STYLE MAGAZINE MARCH_24february2021

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STYLE.CORRIERE.IT NUMERO 2/3 - FEBBRAIO/MARZO 2021

Il mensile del

Zoomwear ABITI: DOLCE&GABBANA

N° 2-3 febbraio-marzo 2021 – Poste Italiane SpA – Sped. in a.p. – D.L. 353/03 conv. in L. 46/04, art. 1, comma 1, DCB Milano Il 24 febbraio con il Corriere della Sera 2 € (Style Magazine 0,50 € + Corriere della Sera 1,50 €). Non vendibile separatamente. Nei giorni successivi a richiesta con il Corriere della Sera, Style Magazine 2 € + prezzo del quotidiano.








TOWARDS A DREAM


louisvuitton.com













sommario febbraio/marzo 2021

27 Contributors 29 Editoriale - Tempo ne abbiamo?

di Fiorenza Bariatti

31 Artwork - Corrispondenze quotidiane

di Michele Ciavarella

di Alessandro Calascibetta di Leonardo Ulian

33 Tech design - Sveglia, forma e funzione

50 Photobook. Non sarà solo un’avventura

52 Photobook. Un flusso di immagini 54 Musica. Zayn, icona della libidine sanificata di Pier Andrea Canei

di Pier Andrea Canei

REPORT

Qui mondo

34 Francia. L’arte di mostrare l’arte

di Micaela Zucconi

41 Almanacco - Carnevale e quaresima

Cuoio e metallo, pelle scamosciata e accenti brillanti: geometrie e volumi per una narrazione fatta di accessori.

pag 162

57 Fashion news

INCONTRI

71 Raffaello Napoleone. Il futuro della fiera

di Andrea Bozzo

di Michele Ciavarella

CHECK

MODA

di Giacomo Fasola

di Giovanni de Ruvo - artwork di Tommaso Trojani foto di Federico Miletto

74 Tendenza grafica

43 Tv. Le supermodelle

44 Cinema. Lo stilista d’America di Michele Ciavarella

46 Mostra. Fuori contesto di Fiorenza Bariatti

48 Libro. Siamo tutti accessori di Coco

di Paolo Beltramin

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sommario febbraio/marzo 2021

IMMAGINAZIONE

82 Moda e arte. Quando l’Avanguardia inventò l’abito senza genere

ARGOMENTI

128 Contro Moda. Turning point, cioè «il punto e a capo» che salva la moda

di Martina Corgnati

di Michele Ciavarella

BEAUTY

MODA

86 Robert Pattinson. Il profumo di un uomo in divenire di Pier Andrea Canei

134 New Deal

di Luca Roscini - foto di Gautier Pellegrin

144 Zoomwear

di Avo Yermagyan - foto di Matthias Vriens

MODA

89 Style Selection. Durevolezza primaria di Luca Roscini - styling di Giovanni de Ruvo foto di Jorge Do Santos

154 Contenuti formali

di Giovanni de Ruvo - foto di Giorgio Codazzi

162 Geometrie e volumi

di Angelica Pianarosa - foto di Marco Gazza

172 Le regole della ribellione

di Luca Roscini - foto di Letizia Ragno

PROTAGONISTI

90 Sébastien Jondeau. La mia vita da protégé

di Michele Ciavarella

STORYTELLING

182 Streets of New York

di Giuliana Matarrese

REFERENCE

95 Seduzione senza fine. Il racconto di un innamoramento mai finito

pag 95

di Alessandro Calascibetta

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Un lungo servizio per raccontare «il giornalismo dell’immagine attraverso i cambiamenti della moda».

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STYLE Il mensile del

magazine

anno 17 n. 2-3 febbraio-marzo - 24 febbraio 2021

STYLE.CORRIERE.IT NUMERO 2/3 - FEBBRAIO/MARZO 2021

Il mensile del

DIRETTORE RESPONSABILE

STYLE È PUBBLICATO DA RCS MEDIAGROUP S.P.A.

Alessandro Calascibetta ART DIRECTOR

FASHION DIRECTOR

Tiziano Grandi

Luca Roscini

PRESIDENTE E AMMINISTRATORE DELEGATO

Urbano Cairo CONSIGLIERI:

CAPOREDATTORE

Fiorenza Bariatti

Michele Ciavarella

REDAZIONE

Zoomwear ABITI: DOLCE&GABBANA

FOTO: Matthias Vriens

STYLIST: Avo Yermagyan ABITI: Dolce&Gabbana

Pier Andrea Canei (vice caposervizio) Giacomo Fasola (vice caposervizio e coordinamento web) Valentina Ravizza Laura Braggio Giorgio Fadda Chiara Righi PRODUZIONI ATTUALITÀ E COORDINAMENTO MODA

Silvia Giudici PRODUZIONI MODA

Alessandra Bernabei MODA

Giovanni de Ruvo, Angelica Pianarosa (collaboratori) BEAUTY

Gioele Panedda (collaboratore)

WEB

Davide Blasigh, Gaetano Moraca (collaboratori)

CONCESSIONARIA PUBBLICITÀ

Rosy Settanni

ca irorcs media s.p. a .

UFFICIO DI PARIGI

Sede operativa via Angelo Rizzoli 8 20132 Milano tel. 02-25841 fax 02-25846848 Vendite Estero 02.2584 6354/6951

Annalisa Gali PROGETTO GRAFICO

Tiziano Grandi

Nicoletta Porta Chiara Pugliese COORDINAMENTO TECNICO: Emanuele Marini CENTRO SERVIZI FOTOGRAFICI E GUARDAROBA: Eleonora Caglio ADVERTISING MANAGER: BRAND MANAGER:

Luciano Fontana VICEDIRETTORE VICARIO

Barbara Stefanelli VICEDIRETTORI

Daniele Manca, Venanzio Postiglione, Fiorenza Sarzanini, Giampaolo Tucci

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– Sede sociale: via Angelo Rizzoli 8 20132 Milano – Redazione: via Angelo Rizzoli 8, 20132 Milano, tel. 02 2584.1, fax 02 25846810 – Stampa: ELCOGRAF S.p.A via Mondadori 15, 37131 Verona – Registrazione Tribunale di Milano n. 31 del 18/01/2005 – © 2014 RCS MediaGroup S.p.A. – Testi e foto © RCS MediaGroup S.p.A. possono essere ceduti a uso editoriale e commerciale. –Syndication – Press Service: www.syndication.rcs.it, press@rcs.it Responsabile del trattamento dei dati personali (D. Lgs. 196/2003): Alessandro Calascibetta. INTERNATIONAL EDITIONS Maria Francesca Sereni, tel. +39 02 25844202 (mariafrancesca.sereni@rcs.it) Content Syndication: press@rcs.it Web: www.syndication.rcs.it

SEGRETERIA DI REDAZIONE E CASTING

DIRETTORE RESPONSABILE

DIRETTORE GENERALE NEWS:

Alessandro Bompieri

REDAZIONE GRAFICA

PHOTO EDITOR

MENSILE DISTRIBUITO CON IL

Marilù Capparelli, Carlo Cimbri, Alessandra Dalmonte, Diego Della Valle, Uberto Fornara, Veronica Gava, Gaetano Miccichè, Stefania Petruccioli, Marco Pompignoli, Marco Tronchetti Provera

HANNO INOLTRE COLLABORATO A QUESTO NUMERO:

Silvano Belloni, Giorgio Codazzi, Martina Corgnati, Massimiliano De Biase, Jorge Do Santos, Marco Gazza, Federico Miletto, Gautier Pellegrin, Letizia Ragno, Tommaso Trojani, Matthias Vriens, Avo Yermagyan, Micaela Zucconi

questo numero è stato chiuso in redazione martedì

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febbraio

2021

DISTRIBUZIONE IN ITALIA M-DIS Via Cazzaniga 1, 20132 Milano tel. 02 2582.1 ABBONAMENTI Per informazioni telefonare allo 02 63798520 (lun-ven, 7,00-18.30; sab-dom, 7,00-15,00). Poste Italiane S.p.A. – Sped. in a.p.–D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art.1, comma 1, DBC Milano. ARRETRATI Rivolgersi al proprio edicolante, oppure ad arretrati@rcs.it o al numero 02 25843604 comunicando via e-mail l’indirizzo e il numero richiesto. Il pagamento della copia, pari al doppio del prezzo di copertina deve essere effettuato su Iban IT 97 B 03069 09537 000015700117 BANCA INTESA - MILANO intestato a RCS MEDIAGROUP SPA.




CONTRIBUTORS Martina Corgnati È storica dell’arte e curatrice. Insegna Storia dell’arte all’Accademia di Brera dove dirige il dipartimento di Comunicazione e didattica. Ha scritto una decina di libri sul moderno e contemporaneo e curato oltre cento mostre tematiche e antologiche in Italia e all’estero. pag 82

Gautier Pellegrin Francese d’origine, fin da piccolo vive in varie parti del mondo con la sua famiglia, cresce tra Singapore e New York per stabilirsi poi a Parigi dove studia fotografia. Nel 2010 inizia il suo percorso personale e si trasferisce a Milano, dove vive tuttora. Il suo obbiettivo fotografico racconta immagini piene di calma che alternano ritratti intimi e personali a scatti di moda. pag 134

FOTO: FRANCESCA IMPERIALI

Angelica Pianarosa Designer per laurea, stylist per vocazione. Ha iniziato come assistente per la rivista Made, nel 2011 è arrivata in RCS per collaborare con Max, Style e Io Donna come fashion editor. Classe 1986, pensa di essere nata nei tempi sbagliati: il suo sogno sarebbe risvegliarsi negli anni Sessanta nei panni di Pamela Des Barres, oppure negli anni Venti mentre sgambetta un charleston. Il suo amore per il rétro si intrufola anche negli shooting che realizza. Ma con moderazione. pag 162

Matthias Vriens Nato e cresciuto ad Amsterdam, dopo l’interruzione della sua carriera da ballerino di danza classica in seguito ad un incidente si dedica al design e all’editoria. Trasferitosi a Parigi nel 1992 è direttore e creative director della rivista Dutch. In poco tempo il magazine diventa uno dei più influenti degli anni Novanta mentre Vriens sviluppa la passione per la fotografia che lo porta a lavorare con riviste di moda internazionali. pag 144

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EDITORIALE

di Alessandro Calascibetta

Tempo ne abbiamo?

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SIAMO ARRIVATI al tanto sospirato numero della moda. Ci sono almeno due buone ragioni che spiegano perché le aspettative sono alte. Intanto perché vediamo l’accoglienza calorosa che riservate ai due numeri annuali di Style dedicati alla moda, così come ai due speciali Style Fashion Issue (che questa stagione uscirà nei primi giorni di aprile); e poi perché questo numero potrebbe coincidere con la ripartenza: da vivere ancora con cautela, ma anche con moderato ottimismo. All’interno vedrete l’orientamento delle tendenze di stagione, ma anche un pezzo di storia dell’immagine di moda attraverso una sequenza di pagine realizzate per i magazine per i quali ho lavorato dal 1986 al 2003: un percorso in cui ritroverete le mode che furono, brand che oggi non esistono più, fotografi celebri e semi sconosciuti, modelli famosi e altri che hanno lavorato solo per pochi anni, celebrities quasi irriconoscibili, tecniche e direzioni artistiche diverse da quelle di oggi. Ma la differenza più importante tra i servizi fotografici di oggi rispetto a quelli di ieri è l’assenza delle macro tendenze: se prima l’idea del set nasceva osservando le collezioni, oggi il mood dello shooting scaturisce da un’intuizione apparentemente estranea alla moda vista sulle passerelle delle sfilate. In altre parole, il compito di uno specializzato era quello di far vedere gli abiti così com’erano, oggi fotografi e stylist mettono in pagina un’atmosfera volta a valorizzare gli abiti. Questo accade perché in molti casi le collezioni non mostrano con chiarezza l’identità del brand: la necessità di stupire smentendo vistosamente la collezione precedente, mano a mano indebolisce la riconoscibilità della griffe. Creando, peraltro, un nuovo conformismo: assurdo, se si pensa alla risolutezza con cui le stesse firme e il sistema hanno lavorato per svellere le sue radici.

FOTO: LEONARDO BECHINI

C’è bisogno di equilibrio e per raggiungerlo ci vuole tempo. (alessandro.calascibetta@rcs.it) (Instagram @alecalascibetta)

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ARTWORK

di Leonardo Ulian

«i microchip sono le vere icone del ventesimo secolo»

COURTESY GALLERIA THE FLAT-MASSIMO CARASI

Corrispondenze quotidiane

E

Racchette da tennis diventano volti umani che ci osservano attraverso fusibili e fili di rame.

FFETTI DI LOCKDOWN urbani: guardarsi intorno in casa, scoprire oggetti quotidiani e trasformarli in opere d’arte. È così che Leonardo Ulian, creativo italiano di base a Londra, ha interpretato delle vecchie racchette da tennis e dei materiali elettronici di vario tipo. Il risultato è Contrived objects, ovvero una serie di racchette che, rielaborate con fili di rame, valvole e fusibili a sostituire la rete originale della racchetta, ricordano volti umani stilizzati e ironici «dove la fisionomia si manifesta grazie anche a un’anomalia chiamata pareidolia, ovvero il meccanismo

che porta il nostro cervello a collegare cose e oggetti di ogni tipo con forme note, nel mio caso volti umani dolcemente distopici» dice Ulian. I componenti elettronici sono delle metafore: ci sono le resistenze che limitano il passaggio di corrente, i condensatori cioè piccoli luoghi dove immagazzinare tensioni, e poi i microchip che «sono per me delle icone del 20esimo secolo; assomigliano a piccoli insetti con tante zampe, si dileguano e si nascondono ai nostri occhi, ma sono ovunque». Il giocatore di tennis preferito? «Non ne ho, ammiro quelli che, con gesto immaginativo, la racchetta la spaccano». (luca roscini)

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TECH DESIGN

Sveglia, forma e funzione

Il geniale industrial design di Dieter Rams sposa la creatività a colori di Paul Smith. DI PIER ANDREA CANEI - FOTO DI MICHELE GASTL

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LI APPASSIONATI DI INDUSTRIAL DESIGN lo sanno bene: Dieter Rams, tedesco di Wiesbaden classe 1932, è un gigante dello stile minimal, e molti suoi pezzi per la casa tedesca Braun (dalla radiolina portatile del 1958 alla calcolatrice tascabile del 1987) sono capolavori assoluti di quell’etica/estetica del «form follows function» derivata dalla scuola Bauhaus. Tra i grandi fan degli oggetti di Rams, due inglesi: Jony Ive, bravo ad applicarne la lezione per i vari iPod/Phone/Pad che hanno segnato il new look della Apple anni Duemila; e Paul Smith, lo stilista appena approdato ai 50 anni di attività, il quale nel suo recente libro (edito da Phaidon) su 50 oggetti della vita ne cita due del tedesco. Ossia: la calcolatrice del 1987, che in Inghilterra era venduta in esclusiva nelle sue boutique; e quella radiolina beige che una volta Sir Paul portò a una riunione giusto per dire ai suoi designer: «Ecco, le scarpe le voglio così». Tanta ispirazione non poteva che portare a una collaborazione, stavolta applicata a un tris di orologi in vendita nelle boutique e sull’e-commerce della maison britannica: da polso, da parete e in formato sveglia da viaggio. Tre oggetti anni Ottanta, in un total black appena mosso da accenti di colore very Paul Smith sulla lancetta a strisce dei minuti (sopra: la sveglia Paul Smith + Braun, 35 euro, paulsmith.com).

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QUI MONDO

Francia

L’arte di mostrare l’arte

Il genio di Tadao Ando integra passato e presente nel nuovo spazio espositivo che l’imprenditore del lusso François Pinault ha ricavato dall’antica BOURSE DE COMMERCE a Parigi. Per mettere la sua collezione a disposizione di tutti. DI MICAELA ZUCCONI

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POSSIAMO PARLARE DI GRANDEUR FRANCESE MA ANCHE DI PURO MECENATISMO

Il cuore della Bourse de Commerce, oggi museo di arte contemporanea su progetto di Tadao Ando. In alto, gli affreschi e la cupola di fine Ottocento. L’edificio, nel primo arrondissement, tra il Louvre e il Centre Pompidou, è di proprietà del Comune di Parigi, in concessione per 50 anni alla Pinault Collection.

