Il turismo sociale come innovazione nell’impresa sociale. Il caso di studio “La Semente”

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA


Premio di Laurea Cesvol 2018 1

Edizione 2019


Cesvol Centro Servizi Volontariato Umbria Sede Legale: Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 fax 075 5287998 www.pgcesvol.net pubblicazioni@pgcesvol.net

Edizione marzo 2019 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono in copertina: dipinto di Marina Tomassini, Notte Stellata Stampa Digital Editor - Umbertide

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ISBN 9788896649879


centro servizi volontariato

Presentazione Il volume è la pubblicazione del premio di laurea “Cesvol”, che si inquadra nell’ambito di una convenzione siglata tra il Centro Servizi Volontariato di Perugia ed il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Perugia. Il bando prevede la pubblicazione della tesi e vi possano concorrere studenti che abbiano conseguito la Laurea Magistrale in Sociologia e politiche sociali, Comunicazione pubblica, digitale e d’impresa, Scienze della politica e dell’amministrazione. Il premio si inquadra nell’ambito di una più ampia collaborazione istituzionale, che prevede anche la possibilità di svolgimento presso il Cesvol Perugia del tirocinio di formazione ed orientamento di studenti e/o laureati dell’Ateneo perugino. Il formale rapporto di collaborazione siglato da Cesvol Perugia e Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Perugia prevede infine la promozione di varie attività che consentano esperienze di partecipazione a pieno titolo nel volontariato e nel non profit, finalizzandole ad una riflessione sulle varie dimensioni delle realtà sociale. La tesi della dott.ssa Valentini affronta il tema del turismo sociale, settore di grande attualità nel sistema del welfare pubblico e delle imprese sociali. Un numero crescente di imprese sociali stanno infatti sempre di più orientando le proprie attività verso questo settore, che rappresenta un nuovo e possibile ambito di operatività. La tesi coglie la capacità dell’impresa sociale, ed è questo un forte elemento teorico di


novità, di generare, attraverso le sue attività e le sue relazioni valore economico e sociale sia per i turisti sia per le comunità locali. Un ulteriore elemento di novità colto dalla dott.ssa Valentini è la possibilità dell’impresa sociale di diventare uno tra gli attori più importanti per valorizzare la dimensione sociale del turismo. Nel lavoro di tesi emerge come l’impresa sociale potrebbe infatti attivare dinamiche di sviluppo sociale e locale attraverso l’organizzazione e la realizzazione anche di attività turistiche. Un altro aspetto di merito è stata la capacità della dott.ssa Valentini di valorizzate il ruolo che l’impresa sociale ha nell’avvicinare e rendere maggiormente efficienti l’aspetto sociale della propria attività (ad esempio quello relativo alla possibilità di occupazione di persone svantaggiate) e quello imprenditoriale, ovvero la capacità di stare sul mercato oltre le logiche di tipo assistenziale. Conclude il lavoro di tesi un’analisi dettagliata del caso di studio della Cooperativa La Semente. Si sottolinea infine la buona qualità delle fonti e dell’apparato bibliografico utilizzato e si evidenzia una corretta continuità logica ed una chiarezza espositiva.


Il turismo sociale come innovazione nell’impresa sociale: il caso di studio “La Semente”

di Francesca Valentini



INDICE INTRODUZIONE CAPITOLO 1. EVOLUZIONE DEL TURISMO SOCIALE 1.1 Dal Gran tour al turismo di massa 1.2 Verso il tempo libero 1.3 Il Turismo Sociale 1.4 Il contributo della letteratura internazionale nella definizione del turismo sociale 1.5 Quadro istituzionale: la Dichiarazione Montreal o Nuovo Manifesto Internazionale 1.6 Gli interventi in tema di turismo sociale a livello europeo 1.7 Bureau International du Tourisme Social 1.8 Turismo sociale in Italia 1.9 Turismo sociale in Italia: la normativa 1.10 Progetti più significativi in tema di turismo sociale CAPITOLO 2. I BENI RELAZIONALI DALL’ECONOMIA SOCIALE ALLE IMPRESE SOCIALI 2.1 Il ruolo sociale del turismo sociale 2.2 I beni relazionali 2.3 I Beni relazionali e il Capitale Sociale 2.4 La prospettiva dell’Economia Sociale 2.5 I principali approcci verso una definizione di Impresa sociale 2.6 Le imprese sociali e l’imprenditorialità sociale 2.7 Le origini dell’impresa sociale in Italia 2.8 Cooperativa sociale o/e impresa sociale 2.9 Il non profit come risorsa o come soluzione temporanea dei problemi? 2.10 Il mercato: il consumatore etico e le discontinuità finanziarie 7

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p.12 p.15 p.17 p.24 p.28 p.33 p.40 p.43 p.48 p.52

p.55 p.57 p.63 p.68 p.74 p.78 p.87 p.94 p.97 p.99


2.11 Cooperative di comunità

p.104

CAPITOLO 3. DALL’INNOVAZIONE SOCIALE AL CASO DI STUDIO: LA SEMENTE p.107 3.1 Innovazione Sociale p.118 3.1.1 Qualche esempio p.121 3.2 La Semente p.125 3.3 Lo statuto p.131 3.4 Rapporti con le istituzioni p.135 3.5 Intervista al Direttore della Cooperativa p.141 3.6 Considerazioni conclusive CONCLUSIONI

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BIBLIOGRAFIA

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SITOLOGIA

p.157

RINGRAZIAMENTI

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INTRODUZIONE Lo scopo del presente lavoro è stato quello di evidenziare nel settore del welfare il cambiamento di paradigma a favore di una prospettiva meno assistenzialista. Tale lavoro è partito da un’osservazione e una domanda principale. Dopo avere analizzato il sistema di welfare pubblico e quello delle imprese sociali, il lavoro ha cercato di evidenziare come l’impresa sociale possa contribuire a dare risposte concrete ai bisogni sociali. Per cercare di rispondere, a questa domanda, si è scelto di approfondire il tema del turismo sociale, settore in cui molte imprese sociali stanno orientando le proprie attività. Prima di affrontare il tema del turismo sociale, sono stati analizzati i concetti di capitale sociale, economia sociale, beni relazionali necessari per potere meglio comprendere il ruolo che il turismo sociale ha per un’impresa sociale e come la prospettiva imprenditoriale e quella sociale possano avvicinarsi. In particolare si è tentato di comprendere a quali bisogni risponde il turismo sociale. Bisogni che rispondono ad una domanda da parte di persone che presentano problematiche e per questo escluse da molte delle attività sociali, come fare esperienza turistica. Bisogni che sono nuovi, attuali, critici, come è attuale il tema della gestione della diversità, poiché chiama in causa istanze identitarie, processi di categorizzazione di confronto sociale e competenze nella comunicazione interculturale. Gestire efficacemente le diversità si presenta come obiettivo denso di implicazioni sociali, psicologiche ed economiche. Vede coinvolte organizzazioni, istituzioni, comunità, in diversi contesti e momenti della vita collettiva. Uno dei settori in cui la gestione della diversità può trovare un campo d’applicazione rilevante è proprio il turismo. La sensibilità al valore delle differenze, intese anche come culturali, ambientali ed ecologiche, non può che contribuire allo sviluppo di esperienze turistiche 9


rispettose, eco e socio compatibili e, dunque positive in senso psicologico ed economico. Ed è per questo che è importante valorizzare le potenzialità dell’incontro fra persone in contesti turistici, dove la diversità può, più che in altre esperienze, essere codificata come in termini positivi. Le vacanze, ed i viaggi, rappresentano occasioni e momenti particolarmente adatti all’arricchimento della persona grazie alla scoperta di altri ambienti, culture e civiltà; all’esercizio di attività fisiche, artistiche, sportive o ludiche, all’incontro di persone al di là di qualsiasi distinzione, alle responsabilità assunte liberamente dagli stessi turisti. Solitamente si è abituati a pensare al sociale come qualcosa di circoscritto ai sistemi pubblici di welfare e a fare riferimento al tema della diversità in una accezione negativa e, spesso caritatevole. Forse per questo i termini che compongono il turismo sociale sembrano, in apparenza, distanti se non in contrapposizione. L’aspirazione di permettere a tutti di accedere al turismo sociale impegna, necessariamente, a lottare contro le ineguaglianze, contro l’esclusione, di tutti coloro che hanno una cultura diversa, che dispongono di minori mezzi finanziari, hanno capacità fisiche ridotte o vivono in un paese in via di sviluppo, come riportato negli articoli della Dichiarazione di Montreal “Per una visione umanistica e sociale del turismo”. Mettere al centro la persona. Questa è la filosofia e l’obiettivo che porta alle imprese un vantaggio competitivo e ricadute positive, non solo in termini sociali e psicologici ma anche in termini economici. Le attività turistiche possono così offrire l’opportunità di una crescita personale e di un rafforzamento dei legami sociali, possono trarre notevoli stimoli per migliorare l’offerta, accrescere le competenze degli operatori, promuovere esperienze di destagionalizzazione, aumentare la competitività complessiva del settore, sviluppare una logica di sistema. Ciò, tuttavia, come sarà approfondito nel testo, 10


non riguarda solo l’impresa turistica. Tali risposte possono provenire anche dal mondo non profit, che sta cercando di aderire ad una visione imprenditoriale per rispondere ai nuovi bisogni sociali e il turismo si sta rivelando un settore interessante di intervento. Il lavoro si articolerà in tre capitoli. Il primo presenta il tema del turismo sociale sia dal punto di vista degli interventi istituzionali e normativi a suo sostegno sia dal punto di vista definitorio, riportando anche i recenti contribuiti della letteratura internazionale. Il capitolo affronterà il tema del turismo sociale seguendo un approccio evolutivo della storia del turismo che ha portato alla affermazione del turismo sociale, alla stesura delle principali dichiarazioni a suo sostegno fino alla costituzione di associazioni internazionali per il suo sviluppo. Il secondo capitolo approfondisce il tema delle imprese sociali, attore interessato al turismo sociale come risposta a nuovi ed emergenti bisogni sociali. Le imprese sociali possono, attraverso attività di turismo sociale, fornire risposte a necessità sempre più articolate e complesse coniugando l’approccio imprenditoriale a quello sociale. Quest’ultimo aspetto introduce il tema della social innovation che caratterizzerà l’ultima parte del secondo capitolo. Il terzo capitolo riporta il caso di studio de La Semente esperienza che ha racchiuso in sé gli aspetti fondamentali trattati da questo elaborato: l’impresa sociale, il mercato, la mission sociale e il turismo. Attraverso una ricerca qualitativa, iniziata dall’esperienza del tirocinio e conclusa con un’intervista al direttore della struttura, si è cercato di comprendere le motivazioni che spingono una cooperativa sociale ad orientare la propria attività al turismo sociale cercando di comprendere progetti scelte ed attività.

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CAPITOLO1. EVOLUZIONE DEL TURISMO SOCIALE 1.1 Dal Gran tour al turismo di massa Il viaggio, forse, è uno dei fenomeni più antichi della storia, in quanto gli spostamenti sono sempre esistiti. Basti pensare ai popoli nomadi, ai pellegrinaggi che hanno caratterizzato l’intera storia dell’uomo e non solo il Medioevo. Queste differenti modalità di spostamento hanno un minimo comune denominatore, più o meno riconosciuto: la sete di conoscenza e sapere. L’attuale concetto di turismo, inteso come spostamento temporaneo di persone, dal loro luogo di residenza abituale verso la destinazione, per lo svolgimento di una specifica attività desiderata, è molto diverso da quella che, tra il Settecento e l’Ottocento, può essere considerata la prima vera forma di turismo: il Gran Tour. Una sorta di viaggio-studio, durante il quale i giovani rampolli delle famiglie nobili dovevano apprendere gli usi e costumi di altre terre e popolazioni, la letteratura e l’arte, al fine di poter fare il loro ingresso in società e diventare la futura classe dirigente. Il Gran Tour aveva una durata di circa tre anni e comprendeva diverse tappe: Parigi, poi un lungo soggiorno in Italia, che con la sua eredità della Roma antica e i suoi monumenti era per tutti costoro un’immagine femminile. E’ la Mater Tellus cantata da Lucrezio, la nutrice di un’esperienza spirituale e sensitiva unica: per questi motivi alla terra di Dante, Petrarca, Machiavelli, di Michelangelo e Raffaello, di Vivaldi e Farinelli, di Galileo e Aldovrandi è riservato un posto del tutto particolare nel Tour, soprattutto la Sicilia, che offriva la possibilità di studiare l’arte greca senza dover affrontare il viaggio in Grecia di dominio turco. L’ Ottocento, e i primi quindici anni del Novecento, sono, dunque, l’epoca del turismo aristocratico. Le scelte di viaggio, 12


e di villeggiatura delle case reali, delle loro corti e della vasta aristocrazia europea, determinano (all’interno di un sistema socialmente molto coeso) le sorti delle zone di villeggiatura e l’evoluzione dei generi turistici. L’ Ottocento è un secolo ancora povero rispetto al Novecento ma, in Occidente, è anche un secolo di rapida crescita della produzione, di diffusione dell’industria, di espansione dei commerci internazionali e di allargamento del potere di acquisto di crescenti fasce di popolazione (in Europa). La quantità di persone che può accedere al turismo resta minoritaria, ma tende a crescere rapidamente, come sarà possibile vedere nel prossimo paragrafo. Il sistema del turismo aristocratico ottocentesco è dunque un sistema coeso, in cui un ceto di punta, piuttosto ristretto, si orienta sulla base di una fitta comunicazione e di strategie comuni di scelte ed esclusioni. Scelte ed esclusioni tanto più importanti in quanto, a questi livelli, il turismo non è solo svago, ma è anche socializzazione, cioè un modo per incontrare i propri pari, scambiare opinioni, confermare o modificare le gerarchie sociali. E’ principalmente grazie ad esso che alla balneazione estiva del Mare del Nord si affianca e poi, in gran parte, si sostituisce la balneazione, dapprima invernale e poi estiva, del Mediterraneo. Sempre grazie ad esso si affermano il turismo climatico in montagna e successivamente gli sport invernali. E’ con la fine della prima Guerra Mondiale che il turismo aristocratico si interrompe. Infatti, entra in una crisi irreversibile, data la recessione economica e politica europea. Ma questi sono anche gli anni in cui giungono lentamente a maturazione le condizioni per un turismo molto più ampio, in grado di coinvolgere anche strati medio bassi e bassi della popolazione (dal sito unical.it). Il viaggio turistico oggi conserva gran parte dei significati 13


del Gran Tour. Tali significati consistono nella pulsione alla conoscenza di luoghi diversi, di differenti modi di vita, nella scoperta di sé stessi e delle proprie capacità, nel contributo essenziale nella formazione di una personalità cosmopolita. Se è possibile ritrovare tali significati, nel turismo odierno, è grazie ad un lungo e faticoso processo, che ha inizio con il concetto di tempo libero inteso come parte dell’esistenza quotidiana distinta, e contrapposta al tempo lavorativo, frutto della rivoluzione industriale, cioè della nascita della moderna fabbrica e dell’estendersi del lavoro salariato al posto del lavoro autonomo. Nelle società contadine, tradizionali, il confine tra lavoro e non lavoro era piuttosto mobile e incerto, e il tempo individuale era in gran parte scandito da ritmi comunitari, dai rituali, dalla stagionalità. Col lavoro d’ufficio e di fabbrica si vengono a costituire dei tempi molto più rigidi e ben delineati, determinati esclusivamente dalla volontà dell’imprenditore, oppure dagli accordi contrattuali e dalle leggi dello stato. Il tempo di lavoro è un tempo standardizzato e astratto. Sono cinque i fattori fondamentali che spiegano la crescita degli svaghi turistici. Innanzitutto la possibilità di fare vacanza e di svago per una maggioranza di popolazione dei paesi sviluppati (Europa, America del Nord, Asia, Oceania); l’aumento del tempo libero, come sarà dato modo di vedere meglio nel prossimo paragrafo. Ma anche i progressi tecnologici dei trasporti e delle infrastrutture di comunicazione, connessi a offerte e prezzi sempre più allettanti hanno avuto un impatto determinante sulla globalizzazione del fenomeno turistico; lo sviluppo di strutture di ospitalità ed infine il miglioramento delle condizioni sanitarie e della sicurezza è stato uno degli elementi essenziali per lo sviluppo turistico (Bizzarri-Querini 2006, Franceschelli-Morandi 2007). Nel prossimo paragrafo si vogliono attraversare proprio i fattori che hanno portato 14


al turismo di massa, in particolare quello del tempo libero in quanto conquista avvenuta attraverso diverse battaglie politiche e sociali.

1.2 Verso il tempo libero Per gran parte delle donne e degli uomini europei, o quantomeno per quelli che traevano la propria sussistenza grazie al lavoro salariato, l’ampliamento del tempo libero è stata una conquista. Agli inizi della rivoluzione industriale nelle fabbriche si lavorava in media 12 ore al giorno per 300 giorni l’anno (esclusa cioè la domenica, ma molti lavoravano anche di domenica). Questo significava 3.500 ore lavorative l’anno, cui andavano aggiunte circa 3.650 ore per i bisogni fondamentali (mangiare e dormire, cioè 10 ore per 365 giorni) per cui rimanevano appena 1.610 ore circa da dedicare, almeno potenzialmente, agli svaghi, ai momenti collettivi di varia natura. Insomma solo il 18% circa di tutto il tempo disponibile poteva almeno in teoria essere utilizzato per lo svago. Oggi in media il tempo di lavoro medio si è quasi dimezzato, riducendosi a 1.800 ore annue, per cui il tempo libero disponibile è salito al 38% della propria esistenza lavorativa. A ciò occorre aggiungere che un tempo si viveva meno a lungo e che si entrava al lavoro molto più giovani e se ne usciva più tardi, per cui oggi i lavoratori dispongono di una quantità di tempo libero notevolmente più alta dei loro antenati. Alla base dell’ampliamento del tempo libero: i sindacati e la crescita del reddito. Infatti a contribuire ci sono due fenomeni in particolare: 15


· Le lotte sindacali, che hanno ottenuto da un lato una progressiva diminuzione dell’orario lavorativo giornaliero e settimanale e dall’altro le ferie retribuite. · L’aumento dei salari e degli stipendi, che hanno considerevolmente ridotto il fenomeno della pluriattività, cioè della necessità di svolgere delle attività lavorative aggiuntive rispetto a quella principale a causa dell’insufficienza del salario a coprire le spese di sopravvivenza. Tale diritto è stato il naturale riconoscimento ufficiale delle ferie retribuite per i lavoratori, raggiunto con la Convenzione Internazionale di Ginevra, il 24 giugno del 1936 e introdotto, nei Paesi Europei, dalle politiche sociali degli anni successivi. Le ferie retribuite sono un’altra conquista ottenuta dopo decenni di battaglie (inizialmente introdotte solo per alcune categorie di lavoratori, e per periodi molto brevi, successivamente per strati sempre più vasti e periodi sempre più lunghi) divenendo un diritto universale. In sostanza, l’espandersi del turismo di massa è il risultato delle lotte sindacali per il miglioramento della vita dei lavoratori, il reddito disponibile grazie alle ferie retribuite e la rivendicazione, quindi, di nuove aspirazioni quali il diritto al riposo e alla vacanza, nell’ultimo scorcio dell’Ottocento. Negli ultimi decenni, centinaia di milioni di persone hanno raggiunto, in quasi tutti i continenti, livelli di reddito e condizioni di lavoro che consentono viaggi e vacanze. La possibilità di viaggiare è un elemento fondamentale del progresso, inteso come progressiva liberazione delle singole persone. La caratteristica comune dell’esigenza di viaggiare è la ricerca della sublimazione dei valori preminenti nella residenza abituale. Se la caratteristica prevalente nell’attuale mondo globalizzato è il consumismo, il viaggiare è uno strumento per acquisire, con modalità più intense e raffinate, 16


il piacere di consumare quegli stessi beni e servizi che, nel luogo di residenza, sono limitati o incompleti. Tutti questi beni e servizi consumati no-problem sono inclusi nel pacchetto e rappresentano i valori che sollecitano il turismo di massa. Per parlare di Diritto alla vacanza occorre aspettare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo approvata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Essa sostiene che ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e residenza entro i confini di ogni Stato e che ha il diritto di lasciare qualsiasi paese e di ritornarvi. Inoltre ogni individuo ha diritto al riposo e allo svago, ad un orario lavorativo limitato ed a congedi periodici remunerati. Sulla base di tale Dichiarazione iniziano però, anche, le prime teorizzazioni del turismo sociale (Bizzarri-Querini 2006, Franceschelli- Morandi 2007, Magistrali 2008).

1.3 Il Turismo Sociale La nascita del turismo sociale non è chiara. Secondo Dall’Ara si ritiene che risalga al 1841, quando Thomas Cook organizzò il primo viaggio in treno ad un costo agevolato da Loughborrough a Leicester, per portare un gruppo di persone al meeting della Temperance Society. Tale viaggio poteva avere valenza sociale, in quanto legato a motivazioni socio-pedagogico, visto che era inserito all’interno di un programma promosso dalla società per la lotta all’alcolismo. Marc Boyer, invece, rimanda la nascita del turismo sociale al 1936, quando i lavoratori riuscirono ad ottenere, nella maggior parte dei paesi europei, le ferie retribuite (Dall’Ara 2005). Dall’Ara (2005) riporta un’ulteriore data di nascita del turismo 17


sociale: il 1939. Nato in Svizzera con la creazione della Cassa viaggi e vacanze su idea del professore Hunzicker. Tale strumento permetteva l’accesso alle vacanze, ad alle attività turistiche, alle categorie di operai, che precedentemente erano rimasti esclusi, incentivando l’uso delle strutture nei periodi di bassa stagione (Dall’Ara e Montanari 2005, pp. 22-24). In realtà il turismo sociale ha una storia ancora adesso in evoluzione, e per capire il suo sviluppo risulta più utile ripercorrere le date salienti che costituiscono il turismo sociale, piuttosto che una data di nascita, e quali siano i concetti attribuiti al turismo sociale nel corso del tempo. Le tappe principali che caratterizzano il turismo sociale sono le seguenti: il 1936, con la Convenzione Internazionale di Ginevra, i lavoratori ottengono il diritto alle ferie retribuite. Nello stesso anno, per la prima volta, si parla di turismo sociale con l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro). Nel 1948 la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani riconosce che “ognuno ha il diritto al riposo e allo svago, compresa una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e vacanze periodiche”. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, grazie anche alle sovvenzioni per la ricostruzione delle infrastrutture e per il sostegno alle famiglie, il turismo sociale viene identificato con le attività turistiche promosse da associazioni senza scopo di lucro, movimenti, comitati, sindacati che operano a favore dei ceti popolari (Dall’Ara 2005). A partire dagli anni ’50 il turismo sociale ottiene il riconoscimento internazionale. · 1956, si svolge a Berna il Primo Congresso Internazionale del Turismo Sociale; · 1958, viene approvata in Italia la prima normativa che disciplina i complessi ricettivi complementari a carattere 18


turistico sociale (es. le case per ferie: complessi ricettivi stabili sommariamente attrezzati per ospitare, in periodi determinati, i dipendenti di amministrazioni o aziende pubbliche o private e i soci di associazioni ed organizzazioni aventi esclusivo fine di assistenza sociale). · 1963, nel corso del IV Congresso Internazionale di Turismo Sociale nasce il BITS (International Bureau of Social Tourism); · 1972, il BITS formula la Carta di Vienna che, nell’art.1, definisce il turismo un diritto inalienabile dell’individuo, nell’art.8 sottolinea la responsabilità dello Stato cui spetta “una politica sociale del turismo” e nell’art.11 pone come problema prioritario quello dello scaglionamento delle ferie e delle vacanze scolastiche; · 1980, L’Organizzazione Mondiale del turismo, nella Dichiarazione di Manila, interviene impegnandosi espressamente nel sostegno e nella promozione del turismo sociale (De Salvo). · 1996, viene adottata la Dichiarazione di Montreal che riconosce il turismo sociale (creatore di società, fattore di crescita economica, attore dell’assetto territoriale e dello sviluppo locale, partner per programmi di sviluppo mondiale); · 1999, l’Organizzazione Mondiale del Turismo adotta il “Codice Etico Mondiale per il Turismo” che sottolinea le potenzialità del turismo in termini di socializzazione, incontro ed amicizia tra i popoli e le culture, comprensione universale e rispetto reciproco; · 2006 , il Comitato Economico e Sociale Europeo esprime un parere sul turismo sociale identificandolo con “quelle 19


attività turistiche che realmente assicurano alla persona il pieno esercizio del diritto alla vacanza nel rispetto dei valori di sostenibilità, accessibilità e solidarietà”; nello stesso anno, ad Aubagne, il BITS nel riaffermare l’importanza della Dichiarazione di Montreal, in un apposito Addendum (definito Addendum di Aubagne) verso un turismo di sviluppo e di solidarietà, amplia la prospettiva di approccio al turismo sociale per corrispondere coerentemente ai valori sociali, economici e culturali di una società in evoluzione, che vengono presi come riferimento dagli attori del turismo. L’Addendum di Aubagne mette l’accento sui temi della responsabilità e sulla solidarietà che devono riguardare sia gli attori pubblici, privati e dell’economia sociale coinvolti nella gestione, organizzazione del turismo sociale, ma anche gli stessi fruitori dell’esperienza turistica (De Salvo); · 2010 , il BITS diventa OITS “Organizzazione Internazionale di Turismo Sociale” (Dall’Ara 2005, Magliulo 2007, De Salvo). Il turismo sociale nasce quindi da una rivendicazione etica, da uno scontro sociale e politico che trova la sua legittimità nel diritto di ogni individuo di disporre di tempo libero, per sviluppare la propria personalità e per garantire la propria integrazione sociale: un diritto generale allo sviluppo della persona. Il diritto al turismo è una espressione concreta di tale diritto, ma la disponibilità di tempo, che caratterizza il turismo, non è condizione sufficiente per usufruirne. Tale disponibilità è spesso vincolata dalla possibilità, delle singole persone, di potere effettuare precise scelte di consumo, dalla loro mobilità e dalle condizioni economiche, sociali e culturali di vita. La volontà di democratizzare, universalizzare e garantire la reale accessibilità al turismo a tutti è il fondamento principale del turismo sociale (De Salvo). 20


Inizialmente, tuttavia, sono diversi i concetti attribuiti al termine turismo sociale, che non indicava una forma particolare di turismo ma, a seconda dei diversi autori e contesti, indicava la partecipazione delle classi meno abbienti al fenomeno turistico e le misure prese per assicurare quella partecipazione, e/o il turismo proposto da organizzazioni che tendevano a considerarlo alla stregua del servizio sociale. In ogni caso, era implicito lo sforzo, realizzato da enti pubblici e/o privati, per far sì che anche i ceti più svantaggiati potessero fare turismo. Nel 1961, a Saint Vincent, in occasione di un congresso internazionale sul turismo, viene adottata una definizione di turismo sociale, che si focalizzava in particolare sul termine sociale: “un appellativo che non sta ad indicare un certo tipo di turista, bensì vuole significare l’attività sociale che lo Stato promuove per attivare il fenomeno turistico anche là dove, per deficienza di varia natura, esso non sia in grado di svilupparsi da solo”. Hunzicker, e di seguito il Bureau International du Tourisme Social (BITS), definiscono il turismo sociale “il complesso delle relazioni e dei fenomeni che scaturiscono dalla partecipazione al movimento turistico degli strati meno abbienti della popolazione, ai quali tale partecipazione è resa possibile o agevolata da provvedimenti particolari” (Dall’Ara 2005). Haulot (1982) rafforza questa definizione affermando che “la partecipazione di gruppi svantaggiati alle attività turistiche, che determina il fenomeno del turismo sociale, è possibile grazie a facilitazioni derivanti da apposite misure finanziare e sociali” (De Salvo). Ancora, dalla relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull’anno europeo del turismo, del 14 maggio 1991, si legge che: “il turismo sociale può essere definito come un turismo a tutti quei gruppi di persone che, per varie ragioni, non possono prendere vacanze nell’accezione generale del termine, cioè le persone con handicap, i 21


pensionati, le persone anziane, nonché i giovani senza sufficienti risorse finanziarie”. Da tale documento emerge il significato di turismo assistito (Dall’Ara 2005). Dall’Ara (2005) giunge ad una definizione di turismo sociale sulla base di tre elementi: · i soggetti che lo praticano, persone che per motivi diversi, economici, fisici, culturali, politici, ma anche religiosi, non vedono garantito il diritto “inalienabile” alle vacanze; · i soggetti che lo organizzano, che non devono avere di lucro, o che almeno devono porsi come traguardo esplicito quello dell’accessibilità economica alla pratica turistica del maggior numero di persone; · un contenuto-educativo, esperienziale, relazionale, solidale, sociale fortemente caratterizzante. Sotto la denominazione di turismo sociale viene indicato quel tipo di turismo che mira soprattutto all’approfondimento delle relazioni umane, al bisogno di socialità accompagnato alla esigenza degli enti che lo organizzano, di creare occasioni di arricchimento culturale e di promozione delle risorse del territorio. Un turismo, quindi, volto più all’aspetto umano che al puro prestigio economico del luogo visitato, che pone attenzione all’inclusione sociale e alla non discriminazione di chi è portatore di bisogni speciali (Dall’Ara 2005). Il turismo sociale promuove l’accesso del maggior numero di persone alla vacanza, senza distinzione di età, appartenenza culturale, disponibilità economica e capacità fisica. Fondato sui valori della socializzazione, della crescita della persona e di arricchimento culturale, quindi, volto a favorire l’incontro e la socializzazione. Fare turismo sociale significa rispondere ad un bisogno di socialità, una scelta di valore da parte degli 22


enti che lo organizzano, impegnati in questo modo a creare occasioni di arricchimento culturale e promozione del territorio (Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Roma, 2009)1. Il turismo sociale può essere dunque inteso: · come diritto e come servizio sociale, accessibile fisicamente ed economicamente anche alle persone che per motivi diversi non possono esercitare il diritto inalienabile della vacanza; · come turismo realizzato da gruppi e associazioni la cui motivazione principale prescinde dalle caratteristiche della vacanza ma soddisfa il bisogno di socializzare e vivere momenti di incontro, di relazione e scambio di esperienze reciproche; · come conoscenza di culture e fonte di accrescimento della persona, come esperienza, “come momento di affermazione e recupero della propria personalità in tempi e spazi diversi”(Dall’Ara – Montanari 2005, Magistrali 2008). Occorre considerare che tale modello turistico si scontra con le teorie che sono alla base del fenomeno turistico: il collegamento tra la disponibilità di reddito e l’agire della domanda, ovvero un turismo che obbliga considerare l’uomo turista in quanto soggetto, persona e non homo economicus. Anche per questo, il turismo sociale, si trova ad essere considerato pratica assistenziale, privandolo così del suo valore e beneficio per l’intero territorio e comunità (come sarà dato modo di vedere nel secondo capitolo). Inoltre, occorre un’altra precisazione quando si parla di turismo sociale: la differenza di concetto con il turismo sostenibile. Questa include anche la definizione di turismo 1

“Verso un turismo sociale e sostenibile” indagine sulle Organizzazioni non profit che operano nel settore.

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sociale e pone l’attenzione sulla ricerca di un’interazione più equa tra industria turistica, comunità locale e viaggiatori (Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Roma, 2009). Possiamo affermare che, pur essendo due concetti diversi, il turismo sociale integra in sé i principi di sostenibilità, poiché si fonda sull’accesso alla vacanza da parte di ampie fasce di persone, sia in termini economici che sociali. Il turismo sociale nasce quindi come esigenza ed istanza solidale volta a favorire l’accesso al turismo a quelle classi sociali economicamente deboli ed emarginate, ma si è evoluto divenendo nel tempo una chiave di progresso che ha messo l’uomo nella condizione di realizzarsi (Tonini, 2007- De Salvo).

