Fabels van de wereld Fables du monde Приказки от цял свят 世界の寓話 Fables of the world אגדות העולם Fabler af verden Fabeln der Welt
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Quaderni del volontariato 9
Edizione 2019
Cesvol Centro Servizi Volontariato Umbria Sede legale: Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 www.cesvolumbria.org editoriasocialepg@cesvolumbria.org
Edizione settembre 2019 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Stampa Digital Editor - Umbertide Per le riproduzioni fotografiche, grafiche e citazioni giornalistiche appartenenti alla proprietà di terzi, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire. E’ vietata la riproduzione, anche parziale e ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzato.
ISBN 9788896649954
I QUADERNI DEL VOLONTARIATO UN VIAGGIO NEL MONDO DEL SOCIALE PER COMUNICARE IL BENE I valori positivi, le buone notizie, il bene che opera nel mondo ha bisogno di chi abbia il coraggio di aprire gli occhi per vederlo, le orecchie e il cuore per imparare a sentirlo e aiutare gli altri a riconoscerlo. Il bene va diffuso ed è necessario che i comportamenti ispirati a quei valori siano raccontati. Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, dove il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso del quotidiano, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore. Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente o più antico, per consegnarci insegnamenti e visioni. Quelle visioni che i cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Gli autori di questi testi, e di
tutti quelli che dal 2006 hanno contribuito ad arricchire la Biblioteca del Cesvol, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza, al di là di qualsiasi tipo di conformismo e disillusione Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati. Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo. Salvatore Fabrizio Cesvol Umbria
Favole del mondo Fabels van de wereld Fables du monde Приказки от цял свят 世界の寓話 Fables of the world םלועה תודגא Fabler af verden Fabeln der Welt
Una raccolta di fiabe, raccontate dalle donne dell’Associazione SOGGETTO DONNA Castiglione del Lago
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INDICE: Il folletto Nisse Ole -Danimarca
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Momotaroo – il bambino della pesca Giappone p.11 Perché il coccodrillo non mangia galline? - Sudafrica p.16 Era la notte prima di natale - America
p.19
Guglielmo Tell - Svizzera
p.23
Del mezzo galletto - Olanda
p.28
La mula del papa - Francia
p.33
Getta il tuo pane sull’acqua - Israele
p.38
Ghiandina delle Fonti - Italia
p.43
Dick Whittington - Inghilterra
p.50
Il guanto del nonno - Bulgaria
p.56
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Il FOLLETTO NISSE OLE Danimarca Raccontato da Annamaria Carrara Jensen Illustrazione: Sara Gaudenzi Dovete sapere che in Danimarca nella soffitta di ogni fattoria abita un folletto. Può essere giovane, o vecchissimo.
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Può avere 20 o 200 anni o più. Ha sempre un gran daffare, il folletto: la volpe non deve rubare le galline, i topi non devono mordere le mucche, i ladri non devono entrare in casa... È un lavoro ben duro, che il folletto fa di notte, quando grandi e bambini dormono al caldo sotto le coperte e fuori c’è tanta neve e fa freddo. Il folletto c’è abituato, ma gli viene sempre una gran fame… Se gli abitanti della fattoria non gli lasciano ogni sera una scodella piena di riso dolce con una cucchiaiata di burro al centro e un´abbondante spolverata di zucchero sopra, il folletto si arrabbia moltissimo e può fare dei brutti scherzi! Questa è la storia di Nisse Ole, il folletto Ole che una sera di Natale rischiò di rimanere senza cena. Era una sera freddissima, ma con tante stelle. In casa l´albero splendeva di cento lucine e i bambini giocavano con i regali. Nisse Ole stava facendo il solito giro d´ispezione, quando sentì un gran rumore venire dal pollaio. “Aiuto, aiuto”, starnazzavano le galline, ”la volpe ci acciuffa, ci acciuffa!” E dalla finestrella uscivano piume bianche. Nisse Ole si precipitò ed arrivò appena in tempo. La volpe era già per metà dentro al pollaio. Il folletto riuscì a prenderla per la coda e a tirarla giù dalla scaletta. 8
“Non ti vergogni” disse, “rubare galline la sera di Natale, quando tutti devono essere buoni e contenti? “Rubare, io?” rispose la volpe, “ma non ci pensavo nemmeno… ero venuta solo a fare gli auguri…” “Fare gli auguri, eh? Figurati se ti credo! Però capisco, anche le volpi hanno fame, soprattutto una notte fredda come questa.Vieni con me, ti darò un po’ del mio riso dolce. Faremo Natale insieme!” disse il folletto, e portò la volpe in soffitta, dove c’era uno scodellone fumante con una porzione extra di burro sopra e tanto zucchero e cannella. La volpe, che non era affatto educata, sbafò tutto il riso in quattro e quattr´otto, senza lasciarne neppure un chicco per Nisse Ole. Si leccò i baffi e veloce scappò via senza dire grazie. “Bella riconoscenza!” pensò Nisse Ole “E io farò Natale a digiuno!” Ma l´idea non gli piaceva affatto. “Andrò a vedere se è rimasto un po’ di riso in cucina!” Scese piano piano dalla sua soffitta. La porta della cucina era socchiusa e Nisse Ole sgusciò dentro senza far rumore. Sul tavolo c’era la pentola del riso dolce, ancora mezza piena. Nisse Ole s’arrampicò su una sedia, ma quando arrivò alla pentola, perse l´equilibrio e cadde, trascinandosi dietro 9
pentola, riso, burro, zucchero e cannella. A quel tonfo, accorsero grandi e bambini dalla stanza accanto. “Ma che succede?” si domandavano. Il più piccolo, Beniamino, scoprì Nisse Ole nascosto dietro la credenza. “Mamma, c’è il folletto! Perché non lo invitiamo a cena?”. Così quella sera Nisse Ole mangiò a crepapelle. E gli fecero pure un regalo: un bel berretto nuovo, dato che il suo era ormai pieno di buchi, e senza berretto i folletti non possono far niente, perché si prendono subito il raffreddore. Vorreste sentire altre storie di Nisse Ole? Ce ne sono parecchie, perché Nisse Ole ha centocinquant´anni e di avventure ne ha vissute tante! (liberamente tratto da racconti Danesi) Disegna il tuo folletto
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Momotaroo – Il bambino nel pesce Giappone raccontato e illustrato da Fumiko Onishi Tanto tempo fa, una coppia di anziani viveva in campagna. Erano una coppia molto buona che purtroppo non avevano avuto bambini. Tutti i giorni il nonno andava nel bosco a cercare legna e la nonna andava al fiume a lavare i panni.