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«IL LUOGO DOVE L’IMPREVEDIBILE DIVENTERÀ EVIDENTE, L’INIMMAGINABILE REALE E L’INASPETTATO POSSIBILE»

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A BOURSE DE COMMERCE raccolta nel suo cerchio perfetto, sormontata dalla impeccabile cupola, sarà il luogo dove l’imprevedibile potrà divenire evidente, l’inimmaginabile reale e l’inaspettato possibile». Con questa premessa, nelle parole di Jean-Jacques Aillagon, consigliere speciale di François Pinault per la Pinault Collection, la visita al nuovo tempio parigino del mecenate francese che ha fondato il gruppo del lusso PPR (oggi Kering) si carica di un’aspettativa quasi sacrale. Con il suggello della genialità di Tadao Ando Architects & Associates, che sempre per Pinault ha trasformato, a Venezia, Palazzo Grassi, Punta della Dogana e il Teatrino. La scelta della sede è in linea con la convinzione di Pinault che non vuole l’arte del nostro tempo confinata in «cubi bianchi», bensì parte di un dialogo con la storia. La Bourse de Commerce, tale dal 1889, a lungo abbandonata, nel cuore di Les Halles, era stata nel Settecento un deposito di grano nato sul palazzo – demolito – della regina Caterina de’ Medici. Dell’Hotel de la Reine, sorto nel 1574, resta solo la colonna astronomica cui la Bourse è addossata. L’evoluzione

«

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architettonica in museo di arte contemporanea è dunque nello spirito del luogo e la portata dell’impresa è già leggenda. La visita si presta a più esperienze, come sottolinea Aillagon. La prima è quella del restauro dell’antica borsa di commercio, a cura dell’architetto Pierre Antoine Gatier, capo dei Monumenti storici, con la cupola e gli affreschi realizzati per l’Esposizione universale del 1889. La seconda esperienza riguarda la spettacolare architettura realizzata da Tadao Ando insieme all’agenzia parigina NeM / Niney & Marca Architectes: un cilindro di cemento inscritto nell’edificio storico che dà vita al nuovo spazio in cui la collezione vive in una scenografia di cui sono parte essenziale la forma circolare, la cupola e la luce, tre soggetti che creano una dimensione introspettiva. All’ultimo piano, infine, il ristorante-cafè la Halle aux grains degli chef Michel e Sébastien Bras offre una vista unica su Parigi. LA MOSTRA D’INAUGURAZIONE – prevista a primavera – s’intitola Overture e comprende una trentina di artisti. La programmazione prevede 15 progetti all’anno, tra esposizioni ed eventi. Grandeur francese, ma soprattutto un esempio di mecenatismo contemporaneo.

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BOURSE DE COMMERCE — PINAULT COLLECTION © TADAO ANDO ARCHITECT & ASSOCIATES, NINEY ET MARCA ARCHITECTES, AGENCE PIERRE-ANTOINE GATIER PHOTO MARC DOMAGE, PATRICK TOURNEBOEUF

Il museo comprende sale con circa 200 opere dagli anni Sessanta a oggi della Collezione Pinault, gallerie per mostre temporanee e un auditorium. Tutti gli arredi sono dei designer Ronan e Erwan Bouroullec.






ALMANACCO

di Andrea Bozzo

Febbraio/Marzo 2021

carnevale e quaresima S T Y L E M AG A Z I N E

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CHECK TV

«un documentario per incoraggiare, motivare e ispirare i giovani»

Prodotto da Ron Howard e Brian Grazer, The supermodels è girato dal premio Oscar Barbara Kopple.

Le supermodelle LINDA EVANGELISTA, CINDY CRAWFORD, NAOMI CAMPBELL E CHRISTY TURLINGTON PROTAGONISTE DI UNA DOCUSERIE SU APPLE TV+. DI GIACOMO FASOLA NEL 1988 la 18enne Naomi Campbell fu la prima donna di colore a comparire sulla copertina di un’edizione di Vogue, quella italiana. Lo stesso anno Cindy Crawford posò nuda per Herb Ritts su Playboy, Christy Turlington diventò il volto di Calvin Klein, Linda Evangelista seguì il consiglio del fotografo Peter Lindbergh e accorciò i capelli (quel taglio sarebbe passato alla storia come «The Linda»). È l’inizio dell’epoca delle Supermodel, talmente famose da oscurare gli stilisti che cucivano loro gli abiti addosso. Non però Gianni Versace e Karl Lagerfeld che, insieme, diedero il via al fenomeno per creare un divismo della moda alternativo a quello del cinema, protagonista fino a quel momento sulle pagine dei fashion magazine. A distanza di tre decenni una docuserie ripercorre attraverso interviste esclusive e filmati d’archivio la carriera di Naomi, Cindy, Christy e Linda, le prime e le più famose tra le supermodelle. Dagli inizi all’apice del successo negli anni Novanta, quando Evangelista pronunciò la famosa frase: «Non mi alzo dal letto per meno di

dieci mila dollari al giorno». La serie si chiama The supermodels, arriverà su Apple Tv+ (non c’è ancora una data) ed è prodotta dalla Imagine Documentaries di Ron Howard e Brian Grazer. Dietro la macchina da presa c’è Barbara Kopple, due volte premio Oscar per i documentari Harlan county e American dream. NAOMI È INGLESE, Cindy e Christy

americane, Linda canadese. Si conoscono a New York e diventano amiche. La serie mostrerà le sfilate, i party, i red carpet ma anche l’amicizia vera che le unisce. Un’unione celebrata dalla copertina di Vogue del 1990 in cui Lindbergh le fotografò tutte insieme (con loro c’era anche Tatjana Patitz) inaugurando ufficialmente l’era delle supermodelle. «Sono entusiasta di riunirmi con le mie amiche» ha scritto Crawford su Instagram per lanciare la docuserie. E Naomi Campbell: «Speriamo che il percorso delle nostre vite raccontato nel documentario possa incoraggiare, motivare e ispirare i giovani di tutto il mondo».

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Le serie in uscita Your honor

su Sky Atlantic e Now Tv Bryan Cranston (Walter White in Breaking bad) nell’adattamento della serie tv israeliana Kvodo.

Tutta colpa di Freud

dal 26 febbraio su Amazon Prime Video Il reboot del film del 2014 di Paolo Genovese. Nel ruolo del protagonista c’è Claudio Bisio.

Sky rojo

dal 19 marzo su Netflix Tre prostitute in fuga dal loro protettore nella nuova serie di Álex Pina (La casa di carta).

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CHECK CINEMA

con lo chemisier in ultrasuede

#704 vestì milioni di donne americane

Lo stilista d’America STORIA DELLA RAPIDA ASCESA E DELLA RIPIDA DISCESA DI ROY HALSTON, INVENTORE DEL MINIMALISMO E DELLO STAR SYSTEM DELLA MODA. DI MICHELE CIAVARELLA

MISTER CLEAN. Così lo chiamavano i critici

di moda dell’epoca. «Pulizia», perché in quegli anni la parola «minimalismo» la si poteva usare solo per l’architettura e per il design. E la moda non apparteneva ancora a quest’ultima categoria, era una «cosa» che nella cultura americana riguardava per lo più Hollywood e il cinema. E forse per questo riuscì a catturare l’immaginazione di un ragazzino di dieci anni nato nell’Iowa nel 1932 che si prendeva cura dei cappelli della nonna. E fu proprio grazie a un cappello a tamburello che il 20 gennaio del 1961 nacque Halston, il divino autore della moda americana: Jacqueline Kennedy ne indossava uno alla cerimonia d’insediamento di suo marito alla presidenza degli Stati Uniti. Da lì in poi fu tutto un successo: enorme, incontenibile, strabiliante. Erede del glamour di Hollywood, l’unico che potesse paragonarsi al meraviglioso e inarrivabile Adrian, il costumista delle dive della MGM, Roy Halston è il primo (e rimarrà pressoché unico) designer americano (diplomato alla School of the Art Institute di Chicago)

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ad avere una visione della moda americana non legata al jeans e alla T-shirt. A lui si devono gli abiti essenziali drappegiati sul corpo e il legame tra la moda e il mondo dello showbiz: il suo regno non era nel suo leggendario appartamento al 21esimo piano dell’Olympic Tower a Manhattan, New York, ma nello Studio 54, e la sua corte imperiale era composta da Liza Minnelli, Anjelica Huston, Pat Cleveland, Beverly Johnson, Andy Warhol, Karl Lagerfeld. ASCESA RAPIDISSIMA e altrettanto ripida

Roy Halston con l’amica Liza Minnelli che nel film racconta molti dettagli. Il regista Tcheng ha lavorato con Tavi Gevinson, l’ex «blogger bambina» qui in veste di archivista.

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discesa (muore nel 1990 ma la sua stella era già spenta da tempo e il marchio in mano alla corporate Norton Simon Inc. che ne ha distrutto perfino gli archivi), la storia di Roy Halston Frowick è racconatta nel film Halston di Frédérick Tcheng (già autore del bellissimo Valentino: The Last Emperor) presentato al Sundance Film Festival e in arrivo su Amazon (tra i produttori). Un modo per far conoscere un eccezionale talento che soltanto Tom Ford ha saputo citare nell’era che ha segnato da Gucci.



CHECK MOSTRA

centoquaranta fotografie, dai primi anni ottanta: «untold stories»

Fuori contesto PETER LINDBERGH, OVVERO LA FOTOGRAFIA DI MODA DOVE LA MODA NON È AL CENTRO. DI FIORENZA BARIATTI

DICEVA CHE «la moda e la fotografia

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le donne dal terrore della perfezione», «l’erotismo non c’entra con l’esposizione di pelle nuda», «la bellezza sta nell’essere se stessi». è raccolta nella mostra Untold Stories che farà tappa (da marzo) al Madre di Napoli, un’antologica curata dallo stesso Lindbergh che raccoglie immagini commissionate da riviste come Vogue, Harper’s Bazaar, Interview, Rolling Stone, W Magazine e Wall Street Journal. Che cosa aspettarsi dalla visita lo ha raccontato l’artista stesso: «La prima volta che ho visto le mie fotografie sulle pareti della mostra sono rimasto sorpreso, ma in modo positivo. È stato travolgente trovarsi a così stretto contatto con chi sono io». Il plus? La video-installazione Testament (2014): girato attraverso uno specchio a senso unico, il filmato mostra lo scambio silenzioso tra la macchina fotografica di Lindbergh e un detenuto del braccio della morte in Florida mentre guarda, per 30 minuti, il suo riflesso senza far trasparire emozioni. LA SUA «EREDITÀ»

Untold Stories in due foto: Linda Evangelista, Michaela Bercu & Kirsten Owen, Pontà-Mousson, 1988; Uma Thurman, New York, 2016 (in alto).

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© PETER LINDBERGH, COURTESY OF PETER LINDBERGH FOUNDATION, PARIS

di moda sono due cose molto diverse». Di fatto, Peter Lindbergh (1944-2017), uno dei fotografi contemporanei più influenti, in questa storia c’è entrato eccome, pur avendo affermato: «Non fotografo vestiti, faccio ritratti». Sì ma lo ha fatto «riducendo al minimo ogni trucco, sovrastruttura e artificio, affidandosi a uno styling minimale e mettendo al centro modelle ritratte in modo intimo, naturale» come ha scritto Vogue Italia. Basta pensare alle prime immagini che lo hanno reso famoso: sulla spiaggia di Malibù quando riprese sei modelle allora sconosciute con addosso camicie bianche e risate sui visi; tempo dopo erano in cinque per strada vestite con canotte e jeans ma sempre con espressioni divertite; e poi Kate Moss, la sua musa, in salopette con solo assi in legno sullo sfondo. La «filosofia» di Lindbergh si potrebbe riassumere in alcune affermazioni, magari riduttive e banali ma senz’altro forti dichiarazioni d’intenti: «Voglio liberare



CHECK LIBRO

a

50 anni dalla morte: un mito della moda, in chiave contemporanea

Siamo tutti accessori di Coco LO STILE, LE PERIPEZIE, LA BURRASCOSA VITA DELLA MADEMOISELLE PIÙ INFLUENTE DI TUTTE: UNA NUOVA BIOGRAFIA. DI PAOLO BELTRAMIN

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gli amanti e gli amici di una vita: Jean Cocteau e Salvador Dalì, Winston Churchill e lo squattrinato Igor Stravinskij.

In libreria, per Cairo editore: la biografia/ saggio/reportage Coco Chanel: una donna del nostro tempo di Annarita Briganti, già autrice di Alda Merini: l’eroina del caos.

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IL VERO AMORE DI COCO è Arthur Capel detto Boy, industriale e gran giocatore di polo, che muore giovane in un incidente stradale. Ma quello che la mette più nei guai è il nipote (o figlio segreto?) André: per salvarlo dalla prigionia Chanel diventa spia degli occupatori nazisti. Roland Barthes, che l’ha soltanto sfiorata in un caffè parigino, è quello che le ha dedicato le parole più belle: «Lei non scrive con carta e inchiostro ma con tessuti, forme e colori. Elegante come Racine, giansenista come Pascal, sensibile come Madame de Sévigné». Orfana dalla nascita, autistica, provinciale, lettrice onnivora, self-made woman con quattromila dipendenti, ha solo un tailleur nero e uno grigio. Tra le sue massime: «Una donna non deve portare addosso i suoi soldi»; «Prima di uscire guardati allo specchio e togli qualcosa»; «Un uomo può indossare ciò che vuole. Resterà sempre un accessorio della donna».

GETTY IMAGES

SI FACEVA CHIAMARE «mademoiselle» con orgoglio: non ha mai portato il titolo da sposata la stilista che ha messo i pantaloni alle donne. A 50 anni dalla morte, nella sua stanza al Ritz di place Vendôme, e a cento dal lancio del N°5, il profumo-sottoveste di Marilyn Monroe, un nuovo libro ne celebra la storia e il mito. Di più: Coco Chanel. Una donna del nostro tempo, biografia/saggio/ reportage di Annarita Briganti, ripercorre in chiave contemporanea una vita già leggendaria. L’autrice ha scovato l’immagine più bella in un’intervista televisiva in bianco e nero. Quando il giornalista domanda: «Può dirci come sarà la moda di quest’anno?» Coco, annoiata, replica: «No, perché la moda va e viene, dopo una settimana è tutto già démodé». Poi aggiunge, «con un’impertinenza tinta di malizia» che ricorda lo stile di Alda Merini: «E comunque, se anche lo sapessi, non glielo direi». Di uomini ce ne sono tanti, in questa storia. L’ultimo è Luchino Visconti che al funerale, in un trionfo di rose bianche, è il solo a scegliere camelie rosse per salutarla. Ci sono



CHECK PHOTOBOOK

«ha introdotto codici che non esistevano e sovvertito le regole»

Non sarà solo un’avventura UN VOLUME, COLORATISSIMO E POP, PER (RI)SCOPRIRE ELIO FIORUCCI E, SOPRATTUTTO, LA SUA RIVOLUZIONE CULTURALE. DI FIORENZA BARIATTI

«LA FIORUCCI È SEMPRE STATA una ditta

divertente, diversa dalle altre», così scrive Isabella Sasso: suo il sedere che nel 1974 diede la forma a Buffalo, il modello di jeans Fiorucci più venduto nel mondo («mi misero seduta su uno sgabello... come se stessi montando una motocicletta perché Elio voleva che i pantaloni cadessero sul corpo con l’effetto moto, cioè con il sedere in fuori»)... Una delle tante storie di Caro Elio. Un viaggio fantastico nel mondo di Fiorucci (a cura di Franco Marabelli, Rizzoli).

1970, Elio Fiorucci sceglie la «squadra» fatta da 11 persone. Nei negozi si respirava arte: Keith Haring disegnò su muri, soffitti e mobili; l’artista Justine Colette dormì una settimana in vetrina.

NEGOZI OVUNQUE ma la storia inizia

da Milano, piazza San Babila, dove ci si dava appuntamento per entrare da Fiorucci a chiedere gli adesivi e a respirare quell’aria di novità (chi c’era sa che era impossibile trovarla altrove) tra vestiti colorati, jeans, bigiotteria e neon (un altro simbolo mai visto prima: figure fluo di ballerini, camion, astronavi, coppe di gelato...). Pochi anni dopo apriva il concept store (e già la parola sapeva di nuovo) in via Torino: al primo piano si vendevano libri e si trovava il ristorante aperto fino alle due di notte, un’innovazione per la città. Fiorucci era comunque sempre sinonimo di avanguardia: gli stivali in plastica dorata, gli shorts, le shopping bag in alluminio stampato, le figurine Panini con le iconiche immagini delle pin up (150 milioni di pezzi: un trionfo anche in termini di marketing), le tute e i giubbini in Tivek (il tessuto DuPont

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Ciao Elio a cura di Franco Marabelli con la collaborazione di Franca Soncini, art director Pier Paolo Pitacco, Rizzoli, 60 euro.

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che pareva carta); le T-shirt: quelle con gli angeli e quelle con Mickey Mouse. Dicono di lui che era persona di cultura, artista, genio creativo, stilista visionario; istintivo, sorridente, brillante, profondo, ambizioso, inaspettato, ottimista. Questo volume è una raccolta di storie narrate da chi con lui ha vissuto, riso, litigato e collaborato; come Franca Soncini, assunta nel 1968 per coprire il ruolo di segretaria personale e passata, dopo un solo mese, ad altre mansioni fino a ricoprire mille incarichi diversi: responsabile ufficio stampa, supervisione dipartimento grafico, creazione ed organizzazione eventi. Nato nel 1935 e scomparso 80 anni dopo, Elio Fiorucci era un talent scout di persone, mode, design che viveva in un viavai di personaggi, modelle, fotografi, architetti, clienti. Ce ne vorrebbe un altro. Un altro Elio e un altro entourage come il suo.


