuzione delle ‘piaghe’ che impediscono agli uomini di vivere dignitosamente; non ha garantito un corrispondente miglioramento sociale nelle possibilità di far fronte ai vari bisogni. Il senso di responsabilità dell’uomo, ora che comprende anche in ogni senso la Natura, dovrebbe spingere verso una autentica conversione del sistema economico, al fine di riportarlo nei limiti stabiliti dall’ecosfera. Il concetto di giustizia viene così ampliato, e ora riguarda anche le responsabilità dell’uomo nei confronti della Natura. L’economia rappresenta “la mano” con cui l’umanità opera nei confronti dell’ Ecosistema, ed in quanto tale, anch’essa, deve rispondere al principio di responsabilità dell’uomo. (176) Nella comprensione della relazione tra uomo, economia e Natura torna utile rivolgere l’attenzione all’approccio sistemico. 27
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Secondo la Teoria Generale dei Sistemi, l’economia non solo è un sottosistema rispetto al Sistema Natura, ma anche rispetto al sistema sociale. In parole povere è come il gioco delle scatole cinesi: il Sistema Natura, comprende il sistema sociale, che a sua volta comprende quello economico. Il sistema sociale viene visto in questo quadro come un sistema aperto inserito nell’Ecosistema (sistema chiuso) con il quale scambia risorse, rifiuti ed altri servizi. Il sistema economico è compreso nel sistema sociale e gli scambi tra i due riguardano essenzialmente informazioni e conoscenza, secondo quanto afferma Martinez Alier (2002). Il sistema sociale è costituito dalle istituzioni pubbliche, dalle strutture che forniscono servizi pubblici, che assicurano il rispetto del diritto di proprietà e che possono influire sulla distribuzione dei redditi. I frutti del sistema sociale sono le tradizioni, i valori, i modelli etici, le tecnologie e le conoscenze. Compito fondamentale delle istituzioni pubbliche è garantire equità tra i membri della comunità. Tale equità non va intesa soltanto nei termini della ridistribuzione della ricchezza, non va riferita solamente al reddito, ma alla possibilità di soddisfare i bisogni umani nella loro accezione globale. Riassumendo vi è oggi l’urgenza di passare dal modello dell’economia neoclassica al modello dell’economia ecologica sostituendo: • alla visione del sistema economico come mondo indipendente e privo di limiti, la concezione dell’economia come sistema 28
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aperto che è compreso in un sistema, quello naturale, più ampio e chiuso, che ne costituisce il limite; • alla convinzione della sostituibilità dei fattori di produzione, la coscienza della loro complementarietà; • alla visione circolare della creazione del reddito attraverso la produzione, la concezione che vede un flusso lineare di materia ed energia provenire dai sistemi naturali e ritornarvi sotto forma di rifiuti, sempre nel rispetto delle leggi della termodinamica; • alla mancata considerazione dei costi ambientali, la loro internalizzazione nei bilanci economici. In termini applicativi una tale transizione richiede, secondo Daly, quattro passi fondamentali: 1. smettere di contabilizzare il consumo di capitale naturale come produzione di reddito; 2. ridurre le tasse sul lavoro e sul reddito, e aumentare quelle sul consumo di risorse naturali; 3. massimizzare la produttività del capitale naturale nel breve periodo, e investire per aumentare l’offerta nel lungo periodo; 4. allontanarsi dall’ideologia dell’integrazione economica globale guidata dal libero scambio, dalla libera mobilità dei capitali e della crescita trainata dalle esportazioni, e muoversi invece verso un’ottica più nazionalista che tenti di sviluppare la produzione interna per il mercato interno come prima opzione, lasciando il ricorso al commercio internazionale solo per i casi in cui è davvero molto più efficiente. “Il globalismo cosmopolita indebolisce i 29
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confini nazionali e sub-nazionali, mentre rafforza il potere relativo delle multinazionali. Poiché non vi è alcuna forma di governo mondiale in grado di regolamentare il capitale globale nell’interesse di tutti, e poiché sia la desiderabilità che la fattibilità di un governo mondiale sono altamente incerti, sarà necessario rendere il capitale meno globale e più nazionale. […] La ‘competitività globale’ riflette non tanto un aumento reale nella produttività delle risorse quanto una concorrenza verso il basso alla riduzione dei salari, all’esternalizzazione dei costi sociali e ambientali, e all’esportazione di capitale naturale a basso prezzo che viene contabilizzata come reddito”.
IL RUOLO FONDAMENTALE DELL’EDUCAZIONE AMBIENTALE Come possiamo incidere a livello culturale nell’Istruzione? Leggiamo insieme alcuni brani del Manuale su citato. Sull’Educazione Ambientale troviamo: La data di nascita dell’EA a livello internazionale è senza dubbio il 1972, anno della nota Conferenza di Stoccolma. L’inizio degli anni settanta sono caratterizzati dal diffondersi di preoccupazioni relative allo stato dell’ambiente, sono di questi anni infatti le pubblicazioni del Club di Roma e il celeberrimo rapporto sui “Limiti dello Sviluppo” (Meadows, 1972). La particolarità di questo momento è dovuta al fatto che la super crescita economica e tecnologica che ha avuto inizio nel dopoguerra incomincia a far vedere i suoi frutti in termini di degrado ambientale. 30
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Dall’altro lato lo smantellamento del sistema coloniale porta alla luce l’enorme divario di sviluppo che separa i paesi occidentali dal sud del pianeta. Il problema che si affaccia per la prima volta sullo schermo della politica internazionale è come fermare il degrado ambientale causato dalle superpotenze mondiali e come portare lo sviluppo economico nei paesi in cui la gente rischia di morire di fame. Gli obiettivi che vengono proclamati a Stoccolma parlano di “Pace e sviluppo economico e sociale in tutto il mondo” e di “difesa e miglioramento dell’ambiente umano per le generazioni presenti e future”. Viene redatto un Piano di Azione che si prefigge di raggiungere gli obiettivi di cui sopra avvalendosi dell’educazione ambientale come strumento rivolto a giovani ed adulti, essenziale per ampliare la base di un’opinione informativa e per inculcare negli individui, nelle società e nelle collettività il senso di responsabilità. Il documento esprime fiducia nell’umanità. È diffusa la convinzione che tramite le conoscenze e le tecnologie acquisite, la forza del mercato e della società, sia possibile risolvere il problema e determinare un cambiamento dei comportamenti nella direzione della protezione della Natura e dell’ambiente. L’educazione ambientale nasce nel panorama internazionale come educazione alla conservazione. È questo il primo gradino: rendersi conto delle conseguenze negative dello sviluppo economico incontrollato e dell’uso indiscriminato delle risorse e lanciare l’allarme per la conservazione. Non 31
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viene messo minimamente in dubbio il modello di sviluppo o gli elevati livelli della crescita. Il problema ambientale è una questione di gestione razionale delle risorse. Basterà gestire oculatamente le risorse e alfabetizzare le masse ai problemi ambientali per mettere un freno al degrado ed alla distruzione della Natura. Nel 1975 l’Unesco e l’Unep avviano un Programma Internazionale di Educazione Ambientale decennale, ottemperando alle indicazioni espresse nel Piano di Azione. L’obiettivo è lo scambio di esperienze, di idee e di programmi educativi, e l’implementazione della ricerca e della formazione nel campo dell’EA a livello internazionale. A tal fine vengono organizzate due iniziative fondamentali: il Seminario di Belgrado nel 1975 e la Conferenza di Tblisi nel 1977. (United Nations, Declaration of the United Nations Conference on the Human Environmental, Stockholm, 1972. Pag 230) Vediamo poi che nel tempo la definizione di Educazione Ambientale si è evoluta e dobbiamo renderci conto del fatto che in un mondo in cui l’umanità avesse seguito la saggezza ecologica non servirebbe. Essa è nata come rimedio per contrastare un danno; è sorta dalle macerie di un rapporto corroso tra uomo e ambiente con lo scopo di ricostruirne un ponte. Una delle prime definizioni la dobbiamo alla Iucn (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) ed è datata 1970: “L’ educazione ambientale è il processo di riconoscimento dei valori e di chiarimento dei concetti in ordine allo sviluppo di capacità ed attitudini necessarie per capire ed apprezzare le interrelazioni tra l’uomo, la sua 32
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cultura e l’ambiente biofisico che lo circonda. L’educazione ambientale coinvolge i processi decisionali e la formazione di un codice di comportamento per il raggiungimento degli obiettivi della qualità ambientale”.
Sette anni più tardi abbiamo la visione dell’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’Educazione e la Cultura, secondo cui il compito dell’educazione ambientale è: “Promuovere una chiara consapevolezza nonché l’interesse sull’interdipendenza economica, sociale, politica ed ecologica nelle aree urbane e rurali. Fornire a tutti l’opportunità di acquisire le conoscenze, i valori, le attitudini, l’impegno e le capacità necessarie per proteggere e migliorare
l’ambiente. Creare nuovi schemi di comportamento verso l’ambiente nei singoli, nei gruppi e nella società in generale”.
Entrambe le definizioni sottolineano l’importanza di prendere coscienza dell’interdipendenza che lega i sistemi umani (cultura, economia e società) a quelli naturali e c’è l’invito ad un cambiamento di comportamenti. Dopo un venti anni di attività la Commissione Educazione della Iucn così prova a ridefinire l’educazione ambientale in base all’esperienza maturata: “L’educazione ambientale è un processo per mezzo del quale gli individui acquisiscono consapevolezza ed attenzione verso il loro ambiente; acquisiscono e scambiano conoscenze, valori, attitudini, esperienze, come anche la determinazione e la motivazione che li metterà in grado di agire, individualmente o collettivamente, per risolvere i problemi attuali e futuri dell’ambiente”. 33
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C’è uno sguardo più orientato al futuro e gli attori sono parti integranti del processo. L’educazione ambientale in questa rinnovata visione dell’Iucn risalente al 1993 è presentata come uno strumento epistemologico che ci interessa esaminare. Ed ecco quindi accenni sul percorso di ricerca dell’Educazione Ambientale: dagli anni ’90 c’è stata una grande sperimentazione di esperienze, con diversi attori e in differenti contesti. Hanno partecipato le scuole di ogni ordine e grado, il terzo settore con le Associazioni ambientaliste e le Ong, alcuni movimenti politici, gli Enti locali, i Parchi e le Aree Protette, le agenzie internazionali (Unesco, Unep, Undp, OCDE, Ocse, Fao, OMS, UNCTAD…), le Università… Il panorama è vario ma in ambito nazionale Giovanni Borgarello descrive il quadro poliedrico che ne scaturisce, riconducendo le differenze di approcci e metodi a 6 modelli principali: la ricerca d’ambiente, la didattica naturalistica, l’educazione ecologica, il modello etico-normativo, il modello disciplinarista e infine quello dialogico. Ne possiamo ottenere una nuova definizione per l’Educazione Ambientale: “La capacità di portare ed esplorare problemi relativi a questioni strategiche per la nostra società, in cui è coinvolta la dimensione educativa, per costruire un presente ed un futuro sostenibili.”
La materia ci porta a: • Comprendere sempre più e sempre meglio le dinamiche di costruzione della conoscenza connesse ai tentativi di sostenibilità territoriale, le condizioni che le favoriscono e sostengono, gli ostacoli che incontrano. • Inserire gli interventi educativi in una logica di longlife learning. • Sviluppare metodologie e saperi congruenti rispetto agli esiti scientifici ed epistemologici e, in particolare, delle scienze della complessità. 34
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• Ricercare coerenze tra contenuti e modalità delle agenzie educative e – dei percorsi educativi ovunque essi si sviluppino – con i tentativi di costruzione di una società sostenibile. • Costruire un sistema educativo/formativo diffuso ed integrato, in cui la scuola mantiene una forte ma non esclusiva importanza. • L’integrazione strategica delle azioni educative in tutte le politiche settoriali, che a loro volta dovrebbero essere concepite e trattate in modo integrato. • Sviluppare una ricerca su come mettere in rete in modo sempre più effettivo ed efficace i soggetti e le esperienze di ricerca educativa, e su come sviluppare una comunità di pratica e di ricerca. IL DIRITTO In questo frangente diventa naturale rivolgere lo sguardo e alcuni interrogativi rispetto al fronte dei Diritti poiché oggi sappiamo che molte città e cittadine portano avanti esperienze di orti condivisi o di orti in gestione, con effetti importanti sulla salute ed il Bene Pubblico, sui processi di apprendimento, sulle monete complementari, la prestazione d’opera e in un certo senso anche su quella che può essere definita Sovranità Alimentare. Ciò costituisce un passo verso l’indipendenza dalle Multinazionali dell’Industria Agroalimentare, che non rispettano la Biodiversità, la Località e che spesso sono all’origine della penuria alimentare di popolazioni sulla soglia della Povertà. Leggiamo quindi dei passi di un report sul Diritto alla terra (da Scheda “Diritto alla terra” di Unimondo: www.unimondo. org/Guide/Sviluppo/Diritto-alla-terra.) Sulla Fame:”Tre quarti degli 852 milioni di uomini e donne che soffrono la fame si trovano in aree rurali e dipendono dall’agricoltura per la propria sopravvivenza. Si tratta per lo più di contadini senza terra o con possedimenti così piccoli e così poco produttivi da non permettere di provvedere al 35
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sostentamento delle famiglie”. Il diritto alla terra è un diritto individuale e allo stesso tempo collettivo. Per i popoli indigeni la terra non assicura solo nutrimento e sopravvivenza economica, ma esemplifica una visione del mondo, retaggio dei loro antenati: rappresenta la Cultura stessa. Fra i diritti correlati vi sono anche il diritto alle risorse naturali (acqua, alberi, vita animale, risorse del suolo), alla sussistenza e al lavoro, alla libertà di movimento e di residenza, a non essere arbitrariamente privati di una proprietà, alla non discriminazione e all’eguaglianza di genere. Il diritto alla proprietà ha trovato riconoscimento in diversi documenti internazionali. L’articolo 17 della Dichiarazione dei diritti umani riconosce il diritto di ognuno a possedere una proprietà, da solo o in associazione con altri, e che nessuno deve essere arbitrariamente privato di questa. Oltre all’articolo 16 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, anche l’articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali riconosce un diritto universale all’abitazione e un miglioramento continuo delle condizioni di vita. Donne, popoli indigeni, pastori, lavoratori disoccupati e migranti sono i gruppi più a rischio per quanto concerne l’accesso alla terra e alle risorse naturali, sotto la spinta delle forze del mercato e di processi di acquisizione. “Le donne producono fra il 60 e l’80% del cibo nella maggior parte dei paesi del Sud del mondo, ma possiedono meno del 2% della terra”. “È oggi riconosciuto che diritti alla terra e alla proprietà sicuri per tutti sono essenziali nella riduzione della povertà, perché puntellano sviluppo economico e inclusione sociale – spiega Anna Kajumulo Tibaijuka, direttore esecutivo del Programma degli insediamenti umani delle Nazioni Unite (UNHABITAT) - . …stimolano le persone 36
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nelle aree rurali e urbane a investire in abitazioni e condizioni di vita migliori. Aiutano anche a promuovere una buona gestione ambientale, migliorano la sicurezza alimentare e influiscono direttamente nella realizzazione di diritti umani, inclusa l’eliminazione della discriminazione contro donne, gruppi indigeni e altre minoranze. … Oggi, in ogni caso, le risorse della terra affrontano diverse pressioni e richieste come mai prima e i paesi in via di sviluppo ancora mancano degli strumenti, le strategie sistematiche e il supporto necessari per garantire sicuri diritti alla terra per tutti”. Un’articolazione più completa del diritto alla terra si può rintracciare nella Conferenza delle Nazioni Unite sugli insediamenti umani (Habitat I), tenuta a Vancouver nel 1976. In particolare il Report della conferenza nel preambolo dice: “La terra non può essere minacciata come un bene comune, controllato da individui e sottoposta alle pressioni e le inefficienze del mercato. La proprietà privata di terra è anche uno strumento importante dell’accumulazione e la concentrazione di ricchezza e perciò contribuisce all’ingiustizia sociale; se non controllato, può divenire un ostacolo notevole nella pianificazione e la realizzazione di schemi di sviluppo. L’offerta di abitazioni decenti e condizioni sane per le persone può essere raggiunto solo se la terra è utilizzata nell’interesse della società intera”. Il diritto alla terra è fondamentale infine per il raggiungimento di più Obiettivi del Millennio: garantisce fondamenta sicure per la sopravvivenza, opportunità economiche e sostentamento alimentare per “sradicare povertà e fame” (n.1); 37
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è fondamentale per la discriminazione di genere (n.3); è fondamentale per la tutela e sostenibilità ambientale (n.7); ha un ruolo decisivo nella creazione di partnership in molti paesi (n.8). Voglio ricordare che esiste un interessante documento che si chiama Carta della Terra. La Carta della Terra è una dichiarazione di principi etici fondamentali di respiro internazionale, che si propone attraverso l’impegno quotidiano delle organizzazioni che l’hanno sottoscritta (e che rappresentano milioni di persone) di costruire una giusta, sostenibile e pacifica società globale nel nostro secolo. Redatta sulla base di un processo di consultazione globale la Carta: “ha lo scopo di ispirare in tutti i popoli un senso di interdipendenza globale e di responsabilità condivisa per il benessere di tutta la famiglia umana, della grande comunità della vita e delle generazioni future”. Ci appella all’Umanità per promuovere una collaborazione globale in una svolta critica della storia. Questa visione etica suggerisce che la protezione dell’ambiente, dei diritti umani, la promozione dello sviluppo umano equo e la Pace sono basici, e che essi sono interdipendenti ed indivisibili. La Carta è promossa dall’organizzazione non governativa Earth Charter Initiative. La Carta della Terra nacque nel 1987, quando la Commissione mondiale delle Nazioni Unite su Sviluppo e Ambiente raccomandò la stesura di una nuova Carta che fosse da faro e guida per la transizione verso lo sviluppo sostenibile. Nel 1992, durante il Summit della Terra di Rio de Janeiro, l’allora Segretario Generale Boutros Boutros- Ghali ribadì l’importanza della stesura della Carta. Nel 1994, Maurice Strong e Mikhail Gorbachev ‘rilanciarono’ la Carta della Terra come iniziativa della società civile, con l’ausilio del governo olandese. La stesura avvenne in una modalità di consultazione mondiale durata 6 anni (1994-2000), sotto la supervisione 38
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di una Commissione Carta della Terra. Il testo finale venne approvato nel marzo 2000 durante il meeting internazionale della Commissione della Terra presso il quartier generale dell’ UNESCO, a Parigi. La presentazione fu celebrata al Palazzo della Pace dell’Aia (Paesi Bassi). Il documento è diviso in sezioni (definiti pilastri) che enunciano 16 princìpi fondamentali (contenenti a loro volta 61 articoli). Il documento si apre con questo preambolo: “Ci troviamo ad una svolta critica nella storia della Terra, in un momento in cui l’umanità deve scegliere il suo futuro. A mano a mano che il mondo diventa sempre più interdipendente e fragile, il futuro riserva allo stesso tempo grandi pericoli e grandi opportunità. Per progredire, dobbiamo riconoscere che, pur tra tanta straordinaria diversità di culture e di forme di vita, siamo un’unica famiglia umana e un’unica comunità terrestre con un destino comune. Dobbiamo unirci per costruire una società globale sostenibile fondata sul rispetto per la Natura, i diritti umani universali, la giustizia economica ed una cultura di Pace. A questo scopo, è imperativo che noi tutti, popoli della Terra, dichiariamo le nostre responsabilità gli uni verso gli altri, nei confronti della grande comunità degli esseri viventi e delle generazioni future. ” Vediamo in una versione sintetica la Carta. I 4 pilastri ed i 16 princìpi della Carta della Terra sono di seguito sottolineati: I.Rispetto e cura per la Comunità della Vita 1. Rispetta la Terra e la vita, in tutta la sua diversità. 2. Prenditi cura della comunità vivente con comprensione, compassione e amore. 39
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3. Costruisci società democratiche che siano giuste, partecipative, sostenibili e pacifiche. 4. Tutela i doni e la bellezza della Terra per le generazioni presenti e future. II. Integrità Ecologica 5. Proteggi e restaura l’integrità dei sistemi ecologici terrestri, con speciale riguardo alla diversità biologica ed ai processi naturali che sostentano la vita. 6. Previeni il danno come migliore misura di protezione ambientale e, quando le conoscenze sono limitate, sii cauto. 7. Adotta sistemi di produzione, consumo e riproduzione che conservino la capacità rigenerativa della Terra, i diritti umani e il benessere delle comunità. 8. Sviluppa lo studio della sostenibilità ecologica e promuovi il libero scambio e l’applicazione diffusa delle conoscenze così acquisite. III. Giustizia Economica e Sociale 9. Elimina la povertà: un imperativo etico, sociale ed ambientale. 10. Assicurati che le attività economiche e le istituzioni promuovano a tutti i livelli lo sviluppo umano in modo equo e sostenibile. a.Promuovi l’equa distribuzione della ricchezza all’interno delle nazioni e tra le nazioni. b. Accresci le risorse intellettuali, finanziarie, tecniche e sociali a disposizione dei Paesi in via di Sviluppo, liberandoli dall’oneroso Debito internazionale. c. Assicurati che il commercio promuova un uso sostenibile delle risorse, la tutela dell’ambiente e standard di lavoro ottimali. d. Richiedi alle corporazioni multinazionali e alle organizzazioni finanziarie 40
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internazionali di agire in modo trasparente per il bene comune e chiamale a rispondere delle conseguenze delle loro attività. 11. Afferma l’uguaglianza tra i sessi e la giustizia come essenziali per lo sviluppo sostenibile e garantisci l’accesso universale all’istruzione, all’assistenza sanitaria e alle opportunità economiche. 12. Sostieni senza alcuna discriminazione i diritti di tutti a un ambiente naturale e sociale capace di sostenere la dignità umana, la salute fisica e il benessere spirituale, con speciale riguardo per i diritti delle popolazioni indigene e delle minoranze. IV. Democrazia, Non Violenza e Pace 13. Rafforza le istituzioni democratiche a tutti i livelli e garantisci trasparenza e responsabilità a livello amministrativo, compresa la partecipazione ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia. 14. Integra nell’istruzione formale e nella formazione permanente le conoscenze, i valori e le capacità necessarie per un modo di vivere sostenibile. 15. Tratta ogni essere vivente con rispetto e considerazione. 16. Promuovi una cultura della tolleranza, della Non violenza e della Pace. La Carta termina con una conclusione intitolata “Uno sguardo al futuro”, ben esemplificata da questa frase. Possa la nostra epoca essere ricordata per il risveglio di una nuova riverenza per la vita, per la risolutezza nel raggiungere la sostenibilità, per l’accelerazione della lotta per la Giustizia e la Pace, e per la gioiosa Celebrazione della Vita. 41
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Una cosa interessante è che una copia del documento venne simbolicamente posta in un’ “Arca della Speranza”, un progetto indipendente dell’artista statunitense Sally Linder. Nel suo materiale informativo, Earth Charter International (ECI), l’organizzazione responsabile della promozione della Carta, afferma che il documento rispetta ed include ogni tradizione e religione, che è una dichiarazione di valori etici comuni per la sostenibilità, che riconosce le responsabilità condivise dell’umanità nei confronti della Terra e del Bene Comune. Penso che sia stato importante segnalare il fatto che i Diritti ci sono, ma che la Società Civile spesso non riesce ad esserne informata e che sarebbe dovere delle Istituzioni muoversi in questa direzione, non dimenticando la Storia e rispettando il Bene delle Generazioni Future. Per definire le linee guida che dovremmo seguire per riappropriarci di uno stato di diritto che ci è sfuggito di mano, ma che è alla base della convivenza pacifica e del Buen Vivir nostro e delle donne e degli uomini che verranno, su una Terra sana e giusta; anticipiamo qua il decalogo che il Nobel della Pace Vandana Shiva ha delineato per una corretta pratica del giusto procedere in una Democrazia della Terra. (pensiero che approfondiremo più avanti), 1. La democrazia della vita di tutte le specie Siamo tutti membri della comunità terrestre. Abbiamo tutti il dovere di difendere i diritti e il benessere di tutte le specie e di tutti i popoli. Gli esseri umani non hanno il diritto di abusare dello spazio ecologico di altre specie e di altri popoli, o di trattarli con crudeltà e violenza. 2. Il valore intrinseco di tutte le specie Tutte le specie, gli umani, le culture e il pianeta hanno un valore intrinseco. Sono soggetti, non oggetti da manipolare o di cui appropriarsi. Gli umani non hanno il diritto di appropriarsi di altre specie, di altri popoli o della conoscenza di altre culture mediante brevetti, diritti di proprietà intellettuale, o in ogni altro modo. 42
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3. La diversità in Natura e nella Cultura Difendere la diversità biologica e culturale è compito di tutti noi. La diversità è di per se stessa un fine, un valore, una fonte di ricchezza sia materiale che culturale. 4. I diritti naturali alla sussistenza Tutti i membri della comunità terrestre, inclusi gli umani, hanno diritto alla sussistenza – al cibo e all’acqua, ad un habitat sano e pulito, alla sicurezza dello spazio ecologico. Questi diritti sono diritti naturali; […]. Non sono concessi dagli stati o dalle multinazionali, e non possono essere estinti da uno stato o da una multinazionale. 5. L’economia della Terra La democrazia della Terra si basa sulla democrazia economica. Nella democrazia della Terra i sistemi economici proteggono gli ecosistemi e la loro integrità, proteggono i mezzi di sussistenza delle persone, e provvedono ai bisogni essenziali di tutti gli esseri. […] 6. Le economie locali La conservazione delle risorse della Terra e la creazione di adeguati e soddisfacenti mezzi di sussistenza si realizza molto più agevolmente, creativamente, efficientemente ed equamente a livello locale. La localizzazione dell’economia è un imperativo sociale ed ecologico. 7. La democrazia vivente La democrazia della Terra si fonda sulla democrazia locale vivente, dove le comunità locali sono organizzate in base al principio dell’inclusione, della diversità e della responsabilità sociale ed esercitano la più alta autorità sulle decisioni riguardanti l’ambiente, le risorse naturali, la sostenibilità e i mezzi di sussistenza delle persone. […] 43
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8. La conoscenza vivente La democrazia della Terra è basata su sistemi di conoscenza che hanno al loro centro la Terra e la comunità. […] La conoscenza vivente è un bene comune: appartiene collettivamente alla comunità che la crea e la mantiene in vita generazione dopo generazione. 9. Bilanciare i diritti con le responsabilità Nella democrazia della Terra i diritti derivano e sono bilanciati dalle responsabilità. Quelli su cui ricadono le conseguenze delle decisioni e delle azioni, sono anch’essi soggetti che decidono. 10. Globalizzare la cura e la compassione La democrazia della Terra collega le persone in circuiti di cura, di cooperazione e di compassione anziché dividerle con la competizione, il controllo e il conflitto. La democrazia della Terra globalizza la compassione, non l’avidità; la Pace, non la guerra. E i Popoli Indigeni? Liberamente tratto da https://www.dirittiglobali.it/sezione/notizie/ I popoli indigeni da millenni hanno vissuto in piena armonia e simbiosi con la Natura, nei diversi Ecosistemi: dalle selve tropicali, ai geli artici, dagli altipiani ai deserti, sono stati i veri “Custodi della Terra”, da cui traggono sostentamento fisico e spirituale. Per questi popoli, la terra e la vita umana sono indissolubilmente connesse, Gaia è dimora degli antenati, fonte di cibo e riparo, eredità custodita per i discendenti. Anche il Mondo Umano presenta il rischio di estinzione: ci sono anche popoli, culture e civiltà in pericolo. Sono formati da oltre 300 milioni di persone che abitano 70 Paesi, e parlano oltre 5.000 lingue. I popoli indigeni riconosciuti dalle Nazioni Unite sono più del 4% della popolazione mondiale, ma rappresentano il 90% della “diversità culturale” del Pianeta; 44
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per la maggioranza vivono in Asia, America Latina, Africa e Oceania. La Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite li ha definiti nel 1982: “comunità, popoli e nazioni indigene […] che, avendo una continuità storica con società precoloniali che si svilupparono sui loro territori prima delle invasioni, si considerano distinti dagli altri settori della società che ora sono predominanti su quei territori, o su parti di essi. Gli stessi formano settori non dominanti della società e sono determinati a preservare, sviluppare e trasmettere alle future generazioni i loro territori ancestrali e la loro identità etnica quali basi della loro esistenza come popolo, in accordo con i propri modelli, istituzioni sociali e sistemi legislativi”. E’ una popolazione che ha subito l’espansione coloniale europea e talvolta è stata vittima di veri genocidi, perdendo quasi tutti i territori, riducendosi a vivere al margine delle nuove società. Emarginate e discriminate, queste comunità vedono calpestati i propri diritti, non solo quello alla terra: sono sfruttate come mano d’opera a basso costo oppure rinchiuse in riserve, obbligate a trasferirsi quando nel loro territorio si scoprono ricchezze e risorse. La lotta per il riconoscimento dei diritti dei popoli autoctoni si rivolse alla Società delle Nazioni nel 1923, con il capo indiano Deskaheh che chiedeva l’ingresso della Confederazione delle Sei Nazioni Irochesi fra i membri dell’organizzazione. Nei principali documenti del diritto internazionale, come la Carta delle Nazioni Unite del 1945 o la Dichiarazione dei Diritti Umani del 1948, gli indigeni non figurano, perché come collettività inscindibile dal territorio, rappresentava una categoria difficile da trattare per il diritto internazionale. 45
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L’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) definisce con la Convenzione 107 sulla protezione e l’Integrazione dei popoli indigeni, tribali e semitribali, il diritto di ogni popolo alla terra e alla proprietà collettiva. Si avvicendano negli anni ‘60 e ‘70 congressi pan-indigeni, come il Consiglio internazionale dei trattati indiani (IITC) e il Consiglio mondiale dei popoli indigeni, fino ad ottenere nel 1977 grandi risultati, quando quest’ultimo Consiglio mondiale dei popoli indigeni ottiene valore consultivo presso l’Onu. Quindi nascono il Gruppo di Lavoro sui Popoli Indigeni e, poco tempo dopo, la Commissione per la Prevenzione della Discriminazione e la Protezione delle Minoranze. Nel 1989, con l’adozione, da parte dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, della Convenzione 169, si vedono riconosciuti i Diritti alla terra, con l’obbligo di consultazione delle comunità indigene ogni volta che vengano varati progetti con un impatto sulle loro vite. La Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni, entrata in vigore il 13 settembre 2007, sancisce i diritti dei popoli indigeni alla proprietà della terra, e la necessità di consultazione e consenso per l’allontanamento dai loro territori. Si riconosce il contributo di tali culture, conoscenze e costumi, allo sviluppo sostenibile e alla protezione dell’ambiente. “Un passo storico - riconosce l’Associazione per i popoli minacciati (APM) - perché “per la prima volta verranno riconosciuti esplicitamente anche i diritti collettivi dei popoli indigeni”. ALDO CAPITINI: EDUCAZIONE E DIRITTO A proposito del tema dei Diritti diventa necessario, oggi che celebriamo i 50 anni dalla morte di Aldo Capitini, fare riferimento all’impegno del nostro grande pacifista attivista e pensatore. Con la sua esperienza di animazione antifascista fra i giovani tra il 1932 e il 1942 e con i Centri di Orientamento Sociale dal 1944 si inserisce in un percorso di formazione “filantropologica” (filantropica e tesa al cambiamento dei paradigmi) che si snoda in tutta Italia: dalla scuola di Barbiana di Lorenzo Milani, all’esperienza di Danilo Dolci di sviluppo della realtà di Partinico, dalla Scuola- città Pestalozzi 46
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di Ernesto Codignola, al Centro Educativo Italo-Svizzero di Rimini. Negli anni Cinquanta del Novecento, Capitini sviluppa una riflessione sull’educazione caratterizzata dai seguenti principi: -l’educazione come strumento di «tramutazione», ossia di trasformazione sociale; -i principi di un’educazione aperta, ‘profetica’ e nonviolenta; -l’educazione degli adulti come luogo di costruzione delle basi culturali per un’efficace partecipazione democratica, il controllo dal basso e la costruzione di una cultura della «Nonviolenza»; -lo sviluppo di un’Educazione alla Cittadinanza e alla Pace; -le proposte per una Scuola Pubblica e Laica (in senso lato). Al termine «rivoluzione» e a quello di «liberazione», Capitini preferisce quello di «tramutazione», che li comprende entrambi, sottolineando che il cambiamento della realtà richiede azioni educative volte all’acquisizione di una coscienza nuova nel soggetto. Il nesso tra educazione e politica caratterizza tutta la riflessione di Capitini, che è sempre orientata alla prassi: in tale legame è centrale il concetto di «omnicrazia», il potere di tutti e tutte. L’omnicrazia deve prender corpo anche nella capacità di impedire dal basso le oppressioni e gli sfruttamenti; ma questa capacità delle moltitudini ha il suo collaudo nel rifiuto della guerra, intimando un altro corso alla storia del mondo. Promuove con la sua attività spazi di partecipazione democratica diretta, un’azione pedagogica tesa all’orientamento dei cittadini, per un miglioramento dell’amministrazione e della vita quotidiana. Si tratta di uno strumento di rinascita democratica della società, con la partecipazione attiva dei cittadini, ovvero con una prospettiva di cittadinanza attiva, di formazione alla solidarietà e alla democrazia. Al COS le persone apprendono 47
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ad esercitare i propri diritti, con il motto di «ascoltare e parlare»: in un principio dialogico di consapevolezza sociale, di creatività dal basso di valori adulti, non «paternalistica» [Paternalismo, da un termine del sec. XX; dall’inglese paternalism, da paternal, paterno]. L’atteggiamento che caratterizza questa ‘posa del pensiero e modus vivendi socioculturale’, secondo il quale i governanti attuano una politica che, pur tendendo “con paterna sollecitudine” al progresso e al benessere dei governati, non li considera però capaci di perseguire tali fini in modo autonomo, perché: «molta speranza si può mettere nel lavoro di educazione degli adulti, se il metodo è di partecipazione, non di elargizione». Al partito, che ha l’obiettivo della conquista del potere, Capitini contrappone il «centro», che è comunitario e aperto a tutti; promuove assemblee deliberanti o consultive in tutta la periferia (rispetto al Parlamento), ribadisce che l’elettore e l’elettrice hanno in mano comunque il mezzo del consenso e del dissenso. Considera il concetto di partito come accentratore e crede di «vedere realizzato meglio nel Movimento quel carattere di integrazione, aperta ad un rinnovamento profondo che coinvolgesse le moltitudini, e si esprimesse in larghe azioni per la Scuola, per la Pace, per l’organizzazione delle donne, per il lavoro sindacale e cooperativo».