1.4 Il contributo della letteratura internazionale nella definizione del turismo sociale Da quanto elaborato fin qui, il turismo sociale, potrebbe essere considerato solo come pratica assistenziale ma i più recenti contributi hanno sottolineato l’importante ruolo che esso ha nella costruzione del benessere soggettivo dell’individuo. Il turismo sociale si inserisce infatti nel recente ed intenso dibattito sul tema del benessere e della qualità della vita. Negli ultimi decenni si è affermata una nuova branca della economia (la happiness economics), che ha visto la partecipazione di sociologi (Baumann 2002, Venhoven 1993) e di psicologi (Tversky e Kahneman 1979; Kanheman 1999 e 2000, Argyle 1987) che hanno concentrato l’attenzione sulla dimensione del benessere e della qualità della vita (QOL), sottolineando l’importanza di identificare e quantificare anche gli indicatori soggettivi del benessere, analizzandolo e valutandolo, non solo attraverso indicatori oggettivi, quali 24


la ricchezza, la salute e lo status sociale, ma soprattutto con la percezione soggettiva del benessere. Non è certo facile dare una definizione di benessere. Si tratta di un termine che è stato riempito di significati diversi e, tuttora, in evoluzione. Esso è caratterizzato da una relazione, debole, tra misure oggettive e soggettive. Infatti, se da un lato affonda le sue radici nella possibilità di uso di beni materiali, dall’altro emerge il versante soggettivo, che va dal livello corporale a quello mentale. E’ la ricerca di uno stato olistico e integrato, da perseguire con varie strategie di impegno sia fisico che mentale, collegando con il concetto di stile di vita. Quindi è necessario distinguere il benessere dalla ricchezza poiché, quest’ultima, è di tipo materiale e individuale, mentre l’altro ha una componente relazionale e sociale, che non può essere ignorata (Domenico Secondulfo, 2013)2. Il benessere è stato spesso reso operativo come la valutazione della soddisfazione della qualità della vita di un individuo e/o la qualità degli aspetti della vita. La soddisfazione può essere definita come il grado in cui il singolo giudica complessivamente favorevole la qualità della propria vita. Concetti come benessere, soddisfazione della vita, felicità vengono usati spesso come sinonimi. Infatti Veenhoven usa il termine felicità nel senso di soddisfazione della vita, descrivendola come “il grado in cui un individuo giudica favorevolmente la qualità complessiva della sua vita come un tutto” e sottolinea, inoltre, i due aspetti di questa valutazione, quello affettivo e quello cognitivo. Ulteriore sinonimo è la Qualità della vita (QoL), la percezione soggettiva che un individuo ha della propria posizione nella vita, nel contesto di una cultura e di un insieme di valori nei quali egli vive, anche in relazione ai propri obiettivi, 2

“Nuovo dizionario di servizio sociale”, 2013.

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aspettative e preoccupazioni. In modo pragmatico, la QoL, può essere descritta da una serie di aree o dimensioni dell’esperienza umana che riguardano non solo le condizioni fisiche ed i sintomi, ma anche la capacità di un individuo di funzionare dal punto di vista fisico, sociale, psicologico e di trarre soddisfazione da quanto fa, in rapporto sia alle proprie aspettative sia alla propria capacità di realizzare ciò che desidera (OMS 1948). In questo nuovo contesto ulteriori studi hanno esplorato come le esperienze turistiche interagiscano con i diversi aspetti del benessere. E’ emerso che l’effettuare una vacanza è significativamente collegato all’aumento del benessere soggettivo o della qualità della vita (Dolnicar et al., 2012; Dolnicar, Lazarevski, and Yanamandram, 2011; Mc Cabe, Joldersma and Li, 2010; Gilbert and Abdullah 2004; McConkey and Adams 2000; Hazel 2005; Neal et al. 2004), ed è considerato come un’esperienza globale a lungo termine che determina atteggiamenti positivi nei confronti della vita (Sirgy 2010; Diener 2009). Il turismo sociale diventa così “tourism with an added moral value, of which the primary objective is to benefit the host or the visitor in the tourism exchange” (Minnaert, Maitland, e Miller, 2011), che ha spinto molti governi a tutelare i diritti dei soggetti più vulnerabili e svantaggiati della società. Rispetto a tali soggetti, a livello internazionale, vengono approfondite le relazioni tra turismo sociale, qualità della vita e benessere soggettivo. A questo riferimento Dann (2012) ritiene che le diverse categorie di persone, socialmente svantaggiate, possono considerare il turismo positivamente, individuando, nella sua pratica, una possibilità temporanea per alleviare le proprie condizioni di vita non positive, e/o un diritto umano fondamentale, contribuendo così ad un 26


miglioramento complessivo della propria qualità di vita. Gli effetti positivi delle attività realizzate durante il tempo libero sono ampiamente documentate (Adams et al.2010, Godbey, 1999, 2009; Kelley, Gillespie 2009; Iwasaki et al. 2005; Iwasaki 2001, 2002; Iso-Ahola and Park, 1995) e l’effettuare una vacanza è significativamente collegato all’aumento del benessere soggettivo o della qualità della vita (Dolnicar et al., 2012; Dolnicar, Lazarevski, and Yanamandram, 2011; Mc Cabe, Joldersma and Li, 2010; Gilbert and Abdullah 2004; McConkey and Adams 2000; Hazel 2005; Neal et al. 2004), ed è considerato come un’esperienza globale a lungo termine che determina atteggiamenti positivi nei confronti della vita (Sirgy 2010; Diener 2009). Come sarà dato modo di vedere, i benefici della partecipazione hanno spinto molti governi a promuovere l’accesso ai viaggi di piacere, come le attività sociali ed economiche positive. Tuttavia, le disposizioni del governo per garantire la parità di accesso al turismo, che vanno dal tacito sostegno agli investimenti diretti nella fornitura di servizi in forma di turismo sociale, non sono universali (European 2001)3. Ciò che si può evincere è che la soddisfazione e il benessere individuale comprendono un percorso di sviluppo verso l’integrazione con l’ambiente circostante. L’individuo percepisce una capacità di crescita personale, delle proprie conoscenze e del proprio potenziale. Questo è l’aspetto dello sviluppo che interessa il turismo sociale. Il turismo sociale può avere implicazioni positive per il resto della società, ad esempio, tramite un cambiamento dei comportamenti dei gruppi più svantaggiati che a loro volta portano a benefici sociali netti, un intervento quindi non solo in termini di 3 Citato nell’articolo “Who needs a holiday?Evaluating social tourism” Scott McCabe, Nottingham University Business School, United Kingdom, 2009.

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carità ma un buon investimento, una politica sociale per tutti i cittadini (Minnaert, Maitland, Miller 2006).

1.5 Quadro istituzionale: la Dichiarazione Montreal o Nuovo Manifesto Internazionale I congressi di Berna nel 1956, di Vienna nel 1959 e di Milano nel 1962, segnano la storia del turismo sociale. L’attenzione scaturita da questi importanti eventi hanno contribuito alla nascita del Bureau International du Tourisme Social (BITS) che, nella Carta di Vienna del 1972, definisce il turismo come “diritto inalienabile dell’individuo ed esorta lo Stato a promuovere una politica sociale del turismo”. L’Organizzazione Mondiale del turismo s’interessa, fin dalla sua istituzione, al tema del turismo sociale, al fine di promuoverne le attività a livello internazionale e nazionale. Nata con l’obiettivo di incentivare e promuovere il turismo quale strumento di comprensione e rispetto reciproco tra i popoli, mezzo insostituibile di educazione personale e fattore di sviluppo sostenibile, sottolinea, nella Dichiarazione di Manila del 1980, la necessità, da parte delle società, di creare le condizioni concrete che permettano l’accesso alla vacanza a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione. Nell’Ottobre del 1999, l’organizzazione adotta il Codice Mondiale dell’Etica del turismo che, all’Art. 7, riconosce il “diritto al turismo” esteso a tutta la popolazione: 1. La possibilità di accedere direttamente e personalmente alla scoperta ed al godimento delle ricchezze del pianeta, rappresenta un diritto di cui tutti gli abitanti del mondo devono poter usufruire in modo paritario; la sempre più estesa partecipazione al turismo nazionale ed internazionale sarà considerata come una delle migliori espressioni possibili 28


della crescita continua del tempo libero e non dovrà essere ostacolata in alcun modo. 2. Il diritto di tutti al turismo sarà considerato come il corollario del diritto al riposo ed al divertimento, in modo particolare del diritto ad una limitazione ragionevole delle ore di lavoro e a congedi periodici retribuiti, ai sensi dell’Articolo 24 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dell’Articolo 7.d del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali4. 3. Il turismo sociale, ed in particolare quello associativo, che facilita un ampio accesso allo svago, ai viaggi ed alle vacanze, sarà promosso con il sostegno delle autorità pubbliche. 4. Il turismo delle famiglie, dei giovani e degli studenti, delle persone anziane e dei disabili sarà incoraggiato e facilitato. Con la Dichiarazione di Montreal, “Per una visione umanistica e sociale del turismo”, adottata dal BITS nell’ambito dell’Assemblea Generale del 1996 (una data che, forse per coincidenza, richiama quel traguardo raggiunto nel 1936 con la Convenzione Internazionale di Ginevra, cioè il diritto alle ferie retribuite) i contenuti del turismo sociale vengono riattualizzati secondo una nuova prospettiva di 4

Art. 7 Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo di godere di giuste e favorevoli condizioni di lavoro, le quali garantiscano in particolare: a) la remunerazione che assicuri a tutti i lavoratori un equo salario per un lavoro di eguale valore, senza distinzione di alcun genere; in particolare devono essere garantite alle donne condizioni di lavoro non inferiori a quelle godute dagli uomini, con una eguale remunerazione per un eguale lavoro; un’esistenza decorosa per essi e per le loro famiglie in conformità delle disposizioni del presente Patto; b) la sicurezza e l’igiene del lavoro; c) la possibilità uguale per tutti di essere promossi, nel rispettivo lavoro, alla categoria superiore appropriata, senza altra considerazione che non sia quella dell’anzianità di servizio e delle attitudini personali; d) il riposo, gli svaghi, una ragionevole limitazione delle ore di lavoro, e le ferie periodiche retribuite, nonché la remunerazione per i giorni festivi.

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sviluppo. Con essa, il turismo sociale, apre a nuovi campi di applicazione cessando di essere “quell’insieme di rapporti e di fenomeni risultanti dalla partecipazione delle categorie sociali economicamente deboli al turismo”, così come definito all’interno dello statuto del BITS. Infatti, la Dichiarazione, ridefinisce il turismo sociale come l’insieme di rapporti e di fenomeni risultanti dalla partecipazione delle categorie sociali economicamente deboli del turismo. Individuandone la sostanza nell’insieme delle attività umane finalizzate alla crescita culturale, civile e sociale dell’uomo, in una visione dello sviluppo socio-economico rispettoso dell’ambiente e delle comunità locali. Il Documento si compone di 15 articoli che si sviluppano su quattro assi principali, che definiscono il turismo sociale come: · creatore di società, poiché le vacanze e i viaggi sono occasione di arricchimento delle persone attraverso la scoperta di culture diverse e l’incontro con altre persone incentivando la socializzazione; · fattore di crescita economica, poiché genera un flusso di persone e investimenti che contribuiscono allo sviluppo sociale ed economico della comunità locale; · attore dell’assetto territoriale e dello sviluppo locale, poiché il turismo ha un impatto sul territorio che può essere positivo o negativo occorrono comportamenti responsabili rispettando l’identità del territorio; · partner nei programmi di sviluppo mondiale, incentivare il turismo verso territori dimenticati o in via di sviluppo per portare benefici alle comunità locali. 30


Gli Articoli 1 e 2 richiamano la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo affermando che l’individuo ha diritto al riposo e allo svago; il turismo sociale ha, quindi, come principale fine, quello di ampliare, al maggior numero di persone, l’accesso al turismo (Art. 1) finalizzando ogni azione di turismo alla completa realizzazione del singolo come persona e come cittadino, come sancito nell’art. 2 (Dichiarazione di Montreal del 1996). Il turismo sociale si intende creatore di società (Art. 3 e 4) in quanto lotta contro i limiti culturali, fisici o economici, che impediscono la fruizione del diritto alla vacanza e propone iniziative integrate a livello globale; esso si pone pertanto come promotore di coesione sociale. Alla luce di ciò è possibile affermare che, i nuovi orizzonti, non vanno individuati nel fare turismo, quanto nell’offrire ai giovani, anziani, famiglie e disabili l’opportunità di vivere il turismo come esperienza autentica e globale che contribuisca allo sviluppo integrale della persona. Esperienza, infatti, vuol dire attività voluta, ricercata, programmata per crescere in termini culturali e sociali. Il turismo sociale diviene fattore di crescita economica (Art. 5, 6 e 7) per il flusso incessante di persone e di investimenti, che è in grado di muovere, per il sostegno all’economia sociale e solidale e l’affermazione di un’equa distribuzione dei proventi del settore a beneficio di tutta la comunità locale. La Dichiarazione definiva il turismo sociale come attore dell’assetto territoriale e dello sviluppo locale (Art. 8) collegando lo sviluppo del turismo al rispetto dell’ambiente e delle identità delle popolazioni locali. Per questi due assi del Documento, che definiscono il turismo sociale, si può affrontare un discorso comune. Infatti, 31


il turismo sociale, si riconosce nell’approccio di un turismo durevole e di uno sviluppo sostenibile. Proprio nell’articolo 8 si può rilevare come questo principio sia punto di riferimento del turismo sociale, suggerendo di conciliare lo sviluppo del turismo, la tutela dell’ambiente e il rispetto dell’identità delle popolazioni locali. Generare, quindi, benefici economici, culturali e sociali per le popolazioni locali. Il turismo si intende come strumento di valorizzazione del territorio, contro lo sfruttamento della popolazione e lo spreco delle risorse naturali, come strumento di sensibilizzazione ed educazione del rispetto dell’ambiente (art.10). Per questo motivo i rappresentanti del turismo sociale si impegnano a elaborare programmi di sviluppo, istituendo strutture legali e finanziarie. L’Art. 12 definisce la cooperazione e la collaborazione tra governi, collettività territoriali, organismi sociali, sindacati, interlocutori finanziari, movimenti familiari, giovanili, culturali, sportivi, ecologisti, professionisti dell’industria del turismo e in particolare gli operatori di turismo sociale, come politiche fondamentali per una gestione adeguata dello sviluppo turistico a livello locale. Gli ultimi tre articoli esplicano i criteri che identificano il turismo sociale: l’art. 13 afferma che “Appartengono alla cerchia del turismo sociale le imprese turistiche che perseguono l’accessibilità al turismo per il maggior numero di persone, distinguendosi da quelle che ricercano il solo profitto. Il termine sociale rimanda così ai concetti di solidarietà, fratellanza e speranza per quanti nel mondo attendono ancor oggi di poter usufruire e godere del tempo libero”. Con l’art. 14 si definiscono le condizioni di tale appartenenza: “1) l’integrazione degli obiettivi umanistici, pedagogici e culturali del rispetto e dell’affermazione 32


della persona; 2) l’assenza di ogni tipo di discriminazione, razziale, culturale, religiosa, politica, filosofica e sociale nell’identificazione del pubblico a cui si rivolge l’attività di tali imprese; 3) il valore aggiunto non economico compreso nel prodotto; 4) il rispetto dell’ambiente nello svolgimento di ogni attività; 5) la compatibilità delle attività e dei prezzi con gli obiettivi sociali perseguiti e l’investimento delle eccedenze di esercizio nel miglioramento dei servizi offerti al pubblico; 6) la conformità della gestione del personale alla legislazione sociale, nel perseguimento delle finalità di valorizzazione e di formazione permanente”. Infine l’art. 15 afferma che: “È l’azione svolta al servizio degli scopi sopra definiti a legittimare gli operatori di turismo sociale e non lo statuto giuridico, giacchè questo varia con l’evoluzione delle legislazioni”.

1.6 Gli interventi in tema di turismo sociale a livello europeo La Comunità Europea si è occupata del tema del turismo sociale al fine di incoraggiarlo e promuoverlo. Il Consiglio Europeo ha dichiarato il 1990 Anno Europeo del turismo, la cui funzione è stata quella di incoraggiare forme alternative di turismo, attraverso una migliore distribuzione stagionale e spaziale delle vacanze, e con maggiore rispetto dell’ambiente. Il dibattito, relativo all’Anno Europeo del turismo, evidenziò la necessità di intervenire nel campo del turismo sociale con azioni pensate, in via prioritaria, per le famiglie con minori ed economicamente svantaggiate, per gli anziani pensionati che vivono da soli e per i disabili. In Europa, il sostegno attivo al turismo sociale, può essere fatto risalire all’azione sia dei movimenti cristiani che laici, 33


ma anche all’impulso delle prime associazioni giovanili e delle prime associazioni dopolavoristiche, all’inizio del secolo scorso. Tuttavia esistono differenti dimensioni politiche, culturali ed ideologiche che portano ad un diverso ruolo dello Stato nella fornitura di servizi turistici, che comporta, di conseguenza, differenti opportunità di accesso al turismo stesso. Atteggiamenti culturali ed ideologici differenti possono influenzare il supporto politico al turismo sociale. In particolare, nel contesto europeo il riferimento al turismo sociale è più presente in alcuni paesi, come Francia, Spagna, Portogallo ed Italia, dove sono state formulate ed adottate specifiche politiche nazionali, come la previsione di voucher, buoni vacanza o la costituzione di partenariati pubblicoprivati, in cui è contemplato un investimento con finanziamenti pubblici. Il turismo sociale è, invece, meno presente in Gran Bretagna, Germania, Danimarca e generalmente nei paesi del Nord Europa, dove tradizionalmente non fa parte della politica pubblica e l’attenzione a questo settore avviene attraverso le iniziative di associazioni e fondazioni private, nonché di organismi caritativi (Mc Cabe et al., 2011). In queste nazioni il sostegno attivo, al turismo sociale, deriva prevalentemente dal ruolo attivo dell’associazionismo no profit che, nel tempo, ha sviluppato pratiche associative che hanno favorito la partecipazione e la promozione sociale (De Salvo). Tra le istituzioni comunitarie europee, il Consiglio Economico e Sociale ha mostrato la sua attenzione per il settore nel Parere del 23 gennaio 2003 denominato “Un turismo accessibile a tutti e socialmente sostenibile”. Nel documento, il turismo, è definito come un bene sociale che deve essere alla portata di tutti i cittadini senza che nessun gruppo possa esserne escluso, indipendentemente dalle condizioni personali, sociali, economiche o di qualsivoglia altro tipo, 34


ma non solo. L’attenzione della Comunità Europea è stata focalizzata anche sugli aspetti del turismo sociale, legati al raggiungimento degli obiettivi di piena occupazione e di sviluppo sostenibile. Questo può avere un impatto positivo sull’occupazione e un ruolo indiscutibile nello sviluppo regionale, grazie alla mitigazione della stagionalità turistica e all’uso più razionale delle infrastrutture che esso comporta, come è stato sottolineato nel corso del Forum Europeo di turismo sociale tenutosi a Budapest nel 2005. In questa occasione, anche il Presidente del BITS (Bureau International du Tourisme Social) ha esplicitato la necessità di analizzare il fenomeno (turismo sociale) attraverso un incontro istituzionale a livello internazionale. Ciò ha contribuito alla realizzazione della Conferenza Tourism for all di Bruxelles, di notevole importanza, in quanto rappresenta la prima riunione tenutasi presso la Commissione Europea in materia di turismo sociale. In questo contesto, la politica europea nel settore è andata, negli anni, a integrarsi con quella volta ad assicurare la sostenibilità del turismo, promuovendo il turismo sociale con il duplice obiettivo di facilitare l’accesso alla vacanza, la qualità di vita delle persone e di mitigare gli effetti negativi della stagionalità del settore sull’occupazione e sull’ambiente. Di notevole rilievo risulta anche il Parere del Comitato Sociale ed Economico Europeo, del 14 settembre 2006, sul fenomeno del turismo sociale in Europa. Un lavoro per le future iniziative europee che mette a fuoco questo rilevante fenomeno all’interno delle linee di qualificazione dell’offerta turistica nel nostro continente. Nella Comunicazione della Commissione “Orientamenti di base per la sostenibilità del turismo”, il legame fra sostenibilità e turismo sociale appare evidente: “Le sfide per un turismo europeo Sostenibile sono legate sia ai modelli di consumo, in particolare la distribuzione 35


stagionale del turismo e i viaggi a fini turistici, sia ai suoi modelli di produzione, ossia la catena dell’offerta e le destinazioni turistiche. Lo sviluppo Sostenibile del turismo è legato alla crescita della qualità piuttosto che della quantità (…) la sostenibilità del turismo tocca aspetti particolarmente importanti come le attività turistiche competitive e socialmente responsabili, la possibilità per tutti i cittadini di partecipare al turismo”. Alle nuove forme di promozione turistiche si affidano compiti importanti quali la salvaguardia dell’ambiente, la promozione dell’occupazione (in un quadro di rispetto dei diritti), la valorizzazione dei patrimoni naturali e culturali, la promozione della pace e del dialogo tra i popoli, l’accessibilità per tutti, il contributo allo sviluppo dei paesi meno avanzati dal punto di vista economico (Magistrali 2008, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Roma, 2009)5. Un’attenzione particolare è rivolta agli estremi del segmento, rappresentato da una parte dal “turismo per la terza età all’interno dell’Unione Europea” che contribuisca “a migliorare la qualità di vita degli anziani, a creare posti di lavoro e a stimolare la domanda”, denominato Ulisses, mente in occasione del Forum Europeo sul turismo 2004 di Budapest, il grande potenziale rappresentato dai giovani turisti, dei nuovi Stati Membri nell’Unione allargata, è stato citato come uno dei fattori dell’attuale sviluppo del turismo. Quello dei giovani turisti deve essere considerato dalle politiche dei servizi e dei prodotti del turismo come un target specifico, in quanto essi “hanno bisogno di prodotti speciali che offrano vacanze accessibili e sicure, esperienza culturale, scambio con altri giovani, eventi multiculturali, 5 “Verso un turismo sociale e sostenibile” indagine sulle Organizzazioni non profit che operano nel settore.

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attività che permettano impegni sociali e ambientali e di formazione” (Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Roma 2009). Per stimolare iniziative di sensibilizzazione e sostegno al turismo sociale, l’Unione Europea è intervenuta anche nel 2008; la Commissione Europea Impresa e Industria ha infatti promosso il progetto Calypso con l’obiettivo di produrre scambi di turismo sociale tra le differenti nazioni europee. L’iniziativa europea promuove il sostegno alle persone svantaggiate offrendo loro possibilità di praticare turismo, e allo stesso tempo aiuta le economie locali nei periodi dei bassa stagione (De Salvo). In particolare Calypso si rivolge a quattro categorie: giovani-adulti (fascia 18-30 anni) diffcoltà, alle famiglie in difficoltà economiche, alle persone con disabilità, agli over 65 che non sono in grado normalmente di viaggiare o che sono scoraggiati dalle difficoltà legate all’organizzazione di un viaggio. Il ragionamento alla base del progetto è quello di aver considerato che la maggior parte degli stati Europei (e non solo) puntavano, nel 2008, sempre di più sull’industria turistica. Inoltre, le varie fluttuazioni del mercato, a causa del fenomeno della stagionalità, erano spesso molto marcate, con notevoli ripercussioni economiche sulle strutture ricettive, sui trasporti e di conseguenza su buona parte delle altre attività economiche collegatevi e quindi sul sistema economico. Stimolare il mercato nei periodi fuori stagione poteva, quindi, da un lato risollevare l’economia e creare posti di lavoro e, dall’altro, andare incontro ai cittadini in difficoltà. L’idea di base, da cui nasce Calypso e come riportato nell’informativa, è questa: “Se ad ogni cittadino europeo fosse data l’opportunità di viaggiare e scoprire posti nuovi, l’industria turistica in Europa potrebbe creare lavoro nei periodi di bassa stagione e 37


andare incontro alle esigenze delle persone che dispongono di meno risorse con sistemazioni a costi più contenuti e con speciali vacanze a tema. Inoltre, le buone prassi esistenti dimostrano che alcuni Stati membri, come la Spagna, promuovendo le vacanze dei cittadini anziani in bassa stagione, hanno registrato un importante ritorno d’investimento”. Sono 21 gli Stati fra i Paesi dell’UE e Paesi candidati che hanno partecipato all’iniziativa e al fine di studiare le buone pratiche e costruire una strategia comune, si sono tenuti sei seminari in tutta Europa (insieme ad un gruppo selezionato di esperti sia del settore pubblico che privato allo scopo di assistere la Commissione nell’attuazione del progetto Calypso). Dal progetto Calypso ad oggi, l’Unione Europea, non resta ferma, ma ha emanato diversi bandi riguardanti proprio lo sviluppo del turismo e del turismo sociale, tra i quali: il bando del 2013 “per facilitare gli scambi turistici transnazionali in bassa stagione per la terza età” (nell’ambito del “Programma europeo per l’innovazione e l’imprenditorialità”). L’obiettivo, di questa iniziativa, è quello di migliorare i modelli di stagionalità del turismo in tutta Europa, contribuendo all’estensione della stagione turistica; creare pacchetti turistici innovativi per gli anziani, che saranno disponibili e sostenibili anche dopo il periodo di co-finanziamento dell’UE; impostare e rafforzare partenariati europei pubblico-privato sostenibili, per contribuire alla creazione di un mercato interno europeo del turismo per gli anziani a lungo termine. Sempre del 2013 il bando “per la progettazione, realizzazione, promozione e commercializzazione di itinerari turistici accessibili”, dove il termine turismo accessibile comprende i servizi turistici rivolti a tutti, soprattutto alle persone con bisogni speciali di accesso, cioè le persone con disabilità, ma anche persone con mobilità limitata (a causa di disabilità e non), come, per esempio, persone con le stampelle, o anziani, e tutte le 38


persone che possono beneficiare di servizi maggiormente accessibili, come i viaggiatori che trasportano bagagli pesanti, i genitori che spingono carrozzine, ecc. L’obiettivo è favorire l’adattamento di prodotti e servizi turistici alle esigenze delle persone con bisogni speciali di accesso; promuovere le pari opportunità e l’inclusione sociale delle persone con bisogni speciali di accesso; migliorare le competenze e la formazione, con relazione all’accessibilità nella filiera del turismo; aiutare la diffusione del concetto di accessibilità in tutti i segmenti della filiera del turismo e, allo stesso tempo, la creazione di una catena ininterrotta di accessibilità nel turismo; promuovere, commercializzare e diffondere le migliori pratiche nel turismo accessibile; fornire assistenza e orientamenti adeguati alle PMI; migliorare la qualità e diversificare l’offerta di esperienze di turismo accessibile in Europa. Gli itinerari di turismo accessibile devono comprendere combinazioni o pacchetti di servizi turistici diversi: da quelli essenziali, (come ad esempio l’ospitalità, ristorazione, informazione, prenotazione, trasporto locale, attività e attrazioni, ecc.) a quelli più sofisticati e vari (ad esempio diversi tipi di servizi di ospitalità, diversi tipi di attrazioni e attività eco-itinerari, percorsi gastronomici, turismo subacqueo, ecc.). Del 2014, invece, il bando “diversificare l’offerta turistica e i prodotti UE”. Gli obiettivi sono supportare progetti che promuovano percorsi di turismo transnazionale sia fisici che virtuali; stimolare la competitività dell’industria del turismo; incoraggiare la diversificazione dell’offerta dei prodotti e servizi turistici fino allo sviluppo di prodotti turistici sostenibili; incoraggiare la partecipazione delle PMI e creare un quadro favorevole alla cooperazione delle PMI. 39


Del biennio 2014/2015 il bando per “facilitare i flussi transnazionali UE per gli anziani e i giovani nella bassa e media stagione”. L’iniziativa mira a rafforzare la competitività del settore del turismo incoraggiando l’estensione della stagione turistica ed aumentando la mobilità di anziani e giovani (www.formez.it). Il turismo sociale ha spazi di crescita enormi ma per crescere sono necessari adeguati strumenti e, in primo luogo, la definizione di linee comuni europee che favoriscano efficaci forme di cooperazione transazionale. La proposta è, dunque, quella di costruire una piattaforma del turismo sociale europeo basata su una forte collaborazione tra pubblico e privato. Le istituzioni europee ritengono che la prospettiva del turismo sociale costituisca una vera frontiera da esplorare, una scommessa da prendere sul serio anche come opportunità unica di promozione dell’identità europea basata sul dialogo e l’incontro tra le persone e i popoli.

1.7 Bureau International du Tourisme Social Il BITS (Bureau International du Tourisme Social) rappresenta, ad oggi, la più grande realtà operativa che associa, a livello internazionale, gli enti impegnati nel turismo sociale. Quest’organizzazione nasce nel 1963, a Bruxelles, per volontà di associazioni in parte indipendenti e in parte collegate alle organizzazioni sindacali internazionali che, dal riconoscimento delle ferie pagate in Europa (Convenzione Internazionale di Ginevra del 24 Giugno 1936) e dell’implicito diritto alla vacanza (riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo), hanno lanciato l’idea del turismo sociale. Dal 1956, con il Congresso Internazionale di Berna, i passaggi successivi che hanno visto la costituzione 40


ufficiale del BITS sono stati i congressi di Vienna (1959) e di Milano (1962). L’obiettivo del BITS è promuovere lo sviluppo del turismo sociale a livello internazionale, sostenendo, attivando e sviluppando azioni che rendano effettivo il diritto alle vacanze e l’accessibilità al turismo da parte di tutti i gruppi della popolazione, in particolare di giovani, famiglie, pensionati, invalidi e delle persone con scarse risorse economiche. L’attività del BITS si articola su tre livelli: 1) Studi e ricerche: in riferimento all’attività di ricerca, il BITS effettua approfondimenti periodici su tutti gli aspetti del turismo sociale e partecipa ai diversi incontri sia istituzionali, sia informali analizzando il turismo quale fattore di sviluppo economico, sociale, culturale e territoriale. A tal fine è stato creato, nel 1990, il comitato scientifico che lavora in stretta cooperazione con gli organi costituzionali del BITS. 2) Coordinamento: per quanto riguarda l’attività di coordinamento, il BITS si pone al servizio dei bisogni dei suoi membri senza interferire o competere in alcun modo con le loro attività, promuovendo la cooperazione fra le organizzazioni. Esso si adopera come intermediario tra pubblici poteri e industria turistica costituendo una rete di scambi continui tra i membri attraverso l’organizzazione di convegni e conferenze che rafforzano e mettono a sistema l’impegno delle singole associazioni nazionali e internazionali. Il suo raggio d’azione si estende dall’Europa alle Americhe, comprendendo 35 Paesi in quattro Continenti; il 65% delle organizzazioni aderenti in Europa sono distribuite in 16 Stati. 41


3) Collaborazione e rappresentanza: quanto al ruolo di rappresentanza, grazie alla sua partnership con l’Organizzazione Mondiale del turismo, il BITS gode di particolare visibilità a livello internazionale, rappresentando il maggior interlocutore per le istituzioni pubbliche sulla tematica del turismo sociale e accessibile. Attraverso il partenariato con il Consiglio Economico e Sociale della Comunità Europea, il BITS è divenuto un referente importante per la realizzazione di progetti concernenti il miglioramento dell’offerta turistica attenta alle categorie sociali più deboli. L’ultimo congresso mondiale sul turismo sociale, organizzato dal BITS in Provenza, Verso un turismo di sviluppo e di solidarietà, ha mostrato l’interesse a promuovere il passaggio da lo sviluppo del turismo al turismo dello sviluppo. Il turismo delle 3S (Sociale, Solidale e Sostenibile), espressione coniata dal Presidente del BITS Norberto Tonini, nella premessa introduttiva della Dichiarazione di Montreal del 2005, sottolinea la volontà di riempire il turismo sociale di contenuti coerenti con i nuovi valori. In particolare, la reale sfida del turismo sociale, come attore economico e sociale, consiste nella promozione dello sviluppo locale attraverso un miglior uso delle risorse presenti, un reinvestimento locale di larga parte dei profitti e la promozione di relazioni e scambi con la cultura delle comunità locali. In sintesi, un turismo non solo attento ai turisti, ma anche rivolto, attraverso la promozione di azioni di solidarietà e di sviluppo, alle persone che lavorano nel settore e alle comunità locali.