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Un giorno, mentre la nonna come al solito lavava i panni, sentì uno strano rumore: “donbura cocco, donbura cocco” e vide arrivare un grandissimo pesce. La nonna si spaventò moltissimo, ma si disse: “Come è grande questo pesce, sembra buonissimo e stasera lo posso mangiare insieme al nonno. “Così la nonna prese quell’enorme pesce, lo portò a casa e aspettò il ritorno del nonno. Non appena il nonno rientrò, lei gli disse: “nonno, nonno, guarda, oggi sul fiume ho trovato questo pesce gigantesco!” Anche il nonno rimase meravigliato di quanto fosse grande quel pesce e pensò che sarebbe stato buonissimo da mangiare. Così il nonno mise il pesce sul tagliere e la nonna iniziò a tagliarlo con un coltello. Giusto quando aveva tagliato il pesce a metà rimasero ancora una volta sorpresi: Dentro la pancia del pesce c’era un bambino così carino e piangeva: “Oghiaa.., oghiaa…” Visto che i due non avevano figli rimasero molto felici di avere trovato questo bambino e lo chiamarono: MOMOTAROO. (MOMO = nato dal pesce; TAROO = ragazzo) Crebbero Momotaroo ogni giorno con tanto amore e con gioia. Momotaroo cresceva bene e divenne un giovane pieno di vigore. Un bel giorno 12
disse: “nonno e nonna !.... ho sentito dire che nel villaggio c’è un grande orco che disturba la gente ed è molto cattivo. Voglio andare al villaggio per combattere l’orco.” Il nonno e la nonna pur preoccupati acconsentirono dicendo: “Va bene, ma per strada ti verrà fame e quindi ti ho preparato le polpette di miglio.” Gliele avvolse in un panno e ci fece un fagotto che la nonna legò sul fianco di Momotaroo. Il nonno gli preparò una spada di legno intagliato e appuntita e mise a Momotaroo una fascia dipinta con un pesce intorno al capo. Così il vigoroso Momotaroo si incamminò verso il villaggio. Mentre camminava, un cane, sentendo il buon odore delle polpette di miglio, gli si avvicinò: “Wan, wan, Momotaroo, mi dai una polpetta?” “Se vieni con me a combattere un orco, ti do una polpetta” disse Momotaroo. “Wan, wan, si, vengo con te” disse il cane. Così Momotaroo gli diede la polpetta e si incamminarono insieme. Poco dopo incontrarono una scimmia: “Kiya, kiya, Momotaroo, mi dai una polpetta?” “Se vieni con me a combattere un orco, ti do una polpetta” disse Momotaroo. “Kiya, kiya, sì vengo con voi” disse la scimmia. Quindi si incamminarono tutti e tre quando ad un 13
tratto sentirono dal cielo un fagiano: “Chi---, chi--, Momotaroo, mi dai una polpetta?” “Se vieni con me a combattere un orco, ti do una polpetta” disse Momotaroo. “Chi---, chi---,, sì vengo con te” disse il fagiano. E cosi, finalmente arrivarono al villaggio dove il grosso orco stava distruggendo tutto e le persone spaventate correvano di qua e di là chiedendo aiuto. Allora, il cane si arrabbiò e “Wan, wan” ..morse le gambe dell’orco; la scimmia “Kiya, kiya” saltò sulla schiena dell’orco e lo graffiò dappertutto; il fagiano volando “chi---, chi---” buttava dei sassolini sulla testa dell’orco e Momotaroo prese la sua spada di legno e punse forte la pancia dell’orco. Alla fine, l’orco visto che non poteva più combattere, chiese scusa e promise di non essere mai più così cattivo e scappò lontano, lontano, fuori dal villaggio. Tutta la gente del villaggio accorse felice gridando: “GRAZIE, Momotaroo, meno male che ci avete salvati”. E tutto il villaggio gli regalò una bandiera con scritto: «A Momotaroo – cittadino onorario” . Momotaroo, prese quella bandiera con piacere e con i suoi seguaci ritornò a casa dai nonni. 14
I nonni erano contentissimi di rivedere Momotaroo e vissero felici e contenti. (liberamente Giapponesi)
tratto
da
racconti
popolari
Disegna tu
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Perché il coccodrillo non mangia galline? Sudafrica Raccontato da Meryl Block (Sevim) Illustrazione: Sara Gaudenzi Una gallina veniva al fiume ogni giorno. Beveva l’acqua lì. Un giorno il coccodrillo la vide e le si avvicinò. Voleva mangiarla.