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CHECK PHOTOBOOK

«la monografia di un brand trasversale che assorbe come una spugna»

Un flusso di immagini UN’ANTOLOGIA ICONOGRAFICA VOLUTAMENTE INCOMPLETA PER I PRIMI DIECI ANNI DI MSGM, UN MARCHIO PER CUI LA MODA È RICERCA SOCIALE. DI MICHELE CIAVARELLA

RACCOGLIERE LA PROPRIA storia in un

libro rappresenta comunque un traguardo, a prescindere dallla quantità di storia che si vuole raccontare: Massimo Giorgetti ha riunito in MSGM10! – monografia che ha un sottotitolo programmatico: The (in)complete brand anthology – le immagini che hanno caratterizzato i primi dieci anni della nascita, della crescita e del successo del marchio. Edito da Rizzoli, con la direzione creativa dello stesso Giorgetti, i testi di Charlie Porter e le prefazioni di Katie Grand, Valerio Innella e Sara Maino, con la cura di Tanya Jones e la grafica di Studio Dallas, il libro somiglia alla storia che racconta: è, infatti, un compendio di sensazioni, di immagini, di progetti e di traguardi così come MSGM è «una spugna che assorbe tutto quello che c’è attorno per raccogliere una moda che in realtà è una ricerca sul contemporaneo» dice Giorgetti che dal momento della fondazione del marchio (il cui logo riporta le iniziali di chi all’epoca ha condiviso con lui la partenza), ha utilizzato un metodo di ricerca molto personale. «Lavoro sul messaggio e sull’emozione e, grazie a questo mio modo personale di sperimentare, ho costruito un brand trasversale» continua

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Oltre alle foto e agli allestimenti delle sfilate, delle campagne pubblicitarie e delle collaborazioni iconiche, a raccontare i dieci anni di MSGM ci sono anche immagini della vita privata di Massimo Giorgetti, fondatore e direttore creativo.

il direttore creativo che è sempre stato attento anche alla compatibilità del suo operato con il riscontro sul mercato perché «per ottenere il successo commerciale occorre accettare i compromessi, ma questo vuol dire crescere: saper gestire i compromessi».

MSGM10! The (in)complete brand anthology, direzione creativa di Massimo Giorgetti, testi di Charlie Porter (Rizzoli, 75 euro).

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ED ECCO QUINDI che la copertina fluo del libro esibisce una cartolina di Rimini, luogo di nascita e di elezione di Giorgetti, e che le 375 pagine raccolgono un flusso di immagini che si succedono in maniera istintiva e non convenzionale, tra felpe con il logo, cappotti con la scritta «Milano», camicie e T-shirt nate dalla collaborazione con riviste d’arte come Toiletpaper e Flash Art e con artisti (tra cui anche Dario Argento). Un racconto pieno di colori e di emozioni che termina con il «tempo della consapevolezza che arriva dopo la leggerezza». Cioè l’oggi come lo vede Giorgetti.



CHECK MUSICA

«Oh, Oh-Oh, mmm (OOh, OOh), mmm, Oh (OOh, OOh)»

Zayn, icona della libidine sanificata TRA UNA COVER FASHION E UN DÉFILÉ: MUSICA DA CAMERA DA LETTO PER IL NUOVO IDOLO POP DAL SUBLIME FALSETTO. DI PIER ANDREA CANEI

L’AGGETTIVO «UNFUCKWITABLE»

è un neologismo inglese piuttosto complicato da tradurre: a prima vista potrebbe scambiarsi per qualcosa come «inchiavabile», ma significa piuttosto «intoccabile, irreprensibile, ineccepibile»; è così che s’intitola uno dei pezzi-chiave di Nobody is listening, terzo album dell’idolo pop Zayn, alias Zain Javadd Malik. Una certa misura di autostima è d’altronde comprensibile a guardare il curriculum di questo 28enne britannico (di padre anglopakistano e madre irlandese), ex vincitore di XFactor UK 2010 con la boyband (formata per l’occasione) One Direction, da cui è uscito sei anni fa per seguire una strada solista di cantante, autore e icona fashion. Con la supermodella Gigi Hadid, sua fidanzata a intermittenza, ha adornato nel 2017 una cover di Vogue America, emblematica del superamento dei generi nella moda; ha fatto il modello nelle foto scattate dalla stessa Gigi per Versus; è stato co-stilista di scarpe per Giuseppe Zanotti, è portatore sano di Omega Constellation

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(orologio che sfoggia al polso nel video dell’ultimo singolo Vibez). Insomma: è uno dei personaggi più stylish e sponsorizzati in circolazione. Si può pretendere anche che il suo album sia un capolavoro? ALLA PROVA D’ASCOLTO Nobody

is listening suona piuttosto come una compilation, avvolgente e un poco ripetitiva, di coccole, canne, confessioni e languorini su base di blando r’n’b. Funziona se vi piace il tipo: Zayn che aspetta per far l’amore sul davanzale (Windowsill); Zayn che vi ama anche se non vedete tutto alla stessa maniera (Better); Zayn che comunque non vede l’ora di tornare a letto (Vibez) e farlo di nuovo (Sweat). Insomma: indubbiamente sa cantare, sfodera un falsetto notevole, ed è in controllo del suo sound come del suo mondo. E sembra offrire – quasi più a se stesso che a chi ascolta – una musica da camera da letto, in versione molto attuale e «unfuckwitable»; come per un lockdown di sanificata e consapevole libidine, solitaria, introversa, da followare ma non toccare.

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Nobody is listening è il terzo album di Zayn, 28enne britannico, ex membro della boy band One Direction.


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REPORT

A CURA DI FIORENZA BARIATTI E LUCA ROSCINI

ORIZZONTI GIAPPONESI Eliminare le decorazioni, rafforzare l’essenziale.

S Il creativo multi-talent Daiki Tsuneta indossa uno dei due modelli disegnati per il marchio tedesco Mykita.

il metodo di sottrazione permette di restituire immagini tanto semplici quanto inattese. È facendo così che è stata creata la collezione di occhiali Mykita for Daiki Tsuneta, eliminando ogni addendo per ottenere un prodotto asciutto ed essenziale, in controtendenza rispetto al trend contemporaneo. Il brand di eyewear tedesco Mykita, conosciuto per il proprio knowhow, ha contattato il musicista giapponese Daiki Tsuneta, leader dei King Gnu, e il collettivo creativo Millennium Parade per realizzare due modelli in acciaio inossidabile ultrasottili con delicate sfumature di colore: uno perfettamente rotondo e l’altro invece dalla forma squadrata. L’essenzialità d’immagine dei codici orientali interpreta la solidità assoluta del talento tecnico tedesco anche per celebrare i dieci anni dall’apertura del Mykita shop a Tokyo e l’opening di un nuovo punto vendita a Osaka. PESSO

DUE RUOTE ARTIGIANALI DA PARIGI Muoversi, anche in bicicletta. Griffata e personalizzata.

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che Louis Vuitton ha fatto sua con la lunga e mitica produzione di valigie, borse e altri accessori ha portato la griffe a realizzare una bicicletta (negli archivi c’era già traccia di un baule speciale per due biciclette in tela Monogram). E lo ha fatto in collaborazione con Maison Tamboite Paris cioè con chi, grazie a Monsieur Hugo Canivencil, capomastro e designer di telai, rappresenta uno stile di vita ciclistico très français. Ma solo nella LV Bike la firma grafica Louis Vuitton incontra il legno (per cerchioni e parafango) e l’acciaio (verniciato e cromato, stirato e alleggerito). E soprattutto «gioca» con la preziosa pelle a seconda dei modelli: una sella rosso acceso nell’iconica Mahina ARTE DEL VIAGGIO

La LV Bike è in vendita in tutte le boutique Louis Vuitton ma solo su ordinazione.

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traforata; sfumature di nero e grigio con dettagli giallo brillante per la Damier Graphite; o con il Monogram Since 1854 di Nicolas Ghesquière. Ogni bici riporta le iniziali del proprietario sul telaio o sotto la sella e, comunque, un tracker integrato ne controlla la posizione tramite una app (così da non perderla mai).

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REPORT

MADE IN AFRICA

Alcuni kaftani unisex di Marrakshi Life realizzati con filati ecosostenibili.

Eleganza e folklore diventano glam.

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UTTO PRENDE SPUNTO dal guardaroba tradizionale marocchino eppure il risultato finale ha accenti glamour che trascendono quel sapore folkloristico che hanno gli abiti storici di ogni territorio; bluse, kaftani, pantaloni ampi ma anche tute e salopette in cotoni made in Africa, tagliati e lavorati poi nell’atelier del brand che si trova, ovviamente, in Marocco, a Marrakech per l’esattezza come il nome del brand richiama facilmente. Marrakshi Life, così si chiama, è stato fondato dal fotografo Randall Bachner nel 2013 con l’obiettivo di creare un abbigliamento completamente marocchino e assolutamente sostenibile dal punto di vista dell’impatto ambientale oltre che nel pieno rispetto della filiera endogena. Abbandonando così New York, la sua città d’origine, e con essa la sua vita, Bachner vive ora in Marocco dove segue il suo brand di capi unisex realizzati completamente a mano con telai tipici della tradizione dell’Africa del Nord.

Sneakers high-end

L’impegno sostenibile

Il nome Rock viene dalla parola roccia, roche in

Domanda: che cosa

si fa con i fondi di caffè, con le bottiglie in plastica e con la cellulosa estratta dall’eucalipto? Risposta: si producono abiti e accessori green. L’impegno è di Boggi Milano con tre nuove proposte: una serie di capi realizzati con filati ottenuti grazie a una tecnologia di riciclo dei fondi di caffè; uno zaino prodotto impiegando il 100 per cento di materiali derivati dalle bottiglie in plastica; giacche e camicie in Tencel, tessuto composto da fibre naturali e biodegradabili generate dalla cellulosa dell’eucalipto.

francese, perché queste sneakers sono fortemente ispirate al mondo del trekking (anche i lacci che hanno scelto sono da trekking) e della montagna (non a caso vengono presentate in occasione dei Mondiali di sci a Cortina). In questo modello, in edizione limitata, Philippe Model ha unito il mood degli anni Novanta alla tecnicità delle suole Vibram e delle tomaie realizzate in microfibra termosaldata sul tessuto tecnico. Le sneakers Philippe Model sono disponibili esclusivamente in total black.

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Polo sostenibili con caratteristiche di traspirabilità, asciugatura rapida e protezione dai raggi Uv da Boggi Milano.



REPORT

UN DANTE POP ED ECLETTICO

Paolo Stella indossa una camicia di Alessandro Enriquez p-e 2021.

«La Divina Commedia» e i peccati d’amore.

Futuro da esposizione

Relax glam (e ironico) Fare tendenza

con un pigiama? Ci sono riusciti due creativi svedesi col pallino della sostenibilità grazie a una linea di abbigliamento homewear e intimo chiamata CDLP. Fondato nel 2016, il marchio, la cui art direction è sempre creata dai due designer, si vanta di produrre calze in bambù, costumi da bagno in Econyl e actiwear in fibra Pes di riutilizzo, tutto visto con autoironia e, come dicono i due fondatori, «secondo una visione di un mondo di conscia mascolinità». Tra i fan anche Sébastien Tellier, che per il marchio ha disegnato una capsule.

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Non capita spesso

Il musicista francese Sébastien Tellier (nella foto) ha realizzato una capsule collection di homewear per CDLP.

che un filato diventi un pezzo da mostrare all’interno di un importante museo. È invece questo il caso di IceCotton, cotone nobile sviluppato in esclusiva da Zanone esposto all’interno del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano in quanto fibra all’avanguardia dalle qualità innovative ottenuta da una lavorazione estrema che consiste nella torsione altissima delle fibre. Le sue caratteristiche? Non si stropiccia, non necessita di stiratura, non perde le proprietà di elasticità e traspirazione.

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Una polo a maniche lunghe realizzata in IceCotton da Zanone, brand di maglieria dell’universo Slowear.

FOTO: ALBERTO ALICATA

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Ì, CERTO, QUESTO È L’ANNO in cui si celebrano i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, sommo poeta e padre della lingua italiana. Ma in fondo non è proprio la sua Divina Commedia che ci ha fatto capire, per prima, quanto sia vero che «all we need is love»? Alessandro Enriquez, designer eclettico che mescola le arti creative con un’attitudine pop da far invidia ad Andy Warhol, parte da questa considerazione per trasferire sui suoi abiti i peccati descritti nell’Inferno dantesco richiamando innanzitutto il peccato più quotidiano possibile, quello del cibo (oltretutto è un grande appassionato di cucina e autore di Recipe Calling, ricette raccontate al telefono ed eseguite in diretta su Instagram). Enriquez ne fa le stampe per ogni capo del guardaroba maschile e femminile, ma siccome alla fine sempre di amore si tratta li affianca ai colori vitaminici e ai disegni del suo «doppio cuore» perché, dice, «amore viene da a-mors, senza morte». Cioè è un sentimento senza fine che sta bene anche indossato. (m.c.)


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Il rituale quotidiano di bellezza maschile.

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MADE IN ITALY


REPORT

ARTIST INSIDE SU IG Obiettivo: stupire e interessare.

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OMUNICARE NON È FACILE, spesso occorre trovare modi e mezzi diversi, magari più inusuali, accattivanti. Circolo 1901 lo fa attraverso una nuova «rubrica» chiamata Artist Inside che coinvolge artisti emergenti – i primi a partecipare sono gli artisti musicali Rob d’Elia e Vittoria Impedovo dei Victoria and the Winemakers – in grado di regalare le stesse emozioni che la «famiglia Circolo» prova facendo il suo lavoro. Anche in questa collezione, un vero tributo al colore, il marchio punta sulla stessa «missione» di sempre, ossia «ridefinire il formale» e lo fa scegliendo materie prime originali, coniugando l’eleganza con influenze provenienti dal mondo sportivo, proponendo stampe floreali e fantasia per polo e camicie, piquet ultralight e lini puri o mescolati. E l’abito, elegante, diventa anticonformista. Come il modo di comunicarlo.

Un nastro, una foto, un look sono parte del nuovo progetto di Circolo 1901. Da vedere su Instagram.

POLDO MA QUANTO SEI CHIC? Cane e padrone: un cappotto per due.

H Poldo Dog Couture di Fay: la nuova linea di abbigliamento per cani 100 per cento made in Italy.

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la proverbiale amicizia e fedeltà che i cani esprimono nei confronti dei loro padroni con «pezzi di abbigliamento» mutuati da quelli indossati dalle persone. Ed ecco, quindi, che alcuni capi must di Fay si «riproporzionano» a misura di animale con il nome di Fay Poldo Dog Couture. La «collezione a quattro zampe» è composta da tre gilet: uno in pile orsetto con una tasca sul dorso e cappuccio, molto caldo e adatto a proteggere le taglie più piccole spesso non dotate di sottopelo; uno con i tipici ganci sul dorso e il colletto in montone, perfetto anche nelle giornate più fredde; uno in tessuto tecnico trapuntato, realizzato anche nelle taglie più grandi. Guinzaglio e borsa trasportino logati non possono certo mancare ma questi ultimi due fanno più chic il padrone, non l’animale! Mentre per quanto riguarda i «cappottini» in genere sono graditi ai cani a pelo raso e corto, ai cuccioli e ai più anziani, a quelli molto magri e di taglia piccola. ANNO SCELTO DI PREMIARE



REPORT

COSTA AZZURRA ANNI SESSANTA Sognando Alain Delon e Brigitte Bardot.

U Sandro Homme, pantaloni molto ampi e giubbotto in denim chiaro. T-shirt in cotone.

in costa Azzurra negli anni Sessanta. L’ispirazione di Sandro Homme per l’estate è un lungo viaggio da Parigi con destinazione Costa Azzurra, in pieno spirito disubbidiente e rilassato al tempo stesso. Lo stile che ne deriva è fatto di proporzioni morbide, colori caldi come il caramello, il crema e il beige e un’attitudine elegantemente ribelle che richiama il mood hippie di quegli anni e l’allure indistinguibile dell’uomo metropolitano di Parigi. La ribellione sta nello spunto che arriva dai creativi del brand, riflettendo su ciò che distingue l’eleganza di allora con l’immagine maschile di oggi: «L’uomo Sandro non si veste per i social, ma nel rispetto di sé e degli altri, poiché considera lo stile un modo di essere e non di apparire». Educazione che arriva dal passato per farci riappropriare dell’armadio dei nostri padri. N PARIGINO

Working class jacket

Nuovi stili urbani

Non è soltanto

Dalla Giamaica alla

un giubbino in jeans: è un pezzo di storia, di gossip, di moda… James Dean, Marilyn Monroe ed Elvis Presley l’hanno indossata, i militari l’hanno scelta come una divisa tra le due Guerre, il mondo western l’ha esportata come icona di stile, i teenager degli anni Cinquanta ne hanno fatto un simbolo generazionale, 20 anni dopo anche i punk l’hanno adottata; ora Mcs prende la sua originale trucker jacket in denim e ne fa un bestseller di stagione proponendola anche in altre due versioni: in pelle e scamosciata.

