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Lezioni (di arte) americane

C O N F R O N T I

Lezioni (di a rte) americane

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All’inizio sono paesaggisti, realisti e, più tardi, anche fotografi: tutti in fuga dall’ Europa, anche se per secoli ne ripropongono i modelli. Fino a che Peggy Guggenheim e Jackson Pollock trovano la sintesi nel dripping e, con l’Action painting, fanno nascere l’arte americana. Ma siamo già nel 1943.

DI MARTINA CORGNATI

Jackson Pollock (1912-1956) lavora a un dipinto «sgocciolato» nel suo studio di East Hampton a New York nel 1950.

L GIARDINO dell’Eden è

Isul fiume Hudson. Ne erano convinti i primi paesaggisti americani che poco dopo la metà dell’Ottocento fondano la Hudson River School per celebrare la natura selvaggia del loro continente nuovo. Nuova la terra, forse, ma non la pittura che riprende fedelmente canoni e principi del romanticismo europeo, come anche del paesaggismo inglese, «alla Constable»: Asher Durand, per esempio, dipinge le rocce e le anse del fiume nel paesaggio incontaminato, mentre Thomas Cole dissemina le sue tele di rovine antiche e di immagini simboliche. Lo spirito della frontiera e della marcia verso il selvaggio West pervadono invece i lavori di Albert Bierstadt, che ritrae i canyon della California o le Montagne Rocciose, usando però sempre un linguaggio e uno stile di schietta impronta europea. Quel che questi pittori volevano però era altro: Thomas Worthington Whittredge, che muore nel 1910, afferma di credere in «qualche cosa che distingua l’arte del nostro Paese, qualcosa che riceva un’impronta dalla nostra peculiare forma di governo, dalla nostra posizione nel mondo. Qualche cosa di particolare del nostro popolo che differenzi la sua arte da quella delle altre nazioni». Il cammino però è ancora lungo: rifiutando di aderire al linguaggio impressionista, diffuso fra mille varianti dappertutto in Europa anche fra americani espatriati come Mary Cassatt, i pittori d’Oltreoceano scelgono invece la linea del realismo per raccontare la vita del Paese più giovane e dinamico del mondo. Fra loro, soprattutto Winslow Homer e Thomas Eakins rinunciano alla retorica del Wild West, che sta rapidamente sparendo, a favore della cronaca della guerra civile e delle marine del New England. Eakins invece è un sensibile ritrattista che, per la prima volta, mostra i volti dei protagonisti della nuova società (come quello del celebre chirurgo di Philadelphia Samuel D. Gross); si tratta comunque sempre di soggetti, di storie narrate in una lingua la cui origine è comunque completamente europea.

L’AMERICA però si presenta già come un modello, campione di libertà e di nuove idee; nei ghetti urbani delle grandi metropoli industriali dell’East Coast, già punteggiate di grattacieli, fra Ottocento e Novecento nasce il jazz; al porto di New York un’intera flotta di navi scarica decine di migliaia di miserabili, in gran parte ebrei, in fuga dalla

Con il dripping la pittura non è più un oggetto ma un evento

Anche lo spirito del West viene inzialmente filtrato da uno sguardo europeo

Cromolitografia a colori di un tramonto californiano, opera del 1864 del cantore del West Albert Bierstadt (1830-1902).

Russia dei pogrom. A fotografarle c’è proprio un ebreo di origine tedesca, Alfred Stieglitz, che nel 1905 apre a Manhattan la 291 Gallery per presentare le opere dei pittori moderni europei, come Henri Matisse e Paul Cézanne, e le fotografie dei «secessionisti»: lui stesso, Edward Steichen, Ansel Adams e altri. Nel frattempo i talenti migliori, come Man Ray, il cui vero nome era Emmanuel Radnitzky, grafico e fotografo, pittore e inventore di nuovi strumenti creativi, emigrano in Francia alla ricerca di terreno più fertile alla sperimentazione. Ma, in cambio, nel mondo nuovo approda, anzi è già approdato nel 1915, Marcel Duchamp, che sbarca il lunario facendo il commerciante d’arte. La sua amicizia con Stieglitz e con alcuni grandi mecenati e collezionisti come Walter e Louise Arensberg gli permette di mettere le mani sull’Armory Show, la prima fiera americana allestita nei docks newyorkesi, dove vengono esposti i suoi ready-made, fra cui lo scandaloso The Fountain, cioè l’orinatoio rovesciato.