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Ma lei gridò: “Oh, non mangiarmi, mio caro fratello!” Il coccodrillo la lasciò andare. Non poteva mangiare sua sorella! Il giorno seguente, quando la gallina tornò al fiume, il coccodrillo decise di mangiarla. Ma di nuovo la gallina gridò: “Oh, non mangiarmi, mio caro fratello!” E di nuovo il coccodrillo non l’ha mangiata. Ma pensò: “Come posso essere suo fratello? Io vivo nell’acqua e lei no”. Poi il coccodrillo andò dal suo amico, una lucertola. “Oh, amico mio, una grande gallina arriva al fiume ogni giorno e quando voglio prenderla, lei dice che sono suo fratello, come può essere?” “Oh, mio stupido amico!” rispose la lucertola. “Non sai che la gallina, la tartaruga, la lucertola depongono le uova come fanno i coccodrilli, mio caro? Quindi siamo tutti fratelli e sorelle. “Oh, grazie mille,” disse il coccodrillo. Ora sai perché i coccodrilli non mangiano mai le galline! (liberamente tratto da racconti sudafricani)
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Era la notte prima di Natale Stati Uniti d’America Raccontato da Carolyn McConnell Illustrazione: Sara Gaudenzi Era la notte prima di Natale e tutta la casa era in silenzio, nulla si muoveva, neppure un topino. Le calze, appese in bell’ordine al camino, aspettavano che Babbo Natale arrivasse. I bambini rannicchiati al calduccio nei loro lettini sognavano dolcetti e zuccherini; La mamma nel suo scialle ed io col mio berretto stavamo per andare a dormire quando, dal giardino di fronte alla casa, giunse un rumore Corsi alla finestra per vedere che cosa fosse successo, 19
spalancai le imposte e alzai il saliscendi. La luna sul manto di neve appena caduta illuminava a giorno ogni cosa ed io vidi, con mia grande sorpresa, una slitta in miniatura tirata da otto minuscole renne e guidata da un piccolo vecchio conducente arzillo e vivace; capii subito che doveva essere Babbo Natale. Le renne erano più veloci delle aquile e lui le incitava chiamandole per nome. “Dai, Saetta! Dai, Ballerino! Dai, Rampante e Bizzoso! Su, Cometa! Su, Cupido! Su, Tuono e Tempesta! Su in cima al portico e su per la parete! Dai presto, Muovetevi!” Leggere come foglie portate da un mulinello di vento, le renne volarono sul tetto della casa, trainando la slitta piena di giocattoli. Udii lo scalpiccio degli zoccoli sul tetto, non feci in tempo a voltarmi che Babbo Natale venne giù dal camino con un tonfo. Era tutto vestito di pelliccia, do capo a piedi, tutto sporco di cenere e fuliggine con un gran sacco sulle spalle pieno di giocattoli: sembrava un venditore ambulante 20
sul punto di mostrare la sua mercanzia! I suoi occhi come brillavano! Le sue fossette che allegria! Le guance rubiconde, il naso a ciliegia! La bocca piccola e buffa arcuata in un sorriso, la barba bianca come la neve, aveva in bocca una pipa e il fumo circondava la sua testa come una ghirlanda. Il viso era largo e la pancia rotonda sobbalzava come una ciotola di gelatina quando rideva. Era paffuto e grassottello, metteva allegria, e senza volerlo io scoppiai in una risata. Mi fece un cenno col capo ammiccando e la mia paura sparì, non disse una parola e tornò al suo lavoro. Riempì una per una, tutte le calze, poi si voltò, accennò un saluto col capo e sparì su per il camino. Balzò sulla slitta, diede un fischio alle renne e volò via veloce come il piumino di un cardo. Ma prima di sparire dalla mia vista lo udii esclamare: Buon Natale a tutti e a tutti buona notte! liberamente tratto dal poema di Clement Clark Moore 21
Disegna il tuo albero di Natale
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Guglielmo TELL Svizzera raccontato da Mirella Russo Illustrazione: Sara Gaudenzi e Franca Minarini Tanto, tanto tempo fa, in pieno medioevo, quasi tutti i territori dell’odierna Europa erano soggetti all’autorità dell’Imperatore Asburgo.
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La Svizzera, o meglio i primi 3 cantoni URI, SCHWYZ e UNTERWALDEN non faceva eccezione, anche se gli abitanti di quei 3 cantoni avevano più volte manifestato la volontà di rendersi indipendenti. Per sottolineare invece, che anche gli svizzeri dovevano inchinarsi alla volontà dell’impero, il suo rappresentante, un certo Hermann Gessler, su un altissimo bastone della pubblica piazza di Altdorf fece issare il cappello dell’imperatore. Chiunque passava di lì era obbligato a inchinarsi, se non voleva perdere tutti i suoi beni e la sua libertà. Un giorno passò dalla piazza di Altdorf il miglior arciere della Svizzera: Gugliemo Tell. Forse per distrazione, forse perché non aveva nessuna intenzione di chinarsi alla volontà dell’imperatore, Guglielmo mantenne la sua testa ben eretta e passò oltre il cappello imperiale. Fu subito arrestato e condotto davanti all’antipatico Gessler. “E quindi tu, grande arciere, ti permetti di non chinare la testa davanti al tuo imperatore!” gli disse questi furente d’ira. “Ma, veramente, io ero distratto; non mi ero neanche accorto del cappello…. Lo giuro, pensavo ai fatti miei. Volevo soltanto mostrare il paese a mio figlio Gualtierino. Mi perdoni, la prego.” 24
“Perdonarti? Sì, effettivamente qualcosina la potrei fare.” Disse Gessler con uno strano e inquietante sorriso. “Però dovrai darmi prova della tua abilità di arciere. Dovrai colpire una mela, a una distanza di cento passi”. ”Beh, questo, con tutto il rispetto, non dovrebbe essere difficile…” disse Guglielmo sollevato. “Lo spero bene per te”, disse Gessler scoppiando in una risata diabolica “perché la mela sarà posta sulla testa di tuo figlio!!” A quelle parole Guglielmo Tell a momenti sveniva. Come si sarebbe ripresentato a casa da sua moglie se solo avesse graffiato il bel faccino sereno del figlio? E se poi le cose fossero andate veramente male? Se in preda alla tensione avesse colpito la testa del figlio invece della mela?” Allora, per precauzione Guglielmo si mise due frecce nella faretra, una per la mela sulla testa di suo figlio e una per la testa di Gessler… Il giorno della condanna la gente si riunì in piazza a guardare con il fiato sospeso il povero Gualtierino, pallido da fare paura, con la mela in testa. “Ma chi me l’ha fatto fare di scendere in paese con il babbo? Sarebbe stato meglio rimanere con mamma a mungere le mucche.” Pensava tre sé e sé mentre le lacrime gli scendevano lungo le guance. “Tranquillo Gualtierino, vedrai cosa succederà 25
adesso” disse suo padre. E dette queste parole Guglielmo Tell prese la mira e colpì la mela, che si spezzò esattamente in due.