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periferia di Londra. Vincitrice del Premio LVMH la designer britannica Wales Bonner ha debuttato a Parigi con la collezione primaveraestate chiamata Essence. In una parola si racchiudono i collegamenti stilistici della designer che già la rendono molto riconoscibile: esplorazione delle radici giamaicane e moda street della suburbia londinese. Capi eccellenti del fomale alla Savile Row uniti all’athleticwear, tutto fuso con un occhio coerente e tradizionalmente fresco.

Mcs, jacket da abbinare a polo e T-shirts check o tartan e a pantaloni colorati.

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Un look di Wales Bonner che mixa capi sportivi con elementi dell’immagine british.



REPORT

LA VITA È ARTE (E MODA) Il leader dei dandy influenza ancora.

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POCO PIÙ DI 120 ANNI dalla sua morte, Oscar Wilde è ancora personaggio controverso e ricco di stimoli, controcorrente e divisivo tanto da essere ispirazione per il fashion designer JW Anderson per la sua linea di abbigliamento omonima. Il designer ha deciso di fare di uno degli aforismi del poeta e drammaturgo irlandese il messaggio della sua collezione primaveraestate. «Il segreto della vita è nell’arte» era infatti scritto sotto forma di appunto su un pezzo di carta autografo che Anderson ha comprato di recente a un’asta. Da qui nasce l’idea per la creazione di una capsule collection che si avvicina alla visione estetica di Wilde e cioè che «le cose belle a volte possono essere semplicemente belle». Il prodotto si distingue in quattro stili ben definiti ma sempre essenziali arricchiti poi da alcuni accessori quali gioielli, borse e cappelli che richiamano l’immagine del Wilde icona del dandysmo, sfrenato e incrollabile a distanza di più di un secolo.

La collezione Oscar Wilde di JW Anderson è disponibile in esclusiva su jwanderson.com e presso il flagship del marchio a Soho, Londra.

Modernità casual

L.B.M. 1911, completo giacca e pantaloni in cotone doppio ritorto.

Per gioco e per identificare senza ombra di dubbio l’origine campana del brand, Outfit Italy ha associato le vestibilità dei nuovi capi alle figure della Smorfia napoletana in un gioco di parole e assonanze. Fanno parte della collezione, denominata Optimised, abiti privi di costruzioni, lineari, che nulla hanno a che vedere con la formalità in senso stretto. Si passa dalla sahariana al bomber abbinati ai chinos come ai pantaloni dal taglio tipicamente sartoriale ma con il particolare contemporaneo della coulisse.

Il viaggiatore elegante Un paracadute fa da sfondo nel lookbook

di L.B.M. 1911 ispirato a un viaggio nella California messicana. «Una terra aspra, selvaggia e desolata, ma generosa, con i colori accesi e intensi dei villaggi coloniali, i profumi inebrianti, l’allegria e l’ospitalità della gente». Parole che servono a raccontare i temi sviluppati nella collezione: praticamente un cammino da affrontare con la predisposizione ad accogliere novità inattese. Con blazer, gilet, giubbini, maxi check, gessati... E un paracadute in supporto.

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Outfit Italy, pantaloni 22, numero che la Smorfia associa a «o’surdato».


TIME TO CHANGE

NUOVO PEUGEOT 3008 PLUG-IN HYBRID

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REPORT

UNA FAMIGLIA ALLARGATA Un capo parecchio versatile.

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OLLETTO CON CINTURINO, tasche e «prese d’aria» sul retro delle maniche. Tre caratteristiche che rimandano immediatamente a un brand del lusso, Loro Piana, e alla sua giacca iconica, la Traveller. Diverse le «declinazioni» che derivano dalla giacca per la primavera-estate: la Traveller Bike Jacket nello speciale tessuto Windmate oppure in pelle Grained nabuk e interno in cashmere; e la versione più vicina a un cappotto, denominata Traveller Coat, appunto, dotata di alamari, tasche con pattina, spalloncini e soffietti dietro le maniche, realizzata nel leggero, impermeabile e ingualcibile Windmate Storm System. Sempre dal modello «madre» deriva la versione senza maniche, Traveller Vest, e il mezzocollo in cashmere Traveller High-neck Sweater, dal taglio sportivo con due bottoni sul colletto.

Loro Piana, Traveller Jacket, primavera-estate.

COSA VOGLIONO LE NUOVE GENERAZIONI Logo all-over su accessori ecosostenibili.

L Guess, zaino Salameda: tante tasche e spazio per gli oggetti essenziali da portare con sé tutti i giorni.

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di Paul Marciano, chief creative officer e co-fondatore di Guess, è chiara: «La sostenibilità è un catalizzatore della creatività e ci aiuta a ripensare il modo in cui progettiamo i prodotti. I nostri obiettivi di sostenibilità ci hanno sfidato a innovare, evolvere e adattarci». Da una parte il futuro significa fare di più con meno – meno acqua, meno rifiuti e meno carbonio –, dall’altra il marchio punta a soddisfare le aspirazioni delle nuove generazioni. Ecco quindi pronta la collezione di abbigliamento sostenibile Smart Guess accanto alla produzione artigianale di borse e calzature fatte di artigianato, attenzione ai dettagli e materiali eco-compatibili e riciclati. Lo zaino Salameda, ad esempio: un borsone, in denim, pelle e nylon, proposto con un rinnovato logo Guess all-over e motivi sportivi (le chiusure lampo impermeabili colorate e i laccetti a contrasto ispirati al mondo del basket).

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INCONTRI

IL FUTURO DELLA FIERA

Tradizione o innovazione? Con Raffaello Napoleone, Ceo di Pitti Immagine, parliamo delle ipotesi possibili della trasformazione del Fashion System. E intanto fa una promessa: «Pitti Uomo sarà la piattaforma e la rappresentazione più evidente per far capire come si evolve il sistema». DI MICHELE CIAVARELLA

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CCORRE l’ottimismo. Ingrediente necessario per progettare un futuro che oggi appare ancora essere in fondo a un tunnel e ha una luce a forma di punto interrogativo. E l’immaginazione, elemento essenziale in tempi normali, figuriamoci nelle emergenze. Scommettere sulla fiducia oggi è decisivo per disegnare «quello che sarà» sia pure se si è prigionieri dell’incertezza assoluta in un periodo in cui quello che si decide oggi domani può essere messo in discussione e ritornare a diventare plausibile subito dopo. In questo tempo ad elastico, un nuovo metro di misura spaziotemporale, vanno prese decisioni che incideranno su sistemi e organizzazioni, sull’economia e sulla cultura. E, di con-

seguenza, anche sulla sostenibilità del sistema moda con i tempi cambiati che ci ritroveremo alla fine di tutto. All’interno di esso, le fiere, bloccate dai decreti del presidente del Consiglio dei ministri già dal primo periodo di lockdown (a onor del vero in Italia come nel resto del mondo), assumono oggi un ruolo di spia e di cartina di tornasole non solo dell’attitudine alla resilienza ma soprattutto della capacità di rinnovamento di tutto l’intero Fashion System. Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine, è uno degli attori di questo sistema e a lui tocca progettare il futuro del suo ente che, è bene ribadire, organizza l’unica manifestazione internazionale di moda maschile. Arrivato all’ente fiorentino nel 1989 come direttore generale, dal 1995 è il Ceo che, scavallando il millennio, ha

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lavorato per portare una fiera storica di settore a diventare l’appuntamento internazionale che conosciamo. Pandemia e confinamenti sono iniziati esattamente un anno fa, a marzo 2020. Qualche mese dopo, a giugno, è saltato l’appuntamento tradizionale con Pitti Uomo, prima rimandato a settembre poi impossibilitato a svolgersi. E l’edizione di gennaio 2021, inizialmente riprogrammata a febbraio è stata infine annullata. Ci ha salvato il digitale? I dati dell’edizione di Pitti Connect sono straordinari: a gennaio solo con le presentazioni di Cucinelli, Herno e Kiton abbiamo avuto 286 mila pagine viste. E l’elemento nuovo è che gli espositori ci chiedono di anticipare le loro collezioni sulla nostra piattaforma. Questo non vuol dire che le edi-

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INCONTRI

zioni fisiche abbiano perso valore. In uno studio che abbiamo condotto con Nomisma intervistando migliaia di espositori la sospensione degli eventi fieristici figura al quarto posto tra le conseguenze negative della pandemia, dopo lo stop alle attività produttive, la chiusura dei negozi e il cambiamento delle esigenze dei consumatori ma prima del blocco dei mercati esteri. Ipotizzando un ritorno alla normalità in tempo per organizzare l’edizione di Pitti Uomo a giugno 2021, pensa che la formula della manifestazione sarà la stessa degli anni passati? A giugno si riparte, certo! Abbiamo già oggi le richieste di adesione. Il che dimostra la centralità della formula della fiera: gli espositori sostengono che un giorno di manifestazione fisica vale una settimana di digitale. I mesi della pandemia ci hanno portato a riflettere sia sui contenuti sia sugli spazi: ovviamente l’edizione prossima sarà diversa da quelle passate. Come? Stiamo studiando le modalità. Già il protocollo Safer with Pitti obbligherà a una geografia diversa, ma anche le varie merceologie saranno

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dislocate diversamente. E non solo, perché nella selezione entrerà il criterio dell’attenzione all’ambiente, alla sostenibilità, all’upcycling. Un’edizione che si potrà definire più vicina alla tradizione o più orientata all’innovazione? L’innovazione sarà provocata in primo luogo dalla sicurezza, la ricerca delle nuove merceologie arriva direttamente anche da quella che stanno svolgendo le aziende che producono tessuti innovativi. La conseguenza sarà il cambiamento radicale di tutto il Fashion System? Sicuramente il fenomeno di digitalizzazione che la pandemia ha accelerato cambierà per sempre il modo di relazionarsi tra le persone, anche se la parte fisica riacquisterà il suo ruolo centrale. Stiamo studiando una formula che abbia una visione marcata e seria dell’innovazione che serva anche a stimolare i consumi: ci sarà bisogno di molte proposte nuove perché la gente possa ritornare a comprare la moda. Quindi, bisogna stimolare gli acquisti seguendo e capendo le diverse esigenze dei consumatori. In questo senso, Pitti Uomo sarà

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la piattaforma e la rappresentazione più evidente per far capire come si evolverà tutto il sistema. Che, sono convinto, sarà più forte perché più innovato. Il che non vuol dire che fatturerà immediatamente di più perché per tornare ai livelli precedenti occorrerà aspettare il 2022-23. Nonostante oggi l’ampliamento del mercato cinese dia speranze molto più ottimistiche e anzi di superamento di ogni aspettativa. A giugno Pitti Uomo festeggerà le 100 edizioni, cioè 50 anni di business in fiera e di elaborazioni culturali diffuse in città, con mostre, concerti, esibizioni, rappresentazioni teatrali, feste… Come celebrerete? La formula attuale di una fiera che coinvolge la città e le culture l’ha inventata Marco Rivetti (il compianto proprietario del Gruppo Finanziario Tessile e presidente di Pitti Immagine dal 1987 al 1995, cioè fino a un anno prima della sua prematura scomparsa) e a questa formula vorremo dare l’omaggio che merita. Premettendo che dobbiamo superare questa fase critica, per farlo celebreremo quello che Pitti Uomo è stato e quello che sarà.

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«Stiamo studiando una visione marcata e seria dell’innovazione che serva anche a stimolare i consumi: ci sarà bisogno di molte proposte nuove perché la gente possa ritornare a comprare la moda»


STUDIO DISPARI

“Una combinazione tra ciò che è esotico e le nostre radici.” - Jacques Le Goff

UNA SELEZIONE DI GRANDI SAGGI A CURA DI FRANCO CARDINI Corriere della Sera presenta Medioevo: i testi di Le Goff, Huizinga, Duby e di altri importanti studiosi selezionati da Franco Cardini. Un itinerario attraverso dieci secoli di storia alla scoperta di un’epoca suggestiva: gli ordini religiosi e gli ideali cavallereschi, il pensiero filosofico e le lotte politiche, le arti e i mestieri, l’organizzazione sociale e le guerre. Per ripercorrere e apprezzare un periodo colmo di luci e di ombre, che ha gettato le basi per la fioritura del Rinascimento e per lo sviluppo dell’intera cultura moderna.

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©Leonardo Cendamo/Getty Images

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M I L L E A N N I D I S T R AO R D I N A R I E R I VO L U Z I O N I


TENDENZA GRAFICA

Sneakers in tela di nylon, Stone Island.

Con suole importanti o sottili, colori primari o forti, ispirate dal guardaroba atletico o da quello da trekking: le sneakers confermano la loro inesauribile versatilità. DI GIOVANNI DE RUVO ARTWORK DI TOMMASO TROJANI FOTO DI FEDERICO MILETTO


Sneakers in tessuto tecnico, Geox Respira.


Sneakers in pelle bicolore e tessuto tecnico, Hogan.


Sneakers in nabuk e tessuto a rete, New Balance.


Sneakers in tessuto e nabuk, Paul&Shark.


Sneakers in pelle bicolore, Church’s.


Sneakers in pelle scamosciata, tessuto tecnico e dettagli in pelle, Tod’s.


Sneakers in pelle con dettagli a contrasto, Saucony Originals.


IMMAGINAZIONE

QUANDO L’AVANGUARDIA INVENTÒ L’ABITO SENZA GENERE Con la tuta Varst, Varvàra Stepànova e Aleksandr Ròdčenko immaginano la divisa della Rivoluzione e con Popòva, Èkster, Gončarova, Rozanova e Malevič elaborano un ideale meccanico del corpo e del suo rivestimento. Dando inizio allo stretto rapporto che da allora in poi lega la moda all’arte. DI MARTINA CORGNATI

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ARST È LA FIRMA di Varvàra Stepànova, protagonista delle Avanguardie russe e fondatrice del Costruttivismo sovietico insieme al suo compagno Aleksandr Ròdčenko. Ma Varst è anche il nome della tuta «T shaped» concepita da lei intorno al 1920 per diventare l’abito nuovo per l’uomo nuovo, l’operaio, un’entità inedita, uscita fresca fresca dall’uovo della Rivoluzione d’Ottobre. Rigorosamente unisex, Varst presenta tagli netti, maniche dritte, pantaloni altrettanto dritti, tasche dal taglio obliquo, una scollatura semplice e cintura dello stesso tessuto da stringere e annodare in vita. Non è certo sexy ma è pratica, lineare, l’abito perfetto per il futuro che si voleva costruttivista e operaio. La moda infatti, intesa in senso molto ampio come design, produzione e invenzione di accessori, vestiti e costumi teatrali, ha rivestito un ruolo importante nella creatività russa e sovietica, soprattutto fra i gruppi suprematisti e costruttivisti, cioè i più radicali. Le ragioni di questo sono in parte storiche, in parte politiche: alla fine del 1800 nelle immense distese della taiga vengono fondate diverse colonie artistiche, spesso finanziate da nobili illuminati,

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IMMAGINAZIONE

MONDADORI PORTFOLIO

Con l’arrivo del vento rivoluzionario il gusto evolve verso l’unisex dove si riscoprono le tradizioni artigianali trasformandole in prodotti d’arte e di possibile consumo. Leggendaria è, fra gli altri, Yelena Polenova, direttrice della colonia di Abramtsevo, centro a pochi chilometri da Mosca, che mentre insegnava alle contadine a produrre i propri abiti basandosi sui modelli antichi si dedicava con uguale interesse alla pittura e al ricamo, alla costruzione di giocattoli e al design. Grazie a esperienze come queste, è stato molto più facile affermare la dignità delle arti applicate in Russia che in Occidente dove, fino a tempi molto recenti, passavano per cose minori, «cose da donne». Non solo fra le artiste ma anche fra i loro colleghi, spesso ispirati dal fantastico mondo del bric-à-brac: Kazimir Malevič, ad esempio, il fondatore del Suprematismo,

inventore del «quadrato nero», una delle forme più radicali dell’astrazione geometrica, amava ricamare e lavorare all’uncinetto, come gli aveva insegnato sua madre. Il ricamo era pratica amatissima anche da Natalja Gončarova che nella sua prima mostra antologica, allestita a Mosca nel 1913 (la prima esposizione mai dedicata in Russia a un’artista d’avanguardia), insieme ai quadri presenta diversi modelli per ricami. Col tempo e con l’arrivo del vento rivoluzionario, il gusto evolve velocemente verso l’unisex e la linea retta. Ma è ancora grazie alla particolarissima tradizione russa che le «Amazzoni dell’Avanguardia», dal titolo di una celebre mostra loro dedicata al Guggenheim Museum nel 2000, e cioè Stepànova, Ljubòv Popòva, Aleksandra Èkster, Natalja

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Aleksandr Ròdčenko (1891-1956) in una foto del 1923. Indossa la tuta Varsa disegnata dalla moglie Varvàra Stepànova nel 1920 circa.

