sociale
Quaderni del volontariato 2
Edizione 2020
Cesvol Centro Servizi Volontariato Umbria Sede legale: Via Campo di Marte n. 9 06124 Perugia tel 075 5271976 www.cesvolumbria.org editoriasocialepg@cesvolumbria.org
Edizione gennaio 2020 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono Stampa Digital Editor - Umbertide Per le riproduzioni fotografiche, grafiche e citazioni giornalistiche appartenenti alla proprietà di terzi, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire. E’ vietata la riproduzione, anche parziale e ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzato.
ISBN 9788831491006
I QUADERNI DEL VOLONTARIATO UN VIAGGIO NEL MONDO DEL SOCIALE PER COMUNICARE IL BENE I valori positivi, le buone notizie, il bene che opera nel mondo ha bisogno di chi abbia il coraggio di aprire gli occhi per vederlo, le orecchie e il cuore per imparare a sentirlo e aiutare gli altri a riconoscerlo. Il bene va diffuso ed è necessario che i comportamenti ispirati a quei valori siano raccontati. Ci sono tanti modi per raccontare l’impegno e la cittadinanza attiva. Anche chi opera nel volontariato e nell’associazionismo è ormai pienamente consapevole della potenza e della varietà dei mezzi di comunicazione che il nuovo sistema dei media propone. Il Cesvol ha in un certo senso aderito ai nuovi linguaggi del web ma non ha mai dimenticato quelle modalità di trasmissione della conoscenza e dell’informazione che sembrano comunque aver retto all’urto dei nuovi media. Tra queste la scrittura e, per riflesso, la lettura dei libri di carta. Scrivere un libro per un autore è come un atto di generosa donazione di contenuti. Leggerlo è una risposta al proprio bisogno di vivere il mondo attraverso l’anima, le parole, i segni di un altro. Intraprendendo la lettura di un libro, il lettore comincia una nuova avventura con se stesso, dove il libro viene ospitato nel proprio vissuto quotidiano, viene accolto in spazi privati, sul comodino accanto al letto, per diventare un amico prezioso che, lontano dal fracasso del quotidiano, sussurra all’orecchio parole cariche di significati e di valore. Ad un libro ci si affeziona. Con il tempo diventa come un maglione che indossavamo in stagioni passate e del quale cerchiamo di privarcene più tardi possibile. Diventa come altri grandi segni che provengono dal passato recente o più antico, per consegnarci insegnamenti e visioni. Quelle visioni che i cari autori di questa collana hanno voluto donare al lettore affinché sapesse di loro, delle vite che hanno incrociato, dei sorrisi cui non hanno saputo rinunciare. Gli autori di questi testi, e di 3
tutti quelli che dal 2006 hanno contribuito ad arricchire la Biblioteca del Cesvol, hanno fatto una scelta coraggiosa perché hanno pensato di testimoniare la propria esperienza, al di là di qualsiasi tipo di conformismo e disillusione Il Cesvol propone la Collana dei Quaderni del Volontariato per contribuire alla diffusione e valorizzazione della cittadinanza attiva e dei suoi protagonisti attraverso la pubblicazione di storie, racconti e quant’altro consenta a quel mondo di emergere e di rappresentarsi, con consapevolezza, al popolo dei lettori e degli appassionati. Un modo di trasmettere saperi e conoscenza così antico e consolidato nel passato dall’apparire, oggi, estremamente innovativo. Salvatore Fabrizio Cesvol Umbria
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GENS VIBIA Premio Letterario Nazionale XVII Edizione - 2019 1° Premio PIAGHE D’AMORE Silloge di 60 Poesie Ricordi, sogni, speranze d’amore come le piaghe, non guariscono
di Rodolfo Vettorello
Associazione Culturale Pegaso
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a tutti gli amori della mia vita
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PREFAZIONE a cura di Marina Pratici Nell’esile canzoniere -sei, quasi sette, canzoni- di Jaufré Rudel c’è un componimento che è, forse, la più bella dichiarazione d’amore mai scritta: Nessuno deve stupirsi se/ L’amore mio non si vedrà/ Perché nel cuore felicità/ Mi dà colei che mai fu con me. Amore lontano, inafferrabile ed ineluttabile, fine e principio, razo en si del comporre stesso. Per chi cantava il memorabile trovatore, uomo molto nobile, principe di Blaia (così, di lui, l’anonimo provenzale autore della Vita), che si fece crociato e si mise in mare? Per chi cantava, a maggio quando i giorni sono lunghi, allietato da un canto d’uccelli lontano? Forse per Maria, la Madre per eccellenza, forse per Odierna, la celebrata contessa di Tripoli sulla quale tanto si è favoleggiato, forse per Eleonora d’Aquitania, moglie infelicissima, prima, di Luigi VII e, dopo, di Enrico II Plantageneto, passata alla storia ed alla fantasia come Alienor, regina dei poeti. Forse. Probabilmente, per non dire certamente, l’amor de lonh , vicino ma imprendibile, lontano ma raggiungibile, di Jaufré è la poesia. Amante, sorella, madre, figlia, sposa. Poesia. E per chi compone oggi Rodolfo Vettorello, coinvolgente come mai in precedenza in questa nuova ed innamoratamente compiuta silloge, se non per quel brivido lungo/ che ha nome poesia? Piaghe d’amore porta inequivocabilmente le stimmate -le piaghe- dell’amore per la poesia che, in illimitato volo, sa farsi poesia d’amore. E l’amore, considerato e declinato in tutte le sue versioni attraverso il caleidoscopio dell’ avventura umana, viene descritto nella sua immagine più vera, duellante 9
fra eros e thanatos, fra philìa e neikos. L’amore nei differenti registri di quest’ottimo Poeta, meritatamente pluripremiato e plaudito dalla critica di settore, è realtà-simbolo, materiaemozione, allegoria, parabola, platea di varianti e di disuguaglianze, apertura all’inconosciuto, al mutante, al trasformante. È amore. Geometrico, I miei pensieri e i tuoi, due righe pari,/ due raggi che s’innalzano da luoghi/ così lontani/ per incontrarsi in questa volta buia,/ nel punto esatto dove adesso brilla/ la stella che scegliamo per sognare…Le strade parallele vanno verso/ le immense praterie dell’universo,/ i cuori amanti si raggiungeranno/ nel punto più lontano dell’immenso (Amori paralleli, catturante lirica d’apertura), ed inquieto, Noi due chi siamo?/ Noi siamo come/ uno strumento strano (Concerto di una nota sola, emozionale e vibrante). È amore. Timido, quasi cortese, Lungamente ho sperato di udirlo/ il suo nome e sognato/ trattenerle per poco la mano (La sconosciuta, breve ed intensa), e sensualissimo, E passerà da te, dalla tua bocca/ alla mia bocca/ dolce di mimosa/ la tua saliva come un rivo d’acqua (Favola barocca, dove “Lei” è fata e fiore dalle labbra di corallo). È amore. Sororale, Ti ripenso al mattino/ che prepari il caffè con la moka/ e mi insegui sull’uscio/ con la tazza di latte che scotta (Ali di seta), e flagellante, So che stanotte tu/ farai l’amore,/ lo dicono per te non le parole/ ma gli occhi che ti brillano di perle;/ lo dice la tua voce che si impiglia/ per reti trasparenti di silenzi (Il cuore piange sangue, dove la gioiosa consapevolezza della carne - bella immagine di Giuseppe Conte - diviene desiderio inevaso, esaltante tormento). È amore che soffonde e sovrasta, estendendosi a luoghi, 10
strade, cose, trasfigurati e rinnovati dai colori e dagli odori, dai dinieghi e dai dispieghi di questa “Donna”, luce prima del mattino, capace di donare sogni d’impossibile, in svelamento di un mondo ignoto/ dove si vive dentro un incantesimo. Il tutto, sempre e comunque, sapientemente controllato, incanalato, guidato per quel sentiero vasto dove il balbettio del cuore si alza e si sostanzia a farsi, irrinunciabilmente, Poesia. E Vettorello, raffinato cultore e frequentatore assiduo del grado massimo della metrica, l’endecasillabo, “gioca” questa volta con il verso, lasciandolo talora andare in libertà. Gioca, intarsiando il suo bel canto con settenari ovvero con altri versi brevi, sostituendo il prediletto endecasillabo- che pure resta fondante- con soluzioni felici di ipometro o di ipermetro. Gioca, con perfetta padronanza e finezza lessicale, come si gioca con l’amata, per sedurre, conquistare, possedere. Seducendo, conquistando, possedendo. Sul versante stilistico, meritano una sottolineatura l’accurata attenzione a particolari minimi che sostengono e rafforzano, con maestria scenica, l’impalcatura compositiva, le modulazioni foniche, la tensione al recupero di rari accenti e sensazioni, la preziosità tonale lievitante di evocazione. E poi, timbratura inconfondibile, quella lievità di tocco, quella musicalità costante e naturalissima, così agilmente accolta, frutto di sedimentazione e di riflessione specchiante (non a caso, si è partiti da Rudel: l’impareggiabile trovatore scrive in una lingua, la lingua d’oc o antico provenzale, che è la più armoniosa di cui si conservi memoria. Il rimando è chiaro). Che della poesia -e dell’amore- è magico trasfigurativo, atto creativo, arte e mistero. 11
Filippo Tommaso Martinetti, poeta quasi suo malgrado (e per questo poeta davvero), non ha avuto timore alcuno nel sostenere: L’amore, guinzaglio immenso, ossessione romantica e voluttà, non è altro che un’invenzione dei poeti, i quali la regalano all’umanità. Continui allora, un Poeta sublime quale è Rodolfo Vettorello, ad inventare. Sarà ancora amore, sarà ancora poesia. Alfabeto di pronuncia nuova. Ed eterna.