La gente esultò, ma l’antipatico e crudele Gessler ancora non voleva dargli la libertà. Aveva notato che aveva con sé 2 frecce e volle sapere da Tell il perché. Tell esitò dicendo che tutti gli arcieri fanno così; ma a Gessler questa risposta non bastò e gli promise di dargli la libertà se gli avesse detto la verità. Allora Tell gli disse che, semmai non avesse centrato la mela, con la seconda freccia di certo avrebbe colpito Gessler. ! Ah, come si infuriò Gessler. Lo fece mettere in catene per rinchiuderlo nella ROCCA di Küssnacht che si trovava di là dal lago. Non appena che Gessler, i suoi soldati e il povero Tell furono sulla barca, scoppiò una forte tempesta che fece quasi 26
ribaltare la barca. Allora i soldati impauriti – che sapevano che Tell era anche un OTTIMO marinaio – implorarono Gessler di fare prendere il timone a lui, che li avrebbe portati sicuri dall’altra parte del lago. Tell allora, che conosceva benissimo il lago, dirottò la barca su una roccia piatta e appena si avvicinò, prese la sua balestra, saltò giù e scappò lasciando la barca in balia delle onde. Tell si recò velocemente a Küssnacht nel “vicolo vuoto” dove aspettò che Gessler arrivasse. Non appena Gessler entrò a cavallo nel vicolo vuoto, Tell prese la sua seconda freccia e la scoccò contro Gessler che ne rimase ucciso. La ribellione di Tell fu raccontata in tutto il paese e il popolo prese coraggio così che alla fine di tutta questa vicenda la Svizzera fu libera. (liberamente tratta da racconti popolari svizzeri) Disegna il tuo arco
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Del mezzo galletto Olanda Raccontato da Marleen Roelofs Illustrazione: Sara Gaudenzi C’erano una volta due sorelle, Janneke e Mieke, che abitavano in una capanna nel bosco.
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Quando i loro genitori morirono, le sorelle rimasero sole al mondo e dovettero dividere l’eredità tra loro due. Ma erano così povere che non possedevano niente altro che due galline e un galletto… La questione era, come fare una divisione equa? “Allora,” diceva Mieke, “dividiamo il galletto in due così ognuno ha una metà”. Così detto, così fatto. Janneke si prese il lato della testa e Mieke il lato della coda. Mieke cominciò subito a spennare le piume della sua metà e la mise in pentola. Ma poi, la madrina di Janneke, che era una strega, arrivò da loro attraverso il camino. “Senti”, diceva alla sua figlioccia, “non devi mettere la tua metà del galletto nella pentola. Lo incanto, e così puoi fargli fare quello che desideri”. Poi la strega mise la sua bacchetta magica nelle ceneri, mormorò qualche parola di negromanzia e appoggiò la bacchetta sulla testa del mezzo galletto. Giusto in quel momento l’orologio rintoccò la mezzanotte…Pardaf! disse, e la strega era di nuovo uscita per il caminetto. “Tutto bene quel che finisce bene”, disse Janneke a sua sorella, “ma cosa ce ne facciamo di quel mezzo gallo adesso?” Mieke si mise a pensare e disse: “Se abbiamo soldi possiamo avere tutto! Mandiamolo alla corte del signor Castelbruno per tre borse di soldi.” E così il mezzo galletto fu mandato a corte. 29
Lungo la strada il galletto incontrò due ladri che gli chiesero: “Mezzo galletto, dove vai??” “Alla corte Castelbruno!” “Possiamo venire anche noi?” “Si, mettetevi sotto le mie piume!” I ladri si misero comodi tra le piume del gallo. Un po’ più in là incontrò due volpi. Anche loro gli chiesero di potere andare con lui, e anche a loro il galletto li fece sistemare tra le piume. Alla fine il mezzo gallo si trovò davanti ad una grande pozza d’acqua che era altrettanto curiosa. “Venga pure Lei”, disse il mezzo gallo alla pozza. E: “glu, glu, glu, glu” l’acqua si accomodò tra gli altri ospiti. Dring dring! si sentì quando il mezzo gallo suonò alla porta del castello. “Dì al tuo padrone che devo avere tre borse di soldi!” È terribile, pensò il servo che aveva aperto, mentre si precipitava a portare la richiesta al suo padrone. Egli disse: “Metti il mezzo gallo con i polli nel pollaio!” E così fu fatto. Ma quando era notte, il mezzo gallo disse alle due volpi: “Venite fuori volpi e mangiate tutti i polli!” Ah, non c’era bisogno di dirlo due volte e i polli erano subito spariti. Il giorno dopo, il servo venne nel pollaio e accortosi di quanto era successo corse spaventato dal suo 30
padrone borbottando: ”Ora, ora tutti i polli sono stati mangiati e il mezzo gallo sta in alto sulla trave cantando sempre: “Chichirichirigallo!” “Allora, mettilo nella stalla dei cavalli”, gli ordinò il suo padrone. Cosi fu fatto; ma la notte seguente il mezzo gallo fece apparire i due ladri che subito presero i cavalli cavalcando via come una freccia. “Ora so cosa fare” si disse il servo il giorno dopo con il sudore in fronte. Questa volta il galletto non avrebbe avuto scampo: il mezzo gallo venne messo nel forno rovente; con un miglior risultato pensate forse? Sbagliato: l’acqua uscì da sotto le piume e nel giro di due minuti il fuoco era spento. L’acqua stava così alta che raggiunse il primo piano! E sopra questo enorme pozzo nuotava il nostro gallo coraggioso che cantava più forte che poteva: Chichirichirigallo!” “Dagli subito i tre sacchi con i soldi!” disse il signor Castelbruno: “Che se ne vada, altrimenti rovina tutta la mia famiglia! …” Il mezzo gallo se ne andò, e consegnò con onestà i soldi a casa. Janneke e Mieke ora erano ricche, anzi, straricche. Sono molto contente e vanno d’accordo. Il mezzo gallo ancora oggi vive felice con loro. Una favola del folklore Olandese/Belga del 1888 31
Come ti immagini il mezzo galletto?
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LA MULA DEL PAPA Francia raccontato da Mireille Laporte Illustrazione: Matteo Gaggia C‘era una volta, tanti, tanti anni fa, quando i papi non vivevano a Roma ma in Francia, ad Avignone, un buon Papa, chiamato Bonifacio, un bravo uomo, che amava la sua bella cittĂ , adagiata sulla riva sinistra del Rodano, la buona tavola e il buon vino. E per Bacco! il vino del suo stato, il Contado Venassino, era ottimo. Prodotto con le uve maturate sulle colline bruciate dal sole e battute
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dal vento Mistral che orlavano il fiume impetuoso. Il buon Bonifacio che viveva nel suo grande e maestoso palazzo lungo il fiume, aveva un’altra debolezza: la sua dolce mula che amava cavalcare durante i suoi viaggi o per incontrare i suoi sudditi che lo accoglievano sempre festosamente. Era bella, alta, con un portamento regale, coccolata, ammirata e rispettata da tutti. Quanto le piacevano queste uscite! Ben strigliata e coperta di broccati di seta e di oro, trasportava con orgoglio il suo padrone per le vie della città, sotto gli sguardi ammirati di tutti e per la gioia dei bambini, mentre le campane suonavano allegramente. Al ritorno nella sua stalla trovava sempre una bella dose di biada e soprattutto un buon quarto di Chateauneuf du Pape, l’ottimo vino del papa, condito “alla francese”. La sua vita scorreva felice e spensierata, finché un bel dì il figlio dell’argentiere del Papa, un certo Tristet, giovanotto furbo, arrivista e poco di buono, decise di guadagnarsi la fiducia del Papa mostrando un grande interesse per la mula, che finì per essergli affidata. Tristet era proprio triste quanto il suo nome. Maltrattava la povera bestia, le faceva patire la fame e le rubava perfino il suo buon vino “alla francese”, non senza averglielo fatto annusare prima, con crudeli risate! 34
La paziente mula sopportava in silenzio, senza riuscire a reagire poiché Tristet, che era un tipo astuto, le girava sempre alla larga. Poi un giorno Tristet, più maligno del solito, decise di fare salire la mula in cima alla più alta torre del castello.