Gli spazi di educazione degli adulti divengono contesti in grado di rinnovare le strutture sociali: «La presenza di un centro modifica già la struttura sociale, che non è più composta di persone aventi un potere e di persone che non lo hanno: un centro che attua l’apertura nonviolenta mostra che è possibile avere un potere, senza bisogno di sostenerlo con la violenza». 48
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Auspica quindi: -la «lettura» dei bisogni dei cittadini, per poter fornire adeguate risposte; -lo studio di forme di trasformazione sociale, orientate dai princìpi di Giustizia sociale e di Nonviolenza, mediante la formazione di un pensiero «critico». Cerca una democrazia non rappresentativa, ma partecipata. Come Ivan Illich, fa appello ad un nuovo principio di cittadinanza che si è esplicata nei movimenti dei forum sociali, che identificano una dialettica tra esperienza territoriale e pensiero politico. Sono strumenti di liberazione etici, religiosi, sociali, a partire da un imprescindibile e radicale rifiuto delle strutture ingiuste nella società. Consideriamo ad esempio che «Se dopo l’uccisione di Matteotti l’Italia avesse avuto decine di migliaia di COS nelle città, nelle cittadine, nei villaggi, non sarebbe stato facile spegnere la libertà, o il popolo si sarebbe accorto di ciò che gli si toglieva».
ALBA NACCARI: LA CITTADINANZA TERRESTRE Alba Naccari in ‘Educazione Permanente e Cittadinanza Attiva’ parlando anche dell’illustre Aldo Capitini e della felice esperienza dei COS, continua poi ad addentrarsi nel tema della Cittadinanza e in particolare definisce Cittadinanza Terrestre, seguendo una lettura di Edgar Morin, la consapevolezza e la responsabilità di essere parte di un sistema ecologico che dobbiamo contribuire a far rimanere permanente, in eredità degli anziani, ma anche a prestito dai giovani, le future generazioni. La consapevolezza ci dice Alba Naccari, la consapevolezza della Cittadinanza Terrestre coinvolge insieme al sistema Terra- Natura, quello Terra- Cultura- Esseri- Umani- Tutti/e. 49
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Afferma questo legame importantissimo Alba dopo aver parlato concretamente anche di ipotetici bilanci partecipativi facilitati, che possono assolvere importanti compiti educativi e contribuire al tirocinio sociale, perché, riprendendo Bailey, la realtà soggettiva dell’esserci del singolo e la realtà oggettiva della cosa pubblica devono svilupparsi di pari passo per arrivare all’interezza del vivere armonioso. Così si possono far sviluppare i sensi sociali (Mollo, Dewey, filosofi e pedagogisti), tenendo a mente il percorso metodologico qui di seguito. Ci sono tre dimensioni da poter considerare: il consolidamento dell’individualità, grazie allo sviluppo del senso di appartenenza; poi l’amplificazione della soggettività, come consapevolezza interiore di condividere i significati dell’umanità intera; e la dilatazione del senso di responsabilità nella dialettica con la libertà individuale. Questo nella compresenza con il Tutto, come dice Aldo Capitini. Si tratta di sperimentare la percezione ampia del senso d’Umanità che c’è in ognuno e in tutti nella differenza delle culture e dei caratteri, ma nell’accomunamento dei valori della vita. (Mollo)
Ciò che abbiamo detto fin qui acquista senso di Pregar Natura quando si tratta anche di monitorare il lavoro nelle aziende contemporanee, che deve essere sostenibile ed ecologico, pena la salvaguardia della salute pubblica, la limitazione dell’inquinamento e alla fine, la creazione eccessiva di rifiuti che può pregiudicare alla lunga anche l’aspetto economico. Nelle realtà (esperienza del pedagogista ed attivista Paolo Frèire in America, come osserva anche lo psicologo della postura non direttiva, Carl Rogers) in cui il potere è 50
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distribuito, e i meccanismi partecipativi molteplici, si ha efficacia metodologica. Una condizione in cui ogni soggetto prova la direzione di un ambito o un argomento, un progetto, il risultato di una consultazione ed il controllo; è più facile che si prendano decisioni assennate. I problemi ambientali del Pianeta, i problemi dell’Essere Umano sono fenomeni che impongono la riforma delle istituzioni contro la disuguaglianza e l’adozione di una politica globale mirata a ridurre la miseria e a orientare lo sviluppo economico e sociale, dice Morin; Alba indica in un’educazione sostenibile, permanente ed egualitaria uno strumento istituzionale di miglioramento e condivisione democratica, che si faccia carico della compresenza.
SCAMPOLI DI PEDAGOGIA: ATTRAVERSARE I NODI
L’ autrice di cui sopra, nel libro ‘Pedagogia dei cicli di vita’, (Edizioni Anicia, Per comprendere ed orientare le crisi e i cambiamenti nel corso dell’Esistenza) quindi per una Pedagogia e Formazione di ed in Età Adulta, ci indica come il passaggio dai temi individuali a quelli collettivi, cosmici in senso esistenziale e quindi terrestri, planetari; sia un passaggio cruciale, importantissimo, nel processo di crescita, integrazione, armonizzazione, equilibrio dello spazio interiore ed esteriore. L’attraversamento dei nodi può essere considerato un fatto sociale totale, un rito di passaggio che può portarci alla Salute, alla Sanità Mentale, al Benessere inteso come Buen Vivir, alla serenità che l’esperienza dell’anziano ci può indicare e alla ricchezza creativa che il bambino e la bambina ci insegnano. Erickson sostiene che lo sviluppo si articola a partire dalla realizzazione di tre processi tra loro intrecciati e complementari: c‘è un processo biologico di organizzazione gerarchica dei sistemi organici che costituiscono il corpo (soma): c’è poi un processo psichico che organizza l’esperienza individuale attraverso la sintesi dell’io (psiche): e c’è infine, un processo di natura comunitaria dipendente 51
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dall’organizzazione culturale entro la quale si realizza l’interdipendenza degli individui. [..] via via che l’Essere Umano procede nella crescita, interagisce dapprima estendendo ed articolando i propri ruoli ed interessi sociali nella comunità di appartenenza, per poi in seguito estendere interiormente la propria capacità di includere sempre più ampi mondi e significati umani, sino a comprendere l’Umanità tutta. Jung considera l’espansione della coscienza come allargamento della visuale, che nell’equilibrio delle polarità (le coniunctiones), si orienta verso la realizzazione del Sé, che a sua volta, rappresenta l’aspetto universale della coscienza, come percezione in noi della prospettiva dello spirito... Rappresenta l’essenza più intima e profonda dell’uomo, la nostra identità autentica, come totalità del nostro essere. Ma il Sé non può essere inteso staticamente, come progressiva sintesi di evoluzione.. come punto d’incontro e di sintesi tra l’Io e l’Universo, tra l’uomo e Dio, come continua crescita del Me (quale piano psicofisiologico), all’Io (quale piano psico- sociale) al Sé (quale piano etico- razionale- spirituale) Duccio Demetrio dice che il Sé è la metadimensione (la dimensione delle dimensioni) che tiene insieme tutte le altre, è un sistema all’interno... Il ‘nucleo coscienziale’. E’ insomma sistema in senso sia sincronico che diacronico, è la melodia, il filo rosso, ciò che fa sì che pur nei continui cambiamenti vi sia un senso di stabilità, di continuità, di identità coesa, anche se molteplice, complessa e dinamica.
I continuum pedagogici, le apicalità che sono le dimensioni 52
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motivanti lo sviluppo ed il cambiamento possono essere considerati: a. Il riconoscimento di sé: pratica dello specchio b. La ludicità: pratica della leggerezza, che porta con sé il valore profondo della Gratuità. c. L’avventura: pratica della sfida. d. La magistralità: pratica riproduttiva e. La decisionalità: pratica della scelta. In cui si trovano Responsabilità, Libertà (quindi Amore in Marturana) e quindi Etica: valori superindividuali. f. La reciprocazione: pratica dello scambio, della Relazione g. La proiettività: pratica del futuro, dell’ex- ducere, dell’Autenticazione del Sé, dell’Integrità h. L’autorealizzazione (aggiunge Alba seguendo Maslow): pratica dell’espressione secondo valori di Giustizia, Bontà, Bellezza.
Tutto questo lavoro di interazione e sviluppo che siamo invitati a fare, si articola secondo le apicalità esistenziali di Amore, Lavoro, Gioco, Morte, che permettono di individuare nel Senso di Sé, la Realizzazione, l’Intimità, la Creatività e il Gioco, la Ricerca del Significato, della Verità, la Compassione e la Solidarietà, la Libertà, la Responsabilità, la Cura. Ancora Steiner ci dice che il processo dinamico di sviluppo dell’Essere Umano, nelle sue facoltà dell’Anima (Pensare, Sentire e Volere) è pensato come un continuum dinamico in cui lo spirito progressivamente si incarna, per esprimersi e dare forma alla materia, per poi riprendere il processo inverso, quello di ritorno 53
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al mondo spirituale con la ricchezza interiore conquistata sulla terra, attraverso le esperienze fatte.
Bernard Lievegoed prosegue il pensiero e afferma che lo sviluppo si realizza attraverso l’articolazione di tre processi intrecciati tra loro: lo sviluppo biologico, psichico e spirituale; quest’ultimo comprende l’individuazione, la presa di coscienza del proprio Io, il sistema di valori e l’interpretazione dell’esistenza. Il centro di tutto questo è l’Io quotidiano che media e integra parte corporea e mondo spirituale, attraverso vocazione, progetto di vita, percorso di vita. Creatività e Saggezza sono espressioni dello spirito, la prima è l’attività dello spirito nel mondo, la seconda si basa sull’ispirazione; Inspiration significa letteralmente ‘respirare dentro’, di norme e valori, di attribuzione di un senso e di idee, di umanità e di ciò che sta al di sopra dell’uomo, di fede, amore, speranza; la Creatività si orienta verso il mondo esterno, la Saggezza verso il mondo interno.
Vediamo così che il sentimento di essere parte di qualche ente più grande di noi è sintomo di salute psicofisica, di organicità e corretto sviluppo psicologico, pedagogico ed antropologico, di superamento di un cinismo che sembra funzionale a far sì che le cose vadano alla deriva centrifuga degli intenti e delle intenzioni. Diventa quindi necessario per la nostra trattazione capire come la Religione e la Spiritualità incidano nella nostra Formazione di Cittadini o Eco-cittadini. Entriamo nel vivo del processo di ‘appercezione’ e ‘appropriazione’ della realtà, attraverso un’indicazione di metodo, a favore di un intervento che sia etico, e di Cura, Custodia, Tutela, in una riqualificazione di quel senso dell’Amicizia, della Fratellanza e della Sorellanza, che la teologia studia e che potrebbe avere un ruolo catartico e risanante nella società. 54
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EDUCAZIONE TEOLOGICA
Per cambiare il comportamento, l’habitus ed il rapporto con la terra sulla Terra dobbiamo far sì che essa rientri nei nostri paradigmi filosofico- esistenziali e di pratica quotidiana in ogni grado dell’Istruzione e all’interno delle famiglie. Per approfondire come questo tema viene trattato nelle religioni principali del Mondo Contemporaneo, abbiamo in questo testo aperto un dialogo sul tema della Natura nelle aree teologiche più vicine e diffuse (Religione Cristiana, Ebraica, Islam, Mondo Indiano), che fondano, anche simbolicamente, non solo spiritualmente, la nostra cultura. Il mondo simbolico caratterizza il nostro stare al Mondo, e quindi è importante, soprattutto perché è un tema di attualità religiosa (Custodi del Mondo, Papa Francesco, 2015) e laica, grazie a tanti movimenti e ad un’opinione pubblica sempre più consapevole e informata, attenta al futuro dei figli, che passa per i nostri passi, concreti e quotidiani. Ho trovato fondamentale in questa ricerca una lettura rispetto alla teologia e all’educazione, un’intervista al prelato Alberto Martelli, in cui si dice che l’Educazione è il sapere pratico sull’uomo e sul diventare adulto, considerando che il linguaggio non può essere lo stesso per ogni età evolutiva. Mi ha molto interessato che la Teologia morale si occupi della pratica dell’uomo, attraverso la storia e la libertà della persona; che la Teologia dell’educazione si basi su un comune interesse delle due discipline: l’essere umano e la sua etica, ossia il modo pratico in cui si forma la coscienza. Importante è quindi il ruolo dell’adulto, la prossimità relazionale, l’obiettivo da parte del discente di diventare un buon adulto: tutti questi elementi devono essere preservati da un educatore che deve essere in linea con un buon agire ed un buon vivere, che non si ripari dietro a tecniche e competenze che non vive nella relazione, esperendo l’impegno come persona, non solo come esperto. Da un punto di vista teologico si può suggerire una caratteristica dell’analogia generazionale che permette di coniugare l’azione educativa con la cura: il carattere grazioso 55
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della promessa della bellezza del vivere insita nel venire al mondo. L’essere generati è infatti azione di grazia, non dovuto all’ abilità o ai meriti personali, e la relazione di prossimità che essa inaugura è segno della promessa implicita, ma vitale, che è possibile avere una vita che valga la pena di essere vissuta. A patto di tale grazia e di tale promessa soltanto, è possibile prendere in mano la propria vita e assumersi la responsabilità del vivere adulto fino a voler donare se stessi. L’importanza della storia, degli affetti, della relazione formano la verità della persona. Importante allora capire la storia dello stare in comune, entrare a far parte di una storia da raccontare, da ricordare, da rivivere. Occorre fare il focus sul concetto di uomo e di donna, sul concetto di verità, sul concetto di umanità dei diritti e dei doveri, sul concetto di Custodia, di rispetto, di aiuto, di dialogo, di collaborazione, di bellezza e poetica, di convivenza pacifica, di opera e scambio d’opera, di collegialità. Quando l’educazione giunge a toccare il cuore sano dei giovani e sviluppa il senso “religioso” (ossequioso, meraviglioso, preservante) ha svolto il suo ruolo più alto.
POETICA DELLA RÊVERIE
Leggendo ‘Antropologia delle Trasformazioni di coscienza’ di Fulvio ed Elisa Gosso, padre e figlia, si apprende che nella nostra società spesso si ha voglia di trascendere o comunque di andare oltre un senso comune della realtà spesso estremamente calato nella materialità, materialismo sfrenato, consumismo. Ciò nelle varie società e nelle varie realtà può avvenire in diverse modalità, dalle più ‘scanzonate’ come le feste, attraverso l’uso di allucinogeni, alle più meditative, come con tecniche quali la Respirazione Olotropica. In questo frangente mi preme presentare una qualità della coscienza che può essere definita come Poetica della Rêverie, concetto dell’importante, e a volte criptico intellettuale, grande Gustave Bachelard, che può essere considerata l’elemento sorgente dell’EcoPoesia. Questo in una ricerca di un linguaggio poetico che nella nostra società è spesso penalizzato e messo al bando, ma che poi ricrea quella forza antica degli abbracci delle nonne e dei nonni. 56
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Per sviluppare una nuova attività simbolico- religiosa che abbia caratteristiche universali, bisogna recuperare lo spazio che talvolta, nella storia, filosofi e poeti hanno avuto l’onore di ricoprire nelle nostre società (poeti Dravidici, società ai tempi di Ipazia). Attingendo a quella qualità della presenza che l’Ecopsicologia favorisce nelle sue esperienze e che anche nello Yoga viene incoraggiata, arrivando a vivere uno stato di serenità privo di condizionamenti, in cui convivono la realtà circostante ed il nostro stare in Natura, così predisposti, ci si prepara ad accogliere, ciò che ci si presenta come un dono e come un’occasione di sogno ad occhi aperti. Questo ci regala un onirismo naturale, autonomo da altri stimoli, che possiamo condividere in gruppo come un’esperienza di Ecologia Profonda legata alla Storia e alla Letteratura. Parlare approfonditamente in questa sede di un autore come Gaston Bachelard è talmente utopico, che anche io abbandono l’idea, ‘getto la spugna’, come direbbe Francoise Heritier, grandissima antropologa che ha studiato anche il germe della poesia in un testo che consiglio a tutti ‘In poche parole la Felicità’. Possiamo dire però intanto che per Bachelard la Rêverie, linfa comune con l’immaginazione e la rimembranza, è una qualità femminile, avvolgente; essa costituisce un linguaggio universale, è una manifestazione dell’anima (si noti la contrapposizione tra rêve e rêverie e tra animus ed anima), ha caratteristiche di dolcezza, di piacere della memoria e della gioia, amore per le sonorità lente. Da pag. 38 di ‘La poetica della rêverie’, citando Nodier: Vi è qualcosa di meravigliosamente dolce in questo studio della Natura, che conferisce un nome a tutti gli esseri, un pensiero a tutti i nomi, un’affezione e dei ricordi a tutti i pensieri. Per dire che il nominare le cose amandole intimamente dà una sensazione di femminilità, ci fa entrare nella Natura intima delle cose, avvicinando parole e cose, addirittura Grammatica e Botanica. 57
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Anche il silenzio possiede qualità femminili (dice Edmund Gillard). Ma adesso passiamo ad un suo altro testo. Darò qui alcune suggestioni: in ‘La Terra e il riposo’ Bachelard parla di sogno dell’infinitamente piccolo (pag. 32) "In generale, tagliare un frutto, un chicco, una mandorla, significa disporsi a sognare l’Universo". Questo lo si sa da documentari come Olos e Un Altro Mondo, lo si sa dalla Scienza che osserva la percezione umana della Natura osservando la miniatura della Natura e del Creato, inteso come Vivo. Bachelard, citando studiosi che vanno da Rainer Maria Rilke, a Fabre, ci dice che queste regolarità dipendono dalle figure della proprietà naturale degli spiriti architettonici che si trovano nella Natura (pag. 31) La Natura è dotata di facoltà e capacità meravigliose che il Suo Creatore le ha attribuito per saper lavorare in modo differenziato, come essa fa con ogni sorta di materia. (pag. 30) Ma se un sognatore crede che la Natura è un'artista, che dipinge e disegna, non potrà forse essa scolpire la statua nella pietra tanto bene quanto può plasmarla nella carne? (Ibidem) Fabre parla di genio cristallino della Natura, che l’artista ed il poeta possono cogliere meglio degli altri, perché si immergono, possono infatti cogliere attraverso gli impulsi estetici dell’onirismo. Bachelard parla, attraverso il mistero: L’approfondimento di un’immagine ci conduce a coinvolgere la profondità del nostro essere: nuova potenza delle metafore che operano nella stessa direzione dei sogni primitivi. (pag. 29) 58
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Sembra del resto che una notte intima che custodisce i nostri segreti personali si metta in contatto con la notte delle cose. (pag.26) Come afferma Jean- Paul Sartre: bisogna inventare il cuore delle cose, se un giorno vogliamo scoprirlo. (pag. 26) Egli disserta di piccole gioie dei sensi (pag.22) Accenna a Jean Cocteau, che paragona l’inchiostro con cui scrive al sangue blue del cigno, e dichiara che Le immagini che costituiscono delle forze psichiche primarie, sono più forti delle idee e delle esperienze reali (Pag. 23) Parla anche del fulgore vitale dell’infinitamente piccolo con E.- F. Geoffroy e P. Vaniére dicendo che Le rêveries lillipuziane sono così tonificanti e benefiche; sono l’antitesi delle rêveries d’evasione che spezzano l’anima (pag. 21). Le prime rêveries legate all’immagine intima dell’oggetto, sono reveries di felicità. Ogni intimità oggettiva inseguita in una rêverie naturale è un germe di felicità. Si tratta di una grande felicità perché è una felicità nascosta, ogni interiorità è difesa dal pudore. E’ una felicità a cui sono arrivati Franz Kafka, e poi Carl Spitteler in ‘Prometeo ed Epimeteo’. E’ una felicità primitiva quella a cui ci invita Bachelard, una spontaneità delle forze oniriche in cui il sognatore può entrare in se stesso, come osserva anche Robert Desoille, in ‘Le Reve éveillé en Psycothérapie’ (Il sogno da svegli in Psico-Terapia). Poi cita Francis Ponge:
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Per il momento rendiamoci conto che ogni conoscenza dell’intimità delle cose è immediatamente una poesia […] Propongo a tutti l’apertura delle trappole interiori, un viaggio nello spessore delle cose, un’invasione di qualità, una rivoluzione o una sovversione paragonabile a quella compiuta dall’aratro o dal badile quando, improvvisamente e per la prima volta, vengono portati alla luce milioni di particelle, di pagliuzze, di radici, di vermi e di minuscole bestiole fino ad allore sepolte. O infine risorse dello spessore delle cose, restituite dalle infinite risorse dello spessore semantico delle parole! Per concludere, Bachelard individua quattro diverse prospettive per la Psicologia dell’immaginante: • PROSPETTIVA ANNULLATA (quella cervellotica, della ragione intransigente) • DIALETTICA (quella del dialogo, in cui dice di seguire i poeti) • INCANTATA (quella dell’infinitamente piccolo, gioioso) • DI INTENSITA’ SOSTANZIALE INFINITA (in cui parla di tintura di colore, viaggi e di esperienza religiosa, di puritanesimo, di pulizia) Intimità della rosa (Rilke, pag 47-48 Ibidem) Che cieli si ammirano là Nel lago interno Di queste rose dischiuse Riescono appena a reggersi da sole, numerose, piene, traboccano di spazio interiore compiendosi in queste giornate 60
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in un’ampia pienezza, sempre più vasta, finché tutta l’estate diventi una stanza, una stanza in un sogno. “Un cielo intero occupa lo spazio di una rosa, il mondo vive in un profumo. L’intensità di una bellezza intima condensa le bellezze di tutto l’universo. Poi in un secondo movimento, il poeta esprime l’espansione della bellezza (pag. 47)” Così commenta Gaston Bachelard in “La terra e il riposo”, aprendoci la strada al ritorno alla madre e alla Madre, una universale involuzione psichica? Un ritorno al valore e all’intensità della gestazione, e della Nascita. (Vedi Pregar Nature II, Mario Bolognese).