Marina Pratici Poetessa, Critico Letterario, editoriale, operatrice culturale 12
giornalista,
responsabile
AMORI PARALLELI La geometria euclidea lo sa spiegare quel che succede a due distinte linee complanari e parallele d’incontrarsi in un punto all’infinito. I miei pensieri e i tuoi, due righe pari, due raggi che s’innalzano da luoghi così lontani per incontrasi in questa volta buia, nel punto esatto dove adesso brilla la stella che scegliamo per sognare. Noi due lontani e i miei pensieri e i tuoi così vicini. Se innalzerò le mani, sarà come toccare le tue mani. Se un po’ di luce pioverà dall’alto ti accenderà negli occhi una scintilla, così la voglia grande di baciarti mi obbligherà a inseguirti. Si sta vicini a volte per ferirsi, si sta lontani solo per cercarsi. Le strade parallele vanno verso le immense praterie dell’universo, i cuori amanti si raggiungeranno nel punto più lontano dell’immenso.
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COME UN DELFINO, IL CUORE Alla mia età perversa, come una malattia che passa, si dice sia l’amore e se non passa muore, nella laguna rossa del sangue di mattanza, come un delfino, il cuore. Il condannato che ha finito l’aria avrà per dono l’ultima iniezione. La fiala che mi spetta: un po’ d’amore. Non mi ha dimenticato, la sorella. Lascia partire tanti nel silenzio, in una notte, un sonno come un sogno o in un tamponamento d’autostrada. Non fa così con me, mi vuole vivo e desto. Mi regala il sorriso di una donna, le sue parole dolci a carezzarmi, la pioggia di cristalli, se mi guarda. Mi vuole folle e innamorato, la sorella, come un delfino dentro la tonnara che vede la compagna dissanguarsi. Perché più grande sia la pena, devo patire, più del mio dolore, l’andare via dell’ultima d’amore dolce speranza. Ed è così che muore 14
nella laguna rossa del sangue di mattanza, come un delfino il cuore.
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SERA AI NAVIGLI Non si trova un posteggio in via Vigévano: tutto è cambiato e niente è come un tempo, io solo, forse, sono un po’ lo stesso e tu nella vetrina come un fantasma pallido riflesso. Se tu tornassi ancora sui Navigli anche stasera tornerei a cercarti. Mi sporgerei dal ponte della Ripa per cogliere la luna che si specchia nell’acqua verde e offrirtela in regalo. Mi affaccerei alle trine a mezza altezza del ristorante d’angolo che sai poi resterei sull’uscio ad aspettarti. Una bistecca con insalatina e un po’ di vino rosso per scaldarsi e poi di corsa per la scala a chiocciola a conquistare un briciolo di cielo, come i ragazzi. Come noi a vent’anni. Se si tornasse ancora sui Navigli la luna forse ancora là, la stessa e il ponte in ferro e il ristorante d’angolo ed i negozi della vecchia strada. La nostalgia che accende il batticuore apre la porta al sogno di quegli anni e il suo rimpianto è bello come amare. Ancora quattro passi e i miei pensieri a farmi compagnia se m’incammino. La luna è spenta e trema come ieri la luce dei lampioni della Dàrsena. 16
LA SCONOSCIUTA Non so bene come abbia saputo sostenere per tanto il suo sguardo mentre osserva tranquilla aspettando paziente il suo turno. Lungamente ho sperato di udirlo il suo nome e sognato trattenerle per poco la mano. Non mi abbiano spero tradito i miei poveri occhi lucenti. Sono un vecchio ma non ho solo sogni innocenti
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FAVOLA BAROCCA A primavera s’aprono a Venezia ciglia corolla e labbra di corallo, e mani che accarezzano nell’aria le note di una musica barocca. La vecchia merlettaia di Burano ricama al davanzale sui canali e i gridi che si inseguono di rondini incidono nel cielo pallidissimo le rotte, per l’oriente, delle navi. Schiuma di sale e mare che ribolle contro i “murazzi” lunghi a Pellestrina. Barocco lo sciacquio contro gli scogli. Barocca la fontana della piazza, da mille bocche versa la sua gioia sognando che trabocchi di gorgògli. Tritoni e ninfe nudi, in abbandono, grondano perle di magia selvaggia. E tu, sudata dea della fortuna ti affacci appena al bordo della vasca e l’accarezzi piano con le mani e poi le tuffi a fondo, ad una ad una. E passerà da te, dalla tua bocca alla mia bocca, dolce di mimosa la tua saliva come un rivo d’acqua. Se immagino la favola barocca, la scena sarà solo la laguna, lo sfondo una città come sospesa sopra una coltre pallida di bruma. La fata della storia che mi invento un fiore dalle labbra di corallo 18
e mani che profumano di vento. Un angelo che bacia con passione e illude con i giochi delle ciglia, come fa l’onda inquieta nei canali al passar d’una barca da lavoro e allo sciacquio del mare sulla chiglia.
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IL CUORE PIANGE SANGUE E del tuo cuore, come d’una chiesa, mi affaccio all’uscio e guardo dentro il buio che quasi per miracolo si accende del chiaro fumigante di candele. Come di stelle a notte nella rada, o lucciole nei prati della sera. Qui ascolto, come un canto gregoriano, riverberato a lungo dalle volte, il battito di cuore che rimbomba con il fruscio sonoro del tuo sangue. In sottofondo un suono di campane, lo squillo del tuo riso che si scioglie lungo le reni morbide d’un colle. So che stanotte tu farai l’amore, lo dicono per te non le parole ma gli occhi che ti brillano di perle; lo dice la tua voce che si impiglia per reti trasparenti di silenzi. Così condenserò sulle mie ciglia il pianto che so piangere dagli occhi ma ,quello più difficile a venire, io lascerò che a piangerlo sia il cuore.
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UN’EUFORIA IMPROVVISA Sarà per via di un sole cristallino e di quest’aria più che trasparente quest’euforia improvvisa che mi prende che so per certo che non può durare. Sarà per tutto questo scintillare di giorni che assomigliano a una festa, per questa primavera che mi esalta e fa dimenticare tutto il resto. Un’euforia che fa sentire il cuore leggero come il volo di una rondine e come inebriato dal colore di questo cielo azzurro da star male. Da tanto tempo ormai non mi accadeva di immaginarmi in grado di volare e di sfiorare i prati come fanno i passeri del cielo nei tramonti. C’è una ragione a tutto; il volo raso ad inseguire insetti che svaporano dall’erba calda dopo un giorno al sole e il sole che scintilla di cristallo e un’aria che tintinna trasparenze per una pioggia ch’è durata un’ora. E un’euforia insensata all’apparenza per via della tua voce che mi giunge, più tenera di un bacio sulla fronte, d’una carezza solo immaginata, per la magia sottile di un telefono. Un’euforia improvvisa che mi prende, mi porta in alto, ai limiti del cielo per un momento. E poi improvvisamente mi fa precipitare dentro il vuoto. Quando finisce la telefonata. 21
RIPETO GESTI Saranno le lungaggini del tempo, sarà quest’aria che sa già di sera, sarà la pioggia fitta che mi assedia ma va così che a volte mi sorprende la nostalgia di te, così pungente. Batte la pioggia forte sui terrazzi e l’aria prende odore di gerani; così, senza ragione, una giornata diventa un’occasione per pensare. Un raggio che trafigge il cielo nero è voglia assurda di ricominciare. La nuvola improvvisa che si addensa è la paura di sbagliare ancora. Ripeto gesti con monotonia, rifaccio errori della stessa specie. Più passa il tempo e più mi cresce dentro, come un tumore a divorarmi il cuore, la mia incapacità di farmi amare.
