STYLE MAGAZINE_JUNE ISSUE

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STYLE.CORRIERE.IT NUMERO 6 - GIUGNO 2022

Il mensile del

SERIE TV

La trama è nello stile

VISIONI

«The Narratives II»: narratori e poeti raccontano l’amore

MODA

Un po’ amish, un po’ «Il potere del cane»

+ SPECIALE

PITTI UOMO 102 Anteprima p-e 2023

Jon Hamm

Spotlight

«A 36 ANNI ERO SOTTO I RIFLETTORI A CAPO DEI MAD MEN, A 51 SONO UN TOP GUN. MA NON HO MAI RINCORSO IL SUCCESSO»

ABITI: GIORGIO ARMANI

N° 6 giugno – Poste Italiane SpA – Sped. in a.p. – D.L. 353/03 conv. in L. 46/04, art. 1, comma 1, DCB Milano – Il 15 giugno con il Corriere della Sera 2 € (Style Magazine 0,50 € + Corriere della Sera 1,50 €).













sommario giugno 2022

In alta quota, di fronte alle Dolomiti di Brenta, abiti formali, total look in denim, cappotti in pelle e accessori country.

pag 110

21 Contributors 23 Editoriale - Frontiere abbattute

CHECK

di Alessandro Calascibetta

di Diego Passoni

25 Artwork - Sogni, passioni e desideri di Alessandro Brunelli

37 Tv. Elisabetta & family 38 Mostra. Ritratti di vita. Americana di Michele Ciavarella

27 Graffio - Ma anche no

40 Libro. Moderne moltitudini

di Andrea Rossi

29 Tech-design - Astronomia domestica

di Luca Roscini

di Severino Colombo

42 Photobook. Il nostro punto di partenza di Susanna Legrenzi

44 Cinema. Fratelli ritrovati

Qui mondo

30 Grecia. Surrealismo da spiaggia di Luca Roscini

di Valentina Ravizza

46 Podcast. Dica 35 di Enrico Rossi

48 Musica. Le solari lune del rock LGBTQ+

Lifestyle

33 Francia. Nel Marais parigino un raffinato spazio culturale

di Pier Andrea Canei

di Fiorenza Bariatti

KEYWORD: spotlight

di Valentina Ravizza

di Antonella Catena - foto di Michael Schwartz styling di Fabio Immediato

34 Milano. Un ristorante con giardino pensile sostenibile in tutto

52 Jon Hamm. Vivo l’attimo e adoro il presente

61 La trama è tutta nello stile di Diego Passoni

S T Y L E M AG A Z I N E

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sommario giugno 2022

68 Danilo Arena. Un giorno vincerò il David

102 Tobi Wallace. Chiedimi se sono felice

di Fiorenza Bariatti - foto di Gautier Pellegrin styling di Luca Roscini

di Pier Andrea Canei - foto di Boo George styling di Fabio Immediato

74 Luke Newton. La mia passione totalizzante

106 Rish Shah. L’uomo giusto per Ms. Marvel

di Valentina Ravizza - foto di Boo George styling di Fabio Immediato

di Pier Andrea Canei - foto di Boo George styling di Fabio Immediato

80 Valentina Pegorer. Anche le showgirl vanno al cinema

di Pier Andrea Canei - foto di Gautier Pellegrin styling di Daniela Stopponi

86 Highsnob. Mille vite perse, come nella Play

di Pier Andrea Canei - foto di Gautier Pellegrin styling di Luca Roscini

92 Emma Appleton. Il coraggio di buttarsi

di Valentina Ravizza - foto di Boo George styling di Fabio Immediato

MODA/1

110 Menstyle - Dandy cowboy di Luca Roscini - foto di Letizia Ragno

120 Style glam - Innamorati da 75 anni di Fiorenza Bariatti - illustrazione di Tommaso Trojani

122 Style glam - Ecologisti senza tempo

di Luca Roscini - illustrazione di Tommaso Trojani

96 Pierpaolo Spollon. Empatia, la parola più bella

PERSONAL SHOP

di Cristina Pacei - foto di Gautier Pellegrin styling di Luca Roscini

di Paolo Artemi - foto di Federico Miletto

127 Auto. L’ibrida per chi ama il comfort 130 Orologi. Forme di puro design di Diego Tamone

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S T Y L E M AG A Z I N E

Interpretazione architettonica ironica di un luogo di villeggiatura della Penisola Calcidica.

pag 30



sommario giugno 2022

134 Cucino io. Irresistibile Maillard di Allan Bay - foto di Federico Miletto styling di Veronica Leali

136 Fuori a cena. Alla brace di Allan Bay

138 Drink. Tutt’altro che un flop di Cristina Pacei - foto di Federico Miletto styling di Veronica Leali

140 Menswear. Tipi da spiaggia

di Cristina Manfredi - styling di Angelica Pianarosa

147 Beauty. Più fluidi, più artistici

CULTURE

158 History repeating Giornalisti vittime di un potere brutale di Andrea Purgatori

162 Arte - Il tempo senza tempo di Martina Corgnati

166 Visioni - Immaginazione e parole. Il potere del linguaggio di Michele Ciavarella

di Gioele Panedda - foto di Michele Gastl

MODA/2

di Pier Andrea Canei

di Michele Ciavarella - foto di Paola Dossi styling di Giovanni de Ruvo

151 Detox. Remise en forme nel top resort 152 Weekend a Verona. Libiamo, è tornata l’Aida.

172 Mensfashion. Naturalia

di Veronica Russo

176 Style selection. Preziosi italiani

di Beba Marsano

179 Speciale Pitti Immagine Uomo 102. Primavera-estate 2023

di Fiorenza Bariatti

di Veronica Russo

154 Weekend a Cefalù. Ritratto tirrenico con manna 156 Eventi. Appuntamento al golf

di Fiorenza Bariatti

L’ULTIMA PAROLA

198 di Jordan Bowen e Luca Marchetto

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S T Y L E M AG A Z I N E

Emma Appleton: «Ho un unico talento naturale. Per recitare».

pag 92



Il mensile del

anno 18 n. 6 giugno - 15 giugno 2022

DIRETTORE RESPONSABILE

STYLE È PUBBLICATO DA RCS MEDIAGROUP S.P.A.

Alessandro Calascibetta ART DIRECTOR

FASHION DIRECTOR

Tiziano Grandi

Luca Roscini

PRESIDENTE E AMMINISTRATORE DELEGATO

Urbano Cairo CONSIGLIERI:

CAPOREDATTORE

Fiorenza Bariatti

Michele Ciavarella

REDAZIONE

Pier Andrea Canei (vice caposervizio) Valentina Ravizza

DIRETTORE GENERALE NEWS:

REDAZIONE WEB ABITI: Giorgio Armani

FOTO: Michael Schwartz

STYLING: Fabio Immediato

Antonella Catena (caposervizio) coordinamento Cristina Pacei (vice caporedattore ad personam) lifestyle Angelica Pianarosa (collaboratrice) moda REDAZIONE GRAFICA

Laura Braggio Giorgio Fadda PHOTO EDITOR

Chiara Righi FASHION EDITOR

Giovanni de Ruvo (collaboratore) PRODUZIONI ATTUALITÀ E COORDINAMENTO MODA

Silvia Giudici PRODUZIONI MODA

BEAUTY

Gioele Panedda (collaboratore)

CONCESSIONARIA PUBBLICITÀ

SEGRETERIA DI REDAZIONE E CASTING

cairo rcs medi a s. p. a .

Rosy Settanni

Sede operativa via Angelo Rizzoli 8 20132 Milano tel. 02-25841 fax 02-25846848 Vendite Estero 02.2584 6354/6951

UFFICIO DI PARIGI

Annalisa Gali PROGETTO GRAFICO

DISTRIBUZIONE IN ITALIA M-DIS Via Cazzaniga 1, 20132 Milano tel. 02 2582.1

Tiziano Grandi

Nicoletta Porta Chiara Pugliese COORDINAMENTO TECNICO: Emanuele Marini CENTRO SERVIZI FOTOGRAFICI E GUARDAROBA: Eleonora Caglio ADVERTISING MANAGER: BRAND MANAGER:

DIRETTORE RESPONSABILE

Luciano Fontana VICEDIRETTORE VICARIO

Barbara Stefanelli VICEDIRETTORI

Daniele Manca, Venanzio Postiglione, Fiorenza Sarzanini, Giampaolo Tucci

18

HANNO INOLTRE COLLABORATO A QUESTO NUMERO:

Silvano Belloni, Severino Colombo, Boo George, Fabio Immediato, Beba Marsano, Diego Passoni, Gautier Pellegrin, Letizia Ragno, Veronica Russo, Michael Schwartz, Daniela Stopponi questo numero è stato chiuso in redazione lunedì

S T Y L E M AG A Z I N E

Alessandro Bompieri

– Sede sociale: via Angelo Rizzoli 8 20132 Milano – Redazione: via Angelo Rizzoli 8, 20132 Milano, tel. 02 2584.1, fax 02 25846810 – Stampa: ELCOGRAF S.p.A via Mondadori 15, 37131 Verona – Registrazione Tribunale di Milano n. 31 del 18/01/2005 – © 2014 RCS MediaGroup S.p.A. – Testi e foto © RCS MediaGroup S.p.A. possono essere ceduti a uso editoriale e commerciale. –Syndication – Press Service: www.syndication.rcs.it, press@rcs.it Responsabile del trattamento dei dati personali (D. Lgs. 196/2003): Alessandro Calascibetta. INTERNATIONAL EDITIONS Maria Francesca Sereni, tel. +39 02 25844202 (mariafrancesca.sereni@rcs.it) Content Syndication: press@rcs.it Web: www.syndication.rcs.it

Alessandra Bernabei

MENSILE DISTRIBUITO CON IL

Federica Calmi, Carlo Cimbri, Benedetta Corazza, Alessandra Dalmonte, Diego Della Valle, Uberto Fornara, Veronica Gava, Stefania Petruccioli, Marco Pompignoli, Stefano Simontacchi, Marco Tronchetti Provera

30

maggio

2022

ABBONAMENTI Per informazioni telefonare allo 02 63798520 (lun-ven, 7,00-18.30; sab-dom, 7,00-15,00). Poste Italiane S.p.A. – Sped. in a.p.–D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art.1, comma 1, DBC Milano. ARRETRATI Rivolgersi al proprio edicolante, oppure ad arretrati@rcs.it o al numero 02 25843604 comunicando via e-mail l’indirizzo e il numero richiesto. Il pagamento della copia, pari al doppio del prezzo di copertina deve essere effettuato su Iban IT 97 B 03069 09537 000015700117 BANCA INTESA - MILANO intestato a RCS MEDIAGROUP SPA.



WIEN

FALL WINTER 2022 - 23


CONTRIBUTORS Severino Colombo Brianzolo di Erba, classe 1969, lavora al Corriere della Sera nella redazione Cultura. Scrive di letteratura e mette insieme le classifiche dei libri più venduti e l’annuale referendum sul miglior libro per la Lettura. Ha scritto un manuale sui nuovi papà (con Gianni Biondillo, Guanda) e un libro sulle fake news (Newton Compton). Legge e vota romanzi per ragazzi al Premio Cento e favole al Premio Andersen (Sestri Levante). pag 42

Fabio Immediato Fiero napoletano, vive a Londra da più di 20 anni dove lavora come stylist. Quando non trasporta valigie tra Londra, New York e Los Angeles, trascorre il tempo libero in spiaggia facendo surf o sollevando pesanti barrette di cioccolato (al latte). Il suo motto è: «Zitto e nuota, nuota e nuota». Collabora con i fotografi Marc Hom, Greg Kadel, Sofia Sanchez & Mauro Mongiello... pag 52, 74, 92, 102, 106

Letizia Ragno Milanese, studi classici e artistici. Letizia si diploma in Fotografia alla R. Bauer. Sviluppa poi sui set di Milano, Parigi e New York la propria visione ritrattistica della moda. Il suo lavoro è caratterizzato dall’uso sensibile della luce e dalla ricerca della parte più intima del soggetto fotografato. Tra le sue grandi passioni l’arte, la musica e l’alta montagna. pag 110

Michael Schwartz È nato e cresciuto nel Sud della Florida nell’epoca dei «Cocaine Cowboys», il che spiega come riesca a essere contemporaneamente elegante e randagio. Completati gli studi ad Atlanta, si è trasferito a Los Angeles per poi accettare un lavoro di agente di modelle a New York pur di tornare sulla costa Est. Dopo alcuni anni ha ceduto al suo lato creativo e si è dato alla fotografia a tempo pieno. pag 52 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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COLLECTION

Fifty Fathoms

©Photograph: Laurent Ballesta/Gombessa Project

La Collezione Fifty Fathoms incarna la passione di Blancpain per il mondo sommerso – già espressa nel 1953 con la creazione del primo orologio subaqueo moderno. Grazie a quasi 70 anni di storia del Fifty Fathoms, Blancpain ha tessuto legami stretti con esploratori, fotografi, scienziati ed esperti dell’ambiente. Queste affinità ci hanno dato la determinazione per sostenere importanti attività legate all’esplorazione e alla protezione dell’Oceano. Tutte queste iniziative rappresentano il Blancpain Ocean Commitment.

RAISE AWARENESS, TRANSMIT OUR PASSION, HELP PROTECT THE OCEAN www.blancpain-ocean-commitment.com

PER INF O RM AZ I O NI T E L . 025 7597 3 81


EDITORIALE

di Alessandro Calascibetta

S

Frontiere abbattute

SPOTLIGHT SU JON HAMM. In copertina c’è lui, uno degli uomini più sexy del pianeta, nonché l’attore che nella serie tv Mad Men ha incarnato lo stile dei «luminosi anni Sessanta», come li definisce Diego Passoni nel pezzo in cui discetta sul significato simbolico e identitario di styling e grooming nelle serie tv (a pagina 61). Il decennio del boom economico fu effettivamente luminoso. Lo è stato anche da noi perché l’Italia aveva ripreso slancio e credibilità, ovviamente. E anche per la moda, che nel decennio precedente non era certo stata una priorità.

Il bello sta nel fatto che neppure negli anni Sessanta era prioritaria. Il recupero dello stile, infatti, avvenne in modo naturale. Era ritornata la voglia di vedersi in ordine (come si diceva all’epoca), con quel tanto di vanità che, allora, era priva di ogni forma di esibizionismo gratuito; a questo, bisogna dirlo, va aggiunto che la a cura di sé era considerata una forma di rispetto.

FOTO: LEONARDO BECHINI

Oggi, dell’estetica novecentesca di quel tempo lontano non resta granché, anzi, non è rimasto nulla. È giusto, oltre che normale, che sia così; basterebbe pensare che le donne dovevano essere belle e «in ordine» prima di tutto per i loro mariti o, se ancora nubili, per essere desiderabili per i potenziali fidanzati.

Perché il massimo a loro consentito (molto spesso imposto) era di «sposarsi bene». Ci si vestiva apposta a seconda delle occasioni, le donne dovevano apparire carine, seducenti e gli uomini erano quasi tutti e quasi sempre in giacca e cravatta. Ma anche i maschi dovevano dimostrare qualcosa: successo, autorevolezza. E autorità. La maggior parte di loro recitava le regole della società in automatico, mentre altri, più o meno consapevoli, subivano loro malgrado lo stereotipo dell’uomo perfetto.

Oggi la moda maschile parla chiaro: via i segni di riconoscimento del potere patriarcale. Le forme degli abiti di tendenza non somigliano neppure lontanamente a quelle tradizionali; la maglieria è over (large e long) lascia il corpo più libero anziché stringerlo per dar lustro ai virili muscoli guizzanti. Accanto ai pantaloni, tra gli scaffali dedicati agli uomini, si vedono sempre più spesso gonne e crop top. Ed ecco allora che quegli uomini che non hanno mai sentito loro il vestito della mascolinità a tutti i costi, possono affrancarsi espugnando frontiere d’appannaggio finora femminile. E stare bene nei propri abiti. Il prossimo change? Una sintesi tra modernismo e rigore minimale (quello dei luminosi Sessanta, appunto) che tanto caro fu ad Alberto Biani, a Romeo Gigli, a Prada e a Hedi Slimane quando disegnava l’uomo Dior.

(alessandro.calascibetta@rcs.it) (Instagram @alecalascibetta)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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ARTWORK

di Alessandro Brunelli

© LEONARDO NIOLA

Composition n. 7, 2022, di Leonardo Niola (Roma, 1991).Olio su tela, 135X170 cm.

SOGNI, PASSIONI E DESIDERI

La pittura di Leonardo Niola esplora l’inconscio umano, richiamando, attraverso giochi di geometrie e volumi amorfi, corpi e oggetti in un abbandono onirico di passione carnale e desideri materiali. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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IWC TOP GUN.

Pilot’s Watch Chronograph TOP GUN

la suggestiva area montana dove vengono adde-

Edition «Lake Tahoe». Ref. 3891: Essenziale e ricco

strati i piloti «Top Gun». Ma l’elegante segnatem-

di contrasti, il design di questo cronografo TOP

po mosso dal calibro di manifattura IWC 69380

GUN in ceramica bianca si ispira alle vette innevate

catalizzerà l’attenzione anche al di fuori del cockpit.

e alle formazioni rocciose intorno al Lake Tahoe,

I WC . E N G I N E E R I N G D R E A M S . S I N C E 1868 .

IWC BOUTIQUE · VIA MONTENAPOLEONE 1 · 20121 MILANO

SC A R I CH I L'A P P IWC P E R I L TRY- O N VI R T UA LE Calibro di manifattura 69380 · Riserva di carica di 46 ore · Indicazione di giorno e data · Funzione cronometro con ore, minuti e secondi · Impermeabile fino a 6 bar · Diametro 44.5 mm


IL GRAFFIO

di Andrea Rossi

«e con le gambe, con il culo, coi miei occhi ciao ciao»

Ma anche no La copertina di Ciao ciao; il tour de La Rappresentante di Lista, tra festival e rassegne, partirà il 19 giugno.

A

FFOSSATA in un coro di pernacchie festanti la dialettica hegeliana, archiviato l’antico e nobile contradditorio («questo lo dice lei!»), in un mondo invaso dal potere dei social in cui tutti discettano di tutto senza sapere un tubo (ieri virologi oggi esperti di strategia militare e domani chissà), si è consumata la capacità di dialogare tra posizioni diverse. Che fare? Inventare un artificio grazie al quale alla fine vincono sempre loro, i soliti noti, quelli che la buttano in caciara per pararsi il culo (sostantivo definitivamente sdoganato a Sanremo da La rappresentante di Lista: Ciao ciao). Il perno di questa evoluzione del pensiero contemporaneo è una locuzione che salì alla ribalta con Walter Veltroni. Alla base c’era il tentativo di tenere insieme il tutto e il suo contrario, la «contaminazione» tra le culture, la conciliazione anziché lo scazzo frontale, l’accostamento e non

l’esclusione: moderati «ma anche» sognatori, riformisti «ma anche» radicali, milanisti «ma anche» interisti. Un’idea balzana. Poi le cose sono degenerate e i risultati eccoli qua: quella ragazza, poveretta, è stata aggredita nel parco «ma anche» lei se l’è cercata, aveva una minigonna che le copriva a stento il sedere (rieccolo!)… Vladimir Putin sarà un macellaio «ma anche» l’Occidente ha le sue colpe… Benito Mussolini ha incarcerato e ucciso i suoi oppositori e trascinato l’Italia in un conflitto disastroso «ma anche» Lui ha fatto cose buone (i treni che arrivavano in orario?)… Matteo Salvini indossa giacche che non si possono guardare «ma anche» Roberto Speranza, diciamolo, veste da schifo… Così finisce, in fondo a questa spirale, che tutti sono colpevoli e nessuno lo è, nessuno riconosce la responsabilità delle proprie malefatte (giacche comprese. A proposito, a quando una Norimberga dell’outfit?). Ma anche no. Ecco. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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TECH DESIGN

Astronomia domestica Telescopio 2.0: la frontiera smart dell’osservazione di stelle e pianeti. DI LUCA ROSCINI

T

RASFORMARE il salotto in un osservatorio hi-tech. Dimentichiamoci i vecchi telescopi con treppiede traballante e pure la delusione del non riuscire a fotografare la luna piena con lo smartphone. La soluzione ha un nome evocativo: Stellina, ultimo nato dei prodotti di alta tecnologia di Vaonis, azienda francese specializzata nella produzione di telescopi di nuova generazione. Istruzioni: posizionare Stellina all’aperto e collegarlo tramite un’App a computer, tablet o smartphone e da questi osservare, meteo permettendo, tutti gli astri celesti in modo completamente automatico. Basta solo scegliere cosa si vuole contemplare dalla lista di corpi celesti in memoria e il telescopio smart fa il resto: allineamento astrale automatico, auto-focus e live-stacking (sovrapposizione di più immagini per fornirne una quasi perfetta). Per condividere l’esperienza poi Stellina si può collegare con almeno altri dieci amici e i loro device. (•Prezzo: 3.999 euro • vaonis.com) © RIPRODUZIONE RISERVATA

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QUI MONDO

Grecia

Surrealismo da spiaggia

Scrutando l’orizzone si può vedere il monte Athos, mentre dal lettino si osservano i chioschi inclinati, interpretazione ARCHITETTONICA IRONICA dello studio Ctrlzak. Siamo all’Ekies All Senses Resort, luogo di villeggiatura della Penisola Calcidica, la cui identità rispecchia l’ecosistema che lo circonda. (l.r.)

Il pino mediterraneo è protagonista della struttura: le radici sono sentieri che indicano la direzione verso il mare, le cime sono ombra per le aree lounge. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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FOTO: PERSEPHONI STRIVA

UN NUOVO APPROCCIO DIVERTITO ALL’ESTATE MEDITERRANEA

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Elegance is an attitude Regé-Jean Page

shop online www.longines.it

HYDROCONQUEST New 39mm case


QUI MONDO LIFESTYLE

L’originale progetto di Rupture Art&Books (sopra il primo Rupture store e bar) si deve al designer Pierre Gonalons, Alexandre Sap (fondatore) e alla curatrice Barbara Soyer (foto in basso).

Francia

SI TROVA NEL MARAIS PARIGINO, ANCORA QUARTIERE TRENDY, UN RAFFINATO SPAZIO CULTURALE

FOTO: STEPHAN JUILLARD

DI FIORENZA BARIATTI

RUPTURE ART&BOOKS, ovvero la galleria-libreria aperta in Rue Vertbois a pochi metri dal «fratello» (stesso nome), bar-negozio di vinili. Il nuovo spazio è un «contenitore» innovativo poiché qui si riesce a trovare una selezione di titoli accurata e preziosa mescolando opere e libri d’arte, architettura, letteratura, design, grafica e moda. Non poco; ma la visita vale soprattutto per vedere come sono stati arredati gli ambienti (uno dedicato a libri e riviste, l’altro deputato a ospitare esposizioni di opere d’arte, incontri e letture). A partire dai pavimenti di cementine dal pattern macchiato come fossero gli schizzi di colore nello studio di un artista, per salire fino alle lampade a disco (di Pierre Gonalons per Maniero); alle pareti tende in raso, per sedersi poltrone All-Around (per Paradiso Terrestre) e per accogliere il visitatore un grande bancone tricolore vintage di provenienza milanese. Infine, come in tutte le biblioteche degne di rispetto: librerie olandesi a vetrina e lucernario per non «disturbare» l’arte. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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QUI MONDO LIFESTYLE

Il corner bar di Horto, il nuovo ristorante milanese dello chef tristellato Norbert Niederkofler (foto in basso) attento all’ambiente e alle materie prime.