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1.8 Turismo sociale in Italia Parlare di turismo sociale in Italia vuol dire considerare innanzitutto degli organi che sono attori principali nella ricerca e sviluppo di tale turismo: FITUS è la Federazione Italiana di Turismo Sociale, riconosciuta dal Ministero del Lavoro e Politiche Sociali. Svolge compiti di rappresentanza politica e di coordinamento per i maggiori organismi associativi, affermando il ruolo del turismo sociale e giovanile nei confronti delle istituzioni nazionali e locali. Promuove attività di studio e ricerca sul settore e tutela le istanze e i programmi dell’associazione. Raggruppa le più importanti associazioni italiane che svolgono attività nell’ambito del turismo sociale: ANCST (Associazione Nazionale delle Cooperative di Servizi e Turismo), nata nel 1990 con funzioni di tutela, rappresentanza e assistenza delle cooperative aderenti e supporta la promozione di nuove cooperative. Recentemente è nata Legacoop Turismo nella quale sono confluite le cooperative che operano nel settore turismo, al fine di unificare l’attività di rappresentanza e facilitare la ricerca di sinergie. Ancora più recentemente si è costituita Legacoopsociali, Associazione delle Cooperative Sociali, fino a quel momento organizzate in ANCST, allo scopo di garantire una maggiore visibilità alla cooperazione sociale e riconoscere la forte crescita imprenditoriale e la qualità sociale che essa ha raggiunto. ACSI (Associazione Circoli Sportivi Italiani), fondata a Roma nel 1960, è riconosciuta come associazione nazionale di promozione sociale e svolge attività nel settore della cultura, dello sport e del tempo libero. L’associazione è impegnata sul versante sociale e di politica turistica anche partecipando al forum del Terzo settore, a FITUS e, attraverso quest’ultima, al BITS e all’Associazione BVI - Buoni Vacanze Italia (organizzazione composta dalle più rappresentative associazioni turistiche 43


che, in partnership con Federalberghi, si propone di introdurre anche in Italia il sistema dei buoni vacanza, allo scopo di allargare la fascia dei fruitori del bene turismo). AICS (Associazione Italiana Cultura Sport), fondata nel 1962, ha una larga e radicata presenza su tutto il territorio nazionale. Grazie alla sua adesione al CSIT (la Confédération Sportive Internationale du Travail) e alla FISpT (Fédération Internationale du Sport pour Tous) mantiene una fitta rete di rapporti sportivi e sociali in Europa e nel Mondo. L’AICS si è occupata, fin dalla sua costituzione, di sport e di promozione sociale, estendendo il suo raggio d’azione alle attività culturali, ambientali, turistiche e di formazione. Tali attività sono in linea con gli obiettivi di cui si fa promotrice, quali la diffusione di stili di vita salutari, la difesa dell’ambiente, la tutela del patrimonio storico e culturale, lo sviluppo di un’etica di solidarietà e di sport per tutti. AIG (Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù), fu fondata nel 1945 come ente assistenziale e culturale per permettere anche ai giovani, con limitate possibilità economiche, di praticare turismo e di incontrare e conoscere altri giovani in un ambiente privo di discriminazioni. CTA (Centro Turistico delle ACLI), associazione senza scopo di lucro, è riconosciuta dal Dipartimento del Turismo quale associazione di promozione del turismo sociale e giovanile. La sua attività è volta alla promozione del settore turistico inteso come occasione di crescita umana e culturale, in particolare per i gruppi, la famiglia, la terza età e i giovani. I programmi del CTA riguardano la valorizzazione del patrimonio turistico nazionale attraverso il turismo rurale, l’agriturismo, il turismo sostenibile e quello solidale (il CTA è anche socio dell’Associazione Italiana di turismo responsabile). CTG (Centro Turistico Giovanile), nato nel 1949, è un’associazione nazionale senza scopo di lucro che interpreta il turismo sociale 44


come strumento educativo, di crescita culturale e come diritto per tutti i cittadini a partire dai giovani e dalle categorie disagiate e socialmente escluse. Il Centro Turistico Giovanile intende per turismo sociale un turismo che favorisca la socialità delle persone, il loro stare insieme. Si impegna a tutti i livelli per un ambiente a misura d’uomo, promuovendo la conoscenza e la tutela della natura e delle culture locali. CTS (Centro Turistico Studentesco e Giovanile), nato nel 1974, è riconosciuto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali per promuovere lo sviluppo e l’organizzazione del turismo degli studenti e dei giovani. ETSI (Ente Turistico Sociale Italiano), ha ottenuto, nell’anno 2000, il riconoscimento dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali come ente sociale senza scopo di lucro e promuove la crescita culturale e lo sviluppo delle attività sportive e ricreative dei propri associati, giovani, anziani, lavoratori e famiglie. Il turismo sociale è il servizio in cui l’ETSI vanta le maggiori esperienze e importanti presenze operative. UNPLI (Unione Nazionale Pro Loco Italiana), è l’associazione di riferimento di tutte le Pro Loco d’Italia che, a loro volta, sono le associazioni di base che maggiormente coniugano la tutela e la salvaguardia delle specificità locali, con la vocazione allo sviluppo della crescita sociale ed al miglioramento del benessere. Il TCI (Touring Club Italiano), viene fondato nel 1894 da un gruppo di 57 velocipedisti, con l’intento di diffondere i valori ideali e pratici del ciclismo e del viaggio. Nel 1980 nasce il Touring Giovani, che, attraverso la rivista bimestrale “tg”, si propone di fornire stimoli, suggerimenti, facilitazioni ai giovani che vogliono fare del turismo un’occasione di incontri ed esperienze significative. Queste sono solo alcune delle Associazioni più importanti raggruppate dalla FITUS. Quest’ultima rappresenta i suoi associati a livello nazionale e internazionale, in quanto 45


membro del BITS. Lo scopo di tale federazione è affermare il ruolo del turismo sociale nei confronti delle istituzioni nazionali e locali, favorendo l’interscambio tra gli associati, tutelare le istanze e i programmi promozionali. In Italia ha promosso il sistema dei buoni vacanze come strumento per favorire l’effettiva fruizione del diritto alla vacanza. Il sistema dei buoni vacanza, incentivato con ritardo rispetto ad altri paesi come Francia, Svizzera, Spagna, è previsto dalla Legge n. 135 del 2001 (art.10) che regola il finanziamento ai buoni vacanza mediante il “Fondo di Rotazione per il Prestito ed il risparmio Turistico”6. Nel 2005 si è costituita, tra la FITUS e Federalberghi, l’associazione no profit “Buoni Vacanza Italia”, un’impresa finalizzata a migliorare l’accesso al turismo per tutti i cittadini italiani, soprattutto per coloro che altrimenti ne sarebbero esclusi, in modo da rispondere ad un interesse di carattere generale che consiste nello sviluppare e ampliare il diritto di tutti alla pratica turistica. Alla realizzazione del progetto partecipano Banca Intesa San Paolo, per la gestione dei flussi finanziari e del prestito turistico, Accor Service S.r.l, per la stampa dei buoni e, infine, 6

L’articolo 10 della Legge 135 del 2001 istituisce presso il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato un Fondo di rotazione per il prestito ed il risparmio turistico, denominato “Fondo”, al quale affluiscono: a)risparmi costituiti da individui, imprese, istituzioni o associazioni private quali circoli aziendali, associazioni non profit, banche, società finanziarie; b) risorse derivanti da finanziamenti, donazioni e liberalità, erogati da soggetti pubblici o privati. Il Fondo eroga prestiti turistici a tassi agevolati e favorisce il risparmio turistico delle famiglie e dei singoli con reddito al di sotto di un limite fissato ogni tre anni con decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, secondo i criteri di valutazione individuati nel D.Lgs 31 marzo 1998, n.109. Le agevolazioni sono prioritariamente finalizzate al sostegno di pacchetti vacanza relativi al territorio nazionale e preferibilmente localizzati in periodi di bassa stagione, in modo da concretizzare strategie per destagionalizzare i flussi turistici. Hanno inoltre priorità nell’assegnazione delle agevolazioni le istanze relative a pacchetti di vacanza localizzati nell’ambito delle aree depresse.

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l’associazione dei comuni d’Italia (ANCI) che ha sottoscritto con la FITUS un protocollo di sostegno a BVI volto proprio a promuovere, presso i comuni, l’utilizzo dei tali buoni per favorire l’accesso al turismo di giovani, anziani e le famiglie meno abbienti. I sindacati confederali collaborano per collegare BVI con l’attività contrattuale del sindacato, migliorando nel mondo del lavoro le relazioni aziendali, con un’attenzione particolare alla decontribuzione e alla defiscalizzazione degli incentivi. L’ONT, Osservatorio Nazionale del Turismo, ha compiti di studio, analisi e monitoraggio delle dinamiche economicosociali e tecnologiche, qualitative e quantitative d’interesse turistico. Coerentemente con questi scopi, l’ONT realizza indagini su temi non adeguatamente indagati dalla statistica ufficiale e raccoglie documenti, ricerche e indagini prodotte dai più autorevoli soggetti nazionali e internazionali, anche al fine di valutare il livello di competitività dell’Italia. Fu istituito con D.P.R. n. 207 del 6 aprile 2006, successivamente regolamentato con D.P.C.M. del 16 febbraio 2007, é stato affidato all’ENIT con Decreto Legge 31 maggio 2014, n. 83, art. 16, convertito con legge n. 106 del 29 luglio 2014. Gli obiettivi fondamentali che l’ONT si prefigge sono: dare una visione sistemica della ricerca esistente sul turismo unificando le fonti e i dati; ·

divulgare in tempo reale informazioni e dati scientificamente accreditati su trend e fenomeni turistici;

·

fornire indicazioni previsionali e strategiche utili per le strategie di promozione del Sistema Paese e per la comunicazione, promozione e commercializzazione dell’offerta turistica. ·

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1.9 Turismo sociale in Italia: la normativa La prima Legge in Italia riguardo il turismo sociale e giovanile è la legge Corona del 12 Marzo 1968 n. 326, che ha previsto agevolazioni in favore del settore alberghiero. Storicamente la promozione del turismo sociale, in Italia, è avvenuta soprattutto ad opera delle regioni nel 1972 in virtù del trasferimento delle competenze legislative in materia di turismo. Alcune leggi regionali, emanate fra la fine degli Anni ‘70 e l’inizio degli Anni ‘80, sono volte ad estendere la pratica turistica a tutti i cittadini e in particolare ai giovani, ai lavoratori e agli anziani, attraverso la concessione di finanziamenti e contributi agli enti e alle associazioni operanti nel settore del turismo sociale. A queste leggi è riconducibile il riconoscimento del diritto alla vacanza per tutti, il fondamento costituzionale di tale diritto risiede nell’Art. 3 della Costituzione Italiana: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione (…) di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Tale dettato costituzionale è stato attuato, in primo luogo, dalla legislazione sull’abbattimento delle barriere architettoniche che prevede condizioni di accessibilità in tutti i luoghi pubblici e privati. Per la realizzazione delle opere direttamente finalizzate al superamento e all’eliminazione delle barriere architettoniche in edifici già esistenti, sono previsti contributi a fondo perduto ed è istituito, presso il Ministero dei Lavori Pubblici, un Fondo speciale per l’eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche 48


negli edifici privati (Legge n. 13 del 9 gennaio 1989). L’articolo 3 della Costituzione trova attuazione anche nella legislazione specifica sul turismo, laddove all’articolo 1 si riconosce: “il ruolo strategico del turismo per la crescita culturale e sociale della persona e della collettività e per favorire le relazioni tra popoli diversi” e si sottolinea l’impegno della Repubblica a promuovere “azioni per il superamento degli ostacoli che si frappongono alla fruizione dei servizi turistici da parte dei cittadini, con particolare riferimento ai giovani, agli anziani, percettori di redditi minimi e ai soggetti con ridotte capacità motorie e sensoriali” (Legge n. 135 del 29 marzo 2001). E’, quindi, necessario che le politiche sociali si occupino di creare gli strumenti che agevolino la fruizione e lo sviluppo del diritto alla vacanza. Le più recenti tendenze, con l’emergere di nuovi turismi e con la frammentazione delle proposte turistiche, hanno posto, infatti, la necessità di una politica globale per il settore che comprenda tanto la qualificazione e il rispetto del territorio in tutte le sue componenti, quanto la soddisfazione dei turisti (Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Roma, 2009). Una prima risposta a tali esigenze è rappresentata, in Italia, dalla già citata Legge sul turismo e dal suo Decreto di attuazione (DPCM 13 Settembre 2001) che, rispettivamente, istituiscono i Sistemi Turistici Locali per il miglioramento e l’accessibilità dei territori e inseriscono nel sistema turistico molte attività, fino ad ora rimaste ai margini, che, in tal modo, ricevono un riconoscimento ufficiale7.

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Per Sistemi Turistici Locali si intendono “i contesti turistici omogenei o integrati, comprendenti ambiti territoriali appartenenti anche a Regioni diverse, caratterizzati dall’offerta integrata di beni culturali, ambientali e di attrazioni turistiche, compresi i prodotti dell’agricoltura e dell’artigianato locale o dalla presenza diffusa di imprese turistiche singole o associate” (Legge n. 135 del 29 marzo 2001).

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In base a tale provvedimento, le regioni, devono disciplinare le diverse tipologie di attività non convenzionali, ricettive e non ricettive, sulla base delle specificità del proprio territorio e nel rispetto delle norme vigenti in materia di tutela e sicurezza del cliente e di abbattimento delle barriere architettoniche, al fine di consentirne la fruizione anche ai turisti con disabilità e con limitate capacità motorie. Tali interventi dovrebbero garantire una sinergia fra pubblico e privato e una più approfondita conoscenza del territorio, con positive ripercussioni sulla qualità, sui costi di gestione e sulla competitività dell’offerta turistica. Qualità e competitività non possono prescindere da un’alta qualificazione degli operatori del settore, come recita l’Art.2 della Legge 135/2001: “La Repubblica (…) tutela i singoli soggetti che accedono ai servizi turistici anche attraverso l’informazione e la formazione professionale degli addetti”. Una delle novità rappresentate dalla legge in oggetto è che essa è intervenuta direttamente sul lato della domanda turistica, elaborando una politica di sostegno per l’accesso alla pratica turistica di più ampie fasce della popolazione, attraverso la previsione del “Fondo di rotazione per il prestito ed il risparmio turistico” e del sistema dei Buoni Vacanza. Il presente Fondo eroga prestiti turistici, a tassi agevolati, e favorisce il risparmio turistico delle famiglie e dei singoli con reddito al di sotto di un limite fissato ogni tre anni con decreto del Ministro delle Attività Produttive. La legge prevede espressamente di collegare il Fondo a un sistema di Buoni Vacanza gestito a livello nazionale dalle associazioni non profit, dalle associazioni delle imprese turistiche La loro istituzione rappresenta un primo esempio di intervento pubblico volto alla riqualificazione dei territori, al miglioramento delle possibilità di accesso e alla valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale, delle attrattive e della cultura locale.

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e dalle istituzioni bancarie e finanziarie. Infine, attraverso la Carta dei Diritti del Turista (Art.4), la legge promuove i diritti del turista come utente dei servizi turistico-ricettivi, delle agenzie di viaggi, dei mezzi di trasporto, delle polizze assicurative e dei servizi sanitari. Attualmente le strutture ricettive, che intendono effettuare investimenti, hanno a disposizione diversi canali di finanziamento nell’ambito dei Fondi Strutturali dell’Unione Europea, a livello nazionale e regionale. I Fondi strutturali sono uno degli strumenti finanziari messi a disposizione dall’Unione europea per lo sviluppo economico e sociale di tutte le regioni europee. Essi sono gestiti a livello nazionale dai ministeri o dalle regioni. Questi fondi perseguono tre obiettivi prioritari: 1. promuovere lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni che presentano ritardi nello sviluppo; 2. sostenere la riconversione economica e sociale delle zone che devono affrontare problemi strutturali; 3. adeguare e ammodernare le politiche nazionali ed europee in materia di occupazione, istruzione e formazione. Le più recenti tendenze, con l’emergere di nuovi turismi e con la frammentazione delle proposte turistiche, hanno posto, dunque, la necessità di una politica globale per il settore che comprenda tanto la qualificazione e il rispetto del territorio delle destinazioni turistiche in tutte le sue componenti, quanto la soddisfazione dei turisti. Parallelamente, il numero crescente della popolazione anziana, così come quella dei disabili, rappresenta una potenziale domanda turistica portatrice di esigenze speciali che può essere colta dal mercato. 51


1.10 Progetti più significativi in tema di turismo sociale A livello nazionale esistono diversi progetti attuati di turismo sociale, tra i più rappresentativi è bene citare Italia per Tutti, un progetto avviato nel 1997, su iniziativa della Direzione generale per il turismo del Ministero delle attività produttive che aveva lo scopo di promuovere e diffondere il turismo accessibile. In questo caso, per turismo accessibile, si intende quell’insieme di servizi, strutture e infrastrutture che permettono alle persone, con esigenze speciali, di godere di una vacanza e del tempo libero senza ostacoli o difficoltà. Italia per Tutti si proponeva di portare avanti dei punti fondamentali quali: · migliorare i servizi di accoglienza delle strutture; · assicurare l’accessibilità della ricettività, del trasporto e della mobilità, della ristorazione e del tempo libero; · mettere in collegamento fra loro i diversi servizi in modo da renderli realmente utilizzabili, senza discontinuità. Tale progetto si sviluppava attraverso l’impegno delle istituzioni regionali e locali e con la collaborazione degli imprenditori del settore turistico e del terzo settore. Il progetto STARe, esprime concretamente il precedente progetto (Italia per tutti) e cerca di sviluppare ed aggregare risorse e strumenti diversi. Presenta importanti caratteristiche di innovazione, sia sul piano delle metodologie di acquisizione dei dati sia sul piano delle tecnologie e della presentazione e fruibilità delle informazioni; esso ha comportato, in particolare, attività di ricerca per definire un modello descrittivo di accessibilità che consentisse di interpretarla rispetto alle diverse possibili esigenze individuali. Il progetto, 52


anche per le sue finalità di promozione dell’occupazione nelle zone svantaggiate del paese, viene realizzato usufruendo della collaborazione di numerose imprese sociali (Onlus) dei territori in cui ha avuto luogo l’indagine, con l’intento di stimolare una crescita delle potenzialità produttive offerte dal terzo settore. STARe presenta un significativo interesse anche per il contenuto innovativo della struttura organizzativa e progettuale dell’intera iniziativa. Infatti, si propone di dimostrare la possibilità di svolgere progetti di largo respiro attraverso il coinvolgimento di imprese sociali (es. operanti nell’ambito dell’handicap), assicurando un livello di qualità elevato al prodotto finale di livello nazionale, pur realizzato da organizzazioni locali. C.A.R.E. (Città Accessibile delle Regioni Europee), progetto partito nel 2004 con durata di 24 mesi, si basava sulla condivisione a livello transnazionale di strategie di sviluppo delle città, in cui l’accessibilità rappresenta una chiave della qualità, con l’obiettivo di rendere più adatte le risorse territoriali alle esigenze di tutti gli utenti con bisogni speciali. In questo senso le città potranno godere di un valore aggiunto nell’offerta turistica. L’obiettivo era quello di far crescere le città ospitali attraverso la costruzione di reti di servizi specializzati. Quindi, il progetto si proponeva di creare una rete di servizi e strutture accessibili tra le città europee, adottando un’unica metodologia di rilevazione: creare azioni di comunicazione e servizi di informazione agli utenti. Al C.A.R.E era affidata anche l’analisi delle esigenze degli utenti/clienti e la determinazione delle caratteristiche della città ospitale. A questo scopo era prevista una banca dati internazionale ad uso degli operatori e una ad uso esterno per gli utenti. PROTUS, nato come progettazione di un sistema integrato per il coordinamento di proposte per il turismo sociale 53


sul territorio nazionale con definizione di adeguati percorsi formativi, fu ideato in collaborazione da Associazione Carta Giovani e Cts con l’obiettivo di ampliare la conoscenza relativa al turismo sociale, facilitando l’incontro fra domanda e offerta, in modo da rendere effettivo quel diritto inalienabile allo svago, al tempo libero e alla vacanza. La promozione del turismo sociale come pratica del viaggiare attenta alle esigenze, agli interessi e ai bisogni della domanda e improntata ad una maggiore conoscenza del territorio, attraverso l’analisi dell’offerta ricettiva al fine di individuare i punti di forza e debolezza. Il Protus è finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. L’ambito riguarda le tre regioni, Lombardia, Lazio e Calabria, rappresentative dal punto di vista geografico. Infine TURISMABILE, un progetto voluto dalla Regione Piemonte e realizzato dalla CPD (Consulta per le Persone in Difficoltà Onlus), dal 2007 intende promuovere il turismo piemontese con la chiave dell’accessibilità, presentandone le eccellenze storiche, artistiche, naturalistiche, ricettive della regione come opportunità per tutti (incluse tutte quelle categorie di turisti che presentino necessità particolare). Un concetto che per la prima volta giunge a considerare le persone con disabilità o con determinate esigenze non come oggetti del turismo sociale, ma come soggetti del turismo tout-court. I concetti chiave di questo progetto sono accessibilità e fruibilità per tutti, cioè facilità di accesso ai luoghi d’interesse e completo utilizzo dei servizi turistici.

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CAPITOLO 2. I BENI RELAZIONALI DALL’ECONOMIA SOCIALE ALLE IMPRESE SOCIALI 2.1 Il ruolo sociale del turismo sociale Nella Dichiarazione di Montreal, il turismo sociale, viene definito come creatore di società, poiché le vacanze e i viaggi sono occasione di arricchimento delle persone attraverso la scoperta di culture diverse e l’incontro con altre persone, incentivando la socializzazione, ma anche fattore di crescita economica e attore dell’assetto territoriale e dello sviluppo locale. E’ creatore di società tutte le volte che dei soggetti vorrebbero viaggiare, ma non possono a causa di un preciso svantaggio (che potrebbe essere la mancanza di soldi, un problema di salute o di disabilità che impedisce o limita la partecipazione al turismo) e tutte le azioni tese a rimuovere tali vincoli entrano a far parte della categoria del cosiddetto turismo sociale. La volontà è quindi quella di estendere a categorie con esigenze particolari l’esperienza turistica, perché, la sua diffusione, stimola il confronto tra gli individui, la conoscenza reciproca e di conseguenza l’affermarsi di una cultura pluralista. Sedgley et al. (2012) sottolinea, a questo proposito, il ruolo della partecipazione alla pratica turistica come fattore di inclusione sociale. Il turismo sociale diventa così non solo creatore di società ma un fattore di coesione sociale, nel momento in cui rappresenta un’attività volta a tutelare i diritti, in termini di tempo e benessere, di categorie svantaggiate e spesso poco considerate dal mercato e, per questo, diventa elemento fondamentale nella rigenerazione e nello sviluppo della società e anche fattore di crescita economica (De Salvo). In termini di benefici sociali, Minnaert et al.(2009), McCabe (2009) e Minnaert et al. (2010) hanno condotto delle ricerche 55


sugli impatti sociali della partecipazione al turismo sociale da parte dei beneficiari a basso reddito, ed hanno riscontrato benefici che vanno dall’aumento dell’autostima, al miglioramento delle relazioni familiari, all’ampliamento degli orizzonti di viaggio, a nuove opportunità di apprendimento fino ad atteggiamenti pro-attivi verso la vita. L’affermarsi del turismo sociale contribuisce quindi alla crescita personale, in termini di sviluppo di capacità interpersonali, e di disponibilità alla conoscenza che aumentano la resilienza degli individui di fronte alle difficoltà della quotidianità (Minnaert e Durkin, 2007). Comporta, altresì, lo sviluppo del capitale sociale, creando migliori opportunità di lavoro, quindi, una riduzione della dipendenza da sussidi, comportando dei benefici a livello psico-fisico, diminuendo l’incidenza di malattie, riducendo a sua volta il costo pubblico di assistenza, con beneficio dell’intera società. Il turismo sociale diventa uno strumento di politica sociale che può contribuire ad un processo di costruzione e/o ricostruzione del tessuto sociale e reti di fiducia. In questo contesto diventa rilevante il ruolo degli attori pubblici e privati, dell’associazionismo e dell’economia sociale che, nel dare rilievo ed importanza a quell’insieme di elementi dell’organizzazione sociale quali la fiducia, la solidarietà, la sostenibilità dello sviluppo, formulano ed attuano iniziative di tutela e promozione dei diritti delle categorie più svantaggiate. In questa ottica, stimolare e sostenere il turismo sociale, rappresenta una possibilità per tutelare il benessere delle persone, coerentemente anche con le raccomandazioni emerse dal rapporto Stigliz-SenFitoussi dove, nel cercare di cogliere le diverse dimensioni del benessere sociale, emerge il suo evidente legame con il tempo libero. In tal senso, il turismo sociale, può essere interpretato come possibilità di creare beni relazionali, dove l’importanza, data al fattore tempo, è rilevante al fine di creare relazionalità. 56


Nel turismo sociale non si tratta di organizzare e realizzare una vacanza individuale. Il turismo sociale è una forma di turismo dove, anche se solo una sola persona coinvolta viene a mancare, manca un valore aggiunto di quella esperienza/ vacanza. Verrà meno il valore della relazione con quel soggetto e di conseguenza si creerà una perdita di ricchezza intesa di termini di reciprocità. Si tratta anche di valori quali l’uguaglianza, l’inclusione sociale, di sviluppo economico per le zone svantaggiate. Inoltre, il turismo sociale, nel suo essere anche una forma di turismo rispettosa dell’ambiente naturale e sociale in cui avviene, esalta la rilevanza della dimensione relazionale, ampliandola rispetto alla mera dimensione personale al rapporto tra uomo e ambiente e tra uomo e comunità locale. Si tratta quindi di una modalità di turismo anche particolarmente sensibile all’assetto territoriale e alle dinamiche di sviluppo locale. Attraverso questa forma di turismo si cerca di perseguire l’obiettivo di apertura verso valori legati ai temi della sostenibilità e dello sviluppo (umano, culturale, economico ed ambientale), fine che rende necessaria la realizzazione di politiche pubbliche capaci di fornire soluzioni innovative ai nuovi bisogni sociali (Minnaert, Maitland, Miller 2009). Sono questi i motivi per cui è necessario attraversare concetti come quello dei beni relazionali, capitale sociale, economia sociale per arrivare alle imprese sociali e alle loro soluzioni innovative ai nuovi bisogni sociali all’interno di un contesto sempre più competitivo.