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Gončarova e Olga Rozanova, per citare solo le più celebri, nell’esercizio della loro dirompente creatività ricorrono al pennello, al torchio da stampa per i poster di propaganda o alla macchina per cucire quasi nello stesso modo e con la stessa convinzione. Il caso più eclatante forse è quello della coppia Stepànova-Ròdčenko: compagni di vita già dagli anni Dieci, i due elaborano insieme un ideale molto meccanico del corpo e delle sue guaine, che negli stessi anni si ritrova in Francia nel film cubista Ballet mécanique di Fernand Léger e nelle opere dadaiste di Francis Picabia. La donna non è più un oggetto sessuale ma una compagna del tutto autonoma e indipendente; la sessualità stessa è un’esigenza della macchina umana, che però non deve interferire con l’ideale di «collabo-

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razione creativa», nella coppia e nel gruppo. Più facile a dirsi che a farsi, questo stile di vita ispira tuttavia molte creazioni di Varvàra Stepànova, comprese quelle sartoriali, per le quali Ròdčenko inventa la definizione di «arte varvarica». Partendo dal presupposto che ogni strumento abbia un potenziale artistico degno di essere esplorato, l’artista realizza i modellini, imprime il disegno sui tessuti con una rotella da sarto, li taglia e infine li cuce con la propria amata Singer, una macchina per cucire quasi mitica che, proprietà dei musei russi dopo la morte della Stepànova nel 1958, funziona ancora. La macchina per cucire è, certo, anche l’emblema di una femminilità vecchia e detestabile, ma Varvàra la interpreta come un’alleata preziosa: all’inizio negli anni Dieci, vi ricava gli abiti per sé e per

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Disegno di Ljubòv Popòva per Le Cocu magnifique di Fernand Crommelynck messo in scena da Vsevolod Mejerchol’d nel 1922 a Mosca.

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Le donna non è più un oggetto ma una compagna del tutto autonoma


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MONDADORI PORTFOLIO

Stepànova elabora una figura meccanica, unisex come la sua firma: Varst la suocera oltre che un intero set di accessori tipicamente femminili come la borsetta da sera, oggetto di straordinari esercizi creativi da parte anche di Alexandra Ekster. Dopo la Rivoluzione invece, premessa di un’esistenza «diversa», emancipata, di un’arte «diversa», da fare e usare insieme alle masse e naturalmente anche di una moda «diversa», la Stepànova elabora una figura umana universale in quanto dotata di una struttura logica e meccanizzata, come un Lego. La sua stessa firma, Varst (proprio come la tuta), è unisex. Contemporaneamente, Popova, figlia di industriali tessili e anche lei fervente rivoluzionaria, impara a conoscere i tessuti prima dei quadri e benché pittrice e disegnatrice straordinaria nei primi anni Dieci del 1900, non appena la

politica lo richiede abbandona la «borghese» pittura da cavalletto a favore di costumi per il teatro rivoluzionario e di disegni per le stoffe di produzione industriale. Un tessuto, notissimo, sviluppa un gioco assai dinamico di righe bicolori, quasi optical; un altro cerchi spezzati su un gioco di righe di diverso spessore, bello come un quadro suprematista. Una volta trasformati in abiti, come i gonnellini rotondi per ragazze sportive disegnati da Stepànova, le righe scompongono le forme naturali del corpo in un gioco sorprendente. Il clima è fervido e l’entusiasmo rivoluzionario coinvolge tutto, dalle manifestazioni sportive ai costumi teatrali, dalla scuola ai collettivi, dal cinema alla poesia. Finché, poco dopo, lo stalinismo stende su tutto questo una glaciale cortina di silenzio.

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Una scena de La morte di Tarelkin al teatro di «recitazione biomeccanica» di Mejerchol’d con i costumi di Varvàra Stepànova.

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BEAUTY

ROBERT PATTINSON E IL PROFUMO DI UN UOMO IN DIVENIRE «I’m your man» e la nuova sensualità maschile: una storia di creatività, passioni, personalità ben mixata.

DI PIER ANDREA CANEI FOTO DI MIKAEL JANSSON

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E VUOI UN AMANTE / farò qualsiasi cosa tu mi chieda / se cerchi un altro tipo di amore /indosserò una maschera per te / se vuoi un compagno / prendimi per mano / e se invece vuoi coprirmi di botte dalla rabbia / eccomi: sono l’uomo che fa per te». Nel 1988, quando le pubblicità erano ancora afflitte da machismi assortiti, l’allora 53enne Leonard Cohen già srotolava, per la canzone che dava il titolo al suo «comeback album» I’m your man, questo formidabile campionario da maschio a disposizione. Pronto a essere sfogliato, a trasformarsi secondo i bisogni e i desideri dell’altro, ad assorbirne gli sfoghi; partner, peluche o punching ball. La buona notizia, 33 anni dopo, è che la voce calda e cavernosa di Leonard ha avuto la meglio: oggi I’m your man funge da claim e da colonna sonora di un profumo maschile per un ritratto dell’uomo contemporaneo, con il volto di Robert Pattinson. L’allegato a questo numero di Style ne racconta la storia, come il «making of» di un kolossal targato Dior Homme. Dal cast particolarmente nutrito di personalità, richiami, ispirazioni.

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Robert Pattinson, un Marlon Brando in versione 2021. Altre immagini nell’opuscolo allegato a Style.

Sensualità nello spot e nel design: al centro, il nuovo flacone Dior Homme, in vetro e Surlyn.

Tutti gli uomini di Dior Homme, dunque: provenienti da aree diverse della creatività, e coinvolti non solo nel lancio di un profumo ma in un’operazione assai più ambiziosa: il tentativo di ripensare le linee di una nuova sensibilità maschile. La fragranza e il suo creatore. Se per il profumo Dior Homme si può parlare di un «padre», la precedenza non può che spettare a François Demachy, l’attuale direttore profumi del gruppo LVMH, e già dal 2006 «naso» dei profumi Dior. Cresciuto nel Sud francese a Grasse, centro di distillazione della lavanda diventato epicentro mondiale della profumeria, è un guru mondiale dell’olfatto, che da una vita si immerge tra provette e alambicchi per distillare, in equilibro tra scienza e poesia, la personalità di ogni singola fragranza. A Dior Homme, Demachy ha voluto imprimere «una firma virile evidente, che non gli impedisce di sviluppare accenti teneri e sensuali»; come le note di bergamotto, pepe rosa ed elemi (resina simile all’incenso), su un nucleo solido e caldo di legni: cedro dell’Atlante, vetiver di Haiti, patchouli; arrotondato da Iso E, composto aromatico caro ai «nasi». All’Eau de Toilette, cuore di Dior Homme, si affiancano la Cologne (più fresca), la versione Sport (con un elemento citrico in più) e l’eau de parfum Homme Intense (dalle note affumicate). Nel complesso, è «il ritratto di un uomo moderno».

A sinistra: Pattinson in una New York stile «fronte del porto» nella campagna Dior Homme.

Una canzone sublime, una «overdose di legni caldi» e una star che diventa uomo, in uno spot da cinema.

Un film e la sua star. I’m your man, dunque: già dal 2006, l’uomo di Dior è l’attore Robert Pattinson, londinese, 34 anni. Il quale nella campagna immagine, e in particolare nello spot di 75 secondi, ambientato in una New York notturna, su un remix della canzone di Cohen convoglia, secondo il sociologo dei media Nello Barile, «un immaginario hollywoodiano rétro (con richiami da James Dean a Marlon Brando) che incarna la cifra stessa dell’immagine suggerita: maschile, sensuale e aperto al gioco, ma anche (nella breve, significativa scena in cui cammina incontro a tre figure indistinte che avanzano vagamente minacciose) protettivo. Una virilità non arrogante ma comprensiva». Riflessa nelle scene di coppia, in cui amoreggia al ristorante, nell’abbraccio sullo sfondo del Queensboro bridge, e in quel bacio da sdraiati (come Paul Newman e Joanne Woodward in una celeberrima foto del 1963). E nelle sue sequenze «soliste»: un po’ pugile, un po’ ballerino. I registi e l’uomo. A dirigere lo spot, Guillaume e Jonathan Alric, duo di cugini francesi che col nome d’arte di The Blaze esplora, tra musica e video, un mondo di fisicità e pulsioni (da Virile a Territory). Reclutati per la campagna Dior Homme, hanno subito legato con Pattinson. «Gli abbiamo propinato la nostra playlist e un dance coach; l’abbiamo avvolto di luce e gli abbiamo messo alle costole due operatori, uno con camera in spalla e uno con la steadycam: e lui pian piano ha tirato fuori gesti e movenze incredibili». E lui che balla da solo, e irradia una personalità calda, non senza spigoli ma da desiderare e, se possibile, da amare: non è più un attore, è Dior Homme fatto uomo.

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Firenze. Collezione Autunno-Inverno.


M O DA

STYLE SELECTION

Dolcevita in Flexwool, Zanone e pantaloni in cotone, Incotex.

Durevolezza primaria DI LUCA ROSCINI - FOTO DI JORGE DO SANTOS - STYLING DI GIOVANNI DE RUVO

Capi disegnati e realizzati per rimanere per sempre nell’armadio. Zanone reinventa l’universo «slow fashion».

GROOMING: GABRIELE MAROZZI

UNA RISPOSTA FORTE alla moda «usa e getta»,

o meglio al fast fashion, che sovraccarica armadi e pianeta di capi di scarsa qualità e limitata durevolezza. È quella che ha voluto dare Zanone, brand di maglieria di ricerca che fa parte dell’universo Slowear (insieme ai pantaloni Incotex, alle camicie Glanshirt e ai capispalla Montedoro), con il marchio Zanone Flexwool, proponendo con una scelta coraggiosa una serie di capi di maglieria, dal dolcevita al gilet, dalla polo a manica lunga al cardigan, dalla maglia con scollo a V al girocollo, concepiti e poi realizzati per durare ed essere utilizzati per innumevoli stagioni successive. Fulcro di questa svolta è il Flexwool, lana Merinos selezionata tra le più pregiate qualità al mondo e arricchita

da filo tecnico per rendere il filato più confortevole, resistente all’uso e performante anche dopo molti lavaggi e utilizzi. La solidità dei capi Flexwool non è danneggiata neppure dalla possibilità di lavarli in lavatrice a basse temperature lasciandoli invariati nella vestibilità e nella morbidezza. AL CONTEMPO la tendenza di Zanone è quella di alleggerire l’immagine della maglieria per ritornare ai suoi codici essenziali: funzionalità e versatilità nell’abbinamento; modelli, colori e fit ritornano a essere basici e sostanziali, dei passepartout estetici assoluti e pratici che ben si affiancano al concetto di durevolezza da cui tutta la collezione prende spunto.

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P R O TA G O N I S T I

Una storia, un romanzo o un’autobiografia (poco) documentata che ha per titolo il messaggio mattutino che Sébastien Jondeau, l’autore, inviava tutti i giorni a Karl Lagerfeld. «Ça va, cher Karl?», scritto con Virginie Mouzat, non mantiene le promesse ma rischia di diventare un caso letterario.

LA MIA VITA DA PROTÉGÉ DI MICHELE CIAVARELLA

P

ARIGI TREMA. O forse no. Di certo sono in tanti a vivere su una specie di tappeto a molle: ci sarà o non ci sarà la rivelazione del secolo? Molti lo sapranno soltanto alla fine delle 267 pagine di Ça va, cher Karl?, il libro che Sébastien Jondeau, autista e assistente personale di Karl Lagerfeld per oltre 20 anni, ha scritto con Virginie Mouzat, giornalista, ex critica di moda di Le Figaro, ex direttrice moda dell’edizione francese di Vanity Fair, attualmente scrittrice di libri suoi o per conto terzi. Edito da Flammarion, casa editrice di letteratura blasonata, il volume è arrivato in libreria alla fine di gennaio ma è stato preceduto da articoli e ricostruzioni «dietro le quinte» tipiche di una spy story e certo degne di miglior causa. Ma tra timori di rivelazioni e speranze di vendetta, tra chi confidava in pareggio dei conti e chi soffiava sul fuoco della maldicenza, il motivo di tanta aspettativa sta tutto nell’incipit: «Chiudere la porta su questa data che mette fine a 20 anni della mia vita. Ho salutato Karl stamattina. Per sempre. La sua anima e il suo corpo sono scomparsi». INIZIA COSÌ il libro di Jondeau, dalla sera del 19 febbraio del 2019, data nefasta in cui all’ospedale americano di Neully-sur-Seine, alle porte di Parigi, è scomparso Karl Lagerfeld, il kaiser della moda, l’uomo che si è costruito la propria mitologia, nato ad

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È IL RACCONTO DI UN’AMICIZIA UN PO’ TROPPO SQUILIBRATA TRA UN APPRENDISTA DELLA VITA E UN MITO DELLA MODA

Sébastien Jondeau con Karl Lagerfeld nel backstage della sfilata per la collezione Chanel Cruise il 18 maggio 2007 a Santa Monica, Los Angeles.

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Amburgo nel 1933 (o forse prima o dopo, non si sa, nessuno lo saprà mai) e che ha saputo avvolgere la sua vita privata in una nuvola di tulle che sfocava i contorni delle amicizie, degli amori, dei rapporti personali che non fossero quelli ufficiali, sociali e di lavoro. Dai tempi della rottura del 1973, forse mai consumata veramente, con l’unico compagno conosciuto, Jacques de Bascher, poi scomparso nel 1989, della vita privata e sentimentale dell’instancabile direttore di Chanel, Fendi, Chloé nonché fotografo e viaggiatore e collezionista di auto e di castelli e di appartamenti, si sa pochissimo. Lagerfeld ha vissuto, con la sua gatta Choupette, protetto da una corte di confidenti. Si sa che ha sempre avuto dei protégé e gli ultimi sono tutti citati nel testamento (Brad Kroenig, padre del 12enne Hudson che è l’unico figlioccio del kaiser e tra gli eredi principali, e i modelli Baptiste Giabiconi e Jake


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P R O TA G O N I S T I

«Io sono la sola persona che conosce tutti i dettagli della malattia di Karl. Il primo segnale è del giugno del 2015. Avevo notato che era un po’ gonfio, nonostante non si percepisse quando era vestito. Era molto pudico, non si faceva mai vedere in costume da bagno»

Claude Abbou, i dottori Khayat e Alain Toledano e il professor Védrine» scrive Jondeau a pagina 42, molte pagine prima di addentrarsi in altri ricordi. «Il primo segnale è arrivato nel giugno del 2015, subito dopo il Festival di Cannes. (...) Avevo notato che era un po’ gonfio, nonostante non si percepisse quando era vestito. Era molto pudico: non si faceva mai vedere in costume da bagno. (...) Ero sulla spiaggia con il mio amico Arnaud. Mi chiama Karl e mi dice “Ho un problema. Non riesco a urinare. Mi dispiace parlartene, sono desolato”». Il kaiser doveva essere disperato.

Davies) come la governante e come pure la gatta. Tra i «favoriti», nel testamento è citato anche Jondeau che nel mondo di Lagerfeld entrò nel 1998, a 23 anni, facendo delle consegne per il corriere gestito dalla sua famiglia. Sarà assunto regolarmente dalla società 7L il 3 gennaio 1999 da Lucien Friedlander, da sempre l’uomo che cura gli affari di Lagerfeld, a 15 mila franchi al mese (oggi sarebbero 2.300 euro) per svolgere non si sa bene quale ruolo. Passerà il primo anno seduto nell’ufficio dell’autista Jean-Michel o a consegnare le lettere che Lagerfeld scriveva a chiunque. Poi diventerà, cumulando man mano le cariche, guardia del corpo, autista e segretario particolare. In seguito sarà anche modello e, soprattutto, il testimonial per la linea Uomo KL che sembra disegnata su di lui. IL RÉCIT DI JONDEAU (il libro è stato iscritto sotto questo genere letterario) diventa, pagina dopo pagina, un’autobiografia «in comparazione» in cui la vita di Sébastien si compone e si svolge soltanto se in quella di Karl succede qualcosa. E mentre il kaiser diventa il sole (prima è l’uomo generoso che gli lascia mance molto sostanziose, poi diventa l’unica referenza sociale e culturale) il giovane non si trasforma in una luna che ne riflette la luce. Infatti, tiene sempre a ribadire l’estraneità alla sfera sessuale della relazione, come fanno tanti uomini eterosessuali che hanno rapporti amicali molto stretti con gli uomini omosessuali, in una manifestazione inconscia di omofobia nascosta dietro l’affezione. Ma questo non gli impedisce di affermare una sorta di esclusività, di «primogenitura» tra gli altri protégé. Tanto che è lui a condividere con Karl molti giorni di Natale, festa tanto familiare, anno dopo anno loro due da soli a Parigi, a Biarritz o altrove. In più: «Io sono la sola persona che conosce tutti i dettagli della malattia di Karl insieme al professor

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Sopra, la copertina del libro scritto da Jondeau con Virginie Mouzat. Pagina accanto, una foto del libro Choupette by Karl Lagerfeld (Steidl).