Milano

UN RISTORANTE CON GIARDINO PENSILE SEGRETO, SOSTENIBILE DAL MENU AI DIRITTI DEI LAVORATORI COME UN HORTUS CONCLUSUS medievale, ma su un esclusivo rooftop urbano, quello del The Medelan (come il nome celtico di Milano), complesso nato dalla riqualificazione dell’ex palazzo del Credito Italiano e dell’edificio Magazzini Contratti. E come in quegli spazi verdi all’interno dei monasteri, sulla tavola di Horto, il ristorante che chef Norbert Niederkofler inaugura nella seconda metà di giugno a due passi dal Duomo, dominano materie prime stagionali e a filiera corta: cascine, caseifici e campi distano non più di un’ora dal centro e il pesce è esclusivamente di lago. Ma la sostenibilità è un impegno preso anche in sala, dove dominano materiali naturali e di recupero (il pavimento proviene da vecchie botti di aceto, l’intonaco è bioclimatico, i tessuti riciclati), e dalla proprietà: nel rispetto del tempo dei lavoratori il ristorante è chiuso la domenica. In compenso però è aperto tutta la giornata, dalla colazione in terrazza al pranzo al bistrot, dall’aperitivo alla cena gourmet. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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S T Y L E M AG A Z I N E

FOTO: LUCA CAIZZI, MATTIA PARODI, COURTESY OF GLA ARCHITETTI

DI VALENTINA RAVIZZA


Nuova Maserati Grecale GT. Everyday Exceptional

Grecale GT. Consumo di carburante in ciclo misto min – max (l/100km) 8.7 – 9.2; emissioni di CO2 in ciclo misto min – max (g/km) 198 – 208. I dati corrispondono ai test eseguiti in conformità al regolamento (UE) 2017/1151, tuttavia l’omologazione definitiva non è ancora stata ultimata, di conseguenza i dati possono essere soggetti ad ulteriori adeguamenti. I dati definitivi saranno presto disponibili sul sito Maserati e presso i concessionari ufficiali Maserati.



CHECK TV

miniserie in (encomiabili) costumi, interpretata da bravi attori

Alicia von Rittberg (Elisabetta I) e Tom Cullen, che interpreta Thomas, marito della matrigna Caterina.

Elisabetta & family «BECOMING ELIZABETH», OSSIA UNA TUDOR ADOLESCENTE, PEDINA DELLA POLITICA E DEGLI INTRIGHI DI CORTE. DI DIEGO PASSONI

© 2021 STARZ ENTERTAINMENT, LLC

NELL’ANNO IN CUI ELISABETTA II

ha festeggiato il suo giubileo di platino, incarnando probabilmente la figura vivente più rilevante dell’ultimo secolo, continuano le serie tv che indagano la corte inglese e che vogliono portare alla luce storie non ancora raccontate. Come lo sono gli anni d’infanzia dell’altra Elisabetta, la Tudor (1533-1603), che visse all’epoca in cui le grandi potenze che lottavano per il potere erano le famiglie nobili di tutta Europa. Ogni figura pubblica ha luci e ombre; ma difficilmente riusciamo a ricondurre ciò che vediamo in una donna o in un uomo che sono al potere agli anni della loro formazione umana, prima che politica. Ed è proprio quello che prova a fare questa serie tv, intitolata Becoming Elizabeth. L’iconica e temutissima regina inglese del Cinquecento che conosciamo è il frutto di dolori e traumi che non sono stati risparmiati alla figlia del re d’Inghilterra, e anzi, forse proprio per questo, sono stati il suo unico destino possibile fin da subito, nonostante fosse solo una bambina. E forse

è proprio per il fatto di essere una principessa che Elisabetta imparerà presto che difficilmente potrà decidere per quello che vorrebbe, che la famiglia non è un luogo in cui sentirsi protetti, e che in guerra si deve imparare a essere feroci. Diventata presto orfana di madre – la malcapitata e decapitata Anna Bolena – Elisabetta cresce in esilio con la sorellastra maggiore, la primogenita Maria Stuarda, il fratello piccolo Edoardo e la matrigna Caterina, e vive l’adolescenza in un clima di menzogna come fosse solo una pedina, coinvolta nella politica e negli intrighi sessuali della corte, che porteranno a una vera faida familiare quando morirà anche il padre, Enrico VIII. UN CAST SENZA NOMI altisonanti a fare

da richiamo, ma composto da attori di comprovato talento (Romola Garai, Jessica Raine, Tom Cullen) e un lavoro encomiabile con i costumi, le ambientazioni e la fotografia, per una pregevole prima stagione di otto puntate. Disponibile su StarzPlay.

Le altre serie in uscita Loot

Dal 24 giugno su Apple tv La miliardaria Molly Novak (Maya Rudolph) è in crisi. Ma scopre una fondazione benefica gestita da una donna pratica e razionale (M.J. Rodriguez, da Pose) che le cambierà la vita.

Life&Beth

Su Disney+ Amy Schumer è Beth, una ragazza che pare appagata e di successo, ma un incidente fa riaffiorare flashback del passato, che mettono tutto in discussione.

Man vs Bee

Dal 24 giugno su Netflix Quale epica battaglia possono ingaggiare un uomo e una fastidiosa ape per stabilire chi regnerà in una villa di extra lusso? Rowan Atkinson (Mr. Bean) è tornato!

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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CHECK MOSTRA

lascia da parte lo star system e si interessa alla società chic e colta

Ritratti di vita. Americana NESSUN LEGAME CON L’ESPRESSIONISMO ASTRATTO NÉ CON LA POP ART, ALEX KATZ INVENTA UN MODO PER DIPINGERE UN MONDO DI AFFETTI.

e lo star system per raccontare la società newyorkese ricca, chic e colta (non sempre le tre caratteristiche sono state in conflitto una con l’altra) e poi si focalizza sul volto di Ada, sua moglie, che replica a non finire in ritratti decontestualizzati: «Ada aveva una bellezza universale; guardava molti film e i suoi gesti venivano inconsciamente da quell’immaginario». Due lavori di Alex Katz. Sopra, After Hours, 1993, olio su tela, (Collezione Mastrotto). Sotto, Libby, 1991, olio su tela (Mart, Deposito collezione privata).

CON OLTRE 40 GRANDI TELE, al Mart

di Rovereto fino al 18 settembre, La vita dolce racconta la lunga storia di un artista che pur non appartenendo alla Pop art — e senza aver mai avuto ambizioni politiche e sociali o concetti esistenzialisti — ha saputo rielaborare molti riferimenti della cultura di massa americana. Curata da Denis Isaia, la mostra nasce da un’idea di Vittorio Sgarbi, presidente del Mart, raccoglie lavori che provengono da grandi collezionisti italiani e svizzeri e si inserisce negli omaggi che a Katz tributano altri due musei internazionali: il Thyssen-Bornemisza di Madrid (fino all’11 settembre) e il Guggenheim di New York (dal prossimo ottobre fino a febbraio 2023). © RIPRODUZIONE RISERVATA

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S T Y L E M AG A Z I N E

FOTO: NICOLA ECCHER

IL FASCINO DELL’INATTUALE e la volontà del fuoriclasse. Il prossimo 24 luglio Alex Katz compirà 95 anni e almeno 75 li ha spesi a dipingere opere di grandi dimensioni che hanno un solo scopo: trasferire sulla tela la grande fascinazione dell’american dream e della sua possibilità di successo quotidiano. Figlio di un ebreo russo scappato negli Usa dalla rivoluzione sovietica, Katz arriva alla pittura quando l’Espressionismo astratto di Jackson Pollock, Mark Rothko e Willem de Kooning aveva già convinto il mondo che il centro nevralgico della creatività non era più l’Europa ma gli Stati Uniti. Prima ancora che arrivi Andy Warhol e la sua Pop art, lui decide di mettersi fuori da ogni definizione artistica ed elabora una maniera per andare controcorrente: sceglie di essere figurativo. «Visto che si dice che l’atto rappresentativo è obsoleto, mi propongo di trovare il modo per renderlo parte del mondo moderno» dice per spiegare il suo andare sia oltre la tradizione decorativa sia il suo disinteresse per l’arte come espressione di tensioni sociali. Quindi, rifiuta anche l’interesse della Pop art per le dive

DI MICHELE CIAVARELLA



CHECK PHOTOBOOK

la prima raccolta completa delle installazioni di ian strange

Il nostro punto di partenza EX GRAFFITISTA CON UNA LUNGA ESPERIENZA ANCHE NEL MONDO DEL CINEMA E DEL TEATRO, TRASFORMA CASE IN OPERE SITE SPECIFIC. DI SUSANNA LEGRENZI

È IL 2011 quando Ian Strange firma

l’installazione Home alla Turbine Hall di Cockatoo Island, Sydney. L’opera era la riproduzione in scala 1:1 della sua casa d’infanzia, ricostruita attraverso i ricordi dell’adolescenza. Da allora, i suoi interventi site specific, che l’hanno visto dipingere (di rosso sangue), cancellare (imbevendole nel nero), sezionare e illuminare o incendiare una serie di case preesistenti, sono stati messi in scena in mezzo mondo. A raccoglierli ora è Disturbed Home, monografia dedicata all’artista australiano di stanza a New York che nell’arco degli ultimi 12 anni ha affrontato alcuni tra i temi cruciali del presente. PROTAGONISTA del volume è la casa, anzi l’archetipo delle case delle suburbie: case che si assomigliano le une alle altre, case che sono un rettangolo con un triangolo, case simbolo universale della nostra identità. Per ogni ciclo di progetto, Strange mette in scena uno storyboard complesso a stretto contatto con gli abitanti. «La cosa che più mi interessa sono le comunità di luogo, il loro rapporto con la struttura, questa sorta di forte richiamo emozionale che esercita sulla gente» afferma. Ogni intervento dà vita a un cantiere dove si crea e si distrugge, si scatta e si filma. Per

Dodici anni tra Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Polonia e Stati Uniti: degrado, disastri ambientali e mutamenti sociali. Strange crea situazioni visivamente forti e ne fissa il messaggio attraverso fotografie e video.

Disturbed Home Ian Strange A cura di Kevin Moore 208 pagine 115 illustrazioni in lingua inglese 55 euro Damiani Editore

la serie Final Act, realizzata nella «Zona rossa» – l’area danneggiata dal terremoto del 2011 con oltre 16mila edifici da demolire – a Christchurch in Nuova Zelanda, il direttore della fotografia Alun Bollinger (Il Signore degli Anelli) gli ha dato una mano. Insieme hanno sezionato e illuminato case. «All’inizio era davvero difficile spiegare alla gente che cosa volevamo fare» ricorda Strange. «In queste aree non ci sono molte strade dove poter vedere un progetto di arte contemporanea». Eppure tutto è sempre andato liscio. Perché come dice Strange: «La casa spesso è un modo per mappare e comprendere il mondo». O, se vogliamo, il punto di partenza di tutti noi. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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CHECK LIBRO

intreccio di drammi epocali e personali, mitologia, microstorie

Moderne moltitudini UNA DOTTORESSA (C0N PASSATO DA DOTTORE) NEI CAMPI PROFUGHI DI LESBO. PER UN TRIONFO DI SCRITTURA COME CREAZIONE. DI SEVERINO COLOMBO

trasportatore nel piccolo aeroporto sull’isola di Lesbo, uno dei passeggeri lo prende, lo volta e lo rimette sul nastro. Quando il libro rientra è di nuovo a faccia in giù. Questa buffa scena si ripete più volte fino a che sul nastro vengono caricati e poi scaricati tutti bagagli e a girare resta di nuovo solo il libro. L’episodio apre il nuovo potente romanzo di Rabih Alameddine Il lato sbagliato del telescopio e solleva domande destinate a girare nella testa del lettore e a restare sospese a mezz’aria fino alla fine. Il settimo romanzo dello scrittore libanese naturalizzato americano, gira attorno a Mina, dottoressa giunta dagli Stati Uniti sull’isola greca come volontaria nei campi profughi. Anche lei è originaria del Libano dove si chiamava Ayman: «Quando sono nata ero un maschio, anche se non corrispondeva a quello che ero». A Lesbo ritrova il fratello Mazen, l’unico della famiglia con cui negli anni In alto: un murale dedicato ai rifugiati dell’isola greca di Lesbo. Qui si svolge Il lato sbagliato del telescopio di Rabih Alameddine, romanzo edito da La nave di Teseo, nella traduzione dall’inglese di Licia Vighi.

ha mantenuto un rapporto. Nel racconto dell’oggi Mina parla in prima persona e si rivolge a un amico scrittore che come lei, prima di lei, aveva fatto la stessa esperienza umanitaria salvo scoprirsi incapace, sul posto, di portare aiuto e, a distanza di tempo, di narrare ciò che ha visto e vissuto. Sembra la resa dello scrittore come occhio sul mondo, invece sarà il trionfo della Scrittura come creazione. ALAMEDDINE AMA CAMBIARE identità

e punto di vista esplorando forme narrative. La «mezzaluna fertile» che porta iscritta nel Dna (nato nel 1959 in Giordania, ad Amman, da genitori libanesi, cresciuto tra il Paese dei cedri e il Kuwait; studi nel Regno Unito e negli States) fa maturare frutti saporiti, speziati e succulenti in forma di romanzi disorientanti per genere e gender, e premiati in mezzo mondo. Dice Mina allo scrittore: «Scriverò la tua storia per te». Vero, ma quella è solo una delle tante nel libro. «Sei vasto, come Whitman. Contieni moltitudini». Vero anche questo, e Alameddine (com)prende queste moderne moltitudini e le fa brillare dentro il romanzo come fuochi d’artificio. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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UN LIBRO A FACCIA IN GIÙ gira sul nastro



CHECK CINEMA

«il perdono è un’illuminazione. per questo è così difficile»

Fratelli ritrovati UN VIAGGIO FISICO ED EMOTIVO DALLA FRANCIA ALL’ITALIA DEL DOPOGUERRA PER SUPERARE I DANNI DI UN IDEALE MASCHILE TOSSICO. DI VALENTINA RAVIZZA

Di Leva. «Avendo girato cronologicamente il film ho potuto vivere Fabio tappa dopo tappa, lasciandomi trasportare e sorprendere dalle emozioni, dalle atmosfere». In un percorso che è stato anche fisicamente impegnativo per l’attore, che scena dopo scena vediamo tirare pugni in un combattimento clandestino (Di Leva, che pratica il pugilato anche nella vita, dice però che «la vera boxe non è violenza, è poesia»), affrontare sfiancanti camminate e addirittura un tuffo in un lago gelato. «MOLTO DI QUELLO che fa soffrire Fabio

Il regista francese Tommy Weber ha tratto Come prima (al cinema dal 16 giugno) dall’omonima graphic novel di Alfred. Protagonisti (in alto) Antonio Folletto e Francesco Di Leva.

è successo solo nella sua testa» spiega Di Leva, «sarebbe bastata una sola parola del padre per non farlo partire e invece... La sua famiglia non ha saputo capirlo e lui non ha espresso la sua richiesta di aiuto». Un uomo solo, prigioniero dell’incomunicabilità di un’epoca nella quale l’ideale maschile tossico propugnato dal fascismo non permetteva di lasciarsi andare ai sentimenti. Nemmeno all’amore paterno e fraterno. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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FOTO: ANNA CAMERLINGO

DUE PAESI, Francia e Italia, traumatizzati dalla guerra e due fratelli, Fabio e André, che quella stessa guerra, il secondo conflitto mondiale, ha allontanato fino a far perdere loro persino la capacità di comunicare. Come prima di Tommy Weber è un viaggio fisico ed emotivo fatto di silenzi, di non detti, per arrivare finalmente a condividere ciascuno la propria verità. «Il perdono è illuminazione. Per questo è così difficile» afferma Francesco Di Leva, che nel film (al cinema dal 16 giugno) interpreta Fabio, il fratello maggiore, che appena ragazzo lascia la casa della sua famiglia a Procida per combattere al fianco delle camicie nere di Benito Mussolini nella campagna d’Africa. A cercarlo dopo la scomparsa del padre, 17 anni dopo, è Antonio Folletto, con cui l’attore ha ricreato anche fuori dal set quel legame fraterno che i due cercheranno di riparare sulle strade della Borgogna, attraverso i passi alpini, giù fino alla costa campana. «Non sapevo nemmeno io esattamente come si sarebbe trasformato il mio personaggio» racconta



CHECK MUSICA

il terzetto femminile di los angeles, destinato a grandi cose

Le solari lune del rock LGBTQ+ COCCOLATE DA PHOEBE BRIDGERS E HARRY STYLES, PROVOCANTI NEI PEZZI E NEL PODCAST: AL TERZO ALBUM, ECCO SORGERE LE MUNA. DI PIER ANDREA CANEI

KATIE GAVIN, Josette Maskin e Naomi McPherson, le tre ragazze di Los Angeles che formano la band Muna, sono al terzo album, e contrariamente a quello che fanno in genere le giovani band indipendenti (passare dalla casa discografica semioscura alla major) hanno fatto un rimbalzo da regine del basket da strada: mollate in piena pandemia dalla major con cui avevano pubblicato i primi due album, sono passate alla Saddest records, etichetta indie fondata da una fuoriclasse della nuova pop music sensibile Usa come Phoebe Bridgers, la quale le ha fortissimamente volute, e partecipato di presona alla hit apripista Silk Chiffon. Definita dalla chitarrista McPherson «pezzo da primo bacio gay», la portentosa ballata (anticipata nel 2021) apre il nuovo album con piglio radiofonico, bella pronta per accompagnare mille viaggi estivi su furgoncini ecologici pieni di schwa, capelli arcobaleno al vento e gente presa bene. Sarà che le tre losangeline hanno già aperto concerti per Harry Styles, entusiasmato folle

al Lollapalooza festival, e composto un inno LGBTQ+ come I Know a Place, ma sembrano proiettate con naturalezza verso lo status di dominatrix di tutte le scene non-lineari e queer che stanno emergendo con forza nel panorama pop post-Covid, riflettendo un mood positivo da ritorno di live e balli e grandi feste open-air. Traiettorie irresistibil per Katie, Josette e Naomi, band di tre amiche dai tempi del college: ecco la cover del nuovo album Muna.

RINFORZATO da altri pezzi forti

dell’album come Anything but me o Runner’s high, che hanno una cosa in comune: a prima vista possono sembrare ballate power dance da palestra, o da incollarsi in cuffia per una pedalata nella natura, ma poi ad ascoltarle portano sempre anche con sé una loro carica umana, sociale e politica (per gli anglofili c’è pure il podcast delle ragazze: su Spotify, cercare Gayotic). Come una musica rock solare può essere anche qualcosa in più: una volta c’erano le Spice Girls da una parte e Alanis Morrissette dall’altra; ora sono sorte le Muna, e sono avanti anni luce. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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CHECK PODCAST

legge

180/1978: allora l’unico modo per ridare la dignità ai malati

Dica 35 UN OSPEDALE PSICHIATRICO. LA MEMORIA DI UNA «GABBIA DI MATTI» AFFIDATA A UN INFERMIERE, UN EX PAZIENTE, FRANCO BASAGLIA E ALDA MERINI. DI ENRICO ROSSI infermieri all’indomani della rivoluzione guidata dal personale sanitario già quattro anni prima della legge 180 del 1978». L’INCHIESTA AUDIO, in aggiunta a una

Nato a Roma nel 1994, Gabriele Cruciata è un giornalista specializzato in podcast e giornalismo di approfondimento e narrativo. Con Arianna Poletti ha vinto il Premio Morrione con Buco Nero. In alto: una sala del Museo della Mente.

intervista d’archivio a Franco Basaglia e alla voce di Alda Merini, ricorre a racconti e testimonianze dell’infermiere Adriano Pallotta e dell’ex paziente Alberto Paolini. Racconta Cruciata: «Mi ha colpito molto la storia di Laura che entrò in manicomio da giovanissima, perché fu trovata dai genitori a masturbarsi, e non ne uscì più». La politica ha cercato di avvicinarsi a questa condizione di vulnerabilità dell’essere umano prima con la legge Giolitti poi con il pensiero controcorrente di Basaglia, che ha permesso la chiusura dei manicomi. Che cosa resta oggi della legge 180? «Franca Ongaro disse che al tempo non si affermò che la malattia mentale non esisteva più, ma che a essa non si sarebbe mai più dovuto rispondere con la segregazione. Il senso dell’eredità “basagliana” è tutto qui». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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CONTRASTO

LA SENSIBILIZZAZIONE alla salute mentale ha suscitato tanto interesse quanto distacco nella società moderna perché confrontarsi con una materia così «sfuggente», rispetto ad altre sintomatologie della medicina, può generare paura. Motivo per cui, in passato, la reazione di fronte ai problemi della psiche umana ha portato a circoscrivere i pazienti nei manicomi, in edifici come il Santa Maria della Pietà a Roma, il più grande d’Europa (oggi Museo della Mente), che nel podcast La gabbia dei matti di Gabriele Cruciata rivive la sua storia iniziata nel 1913. «Il manicomio era stato messo talmente tanto fuori città che i mezzi pubblici non ci arrivavano. Si decise di prolungare un tram che passava per Trastevere e il cui numero era il 35: nella cabala romana al 35 corrisponde la gabbia dei matti» spiega l’autore sul titolo che racchiude i sei episodi disponibili su Storytel. «Il tema di partenza è una fontana, bruttina e piena di imperfezioni, ma era un simbolo perché costruita dai pazienti e dagli



Un luogo straordinario a ridosso delle Alpi, ricco di tesori d’arte e naturalistici. Un desiderio di dar vita a una viticoltura in equilibrio con l’ambiente, nel rispetto dei principi naturali e di sostenibilità. Una cultura antica dalla quale nascono vini pregiati, la cui vivacità accompagna da sempre brindisi e degustazioni, dona piacere, leggerezza e gioia di vivere. Uno stile di vita inimitabile, riconosciuto in tutto il mondo, un prodotto unico, capace di illuminare ogni attimo. Benvenuti in Franciacorta.

franciacorta.net @franciacorta

VERY ITALIAN, ERY FRANCIACORTA


KEYWORD Spotlight

DANILO ARENA

Recita, scrive canzoni, produce musica. E forse farà anche il pittore

LUKE NEWTON

«Dopo Bridgerton sono pronto per la parte di un cantante swing»

VALENTINA PEGORER

Lavora da quando aveva otto anni: non può essere una spettatrice della sua vita

HIGHSNOB

«Parlo dei miei problemi: è il modo migliore per superarli»

EMMA APPLETON

Era una modella, ma si è accorta di aver talento solo per la recitazione

PIERPAOLO SPOLLON

«Presto molta attenzione a non pensare di essere bravo»

JON HAMM

TOBY WALLACE

GETTY IMAGES

«Non confondiamo i maschi Alpha con i bulli alla Donald Trump»

Star per caso: non serve nascere a Hollywwod, basta recitare a Sydney

SERIE TV

RISH SHAH

I costumisti svelano gli indizi meglio di psicologi e detective

«Avere talento vuol dire saper catturare l’attenzione»

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VIVO L’ATTIMO ADORO IL PRESENTE Considerato l’uomo più sexy del mondo, grazie alla serie tv «Mad Men» (2007), Jon Hamm è tornato sotto i riflettori come antagonista di Tom Cruise in «Top Gun: Maverick». «Non confondiamo i maschi Alpha con i bulli alla Donald Trump» dice. E parla di sé, delle proprie debolezze, imperfezioni, consapevolezze DI ANTONELLA CATENA - FOTO DI MICHAEL SCHWARTZ STYLING DI FABIO IMMEDIATO

S

«SORRY FOR BEING LATE». Jon Hamm ha la voce «cavernosa», come scrisse Variety quando recensì per la prima volta Mad Men e il suo Don Draper. Era il 2007. Bastò la sigla della prima puntata della serie sui pubblicitari di Manhattan negli anni Cinquanta e Sessanta per trasformarlo in star della tv. Mondiale. Il cielo è plumbeo sopra Los Angeles. A Milano sono le due di notte. Le scuse si riferiscono al ritardo di mezz’ora per l’appuntamento su Zoom. Jon Hamm ha il cappellino da baseball, una felpa col cappuccio, i Ray-Ban. Guida quello che sembra un Suv. Le lenti coprono gli occhi verdi. Nel 2008, l’anno in cui vinse il suo primo Golden Globe, Salon.com lo nominò «uomo più sexy del mondo». Era il sito più intellettual-snob del pianeta, all’epoca. Anche loro erano stati sedotti dal suo «look». Sguardo… Dopo le première al Festival di Cannes, a fine maggio è uscito in Italia il suo nuovo film. E che titolo! Top Gun: Maverick, il sequel del cult movie del 1986: interpreta l’antagonista del protagonista Tom Cruise. Quando ci siamo

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Dopo la première al Festival di Cannes, è uscito nei cinema italiani Top Gun: Maverick, sequel del cult movie del 1986. Jon Hamm interpreta l’antagonista di Tom Cruise: «Diciamo che sono il suo boss» dice. Jonathan Daniel Hamm è nato a St. Louis, Missouri, il 10 marzo 1971. in questo servizio jon hamm indossa abiti giorgio armani.