VANDANA SHIVA E LA SUA ‘RELIGIONE DELLA TERRA’
Vandana Shiva, celebre ed illustre fisica e teorica del ritorno alla Terra, Nobel per la Pace, portavoce dell’Economia della Felicità e fondatrice, nel 1994, della fattoria Navdanya nel villaggio di Ramgarh, nella valle del Doon, dove è nata, ha reso fertile una terra isterilita dalle piantagioni di eucalipto. Le ha restituito la sua biodiversità in un modello agro- ecologico che le ha consentito di dare cibo in abbondanza senza l’uso di veleni. A Navdanya si pratica l’AgroEcologia contro le Monoculture della Mente, ossia ciò che si porta con sé il sistema capitalistico che mostra le sue crepe, sia dal punto di vista economico, sia sociale, che culturale, e in un qualche modo direi metafisico, poiché ci allontana dalla terra sulla Terra, trasformandola in merce e spogliandola, oltre che del suo potere nutritivo, con una serie di interventi scellerati legati al profitto, della sua qualità ‘materna’ di accoglienza e di casa. Anche Vandana parla di uomo come figlio della terra, come la radice comune ad humus ci mostra, e qui in breve mostriamo 61
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il frutto della sua ricerca che vede nel coltivatore, e nelle coltivatrici, l’incarnazione del ruolo di Custodi del Pianeta, un ruolo che non ci possiamo permettere di dimenticare, pena la nostra stessa sopravvivenza. Il paradigma agro-ecologico (Pagg. 38-39) è così schematizzato in ‘Chi nutrirà il Mondo’: - Riconosce le interconnessioni in Natura e si fonda sull’applicazione della scienza ecologica ai sistemi del cibo e dell’agricoltura, abbandonando l’approccio riduzionistico, meccanicistico e militarizzato; - Promuove la salute dei terreni, delle piante, degli animali e degli esseri umani; - Dà rilievo all’integrità ecologica della produzione alimentare attraverso la Legge della Restituzione; - Salvaguarda la biodiversità e valorizza l’apporto di tanti agenti, quali per esempio gli impollinatori, rendendo inutili apporti agrochimici come i pesticidi; - Massimizza la “salute per ettaro” e il “nutrimento per ettaro” invece della “produttività per ettaro”; - Fonda l’operato sulla libertà dei semi, il cui controllo è affidato ai coltivatori, non a un sistema che considera i semi alla stregua di una proprietà intellettuale delle corporation; - Crea le condizioni socio- economiche, politiche e culturali per l’esercizio della libertà e della sovranità alimentare; - Incentra sul sapere delle donne ambiti quali la biodiversità, gli ecosistemi, la salute e l’alimentazione, non su quello controllato e manipolato dalle multinazionali e incentrato sulle monoculture; - Presuppone una cognizione dei luoghi 62
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e dà la precedenza agli aspetti locali, contro il privilegio ingiusto, attribuito alle corporations globali. E’ un programma importantissimo per la nostra ricerca perché offre le linee guida per un sapere concreto della terra, una preghiera laica, nella religione per la Satyagraha, ossia la ricerca della Verità sulla Terra (Vedi Nunzia Coppola). Noi siamo suolo, terra. Siamo composti dagli stessi cinque elementi- terra, acqua, fuoco, aria e spazio- che costituiscono l’Universo. Quel che facciamo al suolo, lo facciamo a noi stessi. (Pag. 50) In Integral Economics, Ronnie Lessem e Alexander Schieffer osservavano: Se i padri della teoria capitalistica avessero scelto una madre invece dell’individuo borghese maschio quale unità elementare delle loro costruzioni teoriche, non avrebbero potuto formulare l’assioma della natura egoistica degli esseri umani (Pag. 167) Dobbiamo quindi ridonare alla Terra, mantenendo così quel doppio statuto di figli e figlie, Custodi della Madre. Nel percorso di salvaguardia della biodiversità che Vandana Shiva ha condotto con passione e determinazione a beneficio dell’Umanità, la scienziata ha individuato nove passi fondamentali, (come nove sono i semi da cui il nome Naodanya, l’organismo da lei diretto). Da una riduzione delle Pagine 180-188, i risultati metodologici 63
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della "sua" tutela ambientale: 1) Passaggio dalla finzione delle corporation alla realtà delle persone che si occupano di cibo buono. 2) Rilevare che siamo parte di un sistema di relazioni e di interconnessioni dei fenomeni, di esseri intelligenti. 3)Considerare i semi come esseri viventi vari e in evoluzione, veri e propri beni comuni, fonte di nutrimento e di vita. 4) Importanza della diversità e dell’ incentivo all’indipendenza dalla chimica (nociva in particolar modo). 5) Andare contro alla Legge dello Sfruttamento, tramite la coesione sociale, il riconoscimento dei Diritti dei coltivatori (‘lavoratori’ Custodi). 6) Transitare dal cibo finto al cibo vero, nutriente, per la salute pubblica e la sicurezza, indipendentemente dall’industria. 7) Passare dalla mania del “grande” alla cura per il “piccolo”, per la localizzazione incentivando sistemi su piccola scala, tramite “depositi alimentari” per le città, integrazione con le campagne circostanti, rapporti comunitari, democrazia alimentare. 8) Riappropriarci del costo della Vita, individuando quello delle merci secondo il beneficio e la giustizia che portano, che incorporano, riconquistando per tutti il Diritto al Cibo. 9) Passare dalla Concorrenza alla Cooperazione, come è in essere nei tessuti viventi e negli organismi sani, nei sistemi equilibrati. Ciò crea sostenibilità, giustizia e Pace... 64
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Se pensiamo che: la metà del miliardo di persone che al mondo soffrono la fame sono coltivatori, perché l’agricoltura industriale globalizzata si fonda sulla Legge dello Sfruttamento: sfrutta sia i coltivatori, sia la terra. Noi stiamo creando economie alimentari vive, fondate sulla diversità e sulla Legge della Restituzione, in base alla quale i coltivatori restituiscono alla terra, e la società restituisce ai coltivatori. (Pag. 192) Se pensiamo questo, rivalutiamo, per una questione di Diritti sociali ed economici, il decentramento e la riappropriazione della Libertà di scegliere cosa mangiamo, facendoci così partner dei contadini. Vandana Shiva ha creato "l’Università della Terra" per diffondere i sistemi di sapere fondati sugli insegnamenti della Natura, i cui fondamenti didattici provengono da secoli di evoluzione del sapere indigeno trasmessi dalle donne. Ritiene che la sovranità dei semi, i semi del sapere lei li chiama, è legata alla sovranità alimentare e del sapere. "Dobbiamo essere il cambiamento che desideriamo vedere nel mondo" e contribuire al passaggio da un sistema alimentare avvelenato a uno vivo. Nessun coltivatore dovrebbe sentirsi costretto al suicidio. Nessun bambino dovrebbe morire di fame. Nessuno dovrebbe ammalarsi per colpa del cibo. La Terra e gli esseri umani in quanto co-creatori, possono produrre alimenti buoni e sani in abbondanza per tutti/e. Mettiamo a frutto le nostre energie collettive per concepire un futuro che tuteli il Pianeta, collaborando con Madre Natura per salvaguardare il suolo, i semi e la Biodiversità, invece di dichiararle guerra con l’agricoltura globalizzata e le sue armi belliche. Lavorando in accordo con le leggi della Natura, abbiamo dentro di noi i semi che possono dare cibo abbondante e sano a tutti, fino all’ultimo bambino, all’ultima donna, all’ultimo coltivatore e all’ultimo essere vivente. 65
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Se ci uniamo e operiamo in armonia, possiamo creare il Paradiso in Terra. Con queste toccantissime parole Vandana termina il suo prezioso libro "Chi nutrirà il Mondo", (Pag. 196) il cui indice, (Pag. 207) che vi allego per una riflessione, è un vero e proprio Manifesto di Coscienza e di autocoscienza dell’Essere Umano inserito in un ambiente, nella Natura. 1. è l’Agro- Ecologia, non un paradigma conoscitivo violento, a nutrire il mondo 2. è il suolo vivo, non il fertilizzante chimico, a nutrire il mondo 3. è la biodiversità, non la diffusione di monocolture tossiche, a nutrire il mondo 4. Sono i piccoli contadini, non le grandi fattorie industriali, a nutrire il mondo 5. è la libertà dei semi, non la dittatura sui semi, a nutrire il mondo 6. è l’agricoltura locale, non la globalizzazione, a nutrire il mondo 7. Sono le donne, non le multinazionali, a nutrire il mondo 8. La via da seguire Io vi ho parlato qui sopra dell’ultimo capitolo, le Conclusioni, cioè la via da seguire, ma molto interessante è anche la sua concezione della donna, come fautrice di Custodia di semi, di conoscenze e come ‘attivista’ nell’ambito agricolo, agroecologico e nella lavorazione e produzione del cibo. Sulla scia di Carolyn Merchant (Pag.164 da "The Death of Nature: Women, Ecology and the Scientific Revolution, Harper and Row", New York 1983, p. 182) ritiene che: la trasformazione della Natura da essere vivente, madre che nutre, a materia inerte, morta e manipolabile, era in perfetta consonanza con l’imperativo 66
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di sfruttamento tipico della crescita capitalistica. Ritiene inoltre che il sistema capitalistico sia incentrato su di una cultura patriarcale che con la rivoluzione scientifica ha ribaltato questa visione direi misericordiosa e generosa della Terra come Madre, usurpando la donna del suo ruolo di Custode e nutrice della terra. Ma anche nel rapporto della Fao "Woomen Feed the World" emerge che le donne sono le massime esperte mondiali della biodiversità e si può trarne che la distruzione del sapere delle stesse è andata di pari passo con la distruzione ecologica dei processi naturali, dei mezzi di sostentamento e della vita delle persone. (Anche Genevieve Vaughan parla di questo, riconosce procedendo nel suo pensiero, 36 principi dell’Economia del Dono, la Gift Economy, in cui la messa in discussione di un sistema patriarcale, inteso anche come strapotere delle Corporations, passa attraverso una visione di cambiamento paradigmatico che riscopre i saperi e le pratiche femminili.) Vandana Shiva accenna anche alla violenza sulle donne, tema di grandissima attualità: Mentre il modello maschile della produzione svaluta sistematicamente il ruolo delle donne nel mondo, le donne in carne e ossa vengono umiliate, sradicate, uccise. Anche le percentuali e le brutalità crescenti delle violenze sessuali in tutto il mondo sono legate all’economia violenta che trasforma in merce ogni essere umano e, in particolare, le donne. E mentre milioni di persone vengono sradicate e spossessate di tutto, gli uomini brutalizzati brutalizzano le donne.(Pagg. 169-170) Ancora l’autrice ci dice che l’agricoltura fondata sulle donne è la base della sicurezza e democrazia alimentare per la comunità, soprattutto per il benessere delle bambine, perché sono loro a pagare il prezzo più alto nella malnutrizione. 67
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Là dove esistono il sapere condiviso, la Cura della Terra e il Diritto a non soffrire la Fame, come anche un’alimentazione sana e corretta, tutte queste virtù vanno a braccetto. E poiché il tessuto della vita è un tessuto alimentare, come si dice anche nel Taittiriya Upanishad “tutto è cibo, tutto è alimento per qualcos’altro”, (Pag. 15/21) non possiamo che riconoscere che i coltivatori sono ibridatori di piante, conservatori di semi, Custodi del suolo e conservatori dell’acqua, produttori di cibo per il 70% della popolazione mondiale, con il 30% delle risorse. Questo ci deve spingere a fare attenzione alle nostre scelte di acquisto e investimento: i semi Ogm delle Multinazionali e l’Agricoltura Industriale, sono anche causa del cambiamento climatico, a causa delle emissioni di ossido di azoto dei fertilizzanti a loro necessari e per l’uso di combustibili fossili, impiegati nell’ordine di dieci unità per la produzione di una, con un’incidenza del 40% sul totale (per non parlare del 70% delle acque, inquinate dai nitrati). Secondo Vandana il paradigma della Legge della Restituzione può veramente nutrire il Mondo e garantire Sostenibilità, Giustizia e Pace. Per questo è nato nel 1996 l’Appello di Lipsia, elaborato con Maria Mies (Pag.176): • Localizzazione e regionalizzazione, non globalizzazione; • Non violenza al posto della dominazione aggressiva; • Equità e reciprocità invece della concorrenza; • Rispetto per l’integrità della Natura e delle sue specie; • Pensare gli esseri umani come parte della Natura e non come i suoi padroni; • Tutela della Biodiversità nella produzione e nel consumo. 68
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Accogliamo queste preziose indicazioni come religioso rispetto e Custodia della terra sulla Terra e ci auspichiamo quella che Vandana Shiva ci indica come risveglio della Shakty e la Satyagraha, la battaglia per la Verità. (vedi intervento di Meskalila Nunzia Coppola) Possiamo concludere questo stupendo caso studi con una bellissima citazione dell’autrice, che pone quasi ad emblema della sua ricerca e battaglia sacrosanta per la Tutela della Sovranità dei semi, patrimonio dell’Umanità e non delle Corporations. L’antropologo e poeta peruviano Josè Maria Arguedas scrive nel suo “A Call to Certain Academics”, come a spiegarci come i Semi siano l’intelligenza della Terra, delle Comunità Rurali (Pag.109, tradotto dal quechua in inglese da William Rowe): Dicono che non sappiamo niente. Che siamo l’arretratezza. Che la nostra testa deve essere cambiata Con una migliore. Dicono che ci sono uomini dotti che dicono questo di noi, questi accademici che si riproducono nelle nostre vite. Che cosa c’è sulle rive del fiume, dottore? Tira fuori il binocolo E gli occhiali. Guarda se ci riesci. Cinquecento fiori Da cinquecento diversi tipi di patata Crescono sulle terrazze Sopra abissi Dove i tuoi occhi non arrivano. Quei cinquecento fiori Sono il mio cervello, la mia carne.
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ECOFEMMINISMO ITALIANO
Riconosciute le donne come detentrici dei Saperi della Terra, Custodi anche di un possibile cambiamento, vediamo adesso un accenno alla Storia dei contenuti dell’EcoFemminismo in Italia. Qui di seguito riporto alcuni dei passaggi di “Alfabeti ecologici, Manifesto per l’Educazione Ambientale del futuro” (2007) redatto da Laura Marchetti per il Ministero dell’Ambiente e per l’introduzione nella Scuola della materia. La studiosa insegna Didattica delle culture e Filosofia della Natura all’Università di Foggia, e presenta nel libro “L’Ecofemminismo in Italia, le radici di una Rivoluzione necessaria” uno scritto che si occupa di disinquinamento della mente, una rifondazione ecologica radicale, profonda, capace di rivedere la posizione aggressiva e solitaria dell’Essere Umano nel mondo e a ristabilire una compartecipazione con la Natura. In una prospettiva di competenze transdisciplinari che, dall’eco- marxismo e dalla decrescita, mettono in evidenza il legame dannoso tra capitalismo, colonialismo e distruzione dei beni naturali e umani. Tutto questo salvaguardando la considerazione dei movimenti che hanno messo in atto campagne ed azioni a favore dell’ambientalismo, del pacifismo, del femminismo, dell’altromondismo, riavvalorando la cooperazione, la cura, il rispetto delle differenze, la Custodia delle conoscenze tradizionali, dei legami di Comunità e Memoria. Valori biouniversali che mantengono la complessa rete vitale, valori biomaterni, in cui la nascita e ancora la Custodia ci fanno parlare della Terra come "Matria". (V anche Michela Murgia in articoli su L’ Espresso). E’ necessario: Un umanesimo nuovo, disincarnato dalle premesse aristocratiche o elitarie: un social humanisme secondo la formula di Dewey, che sia anche un social-ecologicalhumanisme, che compia “l’umanismo come naturalismo e il naturalismo come vero umanismo” che, cioè sappia ricomporre una visione integrata dell’uomo.. Tutti e tutte partecipi e interagenti in un unico progetto naturale e culturale, tutti e 70
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tutte interagenti all’interno di un’unica “struttura che connette” il biologico, il materiale e il mentale. Nella Scuola si deve favorire un’Educazione Ambientale che dia competenze trasversali, come nella sua natura, ma che sia anche una: Educazione naturale, educazione alla complessità della Natura, ma anche alla natura umana, alla naturalità umana e ad un diverso tipo di relazione fra esseri umani in quanto esseri naturali. Il paradigma della complessità, dove il termine complexus indica tessuto insieme, che da tessuti differenti diventa uno, ci mostra la biodiversità della Natura ma anche il pregiudizio etnocentrico, le aporie della monocoltura e della monocultura. Impellente diventa un sapere ecologico che faccia dialogare matematica e poesia, arte ed epistemologia, in una comunanza che è la Lebenswelt, il mondo della vita. Un nuovo sapere non omologante, non artificiale, non immateriale, in cui il corpo con i suoi sensi è veicolo di apertura, di essere nel mondo, di iscrizione ed unione ad un ambiente definito. Le immagini primordiali, universali, condensato dei grandi simboli dell’umanità: la Luce, le Tenebre, la Caverna, la Foresta, il Mare, non sono forse frutto del contatto fra il corpo fisico e il corpo materiale, e non costituisce forse l’Anima come un intreccio, non è forse lo scrigno in cui si depositano e si scambiano informazioni i moti dell’affettività e del sentimento umano con la qualità viva e specifica dei luoghi naturali? E ancora Le buone pratiche, trasmesse tramite le 71
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filastrocche delle madri, la manualità degli artigiani, i racconti degli anziani, sono state selezionate e plasmate nel confronto costante con la Natura che non ha mai risparmiato i popoli da prove difficili e cataclismi di ogni genere. Nel tempo le genti sono riuscite a perpetuare la cultura, conservare le tradizioni e custodire l’arte. Costruttori di città e templi, o nomadi, transumanti, espropriati della terra hanno racchiuso la sapienza collettiva nella memoria o in beni trasportabili. Nell’artigianato, nei tappeti, nei gesti, nella fierezza, nell’epica e nel canto. E la hanno riversata in luoghi deputati resi tali grazie al rito, le saghe, la poesia. La hanno cristallizzata nei mausolei, nelle coltivazioni e le costruzioni rurali, negli abitati e nei giardini, nei miti che permeano i crinali montani e nei nomi dati alle valli e ai fiumi. I saperi del genius loci e degli archetipi capisaldi delle culture nel tempo devono essere sottratti al rimpianto e portati nel futuro, per fortificare e radicare le identità in un’educazione che è globale ma anche locale, in cui il rapporto con il territorio è pregnante dal punto di vista psicologico, antropologico ed etologico, in cui comunità educativa e comunità ecologica si compenetrano, in cui si ricongiungono politeia e paidea, democrazia ed educazione. Tutto questo non dimenticando i giovamenti delle passeggiate, come Socrate, Rousseau e Nietzsche, dell’impiego del gioco, che restituisce la funzione maieutica della madre risorta (Merchant) all’insegnante, il tempo della maieutica e dell’infunzionalità; in cui c’è Cura, Pace, dono e tenerezza, compassione e carezza (Lèvinas). La ripresa della tradizione nazionale italiana può dare un contributo fecondo all’educazione naturale. La 72
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filosofia naturale della Magna Grecia, a cominciare dalla fusione di Empedocle nell’Etna.., l’umanesimo dello scienziato artista Leonardo,.. il naturalismo filosofico rinascimentale di Tommaso Campanella..; la straordinaria utopia di Giordano Bruno, con la sua Anima Mundi..; il realismo antropologico di GianBattista Vico..; il materialismo critico di Giacomo Leopardi. Fanno della tradizione filosofica italiana un pilastro nella ricostruzione storica di una via diversa del pensiero, una via ambientalista capace di unificare umanesimo e naturalismo. Essa deve ritrovare il giusto posto nella scuola italiana, una scuola che deve avere la prospettiva della più ampia patria.. Includendo tutto il territorio e ambiente italiano, con monti, laghi e mare, senza dimenticare la propria "matria", il paese natale, favorendo l’educazione all’aria aperta, il vivere anche l’esterno delle nostre mura, riappropriandoci di un dialogo diretto con la Natura, come in esperienze quali quella di Don Milani e di Maria Montessori.
MARIA MONTESSORI EDUCAZIONE COSMICA
L’Educazione cosmica di Maria Montessori abbraccia e riassume in sé i concetti di educazione ecologica, educazione alla Pace, educazione alla mondialità e li trascende in una visione olistica che mira a seminare l’amore per la vita, che può nascere solo dalla conoscenza e dalla propria esperienza nell’ambiente. Poiché si ama una cosa quanto più ci è familiare, quanto più la si conosce. “Il vero pericolo dell’umanità è il vuoto delle anime” “I bambini sono assetati di una grande visione… perché possano desiderare l’arrivo 73
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del domani” “Ciò che prende deve essere interessante, deve affascinarlo: bisogna offrirgli cose grandiose: per cominciare offriamogli il Mondo” “Non restringete la natura del bambino, dategli tutto. Non date cose piccole e materiali… L’anima del bambino si nutre di grandezza” Queste alcune citazioni delle frasi in merito all’Educazione Cosmica, riportate da Elena Balsamo nel suo testo ‘Libertà e amore”. L’autrice che ci parla, attraverso Wolf, di un aspetto spirituale di questo tipo di educazione, direi di un modo trascendente ed elevato di intendere lo stare al Mondo. Occorre dare al bambino una visione ampia dell’Universo, fargliene sentire il respiro, gustarne la bellezza attraverso tutti i sensi: di qui nascerà in lui un senso di ammirazione per la vita e per l’umanità. Non quindi un’Ecologia in senso negativo e catastrofico- come quella proposta in genere dai mass- media- ma un’Ecologia positiva, un amore che è tutto ciò che vive. E questo è possibile attraverso un approccio graduale alla conoscenza dell’equilibrio cosmico e del funzionamento dell’Ecosistema Terra. Maria Montessori propone un’educazione che offra un ambiente adatto ad esplorare l’insieme dei campi positivi dello scibile: educare ecologicamente quindi al Senso civico, all’Intercultura, alla Pace, non necessariamente moltiplicando le materie, ma ricordando l’unità e l’armonia del cosmo (la cui etimologia ci porta il campo semantico di ‘ordine’). Il bambino e la bambina potranno così diventare per noi Maestri d’amore. Per sviluppare la capacità di adattamento necessaria per mettere in connessione la testa e le gambe dell’adolescente, al fine di fornirgli gli strumenti per vivere efficacemente il 74
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presente, Maria Montessori ci dà un’indicazione che oggi viene riscoperta anche in contesti istituzionali (si pensi agli orti scolastici o alle attività ambientali come Pulire il mondo, promosso da Legambiente). Durante il difficile periodo dell’adolescenza sarebbe desiderabile far vivere il fanciullo fuori del suo ambiente abituale, lontano dalla famiglia, in campagna, in un luogo tranquillo in seno alla Natura. Senza esagerare occorre ritessere la rete della famiglia allargata, estesa, inventando nuovi spazi d’incontro e di condivisione che arginino il senso di abbandono che si può sentire a quell’età. -Mitakuye oyasin-, siamo tutti parenti, dicono salutandosi i Lakota, Essere è inter-essere formula Tich Nhat Hanh, -La vita è di per sé mutua collaborazione- dice Elena Balsamo Non hanno senso retorici inviti alla cooperazione o alla fratellanza per motivi umanitari o fini moralistici, si tratta di raggiungere la consapevolezza del proprio ruolo all’interno dell’ordine cosmico universale. Si tratta di rispondere al richiamo della vita. Quando si è colta l’unità sostanziale del genere umano, al di là delle apparenti diversità, quando si è compreso il significato del compito cosmico che lega ogni essere vivente a ogni altro, non si può non sentirsi membri di una stessa grande famiglia e cittadini del mondo. In quest’ottica è importante citare il progetto montessoriano dei Figli della Terra, che sì è sviluppato anche nelle schoolsfarm americane e nelle écoles-ferme francesi e che include l’apprendimento di abilità tecniche e di pratiche legate al benessere, come lo sport non competitivo. Oggi talvolta anche le esperienze dei Camps possono ricordarci questo stile. 75
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Sapendo che questo progetto non poteva che realizzarsi molto lentamente, Maria Montessori poté confrontarsi anche con il poeta ed educatore Rabindranath Tagore, fondatore di scuole rurali. Tutto questo ci fa pensare ad una riappropriazione del Tempo Circolare, come si auspica di recuperare dai mondi andati (vedi anche lo Scrittore e Pedagogista Mario Bolognese, in Pregare Natura 2). Non ti auguro tutti i doni possibili Ti auguro solo quello che la maggior parte delle persone non ha Ti auguro tempo per gioire e per ridere E se lo usi potrai farne qualcosa. Ti auguro tempo per agire e per pensare Non solo per te, ma anche da regalare. Non ti auguro tempo per correre e affannarti Ma tempo per essere felice. Ti auguro tempo non solo da sprecare Ti auguro che te ne possa restare Tempo per stupire e tempo per credere E non solo per controllare l’ora. Ti auguro tempo per stendere la mano ad afferrare le stelle E tempo per crescere, che vuol dire maturare. Ti auguro tempo per sperare ancora, per amare. Non ha nessun senso rinviare questo tempo. Ti auguro tempo per ritrovare te stesso, per vivere ogni giorno, ogni ora con gioia. Ti auguro tempo anche per perdonare. Ti auguro di aver tempo per vivere. Elli Michler, tratto da D.C. Kaul, I dieci comandamenti dei bambini La riappropriazione del tempo è quella che si può riscontrare nella descrizione degli elementi comportamentali dell’educatore o educatrici montessoriane. Nella pratica dell’ascolto e del portare le attività a misura di bimbo/a, senza omologazione o forzatura, nella ricerca di trovare la via del moto interiore e della naturalità e naturalezza, si cerca una società per coesione, che è quanto più di auspicabile si possa cercare e trovare. 76
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Non dobbiamo dare al bambino delle quantità di sapere ma degli strumenti per ricercare, degli strumenti culturali perché lui crei, spinga la sua ricerca fin dove può… Al bambino noi non possiamo consegnare l’oceano un secchiello alla volta, però gli possiamo insegnare a nuotare nell’oceano e allora andrà fin dove le sue forze lo porteranno, poi inventerà una barca e navigherà con la barca, poi con la nave… Dice questo Gianni Rodari in ‘Scuola di Fantasia’, cercando di spiegare la necessità nella Formazione, nell’Educazione e nella Dialogicità, di creare circoli e circuiti virtuosi, che ci insegnino non a semplificare la realtà ma a penetrarla.