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CHE SIA CHIARO, quindi, chi tra i favoriti era il preferito, l’unico che avrebbe potuto raccogliere una confidenza così intima e delicata. E a chi, quindi, andrebbe un’attenzione maggiore nella divisione dell’eredità (per un capitale stimato di oltre 200 milioni di euro, secondo Le Parisien). «Io non voglio bene a Seb come a un amico ma come a mio figlio» scrive Jondeau a pagina 265 riferendo una confidenza fattagli da Boris, una delle guardie del corpo che proteggeva Monsieur su incarico di Chanel. La stessa che gli ha riferito Éric Pfrunder, image director di Chanel. E su questa sicurezza, Virginie Mouzat scrive (sotto dettatura?) la pagina più sentimentale del libro, l’ultima, affiancata a una foto (l’unica del libro) che ritrae Jondeau e Lagerfeld visti di nuca in un’auto decappotabile: «Non posso fare a meno di vedere in questa immagine che stai per diventare un passante del tempo che sprofonda nell’ombra, il mio maestro che mi lascia. Ribaltamento delle cose. Sono io che sono sempre stato nella tua ombra, sulla scia della tua gloria, nell’ombra della tua forza. Mi piacerebbe così tanto inviarti domani il mio solito messaggio quotidiano, quello che ogni mattina ti chiedeva: “Ça va, cher Karl?”».


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© 2018 KARL LAGERFELD, PUBLISHED BY STEIDL, WWW.STEIDL.DE



REFERENCE

Seduzione senza f ine

L

a regia di un servizio fotografico di moda è guidata dall’istinto più di quanto si possa immaginare; quando un’idea ti gira per la testa non ti chiedere perché: ascoltala

anche se sembra assurda. L’idea è il primo passo verso

la costruzione dell’immagine.

Q

ueste pagine sono una sintesi del mio percorso professionale: da assistente di redazione a fashion editor e poi fashion director,

fino alla direzione di questo magazine. È un racconto che scruta il giornalismo dell’immagine

attraverso i cambiamenti della moda e dell’estetica maschile, delle tecniche fotografiche, della grafica e del linguaggio. È la narrazione di un innamoramento che non è mai finito.

Alessandro Calascibetta

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Uomo, luglio 2002. Foto di Babic.


L’Uomo Vogue, giugno 1986. Foto di Flavio Bonetti.

Mondo Uomo, giugno/luglio 1989. Foto di Diego D’Alessandro.


Harper’s Bazaar Uomo, gennaio/febbraio 1994. Foto di Gianni Rizzotti.

Harper’s Bazaar Uomo, gennaio/febbraio 1995. Foto di Stephanie Pfriender Stylander.


Uomo, luglio 2001. Foto di Marcus Pummer.

Mondo Uomo, luglio 1988. Foto di Fabrizio Ferri.


Harper’s Bazaar Uomo, marzo/aprile 1996. Foto di Giorgio Scola.

M, luglio 2006. Foto di Johan Sandberg.

Harper’s Bazaar Uomo, gennaio/ febbraio 1996. Foto di Davide Cernuschi.

M, settembre 2002. Foto di Alistair Taylor-Young.


Harper’s Bazaar Uomo, luglio/agosto 1994. Foto di Nicolas Moore.

Mondo Uomo, gennaio 1989. Foto di Giovanni Gastel.


L’Uomo Vogue, aprile 1987. Foto di Lance Staedler.


Harper’s Bazaar Uomo, gennaio/ febbraio 1992. Foto di Bob Krieger.

Harper’s Bazaar Uomo, novembre/ dicembre 1997. Foto di Rennio.


Harper’s Bazaar Uomo, marzo/aprile 1995. Foto di Francesca Galliani.

Harper’s Bazaar Uomo, gennaio/ febbraio 1997. Foto di Davide Cernuschi.

Harper’s Bazaar Uomo, luglio/agosto 1993. Foto di Judson Baker.

Harper’s Bazaar Uomo, luglio/agosto 1993. Foto di Tyen.

Harper’s Bazaar Uomo, luglio/agosto 1994. Foto di Lee Strickland.

Uomo, ottobre 2002. Foto di Toni Meneguzzo.


Harper’s Bazaar Uomo, gennaio/febbraio 1997. Foto di Davide Cernuschi.

L’Uomo Vogue, giugno 1986. Foto di Hannes Schmid.


Uomo, aprile 2001. Foto di Maria Vittoria Backhaus.

Harper’s Bazaar Uomo, gennaio/febbraio 1995. Foto di Rennio.


Uomo, luglio 2002. Foto di Francesca Lotti.


Harper’s Bazaar Uomo, luglio/agosto 1995. Foto di Davide Cernuschi.

Harper’s Bazaar Uomo, gennaio/febbraio 1996. Foto di Giorgio Scola.


Harper’s Bazaar Uomo, luglio/agosto 1995. Foto di Davide Cernuschi.


Harper’s Bazaar Uomo, marzo/aprile 1994. Foto di Andreas H. Bitesnich.

Uomo, aprile 2002. Roberto Bolle nella foto di Babic.


Harper’s Bazaar Uomo, luglio/agosto 1995. Jared Leto nella foto di Nicolas Moore.


Uomo, luglio 2002. Boy George nella foto di Uli Weber.


Harper’s Bazaar Uomo, settembre/ottobre 1993. Foto di Tyen.

Harper’s Bazaar Uomo, marzo 1994. Foto di Marco Lanza.

Uomo, ottobre 2002. Foto di Rodolfo Martinez.

Uomo, luglio 2001. Foto di Norman Watson.

Uomo, gennaio 2001. Stefano Dionisi nella foto di Babic.

Mondo Uomo, febbraio 1990. Foto di Toni Thorimbert.


Uomo, aprile 2003. Foto di Christophe Meimoon.

Harper’s Bazaar Uomo, luglio/agosto 1995. Foto di Danilo Frontini.

L’Uomo Vogue, giugno 1987. Foto di Koto Bolofo.

Harper’s Bazaar Uomo, novembre/ dicembre 1997. Foto di Davide Cernuschi.

Harper’s Bazaar Uomo, novembre/ dicembre 1996. Foto di Giorgio Scola.

Mondo Uomo, gennaio 1989. Foto di Toni Thorimbert.


L’Uomo Vogue, giugno 1987. Foto di Koto Bolofo.


Harper’s Bazaar Uomo, aprile 1996. Foto di Davide Cernuschi.

Harper’s Bazaar Uomo, gennaio/ febbraio 1996. Foto di Davide Cernuschi.

Harper’s Bazaar Uomo, settembre/ottobre 1993. Foto di Mauro Balletti.

Harper’s Bazaar Uomo, gennaio/febbraio 1995. Foto di Stephanie Pfriender Stylander.


Harper’s Bazaar Uomo, gennaio/ febbraio 1994. Foto di Danilo Russo.

Mondo Uomo, gennaio 1989. Foto di Toni Thorimbert.

Harper’s Bazaar Uomo, luglio/agosto 1994. Foto di Mauro Balletti.

M, marzo 2007. Foto di Toni Thorimbert.


Harper’s Bazaar Uomo, settembre/ottobre 1993. Foto di Judson Baker.

Mondo Uomo, gennaio 1989. Foto di Giovanni Gastel.

Mondo Uomo, febbraio 1990. Foto di Toni Thorimbert.


M, marzo 2007. Foto di Johan Sandberg.


Uomo, gennaio 2001. Foto di Jacques Olivar.



Harper’s Bazaar Uomo, novembre/dicembre 1996. Foto di Michele Gastl.

Uomo, aprile 2001. Foto di Julian Hargreaves.


Uomo, gennaio 2003. Foto di Uli Weber.

Harper’s Bazaar Uomo, luglio/agosto 1994. Foto di Rennio.


L’Uomo Vogue, aprile 1987. Foto di Flavio Bonetti.

M, settembre 2007. Foto di Carlotta Manaigo.


Harper’s Bazaar Uomo, marzo/aprile 1996. Foto di Giorgio Scola.


Harper’s Bazaar Uomo, luglio/agosto 1992. A destra Kate Moss nella foto di Stephanie Pfriender Stylander.

Mondo Uomo, luglio 1988. Foto di Fabrizio Ferri.


Harper’s Bazaar Uomo, settembre/ottobre 1992. Foto di Judson Baker.

Harper’s Bazaar Uomo, luglio/agosto 1993. Foto di Judson Baker.

FOTO: MASSIMILIANO DE BIASE

Uomo, luglio 2002. Foto di Claudio Tajoli.

Uomo, gennaio 2002. Foto di Rodolfo Martinez.

Harper’s Bazaar Uomo, gennaio/ febbraio 1992. Foto di Stephanie Pfriender Stylander.


CO N T R O M O DA

Turning point cioè il «punto e a capo» che salva la moda Arrivato al 2020 con molte domande sul proprio ruolo in termini di sostenibilità ecologica e sociale, il FASHION SYSTEM si trova oggi di fronte a un’occasione epocale per rinnovare completamente i suoi codici economici e culturali. di Michele Ciavarella

128

S T Y L E M AG A Z I N E


l

LA MODA È ABITUATA a chia-

e alla personalità mutata e mutevole

mare «turning point» le occasioni

delle persone che deve vestire.

storiche che le si presentano perio-

Abituati da troppi decenni a conside-

dicamente e che consentono un auto

rare la moda un circuito chiuso in cui

rinnovamento totale del suo aspetto

si muovono tendenze che si presen-

e del suo sistema. La definizione che

tano e ripresentano a intervalli rego-

usa per definire questo processo è

lari, con un sistema creativo sostan-

precisa perché quel «punto di svolta»

zialmente legato a quello industriale

diventa immediatamente un «punto

nato negli anni Settanta insieme con

e a capo» che, pur non essendo un

il prêt-à-porter e con una comunica-

«punto di rottura», riesce ad aprire

zione che negli ultimi due decenni ha

un nuovo capitolo. Infatti, il giro di

tentato di banalizzare qualsiasi con-

boa della moda è un inizio improv-

cetto complesso, oggi gli operatori e

viso che cambia tutto in modo irre-

gli appassionati della moda si ritro-

versibile e che dà il via a una storia

vano a navigare in un tempo sospeso.

diversa, nuova, perfino sorprenden-

In questo spazio devono lottare con

te e che molti, abituati a giudicare

il passato e anche con il presente per-

l’apparenza, valutano «scandalosa»

ché dal primo non possono più pren-

perché interrompe una continuità e

dere energie mentre sono stanchi di

un’abitudine. Ma queste ultime sono

un presente che riesce a proporre sol-

due circostanze che tengono la moda

tanto slogan che soffrono l’usura del-

prigioniera in una situazione che

la propria inconsistenza. Infatti, non

oscilla fra la nostalgia e la tradizione.

potendosi più accontentare di claim

Invece, quando nasce da uno «scan-

tanto d’effetto quanto privi di sostan-

dalo», cioè da una novità impensabi-

za come, ad esempio, «the sneakers

le, risulta più rispondente agli anni

are the new stilettos» che fa il pari

S T Y L E M AG A Z I N E

129


CO N T R O M O DA

con «il maglione è la nuova giacca»,

topardesco in cui tutto può sembrare

né delle definizioni di stile che impe-

cambiato senza che nulla cambi, e la

rano dalla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso come «classico», «formale», «sportswear», «streetwear» e via dicendo, né tanto meno potendo continuare a richiamare dal passato tendenze usurate dal loro stesso riapparire, la moda sta prendendo le misure per capire il proprio futuro nel momento in cui cerca di riemergere da un 2020 (annus hor-

s

tensione movimentista-rivoluziona-

ria che ormai è una caratteristica as-

sopita della sua vera anima. SICCOME DEVE IL SUO NOME alla crasi di «à la moderne», formula che è servita a Luigi XIV per rifare

lo Stato francese a sua immagine e

somiglianza e che ha praticamente fondato il «linguaggio dei segni»

ribilis!) in cui si è vista privare del-

in cui vive tuttora il «sistema» degli

la fisicità con l’annullamento delle

abiti e delle immagini, essere «à la

sfilate, delle presentazioni e degli

mode» per la moda di questo decen-

eventi che sono forma e sostanza del

nio significa rinnovarsi non solo nel-

sistema moda così com’è dalla metà

la sua apparenza ma rivoluzionarsi

del Novecento (per non parlare della

nella sua sostanza. E cioè potrebbe

diminuzione dei fatturati).

approfittare di questo momento per

Forse proprio a causa della pressione

mettere in atto un «turning point».

del sistema economico-finanziario

Quindi, occorre inventare un me-

che l’alimenta, la sostiene e la domi-

todo nuovo che parta dalla rappre-

na, la moda che apre gli occhi in que-

sentazione, cioè la creatività da cui

sto inizio di terzo decennio del Due-

nascono gli abiti, e finisca con la pro-

mila oscilla tra la tentazione della

duzione, la distribuzione, la vendita,

conservazione, in un puro spirito gat-

la comunicazione. Per dirla in breve,

130

S T Y L E M AG A Z I N E


il «punto e a capo» di una moda che

(negozi ed e-commerce); i grandi ca-

era arrivata alla vigilia della pande-

pitali che reggono le sorti del sistema

mia del 2020 già con molti punti

attuale sono in grado e hanno la vo-

interrogativi che riguardano la sua

glia di sovvertire tutto per dare vita a

sostenibilità ambientale e sociale do-

un modello compatibile con il mon-

vrebbe contemplare vari aspetti. A

do che si ritrova cambiato a causa (o

partire dalla figura del creativo: oggi

grazie) dell’intervento di un virus che

la maggior parte dei marchi che for-

ha preteso una lunga paura di rifles-

mano il mercato sono storici e dise-

sione? Infine, la moda stessa: quella

gnati, per causa di forza maggiore,

che nascerà da oggi in poi riuscirà a

da personalità lontane dai fondato-

modificare i rapporti tra i singoli e

ri. Gli attori dell’odierna creatività,

tra il singolo e le realtà sociali con cui

inoltre, in molti casi non sono né sti-

entra in relazione?

listi, né designer né tantomeno sarti/

Paradossalmente, è proprio quest’ul-

couturier ma direttori artistici che

timo il tema che appare di più diffici-

non hanno studiato Moda; si conti-

le soluzione perché da troppo tempo

nuerà con questo tipo di professiona-

la moda non sembra più orientata a

lità o sarà richiesta una nuova figura

raccontare i rapporti né con i singoli

creativa che unisca «invenzione» e

ai quali è diretta né alla società in cui

«promozione»? La seconda riguar-

prende vita. E nei (rari) casi in cui ci

da la struttura del Fashion System:

riesce, la sua azione non appare de-

non potendo prescindere dalla pro-

cisiva perché non incide mai con un

duzione industriale, il futuro vedrà

intervento radicale.

ancora le sfilate delle Fashion Week,

Eppure, la storia recente della moda

le collezioni stagionali, la distribu-

ha di che insegnare. Nel 1971 Yves

zione divisa in canali fisici e digitali

Saint Laurent presentò una collezio-

S T Y L E M AG A Z I N E

131


CO N T R O M O DA

ne che passerà alla storia come La col-

cati in oro. Per realizzarla, Saint Lau-

lection du Scandale proprio perché

rent si ispirò al modo di vestire di Pa-

introdusse degli elementi «scandalo-

loma Picasso, che all’epoca lavorava

si» per il loro contenuto di novità. Il

per lui come modella di atelier e che

genio che aveva rivoluzionato le basi

andava a comprarsi gli abiti usati al

della moda del secondo dopoguerra

Marché aux Puces (dove abbondava-

già nel 1958 con la sua prima colle-

no gli anni Quaranta, quelli dell’oc-

zione per Christian Dior in quell’oc-

cupazione nazista, e per questo Saint

casione fu attaccato dalla stampa e

Laurent fu accusato di nostalgia per

dai compratori, la collezione non fu

un passato orribile) e mischiava in-

venduta e provocò un grave dissesto

sieme gli abiti femminili e maschili

economico per la Maison (sua e del

con quella nonchalance che inven-

compagno Pierre Bergé). Ma fu pro-

ta un nuovo modo di Bon Chic Bon

prio allora che l’opinione pubblica

Genre che sarà interpretato molto

capì che la moda aveva bisogno di

bene anche da Céline (oggi la colle-

raccontare il cambiamento in atto. E

zione disegnata da Hedi Slimane la

infatti, con i suoi completi maschili,

racconta in pieno anche se il marchio

i suoi look fatti di giacche in vellu-

ha perso l’accento sulla «é»).