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«NON AVREI MAI PENSATO DI VEDERE UN GIORNO IL MIO NOME ACCANTO A QUELLO DI TOM CRUISE E A TOP GUN»

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Jon Hamm ha vinto due Golden Globe e un Emmy (l’Oscar della tv) come miglior attore per Mad Men, la serie sui pubblicitari di Manhattan negli anni Cinquanta e Sessanta, andata in onda dal 2007 al 2015. «Sono ancora oggi personaggi modernissimi: così maschi Alpha e imperfetti insieme».

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«NON SONO MAI STATO UN UOMO DA SOGNI A OCCHI APERTI. E NON HO MAI PENSATO MOLTO AL FUTURO»

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«Ho imparato che anche la nostalgia va vissuta con gioia. Io voglio essere felice, come tutti. Non posso farmi trasportare dalla tristezza»

incontrati su Zoom, era ancora presto per parlarne. «Posso dire pochissimo» mi aveva subito interrotta. Rivelando, però, una sottile «minaccia»: «Altrimenti Tom (Cruise, ndr) mi fa fuori. La verità è che non avrei mai immaginato di vedere un giorno il mio nome vicino a Top Gun e a quello di Tom Cruise. È davvero la persona più dinamica e irrefrenabile che io abbia mai incontrato. È cresciuto anche lei col mito del Top Gun originale? L’avrò visto una decina di volte. La prima al cinema. Ero un adolescente di Saint Louis e quel film parlava a me e di me. Mi riflettevo nella voglia che avevano i protagonisti di crescere, di trovare il proprio posto nel mondo. Mentre giravamo, tanti militari della mia età che ci hanno fatto da consulenti e comparse mi hanno svelato di essersi arruolati appena usciti dal cinema. Allora l’Occidente stava per vincere la Guerra Fredda. Oggi ne è scoppiata una molto «calda», in Ucraina. Ci pensa mai? La geopolitica è un’altra cosa. Il nostro film è una storia intima. Non è un film bellico. Parla di uomini e confronti privati. È nato quando il conflitto di oggi non era pensabile. Poi c’è la mia posizione personale: sono contro tutte le guerre. Voglio la pace. E cosa voleva per sé da ragazzo? Ha realizzato i suoi sogni di allora? Non sono mai stato un sognatore. Un giorno volevo fare il giocatore di football, l’altro lo scrittore. Oppure il dottore. Però non sono mai stato uno da sogni a occhi aperti. E non ho mai pensato molto al futuro. Nel senso che ha sempre preferito il passato o il presente? L’attimo. Vivo proprio secondo per secondo. Per me conta sempre soltanto il presente. Però in un’intervista ha detto che il suo sentimento più frequente è la nostalgia… Sì, ma non come struggimento. Mi dispiace per le cose

Jon Hamm ha perso la madre quando aveva dieci anni. E il padre a 20. «Ringrazio i miei compagni di scuola, i loro genitori e gli insegnanti che mi “adottarono”. Per gratitudine sono tornato, da adulto, per insegnare recitazione».

che finiscono. Però, nello stesso tempo, ho imparato che anche la nostalgia va vissuta con gioia. Io voglio essere felice, come tutti. E solo così posso esserlo. Se non mi faccio trasportare dalla tristezza. L’ho imparato superando tanti lutti. Si riferisce al fatto di aver perso sua madre da bambino e suo padre a 20 anni. Chi l’ha aiutata a superare queste perdite? La scuola: gli insegnanti, i miei compagni, le loro famiglie che mi hanno «adottato». I miei genitori divorziarono che avevo due anni. Fino ai dieci ho vissuto con mamma: poi si è spenta davanti ai miei occhi, per un cancro al colon. Allora mi sono trasferito da papà, che si era rifatto una famiglia. Fu lui a iscrivermi alla John Burroughs School di Saint Louis: noi eravamo della media-bassa borghesia, quella era una scuola per ricchi. Ma mi accolsero benissimo. Davvero è stata la mia seconda casa. Per gratitudine, dopo la laurea in Letteratura inglese, sono tornato lì a insegnare recitazione… Tra i mestieri che sognava di fare da grande non ha citato l’attore. Quando si è innamorato di questa professione? All’università risposi all’annuncio di una compagnia teatrale che metteva in scena Sogno di una notte di mezza estate. Mi aiutò tantissimo. Papà era appena morto. Io ero frastornato. Mi ritrovai in cattiva compagnia. Il palcoscenico mi «salvò», dandomi una ragione di vita. Era il 1995: decisi di salire sulla mia Toyota Corolla del 1986 che stava «tirando le cuoia» e andare a Hollywood. Avevo soltanto 150 dollari. E come andò il viaggio? Dal Missouri in California in una tirata unica. La macchina morì poco dopo. Ma mi aveva portato da mia zia, da cui vissi alcuni mesi. Non mi vedeva da quando avevo a nove anni. Mi offrì vitto e alloggio. Intanto cercavo lavoro.

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«Io non mi vergogno di mostrare la mia imperfezione, e neppure la mia debolezza. Non è vero che gli uomini veri non cambiano. Anzi...»

È vero che ha fatto anche il guardarobiere di un film porno? Soft-porno. Facevo di tutto, in quel periodo. Cameriere. Lavamacchine. Lavapiatti. Tutti lavori molto meno noiosi dell’occuparmi dei costumi su quel set. Forse perché c’erano pochi vestiti… (Ride, ndr). Probabile. Comunque furono anni davvero difficili. Mi presentavo a tutti i provini ma non mi prendevano mai. La mia agenzia non mi rinnovò il contratto. Io stesso decisi che se non svoltavo a 30 anni sarei tornato a casa. Le cose però iniziarono ad andare meglio. E nel 2007 arrivò Don Draper. Aveva 36 anni: diventare famoso «da grande» pensa sia stato un bene o un male? Credo di essere molto più forte di certi ragazzini ritrovatisi star a 15. Quindi è stato un bene. Agli aspiranti attori dico di non aver paura se il successo non arriva subito. E raccomando di non esagerare coi social: tolgono il mistero. La anticipo: non ho Instagram, non sono su Tik

Jon Hamm è sempre stato avvicinato agli attori della Hollywood classica: Gregory Peck, James Stewart, ma anche a Marcello Mastroianni. «Sono loro i miei idoli, con Clint Eastwood e Jeff Bridges. Li amo, come amo certi personaggi di Francis Scott Fitzgerald». grooming: kim verbeck

@the wall

group.

Tok. Niente Facebook. Nulla... Il mistero era il segreto del fascino di Don Draper. Insieme al suo essere, almeno in apparenza, un maschio Alpha. Lei un po’ lo è? Distinguo tra maschio Alpha e bullo alla Donald Trump. Il primo per me è un uomo che si prende le proprie responsabilità verso famiglia, amici, società. E che nello stesso tempo non nasconde i propri sentimenti. Mio padre lo faceva. Io invece non mi vergogno della mia imperfezione. Neppure della debolezza. Non è vero che gli uomini «veri» non cambiano. Mi vengono in mente certi personaggi di Francis Scott Fitzgerald. O Marcello Mastroianni nei film di Federico Fellini. Clint Eastwood dopo l’Ispettore Callaghan. E Gregory Peck, James Stewart. Ma anche Jeff Bridges. Tutti attori «classici», di una Hollywood e di un mondo che, forse, non esistono più… È sicura? Per me sono modernissimi. Così maschi e sensibili, elegantissimi e imperfetti. Come lei? Spero di sì. Voglio che sia così. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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«LA GAVETTA? OGGI PENSO DI ESSERE PIÙ FORTE DI CERTI RAGAZZINI DIVENTATI FAMOSI A 15 ANNI»

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Tetra neomatik red. Nuovo e automatico, questo segnatempo squadrato della serie 175 Years Watchmaking Glashütte è straordinario, non convenzionale e anticonformista. Il quadrante la dice lunga: una superficie di 33 × 33 millimetri lucida e riflettente, quasi come fosse smaltata. NOMOS Glashütte celebra la ricca tradizione di alta orologeria di Glashütte con quattro orologi automatici disponibili nei colori off white, red, blue e black. Ogni modello è stato realizzato in soli 175 pezzi ed è dotato di un calibro neomatik DUW 3001 di elevata precisione. Disponibile presso rivenditori selezionati, tra cui Ancona: Ibis; Asolo: Rosso; Bari: Mario Mossa; Battipaglia: Casella; Bergamo: Torelli; Biella: Boglietti; Bologna: Natale Fontana; Bolzano: Oberkofler, Ranzi; Brunico: Gasser; Chiavari: Lucchetti; Cremona: Torelli; Firenze: Tomasini Francia; Flero: iGussago; Gradisca d’Isonzo: La Gioielleria; Lecce: Mario Mossa; Mestre: Callegaro; Milano: GMT; Roma: Bedetti, Grande; Rovato: Baggio; Salerno: Ferrara; San Benedetto del Tronto: Rossetti; San Giovanni Valdarno: Horae; Saronno: Angelini; Seregno: Angelini; Siena: The Watch Gallery; Siracusa: Zimmitti; Spoleto: Tomasini Francia; Taranto: Angela Ripa; Terni: Tomasini Francia; Treviglio: Torelli; Trieste: Bastiani; Vercelli: Biondi; Verona: Concato, Saylon e qui: nomos-glashuette.com


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Le serie tv ci spiegano che ci rivestiamo di ciò che speriamo di essere mentre la verità di chi siamo emerge dai dettagli. Infatti, sono i costumisti che attraverso abiti e accessori svelano gli indizi per capire ruoli e intrighi. Meglio di psicologi e detective

LA TRAMA È TUTTA NELLO STILE DI DIEGO PASSONI

Il cast della quinta stagione di Scandal. Al centro, Kerry Washington nei panni firmatissimi di Olivia Pope.

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NELL’INARRIVABILE

sceneggiatura di Parigi o cara di Vittorio Caprioli nel lontano e luminoso 1962, bastavano due frasi della protagonista Delia (Franca Valeri), rivolte all’appena ritrovato fratello Claudio (Fiorenzo Fiorentini), accorso alla stazione per accoglierla con una chioma tanto cotonata quanto inattesa: «Ma che sei tinto?»; «Sì»; «Ma che fossi…?«; «Sì»; «Ah, no ’o sapevo». Non servì altro per risolvere drammaturgicamente quello che solo decenni più tardi il mondo avrebbe identificato con il termine «coming out» di un giovane uomo

e la relativa accettazione da parte di sua sorella. Dal momento stesso che si tratta di immagini, la scrittura di cinema e serie tv sa bene come utilizzare styling, make-up e hair styling non solo per delineare le caratteristiche identitarie dei personaggi che racconta, ma anche le svolte narrative nelle loro vite, soprattutto quelle interiori. Le serie tv, che vivono tempi di gestazione più rapidi, sono state capaci di intercettare idee e desideri e dar loro un volto, un caracter e uno stile, che il pubblico riconosce come suo, e imita, comprando gli stessi vestiti – o la loro

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Hugh Grant e Nicole Kidman in una scena de The Undoing: la personalità di lei è raccontata dallo stile dei suoi abiti.

versione più abbordabile – acconciandosi allo stesso modo, usando gli stessi codici espressivi. Lo stile estetico dei personaggi, oltre a generare emulazione, e dunque spesso degli indotti economici a molti zeri, è un elemento necessario alla scrittura stessa. Una parte della sua costruzione attoriale. Meryl Streep sostiene che metà del lavoro per costruire un personaggio lo fanno i costumi. All’inizio degli anni Dieci di questo secolo l’America decide di raccontare se stessa dalle stanze del potere, con una nuova visione, e dunque un nuovo stile. In Scandal, Olivia Pope sa scassinare ogni cancello chiuso della burocrazia passando dal suo interno per una via privilegiata. Lei, donna afrodiscendente, è dentro al sistema quanto e più di qualunque uomo bianco. E lo racconta ogni volta che, dopo aver mangiato a falcate i corridoi delle stanze che contano, si presenta davanti al suo

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interlocutore con trench Burberry, tailleur Giorgio Armani e grandi borse nere o crema che appoggia sul tavolo, come una dichiarazione di intenti: «Guarda cosa estraggo dal mio cilindro (anzi, dalla mia Prada) per toglierti dai guai». La stessa importanza ha lo stile di Claire Underwood, in House of Cards, per cui è la costumista Kemal Harris ad aver definito il power dressing (abiti come squame e taglio di capelli minimal) di colei che rappresenta prima la regia occulta, l’eminenza grigia – vestendola di questo colore – e poi l’unico volto del comando, a causa della estromissione forzate di Kevin Spacey dalla serie, da cui la necessità di addolcirne il rigore, con abiti dai colori più facili, tra Jackie Kennedy e Lady D, per fare meno paura, per sembrare buona. Chi ha onestamente tributato il giusto valore agli abiti dichiarandolo già nel titolo sono gli

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In House of Cards la costumista Kemal Harris definisce il power dressing della protagonista: grigio quando comanda dietro le quinte, bianco quando diventa l’unico volto del comando



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Hunter Schafer e Zendaya in una scena di Euphoria: storia di ragazzi non più adolescenti alle prese con sesso, droga e violenza.

ideatori di Suits, in cui c’è tutto del desiderio di appartenenza, dell’ambizione sociale e del potere che un certo status incarna. La costumista della serie, Jolie, ha dichiarato che tutto questo è stato reso evidente dalle evoluzioni negli armadi di Mike e della segretaria Donna. Entrambi cambiano look in base alla loro ascesa, ai bonus percepiti, alle ipotetiche ore di straordinario per cui potersi permettere un tacco o un abito fino a quel momento economicamente inarrivabili; e naturalmente, rivestendo i panni nuovi, ci raccontano chi si credono di essere e soprattutto chi vogliono che gli altri credano che siano diventati. Un caso interessante è Grace Fraser, il personaggio interpretato da Nicole Kidman in The Undoing, per cui Signe Sejlund ha cercato abiti che specificassero l’agiato ceto sociale e la forte personalità lunare. Kidman torna

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rossissima, come ai suoi esordi, e indossa solo lunghi abiti e cappotti dai toni di olii e petroli che descrivono tutte le sfumature del suo turbamento. In Sex Education lo stile rappresenta perfettamente la Generazione Z, che decostruisce canoni estetici e abbatte stereotipi, patriarcato e mascolinità tossica come anche in Euphoria, la cui costumista Heidi Bivens dichiara di aver usato una sorta di tavolozza di armocromia in base allo sviluppo dei personaggi. E poi c’è la questione Bridgerton e l’aumento esponenziale di ricerche online per i corsetti (più 123 per cento) e per gli abiti in Stile Impero. Non per tornarsi a vestire come nella Belle Époque, quanto forse per cercare nei codici comportamentali del passato gli elementi per costruire una sorta di nuovo galateo del corteggiamento in quel Far West che ormai è diventato il mondo del dating, quasi tutto

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In Sex Education lo stile rappresenta perfettamente la Generazione Z, che decostruisce canoni estetici e abbatte stereotipi, patriarcato e mascolinità tossica


Giannis Antetokounmpo


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Il cast completo di Mad Men: la serie del 2010 sul mondo della pubblicità si caratterizza per l’eleganza minimal degli anni Sessanta.

tramite app, e carico di ghosting, catfishing e molti alti spiacevoli gerundi anglosassoni. In tema di amore e desiderio possiamo citare The Serpent. Ciò che emerge grazie anche ai costumi di questa serie è che così fasciati in quei volumi e con quelle cartelle colori erano tutti tremendamente, irresistibilmente sexy. L’immagine degli hippy sballati e pacifisti è davvero troppo sbrigativa e annacquata. Per quei giovani, amore era soprattutto voglia di sesso libero, anche sfrenato. Di corpi nudi, di scambi di umori. Carnalità da esplorare. E quando c’è la carne ci sono i suoi istinti, anche violenti. Questa serie ci restituisce anche tutte le ombre di ragazzi e ragazze in ricerca di sé, ma contemporaneamente smaniosi di benessere e possibilità. Non ci piacciono moltissimo solo i personaggi, gli abiti, gli stili, ma soprattutto quello che essi possono dire di noi e di quel

che vorremmo essere, meglio di quel che noi sappiamo di volere. Ben si capisce in Mad Men, in cui l’estrema eleganza degli anni Sessanta è lo scenario perfetto per raccontare quanto questo meccanismo l’abbiano ben capito i pubblicitari: ci rivestiamo di ciò che speriamo di diventare e intanto la verità di chi siamo emerge dai dettagli. David Lynch lo aveva dimostrato già in Twin Peaks. Dopo il ritrovamento del cadavere di Laura Palmer, il padre si sveglia con una chioma diventata canuta improvvisamente. Poi inizia l’indagine e la ricostruzione della vita di quella cittadina e dei suoi abitanti da parte del detective Dale Cooper, ma la soluzione è già tutta in quel colore di capelli. L’incomprensibile leitmotiv di questa serie tv era: «I gufi non sono quello che sembrano». E a volte, purtroppo, non lo sono nemmeno i padri. A dircelo da subito era stato un ciuffo bianco, il dettaglio del suo look. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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ALAMY

Dopo il ritrovamento del cadavere di Laura Palmer, suo padre si sveglia con una chioma improvvisamente canuta. La soluzione del mistero è già in quel dettaglio


LA SORPRENDENTE FORZA DEL TEMPO Abbiamo attraversato epoche adattandoci ai vostri costumi, non finiremo certamente ora di farlo. Verga è dal 1947 nel posto giusto al momento giusto.

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Un po’ fatalista, un po’ spavaldo, (ancora) poco conosciuto e tanto credente. Recita per il cinema e la tv, scrive canzoni, produce musica e non esclude che, un domani, potrebbe esprimersi su una tela o con una macchina fotografica. Danilo Arena vuole emozionare

UN GIORNO VINCERÒ IL DAVID DI FIORENZA BARIATTI FOTO DI GAUTIER PELLEGRIN STYLING DI LUCA ROSCINI

«IO SONO un talento». E lo dice così: tranchant, perentorio, deciso ma con tono che pare quasi beffardo. L’affermazione è di Danilo Arena, 27 anni, attore, nel cast della terza stagione della serie Il Cacciatore (Rai) con la regia di Fabio Paladini e protagonista del corto L’oro di famiglia di Emanuele Pisano. «C’è un confine sottilissimo tra la sincerità e la spavalderia, tra l’umiltà e l’avere la consapevolezza di chi si è: conosco bene le mie potenzialità; sono sincero, non sono certo un ipocrita». E spiega: «Il mio talento è un dono, non dipende soltanto da me bensì da una sorta di sistema energetico che neppure io conosco. Mentre studiavo nelle accademie ho capito, studiato e appreso le lezioni, il procedimento è utile alla recitazione ma il talento è un’altra cosa: sta nel Dna, mi è stato dato da Dio. Parola di credente». DI MESTIERE ATTORE, «principalmente e “per sempre”, e poi anche cantautore. Di fatto penso che la mia indole sia riprodurre

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un frammento di vita, reale oppure inventata: io ricreo, porto in scena, sono un artista. Scrivo e canto canzoni (in autunno uscirà il suo primo album, Parlarti di me, prodotto da Max Gallesi, ndr) ma potrebbe anche accadere che un domani qualcosa, uno scatto naturale, mi spinga a prendere in mano una macchina fotografica». Nel frattempo Arena recita per emozionare: «Mi rivolgo alla gente semplice, umile, quella che, come si dice “tira avanti”. Cioè coloro che per amore dell’amore mette al mondo quattro figli anche se non se lo può permettere, come ha fatto mio padre. Ammiro chi vive di piccole grandi cose, di sogni e di arte. Ed è proprio mio padre (in gioventù cantava e ballava, la madre faceva parte di un gruppo folkloristico, ndr) la mia “spinta”». CHE COSA SI ASPETTA dal futuro? «Vorrei stare bene, trovare “un centro” in grado di farmi accettare quello che accade. Anche se già oggi riesco comunque a dire “non sono entrato in quel progetto?” Beh significa

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che non dovevo fare quel progetto. Certo, ci sto male. Ma sono consapevole del fatto che faremo quel che è scritto. Ci credo veramente». «IN QUESTA CARRIERA non si sa dove si arriva: ci si butta in un punto interrogativo. Dopo Il Cacciatore sono entrato in un vortice che mi ha destabilizzato: è stata un’interpretazione che mi ha riempito tanto e grazie alla quale ho messo negli occhi di quel personaggio la “fame” che avevo e che ho tuttora ma si è preso tutta l’energia e poi mi ha “svuotato” (da questa esperienza nasce l’album, ndr). Quel momento ora è passato e adesso sono pronto per un’altra parte che, sono sicuro, arriverà. Perché io, lo so, vincerò un David di Donatello. Non interpreterò cento film, farò quelli che dovrò fare; l’importate è farli bene. Aspetto un regista che mi dia l’opportunità di rappresentare un personaggio “pesato”, una interpretazione che richiede fatica. La sofferenza fa crescere, la sofferenza forse è arte pura. Ringraziando Dio».


Danilo Arena, catanese, è arrivato al grande pubblico grazie alla terza stagione de Il Cacciatore. giacca, camicia e pantaloni,

massimo alba;

boots, scarosso

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Ultimo di quattro fratelli, Arena ha percorso un pezzetto di strada con ciascuno: con uno faceva teatro, a un altro deve l’iscrizione a una accademia di ballo, mentre con la sorella era campione di danze caraibiche e folkloristiche. giacca, t-shirt

pantaloni e cintura, massimo alba

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«VORREI ROMPERE CON LA RECITAZIONE ALL’ITALIANA E PROPORRE UN MODO MOLTO PIÙ “SPICCIO”, VERO»

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«Non voglio essere un attore e basta; vorrei essere un messaggio per i giovani: voglio far sognare la gente, farla staccare dai problemi» maglia e pantaloni, massimo alba ha collaborato: giovanni de ruvo;

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«HO DECISO DI SEGUIRE L’INCERTEZZA. IN QUESTA CARRIERA NON SI SA DOVE SI ARRIVA: CI SI BUTTA IN UN PUNTO INTERROGATIVO» © RIPRODUZIONE RISERVATA

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La svolta per Luke Newton ha un nome: «Bridgerton», la serie Netflix in costume che unisce i suoi due più grandi amori, lo schermo e il palcoscenico. In attesa di portare al cinema un ruolo da musical (è partito dai teatri del West End), trasformandosi in un cantante swing

LA MIA PASSIONE TOTALIZZANTE DI VALENTINA RAVIZZA FOTO DI BOO GEORGE STYLING DI FABIO IMMEDIATO

«LA PRIMA a notarmi è stata mia madre». Prima ancora di pensare che recitare potesse essere un lavoro, per Luke Newton, 29 anni, noto ai fan della serie inglese più vista su Netflix come Colin Bridgerton, era qualcosa per cui aveva una passione. «Da bambino ho trascorso più tempo nei panni di personaggi di fantasia, da Superman a Mary Poppins, di quanto sia stato me stesso. Persino quando giocavo a calcio a scuola in realtà recitavo la parte di David Beckham. Ho capito che il teatro poteva anche essere un lavoro andando a vedere i musical nel West End in cui recitavano due mie zie. Quando mi sono trasferito a Londra ero aperto a ogni possibilità artistica. Ma finché non ho ottenuto la mia prima parte per il piccolo schermo (nella serie The Cut, ndr) non avevo nemmeno mai preso in considerazione l’idea di diventare un attore di tv e cinema. Ora ho capito che è la mia strada». «RICORDO che a 14 anni cantavo nella mia stanza e sognavo di essere come Elvis: ho ascoltato tutti i suoi album, visto le sue esibizioni in tv e i film a lui dedicati. Chissà forse

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potrei avere talento nello scrivere canzoni, non ci ho mai realmente provato, ma mi piacerebbe interpretare un cantante, magari Michael Bublé di cui sono un grande fan da ben prima del famoso album natalizio». Sarà che suo padre è un cantante swing: «Sono cresciuto ascoltando Frank Sinatra e gli altri Rat Pack e questo ha influenzato moltissimo il mio modo di cantare, che è sempre tendente al jazz». QUANDO nel 2016 ha avuto la parte di Ben Evans nella serie The Lodge su Disney Channel pensava che la sua carriera fosse lanciatissima, «e invece subito dopo sono tornato a lavorare in un bar e a dividere l’affitto con un amico. La svolta vera (anche se all’epoca non sapevo ancora che avrebbe avuto questo incredibile successo!) è arrivata quando ho ricevuto la chiamata da Netflix per Bridgerton, che è un po’ l’anello di congiunzione tra teatro e cinema. Del primo amo la routine di salire sul palco tutte le sere associata al brivido dell’essere davanti a un pubblico diverso ogni volta. Ma per la recitazione preferisco l’immediatezza dello schermo, dove puoi essere più

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naturale perché l’inquadratura mostra allo spettatore ogni tua più piccola smorfia facciale, senza dover enfatizzare tutto affinché chi è seduto nelle ultime file possa apprezzarti. Non che non voglia tornare prima o poi sul palcoscenico, anzi, Broadway resta uno dei miei sogni...». IL SUO MITO è Leonardo DiCaprio: «Ogni volta che guardo un suo film mi stupisco di quanto diverso sia il personaggio che interpreta rispetto a qualsiasi cosa abbia fatto prima, eppure non potrei pensare a nessun altro che possa interpretarlo. E lo so che va un po’ contro il principio per cui ogni attore potrebbe dare qualcosa di diverso al ruolo, ma quando uno è così bravo finisci per pensare che in quel ruolo poteva esserci solo lui. È questo che vorrei essere anche io. Ed è per questo che vivo il mio lavoro di attore come totalizzante: vado a teatro e al cinema più volte alla settimana per vedere titoli che mi colpiscono o “studiare” i colleghi, ma mi piace anche ritagliarmi del tempo nel weekend per fare due tiri a pallone con un amico elettricista e finalmente non parlare di lavoro».