2.2 I beni relazionali Il concetto di bene relazionale è collegato alla dicotomia introdotta dalla modernità fra pubblico e privato. La 57


società viene distinta in una sfera pubblica, in cui la socialità è neutra e aperta, e in una sfera privata, in cui la socialità è particolaristica e chiusa. In sostanza, la nozione di bene relazionale emerge quando viene superata la dicotomia che non esistono solo beni pubblici o privati. Sono beni che non hanno un proprietario e nemmeno sono della collettività genericamente intesa. Sono i beni della socievolezza umana, beni cruciali per l’esistenza della stessa società, la quale non potrebbe sopravvivere senza di essi. Se questi beni vengono ignorati, rimossi o repressi, tutto il tessuto sociale viene impoverito con gravi danni alle persone e l’organizzazione sociale complessiva. La teoria dei beni relazionali è nata su un terreno in cui è stato elaborato il concetto di privato sociale inteso come una sfera privata avente finalità pro-sociali, una ridefinizione di privato sociale come possibile luogo di emergenza dei beni relazionali. La prima formulazione di bene relazionale risale intorno al 1988 da un seminario nazionale tenutosi a Roma (“La cultura della vita umana: dalla società tradizionale alla società postmoderna e oltre”) in cui veniva definito: “Dire che la vita umana è un bene relazionale, significa dire che è un genere di bene comune che dipende dalle relazioni messe in atto dai soggetti l’uno verso l’altro e può essere fruito solo se essi si orientano di conseguenza. La vita umana è oggetto di godimento (e quindi di diritti) non in quanto bene individuale (nel senso individualistico), né pubblico, ma propriamente come bene comune dei soggetti che stanno in relazione. Tale bene deve essere definito non come funzione delle esperienze individuali singolarmente o collettivamente prese, ma come funzione delle loro relazioni.” (Donati 1989). Tuttavia il concetto di bene relazionale è stato utilizzato e interpretato dal punto di vista di molte e diverse discipline le quali lo hanno osservato con quadri concettuali differenti. In realtà la confusione concettuale, oltre ai vari inquadramenti 58


delle discipline, è collegata alla polisemia dei due termini che la compongono: bene e relazionale. Definito in base al carattere sociologico, il termine bene può essere visto come una realtà che soddisfa dei bisogni propriamente umani; il carattere etico è incluso ma non è posto a priori, bensì deriva dalla natura, dal significato e dalla funzione sociale delle relazioni che umanizzano la persona umana. Tale concetto è equivalente a quello anglosassone di good quando viene riferito ad un’entità concreta che viene scambiata e circola tra le persone e i gruppi sociali. Ma non è traducibile con il termine di merce, perché i beni relazionali non sono soggetti alle leggi di mercato. Il termine relazionale è anch’esso di difficile definizione univoca. Assumendo la prospettiva della sociologia relazionale, si arriva alla teoria della relazione sociale in quanto realtà che fa la società e costituisce i fatti sociali. (Donati 2011, p.8). Detto ciò è presumibile che anche la stessa definizione di beni relazionali non sia semplice e condivisa. Esistono, infatti, diverse teorie che, solo in parte e in questo contesto, prenderemo in considerazione. Martha C. Nussbaum (1986), lega il concetto di bene relazionale alla filosofia aristotelica. Aristotele ha mostrato che le attività sociali e di relazione possiedono un valore sia strumentale che intrinseco per gli essere umani. Per Nussbaum, il filosofo parlava di philìa (termine che indica coloro che si voglio bene) intendendo i beni relazionali. Egli scriveva di essi come dei beni più grandi di tutti. La philìa include l’amicizia, l’amore comprende le più forti relazioni di un essere umano. La visione che l’autrice dà dei beni relazionali è fondamentalmente di componenti emozionali. I requisiti della philìa intesa come bene relazionale sono due: il primo è la reciprocità. Si tratta infatti di una relazione con gli altri. 59


Il secondo è l’indipendenza. L’oggetto della philìa deve essere visto come un essere dotato di un bene separato, non come un’estensione o un possesso dei phìloi. I soggetti devono essere separati e indipendenti. Il bene relazione è un’idea filosofica: è l’amore di una persona contenta di vivere in un mondo in cui tutti gli esseri umani si muovono reciprocamente; è un amore che non desidera controllare la totalità. Nell’esistenza degli altri la persona scopre, per mezzo dei beni relazionali, gran parte del valore e della ricchezza della vita. Tuttavia il contributo dell’autrice è condotto lungo il confine quasi impercettibile che separa i beni relazionali dall’amore. Tale definizione risulta la più filosofica e astratta. Ivo Colozzi (2005) ritiene che i beni relazionali sono effetti emergenti dell’interazione. Non sono, quindi, il prodotto delle scelte di un attore, come sostiene l’individualismo metodologico, né il prodotto dell’ambiente, come vuole lo strutturalismo, ma sono ciò che emerge dalle relazioni concrete. Per l’autore i beni relazionali più importanti sono l’appartenenza, la fiducia, la cooperazione, la solidarietà che si producono nelle configurazioni relazionali (sfere di integrazione sociale, mondi vitali in cui viene generato il senso dell’agire sociale). Per Colozzi i beni relazionali vengono individuati nelle organizzazioni di terzo settore e sono prodotti grazie all’intensificazione delle reti sociali che accrescono, in una seconda fase, fiducia e senso di appartenenza. Un’organizzazione no-profit genera beni relazionali grazie alle proprie specifiche caratteristiche organizzative, o configurazioni relazionali, capaci di far scattare processi di assunzione di responsabilità che collegano attori, reti e risorse. Benedetto Gui (1994; 1996; 2000) invece, descrive i beni relazionali come beni pubblici locali di natura comunicativo60


affettiva prodotti in un’interazione. L’obiettivo è introdurre in economia la dimensione delle relazioni interpersonali e il nuovo concetto di bene relazionale diviene il risultato di un processo produttivo che nasce durante un incontro. L’autore sostiene che senza tener conto della dimensione relazionale, non è possibile comprendere in modo adeguato i fenomeni economici. Per questo motivo elabora una definizione di bene relazionale come bene economico che include interazioni personalizzate tra agenti economici portatori di proprie esigenze e valutazioni. Il mondo economico imposta le proprie transazioni sul rapporto diretto uomo-cosa, eliminando dal proprio orizzonte le interazioni uomo-uomo. Gui (1996) propone di concepire ogni interazione economica come un particolare processo produttivo, in cui si generano congiuntamente varie categorie di output. Considerando solo la tradizionale transazione, la letteratura economica dimentica i fenomeni intangibili di natura prettamente relazionale che provengono dagli incontri. Questi fenomeni, intangibili, si possono dividere tra cambiamenti nel capitale umano dei soggetti interagenti e beni relazionali consumati dagli stessi soggetti. I primi vengono definiti anche “assets relazionali”. Consistono in quelle informazioni che diventano conoscenza comune per una determinata coppia di agenti e che consentono un coordinamento e una comunicazione più efficace. Per l’autore la responsabilità della politica deve “creare le condizioni perché possa aver luogo in misura adeguata una accumulazione di assets relazionali da parte dei cittadini o di evitare che l’organizzazione della società promuova una progressiva decumulazione di tali assets a danno della qualità della vita individuale e collettiva”. Inoltre cerca di rendere gli assets beni più pubblici che privati auspicando, per esempio, “la salvaguardia o la creazione di luoghi di incontro in cui possano essere effettivamente coinvolti tutti i cittadini e in un 61


contesto non troppo anonimo” (Donati e Solci, 2011 pp.57-61). Donati (2011) definisce i beni relazionali come quelle entità immateriali (intangible goods) nelle relazioni sociali che emergono da agenti/attori riflessivamente orientati a produrre e fruire assieme di un bene che, altrimenti, essi non potrebbero ottenere. L’autore sottolinea la discontinuità dei beni relazionali rispetto alle altre forme di beni esistenti e, per questo, non li considera beni pubblici o privati. Possono, inoltre, essere prodotti solo assieme, dalle relazioni che si costituiscono tra più persone. Il loro valore è una funzione non solo degli individui, ma anche, e soprattutto, delle loro relazioni. Il loro senso sta in un livello di realtà che supera l’individuo, realizzandosi in e attraverso di esso. Dire che un bene è bene comune, significa dire che è un bene relazionale, in quanto dipende dalle relazioni messe in atto dai soggetti l’uno verso l’altro e può essere fruito solo se essi si orientano di conseguenza. Questo bene deve essere definito non come funzione delle esperienze individuali prese singolarmente, cioè privatamente, o anche collettivamente, ma come funzione delle loro relazioni intersoggettive. Infine, un accento particolare viene posto sul fatto che i beni relazionali sono veri e propri goods, azioni concrete, prestazioni, fatti vitali e non cose astratte. Si tratta di beni reali che producono effetti altrettanto reali ed empiricamente misurabili. Luigino Bruni (2005; 2006; 2007) definisce i beni relazionali come un terzo genus di bene economico, distinto rispetto alla tradizionale dicotomia bene pubblico/privato, la cui produzione, fondandosi sull’identità delle persone coinvolte, genera benessere. In particolare, il bene relazionale si fonda su tre aspetti quali prima l’identità delle persone coinvolte, poi sulla simultaneità della produzione e del consumo e infine sulla centralità ricoperta dalla spinta motivazionale di 62


chi li produce. Il consumo di questi mezzi per lui è sempre il fine e non un mezzo. La dimensione temporale riveste un ruolo importante nella definizione data da questo autore. Il suo intento, infatti, è quello di proporre un modello che mostri come l’attività di consumo di beni relazionali non si esaurisca nel momento in cui gli individui entrano in relazione, ma richieda investimenti temporali per svilupparsi ed evolversi. Bruni, inoltre, sostiene che investire tempo in beni relazionali sia più faticoso rispetto a investire tempo in attività solitarie o nel consumo di beni privati. Tuttavia, se gli sforzi aggregativi per le attività di relazione sono elevati, il sistema convergerà verso un equilibrio superiore, quello dove si producono molti beni relazionali. Se questi sforzi, però, restano modesti si ha una produzione molto basa di beni relazionali. Questa è quella che Bruni definisce “trappola della povertà relazionale”: finché gli agenti attribuiscono maggiore importanza al tempo libero non condiviso socialmente, il sistema tenderà sempre a convergere verso la trappola, qualsiasi sia la dinamica della singola relazione intersoggettiva. Lo stesso risultato si ottiene quando gli agenti attribuiscono un peso relativamente maggiore al consumo di beni materiali. Quest’ultima sembra la definizione che più si mostra interessante in letteratura e che più si avvicina al senso di questo testo. Infatti, come approfondito nel precedente capitolo, il Turismo Sociale viene indicato come quel turismo che mira all’approfondimento delle relazioni umane e al bisogno di socialità.

2.3 I Beni relazionali e il Capitale Sociale Il Capitale Sociale (di seguito CS) viene spesso nominato come 63


una risorsa necessaria per la produzione di beni relazionali, ma, al contempo, si dice anche che i beni relazionali generano capitale sociale. Nella letteratura vengono individuati tre tipi di semantiche: individualistiche, olistiche e relazionali.8 In base a ciò è presumibile che non esista una definizione univoca di Capitale Sociale. Le definizioni che risultano maggiormente complete e che verranno considerate in questo testo sono di Coleman e Donati (2003). Coleman (1988) scrive che il capitale sociale si può considerare come l’insieme delle relazioni sociali che un soggetto individuale, o soggetto collettivo, dispone in un determinato momento. Attraverso il capitale di relazioni si rendono disponibili risorse cognitive come le informazioni o normative. Spostandosi dal livello individuale a quello aggregato, si potrà dire che un determinato contesto territoriale risulta più o meno ricco di capitale sociale, a seconda che i soggetti individuali, o collettivi, siano coinvolti in reti di relazioni più o meno diffuse. L’autore insiste sulle reti sociali come base del CS e non sulla generica disponibilità di cooperazione e fiducia radicata in una certa cultura condivisa. Sottolinea, quindi, come il Capitale Sociale, a differenza di quello finanziario e di quello umano, abbia la natura di bene collettivo. I suoi vantaggi non sono applicabili solo individualmente ma vanno a tutti coloro che partecipano alla rete. Donati (2003) invece, parla di Capitale Sociale come di una qualità non di tutte le relazioni ma di quelle che valorizzano 8

Nella concezione individualista troviamo Bourdieu 1980: il capitale sociale è la rete delle relazioni personali e sociali che un attore possiede e può mobilitare per il perseguimento di propri fini. La concezione olista la ritroviamo in Putnam (1993) e Fukuyama (1999), il primo ritiene che le forme di CS siano risorse generali della comunità (fiducia, norme, obbligazioni morali, reti sociali di attività dei cittadini); per il secondo il CS consiste nelle norme e nei valori che promuovono un comportamento cooperativo fra individui e gruppi sociali, la fiducia, le reti sociali non sono CS ma nascono da esso.

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i beni relazionali. L’autore distingue tra capitale sociale primario (famiglia e reti informali primarie) e capitale sociale secondario (associazioni e reti civiche). Donati (2003; 2011) sostiene che il Capitale Sociale è una qualità delle relazioni sociali: l’approccio relazionale parte da un concetto di capitale come relazione sociale. Il capitale non è inteso come una cosa. Non è un bene o anche una relazione che ammetta l’equivalenza funzionale (es. il denaro). Il capitale è ciò che valorizza una relazione sociale, ciò per cui una certa relazione sociale ha uno specifico valore, e che configura la forma di quella relazione. Quindi il CS è quella forma di relazione che opera la valorizzazione di beni o di servizi, attraverso scambi che non sono né monetari, né politici, né clientelari, né di puro dono, ma scambi sociali di reciprocità basati sulla fiducia. Dove la reciprocità è un dare, ricevere e contraccambiare. Sono azioni normativamente attese entro un gruppo sociale che condivide la cultura della reciprocità. Per l’approccio relazionale il Capitale Sociale può essere, allora, osservato in due modi: 1. Come rete intersoggettiva di un attore, una rete vista come insieme di relazioni interpersonali costituite da un insieme di attori che hanno fiducia reciproca. 2. Come rete strutturale di relazioni fra gli attori impersonali di un circuito di doni e contraccambi, laddove il capitale sociale esiste e opera come effetto emergente, che produce e riproduce la rete relazionale come tale. E’ il modo di operare di quella rete che produce più o meno Capitale Sociale o lo consuma. Per l’approccio relazionale, il capitale sociale, è una particolare relazione che, per il fatto di essere sociale, presenta quattro dimensioni analitiche, le quali originano una configurazione 65


strutturale nella quale, ciascuna di esse, orienta/mobilita/usa le altre dimensioni, in gradi e modalità diverse, producendo un effetto emergente. Definire il CS come relazione sociale significa cogliere la peculiarità delle dimensioni. Gli equivoci di molte definizioni di Capitale Sociale in senso individualistico, olistico o misto, secondo l’autore, derivano dal ridurre il CS a una di queste dimensioni o a una loro combinazione senza vedere il carattere emergenziale della relazione capitale sociale. Quindi, la domanda che può sorgere spontanea è: qual è il rapporto tra Capitale Sociale e beni relazionali? L’autore afferma che il CS è un prodotto dei beni relazionali e, a sua volta, è un (ri)generatore di beni relazionali. Per spiegarlo ricorre ad uno schema che comprende tre tempi: il primo, rete di partenza, vuol dire che esiste una rete di relazioni fra gli attori come bene relazionale. In questo caso il Capitale Sociale è variabile dipendente; il secondo, interazioni nella rete, è una dinamica delle relazioni associative con interazioni più o meno riflessive (il CS è variabile indipendente); il terzo, proprietà della rete emergente e i suoi effetti, dove il CS ri/genera il bene relazionale di partenza (l’intervento sociale ha successo) oppure consuma i beni relazionali (l’intervento sociale è fallito). Alla luce di ciò è possibile parlare di un valore sociale aggiunto del Capitale Sociale che consiste nel (ri)generare i beni relazionali; si può misurare con la capacità della rete associativa di produrre relazioni, interne ed esterne, che agiscono in maniera riflessiva facendo sì che le relazioni condivise siano rese più efficaci, ossia aumentino l’efficacia operativa della rete. Il privato sociale e il terzo settore sono tali quando si configurano come sfere sociali che producono inclusione sociale relazionale attraverso un’interazione virtuosa fra bene relazionale e Capitale Sociale. 66


Per comprendere meglio il nuovo concetto elaborato da Donati, di Capitale Sociale relazionale, ci viene in aiuto capire se le associazioni possono o meno essere considerate capitale sociale per il solo fatto di essere associazioni. Secondo l’autore le associazioni non sono di per sé CS e comunque non lo sono solo per il fatto di essere associazioni. Un’associazione, infatti, può avere o produrre più o meno Capitale Sociale. Può anche non produrlo ma consumarlo. Donati si chiede quindi perché la gente si associa e sintetizza quattro motivi: economici, politici, fattori di ordine sociale (relazionale) e fattori di ordine culturali. Senza ripercorrerli tutti, basta considerare quelli che più ci interessano in questo contesto: fattori di ordine sociale. Chi si associa per motivi di integrazione sociale mira a produrre solidarietà sociale. Sono queste le associazioni propriamente sociali (di promozione sociale) e le sfere civili delle associazioni non lucrative. Esse sono quelle potenzialmente più produttive di CS perché, quando sono sfere di relazioni che operano in base alla reciprocità sociale, hanno il CS come loro DNA costitutivo (Donati e Solci, 2011). Quindi nelle sfere civili delle associazioni non lucrative troviamo i motivi di integrazione sociale ove il capitale sociale è usato per creare reti secondarie di interscambio sociale, simbolico nelle reti associazionali (gruppi secondari) che operano in base alla reciprocità. Il motivo per cui è necessario ripercorrere teorie relazionali, e di capitale sociale, sono già esplicitate nel primo capitolo, dove vengono definite le componenti del turismo sociale, il quale deve avere contenuto educativo, esperienziale, relazionale, solidale, sociale. Un Turismo realizzato da gruppi e associazioni la cui motivazione principale prescinde dalle caratteristiche della vacanza però soddisfa il bisogno di socializzare e vivere momenti di incontro, di relazione 67


e scambio reciproche. Rivolto più all’aspetto umano che al puro prestigio economico del luogo visitato, che pone attenzione all’inclusione sociale e alla non discriminazione di chi è portatore di bisogni speciali. Quindi, sintetizzando, il turismo sociale è fonte capace di realizzare beni relazionali. Non si tratta di una vacanza individualistica, ma di un tempo impiegato alla socializzazione. Riprendendo i concetti espressi in questi due ultimi paragrafi: un tempo per uscire dalle relazioni primarie per creare una rete, beni relazionali e quindi anche capitale sociale. Come sarà possibile analizzare successivamente, il turismo sociale non ha effetto solo dal punto di vista della “domanda” ma è interessata anche l’offerta.

2.4 La prospettiva dell’Economia Sociale In coerenza con l’approfondimento dei precedenti paragrafi (beni relazionali e capitale sociale) e per introdurre i successivi argomenti ritengo che sia necessario attraversare anche il concetto di Economia sociale (in seguito ES). Una definizione univoca di Economia sociale non è ancora presente. Con questo concetto si identifica un gruppo di soggetti socio-economici che operano perseguendo un obiettivo, differente dal mero profitto (sono dunque senza scopo di lucro), e che nel loro agire sono mossi da principi quali la reciprocità e la democrazia. La pluralità di significati di questo termine deriva dall’aggettivo sociale che in letteratura viene interpretato in modi diversi, in base all’ambito di riferimento. In questo caso sociale rinvia ad un’istanza di parità sostanziale tra tutti coloro che prendono parte alle decisioni in ambito economico. Di conseguenza, sociale è l’economia formata da imprese nelle quali è 68


assicurata la partecipazione democratica di tutti coloro che in esse lavorano, sia al controllo della conduzione degli affari sia alla ripartizione dell’utile di esercizio. Ancora, si riferisce all’autonomia propria della società civile organizzata e, pertanto, alla sua capacità di esprimersi, in forma consona al proprio statuto, anche in ambito prettamente economico. In questo caso Economia sociale sarebbe sinonimo di Terzo settore racchiudendo in sé tutte le imprese senza scopo di lucro (ONP). Il Comitato Economico e Sociale Europeo definisce l’Economia sociale come “l’insieme delle imprese formalmente costituite con autonomia decisionale create per soddisfare i bisogni dei propri membri attraverso la produzione di beni e l’offerta di servizi”. La delimitazione concettuale dell’ES è quella che ritroviamo nella Carta dei Principi dell’economia sociale, promossa dalla Conferenza europea permanente delle cooperative, mutue, associazioni e fondazioni. Tali principi sono: · Prevalenza dell’individuo e dell’obiettivo sociale sul capitale; · Adesione volontaria e aperta; · Controllo democratico da parte dei soci (tranne per le fondazioni dato che non ne hanno); · Combinazione degli interessi utenti/soci e dell’interesse generale; · Difesa e applicazione dei principi di solidarietà e responsabilità. Il primo principio determina le diverse caratteristiche delle organizzazioni che compongono l’economia sociale: la limitata remunerazione del capitale, la distribuzione dei residui tra i lavoratori, i soci o gli utenti sotto forma di ritorni, la creazione di fondi di riserva per lo sviluppo 69


dell’organizzazione e l’impiego degli utili per finalità socialmente rilevanti. Inoltre le attività intraprese nell’ambito dell’economia sociale forniscono servizi ai soci e alla comunità e non sono propriamente finalizzate a ottenere un profitto dai capitali investiti. L’eventuale produzione di un utile può essere la conseguenza dell’attività produttiva o uno strumento per migliorare l’offerta di servizi, ma non è lo scopo dell’attività dell’organizzazione. La necessità di un processo decisionale democratico nasce da uno dei principi essenziali della cooperazione, quello di “una testa, un voto”. Benché tale principio si possa declinare in molti modi esso esclude la regola opposta: quella di un’azione, un voto. In ogni caso il numero di voti a disposizione di ciascun socio, nei più importanti organismi decisionali, è sempre limitato. L’Economia sociale si è affermata, nella società europea, come un polo di utilità sociale, tra il settore capitalistico e quello pubblico, e comprende una pluralità di attori. Il campo di azione sono tutti i bisogni sociali, nuovi e vecchi. Tali bisogni possono venir soddisfatti direttamente dalle persone interessate, mediante il ricorso alle imprese che operano sul mercato, oppure mediante associazioni e fondazioni, che forniscono quasi tutte servizi non commerciali a singoli individui, o a nuclei familiari, e che ottengono la maggior parte delle risorse da donazioni, quote associative ecc. La diversità delle risorse e degli attori, coinvolti nell’organizzazione dell’economia sociale, comporta delle differenze a livello delle dinamiche di comportamento e delle relazioni con l’ambiente circostante. Le imprese sociali sono un ibrido tra organizzazioni di mercato e non e dispongono di una grande varietà di risorse (introiti dal mercato, sovvenzioni pubbliche e volontariato). Quindi il nucleo di identità comune dell’ES emerge da un gruppo vasto ed eterogeneo di entità microeconomiche, a carattere libero e volontario, create 70


dalla società civile per soddisfare, e rispondere, ai bisogni degli individui o dei nuclei familiari, e non per remunerare, o offrire copertura, agli investitori o alle imprese capitaliste: organizzazioni non lucrative. Questo ampio spettro di organismi ha dato forma al terzo settore. Si tratta, in questo caso, di mettere in luce, con la massima precisione possibile, il perché imprese e organizzazioni diverse meritino di essere designate con una denominazione comune, e quali siano le caratteristiche, in base alle quali, possono essere distinte dal settore privato tradizionale e dal settore pubblico. L’approccio normativo riveste un ruolo cruciale, non riducibile a quello di mero complemento dell’approccio giuridicoistituzionale. È infatti necessario evitare di contrapporre le organizzazioni storicamente sedimentate, conformi alle categorie dell’approccio istituzionale, e le realtà del terzo settore sviluppatesi più di recente, che fanno spesso riferimento a valori e pratiche specifiche, più che a date forme giuridiche. Le caratteristiche comuni, ai diversi modelli organizzativi, vanno oggi rintracciate soprattutto nella loro finalità produttiva e in alcune specificità organizzative. Per capire come il tema dell’economia sociale si associ al turismo sociale, e poi alle imprese sociali, è opportuno capire l’utilità di tale economia. Il concetto, infatti, di ES è strettamente connesso al concetto di progresso e coesione sociale. Se l’apporto delle cooperative, associazioni, fondazioni, imprese sociali è sicuramente rilevante, in termini di percentuale di PIL, è altrettanto vero che questo settore presenta un’elevata capacità di generare valore aggiunto sociale. I campi in cui si registra maggiore consenso scientifico, sociale e politico, in termini di valore aggiunto sociale, sono la coesione sociale, l’occupazione, la creazione e il mantenimento del tessuto sociale ed economico, lo sviluppo della democrazia, l’innovazione sociale e lo sviluppo locale. L’ES, però, contribuisce anche 71


ad una più equa distribuzione del reddito e della ricchezza, alla creazione ed erogazione dei servizi assistenziali, allo sviluppo sostenibile, al rafforzamento della democrazia e al miglioramento delle politiche pubbliche (CESE 2007)9. Uno sviluppo straordinario dell’economia sociale si è registrato nel campo delle organizzazioni impegnate nella produzione di beni sociali, ossia, lavoro e integrazione sociale. In questo settore, l’associazionismo e il cooperativismo, hanno trovato un comune cammino di comprensione e collaborazione in numerosi progetti e attività, come nel caso delle imprese sociali. L’Economia sociale è un’economia della conoscenza in quanto pone l’accento sull’apprendimento collettivo, sull’integrazione dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. E’ un’economia di servizi relazionali, per via della produzione congiunta di servizi da parte di produttori e utenti, della mobilitazione dalle parti interessate e dell’importanza che attribuisce all’aspetto relazionale (Gadrey, 2003). E’ un’economia circolare, pioniera nel riciclaggio e nel reimpiego dei materiali (carta, cartone, tessuti ecc) e con un’attività di investimento crescente nel risparmio energetico, nelle fonti di energia rinnovabili, nella costruzione e ristrutturazione ecosostenibile in una prospettiva di produzione decentrata. E proprio in questo periodo di crisi economica e sociale assume il valore aggiunto. Poiché l’ES svolge una funzione anticiclica e innovativa, può contribuire ad una nuova forma, più cooperativa, di regolazione socioeconomica, soprattutto per la sua capacità di combinare sviluppo economico e sociale, piuttosto che considerarli in rapporto gerarchico. In particolare è importante il ruolo delle cosiddette imprese di inserimento, dei centri speciali per l’impiego, delle cooperative 9

“Economia sociale, polo di utilità sociale”

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sociali, nell’integrare gruppi con problemi specifici di occupabilità, come i disabili fisici, psichici o sociali, che a lungo sono stati esclusi dal mercato del lavoro e si trovano in un circolo vizioso, quanto all’integrazione sociale e sul lavoro, finendo spesso emarginati. Inoltre, l’ES, ha contribuito a far emergere un forte settore dei servizi e ad introdurre la parità di genere nel mercato del lavoro europeo. In un contesto di globalizzazione e vulnerabilità territoriale, la capacità di mobilitare potenziale economico endogeno, radicare e consolidare il tessuto imprenditoriale e realizzare collettivamente nuove sinergie, per il generale rilancio delle aree locali, assume rilevanza strategica. In queste condizioni, i vari tipi di cooperative, associazioni e altre imprese sociali, si sono dimostrati valori fondamentali. Infatti, una delle funzioni più evidenti, e importanti, dell’economia sociale, in Europa, è stata quella di contribuire all’inclusione sociale in un contesto di forte esclusione sociale10. Una delle sfide che la società europea ha dovuto affrontare è stata, appunto, la lotta all’esclusione sociale in una società in cui l’integrazione avviene attraverso il lavoro retribuito. Quest’ultimo conferisce indipendenza economica, ma 10

Il termine “esclusione sociale” non ha la stessa rilevanza e storia in tutte le tradizioni intellettuali e linguistiche europee, è divenuto di uso comune a partire dalla fine degli anni novanta. Nella diffusione del termine ha avuto un ruolo importante l’Unione europea che ha sostituito questo termine a quello di povertà. “Esclusione sociale” consente di tenere insieme due interpretazioni della realtà: quello interessato ai diritti sociali e al mantenimento di un’uguaglianza sostanziale nell’accesso a quest’ultimi pur in società segnate da disuguaglianza (si riferisce al mancato accesso a diritti fondamentali) e quello preoccupato dei fenomeni di disintegrazione sociale derivanti dal venir meno di tradizionali meccanismi di integrazione sociale in società che se ne occupano solo a fini di ordine pubblico, questo guarda ai processi che favoriscono o impediscono l’appartenenza a reti sociali e sistemi di identificazione entro una determinata comunità (Nuovo dizionario di Servizio sociale, Carocci).

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anche dignità, partecipazione sociale. Ad essere esclusi sono principalmente i gruppi sociali meno competitivi in termini di capacità, qualifiche o cultura come i disabili fisici o psichici, disoccupati a lungo termine e determinati gruppi minoritari (immigrati, minoranze etniche ecc). Quindi l’ES svolge un ruolo complementare cercando di spianare la strada all’intervento pubblico nell’affrontare problematiche di esclusione sociale ( CIRIEC, 2013 p. 44-47)11. Dopo un breve excursus sull’economia sociale si può intendere come questa includa e integri a sè il terzo settore, le imprese, il no-profit e come ciò abbia aiutato, o cerchi di integrare, il settore pubblico che si avvale del Contracting-out (esternalizzazioni) nell’affrontare problematiche sociali, come una su tutte, l’integrazione sociale. Tuttavia, la domanda che emerge è la seguente: possono il Terzo settore e l’economia sociale includere nella loro tradizionale definizione e approccio ciò che in questo momento storico sono e rappresentano le Imprese sociali? Defourny (2001) afferma che “le imprese sociali sono qualcosa di più di una semplice evoluzione organizzativa del terzo settore non profit o dell’economia sociale, e meritano per questo un’analisi che va al di là di questi due concetti”.

2.5 I principali approcci verso una definizione di Impresa sociale In quasi tutti i Paesi industrializzati è possibile notare una significativa crescita del terzo settore, ossia di tutte quelle 11 “The social economy in the European Union”. Sintesi della relazione elaborata dal Centro internazionale di ricerca e di informazione sull’economia pubblica, sociale e cooperativa (CIRIEC) su richiesta del Comitato economico e sociale europeo.

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iniziative sociali ed economiche che non appartengono né al settore privato for-profit né al settore pubblico. Tali iniziative, si sviluppano, spesso, a partire da organizzazioni di volontariato e possono assumere diverse forme giuridiche. Per molti versi rappresentano una nuova (o una rinnovata) espressione della società civile, in una fase di crisi dell’economia, indebolimento dei legami sociali e crescenti difficoltà dei sistemi pubblici di welfare. Il terzo settore, spesso definito settore non profit o economia sociale, è cresciuto di importanza sino ad assumere un ruolo di spicco nella partnership con le pubbliche amministrazioni. Partecipa all’allocazione delle risorse, producendo beni e servizi pubblici e quasi pubblici. Esercita una funzione ridistributiva, erogando un’ampia gamma di servizi (a titolo gratuito) a soggetti svantaggiati, grazie anche ai contributi di tipo volontario (in termini di donazioni o di lavoro volontario) che molte organizzazioni sono in grado di attivare. Non da ultimo, partecipa alla regolamentazione della vita economica, quando, per esempio, le associazioni o le cooperative sociali sono partner della pubblica amministrazione nel reinserimento lavorativo di persone disoccupate e debolmente qualificate, a rischio di esclusione dal mercato del lavoro. Alla fine degli anni Sessanta, le cooperative di lavoratori e le cosiddette imprese gestite dai lavoratori sono state prese in considerazione anche dalla teoria economica che ha sviluppato lavori, di tipo sia teorico che empirico. Tuttavia, l’idea di un terzo settore a sé stante, comprensivo della maggior parte delle imprese e organizzazioni che non hanno come obiettivo primario il profitto, e non fanno parte del settore pubblico, ha cominciato ad affermarsi a metà degli anni Settanta, quando cominciarono ad aggravarsi i problemi, derivanti dalla crisi 75


economica, e crebbe la consapevolezza dei fallimenti, a cui i soggetti economici tradizionali, quello pubblico e privato for profit, andavano incontro, riattivando l’interesse per le forme di organizzazione economica alternativa (Borzaga e Defourny, 2001 p.7 e 10). Prima di proseguire con l’approfondimento del terzo settore per poi passare alla realtà imprenditoriale (impresa sociale) è opportuno chiarire un ulteriore concetto, oltre a quello già visto di economia sociale: non profit. Il concetto di settore non profit ha profonde radici storiche. Tuttavia è soltanto alla fine del XIX secolo che l’idea di un settore non profit a sé stante ha iniziato effettivamente a prendere forma. Le organizzazioni non profit vengono promosse in questo momento non solo per integrare gli interventi degli enti pubblici, ma anche perché ritenute uno strumento migliore per soddisfare alcuni bisogni collettivi. La definizione di settore non profit non è universalmente condivisa. Una definizione di riferimento è stata elaborata a partire dal 1990 dalla Johns Hopkins University. Seconda tale ricerca il non profit è composto dalle seguenti caratteristiche: · formalizzate, nel senso che hanno un certo grado di istituzionalizzazione, che generalmente presuppone la personalità giuridica; · private, ossia distinte dallo Stato e da tutte le organizzazioni create direttamente da enti pubblici; · dotate di autogoverno, nel senso che devono avere un proprio regolamento interno e dei propri organi decisionali; · non possono distribuire utili ai propri soci, agli amministratori e in generale ai “proprietari”. Questo “vincolo alla non distribuzione degli utili” è centrale in tutta la letteratura sulle 76


organizzazioni non profit; · devono attivare un certo contributo di volontariato, in termini di tempo (lavoro di volontari) e/o di denaro (donatori), e si devono fondare sulla libera e volontaria adesione dei soci. Aver accennato anche al non profit ci permette di avere un quadro più completo per comprendere il perché le imprese sociali, come sostiene Defourny, superano tali concetti per essere qualcosa che va al di là di essi stessi. Stando ad un’altra definizione, questa volta italiana, il terzo settore comprende formazioni sociali diverse. La prima caratteristica riguarda la compresenza di elementi societari e di tratti comunitari: nei primi rientrano gli aspetti strutturali e formali delle organizzazioni, nei secondi i legami di appartenenza e le motivazioni pro sociali soggettive e intersoggettive. Gli aspetti strutturali- organizzativi e quelli motivazionali-culturali sono inscindibilmente intrecciati e concorrono alla definizione dell’identità societaria delle entità di terzo settore. La seconda caratteristica riguarda il complesso di codici simbolici che qualifica le entità afferenti al terzo settore. Tale patrimonio, simbolico, comprende l’oblatività (orienta le relazioni) e l’altruismo, la reciprocità, la fiducia e la solidarietà. La terza riguarda la mission perseguita dalle organizzazioni di terzo settore. Essa concerne l’interlocuzione e la risposta ai bisogni sociali sia delle persone sia delle comunità locali. Tra gli obiettivi societari perseguiti dal terzo settore è inclusa l’assenza di finalità lucrative e di profitto, spesso identificata dalla qualifica di non profit. L’ultima caratteristica concerne le azioni concrete. Le attività realizzate danno origine a beni e servizi peculiari identificabili come beni e servizi relazionali che costituiscono un beneficio per l’intera collettività. Il terzo settore si qualifica a livello 77


societario come un soggetto sociale e rappresenta un universo di fenomeni associativi che si sviluppano per realizzare forme di vita autonome in grado di contribuire a generare e rigenerare relazioni di comunità entro contesti a marcata individualizzazione (Lucia Boccacin, 2013)12.