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SENTIERI DI SILENZI Mi giungerà da te, dai tuoi silenzi non un dolore, non una ferita ma un pallido sentore d’inquietudine. Per vie traverse torna, se ci penso, la dolce nostalgia d’altri universi. Noi che si stava, muti e taciturni, all’uscio contro un cielo di corallo e poi le stelle e poi la notte e poi ad inseguire lunghe scie d’abbracci. Tu che non parli più ed io che taccio e, mentre il sole muore in un tramonto, mi lascio galleggiare come faccio. Ed è così che andiamo, dignitosi, a inerpicarci lungo solitudini ed è così, per strade sconosciute e per sentieri impervi di silenzi, che ci guardiamo senza più vederci.
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SULLE OPPOSTE SPONDE Sarà per la maniera che avevamo di fare notte al lume di una lampada, ciascuno col suo libro, a recitare la parte di chi sa vivere solo. Stare a guardarti senza una parola mentre sorridi da una solitudine e attendi una risposta da te sola. Sarà per il mio modo di osservarti; negli occhi una dolcezza trattenuta e una felicità fatta barlume. Sarà per tutto questo che ora siamo quello che siamo. Sulle opposte sponde, due naufraghi superstiti del fiume.
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O NON VOLEVI E’ stata l’inquietudine a sfumarle le tue pupille d’ansia e di quesiti. E’ stato quello che volevi dire o non volevi, forse, per ferirmi. Per un’eternità che dura ancora, forse più lunga d’un’intera vita così un amore, come una chimera. Le intese si realizzano con gli anni, si nutrono di sogni e di promesse. A scioglierle non serve che un istante e a volte, con un battito di ciglia si mettono sigilli di silenzi. Così tra noi. Per strade differenti, estranei per città come paludi. Se capita di nuovo di incontrarsi, ognuno col suo carico di storie basta un sorriso a volte a rievocare i giorni di un’intesa d’altri tempi ma non ritorneranno l’inquietudine e l’ansia a colorare le pupille e non avrai più voglia di ferirmi e a chiudermi in un cerchio di quesiti.
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SOGNI D’ALBA Suono di trombe e scroscio di cascate, rotolio di marosi tra gli scogli, felicità che giungi inaspettata e arrivi solo quando mi sorridi. Amo quei sogni che si fanno all’alba quando la prima luce, quella che filtra appena tra spiragli, lascia sui muri spogli disegni che somigliano a ricami. E vedo te che corri verso di me per un abbraccio ed io chiudo le braccia intorno a un corpo d’aria. Inconsistente il sogno mi attraversa e s’illude di esistere davvero e la voglia di eludere l’inganno mi fa fare le cose che si fanno come per gioco. T’inseguirò nei prati per baciarti, tra luce ed ombra, là dove il sole filtra tra le foglie. Ti guarderò negli occhi per vedere dei laghi al mio risveglio. Sarai la luce prima del mattino ed io che sono l’ombra ti celerò agli sguardi di tutti quelli che potranno averti. Mi tradirai per mille volte ed io morrò di gelosia. 26
E quando il sole bianco del mattino avrà sconfitto il buio della notte, tu sparirai. Nella luce del giorno inutile cercarti. I sogni le illusioni e le utopie muoiono all’alba.
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VORREI TU ASCOLTASSI Per farti sentire la pioggia che batte impietosa sui vetri e il vento che agita rami e spazza le foglie, mi va di chiamarti al telefono. Mi piace tu ascolti il rumore del tuono che brontola a lungo qua, dove non sei, quella voce che hanno gli scrosci improvvisi. Se accosto il microfono al petto potresti sentire il mio cuore. Vorrei tu ascoltassi del sangue che scorre il fruscio e il quieto appagato respiro di chi si considera amato. Il resto lo dico a parole. Ti posso parlare se vuoi del pazzo colore che spunta in un angolo buio, un arcobaleno che sfonda le nubi; ti posso ridire dei prati che vedo, più verdi di quelli dei film, dei nidi di rondine appesi di sotto alla gronda di casa. Ti voglio parlare di me, del bisogno di farti arrivare ove sei, traverso le strade percorse dai cavi di rame, da sciami di elettromagnetiche onde, il caldo del cuore. Mi torni da dove tu stai 28
soltanto un segnale da poco, qualcosa che dica che m’ami.
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ANCHE COSì UN AMORE Anche così un amore, anche così. Come se fosse al chiaro di una lampada con occhi quasi opachi, d’alabastro, ad inseguire perle di Murano per fili colorati di collana. E come con i conti della spesa e documenti sparsi da archiviare in ordine, secondo l’argomento. Così si mette in chiaro un sentimento; si colloca, in sordina, in un armadio insieme a tutto quello ch’è già stato. Anche così un amore, anche così: a rammendare calze troppo lise come se fosse un modo di abbracciare. Trascorre il tempo ed ogni cosa cambia, non il tuo modo d’essere una pietra, la soglia della casa, l’artificio che fa di un luogo un simbolo, un altare, la lacrima di pianto che si muta in manto di rugiada. Viene il tempo che tu non ci sarai. Non ci saremo ma ci saranno ancora lune tonde e torneranno i voli di farfalla, e canti nei meriggi di cicala. Nessuno, più nessuno che ricordi la vita spesa al lume di una lampada, le pratiche ordinate nei dossìer e le collane in perle di Murano. 30
Giornale in mano, innanzi alla tv la mia pigrizia che ti sta a guardare. Anche così un amore, anche così.
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NON SI MISURA IL TEMPO Un giorno, un anno, un tempo che non passa quando l’attesa pesa e fa patire. Un’ora, un giorno, un mese in un istante se mi sorridi mentre ti avvicini. Non c’è un sistema adatto a misurarlo, non valgono orologi e campanili e le clessidre mentono di sabbia. Tacciono voci dentro; è relativo il nostro modo di pensare al tempo. Sangue che scorre a fiumi in un letargo che dura a volte più di molte vite, un battito di cuore e in un momento s’aprono cieli e muoiono in tramonti soli che vanno ad affogare in mari. Malinconie di vivere si spendono con la lusinga di sperati amori. Il tempo siamo noi; la sua misura si fa con l’emozione che accompagna la nascita di un figlio, un altro amore, la morte di qualcuno che ci è caro. Crollano dopo tutte le difese e perde senso il tempo che ci avanza. Ci resta il nostro modo di ignorare l’inutile zavorra delle attese.
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INQUIETUDINE AMICA Tempo che passa ed anni che trascorrono in questa luce opaca, quasi bianca. Sarà perché non ho trovato ancora, fino a stamane, fino a questo istante, il senso ad una vita che mi sfianca. Si spera sempre che ne esista un’altra occasione per vivere altrimenti, una maniera nuova che consenta un recupero all’ultimo momento. Ma il tempo passa e il poco che ci resta si fa come quest’aria imbalsamata che se sul calendario è primavera, ha il gusto di un autunno scolorato. Mi sono immaginato troppo a lungo un Dio che mi avvicini e con la mano mi prenda e mi accompagni nell’impresa di inerpicarmi per le vie del cielo in cerca di un amore che mi salvi. Un’ultima occasione di rivalsa per una vita così vuota e insulsa. Una scialuppa dentro un mare d’ansia, l’approdo ad una spiaggia solitaria. Si fa più opaca questa luce fioca ora che il cuore ha fatto l’abitudine a una maniera nuova di sognare frenando l’ansia, lasciandosi cullare da una carezza lieve d’inquietudine.