Luke Newton ha debuttato nel musical The Book of Mormon. Poi il successo con le serie The Lodge e Bridgerton. camicia, brioni

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Il sogno nel cassetto? «Un film musical in cui interpreto Michael Bublé» giacca, maglia

e pantaloni, zegna

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«DEL TEATRO AMO LA ROUTINE DI SALIRE SUL PALCO TUTTE LE SERE E IL BRIVIDO DI UN PUBBLICO OGNI VOLTA DIVERSO»

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«Quando ero adolescente sognavo di essere come Elvis Presley». maglia, dolce&gabbana grooming: liz pugh @premier; hair: brady lea @premier; set designer: josh stovell @saint luke

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«SIN DA BAMBINO HO TRASCORSO PIÙ TEMPO NEI PANNI DI PERSONAGGI DI FANTASIA DI QUANTO SIA STATO ME STESSO» © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il tatuaggio è il nomignolo della figlia, che si chiama Mina. dolcevita, last poets

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Ha appena debuttato sul grande schermo (ne «Il sesso degli angeli», di e con Leonardo Pieraccioni): ma Valentina Pegorer lavora da quando aveva otto anni tra radio e tv, spot e reality. E anche ora che è mamma per lei la vita è uno spettacolo. In cui non intende fare da spettatrice

ANCHE LE SHOWGIRL VANNO AL CINEMA DI PIER ANDREA CANEI FOTO DI GAUTIER PELLEGRIN STYLING DI DANIELA STOPPONI

HA APPENA debuttato al cinema con Leonardo Pieraccioni nella commedia Il sesso degli angeli; a dispetto del titolo non è una parte trascendentale. «Faccio una delle cinque escort, si dice così no?, Alessia, italiana di Varese che lavora in questo bordello di Lugano, basata su una persona reale che Leonardo stesso ha incontrato documentandosi: una ragazza che si prostituisce perché il marito ha perso il lavoro». Solo per quanto riguarda il cinema è un debutto; ché la showgirl Valentina Pegorer, classe 1990, ha un ricco curriculum. «Come fiction avevo fatto Comedians, serie tv con Claudio Bisio, ma lavoro da quando avevo otto anni: centinaia di spot pubblicitari, in tutta Europa. I miei, impiegati all’aeroporto di Linate, mi hanno sempre abbastanza “pushata”: avevo un bel visino, dunque “proviamo a fare pubblicità”, e mi portavano ai provini. Mi divertivo: da bambina vieni coccolata, ti travestono, fai le pubblicità con giocattoli… Il mio doposcuola spesso era un casting. Per me era gioco, divertimento, fascino; e intanto era formazione, mi responsabilizzavo, e mi abituavo al mondo del lavoro».

Avanti veloce, oltre gli anni del liceo quando «partecipavo ai programmi di Disney Channel. Compiuti i 18 sono evasa a Londra, in cerca di una mia libertà. Sperimentavo e vivevo alla giornata lavorando da Benetton, nei negozi o in showroom, o in vari ristoranti, rimboccandomi le maniche; spesso senza soldi, contavo i pence per riuscire a prendere la metro. Dopo un paio d’anni mi sono detta che non era il posto per me: mi sentivo come in un formicaio. Il fil rouge è sempre rimasto lo spettacolo; ho anche fatto 12 anni di danza, e il mio sogno da ragazzina era diventare una Spice Girl». TORNATA IN ITALIA «la svolta è arrivata con il provino per Occupy Deejay: tutti i giorni in diretta per quasi tre anni, gran bella palestra, come parte attiva della redazione; idee, testi, lavoro. A Pechino Express in confronto ti mostri più per come sei, dimentichi le telecamere. Tutto molto real e di soddisfacente fatica: svegliati alle sei, inizia a correre, vai a nanna alle nove. Bella sinergia, bel gruppo, con Ema Stockholma, dopo tante serate da “clubber” in giro per l’Italia, ci siamo ritrovate super bene. E con Edoardo

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Manozzi (alias Boss Doms; già uomocopertina di Style, ndr) ci siamo conosciuti: e così, poi, è nata Mina». RIMASTA INCINTA nel periodo in cui stava vivendo a Roma e studiando recitazione, Pegorer ricorda: «La mia manager mi spingeva già verso il cinema: ma vivo molto di energie, e per me non era il periodo. Quando scelgo una cosa però divento concreta e determinata: dopo il film con Pieraccioni mi si è attivata la “disease” o malattia, come dice Michael Margotta, mio guru della recitazione. Sto facendo un sacco di provini; ho una passione per i film dark e adorerei misurarmi con un ruolo più drammatico, alla Kate Winslet per dire. Voglio abbracciare tutto quello che arriva. Da quando sono mamma cerco però di essere più concreta, darmi priorità. Sono iperattiva, dormo cinque ore a notte, studio mentre la bimba dorme… Talento ne abbiamo tutti, ma va coltivato. Il mio? Sono una showgirl moderna: anche sui social, ormai specchio di ogni attività. Ma non nutro velleità da influencer. Seguo un “flow” mio personale, e mi porto dietro il mio pubblico».

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Cronache rosa: no, Valentina Pegorer proprio non riesce a star seduta. abito, n°21

si ringrazia:

& moroni (per la sedia)

sawaya

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«FACCIO MOLTI PROVINI, HO UNA PASSIONE PER I FILM DARK E ADOREREI UN RUOLO ALLA KATE WINSLET»

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Riflessi di signora: Pegorer si sta preparando a stupire tutti. giacca e top, prada ha collaborato: veronica ziani;

hair

& make-up:

riccardo morandin

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«USO I SOCIAL COME SPECCHIO DI TUTTQ QUEL CHE FACCIO. MA NON COLTIVO VELLEITÀ DA INFLUENCER, GRAZIE» © RIPRODUZIONE RISERVATA

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«Porto le mie problematiche. Le espongo, le vivo in maniera naturale e ne parlo, senza paura, il modo migliore di superare problemi, la mia mini missione». Il rapper Highsnob dedica il suo flow, applicata al racconto che più gli frutta stream e follower: ansie e vita vissuta

MILLE VITE PERSE, COME NELLA PLAY DI PIER ANDREA CANEI FOTO DI GAUTIER PELLEGRIN STYLING DI LUCA ROSCINI

A SANREMO ha spaccato,

per somma insoddisfazione degli hater, con il pezzo (cesellato per anni) Abbi cura di te. Lo guardi come a dire «Che ti credi, Battiato?» e Michele Matera ti dedica un ghigno e arcua il nome d’arte tatuato in grassetto tondo sull’arcata sopraciliare: Highsnob. «Sono arrivato con la testa giusta. So come funziona questo business. Non ho nulla da insegnare, al massimo posso iniziare a dare qualche consiglio. Tipo: gestirsi da soli, saper fare tutto, e imparare dagli altri. Mai perdere tempo quando sei in studio, mai gingillarsi col telefonino mentre altri prendono decisioni: ecco, stare sempre attento a quel che fanno gli altri». Le parole sono misurate, la modalità scelta è confessionale: «Sono sempre stato molto timido. E ho sempre avuto necessità di sfogarmi facendo cose». «MIO PADRE, MARINAIO che stava sempre via: vedevo i quadri che dipingeva e mai lui. Ma lo sentivo: cantava, suonava. Verso gli otto, nove anni, quando avevo un walkman e zero soldi, se scendevo giù dai nonni a Vallata, in Irpinia, cercavo

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i vu cumprà con le cassette tarocche; con diecimila lire ti portavi a casa un po’ di musica, gli 883, cose così; non potevi ascoltare il cd prima, te lo compravi. Fare musica? Non c’era modo. Le basi, i beat, le produzioni non le faceva nessuno; oggi è facile per tutti. Cercavo produttori a destra e a manca, verso il 2008». PERIODO DA GRAFFITARO «Imbrattavo muri prima di quell’anno. Poi ho deciso di dedicarmi alla musica: parlavo di certi miei problemi legati all’ansia. Un amico mi ha dato dei beat di produttori americani: ho registrato dieci tracce su cd, e iniziato a fare sul serio. E poi, ho conosciuto Samuel Heron. È stato un incontro davvero fondamentale: lavoravo in cantiere, e quando vedevo questo ragazzino gli dicevo: “Ehi, andiamo a Milano”. Beh, quello è partito prima di me, io l’ho raggiunto un mese dopo. Voleva fare robe da solista e aiutarmi a fare le mie: ma io ho spinto per fare un progetto insieme. Abbiamo fondato i Bushwaka e dopo tre mesi avevamo un contratto. È stata la mia grande fortuna, perché lui aveva tot anni meno di me ma era

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molto più avanti di me come testa, e attitudine al lavoro: paradossalmente ho imparato a lavorare da un inesperto. Non sapeva la cose, ma aveva metodo, “cazzimma”, e diceva cose come: “Se ci mancano soldi per il videoclip saltiamo cene, e regali, tipo i 100 euro della nonna per il compleanno, li mettiamo nel video di Boom Shakalaka”. Quello con cui siamo partiti e abbiamo preso coraggio». Anche per dividersi. SENZA COMPETIZIONE «non ti evolvi: Michael Jordan, uno dei miei idoli, in quel doc su Netflix parlava dell’importanza di trovare nemici che non esistono. Avendo giocato a basket lo so bene; volevo fare carriera da cestista, poi ho picchiato un arbitro ed è finita lì. Mi son trovato in mezzo alla via. La mia realtà è diventata più cruda. L’ansia c’è da sempre, mia madre dice che dopo l’incidente non sono più lo stesso: auto accartocciata, da quel giorno lì piangevo e facevo casini. Mi si creava l’ansia, non vedevo prospettive, futuro. “Come farò?” mi chiedevo; “Sono condannato”. Però sai, io sono una miniera di idee. E il destino è un pezzo già scritto».


Michele Matera, (Avellino, 1985) fotografato nel 2022 a Milano. giubbino e camicia, fendi

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«Sono come l’acqua: scorro, vado avanti, passo oltre». giacca, t-shirt

e pantaloni, zegna; boots, giuseppe zanotti.

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«IL TUO RAPPER PREFERITO È DIVENTATO BLU? ERA UN DISSING PER DARE DEL FIFONE A UN COLLEGA. E INTANTO, FARMI NOTARE»

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Highsnob: nome d’arte «legato all’assenza di piani B». tuta, jil sander ha collaborato: giovanni

de ruvo; grooming: ricky morandin

@w-mmanagement

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«SEGUO IL MIO ISTINTO, PRODUCO QUEL PEZZO, MI DEDICO AL MESSAGGIO: POI DOVE VA LA BOTTIGLIA LO DECIDE L’UNIVERSO» © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Emma Appleton, classe 1991, ha interpretato la principessa Renfri nella serie fantasy The Witcher. top, gonna

e décolleté, prada

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Modella sin da teenager, si è ritrovata inaspettatamente al Festival di Cannes grazie a un cortometraggio. Così Emma Appleton ha scoperto «di non avere talento naturale per nient’altro se non per la recitazione». Obiettivi? «Preferisco lasciarmi stupire dai personaggi. E imparare»

IL CORAGGIO DI BUTTARSI DI VALENTINA RAVIZZA FOTO DI BOO GEORGE STYLING DI FABIO IMMEDIATO

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LAVORAVA già da molto tempo come modella, quando Emma Appleton – oggi attrice 30enne lanciatissima con due miniserie in arrivo, Pistol, in cui interpreta la moglie della rockstar Sid Vicious, e la romantica Everything I know about love, che promette di replicare il successo del bestseller di Dolly Alderton da cui è tratta – ha accettato il suo primo provino per un cortometraggio. «Ci sono andata e ho avuto la parte di Pixie, la protagonista. Non pensavo che ci sarebbe stato un seguito, e invece quel corto, Dreamlands, è stato selezionato per il Festival di Cannes, così ho avuto la fortuna di essere notata da moltissimi agenti del settore e da lì non ho più smesso. A volte si tratta semplicemente di cogliere l’opportunità giusta al momento giusto. Non che non desiderassi fare l’attrice, anzi era il mio sogno sin dai tempi della scuola. Ma sembrava poco realistico. Non conoscevo nessuno di quel mondo, né avevo idea di come accedervi. Come modella al massimo puoi aspirare a fare qualche spot pubblicitario, ma non lo definirei recitare. Dreamlands invece pur durando solo 14 minuti aveva un vero copione, dei personaggi». PER LA VERITÀ Appleton si era accorta già a scuola di essere portata per la recitazione. «O forse è soltanto che mi divertivo così tanto da buttarmici con tutta me stessa. Poi su quel primo set ho capito che anche se non sapevo esattamente che cosa stessi facendo –

ancora oggi sto cercando di capirlo! – quello che facevo funzionava. All’improvviso mi sono resa conto che era qualcosa in cui avrei potuto eccellere. E l’asticella continua ad alzarsi. Da un lato sono sempre più critica con me stessa perché voglio migliorarmi, dall’altro so apprezzare quando ho fatto

bene una scena: in fondo sta al regista dirmi cosa fare e se lui o lei è soddisfatto lo sono anche io. La cosa più importante che ho imparato facendo questo mestiere è credere di più in me stessa. Prima mi capitava di domandarmi, andando a un provino, “perché mai dovrebbero scegliere me?”, oggi invece non ci penso troppo, semplicemente vado e vedo come va. I migliori maestri sono quelli che mi hanno dato gli strumenti tecnici

per tirare fuori il meglio di quello che avevo già dentro di me». «SPERO CHE non suoni arrogante, ma ho capito di non avere un talento naturale per nient’altro che la recitazione, anche se non sono neanche lontanamente vicina a dove voglio arrivare. Non che mi sia mai posta degli obiettivi specifici. All’inizio non cercavo qualcosa di specifico, ero interessata a ogni tipo di personaggio per cui mi presentavo a un’audizione, ero eccitata dal semplice fatto di recitare. Da quando ho iniziato mi dico “vediamo che cosa succede” e lascio che le occasioni mi sorprendano. Vorrei solo continuare con questo mestiere, in ruoli più vari possibile: sembra semplice ma perché complicarsi la vita?». DI CHE COSA va più orgogliosa? «Di tutto quello che ho fatto. In modi diversi e per ragioni differenti. Forse il progetto più impegnativo finora è stata la serie The Witcher perché il giorno dopo aver firmato il contratto ho iniziato ad allenarmi per le scene di azione, che sono state dure ma mi hanno permesso di scoprire che riuscivo a fare cose che mai avrei immaginato di poter fare. Ogni ruolo che ti chiede di imparare a fare qualcosa di nuovo è stimolante: per interpretare Nancy Spungen in Pistol, ad esempio, ho dovuto cambiare tutto il mio modo di vestire, parlare, muovermi. Ho capito che se mi si dà il tempo di mettermici posso fare di tutto, che sia combattere a cavallo o suonare il pianoforte». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Tra i prossimi progetti di Appleton ci sono le miniserie Pistol ed Everything I know about love. giacca e gonna, miu miu.

nella pagina a fianco: giacca, gilet, camicia e pantaloni, gucci

grooming: liz pugh

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designer: josh stovell

«LA COSA PIÙ IMPORTANTE CHE HO IMPARATO È CREDERE DI PIÙ IN ME STESSA»

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Pierpaolo Spollon, 33 anni, è un attore padovano. polo, emporio armani

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È ritenuto il golden boy delle fiction Rai. Seguitissimo sui social per i suoi live esilaranti, Pierpaolo Spollon piace per l’ironia e la fresca risata (e per il fascino). Ma il suo modo di essere «leggero», come lui si definisce, non ha nulla a che fare con la superficialità. Anzi…

EMPATIA, LA PAROLA PIÙ BELLA DI CRISTINA PACEI FOTO DI GAUTIER PELLEGRIN STYLING DI LUCA ROSCINI

«NON HO MAI capito

di avere talento. Piuttosto, a un certo punto, ho realizzato di potermela giocare con gli altri. E anche oggi, quando mi rendo conto di aver fatto qualcosa di buono, presto molta attenzione a non pensare di essere bravo. Credo che crescere sia questo: trovare sempre errori nel proprio lavoro, ma con la consapevolezza di poterli correggere». Esordisce così Pierpaolo Spollon, 33 anni, attore, molto apprezzato per il ruolo dello specializzando Riccardo Bonvegna nella serie tv Doc – Nelle tue mani. È stato anche lo psichiatra Emiliano in Che Dio ci aiuti e il giovane chef Nanni in Blanca. Tutte fiction Rai. QUANDO È NATA L’IDEA di intraprendere questa carriera? «Sin da bambino ero un divoratore di film. Li guardavo in videocassetta – poi dvd – e avevo una concezione del cinema così alta e celestiale che non ho mai pensato di poter far parte di quel mondo. Oltretutto i miei genitori – mio papà era un commissario, ora in pensione, e mia mamma è un’impiegata civile dell’esercito – speravano che diventassi medico, ma io non sono mai stato

lo studente modello che loro sognavano. Verso i dieci anni, però, la svolta: ho visto L’ultimo dei Mohicani con l’attore che poi è diventato il mio mito, Daniel Day-Lewis. In quel momento mi si sono attivati tutti i neuroni specchio, l’empatia è esplosa in me, sono scoppiato a piangere guardando le ultime scene del film. Mia madre, che credo sia la persona più empatica che io conosca, mi ha spiegato che la mia non era una reazione fuori luogo: i film fanno questo effetto, piangere è normale. Per la prima volta ho pensato: “Caspita, mi piacerebbe un giorno impegnarmi in una cosa del genere…”». LA PRIMA OPPORTUNITÀ? «Si presenta in terza liceo Scientifico, da ripetente: partecipo a un provino per il film La giusta distanza di Carlo Mazzacurati. Non ottengo la parte, ma vengo notato dal regista Alex Infascelli che mi introduce nel mondo dello spettacolo scegliendomi per la miniserie tv Nel nome del male. Era il 2009, ed è iniziato così il mio percorso di attore, tra cinema, tv e teatro. Un percorso che non do mai per scontato, anzi. Sono certo che per cercare di migliorare sia

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sempre necessario pensare a qualcosa di inarrivabile e per me Daniel DayLewis rappresenta questo ancora oggi. Poi scruto altri artisti fantastici e irraggiungibili, come Paul Dano e Joaquin Phoenix, che a mio parere tracciano una linea da seguire». RECITAZIONE A PARTE, avrà di sicuro un sogno nel cassetto... «Eccome! Mettermi alla prova come regista. So che ce la farò, ne sono fermamente convinto perché sarà un’evoluzione naturale della strada che sto percorrendo. Vorrei riuscire a far rivivere ad altri ciò che ho provato io grazie a Michael Mann, regista de L’ultimo dei Mohicani. E, sempre a proposito di emozioni, ci tengo a dire che nella vita di tutti i giorni sento di avere una “missione”: stare bene con gli altri e impegnarmi per far star bene le persone intorno a me. E questo da quando ero bambino, grazie a mia madre Gianna che mi ha insegnato valori importanti. Porto in dote la leggerezza ponderata e la simpatia che mi aiutano nella socialità e a essere attento soprattutto a chi vive in una condizione di svantaggio».

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Rivedremo prossimamente Spollon sulla Rai in Che DIo ci aiuti 7, Blanca 2 e Doc - Nelle tue mani 3. giacca doppiopetto, kiton.

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«SONO PRONTO A GIRARE IL MIO PRIMO CORTOMETRAGGIO. SÌ, IL MIO SOGNO È DIVENTARE REGISTA E CE LA FARÒ»

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«Per costruire una buona società dovremmo evitare di rimanere troppo concentrati su noi stessi». abito, emporio armani ha collaborato:

giovanni de ruvo; grooming:

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«TALVOLTA MI DICONO CHE HO LA “SINDROME DEL CROCEROSSINO” PERCHÉ DEDICO TEMPO AI RAGAZZI CON DISABILITÀ» © RIPRODUZIONE RISERVATA

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A 13 anni ha esordito sul grande schermo; ma per il primo vero riconoscimento Toby Wallace ha dovuto attenderne altri dieci. Poi ha vinto il premio Mastroianni («mai visto suoi film»). E ora, a 26, è tra i protagonisti della serie di Danny Boyle sui miti punk

CHIEDIMI SE SONO UN SEX PISTOL DI PIER ANDREA CANEI FOTO DI BOO GEORGE STYLING DI FABIO IMMEDIATO

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Star emergente, in una posa un poco punk. maglia e pantaloni, salvatore ferragamo

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KEYWORD - SPOTLIGHT -

STAR PER CASO. «Dopo anni di gavetta, ti dai un gran da fare per sfondare negli Usa. Il tuo nome viene associato a progetti altisonanti e con mega budget, che non vanno mai in porto. E alla fine poi dici sì a quel filmetto indipendente, roba da due milioncini di dollari, a Sydney, Australia. Ed è quello che ti svolta tutto: vai al festival importante, vinci il premio dell’emergente, ed ecco che all’improvviso son tutti lì a cercarti». QUESTO SUCCESSO per Toby Wallace è arrivato con Babyteeth – Tutti i colori di Milla (della regista Sharon Murphy, giro di Jane Campion) applauditissimo al festival di Venezia 2019, in cui interpretava uno sbandato che s’innamora di una malata terminale. «Per quel ruolo sono entrato nella mente di un tossico e ho vinto il premio Marcello Mastroianni a Venezia. Mi piacerebbe poter dire che ho visto almeno un film con il mitico attore italiano, ma non ci sono ancora riuscito. Non avrei mai pensato di vincere questo premio: per

me rimane difficilissimo riguardare quel che ho fatto senza pensare che faccio pena… Ero sinceramente convinto che avrei rovinato quel film; sono rimasto a bocca aperta, e senza uno straccio di discorso preparato». ISPIRAZIONI. «Sono nato nel Regno Unito, nel 1996, e cresciuto in Australia. Sono cresciuto a pane e Vegemite (crema vegetale spalmabile che da quelle parti è venerata come la Nutella, ndr) e in mezzo a serpenti e creature velenose; ci si abituava in fretta a guardare bene sotto qualsiasi pietra o dovunque si volessero mettere le mani». Per il resto ama molto la vita come la cinematografia australiana: «Veneravo il lavoro dell’attore Ben Mendelsohn, in particolare nella serie Bloodline (su Netflix, ndr) e ritrovarmi a recitare con lui in Babyteeth è stata un’esperienza meravigliosa». Peraltro, è da una vita che recita. Anzi, mezza: «A 12 anni ho iniziato i corsi di recitazione, a 13 ho avuto la mia prima parte in un film. Da allora, è diventato un mestiere».