UNA FAVOLA AL TELEFONO
STORIA UNIVERSALE di Gianni Rodari In principio la Terra era tutta sbagliata, renderla più abitabile fu una bella fatica. Per passare i fiumi non c’erano i ponti. Non c’erano sentieri per salire sui monti. Ti volevi sedere? Neanche l’ombra di un panchetto. Cascavi dal sonno? Non esisteva il letto. Per non pungersi i piedi, né scarpe né stivali. Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali. Per fare una partita non c’erano i palloni: mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni, anzi a guardare bene mancava anche la pasta. Non c’era nulla di niente. Zero via zero, e basta. C’erano solo gli uomini, con due braccia per lavorare, e agli errori più grossi si poté rimediare. Da correggere, però, ne restano ancora tanti: rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti! Nella nostra ottica potremmo dire che la Terra non era sbagliata, ma sicuramente non antropizzata, che oltre gli 77
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uomini c’erano e ci sono le donne perchè è necessaria oggi una riappropriazione linguistica del femminile, per far posto anche ontologico nel sistema simbolico e materiale; che il lavoro potrebbe esserci per tutte e tutti, e sarebbe auspicabile arrivare a questo. Che di errori ne abbiamo fatti, molti in buona fede, per migliorare le condizioni di vita, tanti altri per cupidigia, avarizia, ingordigia, pigrizia, mancanza di rispetto, di fiducia, di senso di cittadinanza terrestre, di speranza. Attraverso questo percorso abbiamo dato delle indicazioni, delle linee guida per cominciare un nuovo cammino, in cui potersi fare portavoce di rinnovamento, tramutazione, comunanza, esigenza di libertà nella giustizia e nell’apertura alla conoscenza, come operatori di Pace nella responsabilità e nell’Amore, di cui i nostri profeti ci hanno, in diverso modo, parlato dalla notte dei tempi. Buona alba.
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CAPITOLO 2 LEGGERE E RILEGGERE LA BIBBIA Intervista da un’esperienza di Custodia
Paolo Trianni intervistato da Elena Bussolotti ed Eugenio Fallarino Paolo Trianni: Filosofo, Teologo, Formatore, si interessa del rapporto e della mediazione tra le Religioni, occupandosi anche di mondo Indiano, Pace e Vegetarianesimo. Dal 2014 è docente presso la Pontificia Università Urbaniana. Svolge l’insegnamento anche presso l’ Accademia di Scienze Umane e Sociali di Roma e per il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli studi di Roma Tre. La nostra prima formatrice nel percorso di Auto e Mutua Formazione che abbiamo avuto alla Biblioteca di San Matteo degli Armeni da Novembre 2016, Alba Giovanna Anna Naccari, ci ha indirizzati al mondo cattolico per approfondire il tema della Custodia e dell’EcoCustodia, dell’EcoCustodiAttiva, nostro focus. Noi ricerchiamo dal punto di vista delle espressioni artistiche etiche e solidali, di aggregazione e condivisione, che ci possano far convergere nell’EcoCittadinanzAttiva (Abap Puglia), travalicando le diversità religiose. Grazie a Grazia Francescato per averci messo in contatto con Paolo Trianni. Per affrontare questi temi ci siamo ispirati al Professore Nicola Riccardi della Facoltà di teologia presso la Pontificia Università Antonianum e ad Enzo Bianchi, consultore del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gn 2,15) Il rapporto con il mondo è quindi il primo legame
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• Quale è il rapporto tra Custodia, coltivazione e lavoro? Oggi esiste non soltanto una Teologia del lavoro, ma anche una spiritualità del lavoro. Il tema dell’Ecologia rientra in questo ambito disciplinare. Va anche detto, del resto, che la teologia non può disinteressarsi ai temi ambientali, anche perché essa stessa è stata accusata di essere alla base degli attuali disastri ambientali. Tale era negli anni Sessanta la tesi di Lynn White, che accusava direttamente la Bibbia, ed in particolare Gen 2,15, di essere la causa dell’atteggiamento egocentrico ed usurpatore dell’uomo occidentale. A queste accuse rivolge attenzione anche l’enciclica di Papa Francesco, tuttavia già Jurgen Moltmann aveva dimostrato che eventualmente tali critiche andavano rivolte al pensiero di Bacone e Cartesio, non al testo biblico in sé che parla di lavoro come Custodia, non di lavoro come dominio. «Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo…» (Gen 2:3) • Che ci racconta questo passo? L’uomo è stato creato proprio in funzione della Natura e della coltivazione? Non direi proprio così. Anche perché, semmai, è vero il contrario. Credo si possa dire che la Natura è per l’uomo, non l’uomo per la Natura. Tuttavia, sembra quasi che ci sia complementarietà nel destino dell’uno e dell’altra. Il capitolo 8 della lettera ai Romani ci parla di un universo che geme nelle doglie di un parto, di un cosmo che deve crescere e compiersi. Nel novecento il teologo e scienziato Teilhard de Chardin ha parlato di evoluzione. Il mondo è in evoluzione verso Omega, cioè verso il suo compimento finale in Dio (Regno di Dio). L’uomo deve “servire” questa causa servendo il mondo ma anche servendosene. 80
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Egli è chiamato a condividere con l’intera famiglia umana «quella casa comune che è la terra», prefigurata dall’immagine del giardino. (Benedetto XVI) •
Come si supera l’egoismo, come si accoglie l’altro?
Coltivando il mito buono dell’universalismo. L’altro si accoglie riconoscendo che non è un diverso, non è uno straniero, ma un altro se stesso. Questo non significa, ovviamente, che non ci debbano essere regole e criteri razionali per gestire i problemi. Significa, semplicemente, che l’uomo è chiamato a sognare. Il suo sogno è quello di unità. Occorre superare tutte le barriere e i muri, culturali o religiosi, per riscoprire la comune umanità. L’evoluzione dei diritti umani è un esempio di questo cammino. In ogni caso, proprio l’economia ci rivela che il nostro futuro, il nostro destino è legato a quello di popolazioni molto lontane da noi. Il problema ecologico è planetario, e si può risolvere solo insieme. L’uomo cresce in tutte le sue capacità e può rispondere alla sua vocazione attraverso i rapporti con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli. (Gaudium Et Spes, Concilio Vaticano 2) • Nel governo del giardino è stato possibile creare un dialogo congiunto e concreto tra le varie Istituzioni? Il dialogo interreligioso si articola in vari modi, secondo il documento del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso è necessario distinguere un dialogo di vita, di azione, dell’esperienza religiosa e teologica. I primi due riguardano esattamente il rapporto con l’ambiente. Se le religioni si coordinano, possono essere la forza più formidabile auspicabile per salvare il pianeta dalle logiche del corto-terminismo. 81
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La povertà è il non rispetto dei bisogni (extremely poor), ma è anche attiva (economically extreme poor). La povertà indotta dai nostri stili di vita crea dei disagi di vario tipo, tra cui la compromissione della libertà. (A. Sen, "Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia", Milano 2000, 27.) • La condivisione e le reti sociali e religiose possono limitarla? Come? Papa Francesco nella sua enciclica parla di Ecologia “integrale”. Effettivamente senza corredarla di questo aggettivo non si dà Ecologia. Essa non può essere scissa dalla lotta alla povertà, dalla solidarietà, dalla valorizzazione della dignità umana. In questo cammino le reti sociali e religiose sono indispensabili, ma direi anche inevitabili. Teilhard de Chardin parlava di Noosfera, che, nei suoi scritti, è la fase storico-teologica che precede la cristogenesi, ovverosia la coltivazione dei valori cristici sul piano planetario. Noosfera significa appunto l’accrescimento delle relazioni su ogni piano terreno. In sintesi, questo gesuita francese ha anticipato il mondo di internet e quello dei viaggi e dei contatti planetari già al tempo della prima guerra mondiale. Nel momento di massima divisione, ha intuito che il mondo era destinato all’unità. Cittadinanza socialmente responsabile. Solidarietà e sussidiarietà. Rimedio alla cesura con la Storia e con il Trascendente. Finanza etica. Economia relazionale. Economia della Felicità. Importanza di fondare la società sull’attenzione ad includere il più ampio numero di soggetti possibile nel processo produttivo. Un’ideologia che Benedetto XVI, espone nella “Caritas in Veritate”. •
C’è un intento che accomuna Transition Town, 82
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Ecovillaggi, Comunità, Italia che cambia, Bioregionalismo, Wwoofing. Possiamo pensare di unire le forze? Nel richiamare queste realtà, mi vengono in mente i principi della Nonviolenza. A me è molta cara la Nonviolenza di Lanza del Vasto, che è stato un filosofo italiano che ha interpretato teologicamente il messaggio di Gandhi. Quest’ultimo era molto critico del progresso. Forse il suo insegnamento era anche eccessivamente radicale, ma dobbiamo raccogliere il suo invito alla “semplicità”. Le realtà ecologiste che stanno nascendo in Italia hanno in comune, mi sembra, una base nonviolenta, intesa come rispetto della Natura, come volontà di vivere in armonia con essa e tra gli uomini. Questo sforzo di convergenza delle forze, ad ogni modo, rientra in quella Noosfera e in quel “muovere verso” Omega di cui parlava Teilhard de Chardin (vedi più avanti). In generale, comunque, la spiritualità dell’ecologia si inserisce in un discorso filosofico più ampio. Un nome di riferimento, a questo proposito, è quello di Arne Naess, che per primo ha parlato di “Ecologia profonda” ed Ecosofia. Quest’ultima, almeno in parte, è legata all’ipotesi Gaia del chimico James Lovelock, secondo il quale la Terra è un unico organismo vivente, teoria che risulta essere un passo ulteriore rispetto all’Ecologia tradizionale. Infatti, se considerate in rapporto all’Ecologia scientifica, queste riflessioni ne rappresentano persino una critica, perché cercano di indagare i fondamenti metafisici ultimi della Natura e il suo Mistero Trascendente. Un autore esemplificativo espressivo di questa linea è Raimon Panikkar, che anziché “Ecologia profonda”, ha preferito usare il termine “Ecosofia” connettendola ai suoi concetti tradizionali di adualismo, Interindipendenza e Cosmoteandrismo. Anche per il teologo ispano-indiano, infatti, l’Ecosofia è da leggersi come una critica all’Ecologia, da lui giudicata sotto il dominio del logos e ancora finalizzata ad addomesticare la Terra. Rispetto alla spiritualità dell’Ecologia, sono invece realtà più marginali quei movimenti “richiamati però dallo stesso Francesco al n. 193” che si rifanno alla decrescita, come ad esempio S. Latouche e N. Georgescu-Roegen. 83
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La qualità della vita umana dipende anche dalla vita del cosmo di cui l’uomo fa parte e nel quale è la sua dimora. Questione sociale e questione ambientale hanno ragioni cristiane assolute. (Scrive Enzo Bianchi). Dio ha creato il Mondo per amore e libertà; ha limitato la sua onnipotenza e tramite la volontà ha dato forma e vita all’eccedenza d’amore, «per avere qualcuno di fronte a sé cui fare i suoi doni meravigliosi», come scrive sant’Ireneo di Lione. In una liturgia cosmica: «i cieli raccontano la gloria di Dio, e il firmamento annuncia l’opera delle sue mani» (Sal 19,2), «tutte le opere lodano il Signore» (Sal 145,10), «i fiumi battono le mani, le montagne gridano di gioia» (Sal 98,8), «gioiscono i cieli, esulta la terra … gli alberi del bosco danzano di gioia» (Sal 96,11-12). Sono passi meravigliosi.. C’è una vocazione del mondo intero a diventare tempio di Dio. • Come possiamo contemplarle queste bellezze? Come aspettare lo Spirito? Come preservarle? Nella Natura c’è non solo bellezza, c’è verità e c’è lo Spirito. C’è una frase di San Bernardo che è molto eloquente: “Ti insegneranno più cose gli alberi e le pietre dei libri”. Oggi è una priorità riscoprire lo spirito che c’è dietro e dentro la Natura. Per Teilhard de Chardin il cosmo era “un ambiente divino”. Per costruire una vera Ecologia, quindi, occorre risacralizzare il cosmo, riconoscerlo non soltanto vivente, ma 84
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anche permeato di spirito. In un convegno a Piacenza, nel 2012, scrissi, ad esempio, che riscoprire la dottrina del Cristo cosmico, di cui parla già Massimo il Confessore, può essere fondamentale per costruire una Spiritualità della Natura. C’è una frase di Henri Le Saux, che da monaco benedettino volle vivere come i monaci indù in India, che è molto eloquente sul come dobbiamo ampliare il concetto di spirito: «Lo Spirito è Vento, Spazio, Fuoco. Ed è colomba che si libera nello spazio. Ed è pure Acqua. E lo Spirito è materia che santifica». Da ciò, il passo successivo sarà quello, per citare Albert Schweitzer, premio Nobel per la Pace, di elaborare un coerente e trasversale “rispetto per la vita”. In fondo va in questa direzione anche la Laudato si’ che Francesco, anche sulla scia di vari interventi di Benedetto XVI, ha voluto promulgare nella Pentecoste del 2015. È significativo che il documento non articoli soltanto una teologia dell’Ecologia, ma anche un’iniziale Teologia spirituale dell’Ecologia. Tema precipuo, questo, con il quale ha scelto di chiudere il documento (nn. 202-246). • In termini teologici: qual è il ruolo dell’Uomo rispetto a ciò che Dio elargisce per Grazia? Ha un ruolo attivo o passivo nei confronti di ciò che è stato donato da Dio? La Teologia spirituale insegna che c’è una purificazione attiva che l’uomo può compiere con le sue forze ed una purificazione passiva che può fare solo Dio. Nella vista spirituale è Dio che ha il primato, l’uomo deve sempre rispondere. Il merito eventuale, o la capacità eventuale di libertà, sono sempre una risposta al dono. L’uomo da sé non può fare nulla. Sul piano teologico-spirituale questa pretesa si chiama “pelagianesimo”, ed è stata giudicata eretica. Questo principio, a mio avviso, vale anche per la salvaguardia del Pianeta. La Terra è in qualche modo, se non Madre, almeno Matrice dell’uomo, e questa origine l’uomo non potrà mai dimenticarla, anche perché alla Terra tornerà (cf. Gen 3,19). La Terra è creatura di Dio e l’umanità è creatura tratta dalla Terra, cocreatura con la Terra: come dice letteralmente Gen 2,7, 85
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«Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo». • Che significa che l’uomo è fatto della polvere della Terra? È solo un memento mori (deperibilità del corpo rispetto all’eternità dello spirito) o vuole instaurare un rapporto privilegiato con l’elemento naturale? È una domanda interessante. L’uomo, diceva Rahner, è uno “spirito incarnato”. Questo significa che appartiene alla terra, in un certo senso è terra. Al tempo stesso, però, è molto di più. Nella sua interiorità è celata una ricchezza che fa comprendere come, in verità, sia destinato ad una dimensione totalmente altra. La terra è, in fondo, non la meta, bensì un passaggio ed il mezzo per arrivare al cielo. L’uomo è anche comunità con gli animali e dualità con la donna. In Genesi (1, 4-10) Dio, dopo averli creati, nomina il Giorno, la Notte, il Cielo, la Terra e il Mare. È però Adamo (in Gen.2: 18-20) a nominare gli animali: E il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati […] Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolto all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: […] la si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”.
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• Che significa “nominare”? Il nominare instaura una gerarchia fra il nominante e il nominato o permette al nominante di conoscere e riconoscere il nominato? Nominare, nella cultura biblica, significa in qualche modo avere il dominio e la conoscenza di una realtà. Il nome è fondamentale. Non è un caso che Mosè chieda a Dio qual è il suo nome. E tuttavia, l’uomo, in verità, non potrebbe dare il nome a nessuna cosa, perché di niente egli dispone. Tutto gli è dato in vista di qualche cosa, e soprattutto in vista del servizio e del dono. Il concetto di “nominabilità” va di pari passo a quello di “conoscibilità”, prospettiva che ha dei limiti. Insieme alla teologia positiva esiste anche una teologia negativa, che afferma la limitatezza umana. Questo vale anche e soprattutto per il concetto di spirito. Lanza del Vasto scriveva che «Lo spirito non è conoscibile che nel suo rapporto con le cose, e i rapporti dello spirito con le cose sono le forme». La sua intuizione la si ritrova anche in Raimon Panikkar, per il quale «Lo Spirito non può essere né ridotto né subordinato al logos» . Convinzione che egli completava aggiungendo che «Lo Spirito non ha e non può avere un nome proprio perché, in un certo senso, è molto al di qua di ogni nome, anche quello di Essere». • Dapprima gli animali, poi la donna, vengono esplicitamente come “aiuto” per l’uomo: questo crea una gerarchia? Che significa “aiuto che gli corrisponda”? Sarebbe opportuno fare un accurato esame esegetico dei termini ebraici implicati. Ma non è qui la sede ed io non sono un biblista. È comunque sempre possibile fare una 87
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lettura spirituale della Sacra Scrittura. Il concetto di aiuto lo interpreto come un “camminare insieme”. Nel creato non mi sembra possibile stabilire gerarchie. E’ assai interessante come oggi i giuristi stiano riscoprendo i diritti degli animali. Forse bisognerebbe riscoprire gli animali come compagni, ed è significativo che l’uomo, a differenza di altri animali che sono esclusivamente carnivori, possa anche decidere di non nutrirsene. Secondo la teologia, però, la dimensione terrena è una dimensione decaduta. Questo insegna, ad esempio, il dogma del peccato originale. Che l’uomo sia costretto in taluni casi a difendersi dagli animali, e che essi stessi siano costretti a sbranarsi per sopravvivere, lo leggo come un segno evidente di questa caduta originaria e misteriosa. Nella prima lettera a Timoteo si legge: “Non permetto che la donna insegni, né che domini sull’uomo, ma che se ne stia in silenzio. Adamo infatti è stato formato per primo, poi Eva. E non Adamo è stato ingannato, ma la donna si è lasciata ingannare e ha commesso la trasgressione.” Confrontiamo questa lettura con lo scritto del 1988 di Giovanni Paolo II: La chiamata all’esistenza della donna accanto all’uomo «un aiuto che gli sia simile»: (Gen 2,18) nell’«unità dei due». offre nel mondo visibile delle creature condizioni particolari affinché “«l’amore di Dio venga riversato nei cuori» degli esseri creati a sua immagine. […] Il passo della Genesi – riletto alla luce del simbolo sponsale della Lettera agli Efesini – ci permette di intuire una verità 88
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che sembra decidere in modo essenziale la questione della dignità della donna e, in seguito, anche quella della sua vocazione: la dignità della donna viene misurata dall’ordine dell’amore, che è essenzialmente ordine di giustizia e di carità.” Secondo un articolo dell’allora Cardinale Ratzinger, “La donna Custode dell’uomo, dell’essere umano, della sua umanità: questa è l’affermazione programmatica e l’accorato appello, in cui questo documento sfocia”. • Qual è dunque il ruolo della donna? Che si intende col dire che è “Custode” dell’uomo? Dio ha creato la distinzione sessuale affinché l’uomo imparasse la relazione. Dio, infatti, è relazione, è amore. La differenza tra i sessi è una realtà simbolica, non sappiamo se sia una realtà assoluta. Certamente, però, è attraverso la differenza che l’uomo impara il mistero dell’amore e quello dell’unità. Mi piace pensare che l’“aiuto” non è di ordine materiale, ma in vista del risveglio spirituale, in ordine, cioè, alla maturazione della coscienza e della realizzazione interiore del divino. Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela, e dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra (Gen 1,28). • Ma dunque il rapporto fra uomo e terra /uomo e animali deve essere di dominazione del primo sui secondi? Che si intende per “soggiogatela” e per “dominate”? L’uomo è re (in terra) con potere assoluto sul resto del creato? Come dicevo prima, alla base di molte polemiche c’è un equivoco nell’interpretazione del passo di Genesi. L’uomo è 89
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Re non nel senso che è padrone, ma nel senso del servizio. Tra i vari teologi dell’Ecologia mi piace ricordare il teologo di Tubinga Moltmann, con il quale - insieme a Piero Stefani - abbiamo firmato un volume dal titolo: “La terra come casa comune”. Moltmann va appunto considerato uno dei principali esponenti della nascente spiritualità ecologica. Nella sua ricerca si è chiesto come possa essere riformulata una dottrina della creazione che sia fermento di Pace con la Natura, e tra le conclusioni c’è stata la necessità di riscoprire la categoria di “Spirito cosmico”. Gesù Cristo rappresenta la carne della Parola di Dio e attraverso la Resurrezione ci è stata data la Salvezza ed è avvenuta la Riconciliazione. La creazione conoscerà essa pure la sua trasfigurazione, la sua «novità», e genererà cieli nuovi e terra nuova. Ciò avverrà se gli uomini sapranno assumere un ruolo attivo, sinergico all’opera di Dio, affinché la creazione giunga alla sua pienezza di creazione reinnestata in Cristo. Proprio questo rapporto con la salvezza, con la redenzione cosmica, evidenzia la responsabilità grande e determinante dell’uomo nei confronti dell’universo intero. Egli sa di essere stato investito da Dio di una responsabilità creativa ispirata dalla benedizione di Dio stesso sulle creature, dall’unità che egli deve fare tra culto a Dio e cultura della terra, custodendo e coltivando il giardino e nominando il mondo coram Deo. •
Può approfondire coram Deo?
Dio ha un progetto sulla Natura ed ha un progetto sull’Umanità. Quello del cosmo è un gran mistero. Riecheggiando Teilhard de Chardin, Raimon Panikkar parlava di CosmoTeandrismo, ovverosia del fatto che Dio, l’Uomo e la Natura sono interconessi. Questo significa, forse, che il progetto salvifico - ovverosia escatologico - di Dio riguarda sia l’Uomo che la Natura. È un Mistero, ma è ipotizzabile una Reciprocità: l’Uomo salva la Natura, la divinizza (anche liturgicamente) portandola così a compimento. Tuttavia, dal momento che l’uomo fa parte di quella stessa Natura, nel servire il cosmo, divinizza e porta a compimento sé stesso. 90
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Chi era Teilhard de Chardin? Vediamolo in una nota di www.corsodireligione.it.. Egli nacque il primo maggio 1881 presso il Castello di Sarcenat (Comune di Ourcines nei pressi di Clermont-Ferrand), in Francia. La madre era pronipote di Voltaire; a undici anni entra in collegio dai Gesuiti e a trent’anni aderì alla Compagnia di Gesù a Aix-en-Provence. Durante i tredici anni di formazione in seminario si avvicina alla filosofia di Bergson. Dato il suo interesse per la scienza viene inviato ad insegnare fisica e chimica nel collegio dei Gesuiti del Cairo e nel 1911 viene ordinato sacerdote e partecipa alla Prima Guerra mondiale come barelliere meritandosi anche una medaglia al valore e la nomina a cavaliere della Legion d’ onore. Dopo la laurea in Scienza Naturali, viene mandato in Cina a Tien Tsin. Nel 1925 torna ad insegnare a Parigi all’Istituto Cattolico. Dopo alcuni scritti di carattere teologico le autorità ecclesiastiche -contrariate- lo rimandano in Cina, dove lavorerà per venti anni, dando anche un contributo a scoprire i resti del cosiddetto “uomo di Pechino” o Sinantropo. Nel 1947 torna a Parigi dove vorrebbe pubblicare la sua opera Il fenomeno umano, ma il Vaticano è ancora contrario cosicché nel 1951 si trasferisce definitivamente a New York dove continua i suoi studi alla Fondazione Wenner non rinunciando ai suoi viaggi di ricerca in Sud Africa e Rhodesia. Un curioso aneddoto riguarda la sua morte: agli amici aveva sempre detto di aver chiesto al signore di morire il giorno di Pasqua. Ebbene, il 10 Aprile 1955, dopo aver assistito ad una messa alla cattedrale di Saint Patrik, a New York, Theilard viene colpito da infarto mentre prende un tea a casa di amici; era il giorno di Pasqua. Nel panorama intellettuale della Chiesa Cattolica il caso di De Chardin è senza dubbio particolare: fu infatti il primo uomo di Chiesa che tentò di conciliare le evidenze -diremo sperimentali- della teoria dell’evoluzione naturale proposta da Charles Darwin con i rigidi assiomi della dottrina Cattolica in tema di creazionismo e creazione. Cosicché la sua è stata principalmente un’attività tesa a rendere plausibile la teoria darwiniana nell’ambito teologico; infatti, la sua è una “visione avente per base il mondo della materia e per vertice Dio”. 91
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I suoi interessi scientifici lo portarono quindi inevitabilmente verso quella “biologia della complessità” che si sarebbe sviluppata dopo poco in tutto il mondo ma, principalmente, con Jaques Monod in Belgio (anche se con conclusioni opposte per quanto riguarda le ipotesi teleologiche). Quello che il Gesuita vede nell’evoluzione naturale è sintetizzabile in due elementi: 1) La crescita verso una sempre maggiore “complessità”. 2) La presenza di un “valore limite”, di una “soglia” oltre la quale cominciano a manifestarsi degli epifenomeni come quello della vita, della coscienza e quindi del pensiero. Il gesuita francese non si limita a fare della scienza ma sconfina -inevitabilmente- nella filosofia (sempre però da un’ottica intellettuale squisitamente teologica). Infatti giunse a preconizzare che l’evoluzione della coscienza avrebbe portato ad una “mente planetaria” o meglio una “rete nervosa planetaria” alla fine della quale ci sarebbe il cosiddetto “Punto Omega” (punto Ad quem omnia tendunt), cioè l’unione (e qui è il teologo che parla) con il Cristo Cosmico . Secondo Padre Theilard de Chardin l ‘Universo è una realtà dinamica, in movimento, in espansione e contrazione, in trasformazione, complessificazione, in evoluzione: l’universo è una creazione. L’universo è una Cosmogenesi e l’evoluzione avviene secondo una legge di complessificazione. Per Theilard se oggi si eleva lo sguardo per avere una “ panoramica” del processo della evoluzione si intravede una “moltitudine che si sta organizzando verso un qualcosa di nuovo che fa procedere l’evoluzione”. Questa moltitudine di uomini sta creando una nuova tappa del cammino dell’universo, la Noosfera. La stoffa dell’universo non è fatta di sola energia-materia, essa è materia e spirito, energia e interiorità: anche la materia inorganica ha una sua “ interiorità”. La complessificazione è la legge della Cosmogenesi. La complessità crescente non è frutto della casualità, ma è centrata su un disegno, un progetto: la complessificazione della “coscienza”. La cosmogenesi è in realtà una Noogenesi, cioè la creazione di “coscienza”, di “spirito”, per mezzo di una complessificazione crescente. Egli parla di -homo noeticus-. L’apice della evoluzione sulla Terra, oggi, è l’Uomo, l’essere più 92
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complesso, con la coscienza più complessa, lo Spirito. Attraverso le risorse sempre più strettamente interconnesse e comunicanti, (pensiamo alle comunicazioni di luce ed onde dallo spazio ed a Internet) la coscienza umana si complessifica sempre più, creando una unione pensante e cosciente che sintetizza ed utilizza tutte le differenze. Gli esseri umani con i loro pensieri, ma soprattutto con la loro coscienza sono simili ai neuroni di un grandioso “cervello globale” o “mente planetaria ”. Nella sua opera “L’Ambiente Divino” così si esprime: “...l’uomo scopre, (per usare una forte espressione di Julian Huxley), di non essere altra cosa se non l’evoluzione divenuta cosciente di se stessa” Le energie del pensiero e della coscienza degli uomini rimangono coese dalla forza di attrazione universale che ogni essere esercita su tutti gli altri: L’ Amore. Questa forza non agisce per se stessa, essa ha bisogno di un polo di attrazione superiore, un Punto Omega che attiri a sé la molteplicità e la incorpori in un qualcosa di superiore e già unitario, l’ Uno. Il Cristo Cosmico [Card. Christoph Schönborn, Ziel oder Zufall?: Schöpfung und Evolution aus der Sicht eines vernünftigen Glaubens. Edizioni Herber] è la risposta. Teilhard ritiene che l’universo sia un immenso moto ascensionale verso una sempre più elevata complessità ed interiorità, dalla materia alla vita, allo spirito. Si tratta di un movimento finalizzato (e in ciò Teilhard si differenzia da chi ritiene l’evoluzione senz’alcuna direttrice), il quale va dalla geogenesi alla biogenesi e quindi alla psicogenesi. Questo movimento ascendente è tuttavia completato allorquando la “Cristogenesi” emerge dalla Cosmogenesi. In quest’ascesa, l’evoluzione finisce di essere passivamente subita sino all’apparizione dell’uomo e raggiunge la fase di Autoevoluzione. A sua volta, questa perviene all’apice con l’apparizione di Cristo. Egli diviene il centro visibile 93
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dell’evoluzione ed anche il suo fine, il “punto Omega”. Il Logos incarnato, che ad un certo punto si manifesta in forma visibile sull’asse evolutivo, era stato in precedenza l’invisibile “motore dell’evoluzione”. Cristo, alla testa del corpo cosmico, completa ogni cosa, guida ogni cosa e perfezione ogni cosa. “L’intero universo è ipso facto modellato dalla sua personalità, determinato dalle sue scelte e animato dalla sua forma.” Secondo Teilhard, Cristo diviene l’energia dello stesso Cosmo. Poiché con l’Incarnazione Dio si è “immerso” nella Materia, in essa e dal Cuore di essa egli realizza l’unità. “la guida e la pianificazione di ciò che noi oggi chiamiamo ‘Evoluzione’.”