MA NEMMENO il dadaismo è arte americana. Anzi, avanzando la Grande Depressione e poi i difficilissimi anni Trenta, pittori e fotografi americani riscoprono un linguaggio ben rodato come il realismo, raccontando l’alienazione e il silenzio delle metropoli, come fa Edward Hopper che ha studiato a Parigi e viene dall’illustrazione, oppure la disperazione della gente che dopo il crollo di Wall Street ha perso tutto. Dorothea Lange costruisce addirittura un nuovo genere, il reportage fra gli immigrati e i diseredati, realizzando anche alcuni scatti che restano icone assolute dell’epoca: per esempio Migrant mother del 1936. A questo punto non c’è dubbio che, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, la fotografia americana, la cosiddetta «straight photography» praticata da Stieglitz e dai suoi amici e allievi, sia all’avanguardia in tutto il mondo; in pittura, invece, si sono già manifestate personalità eccezionali, come quella di Georgia O’ Keeffe, la moglie di Stieglitz, che nel suo stile colorato e volutamente piatto esaspera i dettagli delle cose fino a renderli inquieti e visionari; ma in generale, le Accademie americane sono ancora piene di immigrati europei che vi insegnano dle regole dei movimenti europei.

Il realismo diventa la via per raccontare l’America giovane e dinamica

Rum Cay, acquerello di Winslow Homer (1836-1910), pittore e illustratore specializzato nei paesaggi marini del New England.

IMA GES TY GET Una situazione che l’avvento del nazismo nel 1933 rende drammatica: ebrei, rivoluzionari, contestatori scappano tutti in America, o almeno tentano di farlo. Fra loro c’è Hans Hofmann, un artista tedesco di formazione francese che porta negli States un’approfondita conoscenza del cubismo, dell’espressionismo tedesco, dell’astrazione e del Bauhaus. Il suo talento artistico e le sue capacità didattiche portano a riunirsi intorno a lui moltissimi giovani, artisti ma anche critici e intellettuali, come Clement Greenberg, uno dei teorici della New York School, che di lui scrive: «Hofmann è una forza che va riconosciuta sia in merito alla pratica sia all’interpretazione dell’arte moderna». Nel frattempo, a New York approdano anche i simpatizzanti del surrealismo e dintorni, Marc Chagall, André Breton, Man Ray, Max Ernst con la sua nuova moglie, Peggy Guggenheim… E negli stessi anni all’Art Students League, una scuola d’arte molto liberale ed economica, insegna Thomas Hart Benton, sostenitore del muralismo e dell’arte pubblica.

È LA MISCELA giusta, pronta ormai a esplodere. E l’esplosione si chiama Jackson Pollock, l’inventore di uno stile ormai esclusivamente, inconfondibilmente americano. Allievo di Thomas Hart Benton e «ragazzo di galleria» all’Art of This Century, lo spazio che Peggy Guggenheim apre nel 1942 sulla 57esima strada a New York, Pollock riesce a trovare una sintesi unica fra l’infinità di stimoli che lo circondano, il surrealismo e il muralismo, un’arte per la gente e uno stile che sia davvero senza limiti e senza le regole europee, capace di rappresentare gli spazi enormi del continente americano. Questa sintesi è il dripping, lo sgocciolamento del colore sulla tela collocata orizzontalmente a terra, la tecnica violenta e potente che fa della pittura non più una disciplina ma un’azione drammatica, non più un oggetto ma un evento. È la nascita dell’Action painting, l’astrazione gestuale, presentata per la prima volta da Guggenheim nel 1943; mai niente del genere si era visto prima da nessun’altra parte del mondo. Quando Pollock muore, schiantandosi ubriaco fradicio contro un albero a Long Island nell’agosto del 1956, la pittura era già cambiata per sempre.

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