Il talento: cos’è? «In generale, qualsiasi cosa che a qualcuno riesca meglio che agli altri. Dopodiché, il lavoro per valorizzarlo è tutt’altra cosa. I miei punti di forza? Penso di rendere al meglio quando recito su registri leggeri, quasi giocosi. Anche, e forse soprattutto, se ho un ruolo “dark”». PREPARATIVI. «Come attore, non hai mai garanzie che torneranno a chiamarti: non ti resta che sperare che il tuo lavoro parli per te. Preparati a lunghe pause di inattività, e utilizzale in maniera sensata». Per interpretare il chitarrista punk Steve Jones in Pistols (nuova serie del regista Danny Boyle su Hulu, ndr) ho incontrato, e tenuto lunghe conversazioni con lui; e poi tante ore di chitarra, studio di film, video, dischi e libri: dello stesso Jones, oltre che di altri protagonisti dell’era punk come John Lydon, Malcolm McLaren e Vivienne Westwood… Sulla stagione dei Sex Pistols c’è un mucchio di materiale; che poi si è tradotto in una montagna di lavoro per prepararmi al meglio». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Prontissimo a tutto. Anche all’inattività. maglia, zegna;

pantaloni, jil sander.

nella pagina a fianco: pantaloni, prada; cappello,

lock

& co. hatters

grooming: liz pugh @premier; hair: brady lea @premier; set designer: josh stovell @saint luke

«MACCHÉ HOLLYWOOD, HO SVOLTATO NELLA MIA SYDNEY CON UN FILMETTO INDIPENDENTE»

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Anglo-indiano, classe 1997, ora co-protagonista maschile della serie più attesa di Disney+: ecco Rish Shah. Che ricorda i genitori sgobboni, i compagni di rugby, università e audizioni teatrali: con tanti momenti difficili, ma nessun dubbio sul proprio talento

L’UOMO GIUSTO PER MS. MARVEL DI PIER ANDREA CANEI FOTO DI BOO GEORGE STYLING DI FABIO IMMEDIATO

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KEYWORD - SPOTLIGHT -

Aspettando quelli che «le faremo sapere» camicia e pantaloni, alexander mcqueen

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KEYWORD - SPOTLIGHT -

BOLLYWOOD BABY.

«Sono cresciuto in Inghilterra, da genitori indiani. Fin da piccolo amavo il cinema, vedevo film di Bollywood e mi ci proiettavo dentro. A circa sette anni ho costretto mia madre a portarmi a un casting Disney aperto a tutti. Già con mia sorella e il mio migliore amico facevamo film per divertirci, postandoli poi su YouTube, poi crescendo mi sono appassionato al teatro, e ispirato a intraprendere il mestiere di attore». Rish Shah, classe 1997, è Kaman, il co-protagonista maschile e rivelazione della nuova serie Disney+ Ms. Marvel, uscita a giugno; e già indossa con naturalezza i panni di new talent. «Ho sempre pensato che avrei fatto questo; a 16 anni, mentre inseguivo ingaggi importanti, sgobbavo sui set del padre di un mio amico, che faceva spot pubblicitari. Mi son reso conto che quello era l’ambiente in cui volevo immergermi, una volta completata la formazione. Ho poi fatto studi universitari al King’s College di Londra alternando esami a provini, e cercando di farmi notare dai direttori del casting. Non è che gli ingaggi siano arrivati subito, così ho potuto continuare i miei studi. Ma intanto ho imparato a conoscere bene tutta la trafila delle audizioni, contentissimo anche solo di aver accesso a palcoscenici che non avevo ancora calcato. Grandi istituzioni teatrali come il National, l’Old Vic e lo Young Vic stavano giusto accanto all’università, e così tra una lezione

e l’altra bazzicavo seminari e audizioni. Al momento di discutere la mia tesi finale al college ero già stato scritturato per il primo film: ottimo timing». ISPIRAZIONI. «Ho sempre seguito con interesse forme di teatro-danza come il Physical theatre della

compagnia DV8, la loro produzione di John in particolare; poi altre formazioni, come Complicité. Negli ultimi anni il mio lavoro mi ha portato ad Atlanta, Usa, sono stato meno a teatro; ma alcuni attori che seguo dai tempi di Londra li vedo sugli schermi». TALENTO. «In generale per me significa una cosa su tutte: saper catturare l’attenzione. Per quel che

mi riguarda, mi sento fortunato a lavorare con gente che sa come catturare la mia. Credo di trovarmi in una fase di crescita, in evoluzione; da ogni lavoro cerco di trarre qualche boccone di conoscenza in più. La parte difficile? La pazienza. Se c’è un’audizione in cui ti è sembrato di andar bene e resti a becco asciutto, mettici una pietra sopra. Sentiti forte anche quando il telefono non squilla. Se non passi l’audizione, non prenderla sul personale. Pensa al fatto che tutti gli altri ci son passati prima di te. Renditi conto che è davvero un’esperienza comune, facci il callo, tieni duro e fidati di chi ti consiglia e ti dà forza». PROSSIMAMENTE. «Lavoro al thriller Netflix Damage, scritto da Morgan Lloyd Malcolm, e basato sul romanzo di Josephine Hart. Una storia molto cruda e intensa, diretta da Lisa Barros D’Sa e Glenn Leyburn: un meraviglioso, sfidante cambio di passo rispetto ai miei altri progetti. Col successo cresce anche la responsabilità, ma la fase di transizione in cui mi trovo è emozionante. Se sono arrivato fin qui devo dire grazie ai miei genitori, che mi hanno dato tutto senza chiedere mai nulla in cambio. Fin da piccolo mi hanno insegnato a divertirmi in ogni cosa che faccio, e vederli sgobbare mi è stato d’esempio. Rappresentano i miei ricordi più cari; a parte giocare a rugby con i compagni di scuola, o stressarci a vicenda su quel che si sarebbe combinato nel weekend». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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«FIN DA PICCOLO MI PROIETTAVO DENTRO OGNI FILM. ATTIRARE L’ATTENZIONE? È FONDAMENTALE»

Rish Shah non ha inalato nicotina per questa foto. dolcevita e pantaloni, dolce&gabbana; cappello,

lock

& co. hatters.

nella pagina a fianco:

giacca, bottega veneta

maglia, dolce&gabbana grooming: liz pugh @premier; hair: brady lea @premier; set designer: josh stovell @saint luke

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DANDY

COWBOY

Tra l’immaginario amish e l’estetica de «Il potere del cane»: in alta quota (qui di fronte alle Dolomiti di Brenta) abiti formali, total look in denim, cappotti in pelle e accessori country. DI LUCA ROSCINI FOTO DI LETIZIA RAGNO


Abito in lana, Luigi Bianchi Sartoria; camicia, Camicissima; nastro in raso, Bigi Cravatte; cintura e camperos, Celine Homme. Nella pagina a fianco: cappotto in fresco di lana, camicia, papillon, jeans e cintura, Dsquared2; polsini con lacci, Ann Demeulemeester.


Giubbotto in denim, jeans e camicia, PIOMBO in OVS; papillon, Dsquared2; boots, Moreschi. Nella pagina a fianco: camicie in suède (sopra) e in cotone, Eleventy; denim, Manuel Ritz; papillon, Dsquared2; cintura, Celine Homme.




Abito con revers a contrasto, camicia, Paoloni; papillon e boots, Dsquared2; polsini con lacci, Ann Demeulemeester. Nella pagina a fianco: giacca in cotone con colletto e tasche in velluto e camicia, Canali; pantaloni, Manuel Ritz; papillon e sciarpa, Dsquared2.


Giubbotto in cotone e camicia, Marciano by Guess; pantaloni, AMI; cravatta e boots, Dsquared2. Nella pagina a fianco: cappotto stampa check, abito e camicia, Loro Piana; papillon e cintura, Dsquared2; boots, Moreschi.



Cappotto in pelle, AMI; tuta, Brioni; camicia, Alessandro Gherardi; papillon, Dsquared2. Nella pagina a fianco: giubbotto in denim e camicia, Brunello Cucinelli; cravatta, Dsquared2. SI RINGRAZIA: REGIONE TRENTINO E MADONNA DI CAMPIGLIO; HA COLLABORATO: GIOVANNI DE RUVO; GROOMING: YURI NAPOLITANO @INTERLUDEPROJECT


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Da 25 a 200 mq, da uno a più negozi, da un brand di orologeria a tanti

Innamorati da 75 anni ANDAVA IN NEGOZIO DA QUANDO AVEVA SEI ANNI E SI EMOZIONAVA A VEDERE LAVORARE PADRE E NONNO. ADESSO CON LUI CI SONO I SUOI FIGLI. LA STORIA DI VERGA 1947 È DI FAMIGLIA. DI FIORENZA BARIATTI ILLUSTRAZIONE DI TOMMASO TROJANI

SI COMINCIA CON LUIGI e un piccolo negozio con una sola vetrina su via Mazzini; il testimone passa a Valerio il quale provvede a far crescere lo spazio tanto da ospitare un laboratorio di riparazioni e due vetrine (diventate poi quattro), quindi a Umberto e da lui ai figli Riccardo e Federico. Ecco, questa è la dinastia dei Verga, una famiglia di imprenditori, ma soprattutto di appassionati, nel campo dell’orologeria. Tutto il racconto si svolge a Milano, nel centro città, dove i primi 25 mq diventano 200 e dove, tra l’altro, sta per essere inaugurata una lounge «con l’intento di renderla un club dell’alta orologeria per appassionati e collezionisti» spiega Umberto Verga che i clienti li invita a fermarsi a pranzo e cena. MA LA NARRAZIONE DI VERGA 1947 è anche la storia dei brand: partito con Rolex, è poi diventato concessionario di Patek Philippe, marchio che si è aggiunto ad altri nomi prestigiosi come Audemars Piguet, Cartier, Breguet, Piaget e altri. A questi si affiancano i cosiddetti orologi di secondo polso moderno (Swatch, Citizen…). E se aumenta l’offerta, di pari passo si ampliano gli spazi (il primo è Bottega storica) e raddoppiano i negozi tanto che ne aprono un altro in via Capelli (un passo dalla contemporanea piazza Gae Aulenti), anzi sempre qui a settembre inizierà un’altra avventura ancora. Ecco, questi sono i 75 anni che la famiglia Verga e la sua insegna Verga 1947 hanno vissuto finora: «Ciò che ci ha fatto andare avanti è la passione, essere motivati, non sedersi mai, aver voglia di lavorare tutti i giorni» racconta Umberto. «Più che lo spirito commerciale a spronarci è un impeto di amore verso l’orologio; questo è un pregio e un difetto perché ci innamoriamo di ogni prodotto, della qualità, dello styling, del progetto, della meccanica». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Riduzione dell’impatto ambientale: la priorità di Igi&Co

Ecologisti senza tempo LA PELLE RECUPERATA DIVENTA IL MATERIALE PER TOMAIE GREEN DI CALZATURE REALIZZATE CON LACCI IN MATERIALI RICICLATI E SOTTOPIEDI IN SUGHERO NATURALE. DI LUCA ROSCINI ILLUSTRAZIONE DI TOMMASO TROJANI

EPPURE ECOLOGISTI lo eravamo già un po’ nei cosiddetti tempi non sospetti. È stata stilata infatti una lista di personaggi italiani celebri che avevano iniziato già dal Dopoguerra la battaglia ambientalista in difesa del territorio: tra gli altri Pier Paolo Pasolini, che con il suo saggio Il vuoto di potere lamentava la scomparsa delle lucciole con una raffinata digressione politica; Italo Calvino e la sua Speculazione edilizia, ma anche Ermanno Olmi, autore di pellicole nostalgiche sulla fine del mondo contadino e i suoi valori. La consapevolezza fa ora la differenza tra chi, come quelli sopra citati, erano ambientalisti senza sapere di esserlo e chi negli ultimi anni fa dell’ecologia una battaglia fondamentale anche nel settore della moda. Tra questi si inserisce il marchio di calzature Igi&Co che con la collezione Green si fa portavoce di quel messaggio manifatturiero fatto di sensibilità, consequenzialità delle azioni e rispetto della filiera. L’UTILIZZO DI MATERIALI CERTIFICATI, riciclati o a basso impatto ambientale e l’impiego di tecnologie all’avanguardia diventano alleate per le scelte, consapevoli, del marchio made in Italy. Nel dettaglio oltre alle suole realizzate con risorse rinnovabili, fodere in tessuto riciclato, sottopiedi in sughero naturale e accessori metallici Nickel free, è la pelle riciclata della tomaia a fare la differenza. Si tratta di un pellame denominato ByPell realizzato per oltre il 50 per cento con pelle di scarto di produzione che normalmente viene gettata: in sostanza riduce l’impatto dell’80 per cento rispetto alla produzione di pelle tradizionale, permette di risparmiare quasi del tutto l’acqua e oltre il 30 per cento di energia elettrica raggiungendo un Carbon Footprint inferiore a 5 Kg di CO2/M2. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Shopping di prodotti di bellezza: Andy Warhol e la modella e attrice Jane Fort, «superstar» dell'artista che ha inventato la Pop art.

MOTORI - OROLOGI - FOOD - DRINK - MODA - BEAUTY - WEEKEND

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PERSONAL SHOP AUTO

L’ibrida per chi ama il comfort

Jaguar E-pace Phev: dare la precedenza a sicurezza, comodità, qualità. DI PAOLO ARTEMI - FOTO DI FEDERICO MILETTO

Da preferire, per l’ibrida della casa britannica, una colorazione all’insegna di un brillante understatement.

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Luminosa e pulita

Il tetto panoramico in vetro inonda l’abitacolo di luce. Il touchscreen da 11,4 pollici ha un rivestimento che aiuta a rimuovere le impronte digitali. occhiali, dolce&gabbana borsa in pelle, moreschi

Linee rinnovate

Il baule da 494 litri «spacca» in due i fanali posteriori, ridisegnati, della Phev.

ASSORBE CON NOBILTÀ LE IMPERFEZIONI DELL’ASFALTO

Con il Driver Assist Pack la vettura viene dotata di cruise control adattivo.

Tra i sistemi di sicurezza: frenata automatica e sensori per restare in carreggiata.

nutre di watt dietro: ciò si traduce in una tenuta di strada pressoché perfetta, nonché in una manovrabilità resa eccellente anche dalla lunghezza compresa in 4,4 metri. I sistemi di assistenza alla guida comprendono frenata automatica di emergenza, riconoscimento della segnaletica stradale e avviso di allontanamento dalla carreggiata. Un consiglio? Ordinare la E-Pace con il Driver Assist Pack. È un optional che aggiunge alla dotazione di serie il cruise control adattivo Stop&Go che accelera e frena fino a ripartire seguendo il veicolo che precede, oltre al monitoraggio dell’angolo cieco e del traffico in retromarcia. Siete comunque nostalgici della vecchia E-Type? Fidatevi: il prefisso resta lo stesso ma il mezzo secolo abbondante che separa le due auto inglesi si sente (e si vede) proprio tutto. Modello fotografato. Jaguar E-Pace Phev; colorazione Hakuba Silver. Lunga 440, larga 198, alta 165 cm. Baule da 494 litri. Motori: uno a benzina e due elettrici per 309 cv. Autonomia in elettrico 55 km. Trazione integrale. Cambio automatico nove marce. Il listino parte da 60.950 euro. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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STYLING: GIOVANNI DE RUVO

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ONTRARIAMENTE a quanto sostiene un antico detto, a volte l’abito il monaco lo fa, eccome. Prendete l’ultima Jaguar E-Pace, la Phev: con la carrozzeria verniciata da un colore troppo aggressivo potrebbe avere un retrogusto disdicevole come i bermuda alla prima della Scala. Meglio puntare sul classico con l’Hakuba Silver (foto), un grigio chiaro dalle sfumature argentate, all’insegna dell’understatement. Un indispensabile complemento d’immagine per un eco-utente della strada, perché questo scattante «giaguaro» sfoggia una tecnologia elettrificata tra le più rispettose dell’ambiente come l’ibrido ricaricabile. E siccome anche il comfort vuole la sua parte ecco le sospensioni anteriori con il punto d’attacco irrigidito per assorbire con nobiltà le imperfezioni dell’asfalto e una telecamera grandangolare integrata nell’antenna che domina il tetto e trasmette le immagini del mondo che circonda il viaggio, così come gli ostacoli alle manovre, a uno schermo ad alta risoluzione integrato nel retrovisore. Dire che all’interno gli standard di qualità dei materiali sono elevati, trattandosi di una Jaguar, è un’ovvietà. Meglio, quindi, concentrarsi sulla versione che può risultare più appetibile per i gourmet da garage. È la P300E, che combina un tre cilindri a benzina da 1,5 litri di cilindrata, 200 cavalli) a un elettrico che ne ha 109 e quando si esce dal box a ricarica completa garantisce alla vettura, secondo i dati dichiarati dalla Casa, fino a 55 chilometri di autonomia a emissioni zero. Il motore a benzina sta davanti, quello che si


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Imperturbabile e disinvolto, senza complicazioni

Da 90 anni in equilibrio tra classicismo e modernità. La referenza 5226G della collezione Calatrava di Patek Philippe con cassa a lavorazione guilloché.

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L SEGRETO dietro alla conquista della longevità sta nel saper trovare il giusto equilibrio tra classicismo e modernità. Un’operazione per mani delicate guidate da menti raffinate, che in casa Patek Philippe per ben 90 anni ha consentito alla collezione Calatrava di perpetuarsi attraversando con fare disinvolto e atteggiamento imperturbabile decadi contraddistinte di volta in volta da correnti stilistiche assortite oltreché dominate dai gusti estetici più disparati. Sempre fedele a se stessa eppure sorprendentemente in linea coi tempi e la sensibilità del momento. Un’abilità ribadita non a caso di recente con il lancio della referenza 5226G (35.500 euro) animata da un movimento automatico di manifattura, esecuzione personale e fortemente espressiva, nonostante l’assenza di qualsiasi tipo di complicazione. A suo modo fuori dall’ordinario per la presenza totalmente inedita di una cassa da 40 mm in oro bianco, per la prima volta decorata nei fianchi con una marcata lavorazione guilloché a motivo Clous de Paris, nonché per un quadrante semplice ma al tempo stesso di indiscusso carattere tipizzato da una texture granulare che ricrea l’effetto del rivestimento del corpo delle macchine fotografiche reflex di un tempo.

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Come un batiscafo, a prova di regata

Con materiali d’avanguardia.

Con l’RM 032 Voiles de Saint Barth, Richard Mille celebra l’11esima edizione della regata dei Caraibi.

Il Big Bang Tourbillon Automatic Purple Sapphire si distingue per la sua sfumatura di colore Hublot.

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L’innovazione del vetro zaffiro

A FILOSOFIA costruttiva alla base della maxi cassa da 50 mm in Quartz Tpt, Carbon Tpt e titanio Grado 5, materiali di pura avanguardia, è fondamentalmente identica a quella di un batiscafo. Cioè ingegnerizzata per resistere alle probanti sollecitazioni generate dall’aumento esponenziale di pressione durante le immersioni di profondità; nel caso specifico di questo orologio, fino a 30 atmosfere. Ma è fornita anche di misure di sicurezza decisamente fuori dallo standard. Su tutte, la corona di carica ripensata per fungere da «sicura» e impedire, una volta ruotata, l’attivazione accidentale della stessa nonché dei pulsanti cronografici. Dotazione extra capitolato dell’RM 032 Voiles de Saint Barth (261mila euro, in 120 esemplari), crono flyback automatico configurato da Richard Mille per celebrare l’11esima edizione della classica regata dei Caraibi, di cui il brand è sponsor dal 2019.

Con vista sul movimento.

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GNI PIÙ PICCOLA e impercettibile sfumatura di colore corrisponde in realtà a una grande conquista tecnologica. A un epocale passo avanti nel campo dell’innovazione. Perché dare un «tono» al vetro zaffiro, omogeneo, stabile, e ovviamente gradevole, è tutt’altro che facile, sostanzialmente per la brutta abitudine dei pigmenti a deteriorarsi alle alte pressioni e temperature necessarie alla produzione di quello che si classifica come il materiale più duro dopo il diamante. Un’avanzata forma d’arte per la quale sin dal 2016 Hublot ha dimostrato di possedere una sorta di talento innato, e che oggi torna a manifestarsi nel Big Bang Tourbillon Automatic Purple Sapphire (198mila euro, in 50 esemplari), il cui viola traslucido dovuto alla presenza di ossido di alluminio e cromo consente una vista a 360 gradi del movimento scheletrato con dispositivo tourbillon al suo interno.

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PERSONAL SHOP OROLOGI

Una bussola per terra, per mare e per aria

Meccanica di precisione.

Movimento automatico con nuova funzione Gmt integrata: è il lo Spirit Zulu Time di Longines.

Nel Tonda PF GMT Rattrapante di Parmigiani Fleurier l’ora locale si richiama in un flyback.

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Come un cronografo, ma sartoriale

RIENTARSI nello spazio e anche nel tempo è una necessità avvertita dall’uomo sin dall’antichità nei suoi spostamenti per terra e per mare e, in tempi relativamente più recenti, anche per aria. Un’esigenza primaria, addirittura vitale, che l’orologio meccanico in tutte le sue declinazioni ha sempre saputo in qualche modo soddisfare. Dal calcolo della longitudine, e dunque della posizione, all’indicazione di un secondo fuso orario. Specificità quest’ultima da sempre patrimonio storico di Longines, non a caso primo brand a prevederla su un orologio da polso già nel lontano 1925. La complicazione a elevato coefficiente di utilità è espressa nello Spirit Zulu Time (2.930 euro) attraverso la meccanica di un movimento automatico con funzione Gmt integrata di nuova generazione, provvisto di spirale in silicio. Ospitato in una cassa in acciaio da 42 mm con lunetta bidirezionale con disco in ceramica.

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La ricchezza è purezza.

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OMPLICARE con l’obiettivo dichiarato di semplificare: una contraddizione valida ovunque, tranne che nel mondo dell’orologeria sartoriale propria dell’atelier meccanico di Parmigiani Fleurier. In cui l’artigianalità si regge sul dettaglio e la ricchezza si esprime anche attraverso la purezza. Estetica, stilistica, formale. Un equilibrismo eseguito magistralmente dal Tonda PF GMT Rattrapante (26mila euro), primo doppio fuso orario al mondo a far sua una funzione da sempre proprietà privata degli strumenti deputati alla misurazione dei tempi brevi, ossia i cronografi. L’interpretazione tecnicamente ardita, configurata con cassa da 40 mm in acciaio e movimento automatico di manifattura, è a dir poco singolare per la possibilità di movimentare la lancetta dell’ora locale tramite un pulsante alle otto e richiamarla poi «al volo» come in un flyback premendo quello coassiale alla corona.

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Riferimenti dimensionali di design

Per personalità forti.

Forme compenetrate e spigolose caratterizzano il Novemillimetri di Tonino Lamborghini.

Il contemporaneo Yachtman Club di Paul Picot è l’erede ideale del celebrato Plongeur.