La bestia rassegnata saliva l’angusta scala a chiocciola della torre venendo picchiata e terrorizzata ad ogni scalino. Una volta arrivata in cima non fu più in grado di scendere. Il torrione del vecchio castello era altissimo! Da lassù la mula vide le dolci colline ricoperte di vigne, il fiume che scorreva veloce, la città inondata di sole con le sue anguste vie. Notò inoltre con rammarico la gente e i bambini 35
solitamente così dolci e benevoli con lei che, accortisi della stranezza “una mula in cima a una torre che ragliava disperatamente”, mormoravano e ridevano della sua disgrazia. Corde, paranchi e grandi sforzi furono necessari per riportare la mula a terra, mentre il Papa non capiva come avesse fatto un animale così mansueto e accorto come lei a fare una cosa così assurda. Cominciò pure a perdere la sua fiducia nella bestia. Nel frattempo Tristet era stato abbastanza furbo da farsi mandare in missione alla corte di Napoli, dove rimase per sette lunghi anni. La mula non era più felice, la gente mormorava al suo passaggio, aveva perso dignità e appetito, si vergognava e meditava una vendetta che pareva del tutto irrealizzabile. Poi un bel giorno Tristet tornò ad Avignone, più arrogante e maligno che mai e ipocrita quanto prima. Riuscì pure, contro il parere dei prelati che nutrivano seri dubbi sulla sua onestà e bontà, a convincere il Papa con le sue lusinghe a farsi nominare Grande Mostardiere. Il giorno del suo trionfo Tristet, coperto di seta e di oro, accettò l’invito del Papa a fare visita alla mula, alla quale era stato così “affezionato”! Tristet, non immaginando che un animale potesse avere un’anima, un cuore e soprattutto tanta memoria, accettò e andò a trovare la mansueta bestia. Lei, che aspettava questo momento da ben sette anni, accettò le sue carezze 36
e dimostrazioni di affetto e appena Tristet si girò per andarsene, caricando nei suoi garretti tutto il suo odio e la sua rabbia, gli assestò un calcio così potente che Tristet fu ridotto in polvere! Puff! E nessuno sentì mai più parlare di lui! Questo cari lettori è l’origine del detto: aspettare sette anni come la mula del Papa! Non sappiamo se ci fu veramente un buon Papa Bonifacio ad Avignone, ma tutti i Provenzali conoscono molto bene la mula del Papa! (da “Lettere dal mio mulino” di Alphonse Daudet) Ossia la vendetta è un piatto che si mangia freddo colora l’asinello
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GETTA IL TUO PANE SULL’ACQUA Israele raccontata da Maria Mancini Illustrazione: Sara Gaudenzi C’era una volta un uomo molto pio. Prima di morire, quest’uomo impose al figlio di giurare che avrebbe sempre seguito il suo esempio e non avrebbe mai fatto mancare l’elemosina ai poveri.
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- La parola dell’Eterno, - spiegò il vecchio già sul punto di lasciare questo mondo, - ci dice: Getta il tuo pane sull’acqua, perché dopo molto tempo tu lo ritroverai (Qohelet II, I). Serba questo insegnamento, figlio mio, e non te ne pentirai né nulla mai ti mancherà. Poco dopo aver pronunciato queste parole, l’uomo spirò. Il figlio mantenne la promessa. Dopo la morte del padre, il giovane ogni mattina andava sulla riva e gettava nel mare una pagnotta di pane. Ogni giorno un pesce la mangiava. Passò del tempo. Molto tempo. E quel pesce che mangiava il pane divenne così grosso che gli altri pesci andarono a lamentarsene con il loro re, nientemeno che Leviatano. - Quel pesce è diventato così grosso che in un sol boccone divora venti di noi! - esclamarono. - Non possiamo più vivere, con lui nei paraggi! Leviatano allora mandò a chiamare quel colosso, e gli domandò: - I tuoi fratelli e le tue sorelle che vivono negli abissi sono grossi non più della metà di te, mentre tu che vivi appena sotto il pelo dell’acqua sei così pasciuto. Me ne spieghi la ragione? - C’è un uomo che scende ogni giorno sulla riva e mi dà da mangiare, - spiegò candidamente il balenone. - Arriva tutte le mattine, getta il 39
suo pane sull’acqua, e io lo acchiappo al volo. Portami subito quell’uomo! - intimò con il suo barrito il Leviatano. L’indomani di buon mattino il pesce scavò un fosso sotto la sabbia, nel punto in cui quell’uomo si recava ogni mattina a gettargli il pane, e si mise con le fauci aperte all’imboccatura. L’uomo arrivò, precipitò nel buco e venne tosto inghiottito dal pescione, che in men che non si dica lo condusse da Leviatano. - Ora sputalo fuori! - ordinò il re di tutti i mari. Il balenone tossicchiò, scaraventando sul fondo dell’abisso il malcapitato.– Perché getti ogni mattina il tuo pane sull’acqua? - domandò Leviatano. - Perché mio padre prima di morire mi ha insegnato a fare così, - rispose l’uomo. Allora Leviatano con la sua bocca enorme gli diede un bacio e gli offrì un regalo. L’uomo poteva scegliere fra la metà dei tesori di tutti gli abissi e la perfetta conoscenza di tutte e settanta le lingue del mondo. L’uomo scelse saggiamente il secondo dono, Leviatano lo istruì e in men che non si dica le padroneggiava tutte e settanta. Poi il re dei mari lo portò presso una riva remota e qui, sulla sabbia calda, lo abbandonò. L’uomo si crogiolò un po’ sotto il sole, finché non vide due corvi che volavano sopra di lui. Uno diceva: - Padre, vedo un uomo disteso laggiù. Sarà vivo o sarà morto? - Non saprei, figlio mio, - rispose l’altro. 40