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AMORE E CUORE Non è più un segreto che t’amo. Lo dicono al vento le foglie sul ramo, lo dicono i fiori del prato e l’acqua del rivo che canta. Lo dicono a voce più alta le nuvole rosse che corrono verso il tramonto. Lo dice la luna che pare che rida, lo dicono i bimbi che giocano insieme, le grida di chi ha fatto tana. Da questo momento, da quando non è più un segreto la cosa che sento io posso gridarla all’immagine tonda di luna, all’eco profonda che possa ripeterla a lungo. Non è più un segreto per qui dove vivo in questo mio nido di sogno o in altro diverso, dovunque ci porti, ma insieme, la forza del vento che spazza la riva, la cima dei colli, le nostre incredibili anime molli malate d’amore fanciullo. Di quell’amore ch’è fatto di dolci promesse, di poche parole le stesse che citano senza pudore soltanto i poeti per dire di cose di cuore. 34
INGUARIBILE Io l’ho sperato a lungo che esistesse una risposta a questa mia inquietudine e che l’amore fosse quel prodigio. Ma tutto è di gran lunga più difficile e un uomo non è mai quello che pare. Se ridono le labbra il cuore a volte ribolle rumoroso di segreti. Ho conquistato il mondo e fatto mio l’amore che sembrava irraggiungibile. Ho tutto quello che volevo avere, la donna che sognavo e il suo segreto e il corollario quasi inevitabile di un po’ di solitudine. E mi rimane il male mai guarito, la tara che mi porto da una vita, il tarlo che mi fa quello che sono, la piccola minuscola razione di questa mia inguaribile inquietudine.
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MI DEVO FERMARE A GUARDARTI Mi devo fermare a guardarti quest’oggi e devo annotare i riflessi degli occhi. Ti osservo talvolta di fretta, così tutta insieme, che ho voglia di dirti che sembri davvero tra tutte più bella. Che ho voglia di prenderti in braccio, di alzarti da terra nel modo che faccio coi bimbi. Ti devo guardare le labbra appena segnate da un filo di rosa, un po’ di rossetto che odora di fragola e mora. Ti voglio sfiorare con gli occhi gli orecchi discreti, le ciglia colore di grano, i capelli che hanno profumo di messi. Mi devo fermare a guardarti con cura, io devo sapere ogni cosa di te. Dei segni che porti sul viso del tempo, le piccole rughe di quando si chiudono gli occhi alla luce, le pieghe di fianco alle labbra se a volte le atteggi ad un bacio. Ti voglio contare con cura i nei della pelle, le piccole macchie nascoste nei luoghi segreti. Ti voglio odorare siccome tu fossi un fiore di campo, sentire dappresso i dolci sentori che emani. Mi devo fermare per starti vicino 36
e per respirare avere soltanto il poco di fiato che esali se voglio baciarti. Mi devo fermare a guardarti.
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è QUESTO CHE MI INCANTA E’ questo che mi incanta in una donna, quest’essere una duna del deserto, collina di dolcezza che si adegua al vento che la preme e come creta, secondo un suo progetto la modella. E’ questo che mi avvince in una donna, quest’essere un motivo di canzone che ci accompagna per la vita intera e ci ritorna in mente, tratto a tratto, perduto dentro il turbine del tempo, da ritrovare a volte all’improvviso quando il bisogno è grande di conforto, quest’essere la musica che hanno tutte le cose con un’armonia che sia di suoni o note musicali o di colori magici o profumi. E’ questo che mi abbaglia in una donna, quest’essere la bocca che mi inghiotte e mi fa entrare e a volte mi respinge e mi tiene sull’uscio a spasimare come la notte fa col desiderio. Quest’essere una nuvola di latte, un seno grande, dolce da baciare, collina di velluto per dormire, isola d’ombra per sostare un poco la sera dopo un giorno di fatiche. E’ questo che mi avvampa in una donna, quest’essere due labbra di ferita, la bocca rossa che vorrei baciare, la lingua che mi scava fino all’anima e la saliva dolce e appiccicosa, 38
miele soave, nettare d’amore. E il ventre molle, la mia cattedrale dove si prega il Dio che fa guarire o il ventre zolla, campo da vangare e i solchi in fila pronti per accogliere i semi che si spargono col gesto di chi conosce il mondo e la sua legge. Ventre bisaccia, colma di provviste, viàtico per chi non fa ritorno, bottino del soldato vincitore, trionfo della vita. Tricolore di noi perché così, per come siamo. E’ questo in una donna che più amo.
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ANTIDOTO AL VELENO Che fosse quasi una benedizione o per il cuore come una vertigine non l’avrei mai potuto immaginare quello che è stato il mio segreto amore. Che fosse quasi come abbandonarsi all’onda che si adagia sulla riva o l’affidarsi all’impeto del vento che spazza le radure degli oceani. Non so pensare a nulla che mi incanti più dell’immaginarti che mi guardi traverso latitudini di mondi che come immensi abissi ci separano. Mi perdo in una nebbia di ricordi dove si scioglie la mia nostalgia. Mi lascio andare al sogno ricorrente di te ridente come un sole all’alba, mentre mi sento d’essere soltanto la stella che nell’ora del tramonto affonderà nel mare d’occidente. Non è l’amore come un’ipoteca né una certezza di felicità, l’amore è l’aria a volte profumata di salsedine e a volte avvelenata dal fumo grigionero delle fabbriche, l’amore è l’acqua verde dei torrenti e a volte un acquitrino di golena. L’amore è come il soffio di un respiro o il sorso per illudere le labbra, l’antidoto al veleno dell’esistere, la dose di vaccino che ci salva.
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SE AVESSE QUEL DONO Non tutto si vede di noi. Non le cose che amiamo di più, che teniamo sepolte nel fondo. Nasconde la donna di dentro più storie che i libri più grandi, i volumi coi dorsi dorati, in fila ordinati nei grandi scaffali. Nasconde, perché non si debba capire. Le cose da dire le lascia filtrare traverso la grazia discreta di un gesto e vuole che siano a parlare le mani sciupate dal gelo d’inverno, dal morso feroce dei detersivi, dal fare e disfare. Non dice parole ma chi sa capire capisce, a volte dispera la donna ma tace e la voce non esce. Son fatti così tutti quelli che hanno patito silenzi. Vorrebbero forse sentirsi diversi, avere parole per dare emozioni o appena un sorriso per dire: -ci sono.Si dicono a volte: -domani comincio, domani ci provo. Un cenno gentile, un modo di dire mi piaci, adoro ogni cosa che fai, non so trattenere le mani che cercano il viso che hai.Si illumina a volte la donna se solo la guardo più a lungo; 41
distolgo lo sguardo temendo di alludere troppo a un abbraccio. Mi pare perfino sbagliato di avere il bisogno che sento di baci sul viso e di tenerezza. Non sono capace di dire parole d’amore che al vento. La donna al mio fianco se avesse il dono di leggere dentro i pensieri, traverso i silenzi o i rombi lontani di tuono, se avesse quel dono….
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IO PREGO SOLAMENTE CON LA CARNE Io non conosco il modo di pregare, non so piegare il capo o le ginocchia, non so davvero come. L’ho visto fare un tempo in una chiesa da un uomo che accendeva una candela e poi piangeva solo. Mi è parso che pregasse con il cuore. Anch’io sapevo farlo un tempo come se avessi un canto chiuso dentro, ridente e delicato, sottile e smisurato come un dono. Ma un infinito tempo è già passato e noi che cosa siamo? Di quella mia maniera di pregare a mani giunte e con il cuore io non so più che farne. E’ freddo fuori e troppa gente muore e troppo sangue scorre. Se imparerò a pregare avrò soltanto un modo e sarà in piedi e con le mani aperte. Se tornerò a pregare io pregherò soltanto con la carne.
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NON MUORE IL SOGNO Simile a un fuoco vivo o come un lume che piano piano brucia e si consuma, questa è la vita e invece il sogno è come una favilla rossa nella cenere. Brucia la fiamma e muore; la scintilla al primo soffio d’aria si risveglia. Plausibile un legame non esiste tra il sogno e il guscio d’uomo che lo alberga. Muoiono i corpi stanchi e non i sogni, muore la carne e a volte non il sangue. Lo strazio è di vedersi che si muore e nel sentirsi dentro un sogno grande. Sarebbe troppo facile partire senza rimpianti, andare via con l’anima che lascia la dolce casa solo per un giorno. E’ disperato invece avere un cuore caldo e innamorato e un corpo così triste, ormai dimentico di cosa sia un abbraccio. Io chiedo di restare ancora un poco, almeno fino a quando mi senta così stanco da non patire più per un distacco.