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Il diver dinamico, con extra resistenza

N NOME, un manifesto. Utile a mettere subito le cose in chiaro, aspetto fondamentale per un orologio meccanico, ma anche un modo non scontato per affermare la propria personalità. A livello estetico e, conseguentemente, anche tecnico. Novemillimetri (1.950 euro), denominazione originale con chiaro riferimento dimensionale scelta da Tonino Lamborghini, connota una nuova collezione di strumenti del tempo rigorosamente a carica automatica contraddistinti, tra le altre cose, da una cassa da 43 mm di diametro dallo spessore inferiore al centimetro (9 mm, naturalmente), nel settore un’autentica soglia psicologica. «Ingombro» di puro design realizzato dal brand attraverso forme compenetrate dal carattere spigoloso, forgiate per l’occasione in titanio sabbiato e concepite per ospitare un movimento Swiss Made Sellita con 38 ore di riserva di carica.

In carbonio e caucciù.

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EBBENE faccia presa in primo luogo per la sua spiccata attitudine a conferire un look al tempo stesso dinamico e «pettinato», la finitura Dlc può assicurare ben altri benefici. Primo fra tutti quello di garantire un’extra dose di resistenza nonché un valido isolamento contro gli agenti chimici, il tutto attraverso il deposito di un sottile film di carbonio su una superficie di base. Come la cassa di un orologio, magari concepito per attività subacquee, e dunque per sua natura più esposto di altri a un buon numero di sollecitazioni. Come lo Yachtman Club (2.590 euro), contemporaneo diver di Paul Picot ideale erede del celebrato Plongeur. Modello a carica automatica con cassa da 43 mm e lunetta unidirezionale con disco in zaffiro perfezionato in modalità total black, ma opportunamente vivacizzato da un tocco di colore nel primo quarto della scala graduata e nel cinturino in caucciù. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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PERSONAL SHOP CUCINO IO

Irresistibile Maillard

Non solo carne: al bbq si può cuocere tutto. Sfruttando l’effetto forno. DI ALLAN BAY FOTO DI FEDERICO MILETTO - STYLING DI VERONICA LEALI

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DUE O TRE INDICAZIONI PRATICHE. La prima, come tutti sanno, è che non ha senso utilizzare legna, molto meglio il carbone vegetale, ovvero legna di tutti i tipi carbonizzata in forni speciali. Non la si fa, si compra, e si usa quella fatta con il tipo di legno che reputiamo il più adatto per l’ingrediente in cottura. La seconda è di acquistare delle piccole griglie a maglia fitta o dei tappetini in silicone rivestito da teflon, da porre sopra la griglia classica, su cui è possibile cuocere anche ingredienti sminuzzati, cosicché nulla cada tra le braci, cosa che sarebbe impossibile cuocendo direttamente sulla griglia classica. La terza è di non prescindere mai dall’uso della cloche, una semi cupola, praticamente una casseruola in acciaio rovesciata. Nei nuovi modelli di bbq è spesso già inserita, in quelli vecchio stile basta metterla sopra l’ingrediente che cuoce. Crea un «effetto forno» che accelera alla grande, migliorandola, la cottura. Per finire, vorrei ricordarvi che al barbecue non si fa solo la carne: praticamente tutto può venir cotto alla brace, dai lievitati ai dolci, passando per antipasti e primi, il pesce e persino la frutta.

VOLTE RITORNA, anche se in realtà non se n’è mai andato. Parlo dell’amore per gli ingredienti cotti alla griglia, sulla brace. Sta nel nostro Dna perché è stato reso possibile grazie alla più importante invenzione (sono tante, ma questa a mio parere le batte tutte) dell’uomo: il controllo del fuoco. Prima eravamo il più debole degli animali, non eravamo bravi a cacciare e assumevamo le proteine grazie al recupero della carogne. Il controllo del fuoco ci diede calore, un po’ più di sicurezza ma soprattutto ci permise di rendere più commestibile la carne. Che aveva la parte esterna dura come una sorta di crosta. Questo bruciaticcio ha un nome scientifico: reazione di Maillard. È la conseguenza di una serie di fenomeni che avvengono a seguito dell’interazione di zuccheri e proteine durante la cottura.

CACIO E PEPE ALLA GRIGLIA L’idea è di Errico Recanati del ristorante Andreina di Loreto, uno dei re della cottura alla brace. Per ogni persona si utilizzano 100 grammi di spaghetti grossi, quelli che richiedono 20 minuti di cottura. Cuoceteli in abbondante acqua salata per otto minuti, poi scolateli e lasciateli

in acqua a 60 gradi per cinque minuti, infine scolateli sciacquandoli in acqua fredda. Ripassateli alla brace per sei minuti con l’utilizzo di una rete per bbq e la tecnica della cloche per intensificare calore e profumi. Fate una crema di formaggi con 70 grammi di pecorino di fossa e 30 grammi

di parmigiano reggiano molto stagionato, aggiungendo un po’ d’acqua di cottura della pasta. Alla fine mantecate la pasta con la crema, poco burro e pepe a piacere. Servite con un’ultima grattugiata di pecorino di fossa.

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SI RINGRAZIA: LE CREUSET (LECREUSET.IT)

ANCHE SE MOLTE COTTURE provocano questa reazione, nessuna lo fa meglio di una brace con sopra una griglia. La modernità della fine del secolo scorso, soprattutto in ambienti urbani, sembrava aver dato un colpo di grazia a questa tecnica. Per fortuna non è avvenuto, anche grazie alla ricerca che ha messo a punto barbecue più funzionali e a tanti altri miglioramenti tecnici. Solo una cosa non è cambiata: l’odore che emana un bbq in cottura. Se lo fai in campagna all’aperto nessun problema, ma se lo fai su un terrazzino il rischio di risse con gli altri condomini è una certezza. Esistono comunque dei (costosi) bbq giapponesi, i kamado, fatti di un materiale refrattario speciale che funzionano con solo un pugno di carbonella: quindi si possono utilizzare anche in casa, accanto a una finestra aperta. Io ne ho comprato uno piccolo qualche anno fa, di fabbricazione americana, verde, a forma di uovo, che funziona alla grande; in campagna invece ne ho uno «vecchio stile», onusto di lavoro e di gloria, vecchio e traballante, che molto amo. Pochi anni fa è stato raggiunto da un confratello tedesco, di ghisa, pesante che di più non si può ma che tecnologicamente è una bomba.


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PERSONAL SHOP FUORI A CENA

Alla brace

Non solo ottime carni: qui persino il ripieno dei plin si cuoce alla griglia. DI ALLAN BAY

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UANDO APRÌ Chunk (come il ciocco di legno che si mette per fare la brace), tre anni fa, ci andai a colpo sicuro. Perché qui a Milano abbiamo tanti bravi macellai, ma nessuno batte, per cultura tecnica e passione per la ricerca dei miglori tagli, Alberto Masseroni. Il suo progetto era ed è perfetto: la migliore carne del mondo, ma con cotture semplici, sostanzialmente alla griglia. E quanto il ristorante spende «in più» per la materia prima, altrettanto lo risparmia col meno lavoro in cucina, ché se hai un super controfiletto di bue nero di Salamanca frollato 120 giorni, alla fine basta tagliarlo, cuocerlo rapidamente e servirlo nappato con una salsa. La grande cucina usa questi ingredienti in piatti complessi, ricchi di sapore e di lavoro, quindi costosi; da Chunk (foto sopra) sono alla base di proposte essenziali, tutte da godere, e quindi con un ottimo rapporto qualità-prezzo. In carta troverete una super selezione di salumi italiani (e soprattutto friulani) e non, brisket di punta di petto di Angus con insalata alla senape, polpette di Wagyu giapponese su germogli, hamburger di Pata Negra aromatizzato alla paprika, pulled pork di coppa di maiale italiano con coleslaw e salsa barbecue. La cucina, minuscola, è il regno di Francesco Passalacqua, che, piemontese, fa degli splendidi ravioli del plin con quella stessa carne cotta alla griglia: imperdibili. Chunk, ripa di Porta Ticinese 55, Milano, tel 02 84194720 chunkmilano.it, prezzo medio: 60 euro. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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MATERIE PRIME E TANTA TECNICA Asina Luna

via della Resistenza 23 Peschiera Borromeo (Mi) tel. 02 55300205, asinaluna.it Prezzo medio: 80 euro Grande ricerca tecnica su carni, frollature e persino sui legni per la brace. Da segnalare il servizio e la selezione dei vini.

L’angolo d’Abruzzo

piazza Aldo Moro 8, Carsoli (Aq) tel. 0863 997429 langolodiabruzzo.it Prezzo medio: 50 euro Grandi funghi, tartufi e brace sempre accesa. E per alcune carni si usano persino gli ultrasuoni.

Braceria Bifulco

via Lavinaio 200, Ottaviano (Na) tel 081 8273538, braceriabifulco.it Prezzo medio: 50 euro Una proposta di carne veramente completa. E accanto alla brace, i grandi piatti napoletani.

IL VINO Per ottime carni un evergreen come Fonterutoli Chianti Classico DOCG, 17 euro circa.



PERSONAL SHOP DRINK

Tutt’altro che un flop L’aggiunta dell’uovo nei cocktail può rivelarsi un’esperienza davvero sorprendente. DI CRISTINA PACEI FOTO DI FEDERICO MILETTO STYLING DI VERONICA LEALI

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HE COSA SI INTENDE per «flip» nel campo dei drink? La presenza di un uovo fresco in una bevanda che, una volta shakerata, andrà a creare uno strato superiore schiumoso. Può sembrare un po’ bizzarro, ad alcuni può preoccupare la questione (da non sottovalutare) della freschezza e sicurezza del prodotto, ma basti pensare al classico uovo con il marsala – lo zabaione – per capire che l’utilizzo delle uova con gli alcolici, soprattutto con vini dolci, è già diffuso da secoli. Le prime notizie del Porto Flip, un classico di successo che vede il tuorlo d’uovo associarsi al Porto e al brandy, risalgono alla seconda metà del 1800. Oggi si usa proporre questo cocktail soprattutto come after-dinner (consigliato l’abbinamento con torta di mele o crostata al cioccolato), sebbene nasca come corroborante sul genere del Bloody Mary. Dopo una sbronza «si metteva a posto lo stomaco» con uno di questi cocktail toccasana, per riprendere poi a bere allegramente. E l’albume? Nessun preconcetto. Talvolta rientra anch’esso nelle preparazioni per conferire una «tessitura» setosa e aggiungere una schiuma leggera. E non è così difficile da utilizzare, come molti credono. Basta iniziare a shakerare gli altri ingredienti del cocktail, inserire poi l’albume e agitare nuovamente. Infine, si completa con il ghiaccio e si mixa per un’ultima volta. Il drink va filtrato attraverso un colino da tè... et voilà! Il gioco è fatto. Non resta quindi che sperimentare, affidandosi al proprio bartender di fiducia.

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Drink fresco grazie alle note di vino del Barolo chinato. L’uovo lo rende cremoso e setoso, lo sciroppo speziato lo bilancia e il brandy lo fortifica.


SI RINGRAZIA: LSA DISTR. DA MAINO CARLO (MAINOCARLO.IT), LA CALCE DEL BRENTA (LACALCEDELBRENTA.IT), GALLERIA LUISA DELLE PIANE (GALLERIALUISADELLEPIANE.IT), ALPI WOOD (ALPI.IT)

Silky Flip Inserire in uno shaker senza ghiaccio 50 ml di Barolo chinato, 20 ml di brandy italiano, 10 ml di sciroppo di noce moscata e alloro, un tuorlo d’uovo e agitare energicamente. Aprire lo shaker, aggiungere il ghiaccio ed effettuare un’altra shakerata. Servire il cocktail grattugiando, se si desidera, un po’ di noce moscata. Rivisitazione italiana del Porto Flip realizzata dal mixologist di Nonsolococktail Mattia Pastori in collaborazione con Francesco Pierluigi (Drinkable). © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Tipi da

SPIAGGIA

PESI LEGGERISSIMI, STAMPE SGARGIANTI, TESSUTI NATURALI O SOLUZIONI TECHNO-TRASPIRANTI. DI CRISTINA MANFREDI STYLING DI ANGELICA PIANAROSA

PERSONAL SHOP MENSWEAR

DI BERMUDA, ad esempio, ce ne sono in abbondanza questa estate. Un tempo indumento riservato ai fanciulli, oggi è forse uno dei pezzi più trasversali del guardaroba maschile, che si tratti del passe-partout greige di Armani o della rivisitazione in rete color corda di Federico Cina. Mentre da Prada Raf Simons e Miuccia Prada mettono a punto una versione ultra short con stampe rétro, rigature bayadère e un effetto mini-skirt che introduce un altro tema di stagione: la gonna. Se fino a qualche anno fa, a parte gli scozzesi e Marc Jacobs, erano davvero in pochi a portarla con disinvoltura, aumentano gli emuli di Harry Styles così com’era apparso sulla copertina di Vogue America del dicembre 2020, magari dribblando la sua interpretazione estrema di abito in pizzo con tanto di ruche. Lo dimostrano i dati di Lyst che per il menswear hanno segnato un boom di acquisti della gonna al maschile disegnata da Thom

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Browne. E la conferma arriva da Louis Vuitton, in una delle ultime interpretazioni firmata da Virgil Abloh prima della sua morte, con un modello ispirato all’abbigliamento da samurai per il film Amen Break. Oltre che da Loewe, nella versione a frange fluo da raver anni Novanta. CAPITOLO A PARTE merita le camicia, o più in generale la stampe hawaiana. Indumento vacanziero per eccellenza, probabilmente deve la sua nascita all’incontro di culture ed etnie diverse avvenuto nell’arcipelago del Pacifico agli inizi del Novecento, quando immigrati filippini, giapponesi, cinesi e portoghesi si ritrovarono a lavorare tutti insieme nelle piantagioni del posto. Da Elvis Presley a Leonardo DiCaprio, da Robert De Niro o a Bruno Mars un tocco aloha nell’armadio è il modo più immediato per sentirsi in modalità vacanziera, anche sui marciapiedi arroventati in città. Stagione dopo stagione, le tendenze passano e lei resta, carica di fantasie tropicali a tutto colore. Estetiche agli antipodi da Tom Ford a Dries Van Noten, Junya Watanabe, Gucci, Marni, fino al newcomer Casablanca: non c’è forse stilista che non abbia proposto almeno una volta nella sua carriera una camicia hawaiana e il motivo è semplice, ossia racchiude in sé la gioia di vivere, la libertà. Da veri tipi da spiaggia.

INQUADRARE PER SCOPRIRE ALTRI CAPI E ACCESSORI DI TENDENZA SUL TEMA: BERMUDA, FELPE, COSTUMI, SNEAKERS E CAPPELLI

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ALAMY

LE TEMPERATURE SALGONO, gli orli dei pantaloni si accorciano, le camicie si colorano e i cappellini abbondano. Sintetizzato al massimo, questo è il senso della moda estiva, un mix di pesi leggerissimi nei tessuti, di fibre naturali alternate a soluzioni techno-traspiranti, meglio se abbinate a stampe sgargianti. Ma come sempre quello che ci si mette addosso ha a che fare tanto con l’aspetto esteriore, quanto con la simbologia di quel look. Che cosa raccontano di noi le camicie ultra light di Etro percorse da stampe tra il floreale e il tribale da indossare rigorosamente sbottonate? E il tie-dye di MSGM che dilaga su shorts e pantaloni in psichedelici toni pastello? Le stesse tinte delicate addolciscono i total look dalle forme accoglienti di Zegna, un tocco candy pronto a virare su nuance più energetiche nel caso di Hermès, un bel pezzo da 90 se si parla di lusso assoluto.


Il sogno di aprire un bar in Giamaica: Tom Cruise nei panni di Brian Flanagan nel film Cocktail di Roger Donaldson, 1988

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LO STILE ESTIVO PORTA L’ENERGIA E IL SENSO DI LIBERTÀ DELLE SUMMER VIBES

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BELLO COME IL SOLE. Jude Law ne Il talento di Mr. Ripley (di Anthony Minghella, 1999) è la quintessenza dello chic a bordo mare. Il suo personaggio, l’indolente Dickie Greenleaf, scorrazza per il Mediterraneo in abiti di gran classe che interpreta in perfetto stile dégagé. Bermuda e camicie a mezze maniche raccontano di un’estate infinita tra barche a vela e terrazze, ma è un’estate raffinata, da giocare sui toni del bianco, del rosa pallido, del grigio tenue. Per mantenere un ideale di distinzione anche quando il sole è a picco.

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EVERETT COLLECTION

MENSWEAR


occhiali da sole, Silhouette

T-shirt e costume, Sundek occhiali da sole, Dior Men

felpa con cappuccio e bermuda, Ten c overshirt, Boggi Milano; felpa, SUN68

T-shirt e costume, K-Way costume, SUN68 sneakers, Hogan sneakers, Saucony Originals racchettoni, Vilebrequin

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occhiali: Tod’s Eyewear (sopra), Tom Ford Eyewear camicia, Harmont&Blaine

polo e pantaloni, Tagliatore camicia e bermuda, Paul&Shark

pochette, Sundek bermuda, Circolo 1901

mocassini, Barrett

telo mare, Vilebrequin costume, Impulso 144

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HA COLLABORATO: AURORA MANDELLI; FOTO STILL LIFE: FEDERICO MILETTO; ALAMY

IL SURF STYLE HA DETTATO TENDENZE ANCHE NELLA MODA

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L’ONDA PERFETTA: i surfisti lo sanno che non esiste. Un mercoledì da leoni è un film del 1978 di John Milius: un culto per gli appassionati che ha anche definito l’estetica del «tipo da spiaggia». I personaggi interpretati da Gary Busey, Patti D’Arbanville, William Katt, Lee Purcell e Jan-Michael Vincent rappresentano la scena surfer californiana tra gli anni Sessanta e Settanta. E vestono camicie sgargianti, T-shirt morbide, jeans scoloriti o chinos. Sanno che lo stile perfetto non esiste e, a differenza del surf, nemmeno lo cercano. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Rilassarsi nelle Dolomiti novità & highlight

Hotel Cristal - Famiglia Thaler 39050 Obereggen - Nova Ponente Tel.: mail:

0471 615511 info@hotelcristal.com www.hotelcristal.com

Prezzi estate 2022 (mezza pensione pp/gg) nelle stanze doppie da € 122,00 fino a 182,00 nelle suite da € 165,00 fino a 315,00

… … … … … …

nuove camere e suite (fino a 100 m²) area SPA riallestita e ampliata (piú di 1.600 m²) grande piscina interna (16 x 7 m) piscina esterna (10 x 5 m) collegata con la piscina interna sauna panoramica con vista sulle montagne delle Dolomiti biosauna alle erbe, bagni turchi, cabina a raggi infrarossi, sale relax (una anche con pareti di sale) … luminose aree beauty con luce naturale … sala fitness e gym con istruttore … cantina degustazione vini … golf, Golf Club Petersberg, 18 buche … gite in montagna guidate, (Rosengarten, Latemar, …) … gite in mountain-bike (nolo bike disponibile)


PERSONAL SHOP BEAUTY

PIÙ FLUIDI, PIÙ ARTISTICI MARE E GIN TONIC. Nel pianeta della cosìddetta «profumeria artistica», essenze rare combinate in preziosi jus sono racchiuse in flaconi-scultura che rappresentano simbolicamente le storie olfattive tese a catturare l’immaginazione di chi indosserà le varie fragranze. Aggirando mode, tendenze o regole di marketing. Uno stesso ingrediente usato come base di più profumi cambia, e molto, in base alle varie interpretazioni date dai nasi o creatori. Così l’essenza d’acqua marina (ricreata in laboratorio) può essere notte in spiaggia a bere gin tonic, e può essere tempesta su muschiata scogliera scozzese; o anche scoglio mediterraneo accarezzato da liquida salinità, con delicato manto di flora scaldata al sole. Questi profumi, va aggiunto, sono di natura liquida e senza sesso né stagione: season/genderless. E liberi da momenti specifici di applicazione: strumenti di appagamento olfattivo per chi li porta, interpretabili a piacere, e secondo sensibilità. Una modalità espressiva su cui variare con qualche tocco di stile individuale; e se non ci si sente opera d’arte sarà lecito, rubando le parole al poeta Sandro Penna, reputarsi «di infallibile gusto».

DI GIOELE PANEDDA FOTO DI MICHELE GASTL

«MI REPUTO DI INFALLIBILE GUSTO» Da sinistra: Ocean of a Midnight Moon, eau de parfum intense, Simone Andreoli. Sentori di gin tonic e notte sul lungomare. Eau Triple Scottish Lichen, parfum de peau à l’eau, Officine Universelle Buly 1803. Muschi, erba e note marine ricordano le costiere scozzesi. De Los Santos, eau de parfum, Byredo. Una sensuale giustapposizione di incenso, salvia, prugna e iris.

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PERSONAL SHOP BEAUTY

«AMARE I SENSI E NON PENTIRSI» Caldi e avvolgenti. Dall’alto: Alexandria II, eau de parfum, Xerjoff. Fragranza del gruppo ambrato legnoso, addolcita da mela, rosa e vaniglia. Fleur du Mal, eau de parfum, Dries Van Noten. Una forte apertura di pesca, chiusa da note d’ambra e pelle scamosciata. Les Absolus d’Orient: Épices Exquises, eau de parfum, Guerlain. Composto da pepe rosa, caffè e legno oud.

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PERSONAL SHOP

«IL MARE È TUTTO AZZURRO» Fresco vigore. Dall’alto: Colonia C.L.U.B., eau de cologne, Acqua di Parma. Agrumi e pepi rinvigoriti da foglie di rosmarino e shiso. EGE, extrait de parfum, Nishane. Le note marine sono accompagnate da foglie di violetta, basilico e menta. Robinson Bear, eau de parfum, Atkinsons 1799. Riflessi dal mare Mediterraneo, con sentori di santolina, ginepro e labdano. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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PERSONAL SHOP DETOX

Remise en forme al top resort

Disintossicarsi: il metodo più rinomato si è trasferito in svizzera.

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ESET DI LUSSO, vacanza dimagrante, settimana «da dedicare alla cura di sé»: se una volta chi voleva darsi un tono e una bella cera spariva «da Chenot a Merano» oggi, scomparso il dottor Henri, gli eredi hanno trasformato un grand hotel a Weggis (Svizzera) nello Chenot Palace, una via di mezzo tra boutique resort e casa di cura sul lago di Lucerna. Qui, tipicamente, si soggiorna per la «settimana Detox»: il metodo si basa su un mix tra principi di medicina orientale, tecnologie terapeutiche (spesso tedesca), un approccio olistico e l’ambiente di ovattato benessere. All’arrivo, scaricata l’app che tiene traccia di visite e trattamenti, si passa dal medico per un checkup genrale; la nutrizionista raccoglie informazioni e consiglia subito una giornata di digiuno (solo brodino, normale avvertire un po’ di rigetto iniziale); dopo, 850 calorie a testa per tutti, corpulenti finanzieri mediorientali di stanza a Ginevra o esili signore di Düsseldorf, atlete elvetiche a riposo medico o rockstar francesi in

Piscina con vista su lago e Alpi: tra le amenità allo Chenot Palace di Weggis (Ch).

riabilitazione. Tre pasti al dì, colazione-pranzo-cena; niente proteine animali, pane, alcool, zuccheri, grassi o carboidrati; niente tè né caffè. Per fortuna c’è uno chef italiano, Ettore Moliteo, a inventarsi manicaretti vegani a base di cavolo cappuccio e maionese di mandorle. Il nucleo della cura consiste in un quotidiano trittico di idromassaggi aromatici, fanghi termali (con successivo lavaggio via idrante); e massaggio corporeo di un’ora, con quelle coppette aspira-veleni. Il resto scorre via tra monitoraggi medici, macchine cardio/muscolari, agopuntura laser bioenergetica; sessioni di palestra con tapis roulant antigravity e simulatori di altitudini alpine; nuoto (piscina al coperto, d’estate spiaggia lacustre privata); criosauna (qualche minuto in una cabina a -110 gradi) o sauna finlandese (ma sembra che in detox pochi trovino le forze per avvalersene). E la sera si va al bar interno, che offre terrazza, tisane italiane e partite a backgammon. Al limite, come consiglia confidenziale un cameriere: «Per una botta di vita, ti ordini un bel cappuccino di cicoria con schiuma di soja e cannella». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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FOTO: FABRICE FOUILLET

DI PIER ANDREA CANEI


Milano. Collezione 2022.

www.piscinecastiglione.it


PERSONAL SHOP WEEKEND

Verona

Libiamo, è tornata l’Aida

Riparte l’opera all’arena: e la città offre eventi, vita, spritz. DI VERONICA RUSSO

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cuore verde della città: il Parco delle Mura (bastioni che sono anche patrimonio Unesco). Fra gli eventi di giugno ci sono la «rassegna nella rassegna» titolata Non c’è differenza su arte e inclusività; concerti di musica pugliese, funk, cumbia e gitana, e sessioni di sport e yoga (il 21 giugno) per tutta l’estate, fino a ottobre.