to, pantaloni larghi, stole in pelliccia

Furono gli anni del massimo cam-

buttate a caso sui completi da uomo

biamento socio-culturale del No-

gessati e cappotti a quadretti Vichy

vecento in cui la moda si trasforma

bianco e nero, quella collezione di-

sia nel prodotto sia nel sistema: si

venne l’atto di nascita della «Contro

modificano i rapporti uomo/donna,

Moda», cioè quella moda che costru-

la società si spoglia di molte remore

isce l’alternativa all’eleganza piccolo

culturali, aborto, divorzio, pari op-

borghese dei salotti e dei saloni stuc-

portunità entrano nelle agende della

132

S T Y L E M AG A Z I N E


politica mentre nella moda si affer-

significativo che per vendere la nuo-

ma la produzione industriale che co-

va linea, nel 1966 Saint Laurent apre

nosciamo oggi e la distribuzione in

il negozio Rive Gauche al 21 di rue de

m

boutique monomarchio. E proprio

Tournon a Parigi che assume il ruolo

perché rompe con tutti gli aspetti del

di cattedrale del rinnovamento in cui

passato, questa nuova espressione

questo prêt-à-porter che nasce da un

venne battezzata «Contro Moda».

couturier fonda tutti i canoni che la moda usa ancora oggi a distanza di

MA FU ANCHE grazie alla defi-

oltre 50 anni (compreso il senso del-

nizione «Contro» che quella moda

lo styling, cioè la necessità di «aggiu-

ebbe una profonda ricaduta sociale

starsi per assumere un aspetto»).

anche nei rapporti tra donna e uomo:

L’analogia con l’oggi è evidente: allo-

sono gli anni in cui il completo giac-

ra fu il movimento culturale «di piaz-

ca/pantaloni entra nel guardaroba

za e di accademia», e quindi politico,

femminile come nella sartoria ma-

del Sessantotto a pretendere il ribal-

schile entrano le forme ammorbidite

tamento dei ruoli sociali e la moda lo

di giacche, gilet e tessuti fantasia. E

seppe raccontare. Non è da oggi che

mentre dagli hippy si passa all’uni-

il fashion system avverte la necessità

sex, molti capi di abbigliamento si

di cambiare e la pandemia è arrivata

confondono: nessuna differenza tra

a ricordarglielo con urgenza. La sfida

uomini e donne per soprabiti in pelle,

è, quindi, avere il coraggio di sovver-

giacche in velluto, maglioni dolcevi-

tire l’ordine delle priorità, consape-

ta, gilet, camicie e sahariane, simbo-

voli che finita una pandemia potreb-

li stessi di rinnovamento, del design

be arrivarne un’altra ma che gli abiti

che entra negli atelier, di produzione

dovranno sempre raccontare una re-

industriale e di distribuzione. Ed è

altà migliore a chi deve indossarli.

S T Y L E M AG A Z I N E

133


NEW DEAL

Tendenze creative come punti di ripartenza della moda. Dieci stili da rifondare iniziando da questa primavera-estate. DI LUCA ROSCINI FOTO DI GAUTIER PELLEGRIN


Bomber, T-shirt e pantaloni, Valentino. Nella pagina a fianco: soprabito, camicia e shorts, Fendi.


Giacca, camicia e shorts, Comme des Garçons. Nella pagina a fianco: cappotto, canotta, shorts, basco, calze e anfibi, Dior Men.




Giacca, camicia e foulard, Gucci. Nella pagina a fianco: cappotto, T-shirt, pantaloni, calze e stringate, Prada.



Abito, camicia e boots, Alexander McQueen. Nella pagina a fianco: cappotto, Louis Vuitton.


Giacca, pantaloni e mocassini, Bottega Veneta. Nella pagina a fianco: camicia, jeans, bracciale e calze, Balenciaga. HANNO COLLABORATO: GIOVANNI DE RUVO E ANGELICA PIANAROSA; GROOMING: GIGI TAVELLI



Giacca e camicia in cotone, Dolce&Gabbana.


ZOOMWEAR

Cambiano gli spazi di lavoro e con essi le regole del formale. Versione rilassata della nuova moda, mai senza giacca, sempre autoironica. DI AVO YERMAGYAN FOTO DI MATTHIAS VRIENS



Giacca gessata e polo, Etro. Nella pagina a fianco: giacca e maglia, Missoni.

Ugiae culparibus si simagnimusae quassitate di aut repudicil idem volorum re resto vel exce. Nella pagina a fianco: gescimillent adit eatur? Elicipid quam, qui del et quiassi maximpe.


Ugiae culparibus si simagnimusae quassitate di aut repudicil idem volorum re resto vel excest, vend


Giacca e camicia in cotone, Versace; calze, Happy Socks; slippers, adidas.



Giacca, camicia e underwear, Dolce&Gabbana. Nella pagina a fianco: giacca, polo e underwear, Emporio Armani.


Giacca, camicia in cotone e stringate, Prada; orologio, Montblanc. Nella pagina a fianco: giacca e T-shirt, Boss; underwear, Calvin Klein. HA COLLABORATO: GIOVANNI DE RUVO; GROOMING: MIRA CHAI HYDE @THE WALL GROUP



CONTENUTI

FORMALI

Una riscoperta della formula dell’eleganza classica completa di tutti i fattori. Camicia, cravatta, pochette, gemelli e stringate diventano contributi fondamentali di stile. DI GIOVANNI DE RUVO FOTO DI GIORGIO CODAZZI


Abito doppiopetto in lana, camicia, cravatta e pochette, Kiton. Nella pagina a fianco: soprabito in fresco di lana, camicia in cotone e cravatta in seta, Ermenegildo Zegna XXX.


Abito monopetto in lino e camicia, Loro Piana; cravatta in seta e pochette, Canali 1934; stringate in pelle, Barrett. Nella pagina a fianco: abito in cotone misto seta, camicia, cravatta in seta e pochette, Lardini.




Abito in lana misto seta, camicia, cravatta e pochette, Canali 1934 . Nella pagina a fianco: abito in cupro, camicia, cravatta e pochette, Brunello Cucinelli.


Abito in fresco di lana e camicia in cotone, Pal Zileri; cravatta in seta, Kiton. Nella pagina a fianco: trench, Piombo in OVS, abito in cotone e camicia, OVS; cravatta e pochette, Ermenegildo Zegna XXX. HA COLLABORATO: MATTEO GHERARDI; GROOMING: GABRIELE MAROZZI USING MILK_SHAKE, WOMO MILANO E SHISEIDO



GEOMETRIE E VOLUMI PER UNA NARRAZIONE FATTA DI ACCESSORI Cuoio e metallo, pelle scamosciata e accenti brillanti. Complementi di un abbigliamento a metà strada tra lo stile dei Talking Heads e il glam assoluto degli anni Ottanta. DI ANGELICA PIANAROSA - FOTO DI MARCO GAZZA


Borsa portadocumenti in pelle con chiusura magnetica, Givenchy.


Shopper in camoscio e vitello tamponato, Giorgio Armani.


Cintura in cuoio con fibbia in metallo, Salvatore Ferragamo.


Borsa in pelle di vitello granulata, Dior Men.


Anello in oro giallo e anello in oro giallo con diamanti, Cartier.


Occhiali da sole con montatura in metallo, Dolce&Gabbana Eyewear.


Borsa a tracolla in pelle, Hermès.


Borsa in canvas con profili e tracolla in pelle, Paul Smith.


HA COLLABORATO: MATTEO GHERARDI

Spilla in ottone e strass, Etro.


LE REGOLE

DELLA RIBELLIONE Che cosa rimane della cultura punk a 50 anni dalla sua nascita? Fattori di stile ormai privi dell’immagine eversiva, diventati classici. DI LUCA ROSCINI FOTO DI LETIZIA RAGNO


Chiodo, Marni; gilet in denim, vintage; jeans, Maison Margiela; collana, Alexander McQueen.


Maglia, N°21; pantaloni in denim, Diesel; anfibi, Dr. Martens.


Chiodo, Celine; pantaloni, vintage; orecchino, Dsquared2.


Trench, Maison Margiela.



Chiodo, Gabriele Pasini; canottiera e collana, Ugiae culparibus Saint Laurent si simagnimusae by Anthony quassitate di Vaccarello; aut repudicil orecchino, idem volorum re Dsquared2. resto vel excest, vendi in Nella pagina a fianco: gescimillent ad

Ugiae culparibus si simagnimusae quassitate di aut repud


Abito, canottiera e orecchino, Dsquared2; collana, Saint Laurent by Anthony Vaccarello.


Ugiae culparibus si simagnimusae quassitate di autChiodo, repudicil idem Tagliatore; volorum re resto gilet vel in denim, excest, vendi vintage; in Nella pagina canottiera, a fianco: Maison gescimillent Margiela. ad


Cappotto, grembiule e pantaloni, Jil Sander; collana, Saint Laurent by Anthony Vaccarello; anfibi, Dr. Martens. HANNO COLLABORATO: ANGELICA PIANAROSA E MATTEO GHERARDI; HAIR: BRIAN CANTAROSSO E JOEL TAGLIAFERRI @ÉQUIPE ENCADRER

Ugiae culparibus si simagnimusae quassitate di aut repudicil idem volorum re resto vel excest, vendi in Nella pagina a fianco: gescimillent ad


STORYTELLING di Giuliana Matarrese

L’UNIFORME? #WORKERJACKET E BICI

PRIMA DI SCOTT SCHUMAN, C’È SOLO #BILLCUNNINGHAM

STREETS OF NEW YORK FOTOGRAFA, per sbaglio, Greta Garbo. «Non l’avevo riconosciuta. Notai il cappotto». Inizia così la carriera di BILL CUNNINGHAM, che ritrarrà i primi Gay Pride e la black community. Poi gli scatti delle sfilate e i loro riti, che rifugge. «Non vedo persone: vedo abiti. E le cose più interessanti succedono in strada. Dove c’è la vita vera».

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© THE BILL CUNNINGHAM FOUNDATION, COURTESY BRUCE SILVERSTEIN GALLERY, NEW YORK

NELLE SUE FOTO L’ #AMERICA CHE CAMBIA


Frebruary-March 2021 ENGLISH TRANSLATION BY CECILIA BRAGHIN

EDITORIAL

- pag 29

Have we got time?

BY ALESSANDRO CALASCIBETTA

We have finally come to the eagerly awaited issue on fashion. There are at least two reasons explaining such high expectations. First of all, because we have seen how warmly readers welcome both the two annual Style issues devoted to fashion, and our Style Fashion Issue special (which is slated for an early April release this year). Secondly, because this issue will hopefully coincide with a new start: to be carried out cautiously but with moderate optimism. Inside you will find a preview of the seasonal trends as well as a review on the history of fashion photojournalism consisting in a stretch of pages taken from magazines for which I worked for from 1986 to 2003. A journey showing past fashions, brands that no longer exist, popular and little-known photographers, famous models and models who have worked just for a few years, barely recognizable celebrities, techniques and artistic directions that have little in common with today. The main difference between presentday and past photo shoots lies in the absence of macro trends: in early times, key concepts were developed after looking at the collections. Today, the mood of a photo shoot tends to originate from ideas that are not immediately related to the fashion shown on the catwalk. In other words, in the past the task of a specialist was to show clothes as they actually appeared; whereas today’s photographers and stylists focus on conveying the moods that might best showcase the clothes.

This happens because most of the time, the collections themselves don’t clearly show the brand identity: a strong need for eyecatching sensations, often openly contradicting past collections, tends to make brands less recognizable. Ironically, this creates a sort of new conformism, which seems rather absurd considering the efforts made by both the designers and the fashion system as a whole to start from scratch. Clearly this will take more time, and a more balanced approach, to achieve. - pag 71

INTERVIEW

The future of trade fairs

Tradition or innovation? We talk about the possible future scenarios of the fashion system with Raffaello Napoleone. The CEO of Pitti Immagine makes a promise: “Pitti Uomo is going to be the main platform, and a proving ground of how the system is likely to evolve”. BY MICHELE CIAVARELLA

Optimism is needed. An essential ingredient to plan a future that today appears squeezed inside a dark tunnel, at the end of which the light is shaped

S T Y L E M AG A Z I N E

like a question mark. Secondly, imagination, a basic element required in normal times, is all the more needed in the current emergency. Today, it is essential to have trust in order to envisage “the world to come”, despite feeling trapped in a state of complete uncertainty because what you decide today may be questioned tomorrow and perhaps be reconsidered the following day. In such elastic times, akin to a new paradigm, important decisions must be taken that will greatly affect systems and organizations, our economy and culture. Attention must therefore be paid to the fashion system, especially the issue of its sustainability vis-a-vis of the new, altered times which we will have to face. Trade fairs, which have been suspended by the prime ministerial decrees since the very first lockdown (in Italy as well as in the rest of the world), may be seen as a sort of touchstone of the attitude to resilience and the ability of the fashion system as a whole to renew itself. Raffaello Napoleone, CEO of Pitti Immagine and one of the prominent figures in the fashion system, is tasked with planning the future of this organization, which – it’s worth remembering – is behind the one and only real international male fashion fair. Mr Napoleone joined the Florentine company in 1989 as general manager, and became its CEO in 1995: since then, straddling the new

I


millennium, he has been working to make an historical trade fair turn into the international event we all know. The pandemic and the consequent lockdowns started exactly one year ago, in March 2020.A few months later, in June, the Pitti Immagine traditional appointment was called off; originally, it was postponed to September and only later cancelled. The January 2021 edition, initially re-scheduled to February 2021, was also cancelled. Can, and will, the digital world save us? The data coming from the Pitti Connect edition are extraordinary: in January, the presentations by Cucinelli, Herno and Kiton alone made 286 thousand visualisations. The new aspect is that exhibitors ask us to preview their collections on our platform. Obviously, this doesn’t mean that the real shows have diminished their value. According to a survey we conducted in partnership with Nomisma, collecting interviews from thousands of exhibitors, the interruption of trade fairs stands in the fourth position in the ranking of the pandemic’s negative outcomes. It lies behind the interruption of production, the closure of shops and the abrupt change of consumers’ needs, and ahead of the halt to the export market. If we imagine going back to normality in time to organize the Pitti Uomo edition in June 2021, do you expect the format of the event will be the same as in the past? You bet we restart in June! We are already getting applications. Which is is a clear indication of the success of the fair system: exhibitors believe that, businesswise, one day in a real fair is equivalent to a week of digital. The months of the pandemic made us rethink contents and spaces: obviously, the forthcoming edition will be different from the previous ones. How? We are working on procedures. The Safer with Pitti protocol itself is going to require different logistics, but the products are also going to be exhibited in different ways. But it’s not only this: the selection criteria themselves are going to take values

II

such as attention to the environment, sustainability and upcycling into account. Will this mark a return to tradition or a step towards innovation? Innovation will be focused on safety first; the research around products is directly linked to what companies are coming up with as a result of experimenting with fabrics. Is this going to bring about any radical change across the fashion system as a whole? The digitization process accelerated by the pandemic is inevitably going to change personal relationships, even though the real, physical realm will eventually gain back its central value. We are studying a format that can provide a strong and honest vision of innovation, essential to boost sales. We are going to need a lot of new proposals to encourage people to be confident enough to follow and buy new fashion. So, we need to boost sales tracking and understanding the consumers’ needs. Pitti Uomo is going to be the most reliable platform and proving ground of how the system is likely to evolve. I expect it to be more innovative – hence, stronger. I don’t expect to see a short-term increase of turnover, because we’ll likely have to wait until 2022-23 to go back to previous standards. Having said that, the opening up of the Chinese market is showing encouraging signs that we might outdo our expectations. Next June Pitti Uomo is celebrating the 100th edition, which means 50 years of trade fair business and cultural initiatives held in different cities featuring exhibitions, concerts, shows, theatre performances and parties: how are you planning to celebrate? The present format of a trade fair involving city and culture was developed by Marco Rivetti (late owner of the textile company group and President of Pitti Immagine from 1987 to 1995, one year before his early demise) and we would like to pay a tribute to his work. Starting from the premise that we first need to overcome the present critical situation, we are planning to celebrate what Pitti Immagine has been and will be.