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Ci sono stati degli oppositori a questo pensatore: c’è chi lo diceva miscelatore di Nietzsche e San Paolo, prendendone il meglio per dare un’idea vivida e fiorente del Gesù Cristo, che però dobbiamo vedere come gioia, anche nella sofferenza appunto. Era gnostico in quanto credeva nelle ‘magnifiche sorti e progressive’.. ed è un bell’invito, forse dovremmo farlo tutti e tutte, mettendo la Scienza a servizio della Natura e quindi di un’idea più completa e quindi Cristica della Fede? Bisogna “integrare il cristianesimo alla Cosmogenesi; bisogna che la Teologia assimili oggi il Cristo alla forza cosmica, origine e fine dell’Evoluzione. Che rivoluzione! C’invitano semplicemente a ricondurre nel posto giusto la fede nel Redentore”. 95
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Salvaguardare, custodire e redimere la creazione appare come un comandamento dato agli uomini prima della legge consegnata a Mosè. Dovremo imparare a scorgere nella profondità della creazione la signatura rerum, la scrittura delle cose, a cogliere non solo le lacrimae rerum (cf. Rm 8,22), ma anche le laudes rerum (cf. Sal 19,2-5; Bar 3,34-35). • Possiamo immaginare insieme una prassi, una liturgia che possa aiutarci di più in questo senso? Una liturgia che possa coinvolgere anche i bambini e le bambine per esempio, che attraverso elementi ludici risulti di ‘Lode alle Cose’ (Esperienza Comunità Taizé)? Nessuna liturgia è più cosmica come quella della “messa al mondo” di Teilhard de Chardin. Nessuna pagina quanto quella del gesuita francese spiega che il compito della liturgia non è individualistico, ma cosmico. Ritengo opportuno riportare un suo passo: «Poiché ancora una volta, o Signore, non più nelle foreste dell’Aisne ma nelle steppe dell’Asia, sono senza pane, senza vino, senza altare, mi eleverò al di sopra dei simboli sino alla pura maestà del Reale; e Ti offrirò, io, Tuo sacerdote, sull’altare della Terra totale, il lavoro e la pena del Mondo. [..] Il mio calice e la mia patena sono le profondità di un’anima ampiamente aperta alle forze che, tra un istante, da tutte le parti della Terra, si eleveranno e convergeranno nello Spirito. [..] Ricevi, o Signore, questa Ostia totale che la Creazione, mossa dalla Tua attrazione, presenta a Te nell’alba nuova. Questo pane, il nostro sforzo, so bene che, di per sé, è solo una disgregazione immensa. Questo vino, la nostra sofferenza, non è purtroppo, sinora, che una bevanda dissolvente. Ma, in seno a questa massa informe, hai messo ne sono 96
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sicuro perché lo sento – un’irresistibile e santificante aspirazione che, dall’empio al fedele, ci fa tutti esclamare: “O Signore, rendici Uno!”». Il senso di questi versi teilhardiani è molto semplice: il cosmo è in evoluzione verso una reale divinizzazione. Il lavoro dell’uomo deve servire a questo. La sua offerta quotidiana di fatica e sacrificio deve andare in quella direzione. Dio disse: «Ecco vi do (al primo uomo e alla prima donna) ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo.» (Gen1:29). • Perché Dio non parla della possibilità di (non) nutrirsi d’animali? Toccate un tema cruciale che è stato oggetto del mio ultimo libro che ho intitolato “Per un Vegetarianesimo Cristiano”. Ho usato il prefisso “per” proprio perché è una realtà che non c’è ancora. Insieme ad altri amici abbiamo creato un’associazione che si chiama “Centro Studi Cristiani Vegetariani”. L’obiettivo è appunto quello di risvegliare nella Chiesa una sensibilità vegetariana e dimostrare che il cristianesimo può e deve evolvere nella direzione del Vegetarianesimo. Considerando quanto molti vegetariani e vegani siano scandalizzati dal fatto che Gesù mangiasse carne (o quantomeno pesce), ho voluto intitolare un capitolo del saggio: “Apologia di Gesù”. Nel volume ipotizzo tutta una serie di ragioni che potrebbero aver indotto il Cristo a non parlare di Vegetarianesimo in modo esplicito: il suo insegnamento aveva una destinazione universale per l’uomo e la donna di ogni tempo e luogo; Gesù sembra aver accettato la logica del male, quella cioè di un mondo irrimediabilmente decaduto col peccato originale nel quale la “violenza” - anche quella alimentare - è necessaria; il suo insegnamento ha messo piuttosto al centro il superamento dei pregiudizi veterotestamentari riguardo all’impurità che viene dall’esterno; Gesù era anche uomo, e si è pertanto inserito in una tradizione storica ben precisa, quella ebraica, ma ha 97
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comunque posto le premesse per liberarsi dall’alimentazione carnivora. Il Vegetarianesimo, infatti, si può considerare un consiglio evangelico, ed è la logica conseguenza del suo insegnamento improntato all’amore e alla libertà. Egli con la sua grazia lo ha reso possibile. • E’ importante qualche forma di astinenza in questo senso? L’ascesi, o “via stretta” che dir si voglia, è la via dello spirito. È così non soltanto nel Cristianesimo, ma in tutte le religioni. Una declinazione nuova dell’ascetica spirituale riguarda oggi il rispetto e la conservazione della Natura. I cristiani del nostro tempo devono improntare la loro vita spirituale all’Ecologia integrale e passare da un atteggiamento con la Natura utilitaristico e dominante, ad un approccio contemplativo che li deve trasformare in Custodi del creato. Occorre, cioè, che essi imparino a rivalorizzare il cosmo come “spazio divino” e ri-sacralizzino l’ambiente naturale, ricucendo quella spaccatura che si è venuta a creare con il nominalismo, che ha separato la Natura dalla SopranNatura, ovverosia la realtà immanente dall’idea superiore. Funzionale a questo compito, è sicuramente il recupero del Pancristismo, dottrina già paolina (cf. Col 1,16) su cui si è molto soffermato anche Gregorio di Nissa, che invitava a riconoscere il divino come presente in ogni angolo del reale. Con la sua enciclica, papa Francesco ha dimostrato che una spiritualità ed anzi una Mistica della Natura è possibile. Di essa ha anche dato delle coordinate pratiche. Dalla sua Lettera, infatti, possiamo raccogliere sette costumi valoriali: 1) commutare l’impegno ecologico in ascesi personale; 2) essere consapevoli che il peccato non riguarda solo la sfera soggettiva ma anche i danneggiamenti all’ambiente; 3) impegnarsi, anche comunitariamente, per la cura della casa comune; 4) rinunciare, nei limiti del possibile, al dominio totalizzante della tecnica; 5) opporsi alla logica del consumismo sfrenato; 6) cambiare la propria dieta; 7) vivere la vita interiore a contatto con la Natura abitandola come spazio mistico-contemplativo.
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• Una fra le prime poesie in volgare italiano è il Laudes creaturarum di Francesco d’Assisi, in cui viene lodato Dio “per” ciò che ha creato, “Per Sora Nostra Matre Terra” oltre al Sole, le Stelle, l’Acqua la Terra etc. (financo per la Morte Corporale). CANTICO DELLE CREATURE Altissimu, onnipotente bon Signore, tue sò le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se konfane et nullu homo éne dignu te mentovare. Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate Sole, lo qual è iorno et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cun grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione. Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle: in celu l’hài formate clorite et preziose et belle. Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et omne tempo, per lo quale a le Tue creature dài sostentamento Laudato sì’, mi’ Signore, per sor ’Acqua, la quale è multo utile et humile et preziosa et casta. Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu, per lo quale enallumini la nocte: et ello è bello, et iocundo et robustoso et forte. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba. Laudato sì’, mi’ Signore per quelli ke perdonano per lo Tuo amore et sostengono infirmitate et tribolazione. Beati quelli ke ‘l sosteranno in Pace, ke da Te Altissimo, saranno incoronati. Laudato sì’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; 99
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beati quelli ke troverà ne le Tue santissime voluntati, ka la morte seconda no ‘l farrà male. Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate. FF .263 •
San Francesco Cosa ci insegna questo cantico?
È un canto profetico. Ci insegna che il mistero cristiano deve ancora essere spiegato nelle sue implicazioni con la Natura e con il Cosmo. Francesco è il santo del futuro. Il suo messaggio, a mio avviso, rimane profetico. È quanto mai significativo che Bergoglio abbia voluto assumere il suo nome. Il nome del santo della povertà, della Natura e del dialogo interreligioso. È veramente il “nome” che serve al nostro tempo. Il ritmo di questa pagina poetica di san Francesco è “totale”, non parla semplicemente della Natura o della Sapienza Religiosa, ma della loro sinergia. Gli indù chiamano la loro religione “sanathana dharma”, cioè, la norma eterna. Ecco, il cantico mi sembra che insegni che c’è un ordine, un disegno, una grazia, una speranza nella dinamica del creato. E se l’uomo la rispetta e la segue può salvarsi e realizzarsi. Mi sembra, inoltre, che il cantico insegni che Dio è nascosto nelle pieghe della Natura, perché nell’architettura del mondo c’è il suo disegno e c’è la sua giustizia e il suo amore. Un uomo religioso sa che Dio è nella Natura e che lì può ritrovarlo rispettandone l’ordine e vivendone la verità.
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CAPITOLO 3
Una labile felicità Uomo sovrano e custode in Genesi Eugenio Fallarino Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. (Francesco d’Assisi, Laudes creaturarum) Introduzione Non bisogna essere particolarmente religiosi per comprendere l’importanza della Bibbia. Che sia stata scritta per ispirazione divina o per l’esigenza di trascendente propria dell’essere umano, poco cambia: gran parte della cultura occidentale si è fondata e tuttora si fonda su tali testi; molte idee con le quali continuamente ci rapportiamo derivano proprio da questa sacra antologia. È dunque particolarmente interessante rileggere la creazione dell’uomo così come avviene in Genesi, per capire il ruolo dell’uomo nel mondo, sia che con tale frase si intenda il ruolo concesso da Dio all’uomo oppure il ruolo in vista del quale l’uomo ha ritenuto di essere stato creato.
Cenni filologici Genesi è il primo libro dell’Antico Testamento. Per la tradizione giudaico-cristiana, tale testo, insieme agli altri quattro di cui è composto il Pentateuco o Torah (Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio), sarebbe stato scritto da Mosè. Tuttavia, fin dai primi traduttori della Bibbia in lingue moderne, tenden101
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zialmente di origine luterana, ci si rese conto di una “stranezza” all’interno dei testi ebraici di cui è composto l’Antico Testamento: Dio viene chiamato in due modi assai diversi. Talvolta infatti si trova il termine “elohim” ()אֱֹלהִים, che da un punto di vista grammaticale è il plurale di “el” ()אֱל, ovvero “divinità”, e viene generalmente tradotto in italiano con “Dio” od “Iddio”. Altre volte si incontra invece il Tetragramma “YHWH” ()י ְהוָה, il Nome proprio di Dio, la cui radice è chiaramente collegata col verbo essere (היה, donde il famoso “Io sono colui che sono”, in ebraico “” ֶא ְהי ֶה ֲאׁשֶר ֶא ְהי ֶה, in Esodo 3,14), che viene tradotto o con una delle possibili vocalizzazioni del tetragramma stesso (Yahwe o Geova) o con “il Signore” su calco degli ebrei, che sostituiscono il Nome impronunciabile con la parola “adonai” (“mio signore”). Queste diverse dizioni hanno fatto presupporre l’esistenza di due autori del Testo Sacro. Da questa prima intuizione, le cose si sono complicate: dal momento che talvolta i due termini si trovano combinati insieme, è stata postulata l’esistenza di una terza mano – quella di un revisore che abbia cercato di normalizzare il testo, appianando un minimo le differenze fra gli altri due autori. Oggi gli studi filologici tendono a individuare varie stesure di autori anonimi vissuti in periodi e luoghi differenti e quindi non necessariamente afferenti a una cultura sola e univoca nelle proprie interpretazioni. Per limitarci a Genesi, che è quello che ci interessa in questa sede, possiamo ritenere valida l’ipotesi di Friedman (1987), secondo il quale esisterebbero in questo libro i seguenti autori: - autore J (Yahwista, ossia che tende a usare il Tetragramma per parlare di Dio). Si tratta di uno scrittore del periodo monarchico, che tende a riassumere complesse narrazioni orali in una scrittura estremamente sintetica; - autore E (Elohista, usa l’altra dizione per riferirsi a Dio). È uno scrittore che tende a idealizzare di più i personaggi e a giustificare maggiormente l’operato di 102
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Dio. La sua voce si sente soprattutto a partire dal ventesimo capitolo di Genesi. - Autore P. Una fonte piuttosto tarda e smaccatamente ritualista che avrebbe aggiunto le genealogie e curato la Creazione del mondo in sette giorni con cui si apre il libro. - Altri “promises writer” che avrebbero aggiunto poche frasi per chiarire soprattutto il rapporto fra Dio e i profeti.1 La presenza di mani differenti ci permette di spiegare perché, nelle primissime pagine di questo libro, si trovano due versioni molto diverse della creazione dell’uomo. Prima Creazione: l’uomo come Sovrano La prima Creazione dell’uomo avviene all’interno della famosa settimana della creazione divina (Gen. 1,1-2,4a). Questi versetti, dalla natura evidentemente ritualistica, opera del cosiddetto autore P, tendono a utilizzare per ogni giornata una struttura fissa: dapprima Dio (elohim) dichiara ciò che intende far nascere (“E Dio disse”), poi lo crea (“E così fu”), lo nomina (“E Dio chiamò”) e lo benedice (di nuovo “E Dio disse”); infine, dopo che Dio ha apprezzato ciò che Egli stesso ha fatto (“E Dio vide che ciò era buono”), il giorno finisce (“E fu sera e fu mattino”). Secondo questa struttura, Dio crea il primo giorno (che, per la cronaca, è la domenica) il cielo e la terra, il giorno e la notte; il secondo giorno il firmamento; il terzo il mare e il mondo vegetale; il quarto il sole, la luna e le stelle; il quinto gli animali acquatici e gli uccelli; il sesto gli animali terrestri e l’uomo – infine il settimo giorno (sabato) 2 Dio si riposa. Questo è il brano relativo alla creazione dell’uomo nel sesto 1 Vedi Anchor Bible Dictionary, Dubleday, New York 1992, vol. 2, pp.933-935. 2 Non tutti si ricordano che nel mondo cristiano si festeggia la domenica come giorno del Signore (Dominus) non in riferimento alla creazione del mondo, ma per celebrare la risurrezione di Gesù (avvenuta per l’appunto in tale giorno) dopo tre giorni dalla crocifissione.
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giorno (venerdì): 1:26 E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, e abbia potere sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sugli animali domestici, su tutte le fiere della terra e sopra tutti i rettili che strisciano sulla terra. 27 E Dio creò l’uomo a sua immagine. A immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò. 28 E Dio li benedì e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela e abbiate potere sui pesci del mare, sui volatili del cielo e su ogni animale che striscia sopra la terra».3 È un brano abbastanza sintetico, che però esprime una visione chiara e molto definita del ruolo umano nel mondo. L’uomo, ultima creazione in senso cronologico di Dio, è l’essere vivente che maggiormente raggiunge la perfezione, creato com’è, a differenza di tutti gli altri animali, “a immagine e somiglianza” ( בַצלַמֹוֶ בֶצלםbetzalmò betzelem) di Dio. Tale espressione fra l’altro torna identica quando Adamo genera Set (Gen.5,4); dal momento che l’autore di tale passo sembra essere lo stesso (P), è credibile che ci sia un interesse specifico a sottolineare che questa somiglianza con Dio non fosse prerogativa solo del primo uomo, ma di tutta l’umanità. In questa versione, inoltre, è chiaro che non vi è gerarchia alcuna fra l’uomo e la donna, dal momento che vengono citati
3 In ottica di sottolineare la laicità di questo saggio, traggo le mie citazioni dalla Bibbia Concordata, una traduzione interconfessionale edita da Mondadori nel 1968. Sebbene la versione sia stata approvata da un entourage piuttosto nutrito di studiosi ebrei, cattolici, battisti, luterani, metodisti, ortodossi e valdesi, è bene tenere sempre presente che si tratta di una traduzione piuttosto libera: nella stessa Prefazione viene esplicitato che la resa è stata svolta “non parola per parola, ma senso per senso”.
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contemporaneamente come due diversi sessi della stessa creatura. È invece più che evidente una gerarchia dell’uomo rispetto al resto del regno animale e vegetale. L’uomo, infatti, viene qui benedetto con l’invito specifico a “soggiogare” ( כׁבשcavashׁ) la terra e “avere potere” ( רדrad) sugli altri animali. A lui inoltre è concesso di nutrirsi di qualsiasi vegetale voglia, senza limite alcuno: 1:29 E Dio aggiunse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce semente che è sulla superficie di tutta la terra e ogni albero producente seme: vi servirà da cibo.» Sebbene si possa interpretare questa frase come una specie di incentivo biblico al vegetarianismo, è da notare l’assenza, in questa sede, di divieti alimentari specifici: di fatto, Dio non nega all’uomo di nutrirsi di animali, né gli preclude frutto alcuno. L’uomo non ha limiti alla propria gola; il mondo è un regno sul quale può accampare qualunque pretesa. Seconda versione L’uomo come Custode Ben diversa è la versione successiva (Gen. 2,4b-2,25), opera dell’autore J. Apparentemente, dopo aver narrato il giorno di riposo di Dio, la narrazione biblica fa un passo indietro, tornando a descrivere il mondo prima della creazione umana. In realtà, come vedremo, numerose sono le differenze fra questa versione e la precedente: 2:4b Quando il Signore Iddio fece la terra e il cielo, 5 sopra la terra non c’era alcun arbusto della campagna, né alcun’erba dei campi era ancora germogliata, perché il Si105
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gnore Iddio non aveva ancora fatto piovere sulla terra, né c’era l’uomo a coltivare il suolo 6 e a far salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutta la superficie del suolo.4 7 Allora il Signore Iddio con la polvere del suolo modellò l’uomo, gli soffiò nelle narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. 8 Poi il Signore Iddio piantò un giardino in Eden, ad oriente, e vi collocò l’uomo che aveva modellato. Innanzitutto si può notare una differenza terminologica, a partire dal nome stesso di Dio: all’Elohim del brano precedente è stato aggiunto il tetragramma (YHWH), cosa che, fin dai tempi di Lutero, è stata considerata una spia per credere in un differente autore. Inoltre, al termine “creare” ( בראbarà) del brano precedente, è stato sostituito il termine “modellare” ( יצרiatzar). Questo non è uno scarto da poco: nella Torah, il primo termine compare quarantasei volte – e tutte le volte il suo soggetto è Dio. Questo sembra presupporre che tale verbo si riferisca a una azione propria solo della Divinità e non delle sue creature, generalmente collegato all’idea di “creazione dal nulla” o di “ordinamento cosmico”. Invece il secondo verbo, quello che viene usato in questo brano, compare più volte nel testo veterotestamentario anche in riferimento ad attività umane, soprattutto plastiche (così lo troviamo in Isaia e Salmi): si può parlare quindi di un “modellare” o “plasmare”, in ogni caso l’attività tipica dell’artigiano o dello scultore, che consiste nel forgiare qualcosa partendo da un materiale dato. In questo caso, anche Dio, infatti, proprio come un vasaio, non crea dal nulla, ma usa la polvere della terra. Sempre per continuare a concentrarci sui termini, c’è un gioco di parole che, purtroppo, viene perso in italiano – e che è per noi molto interessante. Nell’originale ebraico, il termine 4 Questo è un verso che offre alcune difficoltà di traduzione: la versione C.E.I. (cattolica) traduce “ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra ed irrigava tutto il suolo”; la Nuova Riveduta (protestante) “ma un vapore saliva dalla terra e bagnava tutta la superficie del suolo”.
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che viene utilizzato (in entrambi i passi finora analizzati) per parlare dell’uomo è “adam” (ם ָ ָ ָ )ָאָד, lemma che può indicare generalmente la persona di sesso maschile o l’umanità tutta – ma che in Genesi è anche nome proprio del primo uomo (in genere è dal 3° libro di Genesi che i traduttori del testo biblico smettono di usare il termine generico “uomo” e iniziano a usare “Adamo”; ma è una scelta meramente stilistica). Tale termine in ebraico suona come il maschile di “adamà” (ה ָ ָ ָ )ֲאָדָמ, ossia di “suolo” o “terreno”, forse proprio a ribadire la stretta correlazione fra l’uomo e l’elemento col quale è stato forgiato. Questa volta l’uomo non viene creato per soggiogare la terra; al contrario, viene esplicitamente plasmato per farla fiorire e fruttificare. Senza il suo intervento, la vegetazione esiste solo in potenza e la terra è di fatto sterile. In questo senso, il gioco di parole potrebbe in questo brano essere letto come metafora neanche troppo velatamente sessuale: Adamo penetra adamah (la terra) con i suoi strumenti di coltivazione, in modo che il seme che lui pianta possa venire alla luce. I commentatori ebraici, che ovviamente conoscono la lingua biblica meglio di noi, non hanno mai mancato di sottolineare questo sottotesto di natura sessuale. Già nel Berešit Rabbâ, un commentario ebraico (midraš) del VI secolo dell’era volgare, così viene affrontata la questione del materiale di cui è composto l’uomo: R.Hunah disse: Polvere (‘āfār) è maschile, terra (‘ădāmāh) è femminile. L’artefice portò polvere maschile e terra femminile, affinché i loro organi fossero sani.5 Una volta forgiato l’uomo, che in questo caso è ben lungi dall’essere l’ultima cosa creata da Dio, il Signore pianta un giardino (l’Eden), facendo spuntare alberi “piacevoli alla vista e buoni da gustare” (Gen. 2,9) e circondandolo con quattro fiumi: il Gihon, il Pishon, il Nilo e l’Eufrate. I primi due sono nomi di fiumi a noi del tutto sconosciuti, forse fantastici; gli atri due si riferiscono alle prime zone riccamente fertili colonizzate dall’uomo quando si è stabilizzato dopo secoli di no-
5 Commento alla Genesi (Berešit Rabbâ), UTET 1978, XIV 7, p.119
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madismo: l’Egitto e la Mesopotamia. In seguito, 2:15 Il Signore Iddio prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e custodisse. Il ruolo già dichiarato dell’uomo viene qui ribadito ed esplicitato. L’uomo, in questa versione, non è stato creato come sovrano inteso in senso assoluto (e teocratico), con pieni poteri sugli altri animali e sulla terra. Al contrario, è stato forgiato con il ruolo specifico di prendersi cura della terra (dalla quale proviene). Il suo ruolo è quello di giardiniere – anzi, più propriamente, “custode” – della natura, degli alberi e delle piante. Il suo potere su di esse questa volta non è assoluto; al contrario, Dio gli pone subito dei limiti alimentari espliciti: 2:16 Poi il Signore Iddio diede all’uomo questo ordine: «Tu puoi mangiare da ogni albero del giardino, 17 ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangerai, perché il giorno in cui ne mangiassi, di certo moriresti». Come sappiamo, la minaccia non è del tutto vera: successivamente l’uomo mangia da uno degli alberi proibiti, ma non ne muore. Tuttavia, ne paga il fio: 2:17 E [Dio] all’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce della tua donna e hai mangiato dell’albero di cui io ti avevo detto: Non mangiarne, maledetta sia la terra per causa tua. Con fatica ne trarrai il nutrimento Tutti i giorni della tua vita. 18 Spine e cardi ti germoglierà E tu mangerai l’erba dei campi. 108
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19 Con il sudore del tuo volto Mangerai il pane, finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: infatti sei polvere e in polvere ritornerai.» Il ruolo dell’uomo, dunque, una volta cacciato dal giardino di Eden, non cambia affatto, diventa solamente più gravoso: l’uomo resta custode della terra, il cui collegamento con la stessa è ribadito nuovamente negli ultimi versi, ma ne avverte maggiormente il peso, la difficoltà, la fatica. La donna come custode Tornando al momento creativo, una volta posto l’uomo al centro del giardino, Dio decide di creargli “un aiuto” ()עֶזר: forgia ogni sorta di animali (anche nell’altra versione gli animali venivano creati il sesto giorno, ma prima e non dopo rispetto all’uomo). A Adamo dà il compito di nominarli (nell’altra versione, era Dio che imponeva i nomi alle cose): l’uomo esegue, ma non trova “un aiuto adatto a lui”6. Dio dunque decide di creare la donna: 2:21 Allora il Signore Iddio fece cadere un sonno profondo nell’uomo che si addormentò; gli tolse quindi una delle costole, richiudendo la carne al suo posto. 22 Poi il 6 Il termine “דו ֹ ”נְּכנְֶגè di difficile resa in italiano. Secondo Friedrich Wilhelm Gesenius, Hebrew and Chaldee Lexicon, 1846, “pr. as overagainst. Opposite to each other are set things to be compared (Isa. 40:17), those which answer to each other, those which are alike”; in questo senso Gesenius apprezza particolarmente la traduzione dei LXX in “κατ᾽ αὐτόν”. Si tratta dunque di un aiuto che Adamo si trova, propriamente, “di fronte” – e col quale ha il compito di misurarsi. Nelle traduzioni C.E.I. il concetto è stato reso con “gli sia simile” fino all’edizione del 2008, che invece traduce con “gli corrisponda”: è interessante notare come, in entrambi i casi, si sia cercato di dare più importanza alla corrispondenza che all’opposizione, intendendo chiaramente mostrare la vicinanza piuttosto che lo scarto fra i due sessi.