Ora scendo e lo becco sugli occhi, che sono la cosa che mi piace di più, - disse il giovane corvo. - Non farlo! - lo mise in guardia il padre, - perché se fosse vivo ti catturerebbe e ti ucciderebbe. L’uomo, che ormai conosceva tutte e settanta le lingue del mondo, comprese quelle degli animali, capì quello che s’erano detti i due corvi e appena il più giovane atterrò sulla sua fronte, lo prese per le zampe. Padre! Padre! - gridava l’uccello imprigionato, sono perduto! - Povero te, figlio mio! - gridava il padre dal cielo, - se solo mi avessi dato retta! Poi scese più in basso e si rivolse all’uomo. Oh, quanto vorrei che il Signore, sia Egli benedetto, ti desse facoltà di capire le mie parole! Ti pregherei in tal caso: «Lascia andare mio figlio, e io in cambio ti mostrerò un tesoro favoloso! » L’uomo liberò immediatamente il giovane corvo dalla stretta. Allora il corvo padre riconoscente gli disse: - Scava nel punto in cui si trovano i tuoi piedi, qui troverai il tesoro di re Salomone. L’uomo fece come gli aveva detto il corvo e trovò ceste e ceste di gemme, pietre preziose e oro zecchino. Da quel giorno in poi non fu mai più povero, non ebbe più bisogno di nulla. Ma continuò a elargire generosamente la propria elemosina ai poveri, così come aveva promesso a suo padre. (liberamente tratto da racconti popolari ebraici) 41
Disegna i personaggi della storia
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Ghiandina delle Fonti Italia/Toscana Ideata e raccontata da Gabriella Minarini Illustrazione: Franca Minarini
- Nascita di una fata! Ghiandina era nata in una fredda notte di primo inverno, ed erano tanti, ma tanti, tanti, tanti anni che viveva affaccendata intorno alla Casa sotto le Fonti.
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Quando nacque, la notte era gelida, l’aria trasparente e tersa. La luna illuminava la terra sonnolenta quando, per il gran freddo, le sfuggì una lacrima. Ormai era fatta! La luna spalancò i grandi occhi e curiosa, si mise attentamente a cercare il luogo dove la lacrima era caduta. Attese … Sapeva bene, Lei, quali meraviglie una sua lacrima poteva causare. Guarda guarda, proprio sotto di sé, vide un albero brillare come un diamante: era un piccolo albero di quercia. La lacrima della luna lo aveva completamente avvolto e, per il gran freddo, si era ricoperto di smagliante brina. Ai suoi rami era rimasta attaccata una piccolissima ghianda, la più piccola di tutte le sorelle nate dal piccolo querciolo. Era piccola, ma forte e tenace e, proprio per questo, era riuscita a rimanere stretta al suo appiglio. La lacrima della luna aveva avvolto anche quel piccolo frutto! La bianca Signora si accorse della ghianda e sorridendo sussurrò: Ah, come sarà bella! Avrà forza, avrà bellezza e avrà cuore! Questi sono i doni che io posso darle, il resto sarà suo compito costruirlo. Per tutta la notte la luna vegliò con attenzione sulla piccola querce, inviando sulla piccola ghianda 44
tutta la luce di cui disponeva e, quando il Sole si avviò per sorgere lo pregò di illuminare e riscaldare, subito, il piccolo querciolo con la sua preziosa gemma. Il grande Sole distese pigramente i raggi e obbedì subito alla bianca Signora! Era avvezzo alle sue stranezze e alle sue richieste più varie … e poi sapeva bene che la preghiera di calore e luce era la premessa e condizione per l’arrivo di una straordinaria creatura: la nascita di una nuova fata! Così quella mattina il sole allungò i suoi caldi raggi verso la piccola ghianda che fu riscaldata come in una giornata d’estate. Intorno alla piccola querce, pigramente, la vita riprese fermento; “è in arrivo! è in arrivo!” gridavano tutte le creature che abitavano ai piedi della pianta!! Il grido rimbalzò nella valle e nelle valli adiacenti; tanti piccoli esseri si svegliarono dal loro sonno invernale per assistere all’arrivo della fata! Intanto la quercia, baciata dalla luna per tutta la notte, e poi scaldata dal sole per tutto il giorno, si era ricoperta di un fogliame folto e degno di una querce secolare. Tutto era pronto per l’eccezionale evento. La regina delle formiche aveva portato in dono una scorta di prezioso latte; i bachi del gelso si erano premurati di tessere una coperta di fili di seta; gli scoiattoli avevano costruito una culla da una bella noce del Casentino! Le lucciole avevano assicurato luce per superare le lunghe notti invernali. La 45
piccola fata in arrivo aveva tutto quanto potesse garantirle una crescita senza problemi, finché lei stessa non fosse stata in grado di badare alle sue bisogna. Aveva tutto! Compreso un Corte che l’attendeva da tempo ma …. Non aveva un nome!! La fata che l’aveva preceduta, e che era volata con le rondini verso terre lontane, si chiamava Violetta delle Fonti. Come chiamare questa fata che nasceva da una piccola ghianda? Violetta era stata chiamata così perché la lacrima della luna, secoli prima, aveva inondato il prato di viole che circondava la casa. -“La potremo chiamare Ghiandetta”-, disse il signor Rospo, dato che è piccoletta. -“La possiamo chiamare Ghiandina”perché è piccolina, disse madama la Tartaruga che, arrancando faticosamente per le zampe intorpidite, si era inserita nel gruppo! Ghiandina! Si! Si! Tutti gridarono: la nostra Fata Ghiandina! Zitti! Urlò la chioccia Bianca! È il tramonto! È il tramonto! Svelti !!!!!! Al tramonto sua signoria il Sole e la bianca Signora si incontrarono per un attimo! E insieme iniziarono a sussurrare: Sarà bella – sarà buona – sarà dolce – sarà giusta – sarà sarà sarà sarà sarà …. La piccola ghianda si aprì sollecitata dalle onde sonore di tutti quei – sarà – benaugurali e - Lei - apparve ai mille occhi intorno!! Aveva il Sole 46