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SILENZIO BUIO NOTTE Silenzio, buio, notte, una statale, andare via così, senza parlare. I fari che perforano la nebbia vedono cani, gli occhi ad abbagliare. Forse una volpe al limite di un fosso, il vello rosso accende una vampata. Allunghi la tua mano per cercarmi forse per dire senza una parola. Si è soli a volte più stando abbracciati nel poco spazio angusto di una macchina che da lontano a immaginarsi insieme. Mi lascerai un biglietto domattina che lo ritrovi a sera al mio rientro. Parliamo ormai solo così, dagli anni. Silenzio, buio, notte, tanto vale.
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IL TEMPO CHE RESTA Da innumeri piccole morti ritorno ogni volta più stanco ed esangue ma sento che mentre mi estinguo di un poco ogni giorno, divento diverso, un poco più mite e disposto all’ascolto. Agli anni di un tempo la vita doleva negli occhi, piangeva la carne di desideri, cantava il mio fiume di sangue le notti di luna d’agosto. Poi quando la piccola morte di un sogno ti scava di dentro e un altro disagio del corpo ti limita il passo ed il sonno finisce sull’uscio dell’alba e quando a una piccola morte un’altra diversa si aggiunge e muori più volte in un giorno, qualsiasi ritorno ti trova mutato. Se il sangue rallenta e s’acquieta la carne, avrai del mio tempo di vita il piccolo brano che resta. Se il fuoco si estingue pian piano lasciando soltanto un poco di cenere spenta, rimane nell’aria il piccolo dolce calore che basta 46
per stare a parlare nel tempo che resta seduti davanti ad un focolare.
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COME SARà INCONTRARTI Come sarà incontrati quasi per caso un giorno senza averti tenuta tra le braccia in quella casa che sappiamo, neppure il tempo d’una notte breve. Noi due da soli e chiuso fuori il mondo. Io l’ho sognato a lungo quell’incontro e dopo che ho capito che non è più nei tuoi pensieri sarà una pena grande ritrovarti, vedere che sorridi a tanta gente, baciarti su una guancia di sfuggita ed ascoltarti ridere di nulla. Sarà come una morte differita, crudele ed incompleta come quando muore di te una parte solamente, le mani per suonare il pianoforte o gli occhi per guardarti ancora in volto. Come sarà incontrarti. Io so come sarà, sarà un tormento crudele molto più di un abbandono. Trovarsi e salutarsi e dirsi vanamente arrivederci col rimpianto di non averti avuta tra le braccia. Conserverai l’inutile innocenza e tutta la coerenza necessaria a illudere e a deludere di nuovo. 48
IL CARILLON Era d’estate ed era in là una vita che t’ho perduta e non ricordo dove e ti ho cercata in tutti i lunapark, in ogni carrozzone di giostraio dove si cerca chi viene rapito. E’ un colpo al cuore adesso ritrovarti con un tutù colore di turchino che balli su una musica barocca al timido vibrato di un violino. Rinchiusa in una teca di cristallo ti muovi in girotondo su un binario e insieme ruoti come intorno a un perno. Tre giri, una ricarica di molla. Quando ti fermi sembri ipnotizzata, l’ultima nota imprigionata dura di dentro alla campana come un’ eco. La bambolina del mio carillon, la bambola turchina prende vita soltanto con un po’ di manovella, ad ogni giravolta se mi guarda sorride come fosse innamorata. Io, come il burattino della favola, mi animo al suo sguardo di velluto, mi illumino se guarda verso me, mi spengo se mi priva di un saluto. Sei tu che hai scelto questo modo insolito, quello che in fondo sembra più indolore, di dire quello che volevi dire e lo sai fare con un carillon.
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Giro la molla un’altra volta ancora e dolcemente la mia ballerina si muove piano e senza far rumore, poi sulle punte, come una vedette, danza la danza del perduto amore.
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CHE FAI QUESTA SERA ? Esistere insieme in un tempo, lo stesso, seppure in un luogo diverso e lontano. Cercarti la mano e sfiorarti e più ti allontani più sento vicino il tuo fiato. Mi basta alle volte un pensiero, un sogno rappreso sull’orlo dell’alba. Ascolto il mio cuore e mi chiedo, da quando? Dagli anni, dagli anni e non posa un momento. Seppure lontano, lo sento il tuo che rimbomba e mi pare qui accanto. Che gesti ripeti? Che fai, che cosa ti passa nel cuore? Ti appresti a dormire, discosti il lenzuolo, accendi la luce sul comodino, prepari il tuo libro a portata di mano, sistemi il cuscino. Ripeto i tuoi gesti perché se lo faccio mi pare sia come di averti vicino. Negli occhi dorati la luce dei cieli di maggio, la pelle del viso un tappeto di seta posato sull’erba del prato. Cuscini di felci i capelli e le mani i tasti d’avorio d’un pianoforte che suona lontano. 51
Rifaccio i tuoi gesti, ciascuno siccome io fossi allo specchio riflessa sembianza di te. Un sogno-lusinga, un passo di danza, la perla più bella nel centro di questa collana. Il petalo rosso di rosa che cade nell’acqua verdastra del lago. Che fai questa sera, mi pensi? Che dici, che guardi? Mi tremano i polsi se penso di averti sfiorata, tu fata morgana che lasci nel cavo del cuore la punta d’acciaio che scava per farmi penare. Che fai questa sera, facciamo che i cuori che abbiamo, ciascuno si adatti ad un ritmo preciso, sincronizzato per battere insieme in un tempo, lo stesso seppure in un luogo diverso e lontano e lontano.
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GUARDARTI NEL CUORE Ti voglio guardare nel cuore, io voglio scoprire, ma dove, tu tieni nascoste parole per me. Mi basta alle volte un tuo sguardo, un tremito breve di ciglia, un cenno d’intesa, un segno soltanto e mi sento sgomento. Mi segui con gli occhi poi sfuggi il mio sguardo che cerca promesse e non ha pudore, tradisce speranze ed attese deluse. Io voglio restare nel cerchio dorato di queste pupille più a lungo. Ti voglio tenere le mani perché tu non fugga, perché non mi lasci da solo per più d’un minuto, ti voglio baciare le labbra per toglierti il fiato e la voce perché tu non dica parole di rabbia. La sabbia del tempo non faccia che tu m’abbandoni. Non farlo oppure, prometto, ti vengo a guardare nel cuore.
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L’ INFINITO La mia nozione d’infinito è solamente il tempo ch’è passato dall’ultimo minuto in cui mi son lasciato galleggiare, come una foglia dentro una fontana, in quel tuo sguardo dolce e innamorato.
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RONDINE TU Rondine nera, sagoma di smalto, riflessi di colore arcobaleno e petto bianco, profumi di salsedine e di vento, conosci mondi d’altre latitudini e sai parole d’arabo che ignoro. Fendi il mio cielo con un volo sghembo quando attraversi il piccolo ritaglio come sospeso sopra lo scenario di tetti uguali, di antenne di tv e di cavi tesi. Rondine è il sogno grande di volare, rondine è il mare e rondini i pensieri che si inseguono. Rondine tu annidata nel mio fondo, rondini noi rinchiuse in una gabbia che ci imprigiona il volo, non il cuore.
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OGNUNO è UN DONO Ognuno è un dono all’altro ed ogni giorno ci si regala un poco: come siamo. Tu a me con il tuo modo di parlarmi a voce troppo forte anche se dormo; io a te nella maniera di sembrare attento mentre fingo di ascoltarti. E va che per sentieri differenti andiamo nella stessa direzione. Tu mi cammini sempre un poco avanti, hai più coraggio e non ti fa paura il buio della notte e l’ombra scura che io vedo e tu non vedi, sulla strada. Ci si separa e ci si trova ancora davanti al fiume, largo nella piana. Tu passi a nuoto dove non si tocca ed io risalgo a monte e cerco il guado. Uguali le speranze e differenti noi, come siamo e come diventiamo. Io, modi incerti e forse un po’ più sordo, così, se alzi la voce, non ti sento. Tu mi sopporti se ti sembro assente e mi perdoni d’essere svagato. E’ nostro figlio il luogo dell’incontro. Le mie incertezze e il modo mio di fare, la mia figura scarna e allampanata, le mani snelle ed uno sguardo buono; la sicurezza tua, le tue maniere di dare e di mai chiedere perdono e il nostro amarlo, giorno dopo giorno, anche già uomo, come fosse un dono.