S T Y L E M AG A Z I N E

ART & FASHION

- pag 82

When avant-garde invented the genderless dress

Designing the Varst jumpsuit, Varvàra Stepànova and Aleksandr Ròdčenko envisaged the fashion of the Revolution. With Popòva, Èkster, Gončarova and Malevič they developed a mechanic model of the body and a coverall to go with it, fostering a close relationship between art and fashion which has never died out. BY MARTINA CORGNATI

Varst is the signature of Varvàra Stepànova, a leading figure of the Russian Avant-garde and the founder of the Soviet Constructivism along with her partner Aleksandr Ròdč enko. However, Varst is also the name of the “T shaped” jumpsuit conceived by her around 1920 as a new dress for a new man, the Worker, unprecedented as a hero figure emerging from the October Revolution. Intentionally made unisex, Varst features clear cuts, straight sleeves, straight trousers, slant-cut pockets, a simple neckline and a belt made out of the same fabric, to fasten around the waist. It doesn’t look all too sexy, but it is practical and linear: the perfect garment for the future as envisaged by Constructivism, and led by the working class. Fashion, conceived in a broad sense as design, production and creation of accessories, clothes and


theatre costumes, played a central role in Russian and Soviet creativity, especially among the most radical movements, Suprematism and Constructivism. The reasons explaining this are partly historical and partly political: at the end of the 19th century, several artists’ colonies were established across vast stretches of taiga land, funded by illuminated aristocrats, where people could rediscover handcrafts and turn them into consumable art works. A legendary figure is that of Elena Polenova, the Director of the Abramtsevo colony, a few kilometres away from Moscow. Not only did she teach her countrywomen to sew their own clothes along past models, but she also engaged in painting, embroidery, toy-making and design. Such experiences made it easier for Russia to recognize the high value of applied arts compared to the West where, until fairly recently, they were regarded as “arts and crafts” or even “women’s works”. This understanding was held by female artists but shared by their male partners, who were often inspired by the amazing world of bricà-brac. For example, Kazimir Malevič , the founder of Suprematism and the inventor of the “black square”, one of the most radical early works in abstractism, loved embroidering and crocheting, which he had learnt from his mother. Embroidery was also cherished by Natalja Gončarova who, in her first retrospective exhibition held in Moscow in 1913 (the very first exhibition held in Russia by a female Avant-gardist) displayed paintings and several embroidery models. Later on, with the spread of the revolutionary spirit, the taste evolved rapidly towards the unisex and the straight line. However, once again the “Amazons of the Avant-garde” (a definition borrowed from the popular exhibition held at the Guggenheim Museum in 2000), including Stepànova, Ljubòv Popòva, Aleksandra Èkster, Natalja Gonč arova and Olga Rozanova to cite a few, relied on the unique Russian tradition. With undiminished confidence, they exploited the brush, the printing press

to make propaganda posters or the sewing machine to express their disruptive creativity. The most outrageous story is probably that of the Stepànova-Ròdč enko couple. Partners since the 1910s, together they designed a very mechanic model of the body and its coverall, which we find in France around the same time in the Cubist film Ballet mécanique by Fernard Léger and in the Dadaist works by Francis Picabia. The woman is no longer seen as a sex object but rather as a free and independent partner. Sexuality itself is validated as a basic human need, but it doesn’t need to interfere with the ideal of a “creative partnership” which can be achieved in a couple or in a group. This lifestyle was easier announced than practised, but it did influence a number of works by Varvàra Stepànova, including in her tailoring, labelled as “Varvaric art” by Ròdč enko. Starting from the assumption that any instrument has an artistic potential worth exploring, she designed models, printed them on fabrics with a tailor’s wheel, cut them and sewed them with her much-cherished Singer machine, which was acquired by the Russian museums after her death in 1958 (and it is still working). Undoubtedly, the sewing machine is often associated with an old, unflattering idea of womanhood; however, Varvàra made the best of it as a precious ally. At the beginning of the 1910s, she used to make clothes for her own and her mother-in-law and a whole set of typically female accessories such as the evening bag, which inspired extraordinary creative works by Alexandra Èkster. After the Revolution, seen as the opportunity to conceive a “different”, independent life, a “different” art to be made and used by the masses and a “different” fashion, Stepànova designed a universal human model, equipped with a logic and mechanic structure akin to Lego. Her own signature, Varst (like the name of the jumpsuit) is unisex. At the same time, Popova, a genuine revolutionary born in a family involved in the textile industry, learned to identify yarns before

S T Y L E M AG A Z I N E

paintings. Despite being an extraordinary designer and painter in the early 1910s, once she followed the call of politics she abandoned the “conservative” easel painting and moved in favour of making costumes for the creation of revolutionary theatre and textile pattern designs for industrial manufacturing. A wellknown fabric features a very dynamic, rather optical effect of two-tone stripes; another patter consists of broken circles on a background of stripes of different width, creating an effect as beautiful as a Suprematism painting. Once these patterns were applied to clothes, for instance the round skirts for sporty girls designed by Stepànova, the stripes decomposed the natural outlines of the body to surprising effect. The general atmosphere was extremely lively and the revolutionary enthusiasm was overwhelming, as seen across many aspects of life and society – such as sports events, theatre costumes, schools, unions, cinema and poetry. And then, a short time later, Stalinism would draw an iron curtain of silence over all of it.

STORY

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My Life As A Protégé

A story, a novel or a (not too) documented autobiography titled after the message that the author, Sébastien Jondeau, sent every morning to Karl Lagerfeld. “Ça va, cher Karl?”, co-written with Virginie Mouzat, does not keep up with promises but is bound to become a literary case. BY MICHELE CIAVARELLA

The city of Paris is shaking. Or maybe not. But what is certain is that a lot of people are currently in a state of anxiety and excitement: is it going to disclose the revelation of the century? Most people will get an answer only after having read the 267-pages-long book Ça va, cher Karl?, written by Sébastien Jondeau, driver and personal assistant to Karl Lagerfeld for over 20 years, in collaboration with Virginie Mouzat, journalist and former fashion critic

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at Le Figaro, former fashion director at the French edition of Vanity Fair and presently writer and ghost-writer. Published by Flammarion, a high-end literature publishing house, the book was released at the end of January. However, it was anticipated by a number of articles and “behind the scene” revelations, good for a spy story but rather inappropriate. Whether it was for fear of embarrassing revelations or a hope for revenge, whether it was seen as an opportunity to settle scores or to fan the flames of gossip, the reason behind such expectations is made clear in the opening lines: “Closed the door behind a 20-year-old story. I greeted Karl this morning and that was the end of it. His body and soul no longer exist.”

Thus begins the book by Jondeau, who decided to make his tale start on the evening of February the 19th, 2019, when Karl Lagerfeld, the kaiser of fashion, the man who built his own myth, died at the American hospital in Neully-sur-Seine just outside Paris. He was born in Hamburg in 1933 (perhaps a year earlier or a year later – we will never know) and managed to wrap his private life in a cloud of tulle, blurring the outlines of any friendships, love affair or personal relationships not included among his official, professional ones. Since he split up with his only publicly known boyfriend, Jacques de Bascher (who passed away in 1989), very little

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is known about the private and love life of the restless director of Chanel, Fendi and Chloé, who also made waves as a photographer, a traveller and a collector of cars, flats and castles. Lagerfeld lived with his cat Choupette, screened by an entourage of confidantes. We know he had some protégés, the last of whom were mentioned in his last will (Brad Kroenig, father of 12-year-old Hudson, the only godson and one of the main heirs, the models Baptiste Giabiconi and Jake Davies) as well as the housekeeper and the cat. Jondeau is also mentioned in the last will among Lagerfeld’s favourites: he first came into contact with him in 1998, when he was 23 and was working for his stepfather’s moving company. He was regularly employed by 7L society on 3rd January 1999 by Lucien Friedlander, the man who managed Lagerfeld’s business, being paid 15,000 French francs a month (equivalent to 2300 euro at present) in a not entirely clear capacity. He spent his first year sitting in the office of the driver, Jean-Michel, or delivering the letters that Lagerfeld used to write to anybody. He later became bodyguard, driver and special assistant. He also worked as a model and, most prominently, as a testimonial of the KL Man collection, which seemed designed for him. The account by Jondeau (the book belongs to the “récit” literary genre) becomes, page after page, a “comparative” autobiography, in which Sébastien’s life evolves alongside Karl’s life twists and turns. While the Kaiser becomes the sun (first he is the kind man who gives him generous tips, then he becomes the only social and cultural reference), the apprentice does not evolve into a moon reflecting his light. Indeed, he is keen to remark that he was never sexually involved in the relationship, like most straight men who have close friendly relationships with gay men do, thus unconsciously manifesting homophobia disguised as affection. However, he is keen to remark the exclusivity and status of his relationship as «first among

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protégés». He was the one whom Karl spent a lot of Christmas days with – a typical family celebration, the two of them alone in Paris, in Biarritz or elsewhere. On page 42 he writes: “I am the only person who knows all the details of Karl’s disease apart from Professor Claude Abbou, Doctor Khayat, Alain Toledano and Professor Védrine”, then he delves into other memories. “The first sign appeared in June 2015, right after the Cannes Festival (…) I noticed he was a bit bloated, despite it not being evident when he was dressed. He was very discrete: he didn’t like people to see him in a swimming suit (…) I was on the beach with my friend Arnaud and Karl called me saying “I have a problem. I can’t urinate. I regret having to talk to you about this. I am terribly sorry”. The Kaiser must clearly have been desperate. So, one is left with no doubt about who was the favourite among the confidantes and who would have been told such an intimate and sensitive confidence. It also makes clear who would be on the receiving end for the bulk of the inheritance (with total assets amounting over 200 million euros according to Le Parisien). “I love Seb not as a friend but as my own son”, Jondeau writes on page 265 quoting a confidence he was told by Boris, one of the bodyguards protecting Monsieur on Chanel’s request. A similar statement was made by Éric Pfrunder, Chanel image director. Relying on this certainty, Virginie Mouzat writes (under dictation?) the most heartfelt page of the book, the very last one, bearing a photograph (the only one in the whole book) picturing Jondeau and Lagerfeld seen from the back of their heads on a convertible. “In this picture, I cannot help but seeing that you are about to become a passer-by of time fading away into the shadow, my master leaving me alone. It is me who has always been under your shadow, in the wake of your fame, your strength. I sorely miss the chance to send you the usual morning message: “Ça va, cher Karl?”.


REFERENCE

- pag 95

Endless seduction BY ALESSANDRO CALASCIBETTA

The direction of fashion photo shoots is more driven by instinct than people might expect. When you have an idea in mind, don’t ask yourself why: follow it, even if it may seem absurd at first. The idea is the first step leading to the buildup of an image. These pages are a summary of my own professional path: from editorial staff assistant to fashion editor and ultimately fashion director, to becoming the editor of this magazine. It is a journey through photojournalism reflecting the shifts of fashion and male aesthetics, photography, graphic design, language. It is a story of falling in love – one which is never going to end.

VISION

- pag 128

A turning point: “going back to square one” is going to save fashion

After 2020, which has raised a number of questions about its involvement in environmental and social sustainability, today’s fashion system faces an unprecedented opportunity to completely renovate its economic and cultural standards. BY MICHELE CIAVARELLA

In the fashion world, we are used to call “turning points” those historical moments that regularly occur and pave the way to a complete renovation of its look and system. The expression defining this process is particularly appropriate because that “turning point” actually becomes a “going back to square one”, which is not a “breaking point” but enables us to begin a new paragraph. Indeed, the turning point of fashion is a sudden start which inevitably changes everything. It also gives life to a new, even unexpected story that most of us, accustomed to judge by the look, regard as “outrageous” because it breaks routine and continuity. However, routine and continuity are bound to confine fashion into a realm swinging between wistfulness and tradition. On the opposite, when fashion comes out of some “scandal”, or an unthinkable new situation, it becomes closer to reality and might better reflect the changed and changing personality of the people who are meant to wear it. For the longest time, fashion workers and fans have become accustomed to consider fashion as a closed circuit in which trends come and go at regular intervals, relying on a creative system substantially linked to the industrial context of the 1970s and the prêt-aporter. Communication has also tried to trivialise every complex notion for at least two decades. That is why, today, fashion workers and fans operate in a suspended time, where they have to fight with the past as well as the present: from the former they cannot get any strength but they are also tired of the latter, because it only provides them with inconsistent slogans. They are reluctant to rely once more on captivating but unsubstantial claims like “sneakers are the new stilettos” and “the jumper is the new jacket”, or even on definitions of style which have been predominant since the mid 1950s such as “classic”, “formal”, “sportswear”, “streetwear” and so on. They also cannot keep recalling past trends that appear worn out because of overuse. Fashion, therefore, is now taking the necessary steps to envision its own future, trying to re-emerge after 2020 (annus horribilis!) during which it was

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deprived of physicality following the cancellation of runway shows, previews and events which have made up form and content of the fashion system since the mid-Nineteenth century (not to mention the drop in sales). Perhaps it was the pressure put by the economic and financial system that fuels, supports and controls fashion that forced it to finally open its eyes at the beginning of the third decade of the 21st century. Fashion appears to swing between a survival instinct, following the motto from Giuseppe Tomasi di Lampedusa’s novel The Leopard“Everything must change for everything to remain the same” - and a revolutionary spirit, a feature close to its nature but rather faded-out. Coming from the contraction of “à la moderne”, a formula that Louis XIV exploited to reshape the French state in his own image, fashion virtually established the “sign language” on which the “system” of clothes and images is currently based. Being “à la mode” today implies renovating the look but also revolutionizing the content. So, fashion should really take advantage of the moment to make a “turning point”. It is essential to develop a new method starting from the images, which give life to clothes, and encompassing production, distribution, sales and communication. In short, the fashion system which has been under scrutiny as regards its environmental and social sustainability since the times before the outbreak,

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has to “go back to square one” in several respects. Firstly, the role of the creative talent: today, the vast majority of the brands on the market are historic and designed by personalities who are far from the founders for obvious reasons. Most of today’s creative talents are not fashion designers nor tailors/couturier but rather artistic directors who don’t have an education in Fashion: are we going to carry on hiring this kind of professional figures or are we going to look for a new figure of creative talent who combines “invention” and “promotion”? The second observation concerns the structure of the Fashion System: as we cannot leave industrial production out of the picture, the future is certainly going to feature once again Fashion Week fashion shows, seasonal collections and sales carried out through physical and digital channels (shops and e-commerce). Are the big assets supporting the presentday system willing and able to turn the system upside down, giving life to a new model compatible with the world that has inevitably changed because of (or rather thanks to) a virus? Finally, a concern about fashion itself: is the fashion following the pandemic going to change individual relationships and the relationships between individuals and social contexts? Ironically, this last issue is the hardest to solve because fashion has not been involved in illustrating individual or social relationships for some time. If it exceptionally does so, its effects are not radical, nor long-lasting. Yet, the fashion from the recent past provides lessons to learn. In 1971, Yves Saint Laurent presented a collection which was labelled as “La collection du Scandale” because it introduced elements of novelty regarded as “scandalous”. The genius who revolutionized the paradigms of fashion after the Second World War, in 1958 presented his first Christian Dior collection which was heavily criticized by the press and the customers. The collection did not sell well and led the Maison (belonging to him and his

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partner Pierre Bergé) to severe financial disarray. However, it made public opinion aware of the fact that fashion needed to illustrate the changes which were occurring. That collection, featuring male suits and looks consisting of velvet jackets, comfortable trousers, furred wraps casually worn on male pinstriped suits and black and white Vichy check coats, gave birth to the “Counter Fashion”, an alternative to mainstream elegance fit for gilded living rooms and parlours. To design that collection, Saint Laurent drew inspiration from the way Paloma Picasso used to dress. At that time, she worked as a model in his atelier and used to buy second-hand clothes at the Marché aux Puces (where a lot of garments dated back to the 1940s, the period of the Nazi occupation, and this

is the reason why Saint Laurent was blamed for sympathizing with a horrific past). He mixed male and female garments with nonchalance, inventing a new way of Bon Chic Bon Genre which was later successfully revisited by Céline (today the collection designed by Hedi Slimane fully illustrates this, despite the brand losing that accent on the “e”). Those years saw the greatest social and cultural changes of the Twentieth century, and fashion radically transformed its system and its products. The man/woman relationship changed, society got rid of several culturally sensitive issues such

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as abortion and divorce, equal opportunities gained a place in the political agenda and, in the fashion context, industrial production became well-established and flagship stores emerged. This movement was labelled as “Counter Fashion” because it broke completely with the past. The very fact that fashion was labelled as “Counter” (or «against») made it possible to have a strong social impact on the man-woman relationship: those years saw the jacket/trousers suit becoming a piece of the female wardrobe, while softershaped jackets and waistcoats were included in the male wardrobe, along with patterned fabrics. Moving from the hippy to the unisex, most garments got muddled up: there was no longer a clear difference between male and female leather overcoats, velvet jackets, turtleneck sweaters, waistcoats, button-down shirts and safari jackets, which became emblems of innovation in the field of design (adopted by the atelier), industrial production and distribution. It is worth mentioning that in 1966, when Saint Laurent opened the Rive Gauche shop at 21, rue de Tournon in Paris to sell his new collection, this immediately became the benchmark of innovation. The prêt-a-porter collection designed by a couturier established all the standards fashion has been relying on up to the present, 50 years later (including the sense of styling, the need to “adjust in order to look right”). The analogy with the present is selfevident: at that time, it was the cultural and political movement of 1968, urged on by street protests as well as academia, which led social roles to turn upside down; fashion managed to convey the meaning of this change. The need of which has long been felt in the world of fashion; the pandemic has merely cried out loud this urgency. Therefore, the challenge is to have the strength to turn priorities upside down, being aware that, once this pandemic is over, another one may come. Despite this, however, clothes will always have to illustrate a better reality to those who are going to wear them.




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