nei capelli, la Luna sulla pelle e il cielo negli occhi. Piccola piccola, vestita di niente, fu adagiata sulle ali di una farfalla e condotta nella casetta che i piccoli abitanti della valle le avevano, con molta cura e molto amore, preparato ai piedi della quercia. Ghiandina era stanca. Il luogo da cui proveniva era molto lontano, e gli ultimi secoli li aveva passati nell’acqua sotterranea alla fonte! Pazientemente aveva aspettato che qualcheduno avesse bisogno di prendere di quell’acqua, per consentirle di arrivare in superfice e vedere la luce, perché lunga era la strada per diventare Fate. La piccola quercia aveva avuto bisogno di tanta acqua in estate e così, l’apprendista fata, era arrivata ai piani superiori ed era diventata una piccola ghianda. Ora finalmente era nata, e la sua Corte le rendeva omaggio. Con Lei l’ordine delle cose nella valle era di nuovo assicurato. I raccolti sicuri e prosperi, le stagioni regolari e il tempo giusto per ogni cosa! Poteva dormire tranquilla. Domani si sarebbe provveduto per la sua vestizione!! - La vestizione di Ghiandina Quella mattina intorno alla piccola quercia si era radunata tutta la popolazione della valle. Erano venuti per vedere la nuova Regina. La prima vestizione era la più importante perché gli abitanti della valle l’avrebbero potuta raccontare ai loro 47
piccoli! Con la vestizione la Regina prendeva il suo nome, i suoi poteri e il riconoscimento dei sudditi. La piccola Fata fu svegliata al sorgere del Sole. La farfalla guida le diede il buongiorno, la regina delle formiche le servì una goccia di latte che le aveva portato dentro un bianco mughetto. L’usignolo arrivò con un fiore di ginestra pieno di acqua di fonte. La Fata fece un delizioso bagno e fu pronta per la vestizione. Le api arrivarono con quattro foglie di quercia che le furono fermate alla vita con dei fili d’erba. Le coccinelle portarono dei piccolissimi, ma profumatissimi, mughetti per farle una bianca sottogonna. Il moscon d’oro le portò il cappuccetto di ghianda più piccolo che si potesse immaginare, per farne la - coronacappello -! Il bacoseta le fece, con dei fili di seta e oro, un corpetto di piccolissime foglie. Madama tartaruga le donò due bocci di convolvolo perché avesse scarpe. Messer millepiedi lavorò alacremente alla sua acconciatura. Tutto era fatto! La nuova regina era vestita e, con la vestizione, si era assicurata la fedeltà dei suoi sudditi; Lei, in cambio, doveva proteggere la loro tranquillità! La nonna smise di raccontare e chiese piano alla nipotina: -”dormi Luly?”- …. La piccola, tranquilla, non rispose … Fabélla Toscana 48
Disegna la tua fata
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Dick Whittington Inghilterra Raccontata da Priscilla Worsley, Jan Julian, Heather Buckner Illustrazione: Sara Gaudenzi C’era una volta un ragazzo povero di nome Dick Whittington che visse in un piccolo villaggio in campagna. Non aveva né madre né padre che badassero a lui, per cui aveva sempre molta fame.
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Sentiva parlare sempre di una città lontano lontano che si chiamava Londra dove tutti gli abitanti erano ricchissimi e le strade erano pavimentate d’oro. Dick decise di raggiungere questa città e prendere la sua parte di oro dalle strade per fare fortuna. Un giorno incontrò un simpatico carrettiere che stava partendo per Londra, così partirono insieme. Quando giunsero alla grande metropoli, Dick non credeva ai suoi occhi; c’erano cavalli, carrozze, tanta gente, case alte alte … e molto fango. Ma niente oro. Che delusione. Come poteva fare la sua fortuna? E persino, come poteva comprarsi da mangiare? Dopo alcuni giorni era così affamato che svenne come un mucchio di stracci sul gradino della casa di un ricco mercante. La porta si aprì di scatto e uscì la cuoca: “Va via ragazzaccio” gridò, e tentò di allontanarlo da davanti alla casa con una grossa scopa. Ma proprio in quell’istante, il mercante arrivò a casa e, dal momento che era di indole gentile, si impietosì del povero Dick. “Portalo in casa” ordinò al suo stalliere. Dopo che Dick ebbe mangiato e si era riposato, gli venne dato un posto di lavoro in cucina. Era molto 51
grato al mercante ma, purtroppo, la cuoca era sempre di malumore, e quando non c’era nessuno lo picchiava e gli dava dei pizzicotti. Ma c’era un’altra cosa che rendeva la sua vita molto triste: era che doveva dormire in una stanza piccolissima in cima alla casa. La camera era piena di topi e ratti che gli si arrampicavano addosso - e persino sulla faccia, per pizzicargli il naso. Era così disperato che mise da parte tutti i suoi soldi per comprare una gatta. Dovete sapere che questa gatta era un animale molto speciale – infatti era il gatto migliore in tutta Londra per la caccia ai topi e i ratti. Passò poco tempo e la vita di Dick divenne più felice: la sua gatta così brava aveva mangiato tutti i ratti e i topi. Un giorno Dick sentì il mercante chiedere agli abitanti della casa se avevano qualcosa da vendere: la sua barca stava per partire per un lungo viaggio dall’altra parte del mondo e avrebbe venduto tutto ciò che c’era a bordo per guadagnare molti soldi per tutti. Ma povero Dick. Cosa poteva vendere? ...All’improvviso gli viene un lampo 52
“Per favore, signore, mi può prendere la mia gatta?” Tutti risero forte forte, ma il mercante sorrise e disse: “Si Dick, lo farò, e tutti i soldi della vendita andranno a te”. Dopo la partenza del mercante per l’altra parte del mondo Dick era di nuovo solo e i ratti e i topi si divertirono di nuovo di notte, e la cuoca diventò ancora più cattiva di giorno, perché nessuno tentò di fermarla. Dick decise di scappare. Mentre si allontanava, le campane delle chiese intorno tuonarono e sembrarono dire: “Torna indietro Dick Whittington Tre volte Sindaco di Londra” “Accidenti, accipicchia” pensò Dick basito. “Se io sono destinato a diventare il Sindaco di Londra, sarebbe meglio se non partissi. Per il momento sopporterò la cuoca e i ratti e i topi, e quando sono Sindaco mi vendicherò!” Così tornò indietro verso la città. Dall’altra parte del mondo il mercante e la sua nave erano arrivati a destinazione. Lì la gente era così accogliente che il mercante decise di fare degli omaggi al loro re e regina. Il re e la regina erano così contenti che invitarono il mercante e l’equipaggio ad un banchetto. Ma, che tu ci credi o no, appena 53