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A GUARDARTI CHE DORMI Proprio come nei giorni di vento, quando il cielo spalanca l’azzurro come un velo dipinto, io mi incanto a guardarti che dormi al mio fianco e mi sembri sognare. Le ciglia, quasi come un vibrare di canne, accarezzano piano le gote. Forse immagini mondi lontani visitati soltanto nei sogni. Forse vedi con gli occhi del cuore il mio stare a guardarti stupito, la mia bocca che vuole baciarti, la mia mano sfiorarti soltanto. Resterò tutto il giorno a vegliarti se il tuo sonno prosegue anche al sole. E al risveglio vorrei tutta la luce del mondo, i profumi più dolci dei prati, i colori più vivi dei fiori e la musica degli usignoli a cantare la gioia che sento. Se non basta, anche tutte le trombe d’argento degli arcangeli in cielo suoneranno per te, dolce un canto. Una vera ragione soltanto per restare a guardarti che dormi: che mi incanti.
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CONCERTO DI UNA NOTA SOLA Noi due chi siamo? Noi siamo come uno strumento strano, due corde parallele e un solo suono. Un “la” per cominciare e poi, se viene, un’intera cascata d’altre note. Forse un “Trillo del Diavolo” come un uragano o la furia del vento sulle dune, la strana quiete dopo la tempesta ed il silenzio che prelude ad altro. Il nostro stare insieme è quel sederci accanto per ascoltarci il cuore e il suo canto di una sola nota, la stessa, uguale, suonata da due corde diseguali.
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FALò SULLA SPIAGGIA Il cielo si avvampa di fuoco, balùgini rosse di fiamma, lontano ruggito di tuono. Fuggivo cercando le gonne di mamma e forte, più forte l’abbraccio. Se adesso bussasse alla porta la morte vedrei di cercare un riparo, un luogo nascosto. Fuggire è il modo di vivere mio. Ho sempre temuto il dolore, la pena di essere vivo e più d’ogni cosa, l’amore. Non solo l’amore infelice che strappa i capelli, più ancora l’amore incantato di chi non promette ma dona. La favola buona, l’amore che ruba la voce e il respiro e invita a volare. L’amore che arriva ch’è tardi è come un castigo. Fa nascere dentro la voglia di andare che ormai da gran tempo il grande falò sulla spiaggia si è spento. Non resta nient’altro che un labile filo di fumo, disperso dal vento.
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I NOMI DELLE STELLE E’ solo poco che mi sei lontana e ho nostalgia di te e del mio svagato modo di dirti cosa sei per me. Io conoscevo i nomi delle stelle, potevo enumerarle ad una ad una e dei fiori del prato e degli arbusti, degli alberi del bosco e d’ogni sasso, degli animali tutte le abitudini e i nomi di tisane e d’erbe medicali sconosciute. Adesso che si appanna la memoria, si fa di giorno in giorno più leggera l’anima. Non ho più molto che mi aiuti a vivere, mi resta solo un poco d’ironia. Così per ogni stella che non ha più nome ne invento uno diverso per un’altra mia struggente differente nostalgia.
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A FARCI COMPAGNIA Assenza, dileguarsi alla memoria come un ricordo che si fa più incerto, come un pensiero che si perde in nebbia. Per dire che mi è cara e mi appartiene l’immagine ogni giorno più sbiadita di un volto reso labile dal tempo, la tua presenza mentre si cancella. Così dai giorni che si va sfocando la tua figura persa nella mente, diventa mano mano più decisa la nostalgia di te, della tua assenza. Non esserci per esserci più in fondo al cuore che lo vuole e alla memoria che dolcemente come un vaso vuoto si colmerà di te e di lontananza. Che siamo o che non siamo, il nostro senso è tutto in questi vuoti di memoria e dopo il tempo di una vita insieme a farci compagnia sarà l’assenza.
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GIALLO E CORALLO IL SOLE Precipita su noi, delusi e inermi il cielo di un tramonto di corallo. Si ostina il sole che pian piano affonda di dietro ad una linea d’orizzonte a promettere un altro giorno ancora. Eppure si conclude per il mondo un’era intera e non sarà più tardi che all’apparire della prima luna. Si perderà in un alito di vento il colorato brivido di vita dipinto sopra un’ala di farfalla. Canterà il grillo fino a notte fonda l’ultimo canto che gli è stato dato e i fiori del giardino, accesi al giorno, non lo vedranno un altro giorno ancora. E noi che ci godiamo questa luce e il fascino di un sole come esploso, crediamo alle promesse che ci fanno questi tramonti assurdi, di corallo ed aspettiamo che ritorni ancora sull’orizzonte un altro sole giallo.
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PER STRADE DI CITTà Notte d’agosto e un crepitìo di stelle e polvere di luna sulla spiaggia ed orme che pian piano si cancellano se camminiamo tenendoci per mano come quando t’eri perduta nella confusione alla stazione Termini, ricordi? Una cenetta a lume di candela in un ristorantino di campagna e stringerti la vita passeggiando e poi salire quella scala a chiocciola verso la stanza in alto, accanto al cielo. L’amore che si fa nella penombra, l’Adagio di Albinoni in sottofondo e poi di corsa ognuno verso casa. Ma tutto è solo un sogno immaginato. Se fossero ricordi da rimpiangere oggi sarebbe un giorno disperato e triste più di come quando muore chi ci è più caro. Il cielo mi parrebbe avvelenato e il sole quasi inutile. Tu mi hai donato sogni d’impossibile ma non un giorno per tenerti accanto e stringerti la mano e per baciarti. Mi hai fatto intravedere un mondo ignoto dove si vive dentro un incantesimo. Non ho ricordi di noi due da soli per strade di città, stretti, abbracciati, così, se ho qualche cosa da rimpiangere rimpiango solo i sogni che ho sognato. 63
IL MIO CUSCINO Prelude al lungo sogno che farò questo tuo modo inquieto di guardarmi. Ti vedo il cuore di traverso agli occhi e so di te i segreti che nascondi. Ti sogno a volte pure ad occhi aperti per come puoi sorridere di nulla e perdonarmi quando per inerzia dimentico di dirti alcune cose. Quelle che so vorresti che dicessi ma mi conosci e sai come non posso immaginarmi dolce e innamorato e rivelarmi come sono dentro. Prelude al sogno questo breve istante in cui si fa più debole il pensiero, in cui mi lascio andare come quando ti vedo che sparisci piano piano dal finestrino schiuso del mio treno. Prelude al lungo sonno che mi aspetta la mia sequenza illogica di gesti che faccio e che rifaccio per illudermi. E parlerò di te col mio cuscino che stringerò fingendomi un abbraccio.
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UN’ALTRA NOTTE Non posso sopportare più le attese né reggo alle promesse che deludono. Mi uccide questo scorrere del tempo, la pendola che batte e questo ticchettio degli orologi. Vorrei che il tempo fosse già trascorso e l’olio della lampada esaurito e consumata tutta questa notte e spesa fino in fondo questa vita. Ma è già mattina e ormai risorge il sole, è l’ora che le spose si rivestono dopo la festa e il ballo della sera. Si svegliano campane dalle chiese e gli operai sono già al lavoro. L’ultima goccia in fondo al mio bicchiere sul comodino è svaporata ormai. Vorrei mi fosse dato di aiutare la mano che sospinge il sole in cielo, vorrei poter gracchiare come fanno i corvi che tramontano la luna. Non posso sopportare più promesse, dal sabato non voglio altre lusinghe ed amo le domeniche trascorse senza il ballo sull’aia e la fanfara. Vorrei che tutto fosse ormai passato, quest’altra notte che non vuol venire e questa vita che non vuol finire.