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Signore Iddio con la costola tolta all’uomo formò una donna e la condusse all’uomo. 23 Allora l’uomo esclamò: «Questa volta sì, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Costei avrà nome dall’uomo perché fu tratta dall’uomo.» I versi finali fanno riferimento a un altro gioco di parole intraducibile in italiano: in ebraico lei viene chiamata “isha” (ָׁ)ִאשה, ovvero “donna”, perché è stata estratta da “ish” ()ִּאש, termine che compare qua per la prima volta all’interno del testo biblico sempre a indicare l’uomo. Questo brano, al contrario di quanto avveniva nella prima versione, differenzia in modo evidente la creazione dei due sessi. Sarebbe ovviamente del tutto impensabile usare il fatto che la donna sia stata creata come “aiuto” per l’uomo per svalutarla gerarchicamente: lo stesso termine infatti viene utilizzato numerose volte nella Torah per descrivere l’aiuto che Dio offre all’umanità, della quale Egli non è certo inferiore. Tuttavia, anche solo lo scarto temporale fra la creazione di Adamo e di Eva ha reso possibili interpretazioni secondo le quali esisterebbe una differenza qualitativa, e dunque una gerarchia, fra i sessi. Già all’interno del Nuovo Testamento (1Tm, 2,12-14) si può leggere: 2:12 Non permetto che la donna insegni, né che domini sull’uomo, ma che se ne stia in silenzio. 13 Adamo infatti è stato formato per primo, poi Eva. 14 E non Adamo è stato ingannato, ma la donna si è lasciata ingannare e ha commesso la trasgressione. Questa non è però l’unica interpretazione possibile. Per tornare al Berešit Rabbâ, alcuni rabbini hanno spiegato perché alle ragazze venisse concessa la maturità religiosa un anno 110
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prima che ai ragazzi (a dodici anni piuttosto che a tredici) proprio partendo da questo passo: E formò il Signore Iddio dalla costola, ecc. (Gen. 2,22). R. Eleazar in nome di R. Josê b. Zimrah disse: Le fu data una maggiore intelligenza che all’uomo, poiché abbiamo studiato: di una fanciulla di 11 anni e un giorno i voti vengono esaminati, di 12 anni e un giorno i voti sono validi, ma si esamina però durante tutto il 12° anno; per un maschio di 12 anni e un giorno i voti vengono esaminati, di 13 anni e un giorno i voti sono validi; ma si esamina però durante tutto il 13° anno. Anche in ambito cristiano, la figura femminile non viene necessariamente svilita, anzi, grazie all’importanza teologica della Vergine, spesso il ruolo della donna è stato messo in primo piano ed esaltato. Si consideri, per fare un esempio particolarmente pertinente, la spiegazione che, nell’anno mariano, Papa Giovanni Paolo II dette di questo passo biblico, mettendolo in relazione con la Lettera degli Efesini (nella lettera apostolica “Mulieris dignitatem” del 15 agosto 1988): La chiamata all’esistenza della donna accanto all’uomo («un aiuto che gli sia simile»: Gen. 2,18) nell’«unità dei due» offre nel mondo visibile delle creature condizioni particolari affinché «l’amore di Dio venga riversato nei cuori» degli esseri creati a sua immagine. […] Il passo della Genesi – riletto alla luce del simbolo sponsale della Lettera agli Efesini – ci permette di intuire una verità che sembra decidere in modo essenziale la questione della dignità della donna e, in seguito, anche quella della sua vocazione: la dignità della donna viene misurata dall’ordine dell’amore, che è essenzialmente 111
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ordine di giustizia e di carità. Così il passo è spiegato nel commento fattone dal Cardinale Joseph Ratzinger, attuale Papa dimissionario Benedetto XVI, apparso ne l’Osservatore Romano il 1° ottobre dello stesso anno: La donna custode dell’uomo, dell’essere umano, della sua umanità: questa è l’affermazione programmatica e l’accorato appello, in cui questo documento sfocia. È interessante notare che il tema del “custodire”, che abbiamo visto sopra essere il ruolo per il quale l’uomo è stato creato, diventa qua il ruolo proprio della donna. Del resto, partendo dal fatto che, linguisticamente, c’è fra “ish” e “isha” lo stesso rapporto che prima abbiamo sottolineato fra “adam” e “adamah”, è possibile equiparare i ruoli di uomo e di donna e il loro inestricabile rapporto con la terra. Di contro ai monarchi della prima versione della Creazione, ci troviamo qui di fronte un uomo e una donna che vivono per “custodire” od “aiutare” la terra e tutte le altre creature, aiutandosi a loro volta fra di loro. La loro natura è eminentemente relazionale e il loro agire sul mondo diventa intrinsecamente morale: proprio perché non hanno un’essenza forte (non sono nient’altro che terra e polvere), ma si definiscono in base alla relazione (cura) che intessono con il resto del creato (la terra, le piante, gli animali) è in loro potere il realizzarsi come Esseri; possono decidere liberamente se incarnare o no il ruolo per cui sono stati creati, realizzando al contempo il Piano divino e la propria dignità. Interpretazione rabbinica della doppia creazione I luterani ovviamente non sono stati i soli a rendersi conto dell’esistenza di questa doppia creazione. Molto interessante, soprattutto per quanto riguarda il rapporto fra i sessi, sono le interpretazioni emerse in ambito ebraico. 112
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Premetto che è complicatissimo, se non impossibile, dare un quadro generale delle interpretazioni rabbiniche su alcunché, dal momento che in ambito ebraico non esiste propriamente l’idea di scisma – ma possono esistere e coesistere nella “stessa” religione scuole di pensiero molto diverse. Ai nostri fini è comunque molto interessante sottolineare che, tagliando con l’accetta, i rabbini fin dal primo medioevo hanno notato la doppia creazione umana, ma non hanno mai dato importanza alle due nascite dell’uomo. Quello che ha creato maggior dibattito era l’origine della donna: è stata creata insieme ad Adamo (come sembra volere la prima creazione) o successivamente, estratta da una delle sue costole? Esistono (almeno) due interpretazioni. 1) La più nota, vede la creazione di due diverse donne: Lilit (la donna creata insieme a Adamo in Gen. 1,26-28) ed Eva (la donna estratta dalla costola dell’uomo in Gen. 2,21-23). Secondo L’Alfabeto di Ben Sira Lilit sarebbe la donna che è stata creata il sesto giorno insieme ad Adamo (prima creazione), si discute per ragioni inerenti alla loro relazione. In alcune versioni, molto amate dalle moderne femministe, la causa del dissidio è il rifiuto della donna di sottomettersi all’uomo, preferendo stare sopra durante l’atto sessuale. Pronunciato il Nome Ineffabile (ovvero il Tetragramma) Lilit vola via – o viene cacciata da Adamo. Dio, su richiesta dell’uomo, le manda dietro 3 angeli (Snwy, Snsnwy e Smnglf) i quali, trovandola nel Mar Rosso, le intimano di tornare, pena la morte di 100 suoi figli (concepiti con dei demoni) al giorno. Lilit respinge la proposta, sostenendo di essere stata creata per distruggere i neonati; ma promette di non procurare danno alcuno ai bambini protetti da amuleti raffiguranti i tre angeli (per questo alcuni ebrei affiggono talismani di questo tipo alle pareti delle stanze delle partorienti): Questa esce nel mondo per cercare bambini, vede quelli degli uomini e si attacca a essi per ucciderli, e per afferrarne gli spiriti. Ma quando se ne va con quello spirito, le 113
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si fanno incontro tre spiriti santi, volano di fronte a lei, glielo sottraggono, lo posano al cospetto del Santo, sia egli benedetto, e poi si mettono a studiare colà, davanti a lui.7 Dunque Adamo, rimasto solo, richiede una nuova compagna e Dio crea Eva da una sua costola. Secondo la tradizione cabalistica (dove è abbinata al pianeta Saturno), Lilit sarebbe dunque un demone dalla faccia di donna, le ali e i capelli lunghi, che strangola e mangia neonati e usa il seme delle polluzioni notturne degli uomini che dormono da soli e degli adolescenti per avere una folta progenie demoniaca. Viene per questo annoverata come una delle 4 madri dei demoni, insieme ad Agrat, Mahalath e Naamah. Spesso viene abbinata ad altre donne poco rassicuranti, come la regina di Sheba (figura tradizionale molto diffusa nel folklore ebraico), Elena di Troia (così odiata dai Greci), Frau Venus (nella tradizione tedesca) o Gyllo (demone della tradizione bizantina scacciato dalla casa di una partoriente da Elia). Si parla di un’origine mesopotamica della stessa basandosi su fonti la cui certezza è stata di recente messa fortemente in discussione (un frammento dell’Epopea di Gilgameš e il frammento siriano di Arshlan-Tash). L’origine del suo nome è altrettanto incerta: potrebbe derivare dal sumerico “lil” (vento)8 o dall’ebraico “laylah” (notte)9. Viene citata solo una volta all’interno della Bibbia (in Isaia 34,14), ma ricorre più volte nei Talmud10 e viene descritta senza essere nominata anche nell’apocrifo greco del Testamento di Salomone e nel Berešit Rabbà, nel quale è esplicitata la natura onirica di Lilit: R.Jehudah in nome di Rabbî disse: Da principio la creò, ma quando l’uomo la vide piena di saliva e di sangue se ne allontanò; tornò a crearla una seconda volta, come sta 7 Zohar, il libro dello splendore, Einaudi 2008, p.176-7 8 Vedi Anchor Bible Dictionary, op. cit., vol.4, p.325 9 Vedi Encyclopaedia Judaica, Thompson Gale Detrit 2006, vol.11, p.245 10 Nid. 24b; B. Bat. 73a; Šabb. 151b; ‘Erub. 100b
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scritto: Questa volta [sì, è ossa delle mie ossa / e carne della mia carne (Gen. 2,23)]. Questa e quella della prima volta […]; questa è quella che mi ha turbato tutta la notte. Chiesero a R. Shimon b. Laquish: Perché nessun sogno affatica l’uomo, e questo [quello erotico] lo affatica? Rispose: Dall’inizio della sua creazione non è stato che un sogno.11 2) Un’altra interpretazione, più complessa, legge la prima delle due creazioni come la messa in esistenza di un primo umano (nominato Adamo) comprensivo di una parte maschile e di una parte femminile strettamente unite fra di loro. Solo successivamente, visto che tale essere non può trovare nulla “che gli corrisponda”, per salvarlo dalla solitudine Dio decide di dividere le due parti, estraendo Eva da quell’essere informe, poli-sessuato, che all’inizio era Adamo. Per capire questo passaggio, è bene tenere in mente che il termine ebraico usato per costola (“”צלע, tzelà), compare nel significato di “lato” in Esodo: Disse R. Jirmejah b. Eleazar: Quando il Santo, Egli sia benedetto, creò l’uomo, lo creò ermafrodita, come è detto: Maschio e femmina li creò, e chiamò il loro nome «Adamo». Disse R. Shamuel b. Nahman: Quando il Santo, Egli sia benedetto, creò l’uomo, lo creò bifronte, lo segò e ne risultarono due schiene, una di qua e una di là. Gli obiettarono: E prese una delle sue costole? (Gen. 2, 21). Rispose loro: [Leggete come fosse scritto] Da uno dei lati (gen.2.21), come in: Ai lati del Tabernacolo (Ex.26, 20).12 Partendo dal fatto che Dio creò questo primo ermafrodita a sua “immagine e somiglianza”, si potrebbe sostenere che Dio stesso abbia questa doppia natura13. Ovviamente, in una cul11 Berešit Rabbâ, op.cit., XVIII 4, p.142 12 Ibidem, p.71 13 Anchor Bible Dictonary, op.cit., vol.1, p.277
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tura iconoclasta come l’ebraismo, questo non significa che Dio possa essere immaginato fisicamente come un uomo e una donna con le schiene incollate fra di loro, ma come l’unione di istanze creatrici diverse, maschili e femminili. In ogni caso, questa interpretazione rabbinica deriva chiaramente dal mito platonico dell’androgino, raccontato dal personaggio di Aristofane ne Il Simposio: Innanzitutto, i generi degli uomini erano tre, e non due come ora, ossia maschio e femmina, ma c’era anche un terzo che accomunava i due precedenti, di cui ora è rimasto il nome, mentre esso è scomparso. L’androgino era, allora, una unità per figura e per nome, costituito dalla natura maschile e da quella femminile accomunate insieme, e nella forma e nel nome […]. Allora, dopo che l’originaria natura umana fu divisa in due [da Zeus], ciascuna metà, desiderando fortemente l’altra metà che era sua, tendeva a raggiungerla. E gettandosi attorno le braccia e stringendosi forte l’una all’altra, desiderando fortemente di fondersi insieme, morivano di fame e di inattività, perché ciascuna delle parti non voleva fare nulla separata dall’altra.14 A parte le notevoli differenze fra il Simposio e Genesi (per dirne una: in Platone l’androgino non è l’unico essere dal quale tutta l’umanità deriva), va notato il comune tema della nostalgia per questo stadio di unità originaria, che sembra dare un nuovo senso al versetto: È per questo che l’uomo abbandona il padre e la madre e si unisce alla sua donna e i due diventano una carne sola. (Gen. 2,21) 14 Simposio (Sym. 189d – 191b), in Platone, Tutti gli scritti, Bompiani 2000, pp. 500-501
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È bene infine esplicitare che queste due diverse ricostruzioni della creazione della donna non sono necessariamente in contrasto fra di loro: talvolta entrambe le storie vengono unite in una narrazione comune. Si prenda un altro esempio dallo Zohar: Vieni, guarda. Dalla fenditura del grande abisso superno, proviene una femmina, spirito su tutti gli spiriti, e abbiamo stabilito che il suo nome è Lilit. Essa si trovava in principio presso Adamo […]. Quando Adamo si alzò, la sua femmina era conficcata nei suoi fianchi; l’anima santa, che era in lui, si sviluppava in quel lato e in quell’altro, e così li includeva [entrambi]. Poi il Santo, sia egli benedetto, segò l’uomo e preparò la sua donna, […] adornata come una sposa portata al banchetto nuziale. Quando Lilit vide ciò, fuggì: si trova nelle città [in riva al] mare, e ancora oggi è pronta a fare del male agli uomini.15 Confronti Gilgameš Per mostrare come questi temi non siano propri solamente della Bibbia, ma partecipino di una riflessione diffusa in ambito mediterraneo, può essere utile confrontare quanto abbiamo detto con alcuni altri testi. Già nel ciclo di Gilgameš,16 la descrizione della nascita di Enkidu, al contempo la nemesi e l’amato compagno di battaglie dell’eroe principale dell’epopea,
15 Zohar, op.cit., pp.337-338 16 Si tratta di un corpus assai nutrito di narrazioni rinvenute, sotto forma di tavolette, in area mesopotamica. I numerosi frammenti, in diverse lingue (sumerico, accadico e ittita) sembrerebbero ben di quindici secoli precedenti l’epica omerica. Narrano le gesta di Gilgameš, mitico re semidivino di Uruk che, scoperta l’esistenza della morte dopo l’uccisione del suo rivale e compagno Enkidu, cerca di conquistare l’immortalità in un lungo viaggio verso il mondo degli dei.
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sembra anticipare il racconto biblico (ovvero la seconda versione della creazione umana): Così, la dea [Araru, dea della creazione] concepì nella sua mente un’immagine, ed era fatta della sostanza di Anu del firmamento. Nell’acqua immerse le mani, trasse un pizzico d’argilla, lo lasciò cadere nella landa deserta e fu creato il nobile Enkidu.17 È interessante notare che Enkidu, che ha una natura decisamente meno divina di Gilgameš (che è per due terzi un dio e solamente per un terzo uomo), rappresenta lo stesso percorso di evoluzione culturale umana (ossia: come gli uomini del II millennio a.C. pensavano che la propria evoluzione fosse avvenuta). Dapprima è un essere animalesco, vicino, nel suo idillico rapporto con la natura, al mito del buon selvaggio che Rousseau riporta alla modernità: Aspro era il suo corpo, lunghi i suoi capelli […]. Il suo corpo era coperto di pelo arruffato come quello di Sumuqan, dio del bestiame. Era ignaro dell’umanità, nulla sapeva della terra coltivata.
Enkidu si pasceva d’erba sulle colline assieme alle gazzelle, con le bestie selvatiche si appostava presso le pozze d’acqua; 17 Tutte le citazioni sono tratte da L’epopea di Gilagameš, a cura di N.K.Sandars, Adelphi, Milano 1986. Si tratta di un testo liberamente assemblato da Sandars per dare continuità narrativa al testo sumerico, pertanto non particolarmente affidabile da un punto di vista filologico. In mancanza di competenze specifiche per emendare e commentare tali brani, confido nella giustezza della traduzione stessa, sperando di non essere proprio da esso sviato nel mio tentativo di esegesi.
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dell’acqua gioiva in compagnia dei branchi di animali selvatici. Anche in questo caso, l’“umanità” viene strettamente collegata con la coltivazione dei campi. Enkidu non è un vero uomo, ma solo un animale, dal momento che non coltiva, ma mangia l’erba che strappa dai campi. È chiaramente un mito fondativo che ha lo scopo di legittimare la società agricola di contro al modello della transumanza dei nomadi raccoglitori. Per procedere con la storia di Enkidu, un cacciatore, su consiglio di Gilgameš, lo fa giacere con una prostituta. Il rapporto sessuale, lungamente reiterato, trasforma Enkidu in un uomo: Per sei giorni e sette notti giacquero insieme, poiché Enkidu aveva scordato la sua dimora sulle colline; ma quando fu soddisfatto ritornò dalle bestie selvatiche. Allora, appena le gazzelle lo videro, balzarono via; fuggirono dal suo cospetto le creature selvatiche. Enkidu le avrebbe inseguite, ma il suo corpo era legato come da una corda; quando cominciò a correre le ginocchia gli cedettero, aveva perduto la sua sveltezza. E ormai erano tutte fuggite le creature selvatiche; Enkidu era diventato debole poiché la saggezza era in lui e i pensieri di un uomo stavano nel suo cuore. C’è un collegamento, che a noi appare piuttosto strano, fra l’atto sessuale e l’apprendimento di una conoscenza tout-court che, per qualche ragione, allontana dallo stato di natura: una volta avuto un rapporto sessuale, Enkidu non viene più riconosciuto dagli animali come suo pari – e, se da una parte ha ricevuto piacere nell’atto, dall’altra dall’atto stesso è indebolito fisicamente. La sua mente ha espanso le sue capacità, il suo corpo le ha ridotte. Tale storia deve colpire qualcosa di archetipico: si sarebbe tentati di dire che racconta il passaggio dall’uomo solitario alla 119
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famiglia, ma mi risulta impossibile concepire un’epoca in cui gli uomini non fossero uniti almeno da vincoli familiari. Comunque, per quanto di difficile comprensione, è da notare che, sebbene narrativamente ciò avvenga in modo diverso, da un punto di vista concettuale siamo di nuovo molto vicini al racconto biblico. In Genesi, infatti, il cibarsi del frutto proibito ha qualcosa a che vedere con la sapienza (non a caso è il frutto dell’“albero della conoscenza del bene e del male”), ma anche con la sessualità, infatti la prima cosa che Adamo ed Eva scoprono è la propria nudità:18 3:6 La donna vide che l’albero era buono a mangiarsi, piacevole agli occhi e desiderabile per avere la conoscenza, colse perciò del suo frutto, ne mangiò e ne diede all’uomo che era con lei, il quale pure ne mangiò. 7 Allora si aprirono gli occhi di ambedue e conobbero di essere nudi; intrecciarono delle foglie di fico e ne fecero delle cinture. Si può notare inoltre che questa conoscenza, che in entrambi i casi arriva all’uomo tramite la donna (è Eva a passare il frutto ad Adamo, così come è la prostituta a istruire Enkidu), ha come effetto sia la rottura del precedente idillio dell’uomo con la natura (rappresentato dalla nascita di spine e cardi nella Bibbia e dalla fuga delle gazzelle in Gilgameš), sia una maggiore spossatezza fisica e fatica da parte dell’uomo. Ma vi è anche un altro effetto: Disse allora la donna: «Enkidu, mangia il pane, è il bastone della vita; bevi il vino, è l’uso del paese». Così mangiò finché non fu sazio e bevve vino forte, sette calici. Divenne allegro, il suo cuore esaltò e il suo viso brillò. Lisciò i peli arruffati del suo corpo 18 In ebraico, notoriamente, esiste il verbo “yeda’” ( )ידעche significa “conoscere carnalmente” o “in senso biblico”. È da notare, però, che la conoscenza dell’albero è “ha-da’at” ( )ַהַּדַעתe quindi (teoricamente) desessualizzata.
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e si unse con olio. Enkidu era diventato un uomo; ma dopo che ebbe indossate le vesti di un uomo sembrava uno sposo. Prese le armi per cacciare il leone così che la notte i pastori potessero riposare. Dopo la rottura dell’equilibrio con la natura, e dunque la scoperta della coltivazione dei campi, il passaggio (evidentemente sociale: non a caso l’uomo non viene più definito come tale, ma come “sposo”) successivo è quello alla società pastorale. Lo stesso avviene in Genesi. Dopo la cacciata dall’Eden, Adamo ed Eva partoriscono due figli, di cui è detto: 4:2 Ora, mentre Abele era pastore di greggi, Caino coltivava la terra. Dei due, Dio favorisce esplicitamente il pastore all’agricoltore: 3 E avvenne che, dopo un certo tempo, Caino fece un’offerta al Signore dei prodotti del suolo. 4 E Abele, anche lui, offrì dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso; e il Signore riguardò Abele e la sua offerta, 5 mentre non riguardò Caino e la sua offerta. Questo sembra contraddire il ruolo agricolo che Dio pareva aver riservato all’uomo, ma forse è semplicemente un racconto sull’evoluzione sociale dell’umanità. Comunque, è interessante notare come, anche in questo caso, torni il termine “ שמֹׁרshomer” (custode). Caino, infatti, offeso dalla preferenza di Dio per il fratello pastore, lo uccide e ne nasconde il cadavere. Quando Dio lo interroga sulla scomparsa di Abele, notoriamente Caino risponde: 4:9 «Non lo so; sono forse il custode di mio fratello?» Dio lo punisce, dicendo: 121
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4:12 «Se coltiverai la terra, essa non ti darà più il suo prodotto e tu sarai errante e fuggiasco sulla terra» Dunque, ancora una volta, la mancata accettazione del proprio ruolo determina una punizione: l’uomo che scorda di essere custode, che rifiuta la propria responsabilità sulle altre creature, finisce per alienarsi dalle stesse, rimanendo solo a percorrere una terra ormai sterile, a lui avvisa. Igino Un altro confronto interessante è con la Favola 220 di Igino:19 La «Cura», mentre stava attraversando il fiume, scorse del fango cretoso; pensierosa, ne raccolse un po’ e incominciò a dargli forma. Mentre è intenta a stabilire che cosa abbia fatto, interviene Giove. La «Cura» lo prega di infondere lo spirito a ciò che essa aveva fatto. Giove acconsente volentieri. Ma quando la «Cura» pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove glielo proibì e volle che fosse imposto il proprio. Mentre la «Cura» e Giove disputavano sul nome, intervenne anche la Terra, reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il proprio nome, perché lei gli aveva dato una parte del proprio corpo. I disputanti elessero Saturno a giudice. Il quale comunicò ai disputanti la seguente giusta decisione: «Giove, che hai dato lo Spirito, al momento della morte riceverai lo spirito; tu, Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu «Cura» che per prima diede forma a questo essere, fin che esso
19 Si tratta di un autore romano del I sec. d.C., di cui ci rimangono un trattato di astronomia (De Astronomia) e un corpus di 277 racconti mitologici (Fabulae). La traduzione della favola in questione è presa da M.Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi 1997.
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vive sia la «Cura» a possederlo. Per quanto concerne la controversia sul nome, si chiami homo perché è fatto di humus.» Sebbene il riferimento divino qui sia decisamente pagano (in questo caso è Giove, primo del pantheon latino), il riferimento al racconto veterotestamentario è evidente, tanto da ricalcare con la paraetimologia “homo/humus” la derivazione di “adam” da “adamah” della quale abbiamo già discusso. L’uomo è, in questa versione, composto da tre diverse nature: 1) Da una parte il suo Spirito, la parte eterna dell’uomo, procede dalla divinità e alla divinità è destinato a ritornare. È interessante notare che anche nel racconto biblico Dio infondeva “il soffio vitale” (generalmente inteso come ּרוַח ruach, πνεύμα, spirito; nel passo in questione però si trova “ׁשַמת ַחִּיים ְ ִ ”נnishmat chaim) all’uomo, ma senza alcun riferimento a una contro-processione alla Divinità dello stesso alla fine del percorso vitale (ovvero: nell’Antico Testamento non viene mai detto che lo Spirito dei morti tornerà a Dio).20 2) Ha inoltre una natura corporea, destinata alla decadenza. Già in ambito classico, ben prima delle dottrine cartesiane, mente e corpo venivano divisi nettamente: all’eternità dell’anima si contrappone qua la decadenza della carne, che non è altro che terra (o polvere). 3) Infine l’uomo ha una terza natura, quella per noi più interessante: la Cura. La Cura dà la forma all’uomo e dunque “lo possiede”. Per capire questa frase, dobbiamo ricordarci che, in ambito classico, vale per la “forma” la definizione aristotelica: L’essenza necessaria o sostanza delle cose che hanno materia. In questo senso che è quello aristotelico la F. non soltanto si oppone alla materia, ma la richiama. Aristotele […] osserva che la F. è «natura» più 20 Del resto, in ambito ebraico, vi è da sempre una decisa indifferenza alla vita ultraterrena.
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della materia giacché di una cosa si dice che è ciò che essa è in atto (la F.), piuttosto che ciò che è in potenza (Fis., II, 1, 193 b 28; Met., IV, 1015 a 11)21 A differenza che per noi moderni, che tendiamo a intendere con “forma” solo il mero (vuoto) involucro esterno, per la classicità la forma è ciò che, differenziando una cosa dall’altra, la rende unica e insostituibile. Dunque la forma di una cosa è in un certo senso la sua più vera, intima, natura – molto più della materia che è “solo” ciò di cui un oggetto è composto: del resto una sedia, che sia di legno o di plastica, resta sempre una sedia. Da questo punto di vista, l’uomo, pur avendo una parte di terra e una parte di Dio, è uomo soprattutto perché è Cura: si distingue dagli altri animali (anch’essi, se si vuole credere al racconto biblico, plasmati con la terra) perché, a differenza loro, si cura di ciò che lo circonda. L’uomo, dunque, non è qualcosa di statico né di definito, non è qualcosa di dato, ma è l’intrecciarsi stesso delle relazioni che intrattiene con il mondo che lo circonda. L’uomo si costituisce, si realizza e trova la propria identità proprio nel relazionarsi, nel prendersi cura o nel custodire il resto delle creature. L’uomo a misura di tutte le cose Esiste inoltre una tradizione, molto presente in ambito ebraico, sul rapporto fra uomo e terra che non andrebbe dimenticata. Secondo questa, ci sarebbe una perfetta sovrapposizione fra micro-cosmo e macro-cosmo, fra il singolo uomo e la creazione divina presa nel suo complesso. Nel Sefer Yeṣirah, il primo trattato cabalistico arrivatoci (VI-VII sec.), così vengono introdotte le sefirot: 21 Traggo tale definizione dalla prima delle 3 accezioni di “forma” proposte da Nicola Abbagnano nel Dizionario di Filosofia (che leggo nella terza edizione aggiornata e ampliata da Giovanni Fornero, UTET, Torino 2001).