Alla colonna in piazza Bra il «Liston» dello sdruscio sfocia davanti all’Arena.

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NEL CUORE DELLA CITTÀ, se non bastano i marmi, i campanili, le torri merlate, l’Adige che occhieggia sotto a ponti imponenti e le eleganti piazze dei Signori e delle Erbe, da quest’anno da visitare c’è anche un nuovo gioiello: il Museo Archeologico Nazionale, ospitato in un edificio che fu caserma asburgica e prigione; tre piani dedicati alle testimonianze più antiche degli insediamenti umani nel Veronese. Tra i pezzi

SIME

ARENA torna definitivamente ai suoi fasti: estate 2022, largo ai costumi di scena, e all’elegante opulenza, del teatro di Franco Zeffirelli. L’edizione numero 99 dell’Arena di Verona Opera Festival si aprirà proprio con la sua versione della Carmen il 17 giugno, seguita, il 18, da un’Aida sempre allestita dal fiorentino (opera «regina» dell’anfiteatro: previste 11 repliche). Ma non è solo il ritorno in pompa magna della stagione operistica ad attrarre nella città scaligera: ci sono anche anche passeggiate incantevoli, nuovi posti da visitare, cibo buonissimo, eventi unici come il Mura Festival, che si compone di appuntamenti culturali, teatrali, sportivi, musicali e artistici (650 in tutto in questa terza edizione), dislocati in vari punti del


TREKKING SUL LAGO, FESTIVAL PARTECIPATI, ARTE E INCLUSIVITÀ

Dove dormire Ì NH Collection

Palazzo Verona

via Adua 6 tel. 045 8062311 nh-collection.com Doppia da 320 euro Albergo centralissimo, di gran design, pochi minuti dall’Arena.

preziosissimi c’è lo Sciamano: pietra decorata in ocra rossa con sopra una delle più antiche figure teriomorfe (uomo-animale) giunte fino a noi. MA FUORI PORTA? Vero che Verona è troppo bella per lasciarsela alle spalle, ma merita una giornata il trekking dal centro città verso il lago di Garda, con una visita al borgo «bordo-lago» di Bardolino. Lo organizzano quelli di Veneto Inside (venetoinside.com), dura in tutto sulle otto ore (ma si cammina per molto meno, e la passeggiata è adatta a tutti). Lungo il percorso si attraversano la riviera degli olivi, il paese di Garda, l’eremo di san Giorgio. Al tramonto, poi, aperitivo e «ciacole» (chiacchiere) quasi d’obbligo; lo spritz che qui, più che un long drink, è praticamente una religione: e uno dei suoi templi di culto è il Terrazza Bar Al Ponte. Il cui nome è dedicato all’ultimo ponte veronese di epoca romana che attraversa l’Adige sotto la collina di Castel San Pietro: vista da godersi insieme all’ animatissimo ambiente di giovani habituè del luogo.

Ì Casa Fola

Il Museo Archeologico Nazionale, nell’ex caserma asburgica San Tomaso.

tel. 045 8004535 bottegavini.it Prezzo medio: 70 euro Scelta di vini infinita e piatti come il risotto all’Amarone; osteria tra le più antiche. Ì Al Pompiere

vicolo Regina d’Ungheria 5 tel. 045 8030537 alpompiere.com Prezzo medio: 45 euro Salumi e formaggi a volontà.

vicolo Pietrone 8 tel. 340 5820701 casafola.com Doppia da 130 euro Camere minimal in un palazzo del XVIII secolo, al quartiere di San Zeno.

arena.it

Dove mangiare

murafestival.it

Ì Antica Bottega del Vino

Info utili

Ì Stagione operistica

Ì Mura festival

via Scudo di Francia 3

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Cefalù, Sicilia

Ritratto tirrenico con manna Da riscoprire: la località-principe della costa palermitana. DI BEBA MARSANO

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BATTUTA in prima pagina sul portale turistico ufficiale visitsicily.info, Cefalù è l’ambasciatrice dell’estate siciliana. La cittadinagioiello della costa tirrenica a una settantina di chilometri da Palermo non è comodissima da raggiungere, ma merita lo sforzo: già solo per il tratto di litorale miracolosamente integro che domina, da una parte, la chiostra verdeggiante delle Madonie, dall’altra il mare, all’orizzonte le Eolie e, quando l’aria è proprio tersa, perfino Ustica. All’ombra della Rocca che, in virtù dei panorami, è invito a nozze per gli amanti del trekking, Cefalù appare dietro una curva della SS 113 inalberando i torrioni di quella formidabile fortezza in forma di chiesa che è il Duomo arabo-normanno. Un monolite mosaicato nel cuore della città vec-

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chia, che domina il vocabolario del disimpegno vacanziero: tavoli di trattorie attovagliati tra i vicoli, locali che sorprendono con magnifiche terrazze sull’orlo del mare e mezzelune di sabbia e, lontano dalla folla, la baia della Caldura, concentrato di faraglioni e fiordi in miniatura (con un boutique hotel da dolce vita, Le Calette).

Faraglioni a non finire in località Caldura, il lato B di Cefalù.

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UN BORGO DI LUCE, con qualche mistero. Da quella Gioconda al maschile che è il Ritratto d’uomo di Antonello da Messina, in una sala scrigno del Museo Mandralisca, al fantasma di Aleister Crowley, l’occultista inglese che negli anni Venti si insedia a villa Santa Barbara per farne il suo tempio. Quell’Abbazia di Thélema, oggi in rovina, magnifica ossessione per curiosi, satanisti e leggendari chitarristi come Jimmy Page dei Led


SIME

NELLE MADONIE, NON PERDERE CASTELBUONO E LA LINFA DI FRASSINO

Zeppelin. Dai culti di tenebra si guadagna l’aspra bellezza delle Madonie in meno di mezz’ora, lungo i tornanti che videro sfrecciare la leggendaria Targa Florio. Meta? L’antica capitale di queste terre: Castelbuono, con il suo castello intimidatorio e solenne, addolcito nella Cappella Palatina, tappezzata di candidi stucchi, che sembrano fatti di quella soffice manna per cui la citta è famosa. Da benedizione biblica a presidio Slow Food, la linfa del frassino è ingrediente principe della pasticceria madonita: lo sa bene Fiasconaro, che ha trasformato in delizia siciliana il panettone, sfornato (anche per Dolce & Gabbana) con successo tutto l’anno. Merita un assaggio, prima di entrare alla Matrice Vecchia per la cripta affrescata e il più grande polittico di tutta la Sicilia. Ma all’ora del tramonto il luogo magico in cui farsi trovare è Pollina, l’Olimpo delle Madonie: abbarbicata a una rupe con un reticolo di vicoli angusti, una chiesa museo e l’anfiteatro Pietra Rosa, in una conca naturale come gli antichi teatri greci, con affaccio a volo d’uccello su uno scenario da non dimenticare più.

Dove dormire

Ì Alberi del Paradiso

via dei Mulini 18/20 Cefalù (Pa) tel. 0921 423900 alberidelparadiso.it Doppia b&b da 128 euro. Panorami e silenzi in un rigoglioso giardino mediterraneo. Ì Le Calette

via V. Cavallaro 12 Cefalù (Pa) tel. 0921 424144 lecalette.it Doppia b&b da 198 euro. Lussi romantici sulla baia della Caldura.

tel. 0921 424144 Prezzo medio: 50 euro. Piatti di pesce sul mare, sotto le stelle.

Ì Hostaria Nangalarruni

cortile Ventimiglia 5 Castelbuono (PA) tel. 0921 671228 Prezzo medio: 25 euro. Tempio rustico della cucina madonita.

Indirizzi utili

Ì Museo Mandralisca

www.fondazione mandralisca.it

Dove mangiare Ì Cala Luna

Vertigine siciliana: il Duomo di Cefalù offre 360 gradi di panorami.

Porto di Presidiana Cefalù (Pa)

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PERSONAL SHOP EVENTI

Appuntamento al golf

Dieci tappe per la 13esima edizione del Tour Mario Mele & Partners. DI FIORENZA BARIATTI

Asolo Golf Club: tre percorsi per un totale di 27 buche, scuola di golf per chi vuole avvicinarsi a questo sport o per migliorare il proprio gioco. Qui si pratica anche FootGolf: i giocatori calciano un pallone da calcio lungo il percorso che si snoda nel campo da golf riadattato in lunghezza.

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HE IL GOLF sia una pratica sportiva ancora in crescita lo dimostrano i dati comunicati dalla Federazione italiana golf secondo la quale, in termini di impianti, ha avuto incrementi quasi esponenziali. Andando indietro con gli anni scopriamo che dal lontano 1954 a oggi il numero dei circoli è aumentato di oltre 20 volte. E i dati crescono anche parlando di affiliati: nello stesso periodo le tessere distribuite sono passate da 1.220 a circa 100mila, con un incremento che supera di 80 volte il primo numero. E le certezze in questo mondo proprio non mancano. Una, ad esempio, si chiama Tour Mario Mele & Partners: di nuovo dieci tappe (si comincia al Bogogno Golf Resort, Novara, con un occhio rivolto allo scenario che offre il Monte Rosa e si finisce, il 30 settembre, al Golf Club Ca-

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rimate in provincia di Como). Ancora dieci le location in Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana e Lazio (due i campi new entry: il Golf Club Castelconturbia e il Golf Club Carimate). Tredici, invece, è il numero di questa edizione del Tour organizzato, come sempre, dalla Divisione Golf dell’agenzia che realizza progetti di comunicazione integrati interpretando le esigenze del mercato. «Il Tour» spiega Federico Goj, che di questi eventi sportivi è il direttore «è un momento d’incontro per gli appassionati (tra loro anche Barack Obama e Donald Trump anche se non giocano insieme, ndr) dove, oltre alle sfide in campo, è importante far vivere alle persone delle giornate a contatto con la natura». Non a caso la Fondazione Umberto Veronesi è Charity partner (Media partner sono, come sempre, Style Magazine, io Donna e Dove; Sky Sport conferma il suo supporto; mentre sponsor sono

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I Ciliegi, a pochi minuti da Torino, un campo disegnato da Luigi Rota Caremoli sviluppato su 30 ettari di terreno collinare a Pecetto. Il Club ospita la scuola di golf per i giovani dai sei fino ai 18 anni con programmi organizzati per fascia d’età e livello di gioco.

Acqua di Parma, Lindt, Rinascente e Zeiss; Pianegonda è Luxury jewels partner). Da questi brand arrivano premi, gift card e gadget. Al Tour italiano sono quindi previsti tanti regali per chi partecipa alle varie tappe, eppure la più importante manifestazione internazionale di golf, la Ryder Cup, non prevede altri montepremi che non siano la coppa e «l’onore della vittoria». Giocata per la prima volta nel 1927, è l’unica Cup nella quale l’Europa, anzi i 12 migliori golfisti europei, gareggia come squadra contro l’avversario, ovvero gli Stati Uniti e i suoi 12 top. Il prossimo anno, a cavallo tra settembre e ottobre, la gara internazionale si svolgerà a Roma presso il Marco Simone Golf & Country Club (anche tra le tappe del Tour Mario Mele & Partners). E, per ritornare ai numeri: l’ultima edizione della Ryder Cup giocata in Francia nel 2018 ha richiamato più di

270mila spettatori a Le Golf National, con dirette televisive in 160 Paesi collegati. Stiamo infatti parlando della disciplina sportiva individuale più praticata nel mondo con ben 65 milioni di giocatori. E non è poco. LE TAPPE DEL CIRCUITO aprile - Bogogno Golf Resort (No) e Marco Simone Golf & Resort & Country Club (Roma) maggio - Asolo Golf Club (Tv), Golf Club Castelconturbia (No) e Golf Club dell’Ugolino (Fi) giugno - Golf Club L’Albenza (Bg) e I Ciliegi Golf Club (To) 3 luglio - Golf Brianza Country Club (MB) 11 settembre - Golf Club Varese (Va) Finale: 30 settembre - Golf Club Carimate (Co) © RIPRODUZIONE RISERVATA

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GIORNALISTI VITTIME DI UN POTERE BRUTALE

L’attuale cronaca di guerra rimanda alla storia vera del reporter americano Charles Horman, inghiottito dalla repressione militare per aver scoperto le complicità tra i golpisti cileni e i servizi segreti del proprio Paese. Come racconta «Missing» di Costa-Gavras. DI ANDREA PURGATORI

L’ESPERIENZA del Cile socialista di Salvador Allende durò tre anni e finì in un golpe l’11 settembre del 1973 sotto le bombe che devastarono il palazzo presidenziale della Moneda, assediato dall’esercito agli ordini del generale Augusto Pinochet. Allende morì quello stesso giorno. Suicidato col kalashnikov che gli aveva regalato Fidel Castro, secondo alcuni. Ucciso dai golpisti che avevano fatto irruzione nei locali dove si era asserragliato insieme a un pugno di uomini della sua guardia di sicurezza, secondo altri. La repressione che seguì fu lunga e feroce; 40mila

i desaparecidos (tanti quanti se ne contarono dopo il golpe in Argentina) tra arresti, torture e voli della morte. Una tipica storia dell’orrore sudamericano degli anni Settanta di cui la Cia porta la responsabilità, anche se le carte desecretate dell’Intelligence e del Congresso dicono che l’amministrazione americana avrebbe «agevolato» le intenzioni dei militari «creando le condizioni» per il rovesciamento del governo democraticamente eletto senza avere un ruolo diretto nel colpo di Stato. Ma anche senza alcun intervento successivo per fermare quella mattanza.

Sissy Spacek e Jack Lemmon in una scena di Missing il film del 1982 scritto e diretto da Costa-Gavras che trasse la sceneggiatura, per la quale vinse l’Oscar, dal libro The Execution of Charles Horman: an American Sacrifice, scritto nel 1978 da Thomas Hauser.

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IL FILM DENUNCIAVA L’INGERENZA DEGLI STATI UNITI E DELLA CIA SOPRATTUTTO NEI PAESI LATINOAMERICANI CHE SCEGLIEVANO ESPERIENZE SOCIALISTE E COMUNISTE

IL FILM RAPPRESENTA da subito una spina nel fianco all’amministrazione americana a quel tempo guidata dal presidente Richard Nixon (dimessosi nel 1974 per lo scandalo Watergate) e dal suo braccio destro Henry Kissinger. All’uscita del film, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Cile al tempo del golpe arrivò a chiedere a Costa-Gavras un risarcimento di 150 milioni di dollari (respinto). La stessa cifra che 42 anni più tardi sono stati condannati a pagare alla famiglia di Horman gli assassini e lo Stato cileno. E il Dipartimento di Stato insieme alla Cia, inchiodati solo nel 1999 dalla desecretazione dei messaggi tra Santiago e Washington alla propria responsabilità

diretta nell’avere «agevolato», oltre al golpe, anche l’uccisione del giornalista, cercarono in ogni modo di contrastare la tesi su cui era stata costruita la sceneggiatura di Missing che, tratta dal libro The Execution of Charles Horman: an American Sacrifice di Thomas Hauser, vinse l’Oscar (Migliore sceneggiatura non originale a Costa-Gavras); il film ebbe altre tre nomination (Miglior film, Attore protagonista, Jack Lemmon, e Migliore attrice, Sissy Spacek). Nella pagina accanto: John Shea interpreta il giornalista Charles Horman in una scena di Missing. Scomparso in Cile durante il golpe militare del 1973, il suo corpo non fu mai ritrovato. Nel 1983, l’ambasciatore americano Nathaniel Davis, in servizio in Cile durante il golpe, fece causa per danni al regista e alla casa di produzione: i giudici la rigettarono perché il film era «privo di qualsiasi evidenza di dolo».

L’IDEA DI COSTA-GAVRAS era di denunciare l’ingerenza della politica degli Stati Uniti e della Cia nei Paesi del mondo, ma soprattutto latinoamericani, che sceglievano esperienze di governo socialiste o comuniste e favorire ogni soluzione che potesse impedirle. Dopo Z aveva continuato a farlo con État de siège (L’amerikano), sceneggiato da Franco Solinas, uscito nell’anno del colpo di Stato in Cile. Ma la forza dirompente di Missing è proprio il suo punto di partenza: la storia vera di un giornalista inghiottito dal buco nero della repressione militare per avere visto (o scoperto) le complicità tra golpisti e servizi segreti del proprio Paese, nonostante il passaporto americano avrebbe dovuto teoricamente fargli da scudo. Ed è quindi anche un film sulla libertà d’informazione, tanto più attuale pensando alla Russia di Vladimir Putin dove i giornalisti più scomodi sono stati fatti fuori uno a uno. Cosa che a Pinochet non riuscì col giornalista e scrittore Luis Sepúlveda, arrestato nel palazzo presidenziale dove finì il sogno democratico di Allende, torturato brutalmente e poi rinchiuso per sette mesi in una cella dove non poteva stare sdraiato né in piedi. Sette mesi dei quali parlò raramente fino alla sua morte per Covid nel 2020. Sette mesi che gli avevano cambiato per sempre l’espressione dello sguardo e del viso. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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NOVE ANNI DOPO esce nella sale Missing, Scomparso, diretto dal regista Costa-Gavras (già premio Oscar per un altro capolavoro del cinema politico che denunciava il golpe dei colonnelli in Grecia, Z-L’orgia del potere). Il film racconta la storia vera di Charles Horman, un giornalista freelance americano che vive in Cile e scompare pochi giorni dopo il colpo di Stato. Suo padre Ed (nel film è interpretato da Jack Lemmon) parte da New York per capire cosa gli sia successo e nella sua ricerca si trova davanti al muro di gomma dei militari, dei servizi segreti e dell’ambasciata degli Stati Uniti che cercano in tutti i modi di depistarlo. La verità viene a galla un pezzo alla volta e soltanto dopo decenni attraverso una serie di processi che si trascinano fino al 2015, quando la Corte di giustizia di Santiago condanna per l’uccisione di Horman due ex agenti della Dina, la polizia segreta di Pinochet: Pedro Espinoza Bravo e Rafael González Berdugo. Ma non il terzo responsabile: Ray Davis, capo del gruppo militare inviato da Washington per assistere la giunta golpista, che nel frattempo è deceduto. Il corpo di Horman non è mai stato ritrovato.


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IL TEMPO SENZA TEMPO

Il confronto tra passato e presente non basta più: con un titolo che sa di matematica, «Espressioni con frazioni», una mostra al Castello di Rivoli s’interroga sulle contraddizioni dell’oggi, tra l’obsolescenza del soggetto umano visto come individuo e la vanità di massa veicolata dai social media. DI MARTINA CORGNATI

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N ASTRONAUTA, Human One, in perpetuo movimento fra lo spazio fisico e quello digitale progettato da Beeple, il più celebre artista digitale del mondo, a confronto con un drammatico ritratto di Francis Bacon, Study for Portrait IX (1956-7); una vibrante composizione astratta di Julie Mehretu, Orient (after D. Cherry, post Irma and Summer), faccia a faccia con Velocità astratta di Giacomo Balla (1913). Sembra che l’incontro fra immagini e installazioni contemporanee e altre pienamente storicizzate sia diventata prassi quasi inevitabile dei curatori di oggi. Ma la mostra, Espressioni con frazioni, allestita in questi mesi al Castello di Rivoli e altre sedi del complesso museale (fino al 17 luglio) fa ancora di più: il dialogo non è solo binario e non riguarda soltanto il nostro tempo e il recente passato ma tutto il tempo possibile e l’intera esperienza dell’arte in quanto forma di

espressione antropologica, essenzialmente umana. Che si confronta oggi con la crisi più grave degli ultimi 70 anni, cioè il tempo di oltre due generazioni cresciute, almeno in occidente, al riparo dalle esperienze più dure attraversate invece da padri e nonni. «QUESTA MOSTRA prova a indagare le contraddizioni del presente attraverso una prospettiva globale» spiega Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contemporanea e co-curatrice della rassegna insieme a Marcella Beccaria, Marianna Vecellio e Fabio Cafagna, con il coordinamento di Anna Musini. «Da una parte abbiamo l’evidente obsolescenza del soggetto umano “individuale”, dovuta alle esigenze di una complessa co-evoluzione multispecie capace di incidere sull’antropocene per giungere a forme di giustizia climatica e sociale; dall’altra invece le forme di vanità di massa veicolate dai social media

Nella pagina accanto, Human One, 2021, video scultura dell’artista digitale Beeple (Mike Winkelmann) che funziona sia nel mondo fisico sia in quello digitale NFT.

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e amplificate nella nostra epoca dei selfie e dell’iper-rappresentazione del sé, due aspetti uniti alla celebrazione della tecnologia». L’arte ha sempre, a suo modo, apprezzato la tecnologia, come ci insegnano i futuristi ma anche gli impressionisti, e ha sempre denunciato gli abusi, la violenza e le crisi; per questo è indispensabile interrogarla oggi che la nostra civiltà è posta di fronte a sfide multiple, in parte dimenticate e in parte inedite: la pandemia, la guerra e, meno osservato ma non meno pericoloso, il cambio climatico che rischia ormai di trasformare molto velocemente le possibilità di vita biologica sul nostro pianeta. Di fronte a tutto questo la curatela ha spalancato le porte nel tempo e nello spazio, raccogliendo opere fra le più innovative, come il fantasmagorico Human One di Beeple (2021), la video scultura cinetica che funziona sia nel mondo fisico sia in NFT, e le più tradizionali, quali immagini delle pitture rupestri preistoriche realizzate da Cla-


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COURTESY THE ARTIST AND THE COLLECTOR


U Can’t Touch This, 2021, dell’artista aborigeno australiano e attivista politico Richard Bell, uno dei fondatori di proppaNOW, collettivo artistico di Brisbane.

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La rassegna riunisce molte visioni su che cosa vuol dire essere umani oggi e mette insieme artisti del mondo tradizionale e quelli del digitale NFT

FOTO: CARL WARNER, COURTESY THE ARTIST AND MILANI GALLERY, BRISBANE

rence Bicknell (Herne Hill, 1842; Casterino, 1918); opere di denuncia sociale, fra cui la videoinstallazione inedita del grande artista e attivista politico aborigeno Richard Bell, Bulldozer Scene No Tin Shack (2022), che rievoca la demolizione della baracca in cui viveva avvenuta quando aveva 14 anni, e di consapevolezza ecologica ed ecologista: Uýra Sodoma, ad esempio, intreccia la saggezza ancestrale degli indigeni brasiliani alle canoniche conoscenze scientifiche e biologiche della modernità, evocando memorie perdute relative alla vegetazione e presentandosi come «un albero che cammina», un’entità ibrida di un umano e una pianta il cui aspetto è in continua evoluzione.