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DISPERATA ALLEGRIA Disperata allegria che mi accompagni se ti sto accanto un giorno e se domani ti immagino di nuovo più lontana. E’ senza fine la felicità di averti qui vicina; un solo passo e sento quasi il battito del cuore. è senza fine l’ansia di lasciarti come il crescendo folle di un “Bolero”, da questo istante che mi rendo conto a tra non molto quando sarà l’ora di andare via. Ti vedo che sorridi ai tanti amici che ti stanno intorno, breve un saluto e un bacio sulla guancia e una promessa: “presto ci si vede”. Non ho l’abilità di salutare in modo che lo sguardo non tradisca la mia tristezza ed anche l’allegria ha l’apparenza dolce e disperata di chi sorride con un groppo in gola. Andare via sperando una parola, una parola che sia solo mia, col suono breve del mio batticuore e la cadenza quasi musicale di questa disperata mia allegria.
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CHE COSA VOLETE CHE SIA Che cosa volete che sia il male sottile che sento se più della vita mi manca il suo sguardo, un tenero segno degli occhi che vinca la mia nostalgia dei baci non dati, del poco di fiato rubato dappresso, del dolce profumo del seno che filtra attraverso la trama sottile di un pizzo del suo decolté. Che cosa volete che sia se resto a pensarla per notti sognando mi possa chiamare, che squilli il telefono e in fretta una voce mi dica: “aspetto tu arrivi e mi venga a rubare.” La vita che vivi, il guscio di seta che chiude il tuo mondo è tenero e dolce, un nido sicuro; io sono soltanto una vuota promessa, un miraggio da nulla, il cùculo perso che non ha una casa e invidia ed insidia geloso il bene che non gli appartiene. Che cosa volete che sia se un ultimo sprazzo di luce mi ha fatto pensare che nulla è perduto, che posso tornare ad esistere ancora 67
a perdermi dentro i tuoi occhi di donna, a farmi aspettare quel bacio non dato, il dolce profumo del seno e sperare di vivere ancora nel centro d’un sogno d’amore. Che cosa volete che sia il male sottile che tengo di dentro, nient’altro che un brivido lungo che ha nome poesia.
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ALI DI SETA e poi dentro la nebbia del tempo svanirà la memoria del tuo viso adorato. Si farà più soffuso il ricordo di ogni cosa che è stata. La tua foto sul molo, che ridi, si farà mano a mano sbiadita. Mantenerti nel cuore diverrà una fatica infinita. Cercherò di resistere ancora fino a che la mia mente non cede poi starò ad osservarti stranito, come fossi un pupazzo di neve. Ti ripenso al mattino che prepari il caffè con la moka e mi insegui sull’uscio con la tazza di latte che scotta, poi ti immagino a notte che non dormi fino a che non mi senti arrivare. Se il portone si chiude la tua luce ch’è accesa si spegne; è così da cent’anni ed ancora fino a quando un bel giorno non esci e non lasci la porta socchiusa. Si va via che non pare, tu in silenzio e discreta senza quasi neppure un saluto: sulle spalle due ali di seta.
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LA CHIAMO LESBIA Solo per me, dolcissimi, i tuoi giochi d’amore, solo per me il carminio delle labbra e la corolla delle lunghe ciglia. Lesbia mi guarda e si abbandona, molle, alle carezze e ride di piacere mentre le stringo forte tra le dita i seni piccolissimi e si flette e mi sommerge l’onda dei capelli. Bella, più bella d’ogni donna bella la donna mia. Non mia ma dell’amore e della voglia che ho di possederla. Immagino il suo letto e con chi dorme, le sue parole quando non l’ascolto. Immagino il suo volto illuminato quando mi pensa e sogna che l’abbracci. La sogno mentre cerco di baciarla negli angoli di buio della strada e tremo d’emozione se la mano mi stringe tra le mani e mi sorride. Amo l’amore e Lesbia che mi inganna, la sua bellezza e il suo dolce tradire.
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LA MOSCA Una panchina al sole ed io che aspetto un segno sul visore del telefono. Parlo da solo che non c’è nessuno e mi racconto piano la mia storia. Io che ti amo e tu che mi confini nei piccoli ritagli del tuo tempo, poi mi ripaghi di parole dolci per consolarmi, come un tuo bambino. Pende un silenzio quasi innaturale nell’ora incerta a mezzo del mattino che il sole è fresco ancora. Non arriva un segno che mi dica che sei viva e che mi pensi da così lontano. Sei forse tu la mosca sulla mano che mi cammina e coglie il mio calore, prendo il coraggio di lasciarla stare, non ho la voglia di mandarla via. Sei forse tu, per farti perdonare che mi accarezzi e ti fai piccolina. Tu la mia mosca ed io mica di pane. Che cosa non farei per farmi amare, non ho incertezze, mi farei mangiare.
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POTESSI SOGNARE DI TE Potessi sognare di te non soltanto seguendo le mie fantasie ma per la tua pelle dorata, la linea del ventre appena seguita da dita adoranti. La forma del seno che sta in una mano, le ascelle dal velo di seta, la bocca adorata e il riso di perla che balza e rimbalza dagli occhi alle labbra. Non c’è più difesa in niente di quello che faccio e se mi rifugio sul foglio, le cose che scrivo non sono che un dolce abbandono, una resa. Un segno soltanto e potresti disciogliermi il cuore; potrebbe bastare il tuo gesto di spingere indietro i capelli piovuti sugli occhi e poi che mi guardi e socchiuda un momento le ciglia. Potrebbe bastarmi la gioia d’un bacio a distanza perché si trasformi in un cielo la vita. Potrei disperarmi e morire d’angoscia 72
a un semplice cenno di noia, un segno degli occhi che paia che dica: è finita. Potessi sognare di te per la vita.
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è GIà PRIMAVERA Ma come cammina danzando la giovane donna e come è vicina, (ma solo un momento), e come uno spazio da poco separa un uomo in declino da un sogno. Non so se mi guarda, non so se mi si sfida con gli occhi, mi sfiora soltanto il mistero di un corpo che balla sui tacchi. Non sa del potere che tiene l’incedere ardito che strappa bagliori di fuoco e il lampo di verde di ciglia e il ciuffo ribelle, la molle risacca dei fianchi. Conosce altre cose, la donna ma ignora la grande magia del suo corpo e come davvero il mondo appartenga al suo sguardo, al sogno che dura, ma poco, d’un fiore di campo che svetta nei prati di maggio. Le rubo con gli occhi il dolce segreto nascosto e resto a guardarla rapito. Il tempo mi uccide ogni giorno, mi umilia e mi preme mostrandomi siepi fiorite che odorano di gelsomino. L’amore è un profumo 74
che arriva impetuoso sull’onda di un rèfolo d’aria. Mi tocca, mi sfiora, balocca il mio cuore, prosegue e mi ignora. Mi lascia sul prato uguale a una foglia appassita che sente piangendo che è già primavera e piano ritorna la vita.
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DISPERATO AMORE Se tu mi guardi con quegli occhi dolci e mi accarezzi piano con la voce io non ho più difese né parole per questo modo dolce e innamorato di farmi male. Sono come un prodotto ormai scaduto nello scaffale d’un supermercato. Non ho da offrire più che un soffio solo del povero mio cuore ormai malato. Se un’altra vita mai mi sarà data sarà tutta per te, mia dolce amica, mio amore sfortunato, mia ferita, mio sangue che in silenzio si raggruma. Vorrei sparire dentro un soffio d’aria come una piuma, senza far rumore, vorrei svanire e non darti dolore come fa il sogno all’alba nei risvegli. Vorrei starti vicino senza che tu mi veda e da lontano attendere che il tempo si consumi e si rinasca insieme un’altra volta. Sale dal fondo e scotta come febbre, brucia di dentro da far stare male, quest’infelicità di troppo amore. Gioia e tristezza insieme mescolate questo sentirsi amato ma fa patire pene sconfinate morire di un amore disperato.
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è DEL MIO VUOTO CHE.. Rondini in cielo cuciono gli strappi del vento nelle nuvole che vanno. Sale dal fondo e arriva quasi al centro di un universo fatto di cristalli il luccicare magico che hanno le tue parole quando mi confondi con i tuoi occhi come fiordalisi, nei prati di frumento, quando è maggio. Io mi ricordo i giorni dei silenzi, di noi che si restava ad ascoltare la pioggia a rimbalzare sui terrazzi e il gorgoglìo dell’acqua dei fossati e il grido di piacere delle rondini quando ritorna il sole sui canali. Ho troppe cose che mi danno pena e non ho più il coraggio di mentirmi. Non c’è salvezza ormai nelle parole, non hanno senso le poesie d’amore e questa delusione fa patire. Anch’io, come i poeti laureati, è del mio vuoto che volevo dire.