2.6 Le imprese sociali e l’imprenditorialità sociale In questo paragrafo saranno attraversate le diverse definizioni di impresa sociale, fino a capire le differenze, e se ci sono, tra imprenditorialità sociale e impresa sociale. Il motivo è cercare di capire il punto di vista dell’offerta. Se nel primo capitolo è stato analizzato il turismo sociale nella sua accezione tradizionale (e la domanda), in questo si vuole andare dalla parte dell’offerta, e comprendere se il turismo sociale possa essere considerato in modo innovativo proprio attraverso l’impresa sociale. In Italia è con la legge 118/2005, e con il successivo D.Lgs 115/2006, che viene fornita una definizione specifica delle imprese sociali, intese come “organizzazioni che esercitano in via stabile e principale una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale”. In Italia le trasformazioni del sistema di welfare hanno determinato il moltiplicarsi di enti collettivi, regolati dal Libro I del Codice civile, che, conservando le loro caratteristiche fondamentali, hanno via via esteso il loro campo di attività anche alla produzione e allo scambio di beni e servizi. Poiché l’art. 2082 c.c. definisce imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica, organizzata al 12 “

Nuovo dizionario di servizio sociale”, 2013

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fine della produzione e dello scambio di beni e servizi, si può affermare che tali enti svolgono un’attività di impresa. Un documento europeo del 2011 usa il termina di impresa sociale per indicare diversi tipi di business: quelli per cui l’obiettivo sociale, o societario, del bene comune è la ragione dell’attività commerciale, spesso con alti livelli di innovazione sociale; quelli i cui profitti sono reinvestiti per la realizzazione dell’obiettivo sociale; quelli per cui il modello organizzativo, e il relativo sistema proprietario, riflettono la loro missione, utilizzando i principi della partecipazione democratica e ponendo al centro la giustizia sociale (Flavia Franzoni, una delle 2013)13. Tuttavia, nel contesto nazionale, definizioni maggiormente condivise del concetto di impresa sociale, è quella elaborata da Borzaga (2009) “un soggetto giuridico privato e autonomo (della pubblica amministrazione e da altri soggetti privati), che svolge attività produttive secondo criteri imprenditoriali (continuità, sostenibilità, qualità), ma che persegue, a differenza delle imprese convenzionali, una esplicita finalità sociale che si traduce nella produzione di benefici diretti a favore di una intera comunità o di soggetti svantaggiati. Essa esclude la ricerca del massimo profitto in capo a coloro che apportano il capitale di rischio ed è piuttosto tesa alla ricerca dell’equilibrio tra una giusta remunerazione di almeno una parte dei fattori produttivi e le possibili ricadute a vantaggio di coloro che utilizzano i beni o servizi prodotti. Un’impresa quindi che può coinvolgere nella proprietà e nella gestione più tipologie di stakeholder (dai volontari ai finanziatori), che mantiene forti legami con la comunità territoriale in cui opera e che trae le risorse di cui ha bisogno da una pluralità di fonti: dalla pubblica amministrazione, dalle donazioni di denaro e lavoro, ma anche dal mercato e dalla domanda privata” (Picciotti 2013, p.16). L’impresa sociale 13 “

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è un’organizzazione che fornisce risposte imprenditoriali a bisogni di natura sociale, è un soggetto che si propone di coniugare la dimensione economica, rappresentata dall’approccio imprenditoriale, con la dimensione sociale, relativa alla risoluzione di problematiche che si manifestano nell’ambito di specifici contesti sociali e territoriali. Nel 2011, Borzaga e Fazzi elaborano un’altra definizione di Impresa sociale: “Definendo in modo coerente obiettivi, struttura proprietaria e vincoli, tra cui quello di non distribuzione di utili, essa riesce innanzitutto a superare i problemi creati sia dal fatto di operare come monopolista sia dall’insufficienza e dalla asimmetrica distribuzione delle informazioni. Infatti, non potendo distribuire utili ai proprietari, non ha interesse a sfruttare il potere di mercato e i limiti informativi per ottenere un profitto più elevato. Al tempo stesso, essa può attrarre sia lavoratori, che ne condividono la mission sociale e si impegnano, senza bisogno di costosi controlli e a salari più contenuti di quelli pagati da altre imprese, sia finanziatori che si accontentano di una remunerazione del capitale inferiore a quello di mercato. In taluni casi l’impresa sociale può così riuscire a destinare, una parte del prodotto, a persone che non hanno risorse sufficienti per acquistare i beni, o servizi, ai prezzi di mercato e non sono riconosciute come bisognose dalla pubblica amministrazione. In questo caso l’impresa sociale viene a caratterizzarsi, rispetto alle imprese for-profit, per la sua natura distributiva, cioè distribuisce volontariamente, e sistematicamente, parte del valore prodotto a soggetti che, altrimenti, non potrebbero soddisfare i propri bisogni. L’impresa sociale, pur rimanendo privata, assume così una funzione che la teoria economica tradizionale attribuisce esclusivamente allo Stato, ma con il vantaggio di essere in grado di cogliere con maggiore tempestività i bisogni nuovi o di gruppi, anche piccoli di cittadini”. 80


L’impresa sociale, pur condividendo con le altre organizzazioni del Terzo settore la capacità di essere un catalizzatore di risorse professionali e finanziarie di diversa natura e provenienza, è finalizzata all’organizzazione di fattori della produzione per la realizzazione di beni e servizi, che vengono collocati sul mercato. Quindi, l’aspetto distintivo è quello di operare secondo un approccio imprenditoriale, ovvero seguendo criteri di economicità. Esiste, tuttavia, un’altra definizione che esce dal contesto nazionale, ed è quella elaborata dall’EMES14: “l’impresa può essere definita ed identificata attraverso due distinte dimensioni. La prima è di tipo economico- imprenditoriale e prevede l’esistenza di quattro requisiti quali l’attività di produzione di beni e/o di servizi in forma continuativa, un elevato grado di autonomia, un livello significativo di rischio economico e la presenza di un certo ammontare di forza lavoro retribuita. La seconda è di tipo sociale e considera la presenza di ulteriori cinque caratteristiche, ovvero, la produzione di benefici per la comunità come obiettivo esplicito, un’iniziativa promossa da un gruppo di cittadini, un governo non basato sulla proprietà del capitale, una partecipazione allargata in grado di coinvolgere tutte le persone interessate all’attività e una limitata distribuzione degli utili” (Defourny 2001)15. C’è anche un altro modo di concepire l’Impresa sociale ed è quello proposto da Yunus. Nasce in un contesto del tutto diverso rispetto ai precedenti concetti, poiché caratterizzato 14

Emergence des Enterprises Sociales en Europe. E’ un network europeo di ricerca che aggrega dieci centri universitari e diversi studiosi specializzati sul tema dell’impresa sociale.

15 Citato in “L’impresa sociale per l’innovazione sociale”, Antonio Picciotti, FrancoAngeli, 2013 .

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da forte sottosviluppo economico, con situazioni estese di povertà assoluta, dove è assente, o quasi, ogni forma di Stato sociale, e dove sono molto deboli le limitazioni a comportamenti opportunistici delle imprese private, in particolare delle multinazionali. Yunus ha elaborato due concetti di impresa sociale. Il primo individua, nell’impresa sociale, una nuova forma di impresa che produce beni e servizi utili per la collettività in cui è inserita, senza distribuire utili ai proprietari (un’impresa senza perdite e senza dividendi). Nella seconda accezione, l’impresa sociale si caratterizza per essere posseduta e controllata da persone povere o disagiate che, dall’esistenza dell’impresa, traggono due tipi di vantaggi: la soluzione di un particolare bisogno e gli eventuali dividendi. Questo modo di concepire l’impresa deriva dall’incrocio tra una concezione molto ampia di sociale e una concezione molto restrittiva di impresa (Borzaga e Fazzi 2011, pp 2223). Quindi, come emerso, il concetto di impresa sociale non assume un significato univoco, soprattutto se consideriamo che questo fenomeno è stato originariamente identificato, e ancora oggi definito, con il termine di imprenditorialità sociale. Occorre, allora, analizzare gli approcci che definiscono la distinzione terminologica. Esiste una duplice visione: quella del capitalismo americano (Social entrepreneurship), contraddistinto dalla centralità assegnata all’iniziativa individuale, dal ruolo che l’imprenditorialità riveste quale fattore di cambiamento e innovazione, un’elevata mobilità sociale e dalla rilevanza degli obiettivi di breve termine. In questo caso l’impresa rappresenta solo uno strumento, un mezzo per il perseguimento di determinati obiettivi. Inoltre, l’assenza di politiche pubbliche, determina un maggior orientamento al mercato delle imprese sociali, che si manifesta nell’implementazione di approcci manageriali finalizzati all’acquisizione e alla gestione delle risorse finanziarie 82


aggiuntive, rispetto alle tradizionali donazioni private. Poi, la visione del capitalismo europeo (Social enterprise) in cui le iniziative imprenditoriali assumono una dimensione collettiva, viene attribuita importanza alla condivisione degli obiettivi, e delle decisioni, e prevale un orientamento di lungo periodo. L’impresa può essere considerata una vera e propria comunità, un luogo in cui i processi decisionali permettono il confronto tra i diversi portatori di interessi e la composizione delle conflittualità, generando un elevato valore condiviso. Nei sistemi capitalistici europei, l’attività delle imprese sociali, è spesso supportata da interventi di natura pubblica e viene considerata, nell’ambito delle politiche di welfare predisposte dallo Stato, per fronteggiare situazioni di bisogno o di disagio sociale. L’impresa sociale, come emerge anche dalla definizione dell’EMES, è un fenomeno collettivo sia in termini di destinatari dell’attività realizzata, sia in termini di organizzazione interna. E’ una realtà che nasce dal basso, da principi come la partecipazione e la democraticità. Deve generare profitti che sono strumentali al perseguimento delle finalità sociali. Sull’imprenditorialità sociale esistono due scuole di pensiero: la Earned Income e la Social Innovation. Nella Earned Income, l’imprenditorialità sociale, è riconducibile alla capacità di un’organizzazione non profit di ampliare le attività tradizionalmente svolte e operare direttamente sul mercato, in modo da acquisire nuove e ulteriori risorse finanziarie destinate al sostegno della propria finalità sociale. Le organizzazioni non profit avviano attività di tipo commerciale al fine di generare entrate integrative, rispetto ai finanziamenti pubblici o privati, attraverso attività di fundraising. Questa apertura imprenditoriale, 83


da parte di soggetti che basavano i loro programmi su relazioni di tipo altruistico, determina dei cambiamenti a livello organizzativo con la necessità di internalizzare nuove competenze manageriali. Tuttavia gli utili conseguiti devono essere reinvestiti al perseguimento delle finalità sociali. Nella Social Innovation, l’attenzione è focalizzata sul ruolo dell’imprenditore sociale, colui che determina il cambiamento sociale, con il suo sistema di valori, le sue capacità e la sua creatività. E’ quindi in grado di attivare percorsi di innovazione, e a generare benefici, per un’intera collettività. Possiede una visione imprenditoriale, mediante la quale, riesce ad esplorare nuove opportunità e a costruire delle efficaci soluzioni organizzative. E’ contraddistinto da una volontà e capacità di incidere su situazioni di difficoltà e di disagio sociale, caratteristiche dalle quali deriva una continua tensione all’innovazione. La social innovation ritiene che il cambiamento sociale, non debba avvenire, necessariamente, attraverso configurazioni organizzative esclusivamente non profit. Piuttosto considera che proprio dalle organizzazioni di tipo ibrido (profit-nonprofit-pubblico) vengono fornite soluzioni efficienti, ed efficaci, alle problematiche sociali preesistenti. Esistono ulteriori differenze circa l’attività imprenditoriale: prodotti/servizi offerti, la relazione esistente tra questi, la finalità sociale. Infatti, per l’impresa sociale di derivazione europea, e per le organizzazioni che operano nell’ottica della social innovation, vi è una stretta relazione tra questi aspetti. In sostanza, le attività economiche sono relative alla produzione di prodotti e servizi destinati proprio alla risoluzione (innovativa) di problematiche preesistenti. Secondo l’approccio della Earned Income, l’attività imprenditoriale, rappresenta una fonte di entrata che può anche non presentare alcun collegamento funzionale con 84


la finalità sociale perseguita. La relazione è costituita dalla destinazione delle risorse finanziarie generate, da questa attività, alle finalità sociali tipiche dell’organizzazione non profit. Ancora, è possibile ritrovare differenze in relazione al rischio economico derivante dalle attività imprenditoriali. Di nuovo troviamo Impresa Sociale e Social Innovation, in cui il rischio è costituito dalla destinazione delle risorse all’attività dell’impresa, indipendentemente dalla loro natura. Le risorse impiegate provengono da transazioni di mercato, finanziamenti pubblici, prestazioni fornite dai volontari. Quindi la capacità di combinare queste risorse disponibili, umane e finanziarie, e di finalizzarle all’attività imprenditoriale si configura come rischio economico. Nella Earned Income invece il rischio economico è correlato con la quota di fatturato generale delle attività commerciali. La differenza più rilevante riguarda il sistema di governance, poiché l’impresa sociale, è basata su principi di autonomia gestionale16, partecipazione collettiva democratica dei diversi portatori di interesse, quindi è volta ad esaltare, nell’ambito di una determinata comunità territoriale, la dimensione collettiva e democratica dell’attività economica e imprenditoriale. Al contrario, l’imprenditorialità sociale, può ricondursi ad attività intraprese da soggetti pubblici o imprese private o di diversa natura. In sostanza, nell’impresa sociale la destinazione dei profitti è generalmente sottoposta ad elevate restrizioni. Secondo la scuola della Earned Income, tali risorse, devono essere necessariamente reinvestite nella finalità sociale perseguita dall’organizzazione no profit, mentre, per le iniziative della Social Innovation, è possibile una distribuzione degli utili. Inoltre, le Imprese Sociali tendono ad operare nell’ambito di contesti istituzionali, detenendo 16

Indipendenza da qualsiasi altro soggetto di natura pubblica o privata.

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intensi rapporti di collaborazione con le amministrazioni pubbliche. Queste relazioni inter- organizzative, che si trovano soprattutto nei servizi di welfare, è il risultato di processi di innovazione promossi dalle stesse imprese e sono stati finanziati in prevalenza da risorse pubbliche. Nell’imprenditorialità sociale l’innovazione è favorita, e realizzata, mediante percorsi di crescita delle imprese, avviati in modo autonomo e/o con l’apporto di risorse finanziarie e professionali da parte di alcune fondazioni. Per quanto riguarda la finalità sociale, non esiste differenziazione tra l’impresa sociale e l’imprenditorialità sociale. Entrambe rappresentano iniziative finalizzate al perseguimento di benefici per un’intera comunità, attività dirette alla risoluzione di problematiche, dove in precedenza non c’erano risposte da interlocutori istituzionali oppure non venivano attuate delle soluzione adeguate. Per questo, l’impresa sociale e l’imprenditorialità sociale, generano un nuovo ed elevato valore sociale. In sintesi: l’impresa sociale, intesa secondo la definizione dell’EMES, è caratterizzata da un’attività continuativa, strettamente connessa alla finalità sociale (creazione di valore sociale); le risorse sono assicurate da chi partecipa alle attività dell’impresa; la sua governance è costituita da elevata autonomia, partecipazione collettiva e multistakeholder, democraticità e limitazione alla distribuzione dei profitti; ha un ruolo propulsivo per lo sviluppo di politiche e di legislazioni innovative e un rapporto di co-evoluzione con le politiche pubbliche. L’imprenditorialità sociale assume, come visto, delle caratteristiche differenti in base all’approccio. Con la Earned Income le attività sono la fonte di entrata di natura 86


finanziaria; le risorse sono provenienti dal mercato e il rischio economico è quindi correlato all’entità di tali entrate; la governance prevede ogni tipo di organizzazione, profitti non distribuiti e destinati al perseguimento delle finalità sociali; processi di crescita autonomi e/o supporto finanziario delle fondazioni. Con la social innovation, l’attività, è continuativa e strettamente connessa alla finalità sociale; le risorse assicurate da chi partecipa alle attività dell’impresa; la governance prevede ogni tipo di organizzazione, il ruolo fondamentale dell’imprenditore sociale e la possibilità di distribuzione dei profitti; i processi di crescita sono come nella Earned Income, autonomi o/e a supporto finanziario delle fondazioni. 2.7 Le origini dell’impresa sociale in Italia L’Impresa sociale nasce negli anni ‘80 con la forma giuridica di cooperativa sociale. Prima dello sviluppo dell’impresa sociale, l’Italia presenta una tradizione di organizzazioni non profit legate alle Chiesa e ai servizi bancari e, proprio per questo, il loro intervento è prevalentemente assistenziale. Il loro ruolo è andato poi a diminuire a partire dalla Legge Crispi del Luglio 1980 n. 6972, con l’istituzione delle IPAB (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza)17 e poi con l’estensione dello Stato sociale. 17

Le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza del 17 luglio 1890 n.6972 si propongono di prestare assistenza ai poveri sia in sanità che in malattia e di procurarne l’educazione, l’istruzione, l’avviamento a qualche professione, arte o mestiere o in qualsiasi altro modo il miglioramento morale ed economico. Tuttavia tale legge ha subito molte riforme soprattutto per il contrasto con l’art. 38 della Costituzione. Fino al 2000: il riordino del sistema IPAB a norma dell’art. 10 della L. 8 novembre 2000, n.328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Ciò prevede che le IPAB operino in campo socio-assistenziale nella programmazione regionale dei sistema integrato di interventi e servizi sociale; la possibilità di trasformarle in associazioni o fondazioni di diritto privato; l’applicazione ai soggetti di un regime giuridico privatistico e di forme contrattuali coerenti con la loro autonomia.

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Alla fine degli anni ‘60 inizio anni ‘70 molti gruppi, in un clima di elevata partecipazione, e sulla base dei processi di de istituzionalizzazione, relativi alla progressiva apertura delle strutture pubbliche e l’inclusione sociale, iniziano a dotarsi delle prime forme di organizzazione, per dare continuità a interventi, che rischiano di diventare occasionali. In Italia, infatti, le politiche assistenziali, per oltre un secolo, sono state marginalizzate rispetto ad altre politiche di welfare. Il sistema di politiche assistenziali era basato su poche istituzioni e la gran parte dei servizi di cura era affidata alle famiglie. Il sistema di welfare si stava caratterizzando per una preferenza di trasferimenti monetari e protezione del lavoro dipendente. Quindi, molte cooperative e associazioni, sono state create per garantire servizi che, il sistema pubblico, non forniva o non garantiva. L’ obiettivo delle cooperative e organizzazioni è proprio quello di anticipare e stimolare l’intervento dello Stato sociale, nell’attesa di riconsegnare le esperienze avviate alle Istituzioni pubbliche. Tuttavia, emerge il primo problema: le Istituzioni non riprendono i servizi avviati dalle organizzazioni, le quali, quindi, si trovano a dover garantire continuità del servizio, con tutto quello che comporta, ovvero il reperimento delle risorse necessarie al sostegno dell’attività, e quale forma organizzativa adottare per combinare la finalità sociale e la gestione professionale. La scelta si riversa sulle Cooperative, a cui la Costituzione riconosceva una funzione sociale. L’obiettivo è quello di superare, o differenziare, le nuove cooperative dalle tradizionali. Le nuove vengono definite di solidarietà sociale mantenendo al proprio interno, come soci, anche i volontari, contando soprattutto sulle risorse private, creando la prima forma di Impresa sociale in Europa. Una delle caratteristiche, nelle prime fasi, è quella di aver operato con elevata autonomia finanziaria, e organizzativa, 88


e con contributi pubblici limitati ed occasionali, dovendo coniugare così le attività, di tipo sociale, con quelle produttive finalizzate a generare reddito. Tuttavia, dagli anni ‘80, questa situazione si va a modificare, principalmente per stabilizzare l’attività e fornire un reddito continuativo agli operatori. E’ in questa fase che si sviluppano rapporti più sistematici con le amministrazioni locali, soprattutto attraverso la stipula delle prime convenzioni che sanciscono il passaggio dal contributo al corrispettivo, cioè da una modalità di sostegno occasionale, e non legata ai risultati, a una più vicina a quella caratteristica dei rapporti tra P.A e imprese sociali. Le convenzioni, infatti, garantiscono entrate stabili in cambio di attività sociali. Nell’avviare le convezioni, sicuramente, hanno aiutato i buoni rapporti, spesso personali, con il ceto politico locale. Non si tratta di rapporti di tipo clientelare, ma della consapevolezza dell’efficacia delle nuove iniziative. Ancora oggi, e soprattutto quando queste iniziative riguardano il territorio e la comunità, il dialogo e il sostegno della politica locale è fondamentale, proprio per assicurare continuità e risorse, sicuramente in un contesto di trasparenza e rispetto per le leggi, in particolar modo nel presente periodo, con l’emergere del grave problema della mafia nelle cooperative. Il passaggio decisivo, a creare il primo e vero movimento di carattere nazionale, è stato dato dall’Assemblea nazionale delle cooperative di solidarietà sociale tenutosi ad Assisi nel 1985. Le regioni del Centro, in effetti, riescono a stabilizzarsi attraverso la stipula di convenzioni, soprattutto quelle associate a Legacoop, che fornisce risposte a problemi occupazionali di soggetti deboli, offrendo uno sbocco lavorativo nella produzione dei nascenti servizi sociali. 89


La Legge 381 dell’8 novembre 1991 riconosce e unifica sotto il nome di cooperative sociali le varie cooperative. Ma la cosa più importante, che viene introdotta, è la differenza delle tipologie di cooperativa tipo A che prevede l’erogazione di servizi sociali, socio-sanitari ed educativi e di tipo B, la quale prevede attività diverse quali agricole, industriali, commerciali o di servizi finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. In questo caso è previsto che almeno il 30% dei lavoratori sia costituito da persone svantaggiate, e le cooperative hanno il diritto alla totale esenzione dal pagamento degli oneri contributivi per questi lavoratori. All’art.4 la legge elenca le tipologie di persone da considerarsi svantaggiate: gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti degli istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione. Quindi il 1991 rappresenta un anno di svolta per l’impresa sociale in Italia, poiché, il ruolo di questo provvedimento, esercita un rafforzamento della cooperazione sociale. Non è un punto di arrivo, o un riconoscimento formale, ma un ulteriore driver di sviluppo, il presupposto per l’attivazione di nuovi percorsi di crescita. Tuttavia, coincide con la crisi economica ed è in tale contesto socio-economico che vengono prese ulteriori misure circa lo sviluppo delle imprese sociali. Le Leggi 8 giugno n.142 e 7 agosto n. 241 regolano le modalità di gestione dei servizi pubblici locali (sociali, sanitari ed educativi), prevedendo la possibilità di affidarne la gestione a privati e le prime previsioni, a contenere la spesa pubblica e a razionalizzare i criteri di assunzione nelle pubbliche amministrazioni. L’effetto combinato di queste leggi, ha orientato le amministrazioni locali verso il sostegno sistematico alla produzione di servizi sociali, ed educativi, 90


da parte di soggetti organizzati nelle nuove forme introdotte con la L.266. Questo ha avviato una rapida strutturazione di nuovi mercati sociali, che ha stimolato le cooperative sociali. Inoltre, si verifica un’immissione di operatori specializzati, professionisti non più legati alla religione o al criterio tradizionale assistenziale. Allo stesso tempo cambiano anche i rapporti con gli enti pubblici. Perché la crescita del costo dei servizi, conseguente ai processi di professionalizzazione del lavoro sociale, ha reso necessaria l’introduzione di criteri per selezionare le proposte più efficienti ed economicamente vantaggiose; la moltiplicazione delle cooperative ha portato ad un aumento della trasparenza nei rapporti contrattuali; le riforme degli enti locali e della P.A hanno fatto emergere un nuovo ceto dirigenziale, più autonomo, nei confronti della politica. In questa situazione le relazioni tra pubblico e imprese sono diventate via via meno collaborative (Borzaga 2011, pp. 71-75). Il 2000 è un altro anno cruciale per le imprese sociali e per il settore pubblico. Infatti è di questo anno la Legge quadro 328/2000 che riforma le modalità di offerta dei servizi sociali. La novità di questo testo sta nel tentativo di creare un sistema integrato dei servizi e di fare del piano di zona lo strumento di programmazione dell’offerta a livello territoriale. Tuttavia, la limitatezza delle risorse pubbliche, e i limiti culturali della politica, hanno svuotato alcuni istituti contemplati da tale legge. In particolare quelli che prevedevano la possibilità, da parte delle organizzazioni della società civile, di prendere parte attiva al disegno di programmazione dei servizi a livello locale. Ma è un anno cruciale anche per l’inasprimento della crisi economica, che si è tradotta nel contenimento delle risorse degli enti locali. Nonostante ciò, o forse proprio a causa di tutto questo, le imprese sociali sono aumentate. Infatti, possiamo considerare che, sicuramente, la crisi ha favorito 91


l’emergere di nuovi bisogni da parte della società civile, e ha reso sempre più di centrale importanza l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate. Ha contribuito inoltre, alla diffusione delle imprese, l’insufficienza dell’intervento pubblico in settori come quelli assistenziali. E, nonostante sia ancora importante la relazione tra imprese e pubblico, e che le imprese abbiano ancora bisogno dei finanziamenti pubblici, occorre sottolineare come le imprese sociali stiano aumentando la loro quota di fatturato derivante da rapporti commerciali con i privati e grazie al fattore innovativo di cui sono le principali fautrici. Questa situazione può fare emergere qualche domanda circa il ruolo non-profit delle imprese quando si parla della loro sostenibilità e continuità. Se le finalità sono sociali allo stesso tempo hanno bisogno di risorse economiche che, come detto sopra, dal pubblico tendono solo a diminuire. Riguardo la loro posizione nel mercato, quel mercato protetto con cui si raffiguravano le imprese, risulta ampiamente superato e lo dimostra con tutti quei fenomeni innovatori/emergenti, quali, ad esempio, la figura dell’imprenditore portatore di un approccio più pragmatico e aperto alla gestione delle problematiche sociali. Per molti di loro, il riferimento programmatico e ideale, è dato proprio da parole nuove come ambiente, sviluppo sostenibile, sviluppo locale, termini sconosciuti ai professionisti che gestiscono le attività con l’obiettivo esclusivo di tutelare le persone svantaggiate. Questi nuovi obiettivi si realizzano attraverso iniziative quali le collaborazioni progettuali con amministrazioni e associazioni locali per il recupero, per finalità sociali o comunitarie, di aree rurali marginali o dismesse, la progettazione e commercializzazione di prodotti biologici, in collaborazione con le cooperative del commercio etico e i produttori locali, il turismo sociale con la valorizzazione del territorio (Borzaga-Fazzi, 2011). 92


L’evoluzione, anche legislativa, delle imprese sociali, continua ancora oggi. Tra il 2005 e 2006 sbocciano diverse proposte di legge, fino alla conclusione dell’iter legislativo nel 2011. E’ rilevante la Legge delega n.118 del 2005 e il D.Lgs 155/2006, che introducono, nell’ordinamento giuridico nazionale, la nuova figura di impresa sociale poiché nell’art.1 del D.Lgs 155 vengono definiti i criteri per conseguire il titolo di impresa sociale: “le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del Codice civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale”. Possono quindi acquisire la qualifica di impresa sociale le forme giuridiche previste dal codice civile: le associazioni riconosciute e non, le fondazioni, le società a responsabilità limitata, la società per azioni, le cooperative, le cooperative sociali e i consorzi. La legge da una parte prevede che le forme organizzative, che sono già non profit, si dotino dei requisiti indispensabili per operare come imprese e, dall’altra, che le forme giuridiche che sono già, a tutti gli effetti imprese, adottino il vincolo di non distribuzione di utili e, in caso di scioglimento o trasformazione, di devoluzione del patrimonio a favore delle iniziative a carattere sociale. A tutte è richiesto di garantire la partecipazione di lavoratori e utenti e di redigere e pubblicare il bilancio economico-finanziario e il bilancio sociale. Tale decreto quindi indica una serie ampia di ambiti nei quali le nuove imprese sociali possono operare. Ai tradizionali servizi sociali, socio-educativi e socio-sanitari vengono aggiunti: l’assistenza sanitaria per l’erogazione delle prestazioni essenziali di assistenza; l’educazione, istruzione e formazione (ai sensi della L.28 marzo 2003 n.53); la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; la valorizzazione del patrimonio culturale; il turismo sociale; 93


formazione universitaria e post-universitaria. Viene, inoltre, estesa a tutte le forme di impresa, la possibilità di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate, che include, oltre ai disabili, anche i giovani e disoccupati di lunga durata. Dal punto di vista della governance, viene stabilita la natura multistakeholder dell’impresa sociale, che deve prevedere forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari dell’attività; l’art. 12 del d.lgs 155 sostiene che “devono essere previste forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari dell’attività. Per coinvolgimento si intende qualsiasi meccanismo, informazione, consultazione o partecipazione, mediante il quale i lavoratori e destinatari delle attività possono esercitare un’influenza sulle decisioni che devono essere adottate nell’ambito dell’impresa almeno riguardo le decisioni che incidono direttamente sulle condizioni dei lavoratori e sulla qualità dei beni e servizi prodotti” (Picciotti 2013, p.55).