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Dieci sefirot senza determinazione: il numero delle dieci dita, cinque contro cinque e il patto di unicità fondato nel centro: nella circoncisione di lingua e bocca e in quella di pelle.22 Il termine “sefirah” è uno dei più complessi della mistica ebraica. Senza entrare nei dettagli, è bene sottolineare che ogni sefirah rappresenta al contempo un attributo divino e una serie di emanazioni: al contempo il mezzo e gli obiettivi, un modo della forza creativa e un vasto numero di creazioni. Equiparare queste “sfere luminose” all’uomo significa dunque dire che l’uomo è a misura di tutte le cose: come nell’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, l’essere umano riassume geometricamente la perfezione stessa del Creato. Tuttavia questa sovrapposizione, in ottica ebraica, non vuole significare che l’uomo sia la più perfetta delle creature – ma al contrario che l’uomo equivalga in tutto e per tutto al resto della creazione divina. Prendiamo un altro passo dello stesso trattato cabalistico: Formàti con la bet: Saturno, il sabato, la bocca, la vita e la morte. Formàti con la gimel: Giove, la domenica, l’occhio destro, la pace e il male. Formàti con la dal: Marte, il lunedì, l’occhio sinistro, la sapienza e la stoltezza. Formàti con la kaf: Sole, il martedì, la narice destra, la ricchezza e la povertà. Formàti con la peh: Venere, il mercoledì, la narice sinistra, la fertilità e la sterilità. Formati con la reš: Mercurio, il giovedì, l’orecchio destro, la grazia e la bruttezza. Formàti con la tew: Luna, la vigilia del sabato, l’orecchio sinistro, la sovranità e la schiavitù.23 Dunque ogni parte dell’uomo equivale, agli occhi di Dio, a 22 Il libro della formazione in Mistica Ebraica, Einaudi 2006, p.35 23 Ibidem, p.41
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una lettera dell’alfabeto, a un pianeta, a un giorno della settimana (e di conseguenza alle relative altre creazioni di quel giorno) e a una coppia antitetica di concetti (vita/morte così come sovranità/schiavitù). In questo senso, l’uomo è del tutto sovrapponibile al mondo naturale. Così non stupisce che in un midraš sull’Ecclesiaste (VIII-IX sec.), l’uomo venga paragonato alla Terra (ֶָאֶרץ, “aretz”), intesa come insieme del mondo della Natura e non più come mera materia (che, come abbiamo già visto, si dice “adamah”): Disse rabbi Berekyah a nome di rabbi Sim‘on, figlio di Laqiš: “Tutto ciò che il Santo – sia Egli benedetto – ha creato nell’uomo, Egli l’ha creato a somiglianza anche nella terra. L’uomo ha una testa, così come la terra ha una testa, come è detto: La testa di polvere del mondo (Proverbi 8,26). L’uomo ha degli occhi, così come la terra ha degli occhi, come è detto: E copriranno la faccia (lett. occhio) della terra (Esodo 10,5). L’uomo ha delle orecchie, così come la terra ha delle orecchie, come è detto: Poni orecchio, terra (Isaia 1,2). L’uomo ha una bocca, così come la terra ha una bocca, come è detto: La terra spalancò la sua bocca (Numeri 16,32). […] L’uomo ha delle mani, così come la terra ha delle mani, come è detto: La terra è vasta (lett. larga di mani) anche per loro (Genesi 34,21). […] L’uomo ha un ombelico, così come la terra ha un ombelico, come è detto: Coloro che risiedono sull’ombelico del mondo (Ezechiele 38,12). L’uomo ha delle parti intime [‘arvah], così come la terra ha delle parti intime, come è detto: Per vedere i punti scoperti della terra [‘arvat ha-‘areṣ] (Genesi 42,9)”.24 24 Qohelet Rabbah, Midraš sul Libro dell’Ecclesiaste, Giuntina 2004, p.64
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Conclusioni Si potrebbe sostenere che, fra le due visioni dell’uomo proposte dalla Bibbia, abbia decisamente prevalso, almeno nel mondo occidentale, la prima: quella dell’uomo come Sovrano, con potere assoluto sul resto del Creato per volere divino. La Storia è un seguirsi di de-responsabilizzazioni e di sfruttamento del mondo animale, vegetale, umano. L’uomo non si cura, non è custode, di ciò che lo circonda: anzi sfrutta le risorse naturali del nostro Pianeta come se fossero una sua proprietà inalienabile, alleva e macella gli animali come se non fossero esseri senzienti (scordandosi che lo stesso lemma “animale” proprio da “anima” deriva), sfrutta addirittura gli altri uomini come fossero solo oggetti, come mera forza lavoro. Questo atteggiamento è stato spesso, non del tutto legittimamente, giustificato proprio partendo dal racconto biblico. In questo contesto, particolarmente importante è l’interpretazione che l’attuale Papa, partendo dal Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi, propone di tale brano: Anche se è vero che qualche volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature. È importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a «coltivare e custodire» il giardino del mondo (cfr Gen 2,15). Mentre «coltivare» significa arare o lavorare un terreno, «custodire» vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura.25 25 Padre Francesco, op.cit., § 67
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È inoltre importante ricordare che questa “responsabilità” dell’uomo sulla natura non costituisce necessariamente un impegno gravoso, stancante e alienante. Il filosofo Martin Heidegger, parlando dell’Esserci (che altro non è che l’esistenza propria dell’uomo), sostiene che ciò che lo distingue dagli altri Enti (ciò che è stato posto in essere, ovvero gli animali, le piante, gli oggetti) sia proprio la Cura - e sottolinea: L’espressione non ha nulla a che vedere con l’‘affanno’, la ‘tristezza’, le ‘preoccupazioni’ della vita quali onticamente si rivelano in ogni Esserci. Al contrario è onticamente possibile qualcosa come ‘spensieratezza’ e ‘gaiezza’ proprio perché l’Esserci, ontologicamente inteso, è cura. Poiché all’Esserci appartiene in modo essenziale l’essere nel mondo, il suo essere in rapporto al mondo è essenzialmente un prendersi cura.26 Quando l’uomo accetterà che non è il Re del mondo, ma solo il Custode della terra – e inizierà a prendersi cura di ciò che lo circonda – pur nella consapevolezza che il rapporto con la terra, con le piante e con gli animali è sempre indubitabilmente faticoso – solo allora l’uomo potrà realizzarsi – realizzare il proprio essere, la sua vera natura – e cogliere, anche solo per un istante, uno stralcio di labile felicità.
26 M.Heidegger, Essere e tempo, op.cit., §12
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CAPITOLO 4 IL SIMBOLO NELL’ISLAM Considerazioni sul concetto di “Custodia” nella Cultura Arabo-Musulmana
di Enrico Galoppini
Tra i numerosi luoghi comuni negativi e destituiti d’ogni fondamento relativi all’Islam ed ai musulmani si annoverano quelli che puntano a cogliere pretese “radicali” differenze col Cristianesimo. Tra i più diffusi di questo tipo citiamo “l’assenza” del perdono o della misericordia. Oppure il mancato rispetto della “persona umana”. Fiumi di parole sono stati usati per sottolineare che, in opposizione al cristiano, il musulmano è incapace di perdonare o di provare sentimenti come la pietà o la misericordia, in quanto egli sarebbe plasmato ad immagine e somiglianza di un Dio “tirannico, geloso e vendicativo”. Due osservazioni, prima di procedere. Quali differenze vi sarebbero col Dio della Torah se la comprensione del divino dovesse fermarsi alla lettera di un testo sacro? Eppure nessuno si azzarda a stigmatizzare gli ebrei come alieni da queste nobili qualità. Segno che quando si vuol dare addosso a qualcuno ogni pretesto è buono e si fa dire al testo sacro quel che si vuole. Esattamente come fanno, all’altro estremo, i seguaci dei movimenti più accesamente fanatizzati dell’Islam ‘battagliero’, per i quali, invertendo di fatto l’ordine dei fattori, la collera di Allah precede la Sua misericordia. Quando è vero semmai il contrario, come non è vero (giusto per rintuzzare le ‘illusioni’ di certo buonismo a tinte religiose) che ad Allah non sia pertinente la collera, perché negargliela sarebbe come limitarLo per ridurLo a nostre categorie sentimentali e consolatorie. Di qui, la seconda osservazione. Tutta questa preoccupazione di definire alcuni esseri umani costretti in “categorie” ed incapaci di perdonare a ragione della loro religione deriva, oltre che dall’ignoranza sulle cose di cui si ha la pretesa d’occuparsi, dalla riduzione di tutto alle fisime moderne, per le quali non si è religiosi se non si è - per esempio - capaci di perdonare prima di aver elaborato un perdono che si estorce, col sangue ancora caldo della vittima, ai suoi familiari, pena l’accusa di “barbarie”. Lo stesso dicasi per tutte 129
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le nobili qualità che al musulmano, in base ad una lettura faziosa e selettiva del Corano (e della tradizione profetica), vengono negate per farne risaltare l’assoluta irriducibilità coi valori del “mondo moderno”, del quale il cristiano – un cristiano debitamente “rieducato” – sarebbe il perfetto cittadino-modello con la sua “superiorità morale”. Sembrerebbe di assistere a delle bagattelle preelettorali, invece no. Con tutto questo j’accuse all’indirizzo di circa due miliardi di persone ci si prefigge, da parte della quasi totalità dei media “globali” e di una discreta rappresentanza delle “istituzioni culturali”, di depennare dalla “Umanità” i fedeli di Allah in quanto non “al passo coi tempi” e dunque incapaci, oltre che indegni, di stare in mezzo agli altri. Scopo di questo breve scritto, che non ha alcuna pretesa di esaustività al riguardo, è perciò quello di apportare un piccolo granello di verità per contrastare questa macchina dell’odio di cui conosciamo abbastanza bene il perché e il per come, anche se questi ultimi aspetti esulano dai motivi per cui ci è stato chiesto di scrivere e pertanto soprassederemo momentaneamente da quello che, comunque, è un altro lavoro da fare. Qui, in particolare, vorremmo esporre che cosa ci dicono la cultura arabo-musulmana e la lingua araba al riguardo del concetto di “Custodia” (e di quello di “Fiducia”, ad esso intimamente correlato). La lingua araba ci è di grande aiuto in questa ricerca, poiché classificando i vocaboli per radici triconsonantiche assolutamente evidenti, presenta in maniera chiara i concetti ed i relativi termini per esprimerli. Parole come amîn (“fededegno”, “segretario”), amâna (“pegno”, “fedeltà”, “deposito di fiducia”), amân (“salvacondotto”), amn (“sicurezza”), mu’min (“credente”), îmân (“fede”) eccetera condividono la radice triconsonantica hamza-mîm-nûn. Radice che, per proseguire nell’esposizione di alcuni lemmi presenti sul dizionario arabo-italiano, ci offre parole moderne come ta’mînât (“assicurazioni”), mu’ammin (“assicuratore”) e mu’amman (“assicurato”). Persino âmîn, il corrispondente del cristiano “amen” che va pronunciato distintamente al termine della recitazione della sura al-FâtiHa, deriva dalla medesima radice, il cui senso generale adesso risulta chiarito. 130
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Nel Corano, nella sura XXXIII, vv. 72-73, si trova per la prima ed unica volta il termine amâna (“pegno”, “fedeltà”, “deposito di fiducia”) in relazione a ciò che, mostrato ai cieli (simbolo della manifestazione “sottile”), alla terra (simbolo di quella “grossolana”) e alle montagne fu rifiutato da questi, mentre fu l’uomo - preposto, in quanto essere centrale della manifestazione, alla realizzazione metafisica - ad accollarsi una simile enorme responsabilità. Ma prima d’ogni altra considerazione, proponiamo una traduzione dei due versetti summenzionati: «(72) In verità proponemmo ai cieli, alla terra e alle montagne il deposito di fiducia, ma essi si guardarono bene dal caricarsene avendone paura; se n’è incaricato l’uomo, oppressore ed ignorante, (73) affinché Iddio punisca gli ipocriti e le ipocrite, e gli associatori e le associatrici, ma perdoni [facendo ritornare a Lui] i credenti e le credenti: Iddio è perdonatore e clementissimo». Non ci pare superfluo, per comprendere meglio questi due versetti, ricorrere di nuovo al dizionario della lingua araba. «(72) Innâ ‘araDnâ [In verità mostrammo, esponemmo] l-amânata [la fedeltà; il pegno, il deposito di fiducia] ‘alâ s-samâwâti wa l-arDi wa l-jibâli [ai cieli, alla terra e alle montagne] fa-abayna [ma si rifiutarono di; declinarono (l’invito a)] an yaHmilna-hâ [portare ciò] fa-ashfaqna min-hâ [e si preoccuparono di; stettero in ansia per ciò] wa Hamalahâ l-insânu [mentre lo portò/se ne fece carico l’essere umano] inna-hu kâna Zalûman jahûlan [in verità egli è iniquo/ oppressore/tiranno ed estremamente ignorante]; (73) liyu‘adhdhiba Allâhu [affinché Allah castighi] l-munâfiqîna wa l-munâfiqâti wa l-mushrikîna wa l-mushrikâti [gli ipocriti e le ipocrite, gli associatori/idolatri e le associatrici/idolatre] wa yatûba Allâhu ‘alâ [e perdoni (facendo tornare a Lui)] l-mu’minîna wa l-mu’minâti [i credenti e le credenti] wa kâna Allâhu ghafûran rahîman [Allah è tutto perdonatore e clementissimo]». L’edizione del Corano intitolata Kalimât al-Qur’ân (“Le parole del Corano”) e pubblicata nel 1420 dell’Ègira dalla casa editrice siriana Dâr al-Ma‘rifa, alle note a margine della Sura XXXIII (p. 427) riporta alla spiegazione del termine amâna: at-takâlîfu min fi‘lin [“azione”, “agire”] wa tarkin (“abbandono”, “omissione”]. Che, considerato il senso della 131
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radice kâf-lâm-fâ’ (“assegnazione”, “incarico”; “onere”, “spesa”, “costo”) ci permette di tradurre tale spiegazione con “l’onere [che comporta] il fare e il non fare”. Abayna viene invece fatto corrispondere al senso di imtana‘na, dal verbo imtana‘a (“stare alla larga”; “astenersi dal fare”; “declinare”, “non accettare”), dunque è corretto tradurre abayna con “rifiutarsi di” a seguito di una proposta. Ultima nota proposta da questo succinto Tafsîr (“commento”) a margine di questi versetti del Corano, quella concernente il verbo ashfaqa min, messo in relazione con la paura di “tradire” (khiyâna) la parola data assumendosi l’incarico della amâna. Non si va lontano dal vero, pertanto, affermando che il concetto di amâna ha a che fare con un qualche cosa che implica una tale responsabilità che nessuno, eccetto l’uomo, questa creatura esistenziata persa nella sua “oscurità” (questo è il senso della radice Zâ-lâm-mîm da cui Zalûm, ovvero “iniquo”, “oppressore”, “tiranno”, principalmente verso se stesso perché privo di nûr, “Luce”) e nella sua ignoranza (probabilmente della sua “Dignità”), se ne fa carico. Dall’esito del compito di cui l’uomo s’è fatto carico dipenderanno o il suo castigo (‘adhâb, della stessa radice del verbo ‘adhdhaba visto nel versetto 73: “punire”, “castigare”), se egli si rivelerà ipocrita ed idolatra (la rad. shîn-râ’-kâf implica l’idea di “associare”, da cui la traduzione di shirk con “associazionismo” di altri dei ad Allah, ovvero “idolatria”), oppure il premio consistente nel “ritorno a Lui” (questo il senso del verbo tâba, da cui anche il nome tawba, “pentimento”), se egli invece si dimostrerà mu’min, cioè “fedele” (dalla medesima radice di amâna). Ora, il termine mu’min, grammaticalmente parlando, è un “nome d’agente” (cioè che corrisponde grosso modo al nostro participio presente) del verbo âmana bi-, “rimettersi a”, “riporre fiducia in”; “credere” (nel senso di aver fede). Per questo al-mu’minûna e al-mu’minât sono “i credenti” e “le credenti”. Ma non, come si suol ritenere secondo la mentalità moderna, nel senso di coloro che “credono” a qualcuno o qualcosa purché sia, come dei… “creduloni”; né come sinonimo di tutte le persone che seguono i precetti di una religione e, nello specifico, come equivalente di “musulmani” (quasi due miliardi di persone, a prescindere). Il Corano, da questo punto di vista per così dire “democratico”, lascia ben 132
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pochi spazi alle illusioni, come qualsiasi altro testo rivelato o comunque ispirato dallo Spirito Santo: la qualità di “credente”, cioè di colui che “si affida” e ripone la sua fiducia nell’unico Dio (Uno ed Unico) non è appannaggio di chiunque si professi “musulmano”. Le qualità negative dell’ipocrisia (nifâq) e dell’idolatria (shirk) che, ricordiamolo, comportano il castigo divino, sono attribuibili anche ai “musulmani” che non si affidano e non si rimettono completamente ad Allah. Fintanto che residua nel cuore del musulmano (e di qualsiasi seguace di un’altra religione) un granello di “ipocrisia” e di “idolatria” non si è sicuri del “perdono”, e cioè del “ritorno a Lui”, che poi è l’obiettivo unico di tutta l’ascesi (jihâd) cui è chiamato l’homo religiosus. La îmân (“fede” assoluta ed incondizionata) opera di concerto, integrandosi, con lo iHsân (l’operare secondo il bene, da una radice Hâ’-sîn-nûn che veicola l’idea congiunta di “bello” e “buono”) e lo islâm (l’abbandono fiducioso, come in una “resa” senza più “opposizione”, al decreto divino). Âmana r-Rasûlu… (L’Inviato di Allah “crede”, cioè “ripone la fiducia”) è l’incipit di uno dei versetti (il 285 della sura II) più recitati (abbinato al successivo v. 286) a margine delle orazioni rituali (Salât). Forse varrà la pena di proporlo qui: Âmana r-Rasûlu bi-mâ unzila ilay-hi min Rabbi-hi wa l-mu’minûn; kullun âmana bi-Llâhi wa malâikati-hi wa kutubi-hi wa rusuli-hi; lâ nufarriqu bayna aHadin min rusuli-hi; wa qâlû sami‘nâ wa aTa‘nâ ghufrâna-ka Rabba-nâ wa ilay-ka l-maSîr”. Traduzione: «L’Inviato di Allah crede in ciò che è stato fatto scendere (nel senso di “rivelato”) a lui dal suo Signore, e così i credenti; ciascuno crede in Allah, nei Suoi angeli, nei Suoi libri e nei Suoi inviati; non facciamo distinzione tra alcuno dei Suoi inviati; ed han detto: “abbiamo udito ed obbedito; perdono Signor nostro, ché verso di te è il divenire”». Al-Mu’min (“il Fedele”) è anche uno dei nomi più belli d’Iddio (asmâ’u Llâhi l-Husnâ), il che può risultare ‘strano’ se si pensa che si tratta dello stesso termine che indica coloro tra gli uomini che si affidano a Lui. Ma in questo “gioco di specchi” che è la “Fede” nel quale anche Iddio affida all’uomo la amâna 133
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vi è probabilmente una traccia della natura teomorfica dell’essere umano, il quale, solo se è completamente “fedele” a se stesso, cioè alla sua natura più profonda (la coranica fiTra, per la quale non si trova meglio che renderla con “Natura ConNaturata”, in quanto faTara significa, nel processo divino di creazione, l’atto di Allah col quale Egli pone la “Natura” di ogni cosa), può riuscire nell’unico ed improrogabile compito di fare ritorno (tawba, che significa anche “perdono”) all’Origine di tutto ciò che è esistenziato, ma anche dell’Essere e del non-Essere. Al Principio, insomma. Al-Amîn (“il degno di fiducia”, da cui anche “segretario”) era, d’altronde, il nome con cui il Profeta Muhammad era noto a Mecca prima della sua “missione” di latore della risâla (“messaggio”, della stessa radice di rasûl, “inviato”). A tal proposito i tradizionisti, tra cui at-Tabarî, menzionano l’episodio della posa della pietra nera presso la Ka‘ba, dopo che era stata ricostruita daccapo. Tutti i capi dei vari clan influenti di Mecca – già sede d’una sorta di “pantheon” panarabo – volevano avere l’onore di posare quel portentoso ed enigmatico betilo (da Bet El: “la casa del Dio”) di provenienza celeste, quindi non riuscivano a mettersi d’accordo. Così, per un caso ‘fortuito’, venne scelto, per procedere a questo onorevole compito, il primo che fosse passato di lì. A quel punto, con un gesto simbolico che avrebbe prefigurato la sua missione di “paciere” tra gli arabi divisi tra mille culti, clan e partigianerie, al-Amîn prese il suo mantello (una delle sue reliquie più “potenti” ancora oggi conservate e venerate: si pensi al “Poema del mantello” di al-Busîrî), ne porse i quattro lembi ai quattro capi più influenti e, una volta giunti al punto in cui la pietra era da incastonare, la prese con le sue mani e la mise al suo posto. Âmina (lett. “pacifica”; “al sicuro”; “che vive tranquilla e serena”) era, oltretutto, il nome della madre di Muhammad, la quale morì quando il Profeta era ancora bambino. Ma è tutta la famiglia dell’Inviato di Allah che è connotata e circonfusa da un’idea di Custodia. Difatti, il nonno ‘abd al-MuTTalib era il sâdin (“Custode”, nel senso del nostro “sagrestano”) della Ka‘ba, di cui deteneva la chiave d’accesso. Incarico, quello della sidâna, di spettanza del clan dei Banû Hâshim della tribù dei Banû Quraysh. Hâshim, che significa letteralmente 134
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“colui che sbriciola”, era il bisnonno del Profeta, al quale fu assegnato tale epiteto perché una volta, essendo lui il “Custode” della Ka‘ba, e comprendendo tale funzione quella di provvedere al vettovagliamento dei pellegrini, di fronte ad una situazione emergenziale determinata da un massiccio afflusso di questi ultimi, ebbe lo spunto di preparare con le sue mani, evidentemente aiutato dall’Alto, una zuppa che prodigiosamente sfamò tutti quanti. Sul concetto di “Custodia” nella cultura arabo-musulmana si può poi passare ad indagare un’altra radice: Hâ’-fâ’Zâ’. Qui troviamo infatti termini quali HafîZ, attributo di Allah in quanto invocato nella Sua qualità di “Custode” e “preservatore”, tant’è che HafiZa-hu Llâh (“Iddio lo preservi”) è espressione abituale usata per augurare lunga vita ad un sant’uomo di cui vi è, evidentemente, gran bisogno per la baraka (“influenza spirituale”) di cui è provvisto e che diffonde nel suo ambiente. Yâ HafîZ (“O Preservatore”) dirà il fedele che invoca Iddio per ricevere protezione da un danno o un pericolo, o, semplicemente, da se stesso, ché, com’è risaputo, i peggiori pericoli per l’uomo derivano nient’altro che dal suo ego “insoddisfatto”. Uno HâfiZ al-Qur’ân, se il verbo HafiZa significa, oltre che “preservare” e “custodire”, “tenere a mente”, è colui che manda il Libro sacro a memoria. Obbligo, questo, necessario solo a livello comunitario, nel senso che nella umma (la “comunità”) basta che alcuni conoscano a memoria il Corano. A livello individuale, naturalmente, ciò è altamente meritorio e fonte di benedizioni, dato che se il Corano è il vero “miracolo” dell’Islam (l’equivalente del Cristo nel Cristianesimo, con l’Inviato d’Iddio, suo “ricettacolo purissimo”, che corrisponde alla Vergine Maria), custodire in se stessi, nella propria memoria (dhâkira, ma anche HifZ), l’intera Parola divina non può che avvicinare alla condizione del Profeta che di quella si fece Custodia e ‘megafono’. HâfiZ è, inoltre, nome proprio maschile (basterà citare il celebre sufi e poeta persiano Hafez o, in tempi recenti, il padre dell’attuale presidente siriano, HâfiZ al-Asad). MaHfûZ (“custodito”) ci ricorda invece un altro personaggio celebre della letteratura araba contemporanea, insignito del Premio Nobel: l’egiziano Neghib Mahfuz. Proseguendo con una carrellata 135
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dei lemmi sub radice Hâ’-fâ’-Zâ’ troviamo infine, tra gli altri, istaHfaZa (“affidare a qn. qc.”), MuHâfiZ (il “governatore” di una regione, MuHâfaZa), miHfaza (“Custodia”, da cui miHfaZatu n-nuqûd: “borsellino”, “portafogli”) eccetera. HifZu l-amn, che in “annessione” contempla due nomi delle due radici che qui abbiamo scandagliato, significa “Pubblica Sicurezza”, il che prova per l’ennesima volta come queste due terne di consonanti radicali siano strettamente correlate ai concetti di “Custodia”, “Sicurezza” e “Fiducia”. E con questo, ripetiamolo, senza alcuna pretesa di completezza, né d’aver scritto alcunché di “originale” (cosa ben diversa dal senso di “originario”), concludiamo questo breve e modesto contributo ad una migliore conoscenza della tradizione islamica e dei suoi tesori spirituali. (*) Nota sulla traslitterazione dei termini arabi. Qui è stata adottata una traslitterazione di tipo semplificato che fa uso di lettere maiuscole per indicare i cosiddetti suoni “enfatici” dell’Arabo, per i quali nelle pubblicazioni specialistiche vengono utilizzate lettere dell’alfabeto latino (s, d, t, z, h) accompagnate da un punto sotto. Si tratta del medesimo sistema di traslitterazione in uso nel seguente libro: D. Halbout e J.-J. Schmidt, L’Arabo, (ed. it.) Assimil Italia, Chivasso (TO) 2008 (e succ. rist.), in part. alle pp. XIV-XVI.