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BACIO FARFALLA Si accendono come silenzi improvvisi gli sguardi che fanno carezze. La voce che ride di perle, gli occhiali a celare parole da dirsi. Si parla, si tace, si sfiora con gli occhi, si bacia di baci farfalla, si ride di cose da nulla. Si sfiorano mani che tremano ai polsi, si mescola il sangue e si fanno promesse cercando un abbraccio di nuovo. Io spero mi resti sul blu della giacca un capello. Un biondo capello sottile che odora di buono, un segno che dica: l’ho avuta qui accanto. E’ stato soltanto un momento ma lungo, più lungo di un tempo infinito. Ricordo la voce che ride di perle e il timido bacio farfalla.
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SARò PUNTUALE Ho vene trasparenti che si vedono come disegni azzurri sulla pelle e si può quasi misurare il sangue che passa e che ripassa ad ogni istante. La mia fragilità si fa più grande quando vorrei resistere al mio tempo, il poco o tanto che mi è dato ancora e più che posso vivo e non mi arrendo. Non voglio tu trasalga d’improvviso e pensi ad un commiato silenzioso quando si parte a un’ora antelucana, senza un saluto. Vorrei che tutto fosse programmato, come non ho mai fatto nella vita, quando si andava via senza una meta e si tornava a volte d’ improvviso. Ma non si cambia o non si vuol cambiare il modo personale dell’esistere così lascio accadere ciò che accade e tu non farti prendere dall’ansia. Io quando arriverò, sarò puntuale, farò come tu sai che soglio fare, ti manderò, sollecito, un segnale.
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SENZA VOCE La chiamo con i nomi dell’amore, la inseguo come il pianto che mi sfugge dagli occhi aperti come due ferite. La imploro con la voce che non viene, col poco fiato che non vuol più uscire. Aspetto che mi chiami al cellulare e che mi dica una parola sola. Mi basta quella che lei sa, la stessa, quella che sempre le rimane in gola e si può dire in infiniti modi ed uno in più, il più dolce che conosco. Dirselo come a fior di labbra senza nessuna voce, perché si possa leggerlo negli occhi. Se fosse qui con me, se mi guardasse.
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DIPINGERò PER TE La mia su te si fa corallo e giada di lacrime una pioggia colorata, la mia su te cascata di parole per trattenerti che non vada via. Ti scriverò poesie dolci d’amore, dipingerò per te le stanze vuote e i muri bianchi si faranno mari e boschi e colli ed i soffitti cieli colorati. Io t’ho cercata a lungo, all’infinito e tu da sola, con uno sguardo mi hai riconosciuto.. Tu sei l’amore, donde sia venuta non ha più senso, questa vita vuota come un bacile d’acqua si è colmata. Tu troppo bella ed io troppo malato, tu la speranza e il sogno che si avvera, io l’ombra e il ticchettio di un orologio, il peso di una pendola arrivato a fine corsa e se non c’è una mano a riportarlo su, tutto è finito. Berrò da te la vita come un vampiro il sangue dalla gola e tu da me la mia pazienza e i suoni dimenticati ormai delle parole delle infinite mie poesie d’amore.
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CITANDO NERUDA è fragile l’amore che comincia, è delicato come la corolla di un fiore di papavero che al vento piano si sfoglia. è simile ad un filo di cristallo che un ragno tesse come fosse seta, è un piccolo germoglio colorato. E’ fragile l’amore che si sveglia e va bagnato con un po’ di pianto; non tanto, appena il poco che gli occorre per crescere e fiorire profumato. Dolce è l’amore che mi toglie il fiato e mi fa stare sveglio nella notte, mi fa sognare te già addormentata e la mia mano che ti sfiora appena e quel sorriso lieve, a fior di labbra se sottovoce ti ripeto: t’amo. è fragile l’amore come il ramo dei fiori delicati del frutteto ed io con te, come l’adagio del Poeta, io “farò quello che la primavera da sempre fa coi fiori del ciliegio.”
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ONDA VIVA Se come un oceano profondo l’amore che voglio mi prende io faccio così: mi abbandono. E tu come un’onda sospingi alla riva la povera cosa che sono. Tu l’onda ch’è viva, io esangue parvenza di un uomo.
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L’AMANTE SPIETATA Io la corteggiavo da tempo la morte, così che se viene non posso che dire: aspettavo. E se mi piaceva parlare di lei come fosse la mia innamorata, adesso la temo l’amante spietata e chiedo mi possa accordare un poco di tempo supplementare. Non so rassegnarmi a lasciare le cose del mondo da quando la voce di dentro che è stata in silenzio per anni ha preso il coraggio di fare e parla per me con parole d’amore. Mi detta le frasi da dire e pare mi voglia insegnare l’inganno che serve a prendersi gioco di lei, della morte.
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PER MANO, MA QUANDO ? Profuma di gelo e di pane per limpide strade la chiara città di cristallo e trema di brividi d’acqua, fontane gorgogliano al buio e case di vento, (imposte che sbattono a colpi), e insegne che sanno di fine ottocento, odore di fuoco e di fumo per una città senza tempo. Ma quando noi insieme e per mano? Per strade di gente che guarda e non vede, ma quando. E gli occhi negli occhi per stare più avvinti. Ciascuno un berretto di lana, un basco col fiocco, colore di rosso. Ti bacio su labbra felici parole che dici, ti leggo pensieri negli occhi. Per dirsi più cose le mani a cercarsi, le mani soltanto, ma quando?
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IO CERCO DI… Cerco di dire cose intelligenti per farmi amare un po’ di più da te. Non dico che sia sempre così facile, arrampico sui vetri a volte a lungo per seguire un concetto che mi pare si possa sviluppare con successo. Lo scopo è di stupirti, lo sai bene e so che sai che faccio l’impossibile perché mi guardi come ti piacessi. Distrattamente ascolti ciò che dico e tante volte, quando ti telefono sembri annoiata e pare che tu cerchi di chiudere il discorso quasi in fretta. La sensazione di inadeguatezza mi tiene in ansia e quindi di riflesso, se il tuo interesse si va logorando, divento più insicuro e balbettante. Mi chiedo di una donna come te perché debba occuparsi di un inetto e dirsi innamorata, come fai, di un uomo senza alcuna qualità. Farò qualcosa ma al momento giusto per farti rimanere a bocca aperta. Quando nemmeno lo immaginerai aprirò il libro delle mie emozioni; una poesia d’amore, lo vedrai, come s’usava un tempo scriverò, qualcosa che non di men ti che rai.
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INDICE Prefazione p.9 Amori paralleli p.13 Come un delfino il cuore p.14 Sera ai navigli p.16 La sconosciuta p.17 Favola barocca p.18 Il cuore piange sangue p.20 Un’euforia improvvisa p.21 Ripeto gesti p.22 Sentieri di silenzi p.23 Sulle opposte sponde p.24 O non volevi p.25 Sogni d’alba p.26 Vorrei tu ascoltassi p.28 Anche così un amore p.30 Non si misura il tempo p.32 Inquietudine amica p.33 Amore e cuore p.34 Inguaribile p.35 Mi devo fermare a guardarti p.36 è questo che mi incanta p.38 Antidoto al veleno p.40 Se avessi quel dono p.41 Io prego solamente con la carne p.43 Non muore il sogno p.44 Silenzio buio notte p.45 Il tempo che resta p.46 Come sarà incontrarti p.48 Il carillon p.49
Che fai questa sera p.51 Guardarti nel cuore p.53 L’infinito p.54 Rondine tu p.55 Ognuno è un dono p.56 A guardarti che dormi p.57 Concerto di una nota sola p.58 Falò sulla spiaggia p.59 I nomi delle stelle p.60 A farci compagnia p.61 Giallo e corallo il sole p.62 Per strade di città p.63 Il mio cuscino p.64 Un’altra notte p.65 Disperata allegria p.66 Che cosa volete che sia p.67 Ali di seta p.69 La chiamo lesbia p.70 La mosca p.71 Potessi sognare di te p.72 è già primavera p.74 Disperato amore p.76 è del mio vuoto che.. p.77 Bacio farfalla p.78 Sarò puntuale p.79 Senza voce p.80 Dipingerò per te p.81 Citando neruda p.82 Onda viva p.83 L’amante spietata p.84 Per mano ma quando p.85 Io cerco di... p.86