2.8 Cooperativa sociale o/e impresa sociale Da quanto emerso ripercorrendo i punti legislativi più salienti, sembra che l’impresa sociale sia un fenomeno recente (20052006). In realtà è diffuso e riconducibile all’esperienza delle Cooperative sociali che a partire dagli anni ’70 hanno iniziato a costruire con un rapporto di stretta collaborazione con le P.A i sistemi di welfare locale. Il passaggio è capire perché la cooperativa sociale rappresenti una forma di impresa sociale, poiché esistono diverse considerazioni a riguardo, ad esempio, Borzaga (2012) afferma che “si tratta della forma giuridica che ha tutte le caratteristiche richiamate dal legislatore nella norma più recente e quindi può essere considerata impresa sociale a tutti gli effetti”. Costa e Carini (2012) sostengono che “la cooperativa sociale sia un’impresa di fatto in quanto 94


costituisce la tipologia organizzativa che meglio rappresenta le caratteristiche richiamate dal legislatore nella legge delega 118/2005 e quindi può essere considerata impresa sociale anche se non possiede la qualifica giuridica” (Picciotti 2013, p. 44). Le motivazioni per cui la cooperativa sociale sia un’espressione di impresa sociale possono essere ricondotte a due prospettive: la prima di tipo tassonomico, relativa alla collocazione di questa tipologia di impresa rispetto all’impresa tradizionale e alle organizzazioni non profit; la seconda è riferita alle caratteristiche specifiche che questa impresa assume comparativamente al concetto teorico di impresa sociale. Sotto il primo aspetto le cooperative sociali sono considerate enti non profit al pari, ad esempio, di associazioni, fondazioni, organizzazioni non governative ecc. Questa inclusione è possibile per alcuni connotati specifici della cooperazione sociale, quali il perseguimento dell’interesse generale della comunità, la presenza di soci volontari e l’appartenenza alla compagine sociale, nelle cooperative sociali di inserimento lavorativo, di persone svantaggiate. Queste caratteristiche differenziano la cooperativa sociale rispetto a quella tradizionale perché permettono di configurare un concetto diverso di mutualità. E’ una mutualità allargata in base alla quale la cooperativa non opera solo a favore dei propri soci ma persegue finalità più ampie rappresentate dall’interesse di particolari categorie di persone o di intere comunità territoriali. Si parla di un governo della cooperativa di tipo multistakeholder, un’impresa nella cui struttura di governo siedono i rappresentanti di più classi di portatori di interesse, quindi anche i beneficiari dei beni o servizi prodotti e rappresentanti della comunità locale. Sotto il secondo aspetto, è possibile ritenere che la cooperativa sociale possieda dei requisiti dell’impresa sociale così come definita dall’EMES. E’, in conclusione, possibile 95


ritenere che la cooperativa sociale rappresenti un’esperienza dell’impresa effettiva e concreta di impresa sociale, tuttavia occorre una precisazione concettuale. Le cooperative sociali possono essere considerate imprese sociali in termini sostanziali, infatti presentano le caratteristiche sostanziali che contraddistinguono questo modello di impresa. In Italia il dibattito sull’impresa sociale inizia dalla nascita e sviluppo della cooperazione sociale. La nozione di impresa sociale, come già esposto nel precedente paragrafo, è entrata nel dibattito negli anni ’90 con l’approvazione della legge che ha definito le cooperative sociali. Sotto l’aspetto formale, però, la cooperativa sociale può acquisire la qualifica di impresa sociale (d.lgs 155/2006) se deposita presso il registro delle imprese il bilancio sociale e garantisca, secondo l’art.1218, l’attivazione di forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari delle attività. Quindi è possibile ritenere che le cooperative sociali sono imprese sociali a tutti gli effetti e vengono riconosciute anche formalmente come tali, nel momento in cui, adempiendo ad alcuni obblighi legislativi, richiedono l’acquisizione di questa particolare qualifica giuridica. E’ possibile concludere che negli ultimi anni l’impresa sociale ha attraversato un’evoluzione legislativa e una diffusione sul territorio. Però non mancano dubbi e critiche a questa forma di impresa. Nel prossimo paragrafo vengono affrontate brevemente alcune domande che potrebbero sorgere circa la funzionalità, le criticità e i vantaggi dell’impresa sociale.

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Per un approfondimento dell’articolo si rinvia al precedente paragrafo.

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2.9 Il non profit come risorsa o come soluzione temporanea dei problemi? L’impresa sociale ha l’obiettivo di produrre un bene o un servizio a vantaggio della comunità o di cittadini svantaggiati. Ha, dunque, finalità sociale e prevede la non distribuzione degli utili o, perlomeno, in misura limitata. E’ proprio per questo motivo che non ha interesse a sfruttare l’eventuale potere di mercato e i limiti informativi per ottenere un profitto più elevato. Rimane, comunque, il problema per cui l’impresa necessita di entrate per il proprio funzionamento, di un profitto e di lavoratori. Rispetto ad altre forme di imprese private, o pubbliche, riesce ad attrarre sia lavoratori, retribuiti e volontari, che ne condividono la mission sociale e si impegnano a perseguirla anche con salari contenuti rispetto ad altre imprese, sia finanziatori che si accontentano di una remunerazione del capitale inferiore a quella di mercato. L’impresa, in questo modo, riesce a destinare il prodotto a persone prive di risorse per acquistare beni o servizi, o che non vengono riconosciute come bisognose di aiuto dalla Pubblica Amministrazione. Quindi le imprese possono operare secondo principi allocativi diversi da quelli tipici del mercato. L’impresa sociale è in grado di intercettare e interpretare la domanda proveniente da gruppi di popolazione, ed è più flessibile rispetto ad altre nell’adeguare ad essa l’offerta, introducendo innovazione (Borzaga 2011). Per questo è importante riprendere il concetto, precedentemente esposto, di imprenditore e imprenditorialità in quanto termini che caratterizzano coloro che introducono nuovi rapporti, nuova organizzazione dei processi produttivi per rispondere ai bisogni non soddisfatti. 97


Proprio per i valori che la caratterizzano (giustizia sociale, eguaglianza, emancipazione, integrazione ecc) e la differenziano dal for profit, l’impresa sociale è capace di avvicinare il servizio alle esigenze dei beneficiari e di dare ascolto ai bisogni degli utenti. Tuttavia, può incontrare problemi e diffidenza. Infatti, molti ritengono che siano caratterizzate dal classico limite delle non profit, ovvero conseguire obiettivi di efficienza e quindi affrontare problemi relativamente gravi, soprattutto per il deficit professionale dei lavoratori, poiché non possono garantire gli stessi contratti del pubblico. Hanno salari più bassi, e ciò ridurrebbe l’impegno, e quindi la qualità offerta. In realtà è stato dimostrato che, i lavoratori delle imprese sociali, sono più soddisfatti di quelli del settore pubblico e privato (for profit) perché la loro è una scelta consapevole, dove la gratificazione è intrinseca e non dipende dal salario. Le imprese vengono, spesso, considerate anche organizzazioni poco autonome, soprattutto in contesti, come quello italiano, in cui si sono sviluppate grazie ai finanziamenti pubblici. Se questo è vero, è altrettanto vero che il processo di influenza è reciproco tra Stato e imprese sociali, poiché la rete dei servizi sociali locali risulta dipendente nei modelli di erogazione dei servizi e nell’organizzazione degli interventi, dalle iniziative promosse dalle imprese sociali. Come precedentemente emerso, se si possono affrontare problematiche sociali integrate all’utilizzo di territori, che altrimenti sarebbero abbandonati senza rappresentare una risorsa, è grazie alle imprese sociali e alla loro innovazione data dall’imprenditorialità. Questo permette al settore pubblico di “lasciare” una fetta dei problemi, ai quali non riescono a rispondere, a delle organizzazioni che invece hanno come finalità proprio la risposta a tali esigenze e problematiche. 98


2.10 Il mercato: il consumatore etico e le discontinuità finanziarie Un aspetto che ha favorito, o potrebbe favorire lo sviluppo dell’impresa sociale in Italia, è costituito dal comportamento dei consumatori, emerso negli anni 2000, definito comportamento etico o responsabile. Quali sono i motivi che inducono i consumatori ad assumere un atteggiamento diverso nei confronti delle imprese, quindi ad indirizzarli verso un consumo etico e responsabile? Emerge la categoria di consumatori con una domanda attenta a valutare aspetti che, fino a poco tempo fa, erano completamente sottovalutati nonché ignorati, che indirizza le proprie scelte di acquisto verso quelle imprese che possono garantire maggiore attenzione e sostenibilità sociale e ambientale. Quindi questo consumatore si differenzia perché non è passivo, rispetto all’offerta, ma consapevole e informato, disposto con tale atteggiamento ad influenzare il comportamento delle imprese. Nonostante ciò, esiste ancora la differenza tra chi manifesta l’intenzionalità ad effettuare consumi etici e responsabili, e chi assume effettivamente tale comportamento. Questa dinamica viene definita “gap atteggiamento-comportamento”. Il motivo di tale distanza risiede in una pluralità di fattori, come il prezzo dei prodotti più elevato e il reperimento delle informazioni necessarie per valutare il prodotto. In sostanza rappresenta un fattore di sviluppo delle imprese soprattutto in una prospettiva futura come driver di sviluppo che influenza positivamente le iniziative imprenditoriali caratterizzate da un elevato grado di innovazione (Picciotti, 2013). Le cooperative sociali possono operare in tre tipologie di mercato: il mercato dei prodotti manifatturieri destinati a privati, il mercato dei servizi a favore di clientela privata 99


e il mercato dei servizi a favore di committenza pubblica. Quest’ultimo, solitamente, è ad appannaggio delle cooperative sociali, che operano sia nel settore del servizio socio-sanitari, sia che svolgano attività di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate. Come osservato in precedenza, a partire dalla metà degli anni Novanta, e soprattutto negli anni Duemila, si sono verificati momenti di crisi per le imprese in Italia. Tale situazione è stata determinata da cause riconducibili all’aumento dei costi dei servizi, riduzione della spesa pubblica destinata agli stessi, incremento della numerosità delle organizzazioni del terzo settore sviluppatesi principalmente grazie ai finanziamenti pubblici e divenendo sempre più dipendenti da questi. Allo stesso tempo i tradizionali meccanismi di autoregolazione del settore, come i consorzi territoriali, presentano minore stabilità provocando, di conseguenza, l’emergere di nuovi soggetti competitivi, come cooperative sociali e imprese profit di elevata dimensione, specializzate, in grado di conseguire elevate economia di scala che attivano strategia extraregionali (big players). Una prima condizione da cui dipende il futuro delle imprese sociali è rappresentata dalla domanda pagante e le risorse necessarie all’avvio e allo sviluppo che possono provenire da fonti sia pubbliche che private. La domanda deriva da fonti pubbliche quando l’offerta dei servizi è finanziata dalle P.A, da fonti private quando sono gli utenti a pagare per utilizzare i servizi (sono soggetti privati, individuali o collettivi a mettere a disposizione le risorse finanziarie). La domanda pubblica può tradursi in affidamenti alle imprese in modo diretto o attraverso gare della produzione dei servizi o in concessione agli utenti di buoni spesa e voucher lasciandoli liberi di scegliere da chi acquistare i beni. 100


La domanda privata può assumere le forme del contributo liberale dell’attività o alla costituzione di patrimoni come, ad esempio, le donazioni, messa a disposizione di mezzi finanziari a prezzi contenuti. Sia la provenienza delle risorse sia le modalità con cui i flussi sono governati, hanno impatti diversi sulla gestione delle imprese sociali e sulla loro autonomia economica e organizzativa. Questo ha avuto due effetti: da un lato la progressiva omologazione degli obiettivi e modalità organizzative di molte imprese sociali a quelli delle Pubbliche Amministrazioni e ha costretto le imprese a fare i conti con le politiche di contenimento della spesa pubblica, dall’altro è emersa una forte spinta verso processi di differenziazione, ossia percorsi innovativi. Quindi, per queste imprese, il privato assume rilevanza in contesti in cui le politiche pubbliche sono scarse, o il finanziamento pubblico implica un condizionamento politico esplicito. Tali imprese devono riuscire ad accedere a nuovi mercati. Ciò comporta delle attività a settori di intervento diversi da quelli tradizionali di consumo, quali il consumo etico, la salute e l’istruzione, poiché costituisce lo sviluppo e l’occasione per stringere alleanze tra imprese sociali e produttori interessati a dare valore aggiunto ai prodotti. La creazione di reti/relazioni con il for profit diventa vitale per il consolidamento e la diffusione delle imprese sociali. Questi cambiamenti si configurano come vere e proprie discontinuità, in quanto elementi in grado di modificare gli assetti strategici, organizzativi e competitivi che si sono costituiti nel tempo e hanno permesso la crescita delle imprese sociali. Le attuali trasformazioni non sono contingenti come nel passato, ma andranno a caratterizzare le future traiettorie di sviluppo. Non è una semplice crisi, quanto una discontinuità, il superamento di un paradigma consolidato (dipendenza dai finanziamenti pubblici), dei bisogni tradizionali. 101


A questo punto è necessario che le imprese mantengano o accrescano la loro competitività legata alle innovazioni in modo da affrontare in maniera più efficiente ed efficace specifici problemi. Le imprese operano con finalità sociali attraverso una gestione imprenditoriale, comportando il rischio di scivolare verso l’uno o l’altro versante, per questo devono adottare modelli di governo e organizzativi coerenti con le finalità. E’ importante la governance assunta poiché, nel momento in cui prevale l’esigenza di un portatore di interessi, l’impresa perde le sue caratteristiche distintive. I portatori di interesse devono coincidere con tutti i soggetti, sia che il coinvolgimento sia formale sia informale (progetti comuni, collaborazioni ecc). E’ importante per le imprese considerare la gestione dei rapporti con i lavoratori, retribuiti e volontari, dato che le motivazioni dei lavoratori costituiscono uno dei fattori di successo dell’impresa sociale. La gestione delle risorse umane, e l’individuazione del giusto mix di incentivi, sono strategiche per garantire l’efficacia delle imprese. Tale mix va individuato e garantito nel rispetto delle motivazioni intrinseche ed estrinseche (quali il salario e la soddisfazione della mission). Se la relazione con la politica è fondamentale, l’impresa non deve dimenticarsi della società civile, poiché è proprio il rapporto con questa che permette l’autonomia progettuale, l’attenzione ai problemi di legittimazione sociale, la capacità di attrarre risorse materiali e immateriali. Questo può avvenire attraverso l’apertura dei sistemi di governance e la cura delle relazioni con la comunità. La valorizzazione dei fattori competitivi delle imprese sociali dipende dalla capacità di rendere visibili e accessibili i risultati raggiunti. E’ questo il tema dell’accountability che assume valenza strategica al fine del riconoscimento istituzionale e 102


reale delle imprese sociali. E’ importante perché emerge una discontinuità, anche in questa dimensione, rispetto al passato. Gli assetti competitivi nel settore socio-assistenziale sono modificati dall’affermazione di imprese che hanno intrapreso una crescita su scala inter-regionale e nazionale (soggetti che vengono definiti big players, ossia competitor). Ad un sistema tradizionalmente basato sulla replicabilità di cooperative sociali di piccola dimensione, radicate nei territori di origine, la cui azione veniva supportata da consorzi territoriali, si va sostituendo un nuovo contesto competitivo caratterizzato da una varietà di modelli di impresa, coesistenza di soggetti con assetti organizzativi eterogenei e finalità strategiche etero direzionali (Picciotti, 2013). Queste nuove cooperative sono specializzate, operano in mercati che consentono elevate economie di scala. Oltre a questo si aggiunge un altro fenomeno, quello dell’ingresso nel settore dei servizi socio assistenziali di imprese profit. Tale presenza appare come elemento di novità che può essere determinato dall’aumento della domanda relativa a specifiche attività (gestione delle strutture residenziali per anziani o asili nido). La presenza di queste nuove imprese in contesti presidiati dalla cooperazione sociale e da soggetti del terzo settore provoca l’inasprimento delle condizioni concorrenziali. Ciò testimonia i cambiamenti che stanno avvenendo nel settore socio assistenziale. Oltre a rappresentare un significativo processo di riorganizzazione interno al settore: le cooperative sociali continuano a rappresentare il modello istituzionale d’impresa maggiormente diffuso, le società di capitali assumono un ruolo crescente, mentre i consorzi sono un modello secondario di gestione dei servizi. Viene affermata, nel settore socio assistenziale, una nuova logica competitiva. Le big players perseguono strategie di sviluppo per vie 103


interne evidenziando come tale crescita possa costituire un presupposto per affrontare la competizione settoriale. “Ancora non è possibile stabilire se il perseguimento dell’efficienza economica, che, come più volte affermato, ad oggi è una condizione necessaria per operare nel settore, costituisca un obiettivo raggiungibile solo attraverso una standardizzazione organizzativa e una normalizzazione identitaria o vi possano essere percorsi originali e alternativi per aumentare il livello di efficienza, reinterpretando la matrice valoriale, identitaria e organizzativa delle cooperative sociali. La necessità immediata, sicuramente al momento, è quella di attivare percorsi di riposizionamento strategico in grado di garantire nuovi vantaggi competitivi” (Picciotti 2013, p.90). Proprio ciò che cerca di sostenere questa tesi analizzando il turismo sociale per superare la logica tradizionale, non perché questa fosse sbagliata a priori ma perché non più adatta al nuovo contesto socio economico. Un’accezione innovativa che, come dice Picciotti, possa intraprendere percorsi originali reinterpretando le cooperative sociali.

2.11 Cooperative di comunità Questo momento storico, economico e sociale, come fin qui emerso, è caratterizzato da innovazione che cerca di farsi strada e si manifesta con le imprese sociali. Però c’è anche un altro fenomeno che sta prendendo piede che, in relazione al Turismo sociale, è opportuno accennare: le cooperative di comunità. Le cooperative di comunità riescono a mettere insieme sostenibilità sociale ed ambientale. Devono avere come 104


esplicito obiettivo quello di produrre vantaggi a favore di una comunità alla quale i soci promotori appartengono o eleggono come propria. Questo obiettivo deve essere perseguito attraverso la produzione di beni e servizi per incidere, in modo stabile, su aspetti fondamentali della qualità della vita sociale ed economica. La finalità è di migliorare le condizioni e valorizzare la comunità di riferimento. Queste cooperative rappresentano un fenomeno recente ed è possibile ritrovare in esse le caratteristiche dell’impresa ibrida, ovvero imprese che hanno l’obiettivo di creare un valore sociale ed economico, che reinvestono il profitto per il potenziamento e l’espansione delle attività e sono solo in parte guidate, nelle loro scelte, dalle logiche di mercato. Hanno una mission ampia, poiché cercano di rispondere ai bisogni di una pluralità di soggetti. Trovano risposta non solo gli shareholder ma tutti gli stakeholder. Si tratta di una partecipazione organizzata dei cittadini nella produzione dei propri servizi di welfare. In Italia le imprese di comunità assumono la forma di cooperativa e possono essere definite ibride poiché la mission è estremamente allargata, includendo al suo interno obiettivi diversi (fornire lavoro, creare valore economico e sociale ecc). Le attività sono multisettoriali (turismo, agricoltura, gestione ambientale ecc), partecipata da soggetti diversi (pubblico, privato profit e non profit) e si possono rintracciare fenomeni di co-produzione. La comunità locale ha più di un ruolo. Nasce l’impresa e una buona parte dei suoi membri sono soci e/o lavorano all’interno dell’organizzazione, producendo risultati che vengono reinvestiti in essa e divenendo essa stessa consumatrice. Ad oggi non esiste a livello nazionale un riconoscimento giuridico specifico ma vi è solo la presenza di alcune leggi regionali19. 19

Legacoop 2011 e “Impresa sociale” rivista fondata dal Gruppo Cooperativo CGM.

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Il turismo sociale è innovazione se non lo si considera nella sua accezione più tradizionale, quindi vuol dire inclusione, integrazione, valore sociale poiché accresce le relazioni e il benessere degli individui ma riguarda anche il territorio, la dimensione culturale e ambientale, per questo le cooperative di comunità possono integrare in sé il turismo sociale, per questo parlare di cooperative di comunità vuol dire, come emerso, parlare anche di turismo.

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CAPITOLO 3. DALL’INNOVAZIONE SOCIALE AL CASO DI STUDIO: LA SEMENTE 3.1 Innovazione Sociale A fronte di quanto esplicitato fino ad ora, le difficoltà registrate nell’ambito dei tradizionali sistemi di welfare, come le politiche assistenziali (che per oltre un secolo sono state marginalizzate rispetto ad altre politiche), hanno portato alla creazione di molte cooperative e associazioni, per garantire servizi che, il sistema pubblico, non forniva o non garantiva. L’obiettivo di queste cooperative e organizzazioni è proprio quello di anticipare e stimolare l’intervento dello stato sociale, nell’attesa di riconsegnare le esperienze avviate alle Istituzioni pubbliche che, però, non riprendono tali servizi. La prima difficoltà, quindi, emerge nel momento in cui le istituzioni non riprendono i servizi avviati dalle organizzazioni le quali devono, però, garantire la continuità del servizio, cercando di reperire le risorse. Si ritrovano ad operare con contributi pubblici limitati dovendo coniugare le attività sociali con quelle produttive, finalizzate a generare reddito. Inoltre, le cooperative non si trovano più ad operare all’interno di un mercato protetto, ormai ampiamente superato. E ancora, l’inasprimento della crisi economica, che si è tradotta nel contenimento delle risorse degli enti locali, con conseguente insufficienza dell’intervento pubblico in settori non ritenuti primari come quelli assistenziali. Ciò ha contribuito a far emergere nuovi bisogni da parte della società e la diffusione delle imprese. E, nonostante sia ancora importante la relazione tra imprese e pubblico (e che le imprese abbiano ancora bisogno dei finanziamenti pubblici), occorre sottolineare come le imprese sociali stiano aumentando la loro quota di fatturato derivante sia da rapporti commerciali con i privati sia grazie al fattore innovativo di cui sono le 107


principali fautrici. Per questi motivi l’innovazione sociale assume estrema rilevanza nei processi di sviluppo delle organizzazioni del terzo settore, in particolare delle imprese sociali, divenendo la loro principale strategia per fronteggiare le discontinuità competitive e perseguire una crescita. “Le spinte alla base dell’innovazione si ritrovano in due fattori: nelle difficoltà finanziarie del soggetto pubblico manifestate, non solo con la riduzione delle risorse destinate ai servizi sociali, ma soprattutto nel considerare tali trasferimenti come spesa e non come investimenti destinati a sostenere particolari tipologie di intervento e dinamiche di sviluppo economico locale” (Picciotti 2013, p.95). In questo caso la motivazione a rinnovare è rappresentata, secondo Fazzi (2012), dal ripiegamento verso una concezione assistenziale del welfare, che non riesce a pensare la spesa sociale come un investimento da far fruttare nel tempo attraverso l’attivazione di nuove risorse umane o materiali, ma rimane intrappolata in una prospettiva che assorbe l’intera responsabilità del benessere sociale nella spesa pubblica. L’altro fattore è rintracciabile nella difficoltà, e scarsa efficienza, di attribuire allo Stato, o di delegare al mercato, la gestione delle problematiche e dei relativi servizi di carattere sociale. E’ dunque comprensibile come l’innovazione assuma un ruolo centrale e tale strategia è riassumibile con il concetto di social innovation. Prima di arrivare alla definizione maggiormente condivisa di social innovation è utile, al fine di questo approfondimento, chiarire il termine letterale e se ci sono diverse definizioni di innovazione, attraverso diverse fonti talvolta anche distanti tra loro. · innovare v. tr. [dal lat. innovare, der. di novus «nuovo»] (io innovo, ecc.). Rendere nuovo; è per lo più sinonimo di rinnovare, con uso ristretto a casi particolari. Mutare uno 108


stato di cose, introducendo norme, metodi, sistemi nuovi: un vecchio regolamento in cui ci sarebbe molto da innovare; istituti tradizionali nei quali non c’è speranza di poter innovare gran che; più spesso, introdurre innovazioni in ordinamenti politici o d’altro genere: desiderio, smania, necessità di innovare. Rinnovarsi, riacquistare forza, vigore, efficienza. · innovazióne s. f. [dal lat. tardo innovatio -onis]. L’atto, l’opera di innovare, cioè di introdurre nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di produzione: la nostra società richiede una profonda i., o, al plur., profonde i.; i. politiche, sociali, economiche. Ogni novità, mutamento, trasformazione che modifichi radicalmente o provochi comunque un efficace svecchiamento in un ordinamento politico o sociale, in un metodo di produzione, in una tecnica, ecc.: un’i. felice, ricca di conseguenze e di risultati; le i. sinora introdotte si sono dimostrate insufficienti; proporre, progettare, tentare innovazioni; i. tecnologica; i. organizzativa (in un’azienda); incentivare le i. dei processi produttivi; anche in particolari meccanismi o prodotti dell’industria: nell’ultimo modello sono state apportate interessanti innovazioni (vocabolario Treccani). L’innovazione è la dimensione applicativa di un’invenzione o di una scoperta. Riguarda un processo o un prodotto che garantisce risultati, o benefici, maggiori apportando quindi un progresso sociale, anche se a volte non sempre efficaci, e migliorativi, rispetto a ciò che vanno ad innovare. E’ l’implementazione di un prodotto nuovo, o significativamente migliorato (sia esso un bene o un servizio), o di un processo, un nuovo metodo di marketing o un nuovo metodo organizzativo in ambito di business, luogo di lavoro o relazioni esterne. 109


Fu l’economista austriaco Joseph A. Schumpeter, già nel 1911, ad introdurre la differenza fondamentale tra invenzione, che non necessariamente comporta l’introduzione sul mercato di un nuovo prodotto o processo, e l’innovazione. Con attività di innovazione si intendono tutti i passaggi scientifici, tecnologici, organizzativi, finanziari e commerciali volti all’implementazione dell’innovazione. Alcune attività di innovazione sono esse stesse innovative, altre invece non sono nuove, ma sono necessarie per l’implementazione dell’innovazione, come ad esempio la ricerca e sviluppo non legata ad una specifica innovazione. Il perfezionamento o sviluppo può riguardare un processo di produzione, un servizio, la creazione di un oggetto artistico, una tecnica medica, una melodia, un nuovo tipo di cibo, una logica filosofica o spirituale. L’innovazione non è limitata all’ambito tecnico: l’innovazione esiste in ogni settore. Motore dell’innovazione è l’etica, cioè il desiderio sincero e forte di servire l’uomo (produrre qualcosa di bello e buono); quando questo sentimento è limitato a se stessi, la capacità innovativa risulta minore. Innovatore è colui che riesce a sognare qualcosa di diverso, di migliore per tutti, portandosi oltre quanto compreso finora. L’innovazione ha un riferimento stretto con il mercato economico, cioè con i fruitori del prodotto innovato: se questi non sono sufficientemente evoluti non sono in grado di comprenderla e di apprezzarla. L’innovazione, rendendo il processo migliore, genera maggiore competitività: è il sogno di qualcosa di migliore che si traduce in benessere generale. Sensibilità e attenzione all’innovazione sono la chiave della competitività. L’innovazione in tale ambito è anche una spinta al consumo e quindi alla domanda di beni in grado di stimolare la crescita economica all’interno di un’economia 110


di mercato. Le società quando raggiungono un sufficiente grado di evoluzione, riservano un posto importante all’innovazione nei loro diritti legali, proteggendola con norme adeguate. Anche questo è un elemento di valutazione del grado di sviluppo di un Paese: evoluzione tecnologica e evoluzione culturale sono infatti intimamente connesse. Quando il livello culturale regredisce per ragioni esterne alla società (catastrofi naturali) o sociali (rivoluzioni), declina anche l’innovazione (Wikipedia). L’innovazione è l’introduzione di modalità nuove di progettare, produrre o vendere beni o servizi; significa fondamentalmente creare un cambiamento in meglio dello stato delle cose esistente o, dalla sua etimologia, alterare l’ordine delle cose stabilite per fare cose nuove. Uno degli elementi base perché l’impresa possa aver successo è proprio l’innovazione. Essa, in stretto rapporto interattivo con gli sviluppi della ricerca scientifica e delle conoscenze e quindi con il progresso, è un fattore determinante nella crescita di un Paese. Produce ricchezza e condiziona modelli organizzativi e sociali delle imprese e della società, costringendoli a modificarsi nel tempo. Un imprenditore che vuole avere successo, deve essere in grado di individuare con anticipo, nel proprio settore, e realizzare soluzioni o idee che non esistono ancora, o migliorare quelle che già esistono; deve saper collaborare e comunicare perché innovazione significa anche fare in modo che altri vengano a conoscenza delle nuove idee e desiderino farne parte attraverso la collaborazione (“SardegnaImpresa”, sistemi di impresa sociale). Anche alcuni dei più importanti imprenditori ha seguito la strada dell’innovazione. Steve Jobs: “l’innovazione è ciò che distingue un leader da un follower”. Se non si innova, si 111


è costretti a inseguire. Robert Noyce (co- fondatore Intel): “L’innovazione è tutto. Quando si è in prima linea si riesce a vedere quale sarà la prossima innovazione necessaria. Quando si è dietro, si devono spendere le energie per recuperare terreno”. Non si parla di innovazione in senso strettamente tecnologico. Innovare significa creare un cambiamento (in meglio) dello stato delle cose esistente; o, secondo la sua definizione di base: “far nuovo, alterare l’ordine delle cose stabilite per fare cose nuove” (Beople)20. Quindi, qual è il significato di social innovation? “L’innovazione sociale cerca nuove risposte ai problemi sociali attraverso: l’identificazione e la fornitura di nuovi servizi che migliorano la qualità della vita degli individui e delle comunità; l’individuazione e l’attuazione di nuovi processi di integrazione del mercato del lavoro, nuove competenze, nuovo lavoro e nuove forme di partecipazione, come elementi diversi che contribuiscono a migliorare la posizione delle persone nel mondo del lavoro. L’innovazione sociale può quindi essere vista con il benessere degli individui e delle comunità sia come consumatori e produttori. Gli elementi di questo benessere sono collegati con la loro qualità di vita e di attività. Ovunque compaiono le innovazioni sociali, portano sempre nuove relazioni o processi. L’innovazione sociale è distinta dall’innovazione economica, perché non si tratta di introdurre nuovi tipi di produzione o di sfruttamento di nuovi mercati in sé, ma di soddisfare nuove esigenze non previste dal mercato (anche se i mercati intervengono successivamente) o la creazione di nuovi modi più soddisfacenti di inserimento ossia dare alle persone un posto e un ruolo nella produzione. La distinzione fondamentale è che l’innovazione si occupa 20

Beople è la società punto di riferimento in Italia per il Business Design.