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CAPITOLO 5 La Natura in India Il Tantrismo Intervista a Nunzia Coppola Carissima Nunzia Meskalila è con immenso piacere che Ti rivolgo alcune domande sul Tuo percorso di ricerca e sul Mondo Indiano, che rappresenta l’oggetto di interesse di questa intervista. 1- Innanzitutto vuoi dirci liberamente qualcosa sulla Tua personale ricerca? Ho vissuto per 15 anni continui in India, nell’India degli Indiani, condividendone la vita e il pensiero. Ho trascorso i primi 5 anni in giro per conoscere le varie tradizioni. Gli ultimi 10 anni li ho vissuti a Tarapith, un villaggio del Bengala, dedicato alla Dea Tārā e alla pratica del Tantra. Lì, ogni momento della mia vita è stato dedicato alle pratiche tantriche, allo studio e alla ricerca nel pieno della vita rurale di un villaggio, allora, privo di acqua corrente, di elettricità e di cemento. Negli stessi anni, ho approfondito anche l’Astrologia. 2- Vediamo dal materiale disponibile sul web che sei una studiosa poliedrica, vuoi fornirci una Tua breve presentazione? In India, ho seguito i percorsi iniziatici di Astrologia karmica e di Tantra Vidyā con Chakradher Josinath, Aghora Langta Baba e Guru Jay Kāli. Ho frequentato il quadriennio di Astrologia occidentale presso la Faculty of Astrological Studies di Londra, conseguendo il diploma di laurea. Ho creato il metodo Astravidya confluito nell’omonima Scuola. Ho insegnato ai ragazzi pluriminorati gravi, utilizzando Nāda yoga. Insegno astrologia, meditazione sui Chakra e Sri Vidyā, in Italia e all’estero. Esperta in culture, miti e discipline orientali, ho tenuto lezioni per il Dipartimento di Ricerca e metodologia sociologica presso “La Sapienza”, Roma. 137
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Formatrice di gruppi ed esperta di supervisione, conduco laboratori di formazione personale, utilizzando i miti mondiali. Ho collaborato al collattaneo “Maestri. Leadership spirituali: vie, modelli, metodi” a cura di Michele Colafato, Edizione Franco Angeli, 2006. Ho scritto “M come meraviglia” 2010 e “D come desiderio” 2012, entrambi per Ed. Cittadella. Ho scritto “La Luna e le sue Dee”, Edizioni librarie Capone, 2013. MAPAI (Member of Association of Professional Astrologers International), Delegata C.I.D.A. per Perugia e Umbria, VP ISAR (International Society for Astrological Research), sono presidente dell'Associazione culturale Jayavidya, D.F. Astrol.S e Counsellor in Gestalt psicosociale. Nel 2016, l’Indian Institute of Oriental Heritage mi ha conferito due prestigiosi premi: Global Outstanding Astrologer Award e Woman Astrologer 2016 Award. A febbraio 2017 ho ricevuto dallo stesso istituto la medaglia d’oro e il dottorato d’onore in Oriental Learning. 3- Che cosa è il Tantra? La voce Tantra deriva dalla radice Tan, estendere, tendere, espandere, allargare, dilatare, amplificare, e da trana, ossia liberazione, salvezza, protezione, preservazione. Va ricordato che il termine, di là dal suo significato intrinseco e filosofico, è usato anche per denominare i trattati e i libri sacri, non necessariamente tantrici. Nella sua traduzione ordinaria e, per certi versi, metaforica, significa “trama di un tessuto, di una tela o di un libro; ordito, reticolato”. Secondo i testi sacri, il Tantra fu rivelato ai primi saggi, da Devi e da Shiva, la coppia divina che si alternava nei ruoli di maestro/adiscepolo/a e viceversa. Come arte interiore della tessitura, il Tantra insegna a trovare i punti d’incontro tra le varie polarità (spirito-materia, corpo-mente, ecc.), così da intrecciarle sul telaio della consapevolezza. Nella sua accezione filosofica e spirituale, il Tantra è una scienza sacra che integra i principi d’Espansione e Liberazione, attraverso l’esperienza diretta, la meditazione, le pratiche di evoluzione, la consapevolezza spirituale, psichica e corporea. Lo stesso desiderio, essendo considerato fonte di consapevolezza e seme del cambiamento, è accettato, agito e poi trasceso, piuttosto che essere negato o disatteso. 138
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4- In India dove si colloca temporalmente l’origine del Tantra? (Cultura Dravidica) Le origini storiche del Tantra sono difficilmente databili e risalgono alle tradizioni autoctone indiane. Inizialmente, la cultura tantrica convergeva con la civiltà dravidica ed era preesistente alla cultura degli Arii. I ritrovamenti di Harappa e Mohenjodaro del 1920-21 e del 1933-34 dimostrano che cinquemila anni fa, diverse regioni dell’India, tra cui il Punjab e il Sind, avevano una civiltà molto evoluta. Alcuni reperti evidenziano che dal quarto al terzo millennio a.C., la sviluppata cultura delle popolazioni dell’Indo non presentava alcuna testimonianza dell’influenza indo-aria. Secondo la cosiddetta teoria «del substrato», la religione dei nomadi Arii si sarebbe avvalsa di principi tratti dai precedenti abitanti del subcontinente, ivi residenti dal 2400 a.C. La teoria accreditata dai tantrici e da altri ricercatori d’origine e formazione disparata sostiene che le popolazioni autoctone e dravidiche attribuivano un ruolo primario alla Devi, la Madre universale, praticavano i riti come un’esperienza avulsa da ogni sistema dogmatico e non conoscevano la divisione in caste. Poi, gli Arii sostituirono il ruolo primario della Madre divina con quello del proprio sistema deifico; in un secondo momento, assimilarono quasi tutti i principi delle popolazioni native, integrando nel loro pantheon alcune divinità dravidiche, come il culto delle acque e il rito delle sacre abluzioni. Il Nordovest, il Bengala, l’Assam ed altre province del Sud e del Tamil riuscirono a custodire gelosamente le loro tradizioni tantriche, tramandandole oralmente. Con il trascorrere dei secoli, tutto ciò che promulgava la possibilità dell’evoluzione personale e sociale, senza il ruolo del brahmino, fu considerato eresia, ma senza processi e condanne. La necessità della segretezza e il bisogno di preservare gli antichi insegnamenti sacri divennero vitali per i seguaci del Tantra. Dopo lunghi periodi di permanenza nell’ombra, tra il 700 e il 1300 dopo Cristo, il Tantra ritrovò un periodo di vero splendore e interagì con molte dottrine Hindu e Buddhiste. Integrando, inoltre, le proprie teorie, i rituali e le pratiche con le tradizioni locali, diede origine a nuove e potenti confluenze, permettendo il ritorno all’antico sistema pre139
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vedico, che identificava la fisicità e le funzioni naturali con la natura divina. Il corpo, non più ricettacolo di mortificazioni e rinunce, fu nuovamente considerato il migliore strumento per ottenere la liberazione e la beatitudine. I Tantrikā del Bengala, dell’Assam e d’altre regioni confinanti, intanto, continuarono a stabilire scambi proficui con le popolazioni limitrofe, fino a trasmettere la loro filosofia di vita ad alcune popolazioni della Cina. Grazie alle traduzioni e agli insegnamenti di Marpa, maestro di Milarepa, il Tantra ebbe ampia divulgazione nel Tibet, dove si unì al Buddhismo e al Bon, dando origine al Dharma integrale del “Veicolo di Diamante” (Vajrayana). Le corrispondenze tra il Tantra originale Hindu e il Vajrayana riguardano soprattutto la ritualità; le differenze principali variano soprattutto nell’organizzazione sociale delle scuole. Il Tantra hindu rifugge ogni organizzazione istituzionale e qualsiasi sistema piramidale, mentre il Vajrayana contempla una scala gerarchica nella stessa funzione delle varie forme divine. Un’altra sostanziale discordanza è che mentre per i Tantrikā hindu, la Śakti è attiva, per i seguaci del Veicolo del diamante, Prajñā, la corrispondente di Śakti, è passiva. 5- Rispetto al ‘filone’ del Tantrismo leggiamo questa tua suggestione. “La Via del Tantra si fonda sull’integrazione delle polarità che nelle varie forme ed espressioni, sono manifestazioni della Dea. Emozioni, sensazioni, pensieri, agi e disagi sono espressioni della Shakti che si manifesta nel soggetto, nell’altro e nell’ambiente circostante. Tutto è sacro per il Tantra: la vita con tutte le vicissitudini, la materia, lo spirito, il corpo, la mente, il benessere, il malessere e ancora tutto il resto. Il mondo è unità frammentata dalle diversità. Ognuno si muove nel mondo, sperimentando l’alterità e la polarità, ma sempre alla ricerca dell’unità perduta. Purtroppo, tra un’esperienza e una stasi, sembra difficile 140
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capire che una sorta di filo ininterrotto ci lega a tutti gli esseri passati, presenti e futuri. Eppure, anche nell’interruzione, nella pausa e nel frammento, vibra impercettibile e potente l’infinito. L’idea che tra gli opposti esista una distanza irriducibile è superata, attraverso la consapevolezza che il tutto nelle sue varie forme, nelle sue vibranti diversità è la manifestazione dell’Assoluto. La consapevolezza viva e attiva di questa manifestazione è una preghiera muta e profonda, come l’immensità del cosmo. A volte, basta seguire il filo del respiro per afferrare l’infinito. A volte, la preghiera è il semplice ascolto del silenzio tra due suoni”. (da un pensiero di Meskalila in India). 6- Pensi che questa corrente di pensiero e pratica possano essere utili nel presente? Come? Penso che la percezione diretta e l’unione con la Natura e con l’umanità nelle sue differenziazioni etniche, possa essere ancora oggi un modo armonioso per allontanarsi un attimo dalla propria identità individuale e poi ritrovarla, arricchita dall’integrazione con l’alterità che costituisce la bellezza del globo su cui viviamo. 7- Ci puoi parlare del ruolo del Maestro e del Guru, tema di un tuo saggio ‘Il Guru secondo il Tantra’ in ‘Maestri’, a cura di Michele Colafato, Franco Angeli Editore. Nella vita ordinaria, il guru non è, necessariamente, un maestro spirituale, ma chiunque sia in grado di aiutare un’altra persona a comprendere se stessa o a farla emergere da un qualsiasi tipo d’oscurità; così come lo è chiunque sia nella posizione d’insegnare qualcosa e si assuma la responsabilità di farlo. I primi guru sono i propri genitori. Poi vi è anche il Guru, inteso come Maestro. Il percorso spirituale fa emergere sia emozioni negative che positive; il riconoscimento e 141
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l’accettazione di tutte le emozioni aiutano a concentrarsi sugli aspetti reali di se stesso. Con l’ausilio di un Maestro Ādhikārin (qualificato, competente) e attraverso percorsi che liberano dai condizionamenti nocivi, questo viaggio permette di realizzare la natura della coscienza e divinizzare la sfera del mondo fenomenico, attuando l’identificazione tra l’individuo, la Natura, il Cosmo e il Divino. Al momento in cui la Śakti si risveglia e attraversa i Chakra, l’individuo e la creazione formano un insieme che vibra all’unisono. Affinché ciò avvenga, è necessaria una lunga preparazione, capace di equilibrare le correnti interiori; ma innanzi tutto, occorre trovare un vero Maestro che sia di aiuto per percorrere la strada. Il Guru è colui che aiuta il discepolo, lungo un percorso di conoscenza che, iniziando dalla comprensione della propria natura e del proprio sé, prosegue fino al risveglio. Affinché l’insegnamento o l’aiuto sia reale, il Guru deve aver già fatto un percorso evolutivo; ma ciò non basta e affinché il processo di conoscenza avvenga, deve instaurare una relazione armoniosa, all’impronta della fiducia, dell’affetto e della libertà di pensiero. Nasce così una sincera collaborazione, uno scambio d’energia che permette il cambiamento interiore. Un Guru degno della sua essenza, oltre ad aver fatto il suo percorso di conoscenza, deve essere un atmajñani, ossia un conoscitore dell’animo umano. Ricordo spesso le parole del mio Maestro, Jay Kāli Brāhma Mahi Tārā Mahākāla Vināsini: “Io sono la superficie lucente dell’acqua. Guardami e come in uno specchio, potrai vedere sul mio volto le immagini di tutti gli esseri che hai conosciuto nella vita. Concentrati sul mio viso e troverai i tuoi stessi volti. Io sono tutto quello che tu decidi di vedere in me”. Vorrei fare una breve digressione sul ruolo della donna, come Maestra. Secondo le antiche tradizioni e i sacri testi tantrici, contrariamente alla tradizione vedica, la donna può decidere, indipendentemente dai membri della sua famiglia e in piena autonomia, di intraprendere il cammino dell’ascesi e anche delle pratiche tantriche più avanzate. La donna può essere 142
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Guru e Maestra. Nel caso sia la moglie del Guru, ella è rispettata sia come moglie del Maestro, sia come Guru in sé, ma non deve necessariamente essere la moglie del Maestro per essere Guru. In molti Tantra, la Devi appare come Guru di Shiva e perciò, in senso lato, tutte le donne sono le rappresentanti della Dea come Maestre e iniziatrici. 8- Quali sono le caratteristiche del/la Maestro/a e del/ la Guru che oggi possono essere utili nel campo della Formazione e dell’Educazione per attivare un senso di Speranza e di Cittadinanza Attiva nei discenti? Quali le caratteristiche comunicative valide? Come si può tramandare oggi coinvolgendo? Le qualità di un formatore o di un docente, sia esso anche il luminare più prestigioso, hanno valore se accompagnate da un’attitudine amorevole verso il mondo, da un’etica genuina e da una profonda formazione personale. Nel campo della Formazione, le caratteristiche comunicative e umane per attivare il senso della speranza dovrebbero avere una base naturale eppure difficile da attuare, senza la consapevolezza: l’attenzione a non invadere i confini dell’altro, così da evitare il rischio della dipendenza e dell’indottrinamento. L’individuo, sia esso formatore o discente, ha bisogno di contatto, ma anche di ritiro; condivide vasti campi di appartenenza, ma possiede anche enormi vallate di differenziazione. Per questo, la Formazione dovrebbe includere l’identificazione, ma anche la differenziazione; dovrebbe accettare la condivisione, ma anche una necessaria e vitale discordanza. L’attenzione a queste fasi naturali nella relazione formativa è una buona possibilità per attivare il gusto della cittadinanza attiva e del proprio impegno nel qui e ora. 9- Come pensi che i Capi Spirituali possano trovare delle vie comuni per un dialogo interreligioso pluriculturale? Forse, una delle vie per trovare un dialogo interreligioso potrebbe proprio essere quella di non considerarsi dei Capi. Le difficoltà vissute o create da molti capi religiosi, come la 143
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storia insegna, sono spesso derivate dalla tendenza, a volte convulsiva, al proselitismo, attuato attraverso varie campagne volte alla conversione diretta o indiretta, proposta o imposta da popoli o individui considerati infedeli o incivili o pagani. Secondo una mia visione non obbligatoriamente condivisibile, l’incontro interreligioso non può essere un atto di bontà nei confronti di coloro che, in ogni modo, sono considerati infedeli perché non appartenenti al credo di chi organizza l’incontro. Io penso che la tolleranza non sia vera accettazione; anzi, la vedo come un movimento dall’alto che concede agli altri di esserci, nonostante non siano ciò che dovrebbero essere. Chi accetta, invece, sa che la strada prescelta non è unica, né assoluta, così come non sono uniche o assolute tutte le altre strade. L’intercultura religiosa dovrebbe includere anche la cura delle persone, senza alcuna intenzione di convertirle o di portarle a intraprendere il cammino spirituale. Una via di dialogo e azione interreligiosa potrebbe essere l’elaborazione condivisa di piani funzionali e funzionanti, volti ad aiutare le persone a vivere meglio e mirati a lenire le sofferenze umane, senza chiedere in cambio l’adesione a un determinato credo. Insomma, per quanto possa sembrare un ossimoro, un sano apporto di profonda laicità renderebbe più sacro il dialogo attivo tra i diversi esponenti dei mondi religiosi. L’Ecosistema si mantiene grazie alla biodiversità, anche religiosa. La biodiversità religiosa include anche la laicità. La biodiversità, l’appartenenza e la differenziazione mi sembrano i cardini della sacralità. Mi sembra che questi cardini creino una preghiera che sorride e benedice ogni particolarità della creazione. 10- Forse la Natura e l’impegno per la sua tutela possono essere una chiave? Senza dubbio. 11- Nella contemporaneità l’India ci fornisce esempi virtuosi come il Nobel per la Pace Vandana Shiva, che fa della pratica del Satyagraha (lotta per la verità) un mezzo per raggiungere la Śakti. Quali spiegazioni e suggestioni puoi darci in merito? 144
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Desidero riportare uno stralcio del Manifesto della stessa Vandana Shiva: “Le libertà di cui godiamo oggi sono frutto delle lotte dei nostri genitori e antenati, che rifiutarono di collaborare con leggi ingiuste – come la schiavitù negli Stati uniti, la segregazione razziale in Sudafrica e negli Stati uniti, o la colonizzazione in India. E la resistenza passiva, nonviolenta, satyagraha, è più importante che mai oggi, nell’era della «post-verità». Nel 1987, quando le multinazionali cominciavano a parlare dell’appropriazione dei semi mediante i diritti di proprietà intellettuale, presi l’impegno di salvare i semi, di mantenerli liberi e di non collaborare con le norme che ne criminalizzano la conservazione e lo scambio. Il 2007 è il centesimo anniversario del Satyagraha Indigo: Gandhi guidò la protesta dei contadini indiani contro la coltivazione forzata dell’indaco. L’organizzazione che ho creato 35 anni fa e che si chiama Navdanya – ovvero nove semi, che simboleggiano la protezione della biodiversità, dei piccoli agricoltori, della diversità culturale – ha voluto celebrare questi cento anni con un Satyagraha dei semi, per la rinascita dei semi veri e vitali, per la protezione della biodiversità in India e in tutto il mondo, per la possibilità da parte degli agricoltori di continuare a custodire i semi e a coevolvere con intelligenza verso la diversità, la qualità e la salute – in linea con il nostro dovere più elevato, quello di proteggere e aver cura della Terra e del benessere dei suoi abitanti. In India il nostro Satyagraha dei semi è stata prima di tutto contro Monsanto e i suoi tentativi di brevettare i semi e raccoglierne le royalties, contro il sistema che 145
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permette la commercializzazione del nostro patrimonio culturale e delle risorse naturali di Madre Terra. Si sono svolti Satyagraha per l’acqua, contro la Coca Cola in Kerala e la privatizzazione dell’acqua a Delhi, e contro l’acquacoltura industriale; in prima linea le donne che hanno protetto con successo il diritto della popolazione all’acqua potabile. Il Satyagraha della senape si oppone al tentativo di introdurre la senape geneticamente modificata in India e mette al centro il diritto a cibo sano e sicuro. I Satyagraha dei tribali (nel Niyamgiri) e dei contadini (nel Singur e nel Nandigram) hanno fermato la rapina delle terre tentata dalla globalizzazione”. Vandana Shiva è una ferma sostenitrice dei diritti umani e della terra. E la terra è la Śakti. Per lei, Satyagraha è un mezzo per raggiungere la Śakti. 12- Che radici ha il Satyagraha? La satyagraha (adesione alla verità, forza della verità, resistenza passiva) è la teoria etica e politica creata e praticata da Gandhi nei primi anni del Novecento. Il satyagraha è una lotta pacifica per il bene, ma il suo obiettivo non è distruggere l’avversario, ma convincerlo (vincere insieme) alla pacifica convivenza. Chi usa metodi violenti è considerato debole e per questo necessita dell’energia viva che emerge dalle azioni nonviolente. La satyagraha include undici principi da osservare: non violenza, sincerità, non rubare, castità, rinuncia ai beni materiali, lavoro manuale, moderazione nel mangiare e nel bere, impavidità, rispetto per tutte le religioni, uso dei prodotti artigianali, ripudio dei principi dell’intoccabilità. Nel corso degli anni, vari esponenti di movimenti politici e religiosi hanno aderito al nucleo fondamentale del satyagraha, dedicando la propria vita alla non violenza; tra questi, ricordiamo Martin Luther King, Nelson Mandela, Aldo Capitini, Aung San Suu Kyi e altri/e. 146
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13- Che cosa è la Śakti? Forse, si dovrebbe parlare di Śakti e Shiva, la coppia divina primordiale. Śakti è la Potenza della manifestazione e del cambiamento, allo stato d’azione; Shiva è la Conoscenza e la Consapevolezza immutabile, allo stato di quiete. Senza la Śakti, non è possibile alcuna creazione. Questa affermazione è raffigurata nell’iconografia della Dea Kālī che danza sul corpo inerte di Shiva: senza l’azione, la conoscenza è inerte come la morte. Va, inoltre, ricordato che nel Tantra, contrariamente a quanto ritenuto dalle altre correnti spirituali, Māyā non è illusione, ma è Principio centrale della creazione che si manifesta, attraverso la dimensione spazio-temporale. Māyā è la Natura, come porta d’accesso alla Realtà ultima. Inoltre, l’Energia divina non è unicamente spirito, ma anche corpo e mente. L’essere umano contiene l’intero creato nella sua struttura psico-corporea che, tra l’altro, è una meravigliosa base per accedere alle più sublimi esperienze spirituali. Tutto ciò che accade è sempre in connessione diretta con ŚaktiShiva. Il prenderne coscienza significa sperimentare l’identità tra la conoscenza, il conoscitore e la realtà conosciuta. Śakti si manifesta, attraverso la creazione e la Conoscenza, sia come Madre divina, sia come l’insieme degli Universi che nascono dal suo stesso grembo, sia come Natura. Nel suo aspetto di Kundalini, la Madre divina è latente nel corpo umano, risiede nel primo chakra, giace nell’inconscio e può essere risvegliata. Dopo varie fasi preparatorie, infatti, Ella esce dal letargo, s’innalza, attraversa tutti i Chakra, arriva all’altezza della sommità cranica e si ricongiunge con Shiva. La meditazione attiva sui Chakra è una delle strade proposte dal Tantra per rendere possibile l’incontro delle due forze complementari, al fine di tramutare la vita nella danza delle polarità, nel pieno rispetto degli eventuali periodi di stasi o di mancanza d’equilibrio. L’insieme dei Chakra costituisce il cosiddetto corpo sottile o eterico. Ogni Chakra ha il suo corrispondente anatomico in un plesso nervoso, presiede a determinate funzioni del corpo, è connesso con un senso in particolare, è associato a specifiche funzioni psichiche e risveglia caratteristiche emozioni su cui lavorare per accedere all’eventuale cambiamento. 147
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14- Cosa troviamo nei testi sacri del Tantra? Il nucleo principale di qualsiasi testo sacro del Tantra è che l’essere umano, come il resto del creato, è formato da differenti livelli. Il livello materiale è presente anche nell’ordine cosmologico e non deve essere ignorato o rinnegato, durante la pratica spirituale. Il Tantra, infatti, ritiene che la realtà terrena sia parte integrante dell’Energia Divina e che tutti gli aspetti dell’esistenza siano fautori di consapevolezza e contatto con la Divinità prescelta. Integrando le polarità in antitesi, si preferisce una religiosità espansa nel vissuto quotidiano. Per i Tantrikā la liberazione è una potenzialità della coscienza collettiva e individuale, da attivare con tutti i mezzi possibili, di là da ogni tipo di integralismo. Anche gli sforzi per migliorare se stessi e la società sono parte integrante del percorso. La nascita, il nutrimento, il lavoro, il piacere, il dolore, le emozioni, i desideri, la crescita e infine, la morte, così come tutti gli altri aspetti della vita ordinaria, sono atti sacri. In altre parole, i mezzi con i quali si può ottenere la liberazione, sono gli stessi che possono causare l’attaccamento e la schiavitù; tutto dipende dal modo e dal fine in cui sono usati. 15- Il Buddhismo e lo Yoga, oggi diffusi anche in Occidente, hanno portato pure una maggiore attenzione per l’alimentazione. Nei testi sacri che cosa troviamo in merito? Vorrei riportare ciò che scrivo in merito nel libro “M come meraviglia”: “Il gusto di una pietanza prelibata è ottenuto dalla sapiente combinazione d’ingredienti diversi, ciascuno dei quali contribuisce a comporre l’insieme, amalgamando il proprio sapore a quello degli altri. Sentire e differenziare i sapori e gli aromi, mescolarli e dosarli, presuppone capacità di sottigliezza e perspicacia, ma 148
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soprattutto abilità a scoprire le differenze, ad isolarle l’una dall’altra per afferrarne la natura e poi a ricomporle per sperimentare l’effetto della combinazione o il modo in cui i sapori si esaltano a vicenda. Spesso, in India, quando Bina, l’esperta di cucina ayurvedica preparava una nuova vivanda, chiedeva alle sue allieve di chiudere gli occhi per visualizzare il cibo ed estrarre i sapori, a uno a uno, sussurrandone il nome, mentalmente. La seconda parte dell’esperimento consisteva nel riconoscere e denominare le spezie e gli ingredienti che componevano la vivanda, a uno a uno, basandosi solo sul profumo. Poi, gli occhi venivano richiusi e si visualizzavano tutti i colori del cibo preparato, immergendosi nelle sensazioni nascenti da ogni singolo colore e dalle sue associazioni con i vari elementi della Natura. In seguito, si doveva assaggiare un boccone, masticarlo, lentamente, fino ad afferrare la sintesi dei gusti. Bina affermava che quell’esercizio corrispondesse alla conoscenza del mondo nella sua diversità: ogni ingrediente rappresentava una specifica civiltà con le sue caratteristiche ben precise, perciò non era possibile ignorarne alcuno. La vivanda era l’immagine del pianeta Terra con l’insieme delle culture e delle popolazioni mondiali. Spesso, ripeteva alle sue allieve: - Ogni vivanda rappresenta l’armonia degli elementi, perciò nessun ingrediente deve neutralizzare gli altri. Ogni pasto, inoltre, deve includere i cinque sapori della vita e della conoscenza: amaro, salato, dolce, acre, piccante. Ogni pasto, infatti, rappresenta l’unione degli elementi, dei sensi e dei continenti che compongono l’abito variopinto della madre Terra. 149
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Amare il mondo con i suoi abitanti dai differenti odori e dagli svariati colori, significa saperne riconoscere le singole caratteristiche da una parte, e apprezzarne la mescolanza dall’altra. Il risultato? È la meraviglia che rinnovandosi, di volta in volta, ora non saprei descrivere. Chi mangia bene, sa riconoscere le differenze, sa sprofondare nella meraviglia derivante da ogni gusto nuovo, perciò sa amare il mondo con i suoi abitanti, anche quelli inattesi, come l’ospite sconosciuto che bussa alla porta e chiede una parte del tuo cibo. Scoprire e apprezzare nuovi cibi, raffina il senso della potenza interiore.” 16- Quali sono gli apporti del Tantra al mondo occidentale? L’utilizzazione della mistica tantrica, seppur in maniera non, pienamente, rispondente alle sue origini, ha trovato terreno fertile anche nel pensiero di alcuni ricercatori contemporanei, nella psicologia umanistica e nella medicina olistica. In effetti, il carattere prettamente esperienziale e l’approccio sistemico del Tantra presentano numerose similitudini con l’orientamento olistico della moderna psicoterapia. Dal punto di vista olistico, l’individuo e l’ambiente non sono entità a sé stanti, ma parti di una stessa unità in reciproca interazione. Per questa ragione, le eventuali contraddizioni evidenziano un moto continuo all’interno di un campo che tende all’integrazione e alla crescita evolutiva. Lo scopo finale di numerose pratiche tantriche è, infatti, l’integrazione delle polarità. Negli anni settanta, ad Esalen in California, nacque l’Human Potential Growth Movement, un centro che lanciò e sviluppò al massimo la Bioenergetica di Lowen, le tecniche di Emotional release, la Gestalt e altre discipline. Tra i vari orientamenti, quello che, a mio avviso, più si avvicina all’essenza del Tantra, è la Psicoterapia della Gestalt, una scuola clinica post-analitica, nata dall’esperienza di Fritz Perls (1893-1970), verso gli anni cinquanta, nell’ambito delle 150
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psicoterapie umanistiche. Perls considera il processo di conoscenza, come la realizzazione di una condizione di unità in cui il gioco degli opposti è superato, mediante la semplice accoglienza di “ciò che è” o attraverso un “continuum di consapevolezza” che aiuti l’individuo a sperimentare le polarità, senza la necessità di eliminarne le differenze. Il processo di contatto tra l’organismo e l’ambiente, proprio come avviene nel Tantra, consente all’individuo di orientarsi nel mondo, agendo su di esso, evolvendo, sperimentando il diverso da sé e cambiando. Fritz Perls e altri psicoterapeuti si sono inspirati ampiamente al Tantra nel principio di centralità e integrazione tra i numerosi nuclei delle polarità: emozioni, sensazioni e pensieri, in qualunque forma emergano, sono espressioni della Śakti che si manifesta, costantemente, nel sé del soggetto, nell’altro e nell’ambiente. Gli opposti non sono assoluti e costituiscono aspetti diversi della stessa realtà. Secondo i principi del Tantra, la Beatitudine non è la negazione di Māyā, ma la sperimentazione della sua Energia, attraverso una costante consapevolezza del presente. Secondo Perls, nel “qui ed ora”, focalizzando l’attenzione sull’azione in atto e sulle emozioni emergenti, l’individuo può ritrovare situazioni incompiute del passato e creare la possibilità di elaborarle e concluderle. Un’interessante strada proposta dal Tantra per riconoscere ed accettare gli opposti è il gioco con l’ombra, una pratica da intraprendere sia in una serie di setting individuali, sia in lavori di gruppo; varie tecniche proposte da Perls, tra cui quella della “sedia calda” si avvicinano molto, almeno per certi aspetti funzionali, al gioco con l’ombra del Tantra. L’insegnamento del Tantra all’Occidente non è vincolante, né può essere l’unica possibilità di salvezza; è solo un’opzione per chi vuole accoglierla ed è questa: durante la vita, le emozioni in conflitto assalgono l’individuo, ma alla morte gli opposti trovano la loro integrazione. Perché aspettare la morte per salvarsi? È più sano ottenere la liberazione in vita (Jivana mukta), piuttosto che sperare nella salvezza dell’oltretomba. E questo significa, semplicemente, accettare la realtà così com’è, attraverso le sue diversità. Trovare l’unità, riconoscendo il valore delle infinite diversità, è uno dei percorsi che portano alla non violenza. La Nonviolenza è spesso paragonata a un ibisco rosso, fiore portatore di Pace. Per coglierlo, bisogna 151
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trascendere le apparenze, oltrepassare gli schemi abituali e cercare un significato estraneo alle polarità cui siamo abituati. Questo significa allontanarsi dai pregiudizi e guardare con maggiore imparzialità verso tutti, che si tratti di persone sporche o pulite, ricche o povere, normali o anormali, bianche o nere, sane o malate, sagge o folli. Rientrano in quest’accettazione anche tutte le miriadi di situazioni intermedie tra i due opposti. La Śakti, a volte, comprende anche forme terrificanti così come dietro la tenerezza materna, si possono rinvenire tutte le terribili forme in cui la stessa è stata vissuta, lungo il processo dell’individuazione. Chi sa andare oltre le apparenze, riscopre la tenerezza della madre in ogni aspetto della Natura.
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