arrivò il cibo gustosissimo una moltitudine di ratti apparse dal nulla, e mangiò tutto, prima che gli ospiti potessero assaggiare nemmeno un boccone. “O per carità” disse il re “succede sempre così – non riesco mai a mangiare la mia torta di mele. Cosa possiamo fare?” “Io ho un’idea” disse il mercante “Io ho una gatta molto speciale che è venuta con noi da Londra sulla mia nave. Lei divorerà tutti i suoi ratti in meno tempo che hanno impiegato a mangiare il vostro banchetto.” Infatti, quando venne preparato un altro banchetto dei ratti si fecero vivi, ma la gatta fece un balzo e ammazzò tutti in un baleno. Il re e regina erano contentissimi e regalarono al mercante una barca piena d’oro in cambio della gatta così speciale. Quando la nave tornò a Londra, Dick era sbalordito dalla quantità d’oro che il mercante gli aveva portato per la vendita della gatta. Usò i suoi soldi sempre con tanta cura, e fece tante buone azioni per chi gli stava intorno e per i suoi dipendenti, che fu eletto Sindaco di Londra tre volte. Ma non dimenticò mai il suo buon amico il mercante, che fu così onesto da dargli tutto l’oro che la sua gatta gli aveva guadagnato e non tenne 54
niente per sé. Più tardi Dick si innamorò della figlia bellissima del mercante e la sposò. E vissero felici e contenti come in tutte le buone favole. “Turn again Dick Whittington Three times Lord Mayor of London” Avevano ragione le campane, no? (liberamente tratto da racconti popolari inglesi)
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Il guanto del nonno Bulgaria Raccontata da Pepa Petrova Illustrazione: Sara Gaudenzi In una giornata di neve, un nonno attraversava con il suo carrettino il bosco che era tutto bianco e pulito. Dietro a lui correva un cagnolino. Mentre camminava, senza accorgersene, il nonno perse uno dei suoi guanti.
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In mezzo al sentiero giocava un topolino. Ha visto il guanto e disse: - Ecco dove potrò vivere io! – e si infilò contento nel caldo guanto. Dopo un po’, salticchiando, si è avvicinata una rana. Si è fermata, ha guardato e ha chiesto: - Chi è che vive qui? - Sono io, il topolino Grisana. Tu chi sei? - Io sono la rana Kikerana. Mi fai entrare? - Entra. E sono diventate due. Di corsa è arrivato un coniglietto. Si è fermato spaventato davanti al guanto e ha chiesto: -Chi è che vive qui? - Il topolino Grizana e la rana Kikerana. E tu chi sei? - Sono il coniglietto Barzobeshko. Per favore, lasciatemi entrare per scaldarmi! - Va bene, entra! Sono diventati tre. Dopo un po’ passò una volpe vicino al guanto. - Chi è che vive qui? La topolina Grizana, la rana Kikerana, il coniglietto Barzobeshko. E tu chi sei? - Sono la volpina Kumichka. Fate entrare anche me! Ed eccoli che sono già in quattro. Da dietro agli alberi piano piano è arrivato anche 57
il lupo. - Chi è che vive qui?- chiese. - La topolina Grizana, la rana Kikerana, coniglietto Barzobeshko e la volpina Kumichka. E tu chi sei? - Sono il lupo Sivodreshko. Fatemi entrare! Lo hanno fatto entrare e sono diventati in cinque. Dopo un altro po’ guarda te chi arriva: il cinghiale! - Gruh-gruh-gruh! Chi vive qua? - Il topolino Grizana, la rana Kikerana, coniglietto Barzobeshko, la volpina Kumichka, il lupo Sivodreshko. Tu chi sei? - Il cinghiale Tarkulancio. Fate entrare anche me da voi! - Oh, è stretto, ma che vuoi che facciamo, su dai, entra anche tu! Ed ecco che sono diventati sei! Dentro il guanto è diventato così stretto che non riuscivano per niente a muoversi! All’improvviso, nel silenzio del bosco innevato, si sentirono rami spezzare e passi avvicinarsi, lenti e pesanti: è arrivato l’orso! - Ma chi..? Chi è che vive qui? - Il topolino Grizana, la rana Kikerana, coniglietto Barzobeshko, la volpina Kumichka, il lupo Sivodreshko e il cinghiale Tarkolancio. - Ho-ho-ho! Mi sa che siete un po’ tantini la dentro! - E tu chi sei? 58
- Io sono l’Orso Goleman! Fate entrare anche me dentro il guanto! - Ma come facciamo a farti entrare!? Anche senza di te stiamo strettissimi! - Beh, stringetevi in qualche modo… - Eh, va bene, vieni, ma ci devi promettere che rimarrai solamente in un angolino. Così anche l’Orso Goleman è entrato. Sono diventati in sette e il guanto si è così gonfiato che ancora un po’ e si spaccava! Nel frattempo, il nonnino si era accorto che gli mancava un guanto e ha girato il carrettino tornando indietro per cercarlo. Il suo cagnolino correva avanti e abbaiava. Ed ecco che dopo un po’ di strada vide il guanto, stava in mezzo alla neve e si muoveva tutto di qua e di là. Il cagnolino ha cominciato ad abbaiare ancor più forte: -Auh-auh-auh! Il nonnino guardava e non credeva ai suoi occhi, il suo guanto sembrava vivo: si vedeva la testa del topolino, la coda di volpe, una punta di orecchio, un pezzetto di pelliccia, denti affilati che brillavano! Gli animali del bosco si erano così spaventati, che scapparono fuori dal guanto e si dispersero nel bosco. Il nonno ha ripreso il suo guanto e poi si è avviato verso casa sua. (liberamente tratto dalla favola di Elin Polin) 59
Disegna il tuo guanto pieno di ...
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