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di migliorare il benessere degli individui e delle comunità attraverso l’occupazione, il consumo e / o la partecipazione, il suo scopo è quello di fornire soluzioni per i problemi individuali e comunitari” (OECD, 2010). Rispetto al modo in cui è stata resa operativa la prospettiva della social innovation esistono diversi contributi: per esempio quelli che sostengono sia social innovation qualsiasi iniziativa volta a fornire nuove risposte a nuovi bisogni, o a bisogni sociali preesistenti, non adeguatamente soddisfatti. Il contenuto specifico dell’innovazione risiede nella capacità di migliorare le condizioni di vita individuali e collettive. In altri casi, l’attenzione è posta sul soggetto in grado di attivare dinamiche di social innovation. Tuttavia, la visione che prevale è quella di attribuire alle imprese sociali che adottano un approccio imprenditoriale, la vocazione e la possibilità di assumere il ruolo di fautori del cambiamento sociale. Tale convinzione deriva dall’assetto istituzionale di queste imprese, da cui emerge un’ideale e spontanea capacità di proporre, avviare e sostenere dinamiche di innovazione sociale. In altri casi ancora, viene sottolineata l’opportunità di adottare un orientamento collettivo alla social innovation, ossia, la necessità che l’azione intrapresa da soggetti autonomi ed indipendenti venga sostenuta da adeguate politiche. Sebbene esista una definizione di social innovation, ed è emerso più volte come questa sia necessaria e attribuibile alle imprese sociali, non è chiaro però cosa si intenda proprio per innovazione nel momento in cui è riferito all’impresa sociale. A tale riguardo esistono due distinte visioni di innovazione: una ha carattere soggettivo, riconducibile alle caratteristiche dell’impresa; l’altra ha carattere oggettivo con riferimento all’oggetto dell’innovazione. Il primo aspetto ritiene che l’innovazione sia lo stesso affermarsi dell’impresa 113


sociale, cioè l’impresa è essa stessa innovazione. Perché l’idea stessa di impresa sociale rappresenta un modo innovativo di concepire la tradizionale organizzazione del terzo settore. L’attenzione nei confronti della dimensione economica e gestionale tipica dell’agire delle imprese sociali costituisce un elemento di rottura e novità rispetto al modello tradizionale. “Si tratta di un’organizzazione privata ma con finalità di interesse collettivo, non lucrativa ma imprenditoriale, orientata alla produzione di beni e servizi a favore di utenti ben definiti ma che genera anche benefici esterni a favore di una molteplicità di soggetti” (Picciotti, 2013 p. 99). L’innovazione è un fenomeno di institution building, ovvero, un modello alternativo alle tradizionali soluzioni. Per il secondo aspetto (oggettivo), l’innovazione assume valenza operativa e si manifesta nella capacità dell’impresa di sviluppare nuovi prodotti e/o processi. Questo tipo di approccio presuppone un comportamento imprenditoriale finalizzato proprio all’introduzione di nuovi output, ossia di nuovi prodotti e processi. Si parla di innovazione dei prodotti quando vi ha la capacità di progettare e gestire nuovi servizi o riorganizzare quelli preesistenti in maniera innovativa. Ciò avviene attraverso la capacità delle imprese di captare e intraprendere i bisogni emergenti dal territorio e di coordinare la pluralità di risorse. Quindi l’innovazione del prodotto è riferita alla capacità di progettare. Riguardo l’innovazione riferita al processo, le imprese hanno l’obiettivo di introdurre pratiche gestionali che vadano ad elevare il livello di efficienza dei servizi. Per questo utilizzano approcci di tipo manageriale. Inoltre l’innovazione di processo viene ricondotta anche al tipo di governance che mira ad un approccio multistakeholder in modo da coinvolgere tutti i 114


portatori di interesse. Questo, in particolare, fa emergere il suo asseto centrato sull’orizzontalità e la partecipazione di interlocutori diversi ai processi decisionali. Per ultimo, l’innovazione di processo è traducibile nella capacità delle imprese di stabilire accordi, creare reti di natura pubblica e privata, importanti soprattutto nella realizzazione di progetti complessi, come nel caso della produzione di nuovi servizi innovativi: turismo sociale, sanità leggera, agricoltura sociale. Tale costruzione di partnership permette anche lo sviluppo economico locale. Le imprese sociali possono seguire diversi modi di innovare. Secondo un’indagine di Fazzi (2012), le innovazioni attuate dalle imprese possono essere sintetizzate in quattro tipologie. · L’innovazione incrementale. Consiste nell’introduzione di miglioramenti nei servizi preesistenti. Non ci sono modifiche nel tipo di utenti o nella composizione dei mercati. Vengono sviluppate nuove pratiche e processi per elevare il livello di efficienza ed efficacia. Solitamente si tratta di cooperative sociali più tradizionali che conservano le caratteristiche originarie della cooperazione, operano nei settori tradizionali di welfare. Il loro ambito di operatività, infatti, è quello locale in quanto hanno stretti rapporti di collaborazione con enti pubblici territoriali e in queste relazioni hanno un’adeguata autonomia progettuale. Allo stesso tempo sono quelle che hanno scontato maggiormente gli effetti della riorganizzazione dei sistemi locali di welfare. · L’innovazione espansiva. E’ costituita dall’ampliamento della scala di attività svolte dall’impresa. Prevede l’ingresso in contesti territoriali in precedenza non presidiati. E’ questo il caso dei big players settoriali. Imprese di grandi dimensioni che hanno intrapreso percorsi di crescita incentrati sullo 115


sviluppo di elevate economie di scala. Sono organizzati da una base di tipo singlestakeholder (solo soci lavoratori) e con competenze specialistiche manageriali di tipo gestionale. · L’innovazione evolutiva. Si differenzia dalle precedenti, perché in questo caso gli utenti dei servizi e l’ambito territoriale rimangono invariati mentre vengono introdotti nuovi servizi e/o nuove modalità di erogazione degli stessi. Lo sviluppo di nuovi servizi avviene in funzione e sulla base dell’evoluzione dei bisogni sociali preesistenti e sulla capacità e competenze dell’impresa che permettono di captare i cambiamenti e organizzare di conseguenza un nuovo e più appropriato sistema di offerta. Le imprese sociali che seguono tale approccio hanno caratteristiche particolari, poiché hanno una tipologia di utenti tradizionali mentre i servizi sono il risultato di processi di sperimentazione, basati su una profonda conoscenza delle problematiche volti a soddisfare nuovi bisogni o ad operare in nuovi settori. Inoltre queste imprese tendono a sviluppare un forte radicamento territoriale che si manifesta nella costruzione di reti quindi capitale sociale e attraverso partnership con altre cooperative sociali e enti pubblici. · L’innovazione totale. Prevede l’introduzione di nuovi servizi e/o nuove modalità organizzative del processo di erogazione. I servizi vengono sviluppati considerando nuove tipologie di utenti e beneficiari ed esplorando nuovi contesti settoriali. Attraverso questo tipo di innovazione le cooperative sociali modificano il loro assetto strategico e organizzativo, però, soprattutto, recuperano il loro ruolo di innovatori promuovendo una trasformazione del sistema di welfare. Le cooperative sociali che utilizzano questo approccio sono quelle che sviluppano le loro attività in nuovi settori di intervento come il Turismo sociale, 116


l’agricoltura sociale ecc, spesso collegate alle problematiche e ai temi dello sviluppo locale. Le imprese hanno saputo attivare processi di ibridazione e di internalizzazione di competenze innovative, derivanti anche da settori economici apparentemente distanti. I risultati che derivano da tale dinamica di innovazione sono costituiti dall’affermazione di un’elevata autonomia progettuale, dalla propensione a sviluppare rapporti collaborativi con gli enti locali e dalla capacità di diversificare le fonti di finanziamento con la riduzione del ruolo dei trasferimenti pubblici. L’innovazione non è solo rispetto alla natura dei cambiamenti introdotti o alle determinanti che generano simili comportamenti da parte delle imprese, ma rappresenta un fatto organizzativo derivante dal cambiamento della base delle conoscenze e di competenze (Picciotti 2013). In conclusione, l’attuale contesto sociale ed economico, in cui si manifestano forti situazioni di crisi dei tradizionali sistemi di welfare, innovare significa, innanzitutto, fornire risposte concrete ai nuovi bisogni sociali. La necessità di identificare nuovi bisogni, costruire nuove reti di servizi e attivare nuove dinamiche di sviluppo economico e sociale. Emerge, quindi, il ruolo delle imprese sociali, di un modello che presenti caratteristiche come la vocazione ad essere un connettore di impulsi e tensioni verso il cambiamento e la capacità di trasformare tali istanze nella costruzione di soluzioni strategiche e organizzative innovative. Ed è proprio in questo modo infatti, attraverso il coordinamento di risorse diverse, provenienti dal pubblico, dal mercato e dalla collettività che l’impresa diventa vero e proprio motore di sviluppo economico e sociale. Innovazione non vuol dire abbandonare il vecchio, il 117


tradizionale, non deve essere intesa come l’innovazione che ha portato alla rivoluzione industriale, ma vuol dire ricercare il benessere, il buono, sviluppando buone prassi. Ripartire proprio dall’origine e cambiare quel processo che fino ad ora ha portato ad una crisi, conservando e non distruggendo, includendo e non escludendo, con conoscenza e consapevolezza. 3.1.1 Qualche esempio L’iniziativa Le Mat21 trae la sua origine a Trieste nel 1985, quando una cooperativa sociale, Il Posto delle Fragole, decide di rilevare e di ristrutturare una pensione per trasformarla in albergo creando occasioni di impiego per persone svantaggiate. Nel 1991, non a caso, viene avviata l’attività dell’Hotel Tritone, la prima esperienza di gestione di un’attività recettiva da parte di una cooperativa sociale. Il contesto, in quegli anni, presenta delle caratteristiche che per certi versi hanno favorito tale iniziativa, infatti, è il periodo della de istituzionalizzazione e a seguire la legge 381, oltre al fatto che l’attività è strettamente legata al territorio. Gli aspetti che caratterizzano questa attività sono in particolare due: la necessità di un’attività che garantisca piena visibilità alle persone coinvolte in modo da ottenere la realizzazione delle loro aspettative. Quindi, l’idea nasce dall’esigenza delle persone coinvolte, perché non si può far fare un lavoro anonimo e impersonale a chi ha problematiche fisiche e psichiche come invece tendeva ad accadere, questo già è un primo elemento innovativo: “le cooperative sociali 21

Le Mat è un marchio di servizio e di prodotto dellʼimpresa sociale per un turismo più responsabile, per un modo di viaggiare e conoscere i territori e le buone pratiche, è un sistema di affiliazione tra imprenditori sociali che operano nel turismo. L’Associazione dei Viaggiatori Le Mat viene costituita nel 2005 per sviluppare un marchio e un prodotto Le Mat, per rendere viaggiabile il lavoro di inclusione ed empowerment degli imprenditori sociali, in Italia e dovunque.

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di tipo b rischiano di essere collocate in un mercato dei lavori semplici mentre le persone svantaggiate per diventare cittadini attivi hanno bisogno di un reddito dignitoso, di accrescere autostima e di un lavoro stimolante” (Redattore sociale, 2004). L’altro aspetto riguarda la progettualità economica, ciò che qualifica la gestione dell’albergo è l’attenzione ai risultati economici secondo un approccio imprenditoriale. La visione della cooperativa sociale di inserimento lavorativo parte dalla piena consapevolezza della complessità che contraddistingue l’attività svolta da tali imprese e che cerca di coniugare e rendere efficienti ed efficaci i cicli produttivi, quello di natura sociale e quello imprenditoriale superando qualsiasi logica assistenziale. L’avvio dell’hotel consegue risultati positivi dimostrando che il settore dell’accoglienza turistica poteva realmente rappresentare un ambito di sviluppo della cooperazione sociale di inserimento lavorativo. A seguito di ciò la cooperativa decide di intraprendere un percorso di crescita con l’idea di poter replicare l’esperienza in altri luoghi. La successiva occasione per sviluppare un percorso di studio e riflessione è rappresentata dalla realizzazione di un progetto europeo nel 2000, nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria Equal. L’iniziativa che presenta è: “Albergo in via dei matti numero 0”. L’obiettivo si traduce nella volontà di confrontarsi con tematiche di rilevanza europea, costruendo reti di collaborazione internazionale, proponendo di promuovere una nuova cultura dell’imprenditorialità. Per la cooperativa Le Mat, lo sviluppo locale assume un ruolo essenziale nell’accoglienza. Ogni singolo associato riesce a predisporre la propria ospitalità perché è parte integrante ed attiva di un determinato territorio. In questo modo vengono offerti, oltre i servizi di una struttura ricettiva anche l’insieme di relazioni e di attività che coinvolgono altri attori del territorio. Non si 119


tratta della partecipazione a network ma della valorizzazione di un vissuto territoriale e nel recupero di alcune chiavi di lettura di un territorio. Quindi la loro attività va oltre la finalità istituzionale ed evolve nella capacità di costruire reti collaborative con soggetti profit, non profit, pubblici e privati, che agiscono per il recupero delle tradizioni locali e la rigenerazione di tessuti imprenditoriali. Altro esempio di questo tipo è rappresentato dall’attività della cooperativa sociale Cadore (in Veneto, 2008), che prevede interventi di sistemazione di strade forestali, il recupero e la ricostruzione di muri a secco, di terrazzamenti e tutto ciò che riguarda la tradizione locale. L’obiettivo di far conoscere e trasmettere ad un elevato numero di persone le conoscenze e le tradizioni locali che ha deciso di entrare nel settore del turismo con l’acquisizione di appartamenti destinati all’accoglienza dei viaggiatori. Il progetto vuole generare valore attraverso uno scambio residenti-viaggiatori che il turismo (lo chiameremmo oggi sociale) rende praticabile. Ancora, anche in Sardegna con la cooperativa sociale San Lorenzo, che svolge attività di inserimento lavorativo. Con questa finalità vengono sviluppati diversi progetti che coinvolgendo direttamente le persone escluse, potrebbero diventare importanti per lo sviluppo economico del territorio. Le attività prevedono la ristrutturazione di un immobile assegnato in comodato d’uso gratuito dal comune per la realizzazione di una struttura ricettiva per portatori d’handicap e il recupero di una tenuta che prevede, nell’ambito del progetto di recupero dei detenuti, la costituzione e conduzione di un’impresa agricola (ciò che oggi si potrebbe chiamare agricoltura sociale). Tutto ciò a dimostrazione del significato che assume per le 120


cooperative sociali lo sviluppo locale, un modo diverso di concepire le relazioni e di far percepire il territorio. Ogni impresa sociale agisce attivamente all’interno del proprio contesto, costruendo relazioni, rafforzando le specificità e vocazioni del proprio territorio, rendendolo in questo modo parte integrante della propria accoglienza turistica (Picciotti, 2013). Un esempio su tutti di ciò è la Cooperativa agricola sociale La Semente riportata in questa tesi come caso di studio.

3.2 La Semente La Semente è una cooperativa sociale agricola che si occupa dal lato sociosanitario di riabilitazione delle persone autistiche. Una cooperativa che ha intrapreso la strada della social innovation intesa nelle sue varie accezioni, in quanto da una parte è un paradigma operativo nuovo, poiché mai l’agricoltura e il sociosanitario erano state insieme per affrontare bisogni, quindi, è un’innovazione metodologica di risposta ai bisogni. Da un’altra parte la novità risiede nella tipologia di bisogni che affronta, perché l’autismo è un bisogno nuovo che si sta presentando con una forza che in passato non aveva. Un’ultima accezione che può emergere è data dall’applicazione del turismo agricolo, inteso come partecipazione attiva da parte di persone svantaggiate al ciclo lavorativo effettivo, portandole a contatto con le persone normodotate convogliando le strade della riabilitazione di persone autistiche con i meccanismi commerciali cooperativi. E’ un centro polifunzionale in cui vengono sviluppati aspetti socio sanitari di impresa sociale e di approccio sistemico al territorio. Partendo, dunque, da una descrizione delle attività della cooperativa, sarà poi 121


l’intervista sottoposta al Direttore dott. Andrea Tittarelli che permetterà di approfondire la scelta dell’impresa sociale di investire risorse e idee nell’agriturismo e, quindi, nel settore del turismo. Prima di proseguire con la descrizione de La Semente è opportuno spendere qualche parola per chi gestisce il Centro ed è il fulcro di tale impresa, senza la quale non ci sarebbe in quanto l’Angsa Umbria Onlus (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici non lucrativa di utilità sociale) promuove l’educazione specializzata, l’assistenza sanitaria e sociale, la ricerca scientifica, la formazione degli operatori, la tutela dei diritti civili a favore delle persone autistiche e con disturbi generalizzati dello sviluppo, affinché sia loro garantito il diritto inalienabile ad una vita libera e tutelata, il più possibile indipendente, nel rispetto della loro dignità e del principio delle pari opportunità. E’ dall’esigenza dei genitori che costituiscono l’associazione che nasce l’interesse e/o la preoccupazione a fare qualcosa in più per garantire servizi e un’autonomia ai propri figli, input di sviluppo del progetto La Semente. Il progetto de La Semente nasce, appunto, dall’esigenza dei genitori dei ragazzi autistici di garantire un futuro dignitoso ai propri figli al termine della percorso scolastico obbligatorio. Quali le prospettive di integrazione sociale? Quali le possibilità occupazionali? Il Centro Diurno, gestito da ANGSA, promuove l’apprendimento di tecniche e metodi per il mantenimento delle abilità acquisite e l’apprendimento di capacità atte all’inserimento lavorativo (L.381/1991), dove vengono utilizzate strategie educativeriabilitative TEACCH (Treatment and Education of Autistic and Related Communication Handicapped Children)22. 22

Programma di stato attivo nel North Carolina dal 1972 o sistema di interventi che comprende attività di ricerca, formazione ed un’organizzazione di servizi che prevede interventi lungo tutto il corso della vita delle persone colpite da Autismo e più in generale da Disturbi Generalizzati dello Sviluppo. Si propone di: modi-

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Con tale approccio si rende reale l’integrazione interistituzionale sancita dalla Legge 328/2000. Il centro riabilitativo semiresidenziale ha come obiettivo primario quello di fornire abilità atte all’inserimento lavorativo di giovani autistici così da realizzare i diritti fondamentali enunciati dalla legge 68 del 12 marzo 1999 23 e da altri ficare l’ambiente in funzione delle esigenze individuali; sviluppare al massimo grado le autonomie del soggetto autistico tramite uno specifico programma individualizzato basato sui punti di forza e sulle abilità emergenti di questi individui; migliorare la qualità di vita del bambino e dei suoi familiari. La sua applicazione in Italia è riconducibile ad un sistema di educazione strutturato. Tra le componenti principali dell’insegnamento strutturato troviamo: l’organizzazione spaziale, ovvero suddivisione degli spazi secondo la loro funzionalità e in maniera tale che siano immediatamente identificabili dal bambino. Avremo quindi una zona-lavoro, un’area gioco tempo-libero, un’area di accoglienza e così via. L’organizzazione dell’attività giornaliera tramite schemi organizzativi della giornata o “agende” che servono al bambino ad anticipare e a visualizzare in toto le attività della giornata, in modo da limitare i problemi di orientamento temporale e di organizzazione e da compensare gli ostacoli del linguaggio ricettivo. Un sistema di lavoro, caratterizzato da un’organizzazione visiva della zona lavoro di modo che il bambino sappia autonomamente come agire, indipendentemente dalla supervisione dell’insegnante. L’organizzazione del compito, ovvero una chiara leggibilità delle modalità di svolgimento dei compiti tramite una particolare disposizione dei materiali che dovranno essere utilizzati in sequenza per il completamento di ogni attività. 23 La presente legge ha come finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. Essa si applica: a) alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile in conformità alla tabella indicativa delle percentuali di invalidità per minorazioni e malattie invalidanti approvata, ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509, dal Ministero della sanità la base della classificazione internazionale delle menomazioni elaborata dalla Organizzazione mondiale della sanità; b) alle persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33 per cento, accertata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL) in base alle disposizioni vigenti; c) alle persone non vedenti o sordomute, di cui alle leggi 27 maggio 1970, n. 382, e successive modificazioni, e 26 maggio 1970, n. 381; d) alle persone invalide di guerra, invalide civili di guerra.

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diversi testi legislativi nazionali ed europei. Il Centro diurno accoglie giovani e adulti con una diagnosi di disturbo dello spettro autistico. La presa in carico avviene attraverso uno specifico iter che prevede innanzitutto la richiesta di inserimento da parte del Servizio psichiatrico territoriale competente per ogni utente. Segue una valutazione iniziale da parte della psichiatra del Gruppo tecnico, un inserimento di prova per verificare l’adeguatezza tra utente e il gruppo degli ospiti e le attività, l’elaborazione e l’attuazione del Progetto Terapeutico Personale e la valutazione di questo. La retta del Servizio è a carico del Servizio Sanitario Regionale come previsto dalla DGR n 1708 del 30/11/2009 e dalla DGR n 406/2005. Il Centro è aperto dal lunedì al sabato per otto ore diurne. Le attività previste riguardano laboratori ergo terapici: di ceramica, di produzione artigianale della carta, di attività di vita domestica, di attività d’ufficio. Vari ambienti nei quali gli utenti possono apprendere abilità propedeutiche all’inserimento lavorativo e al raggiungimento del maggior grado possibile di autonomia personale. Viene attuato un laboratorio espressivo e di drammatizzazione, col quale gli utenti lavorano sulla loro capacità di riconoscere, gestire ed esprimere le loro emozioni; un laboratorio di comunicazione aumentativa alternativa, così da favorire la strutturazione di un linguaggio comunicativo verbale e/o non verbale. Altre attività annesse al centro diurno sono quelle di giardinaggio e motoria. L’attività orticolturale è una disciplina utilizzata in protocolli terapeutici e riabilitativi, la cui peculiarità consiste nell’essere una terapia di sostegno allo sfruttamento armonico delle potenzialità residue e alla promozione di una più definita strutturazione della personalità dell’utente. Tale attività può essere svolta presso il terreno annesso alla struttura. L’attività motoria ha come principale valenza quella di favorire l’acquisizione dell’identità del sé e 124


della maggior autonomia possibile. Le persone affette da autismo percepiscono il proprio corpo come una prigione, un qualcosa che non risponde ai loro comandi limitando così le proprie esperienze. L’attività motoria, favorendo l’acquisizione del proprio corpo, permette quindi anche di realizzare un’integrazione in sé stessi e nel gruppo dei pari. La fattoria sociale, in affiancamento al centro diurno, con attività produttive in campo agricolo, aggiunge, quindi, servizi occupazionali a soggetti autistici, percorsi didattici, turismo sociale, ristorazione e vendita di ortaggi e verdura. Le coltivazioni e gli spazi vengono coltivati da un gruppo misto di lavoratori compresi gli utenti del centro diurno. Viene utilizzato il metodo biologico per garantire protezione ambientale e paesaggistica e processi rispettosi dei valori sociali (lasemente.it). Da quanto riportato nello statuto, l’Associazione prevede l’assemblea dei Soci; il Comitato Direttivo; il Presidente e il Collegio dei Revisori dei Conti. Possono essere associati tutti coloro, persone fisiche, giuridiche, associazioni ed enti, che ne condividono gli scopi. Sono associate tutte le persone fisiche e giuridiche che vengono ammessi dal Comitato Direttivo. Quest’ultimo è investito di tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione inerenti la gestione dell’Associazione ed è composto da un minimo di cinque ad un massimo di ventuno membri e dura in carica tre anni, i suoi membri sono rieleggibili. 3.3 Lo statuto La società cooperativa denominata La Semente Società Cooperativa Agricola Sociale di tipo B, è costituita, con sede nel Comune di Spello. La cooperativa aderisce alla Lega nazionale delle Cooperative e Mutue. La Semente ha lo 125


scopo di perseguire l’interesse generale della comunità, alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini, attraverso l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Scopo della cooperativa è anche quello di fare ottenere ai soci, tramite la gestione in forma associata e con la prestazione della propria attività lavorativa, continuità di occupazione e le migliori condizioni economiche, sociali, professionali. Le attività che la Cooperativa agricola sociale può svolgere, secondo lo statuto, sono le seguenti: · Acquistare o assumere in affitto terreni per coltivarli; · Gestire la raccolta dei prodotti agricoli e zootecnici, curandone la conservazione, provvedendo alla loro trasformazione e vendita, che può essere sia diretta oppure aderendo e partecipando a organismi cooperativi ed associazioni di produttori, che hanno come obiettivo, immediato o futuro, il potenziamento del potere contrattuale dei produttori agricoli, l’eliminazione della rete di intermediazione, la partecipazione diretta sul mercato; · Acquistare immobili e terreni da adibire ad uso conduzione agricola, trasformazione e conservazione dei prodotti o per uso abitazione dei soci; · Gestire allevamenti zootecnici, avicoli ed ogni altro genere di allevamento, necessario per la migliore utilizzazione e remunerazione dei prodotti e sottoprodotti aziendali. La Semente, a tale proposito, si occupa di allevamenti avicoli e di alpaca; · Promuovere il miglioramento tecnico e produttivo della terra e degli allevamenti, avvalendosi di tecnici esperti del settore, a cui affidare la direzione tecnica dell’azienda. La 126


Semente ha assunto un collaboratore esperto in tale settore per avere una guida competente nella gestione della loro coltivazione. · Curare, attraverso le proprie attività, la formazione professionale dei giovani, anche invalidi, promuovendo il recupero dei valori della terra e del suo equilibrio di vita. Questo anche in collaborazione con istituzioni ed enti scolastici, pubblici e privati, aventi tali funzioni o scopi a livello sia regionale, nazionale e dell’Unione Europea; · La cooperativa può svolgere, in collaborazione con enti pubblici, fondazioni o privati, attività di ricerca e di divulgazione tecnica, economica e sociale; · Stimolare lo spirito di previdenza e di risparmio dei soci, istituendo una sezione di attività, per la raccolta di prestiti limitata ai soli soci, effettuata esclusivamente per portare avanti gli scopi dello Statuto. Può richiedere ed utilizzare le provviste disposte dall’Unione Europea, dallo Stato, dalla Regione, dagli Enti locali o organismi pubblici o privati interessati allo sviluppo della cooperazione; · Gestire l’amministrazione, l’organizzazione dei servizi, la ricezione turistica e la promozione dell’offerta turistica; · Gestire attività di ristorazione, quali ristoranti, mense, catering; · Attuare iniziative tendenti a realizzare attività produttive nel settore della bio-edilizia e dell’artigianato, con conseguente lavorazione, confezionamento e vendita della merce prodotta; · Svolgere l’attività di fattoria didattica, ossia accoglienza ed educazione di gruppi scolastici e offerta di opportunità volte 127


alla conoscenza delle attività dell’azienda; · Svolgere l’attività di fattoria sociale, ossia lo svolgimento di attività produttiva in modo integrato con l’offerta di servizi culturali, educativi, assistenziali, formativi ed occupazionali a vantaggio di soggetti deboli, in collaborazione con istituzioni pubbliche e con il vasto mondo del terzo settore; · Promuovere e realizzare iniziative culturali, eventi, seminari, convegni, dibattiti, tavole rotonde, workshop, reti di lavoro e di scambio informativo. Le attività elencate sono quelle principali svolte da La Semente. Tuttavia, lo statuto riporta altre attività, quali quelle di conservazione, smaltimento e riciclaggio di rifiuti solidi urbani e di ogni altro tipo di rifiuti; la produzione e vendita, nonché la promozione, delle energie generate da fonti che, per la loro caratteristica, si rigenerano o non sono esauribili e il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future. A tale proposito, la cooperativa ha installato pannelli fotovoltaici, e ciò che la caratterizza è proprio la sua attenzione alle risorse e al modo di utilizzo di queste, emergendo come struttura ecologica. Inoltre, gestire maneggi e relative attività di ippoterapia e onoterapia, attività di ricovero animali e pet therapy, e qualunque altra attività, atta a conseguire gli scopi sociali. La cooperativa, stabilisce lo statuto, può compiere tutti gli atti e negozi giuridici necessari, o utili, alla realizzazione degli scopi sociali. Il Titolo III dello statuto de La Semente illustra chi sono i soci, nominandoli ordinari, volontari e speciali. “Possono essere soci tutte le persone fisiche aventi la capacità di agire, ed in particolare coloro che abbiano maturato una capacità professionale nei settori di cui all’oggetto della cooperativa o che comunque possano collaborare al raggiungimento dei 128


fini sociali con la propria attività lavorativa o professionale” (Statuto, allegato “A” al n.260.288/57.328). L’ammissione è finalizzata allo svolgimento effettivo dello scambio mutualistico e all’effettiva partecipazione del socio all’attività economica della cooperativa. Infatti, l’ammissione deve essere coerente con la capacità economica della cooperativa di soddisfare i soci, anche in relazione alle strategie imprenditoriali di medio e lungo termine. Non possono essere soci coloro che esercitano in proprio imprese identiche, o affini, a quella della cooperativa, poiché svolgono un’attività concorrente o in contrasto con quella della cooperativa stessa. Sono, invece, definiti soci volontari coloro che prestano la loro attività gratuitamente così come previsto dall’art. 2 della Legge 381/199124. Possono essere ammesse, come soci della cooperativa, così come previsto dall’art. 11 della Legge 382/1991 “le persone giuridiche pubbliche o private nei cui statuti sia previsto il finanziamento e lo sviluppo delle attività delle cooperative sociali”. Riguardo ai soci speciali, è l’organo amministrativo che delibera l’ammissione di nuovi soci cooperatori in una categoria speciale, in ragione dell’interesse alla loro formazione professionale. Secondo quanto riportato nello statuto, l’organo amministrativo può ammettere alla categoria dei soci speciali coloro che debbano completare o integrare la loro formazione professionale in ragione del perseguimento 24

Art. 2 (Soci volontari) 1. Oltre ai soci previsti dalla normativa vigente, gli statuti delle cooperative sociali possono prevedere la presenza di soci volontari che prestino la loro attività gratuitamente. 2. I soci volontari sono iscritti in un’apposita sezione del libro dei soci. Il loro numero non può superare la metà del numero complessivo dei soci. 3. Ai soci volontari non si applicano i contratti collettivi e le norme di legge in materia di lavoro subordinato ed autonomo, ad eccezione delle norme in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Le prestazioni dei soci volontari possono essere utilizzate in misura complementare e non sostitutiva rispetto ai parametri di impiego di operatori professionali previsti dalle disposizioni vigenti.

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degli scopi sociali ed economici, in coerenza con le strategie, di medio e lungo periodo, della cooperativa. Alla data di scadenza del periodo di formazione, o inserimento, il socio speciale è ammesso a godere dei diritti che spettano agli altri soci cooperatori e, se ha rispettato i doveri inerenti la formazione professionale, conseguendo i livelli qualitativi prestabiliti dalla cooperativa, l’organo amministrativo deve comunicare l’ammissione in qualità di socio ordinario. Nello Statuto, all’art. 17 del titolo IV, si può leggere, inoltre, che i conferimenti dei soci finanziatori sono imputati ad una specifica sezione del capitale sociale della Cooperativa. A tale sezione, del capitale sociale, è imputato il fondo per il potenziamento aziendale costituito con i conferimenti dei soci sovventori. I conferimenti di tali soci possono avere ad oggetto denaro, beni in natura o crediti e sono rappresentati da quote nominative trasferibili del valore minimo di 25 Euro ciascuna. All’art. 24 del titolo VI dello Statuto è esplicato cosa può costituire il patrimonio de La Semente: dal capitale sociale, che è variabile ed è formato da un numero illimitato di quote dei soci cooperatori, dalle quote dei soci finanziatori e dai soci sovventori, destinate al fondo per lo sviluppo tecnologico o alla ristrutturazione o al potenziamento aziendale; dalle quote dei soci finanziatori destinate alla realizzazione di programmi pluriennali di sviluppo ed ammodernamento; dalla riserva legale; dall’eventuale sovrapprezzo formato con le somme versate dai soci; dalla riserva straordinaria; dalle riserve divisibili in favore dei soci finanziatori e da ogni altro fondo di riserva costituito dall’assemblea e/o previsto per legge. La cooperativa può costituire uno o più patrimoni destinati a specifici affari (art. 2447 e ss. del codice civile). L’esercizio sociale va dal primo gennaio al trentuno dicembre di ogni anno, alla fine del quale l’organo amministrativo provvede alla redazione del bilancio. 130


3.4 Rapporti con le istituzioni La cooperativa La Semente costruisce e mantiene rapporti con diverse istituzioni tra cui la Usl e la Regione Umbria. Con la Usl Umbria 225, il rapporto è determinato dalla stipula di una Convezione tra Azienda Usl e la Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici dell’Umbria (ANGSA Umbria Onlus) per l’attivazione di un Progetto per la sperimentazione di un modello di “Centro terapeutico-riabilitativo diurno denominato – appunto – La Semente per l’inserimento lavorativo di soggetti autistici” nel Comune di Spello. Quindi il rapporto tra la Usl e La Semente è per il centro diurno. Le Regioni assicurano, ai sensi del Decreto Legislativo 502/92, livelli essenziali ed uniformi di assistenza, avvalendosi, tra l’altro, di presidi direttamente gestiti dalle Aziende Unità Sanitarie Locali, nonché di strutture private accreditate, nel rispetto degli appositi accordi contrattuali, laddove ritenuto necessario nell’ambito della programmazione annuale di ogni Azienda. Con la Determina n. 760 del 11/02/2011 e n. 5603 del 11/07/2014, adottate dal competente Servizio della Direzione Regionale Sanità e Servizi Sociali Umbria, l’Angsa Umbria Onlus è stata rispettivamente autorizzata e accreditata all’esercizio dell’attività della struttura La Semente destinata al Centro Diurno Psichiatrico per soggetti autistici per un totale di dodici posti. Tale convezione si rinnova poiché, nel corso degli anni, l’evoluzione dei percorsi terapeutico-riabilitativo, collegati alla fattoria sociale, ha dato effettivamente risposte soddisfacenti in termini di occupazione. La convenzione prevede di dare continuità al servizio, una quota pro capite giornaliera, e stabilisce che la collaborazione, con la Usl Umbria, si esprima attraverso il coinvolgimento 25 Ex Asl n.3 Foligno.

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delle professionalità quali: uno psichiatra (per attività di valutazione e verifica dei percorsi individuati), uno psichiatra (per attività di sostegno alle famiglie) e uno psicologo (per attività di supervisione degli operatori). Inoltre, il rapporto, tra Usl e Angsa Umbria, stabilisce l’accesso al centro diurno, l’organizzazione, le prestazioni previste, i requisiti, che il progetto deve seguire, e il tipo di personale, oltre agli aspetti propriamente burocratici quali la sicurezza sul lavoro, la documentazione, l’assicurazione, la privacy dei dati personali. Come già detto, il Centro diurno è volto all’inserimento lavorativo degli ospiti del centro. Riguardo l’accesso alla struttura, l’ammissione avviene su richiesta del responsabile del Centro di Salute Mentale competente per territorio. Le verifiche periodiche del percorso, la dimissione, sono a carico del gruppo tecnico di valutazione composto da professionisti dell’Asl, coinvolti nel progetto, e da due rappresentanti dell’ANGSA Umbria Onlus. Quest’ultima, deve garantire un’organizzazione flessibile nelle ore diurne, basata sulle necessità dei soggetti presi in carico, con copertura nell’intero anno nei giorni feriali dalle 9.00 alle 17.00. Il personale deve essere adeguato ai bisogni degli utenti e al programma terapeutico-riabilitativo, elaborato dal gruppo tecnico in collaborazione con il Centro di Salute Mentale del territorio. Angsa Umbria deve garantire spazi e servizi adeguati alla tipologia degli utenti, oltre al severo rispetto delle norme in materia igienico-sanitaria ed infortunistica. Il centro terapeutico riabilitativo diurno La Semente garantisce prestazioni integrate, personalizzate e offre uno spazio di vita quotidiana, accogliente, aperto, collegato funzionalmente ed operativamente con il sistema dei servizi del territorio di competenza. Quindi le prestazioni sono mirate a garantire una risposta ai bisogni primari, attraverso la cura della persona, la somministrazione di farmaci (a seguito di 132


prescrizione e su indicazione del medico curante) e il controllo nella somministrazione di diete speciali. Garantisce, inoltre, collaborazione alla rilevazione dei bisogni, o condizioni a rischio, dell’utente, con un adeguato aiuto nell’esecuzione delle attività programmate dal Piano di assistenza individuale. La realizzazione di interventi riabilitativi individualizzati volti all’acquisizione di nuove autonomie sul piano funzionale, relazionale e degli apprendimenti. La realizzazione di attività educative, motorie e di riabilitazione sociale, ovvero, aiuto nella vita di relazione, mantenimento dei rapporti con i coetanei, aiuto per la partecipazione ad attività sportive, ricreative, culturali e di animazione. Il mantenimento o potenziamento delle capacità funzionali di base degli utenti rispettando tempi, capacità, esigenze personali. Il supporto educativo e relazionale, individuale e di gruppo. Risulta necessaria la collaborazione nella realizzazione del progetto riabilitativo individuale, elaborato dai Centri di Salute Mentale dell’Azienda, integrandolo anche con professionalità ed attività specifiche, ma anche, interventi atti a favorire un rapporto collaborativo con le famiglie per attuare il programma con una metodologia unitaria. Deve garantire l’utilizzo di strumenti informativi di uso comune nell’azienda per la registrazione di quanto rilevato durante il servizio. Infine, ma non meno importante, deve garantire l’acquisizione di competenze occupazionali al fine di perseguire il maggior grado di indipendenza possibile. L’Angsa è tenuta a trasmettere le informazioni sulle condizioni cliniche degli ospiti secondo il modello previsto dalla Regione Umbria. Le disposizioni circa il personale prevedono che Angsa Umbria si impegni ad impiegare personale sanitario e non sanitario, in possesso delle idonee qualifiche professionali, e con specifica formazione, comprovata attraverso curricula ed attestati di frequenza a corsi di qualificazione specifici. Il Piano di 133


Assistenza Individuale richiede un rapporto operatore/utente pari a uno a uno (1/1), (Convenzione Usl Umbria2, delibera del Direttore Generale n.253 del 19-03-2015). Il rapporto con la Regione è dato, invece, dal contratto di concessione d’uso gratuito all’Angsa dell’edificio e del terreno siti presso Spello. Con il DGR n.1556 del 17/11/08 è stato disposto di trasferire dal patrimonio disponibile al patrimonio indisponibile dell’Ente, per finalità di carattere generale, ed è stata individuata l’Angsa quale soggetto cui affidare, in concessione, l’utilizzo della proprietà immobiliare regionale, in base all’accoglimento della proposta presentata del progetto sperimentale, per la realizzazione del Centro diurno, con l’obiettivo di inserimento lavorativo di giovaniadulti, affetti da sindrome autistica, e la realizzazione, successiva, della Country House a completamento del Centro diurno socio-educativo-riabilitativo. Per questo motivo è stato stipulato il contratto di concessione, d’uso gratuito, delle proprietà immobili per una durata di nove anni rinnovabile. Il soggetto beneficiario è la Società Cooperativa Agricola La Semente, cooperativa sociale di tipo B, per curare e promuovere il recupero dei valori della terra e l’inserimento lavorativo di giovani adulti autistici attraverso le proprie attività di formazione professionale. La finalità, infatti, è l’inserimento lavorativo di giovani adulti autistici per promuovere una continuità riabilitativa finalizzata al potenziamento delle loro abilità proseguendo la formazione dall’età evolutiva all’età adulta favorendo il recupero dei valori della terra e del suo equilibrio di vita. Il contratto prevede, inoltre, che tutti gli oneri relativi alle spese di recupero, delle strutture oggetto della concessione, per le opere da realizzare, sono a totale carico dell’Angsa e della Soc. Coop. Agricola La Semente e sono a totale carico delle concessionarie (in maniera solidale) tutti gli oneri, accessori e non, anche 134


di natura fiscale e/o tributaria, che gravano o che dovessero gravare a seguito degli interventi sui beni immobili. Le concessionarie devono mantenere l’immobile nelle normali condizioni di manutenzione in modo che, al termine del periodo della concessione, questo risulti in uno stato di uso compatibile con la natura e la destinazione del bene, fermo restando gli interventi eventualmente realizzati.

3.5 Intervista al Direttore della Cooperativa Il fine principale dell’intervista rivolta al dott. Andrea Tittarelli, direttore della cooperativa, è stato quello di comprendere le motivazioni per cui, un’impresa sociale, decide di orientare la sua attività al turismo sociale. Di seguito si riportano le domande e le risposte rielaborate cercando di evidenziare, soprattutto, l’interesse della cooperativa sociale verso azioni di sviluppo di pratiche di turismo sociale. R (ricercatore): La Semente, in quanto impresa sociale, segue l’approccio della social innovation? I (intervistato): Inizierei definendo cosa si intende, per La Semente, social innovation. La semente è social innovation perché mette insieme settori, tradizionalmente distinti, quali l’agricoltura e i servizi socio-sanitari in risposta ai nuovi bisogni. Nasce come cooperativa agricola sociale e mette insieme il servizio socio sanitario, rappresentato dal centro diurno per l’accoglienza delle persone affette da autismo, con la pratica dell’agricoltura. Questa è un’innovazione metodologica di risposta ai bisogni e, in questo, La Semente, è sicuramente una realtà dedita alla social innovation. R: La Semente può essere definita un’impresa non profit o un 135


ibrido tra profit, non profit e pubblico? I: La Semente può essere definita un ibrido tra profit e non profit. L’anima non profit è costituita dal centro diurno in cui ogni costo è coperto dalla convenzione con la Usl 2. E’ non profit perché l’attività non ha fini commerciali. La componente profit è rappresentata dalla fattoria sociale, in quanto il ricorso al mercato è al 100%. Ogni prodotto viene infatti venduto e il ricavato è finalizzato sempre al mantenimento e sviluppo della cooperativa. Per il momento la componente di ibrido con il pubblico non esiste perché non vi è nessun progetto che coinvolga l’ente pubblico. R: Il profit però è essenziale per mantenere la struttura o no? I: Ne La Semente è presente il centro diurno, la fattoria sociale e l’agriturismo. La struttura del centro diurno viene finanziata tramite convenzione con la Usl. Dunque non necessita di ricorso al profit. La fattoria sociale ricorre al profit così come l’agriturismo. La componente profit dell’attività commerciale non viene utilizzata per massimizzare il profitto, ma per coprire i costi della produzione stessa. Il profitto è lo strumento per dare sostenibilità economica alla compagine sociale. R: Qual è la motivazione che vi ha spinto verso al realizzazione di un agriturismo? I: Abbiamo analizzato il contesto in cui operiamo, l’ambiente che ci circonda e le risorse a nostra disposizione. Dopo un’osservazione delle esperienze di inserimento lavorativo, e di avviamento al lavoro per persone autistiche, abbiamo capito che lavorare in un ambiente rurale era fondamentale, perché le mansioni da svolgere sono semplici, sono reiterabili e c’è una aderenza forte ai cicli naturali. Per una persona affetta 136


da autismo è importante avere punti di riferimento come quelli citati. Abbiamo analizzato il contesto in cui è ubicata La Semente. Siamo vicini ad Assisi e dunque ad una zona fortemente turistica. Abbiamo unito i vari fattori (prodotti agricoli, inserimento lavorativo, mansioni semplici, attività che produca utili da reinvestire e sostenere la cooperativa, zona turistica, componente sociale) e abbiamo concordato un’attività che possa rispondere alle nostre necessità, ovvero, ampliare il profitto per garantire continuità ai servizi già presenti. L’agriturismo è sembrata la scelta più opportuna, anche perché più ricettiva. R: Da chi è nata questa necessità? I: La necessità è nata dall’Angsa (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici) e da La Semente. Dall’Angsa e dunque dalle famiglie, che hanno casi di autismo al loro interno, e che partecipano all’attività della cooperativa, con la richiesta di un’attività che possa inserire i soggetti nella comunità e nel lavoro. Da La Semente per rispondere a queste richieste. Creare una struttura ricettiva adeguata all’inserimento dei soggetti autistici e che fosse in grado di dare profitto e sostenibilità. R: E’ stato subito deciso di orientare l’attività dell’agriturismo al turismo sociale? I: L’idea dell’agriturismo nasce come tale. Sviluppandolo, lo abbiamo integrato a concetti di turismo sociale, perché l’obiettivo è l’inclusione sociale, l’attenzione all’ambiente, il fare esperienza. E questi sono componenti del turismo sociale. R: Qual è quindi il valore che La Semente dà al termine sociale? I: Per noi sociale è, innanzitutto, inclusione. Infatti la struttura 137


deve essere accessibile a tutti. Useremo attenzione affinché gli ospiti dell’agriturismo non siano solo persone affette da patologie, perché mettendo insieme, ad esempio, più soggetti autistici si potrebbero accendere negativamente a vicenda. E’ una forma di garanzia, sia per la famiglia normodotata sia per la famiglia che ha il soggetto al proprio interno. Sociale per noi è esperienza. Esperienza è stare sul campo, vivere a contatto con la terra, fare volontariato all’interno del centro diurno, conoscere realtà non sempre disponibili (per esempio come funziona un centro socio-riabilitativo, chi è una persona autistica), toccare con mano. R: Quale significato del termine sociale La Semente affianca a quello di turismo? I: Come detto, affiancare l’esperienza turistica con una forte componente sociale, cioè permettere al visitatore un’inclusione sociale. Sociale come rispetto del nostro mondo, tutela del nostro habitat. Sociale come cultura esperienziale, dando l’opportunità di fare volontariato dentro al centro diurno. Comprensione ed esperienza. Come se il turismo, in questo caso, avesse un’anima contaminata dallo spirito sociale. R: Perché il settore del turismo sociale può interessare le imprese sociali? I: Riprendiamo i concetti già espressi in altre risposte. In primo luogo, come detto, il turismo sociale abbraccia concetti come tutela dell’ambiente, fautore economico e coesione sociale, diritto alla vacanza, accessibilità economica alla pratica turistica al maggior numero di persone, non discriminazione e cosi via. L’impresa sociale, da parte sua, rappresenta, con le sue funzioni, una risposta ai bisogni della collettività, caratterizzata dalla sua produzione di beni e servizi 138


di utilità sociale diretta a realizzare finalità di interesse generale e del suo lato imprenditoriale. Dunque, il turismo sociale è, innanzitutto, un occasione di business integrato con il settore sociale. La valorizzazione, dell’aspetto sociale, può contribuire ad arricchire la proposta turistica di un territorio, soprattutto, con una vocazione turistica non particolarmente evidente. Nel nostro caso, La Semente, nasce in un contesto particolarmente positivo a livello turistico, ma è tramite il turismo sociale che si può sviluppare un interesse sul proprio territorio, acquisendo caratteristiche che la differenziano e la elevano a livello attrattivo. R: Quali attività prevedete per sviluppare il vostro agriturismo? I: Vorrei rispondere ad ampio respiro. Il percorso burocratico è stato assolto, infatti, siamo già un agriturismo iscritto all’albo. Per la promozione della nostra attività pensiamo di utilizzare soprattutto canali online. I social media potranno aiutarci nel mirare la nostra azione di promozione, personalizzandola. Utilizzeremo inoltre canali di comunicazione tradizionali, sfruttando la funzione sociale dell’Angsa (Associazione Nazionale Genitori di Soggetti Autistici) che potrà fare veicolare la nostra azione da un ambito nazionale fino ad uno più locale. Per quanto riguarda l’aspetto più gestionale abbiamo del personale che possiamo già utilizzare: un cuoco, che è un socio volontario, due operai agricoli, che hanno delle mansioni secondarie dentro l’agriturismo, come la pulizia, ed in ultimo un segretario, che sarà dipendente stipendiato part time a tempo indeterminato, che curerà gli aspetti amministrativi. L’agriturismo avrà un’apertura annuale. La cucina verrà utilizzata anche per conto terzi, dunque con la possibilità di fare catering esterni, cene sociali, rassegne enogastronomiche e, cosa recente, sto prendendo accordi con le aziende circostanti per le pause 139


pranzo. R: Pensate di coinvolgere i vostri utenti del Centro diurno? Se si, come? Se no, perché? I: I ragazzi del centro diurno, teoricamente, non possono fare prestazioni lavorative, perché sarebbe come se la cooperativa sfruttasse il lavoro di persone che sono qui dentro per un ciclo riabilitativo. Saranno coinvolti i due ragazzi soci della cooperativa e impiegati in sala e nella sistemazione delle camere. Queste sono già attività previste nel centro diurno, quindi i ragazzi sanno cosa devono fare. R: Quali relazioni avete con le istituzioni locali e con le altre cooperative? I: La Semente ha rapporti con la Asl locale, per quanto concerne il centro diurno. La convenzione prevede di dare continuità al servizio, una quota pro capite giornaliera, e stabilisce che la collaborazione, con la Asl Umbria, si esprima attraverso il coinvolgimento delle professionalità quali: uno psichiatra (per attività di valutazione e verifica dei percorsi individuati), uno psichiatra (per attività di sostegno alle famiglie) e uno psicologo (per attività di supervisione degli operatori). Inoltre stabilisce l’accesso al centro diurno, l’organizzazione, le prestazioni previste, i requisiti, che il progetto deve seguire, e il tipo di personale, oltre agli aspetti propriamente burocratici quali la sicurezza sul lavoro, la documentazione, l’assicurazione, la privacy dei dati personali. Con la Regione Umbria il rapporto è limitato alla sola stipula, e rinnovo, del contratto di comodato d’uso gratuito per la proprietà dove esercita la cooperativa. Abbiamo Relazione proficue anche con il comune di Spello. Stipuliamo convenzioni con le amministrazioni locali per i lavoratori socialmente utili utilizzando il progetto garanzia 140


giovani. Abbiamo dei rapporti con l’Arci, con il carcere, con altri enti. Con le altre cooperative invece condividiamo le attività del forum agricoltura sociale. Tale rete è stata creata in visione di una dimensione multistakeholder al cui interno la responsabilità dei processi decisionali è assegnata a più portatori di interessi, con la finalità di una governante che possa aumentare l’efficienza e l’efficacia dell’agire d’impresa. Dovremo potenziare maggiormente la collaborazione con altre aziende agricole per l’acquisto dei prodotti agricoli perché la nostra produzione non è sufficiente. Ci confronteremo solo con aziende che rispetteranno alcuni standard di attenzione ambientale, attenzione al biologico, alla lavorazione secondo principi biodinamici e che seguono le regole della responsabilità sociale. Abbiamo infine una convenzione con il banco alimentare, contro lo spreco del cibo, per cui ritiriamo, una volta al mese, cibo secco e fresco che va a far parte della dispensa dell’agriturismo.

3.6 Considerazioni conclusive Al termine dell’intervista con il dott. Andrea Tittarelli emerge come l’impresa sociale debba fare ricorso al mercato anche attraverso un’attività turistica. Occorre, di fondo, sempre una prospettiva imprenditoriale se si vuole raggiungere lo scopo, anche se sociale. La Semente espande questa idea, integrando le varie anime presenti nella struttura, perseguendo una social innovation. Social innovation vuol dire creare nuove risposte ai problemi sociali, soddisfare nuove esigenze non ancora previste dal mercato. E questo non è possibile con le sole risorse pubbliche, proprio perché, come spiegato nel precedente capitolo, tendono a diminuire. La Semente si trova ad essere un ibrido tra profit, con la fattoria sociale (ove il 141


ricorso al mercato è al 100%), e non profit con il centro diurno, ove è completamente assente la dimensione di mercato. Il profitto non è massimizzato, è strumento di sostenibilità economica senza il quale le imprese non potrebbero garantire il servizio. Da ciò emerge che l’idea di sociale esce dai confini puramente assistenziali e di non profit tradotto erroneamente in assenza di profitto. Ed è uscendo da tale ottica che una cooperativa non profit può, e talvolta deve, essere un ibrido con il profit, perché è in questo modo che può rispondere ai nuovi bisogni sociali. Questo è ciò che fa La Semente quando integra a sé dimensioni apparentemente lontane tra loro come il servizio sociosanitario, l’agricoltura e il turismo. Mettendo insieme l’anima sociale con quella imprenditoriale, esce da uno schema predefinito che ormai non porta evoluzioni, soprattutto nel sistema di welfare pubblico, caratterizzato da una crisi di risorse, e risponde ai nuovi bisogni. Il turismo, in questo caso il turismo sociale, è l’ennesima dimostrazione di come non profit e profit, guidate da una visione imprenditoriale, possono percorrere insieme una strada che permette innovazione. Di come inclusione sociale, relazioni, ambiente, sostenibilità possano far parte di un’unica rosa che compone l’evoluzione delle imprese sociali. In questo La Semente è esempio perché ha dato dimostrazione di come sia possibile unire l’anima sociale con il mercato, come l’una non escluda l’altra ma, anzi, possono diventare risorsa reciproca. Lo stesso turismo sociale, in questo modo, esce da una prospettiva essenzialmente assistenzialista, perseguendo valori quali l’inclusione sociale, la tutela dell’ambiente e la sua valorizzazione, l’importanza dell’esperienza come reciprocità e resilienza, che possono essere raggiunti solo attraverso una visione innovativa del fenomeno e non come qualcosa di secondario e di caritatevole. Il turismo, e ancor più il turismo sociale, parte svantaggiato o, addirittura, non può 142


essere concepito in un territorio che non abbia attrattività? Il turismo sociale, per le imprese sociali, è sicuramente un’occasione di business di cui hanno bisogno, poiché devono, attraverso la loro presenza sul mercato (quindi con attività profit), garantire continuità al servizio. E’ anche l’opportunità di diffondere buone prassi attraverso l’esperienza di tutela dell’ambiente, il confronto tra persone, esperienze personali ed umane e valorizzazione del territorio. Tuttavia, le imprese, non sempre hanno l’opportunità di svilupparsi in un territorio turistico. Ed è in questo caso che subentra un importante aspetto del turismo sociale: è in grado di rendere visibili luoghi che altrimenti non lo sarebbero e farli conoscere, renderli attrattivi per l’esperienza che propongono. E’ l’esperienza che diventa attrattiva. Da questa intervista sembra che La Semente abbia pensato inizialmente ad un agriturismo, ma ciò che fa e i valori che attribuisce al turismo, e all’idea del progetto, rientrano nel turismo sociale, collegato all’innovazione. L’innovazione sociale, de La Semente, si ha quando si dà valore all’inclusione sociale con la possibilità di inserimento lavorativo per i ragazzi autistici del centro diurno; quando si afferma che gli obiettivi sono il confronto tra persone diverse, quando si pensa all’esperienza e alla tutela dell’ambiente. E’ in questo modo che vengono oltrepassati i confini dell’assistenzialismo. La domanda cambia perché emergono nuovi bisogni, ai quali servono risposte, non più tradizionali, alle quali è in grado di rispondere l’impresa sociale, che rappresenta un’offerta capace di mettere insieme aspetti, che fino ad ora, sono stati considerati distanti tra loro. Il turismo sociale rientra nel lato dell’offerta che è in grado di rispondere ai nuovi bisogni. Non è solo garanzia di un diritto, ma è capitale sociale, bene relazionale, in una sola parola, cambiamento. E le imprese sociali, attraverso l’innovazione sociale, riescono a raggiungere il cambiamento. La domanda 143


di fondo che accompagna questo lavoro è se le imprese sociali possano fare turismo sociale. E’ possibile affermare che le imprese possono fare turismo sociale. Possono perché hanno un assetto da cui emerge un’ideale e spontanea capacità di proporre, avviare e sostenere dinamiche di innovazione sociale, attraverso cui danno risposte innovative ai problemi, e questo riguarda anche il turismo sociale, perché quella che sembra solo una vacanza, in realtà, ha effetti positivi a livello fisico, mentale e relazionale delle persone, tale per cui può riuscire a risollevare le situazioni di svantaggio delle persone.

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CONCLUSIONI Il turismo sociale nasce dalla necessità di affermare un diritto: il diritto alla vacanza e al tempo libero. Il turismo sociale è la garanzia, per tutti, di vivere l’esperienza di una vacanza, che assume connotati diversi dal turismo di massa, perché ha l’obiettivo di coinvolgere persone che, a causa della loro disabilità, o particolari necessità, ne sarebbero escluse. Può essere considerato, il turismo sociale, risorsa proprio per questo motivo. Perché è accessibile alla maggioranza delle persone, garantendo esperienza, conoscenza, confronto. Fattori importanti affinché le persone possano considerarsi incluse all’interno di processi di socializzazione (primaria e secondaria), mediante i quali, l’individuo, si colloca nel sistema di ruoli, nella stratificazione sociale, nell’articolazione in gruppi e, quindi, nei micro e macrosistemi sociali (famiglia, vicinato, gruppo dei pari, mercato del lavoro, cultura, territorio, genere, appartenenze etniche ecc) e possano in questo modo creare capitale sociale e beni relazionali. Tutto ciò contribuisce a rafforzare, nelle persone, la propria capacità di resilienza, ossia, svilupparsi positivamente nonostante le difficili condizioni di vita quotidiana. Ma è anche risorsa per il territorio, poiché, il turismo sociale, non coinvolge esclusivamente le zone già turisticamente attive ma anche zone che solitamente non sono considerate attrattive turistiche, procurando un vantaggio per l’intera comunità locale. Negli ultimi decenni si sta affermando una maggiore consapevolezza sull’importanza nell’uso del tempo libero, un bisogno che, però, non sempre trova risposta da parte del sistema di welfare pubblico. Per tale motivo un nuovo stimolo proviene dall’impresa sociale: “un’organizzazione privata, ma con finalità di interesse collettivo, non lucrativa 145


ma imprenditoriale, orientata alla produzione di beni e servizi a favore di utenti ben definiti, ma che genera anche benefici esterni a favore di una molteplicità di soggetti” (Picciotti 2013, p. 99). Questa definizione aiuta a comprendere il motivo per cui l’impresa sociale possa fare turismo sociale. Questo ha una finalità di interesse collettivo, attuato con una logica imprenditoriale, per generare benefici a favore di una molteplicità di soggetti, ad un’intera comunità locale. Infatti, con il turismo sociale, attuato dall’impresa sociale, si ha uno sviluppo diretto sulla comunità locale, data dalla valorizzazione del territorio e dall’inserimento di persone svantaggiate nel ciclo produttivo del luogo. Questi sono anche i motivi per cui occorre parlare di impresa sociale associata alla social innovation. Come emerso dal presente lavoro, un aspetto significativo, è rappresentato dal ruolo che l’impresa sociale assume nell’attivazione di dinamiche di innovazione sociale. Un’innovazione che è il risultato di un atteggiamento, di una condotta strategica, di una progettualità. E’ l’impresa che, con le sue decisioni e i suoi comportamenti, costruisce contesti di innovazione. E’ qui che la vera social innovation fa la differenza. Perché l’impresa è in grado di identificare i bisogni delle persone e della comunità, analizza quali sono le barriere della domanda, ovvero ciò che impedisce ai potenziali beneficiari di usufruire dei servizi, individua dei partner per la costruzione di un network per recuperare tutte le competenze che le occorrono per il soddisfacimento dei nuovi bisogni sociali. Grazie all’unione di diverse competenze, alla capacità di stabilire relazione con la comunità locale (ma anche con istituzioni e altre imprese in un’ottica interorganizzativa), può procedere alla trasformazione del bisogno in domanda effettiva, per giungere al conseguimento dei risultati, con la conseguente redistribuzione dei benefici, nell’ambito locale, per l’avvio di nuovi progetti finalizzati allo sviluppo locale. 146


La social innovation ritiene che, il cambiamento sociale, non debba avvenire, necessariamente, attraverso configurazioni organizzative esclusivamente non profit. Considera, piuttosto, che proprio dalle organizzazioni di tipo ibrido (profitnonprofit-pubblico) vengano fornite soluzioni efficienti, ed efficaci, alle problematiche sociali preesistenti. In questo contesto, La Semente, rappresenta l’esempio di un’impresa che ha un progetto non statico, sempre in evoluzione, pronto a riprogettarsi, ossia a valutare, attraverso un’analisi swot, le opportunità, i vantaggi, i punti di debolezza e le minacce, per orientare al meglio la propria attività. Per questo si avvale di un nuovo metodo di progettazione: il social business model innovation. Un metodo per definire le modalità attraverso le quali si perviene ad una creazione di valore, sia economico che sociale. E’ un’impresa orientata alla social innovation, poiché in grado di mettere insieme servizi sociosanitari e agricoltura sociale, che ha saputo individuare i punti di forza del contesto territoriale in cui opera e che ha intuito le potenzialità nello sviluppo del turismo sociale. La Semente non ha, inizialmente, individuato l’agriturismo come attività per il turismo sociale, ma solo in un secondo momento ha compreso il ruolo sociale che, tale attività, poteva portare ai destinatari delle azioni della cooperativa. L’impresa sociale non può essere considerata come un soggetto in grado di favorire lo sviluppo locale solo attraverso servizi sociosanitariassistenziali (o solo attraverso l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate) in un ottica esclusivamente di welfare. Questo è solo un modo indiretto di sviluppo locale. L’impresa sociale può determinare lo sviluppo locale in modo diretto, svolgendo attività che possano innescare nuove logiche di cambiamento e diventare un volano per lo sviluppo. Questo è l’obiettivo che La Semente ha fatto proprio.

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Emerge dal lavoro come i temi dell’innovazione sociale, dell’impresa sociale, del turismo, possano, in un’ottica integrata, dare risposte ai nuovi bisogni sociali connessi all’organizzazione del tempo libero, anche di persone diversamente abili o con particolari necessità. Il turismo sociale è certamente tema molto più attuale ora rispetto al 1948, quando la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ha riconosciuto, ad ognuno, il diritto al riposo e allo svago. Oggi, il turismo e il settore sociale, sono fortemente legati tra di loro. Il turismo può supportare un welfare indebolito cercando di contribuire alla piena realizzazione dell’individuo come persona e come cittadino. Questa è l’ottica in grado di modificare una prospettiva esclusivamente assistenzialista, in cui l’importante è assistere la persona e non creare un cambiamento, ad una che ha come priorità il cambiamento nella persona e nel contesto circostante ad essa. Parlare di turismo sociale vuol dire investire nelle persone intese, non solo come individui, ma come cittadini. Perché ciò vuol dire investire nello sviluppo economico, sociale e culturale di un territorio. Il sociale è fine a sé stesso quando è assistenziale. E’ a beneficio di un’intera comunità quando si esce da tale prospettiva e si pensa ad una rete di persone, al legame persona-ambiente, persona-ambiente-sviluppo. Per tali motivi il turismo sociale non deve essere, ad oggi, definito e associato ad assistenziale. La prospettiva con il quale ci si approccia ad esso, come dimostrato da La Semente stessa, è innovazione, è connubio di principi, concetti, termini tradizionalmente pensati lontani tra loro. In conclusione, relegare il turismo sociale ad una semplice funzione di assistenzialismo, dove i soggetti vengono portati, per un tempo limitato, in una nota località turistica, al solo scopo di sollevare momentaneamente i familiari dalle cure 148


giornaliere, e non riconoscergli i grandi vantaggi che porta, come momento di integrazione sociale e come opportunitĂ anche economica, è un grave errore di valutazione. I fallimenti del welfare e i successi delle aziende, che stanno applicando quanto sopra scritto, possono contribuire all’affermazione di un nuovo turismo sociale.

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SITOLOGIA http://www.beople.it, è la società punto di riferimento in Italia per il Business Design. http://www.formez.it http://www.sardegnaimpresa.it, sistemi di impresa sociale. http://www.specialeautismo.it http://www.treccani.it http:// www.unical.it http://www.wikipedia.it

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Ringraziamenti A La Semente un grazie particolare, per avermi permesso di fare l’esperienza del tirocinio all’interno della loro struttura. Un’opportunità che mi ha consentito di conoscere una nuova realtà ma, soprattutto, di crescere. E grazie per avermi seguito in questo percorso fino alla tesi, con il vostro contributo dell’intervista. Grazie, in particolare, al direttore Andrea Tittarelli che mi ha insegnato molto in questo ambito. Grazie alla Professoressa Paola De Salvo che, con la sua guida autorevole e attenta, mi ha seguita e accompagnata in quello che, forse per uno studente, è il traguardo più importante della vita, il trampolino per lanciarsi nel mondo. Grazie alla Prof.ssa Fiorella Giacalone e alla Dott.ssa Flavia Baldassarri che mi hanno permesso di conoscere, attraverso il loro impegno universitario, nuovi ambiti di studio e interesse, mostrandomi una nuova strada. Grazie ai miei genitori che mi hanno permesso di raggiungere questo traguardo e mi hanno sempre supportata. Grazie a mio fratello che è l’esempio che ho sempre seguito, indicandomi il percorso nel migliore dei modi. Grazie a Simone che non mi ha mai lasciato la mano e sempre mi ha incoraggiata: “non si vince facendo passeggiate. I vincitori vincono spingendo il limite, finché il limite diventa la norma. E’ così che nascono i campioni”. Grazie a Stefania, la mia personal trainer emotiva, un punto di riferimento, una persona speciale, che mi sta facendo crescere come persona. 158


Grazie a Giulia A., Irene e Giulia T. con le quali, dopo tanti anni di condivisione di ansia, studio, esami e risate, mi aspetta un lungo viaggio per la vita. Grazie ad Angela e Caterina, le coinquiline che nessuno vorrebbe avere, ma che, per me, sono speciali e che molte volte, quando “tutto va storto�, loro sono riuscite a strapparmi un sorriso.

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