UN’INTERA SEZIONE della rassegna, Una lettera dal fronte, il cui titolo richiama il celebre quadro del realismo sovietico di Aleksandr Laktionov (1947), è dedicata al tempo presente degli artisti e artiste ucraine, rappresentate da una dozzina di autori fra cui Dana Kavelina, Lesia Khomenk, Yuri Leiderman, Lada Nakonechna, R.E.P., Daniil Revkovsky & Andriy Rachinsky e Oleksiy Sai. Il loro lavoro è documentato da film e immagini in movimento, sottratte in qualche modo ai bombardamenti e agli assedi, talvolta soltanto nel cloud e su piattaforme digitali. Gli artisti ucraini, che sono attualmente bloccati nelle città sotto assedio oppure sono riusciti a rifugiarsi nelle zone di frontiera o nei Paesi confinanti, si stanno mobilitando all’interno o all’esterno dei confini del loro Paese lacerato dalla guerra. Una situazione che ci riporta quasi bruscamente alle pagine più buie della storia del Novecento, quando in-

dividualità e creatività finiscono schiacciate nella macchina impersonale della violenza. Invece, nella soggettività più intima ci immerge il lavoro dell’artista e psicanalista franco-israeliana Bracha L. Ettinger, Bracha’s Notebooks, dipinti e quaderni che modulano insieme disegno e parola scritta in tre lingue (francese, inglese ed ebraico), lingue del lavoro e della memoria autobiografica dei genitori sopravvissuti alla Shoah, per intervenire con grazia e intensità sugli spazi dell’inconscio, del visibile e dell’invisibile, ed enfatizzando la capacità terapeutica dell’arte. Ne abbiamo bisogno perché i due anni di ristrettezze e silenzi imposti dalla pandemia hanno esasperato il disagio sociale e fatto esplodere non poche latenze. Ne sa qualcosa l’artista britannico Ed Atkins, che ha lavorato nella «Camera della Mamma» di Villa Cerruti, la preziosa dimora del grande collezionista Francesco Federico Cerruti situata a Rivoli proprio nei pressi del Castello e divenuta da poco parte del polo museale con tutto il suo inestimabile contenuto. La sua video-installazione, The Worm, girata durante i mesi del lockdown, documenta una telefonata tra l’artista e sua madre, forzosamente separati dall’emergenza Covid, in una situazione struggente e umoristica al tempo stesso. Lasciando risuonare innumerevoli precedenti, compresa La voix humaine di Jean Cocteau (1930), e il rapporto simbiotico che pare riguardasse lo stesso Cerruti e sua madre, Ines Castagneto, l’intervento tocca problemi e bisogni molto concreti legati alla socializzazione ma anche all’alienazione data dalle tecnologie: infatti, l’unica presenza visibile è l’avatar dell’artista. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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IMMAGINAZIONE E PAROLE IL POTERE DEL LINGUAGGIO Diciassette narratori e poeti hanno scritto un componimento originale per raccontare l’Amore. Li ha scelti Pierpaolo Piccioli per dare vita alla campagna «Valentino The Narratives II». E, insieme, hanno stabilito un nuovo punto di partenza per la relazione tra moda e letteratura.

DI MICHELE CIAVARELLA

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CCORRE FARE una premessa: di fronte a una campagna pubblicitaria di un marchio di moda composta soltanto di parole si deve fare un atto di fede e credere al presupposto che la moda, come l’amore e come la bellezza, è capace di produrre una letteratura. Di certo, il sistema del fashion — nel lato creativo e in quello organizzativo — ha un proprio linguaggio derivato dalla scelta e dall’adozione di concetti funzionali alla sua espressione e fa della parola non solo un mezzo di comunicazione ma lo strumento di persuasione della sua stessa creatività. Raccontando la scelta della campagna Valentino The Narratives II costruita con le parole di 17 scrittori internazionali, il direttore creativo della Maison romana, Pierpaolo Piccioli, dice infatti che «nel momento in cui

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La sfida della campagna Valentino The Narratives II è comunicare con le parole in un presente in cui il livello medio di attenzione a un testo scritto è di 30 secondi.


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La parola ha una vita autonoma che prescinde dall’oggetto o dal fatto che deve descrivere e si trasforma essa stessa in un potere. Non è detto che debba esprimere la realtà perché può benissimo raccontare il sogno

inizio a lavorare a una nuova collezione, ho già in mente l’immagine finale. So esattamente il punto di arrivo. Il fine è poi quello di trasmettere il picco di creatività al mio team attraverso le parole. Le parole giuste, a volte, hanno la capacità di evocare immagini nelle nostre menti. Possono guidare il nostro processo creativo senza ostacolarlo. Il processo può certamente diventare più razionale ma deve essere comunque evocativo per le persone che lavorano con me». La parola, quindi, costruisce il linguaggio attraverso il quale comunicare e non è detto che debba esprimere per forza la realtà ma può benissimo raccontare il sogno, non deve necessariamente trasferire la cruda verità ma è capace di inventare mondi. La parola ha una vita autonoma che prescinde dall’oggetto o dal fatto che deve descrivere e si trasforma essa stessa in un «potere». Gòrgia di Leontini, sofista greco del terzo secolo e inventore della retorica, nel suo Encomio di Elena, concepito per scagionare la moglie di Menelao che, fuggita con Paride, causò la guerra di Troia, scrive: «La parola è un gran dominatore che, con piccolissimo e quasi invisibile corpo, sa compiere cose molto divine; riesce infatti sia a calmare la paura, sia a eliminare il dolore, sia a suscitare gioia, sia ad aumentare la pietà». Se, quindi, le parole che confluiscono nei discorsi e li costruiscono servono a convincere gli interlocutori attraverso un meccanismo che suscita le loro emozioni e indirizza i loro com-

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portamenti si capisce come il legame tra la parola e la moda sia di natura simbiotica: una aiuta l’altra a essere più chiara, più precisa, più convincente. Tanto è vero che, sempre secondo il filosofo, «il discorso migliore non è quello più vero, ma quello più convincente e meglio argomentato». QUESTO SECONDO appuntamento di Valentino con la parola in The Narratives, quindi, assume un significato ulteriore rispetto al consueto rapporto della moda con la parola e lo trasforma in un legame con un’arte precisa, liquida e diffusa: la letteratura. Valentino The Narratives II è, infatti, la prosecuzione di un impegno della Maison condotta da Piccioli con la letteratura. Il primo episodio è nato con la performance della poetessa Rupi Kaur durante la sfilata del 2018 a Tokyo ed è proseguito con la serie On Love che ha visto protagonisti Yrsa Daley Ward, Moustapha The Poet, Greta Bellamacina, Robert Montgomery: ne è nata Narratives I, una collaborazione speciale con le librerie indipendenti di tutto il mondo. La diversità di questa «seconda serie» dell’iniziativa sta nel fatto che Piccioli ha scelto 17 scrittori e poeti ai quali ha chiesto di scrivere dei minipoemi, in prosa o in versi, dedicati all’Amore (sì, proprio con la «A»). Alok VaidMenon, Amia Srinivasan, André Aciman, Andrew Sean Greer, Brit Bennett, David Sedaris, Douglas Coupland, Elizabeth Acevedo, Emily

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La prosa e la poesia sono aspetti fondamentali del processo creativo di Pierpolo Piccioli che anche nei moodboard ispirazionali mescola immagini e parole. Il primo progetto del marchio con la poesia è del 2018 quando la poetessa Rupi Kaur si è esibita dal vivo nella sfilata di Valentino a Tokyo.

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Ratajkowski, Fatima Farheen Mirza, Hanif Kureishi, Leïla Slimani, Melissa Broder, Michael Cunningham, Mieko Kawakami, Murathan Mungan e Chung Serang, tutti letterati che sperimentano la libertà di genere, hanno composto un inno all’Amore «in tutte le sue forme e in tutti i suoi significati» che costruisce l’unico filo conduttore di questa la campagna «di sole parole» che si svilupperà fino al prossimo novembre. SULLE PAGINE colorate di rosa fucsia, di malva fiorita, di giallo curry, di verde quercia, si leggono le composizioni di poeti e scrittori che raccontano la loro visione del sentimento più declamato dell’umanità. «So che l’amore è un lavoro sporco; devi sporcarti le mani. Se ti trattieni non succede nulla di interessante» scrive Hanif Kureishi, adorato autore del bellissimo My Beautiful Laundrette. E l’autore di Holidays on Ice, David Sedaris, sembra rispondergli: «Il vero amore equivale a nascondere la verità, anche quando ti viene offerta l’occasione perfetta per ferire i sentimenti di qualcuno». Mentre l’autrice franco-marocchina Leïla Slimani mette il punto su tutto: «Moriamo tutti sconosciuti, ma se abbiamo amato, se abbiamo dedicato il nostro cuore a un altro, anche per un momento, la nostra vita ha contato qualcosa». È quindi un legame che produce effetti speciali quello che c’è tra la moda e la lettera-

tura? Se la motivazione che ha mosso Piccioli a comunicare la sua creatività con questo strumento persuasivo sta nel fatto che «sono un lettore di poesia e questo mi aiuta a visualizzare le parole ed esprimere le mie emozioni e la mia visione attraverso di esse», la corrispondenza tra una creatività che costruisce storie e un’altra che inventa abiti non può fermarsi a una pura apparenza ma deve indagare i meccanismi del linguaggio. «I moodboard ispirazionali delle collezioni prendono vita, e comprendono, referenze artistiche, musicali, culturali, fotografiche e cinematografiche. Inizio con una visione che poi, tramite le parole, si tramuta in sketch, collezioni ed emozioni che trasmettono i valori nei quali credo». Ed è proprio in questo nostro presente confuso in cui la parola e l’immagine vengono veicolate a ripetizione su mezzi senza filtri che il potere straordinario della parola può apparire minaccioso perché può causare danni molto gravi. Esattamente come un’immagine che comunica valori di sopraffazione, di divisione, di violenza. Forse, l’invito ultimo di questa campagna non è semplicemente «te lo dico con le parole» ma un incoraggiamento a curare il nostro linguaggio esattamente come facciamo (o dovremmo fare) con la nostra immagine. Ed è qui, proprio sul terreno del linguaggio e non su quello dell’emozione, che la relazione fra la moda e la letteratura (e quindi tra l’abito e la parola) trova il suo terreno di incontro più fertile. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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COURTESY OF VALENTINO #VALENTINONARRATIVES @MAISONVALENTINO

La corrispondenza tra una creatività che racconta storie e sentimenti e un’altra che inventa abiti e immagini non può fermarsi a una pura apparenza ma deve indagare i meccanismi del linguaggio


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Naturalia DI MICHELE CIAVARELLA - FOTO DI PAOLA DOSSI - STYLING DI GIOVANNI DE RUVO

La natura mescola le lussuose espressioni del manto animale insieme ai fiori, alle venature delle cortecce dei tronchi e ai camouflage formati dalle onde. Comme des Garçons

GRANDI FIORI IN BIANCO E NERO COSTRUISCONO LA GIACCA E LA PARTE BASSA DEL SOPRABITO CHE LA COULISSE UNISCE AL TOP IN PELLE

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PIAZZARE i riferimenti è il vero metodo di lavoro di Rei Kawakubo, inventrice, direttrice creativa e musa di se stessa per Comme des Garçons. In lei c’è quell’ostinazione a non arrendersi alla facilità del racconto e alla didascalia delle immagini che la porta a ottenere realtà plausibili ma inaspettate. Nel look fotografato in questa pagina riesce, infatti, a far dialogare referenze molto diverse che potrebbero anche apparire in contraddizione le une con le altre. La giacca e la parte bassa del soprabito, infatti, sono lavorati in jacquard con mega corolle di fiori in ramage riprodotte in bianco e nero e, nello stesso tempo, la referenza punk della pelle nera si lega alla parte floreale «romantica» attraverso una coulisse. Kawakubo fa un doppio salto: racconta una controcultura giovanile in auge molti decenni fa, l’attualizza richiamando il tema contemporaneo dell’attenzione della moda verso la natura e mostra che anche il tema della sostenibilità può essere raccontato con creatività.

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Dior Men

Celine Homme

ANORAK E CAMICIA IN TAFFETÀ TECNICO CON MOTIVO DI CAMOUFLAGE DOVUTO ALLA STAMPA ALL OVER DI «ADRIATIC DIOR»

GIACCONE IN VITELLO STAMPATO PITONE, CAMICIA IN DENIM LAVATO E CANOTTA IN VITELLO ARGENTATO CON DETTAGLI METALLICI

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A SPERIMENTATA tecnica di marketing che ha portato a far diventare rilevante, per la moda e per il mercato, le collaborazioni tra aziende (anche quelle che si occupano di ambiti diversi tra loro) ha dato vita non soltanto a una nuova «famiglia» di prodotti ma anche alla possibilità di dare risorse a cause sociali e ambientali. Questa che Kim Jones, il direttore creativo della linea maschile di Dior, ha voluto con Parley Ocean Plastic®, il network di attivisti internazionali che si occupa di pulire gli oceani dalla plastica e da altre minacce ambientali, ha il pregio di sensibilizzare, attraverso un prodotto ad alto contenuto moda, un pubblico che spesso preferisce non vedere. La stampa esclusiva «Adriatic Dior», infatti, imprime il nylon riciclato e lavorato per essere trasformato in un taffetà cangiante attraverso un effetto di camouflage tremblant dell’anorak e della camicia. E pensare che avrebbe dovuto essere soltanto una «beachwear capsule».

E DECIDE di raccontare le tensioni giovanili di quella parte del mondo sociale che decide di esplorare, Hedi Slimane non lo fa mai in forma neutra. Nonostante sia accusato di ripetere all’infinito le proprie manie e, pure, le idiosincrasie, anche nel suo progetto per Celine Slimane non si risparmia nel lanciare messaggi in cui, per lo meno, crede. Con questa collezione, che presenta nel circuito di motocross FMX di free riding nell’isola francese di Embiez, usa i droni per catturare dall’alto l’energia maschile degli adolescenti che, contrariamente a quanto mostrano molte serie tv, riescono a convivere tra la tensione a diventare adulti e quella a conservare l’entusiasmo infantile sia pure mostrando un’attitudine romantica ed erotica. Una lotta continua che Slimane descrive con giacconi oversize stampati o ricamati, tocchi glamour delle splamature metalliche sui capi in pelle, inserti metallici di memoria punk. In un’accezione molto edonistica della Gen Z.

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Gucci

Alexander McQueen

GIACCA IN LANA CON STAMPA DI GRANDI COROLLE, SPALLA ALTA E TASCHE A TOPPE. CAMICIA IN COTONE E PAPILLON IN SETA

ABITO IN LANA E CAMICIA IN COTONE CON LE STAMPE DEI DISEGNI DELLA «DIVINA COMMEDIA» ILLUSTRATA DA WILLIAM BLAKE

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NA REPLICA estetica che prende il via dalla fotografia della memoria non può che esaltare il riferimento naturale che la produce. Da quando è alla guida stilistica di Gucci, Alessandro Michele ha fatto dell’appropriazione dei canoni e della cultura dei riferimenti una propria strategia creativa che, data la sua originalità, non può essere un modello replicabile da altri metodi creativi. Nella giacca (foto sopra), che nasce dai riferimenti hollywoodiani confluiti nella collezione Love Parade e che potrebbe essere un costume di scena per Bugsy Siegel (l’inventore di Las Vegas), oltre ai riferimenti floreali c’è anche tutta la filosofia della moda di Michele. Che, infatti, dice: «La mia Hollywood è in strada. Ci si può vestire senza orario e senza occasione. L’umanità che io immagino di vestire vive nel giardino delle delizie che è un luogo pieno di differenze: vedo la bellezza ovunque». Che è lo stesso discorso di ogni esperto naturalista.

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NO DEI POTERI della creatività della moda è quello di avere la capacità di mescolare referenze diverse. In una collezione che parla di molte subculture giovanili, movimento punk compreso, Sarah Burton inserisce anche un riferimento alle illustrazioni di William Blake della Divina Commedia di Dante Alighieri conservate alla Tate Gallery di Londra (confluite anche in un libro edito da Taschen). La direttrice creativa di Alexander McQueen, quindi, sceglie il Canto 29 del Purgatorio, quello che parla dell’incontro del poeta con Beatrice accompagnata da un grifone, ed è evidente che il suo occhio viene attratto più dal leone con la testa di uccello che dalle due persone. Ne ricava un tratto naturalistico che si posiziona sulla giacca, sui pantaloni a sulla camicia per disegnare un riferimento alla capacità mimetica della natura, a metà strada tra le cortecce dei tronchi e le pitture rupestri, primi esempi di dialogo tra l’uomo, la natura e l’arte.

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M E N S FA S H I O N

Riportare nella moda i riferimenti alla natura vuol dire riabilitare un punto di vista ottimista tipico di chi, avendo vissuto momenti storici importanti, fa una scelta deliberata di ricordare e di raccontare solo ciò che è bello. E organizza il futuro alla luce di questa scelta

Dolce&Gabbana

LA GIACCA FA PARTE DI UN ABITO IN SETA MACULATA JACQUARD. È STRETTA SUI FIANCHI E HA I REVERS MOLTO AMPI E CHIUSI IN ALTO. DA INDOSSARE A PELLE

SI RINGRAZIA TAILOR’S (TAILOR.IT)

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ON C’È alcun dubbio che nella moda la citazione del manto degli animali sia un riferimento al rapporto (perduto?) con la natura. Il cosiddetto animalier è da sempre un riferimento a quella visione wild della vita che i vestiti da sempre impediscono. Quindi, la macchia del leopardo su una giacca dal taglio sartoriale è non solo la citazione del lussuoso aspetto dell’animale ma un invito a liberarsi dai pregiudizi che le forme sociali hanno impresso come un marchio indelebile sulla cultura maschile. È un messaggio che, con la loro Dolce&Gabbana, Domenico Dolce e Stefano Gabbana utilizzano da anni senza fare alcuna differenza tra le collezioni femminili e quelle maschili. In questa della p-e 2022, che hanno intitolato Light Terapy, tra applicazioni di pietre colorate che mimano le lucine delle luminarie e le giacche a rete, spicca questo jacquard maculato che racconta un inguaribile ottimismo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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STYLE SELECTION

Preziosi italiani DI FIORENZA BARIATTI

Made in Italy, in argento 925, ispirati ai simboli della seduzione. Bracciali e anelli maschili come una «seconda pelle». LA STORIA di Milor Group comincia nel 1955.

Nata come azienda proprietaria di marchi di gioielli, accessori e orologi per donne e uomini, è una società familiare tuttora gestita dai fratelli Mouhadab. Uno di loro, Albert, designer, ne è il direttore creativo. Nato in Libano, ha fatto di Milano la sua città di elezione; si è occupato di gemmologia e nell’azienda di famiglia ha lavorato per lo sviluppo internazionale e nella creatività. La sua specializzazione, nel tempo, è diventata saper trovare gli artigiani migliori, quelli che sanno usare tecniche tradizionali e digitali, quelli che sanno abbinare lo stile antico al moderno nei loro manufatti. Trent’anni di carriera richiedono quindi una sorta di celebrazione che si concretizza nella realizzazione di un altro brand, Albert M., nato, come spiega Mouhadab, «da un concept in grado di rappresentare la dimensione onirica e terrena

Tutti i modelli della collezione di gioielli Albert M. sono realizzati in argento 925, reso unico grazie alla finitura Ink Texture che crea un effetto di colorazione e una particolare definizione delle superfici di ogni prezioso (sopra bracciali e anello maschili).

tramite un design essenziale dai pattern contemporanei. Un omaggio alle forme originarie e iconiche della terra e del mare presentate attraverso una collezione audace e ricca di racconti misteriosi». Non a caso, quindi, Albert M. decide di raccontare le sue origini con una collezione chiamata Mistero: «Preziosi oggetti che trovano ispirazione nei simboli della seduzione, come la Sirena, e in quelli più trasversali del mondo animale: un pattern preciso capace di toccare il nostro più autentico desiderio di natura». I gioielli sono made in Italy e realizzati in argento 925, reso unico grazie alla finitura Ink Texture, procedimento che deriva da una rara tecnica decorativa a china giapponese; gli intarsi sulla superficie di bracciali e anelli sono dipinti con un pigmento indelebile piacevole al tatto; e, infine, particolari lavorazioni danno ai manufatti un effetto soft, setoso come una «seconda pelle». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Alessandro Gherardi

La «bella camicia» diventa come, quasi, una seconda pelle

«L

a camicia più bella sarà la prossima». Lo afferma Alessandro Gherardi, camiciaio da ben 45 anni, parafrasando un celebre aforisma di Enzo Ferrari. Eppure la collezione p-e 2023 già promette molto bene. D’estate si osa un po’ di più e la camicia classica può essere sostituita con una camicia più insolita e pur sempre elegante. Protagonista è il lino, nobile e naturale, declinato in fantasie madras a grandi scacchi e in stampe esclusive.

Camicia con pinces in popeline di cotone stampato con motivo floreale.

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Piacevole addosso (perché impalpabile) è anche il tessuto seersucker: lavorato con fili di tensioni diverse, il cotone ha un aspetto leggermente arricciato. In una collezione moderna, non possono comunque mancare i materiali tecnici come quelli della linea Athletic. Immancabile anche per la prossima estate è Casual, una capsule di dieci modelli, tra overshirt, polo, bowling e button down, dai trattamenti particolari.

L’ARTIGIANALITÀ ITALIANA È QUI UNITA ALLA COSTANTE EVOLUZIONE DELLE TECNICHE PRODUTTIVE E PERFORMANTI

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Antony Morato

Nuove mete per il viaggio che il brand propone ogni stagione

«Parla» con il linguaggio delle nuove generazioni la collezione Sydne ey: #beach&city, #naturalcolors, #graffiti, #minimal.

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uattro città molto diverse fra loro ma, se possibile, tutte da visitare almeno una volta nella vita: Las Vegas, Sydney, Dubai e Detroit. Ecco i luoghi che rappresentano le tappe virtuali della nuova collezione firmata Antony Morato (che festeggia i suoi primi 15 anni con un party a Pitti), megalopoli in cui perdersi per poi portare con sé tutte le sensazioni proprie del viaggiare. Questo «magnetismo urbano» si riflette nell’abbigliamento: colori pop, tessuti naturali,

stampe e pattern floreali, e tutto rimescolato in modo moderno, in una sorta di melting-pot dello stile. Parecchie anche le citazioni alle mode cittadine degli Ottanta e Novanta: per i primi ci sono le stampe sfrontate, per i secondi le linee pulite e un po’ squadrate, i materiali scivolati. Altra novità della stagione è la reinterpretazione dei loro capi Timeless: i completi, le polo, i pantaloni e la maglieria hanno un'allure tutta nuova.

QUINDICI ANNI DI STORIA GUIDATI DA UN PRINCIPIO: NELLE PROPOSTE CREATIVE NON DIMENTICARE LE ESIGENZE DEGLI UOMINI

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Baracuta

G9 Harrington Jacket: nuova personalità grazie al design

I

l bomber G9 Harrington Jacket è uno dei simboli indiscussi del guardaroba maschile: creato da Baracuta (marchio nato a Manchester, Inghilterra, nel 1937) lo si ricorda indossato da Steve McQueen, Elvis Presley e James Dean, solo per citare alcuni divi. Oggi G9 si rinnova e si «sdoppia»: da una parte diventa Campus Jacket, simile a un classico blazer con bottoni abbinato a un colletto di camicia. Dall'altra è Aviator Jacket, la giacca da aviatore

La collaborazione con i migliori fumettisti italiani nella realizzazione dei cataloghi è diventato un punto chiave nella comunicazione di WP e uno dei suoi tratti più distintivi. Sopra: G9 Aviator Jacket.

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realizzata in suède. E poi ci sono tutti gli altri giubbini dai colori estivi che richiamano l’estetica dei giardini in fiore inglesi: dal turchese, al giallo, al rosso intenso, fino al Rosa Tudor, simbolo del Paese per antonomasia. I tessuti vanno dal Baracuta Cloth, il più riconoscibile, che offre una protezione impareggiabile da pioggia e vento, al cotone Polo Cable Knit, per i capi dal taglio più sportivo.

FONDATO 40 ANNI FA, WP È UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER MODA E LIFESTYLE. TRA I BRAND DISTRIBUITI: BARACUTA, BARBOUR, WOOLRICH...

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Barrett

La spensieratezza degli intramontabili mocassini I loafer della linea Riviera (sotto) sono il must have della collezione (sopra).

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tmosfere riprese da Il talento di Mr. Ripley nella versione filmica di Anthony Minghella: voglia di leggerezza, di mare, sole, e ritrovate vacanze sulla costa. È a questo desiderio di evasione (finalmente) che s'ispira la nuova collezione di Barrett. Nei mocassini quell’aria da spensierato avventuriero è data da un dettaglio come gli accessori in ottone antico. Ci sono anche le lavorazioni destrutturate e i pellami: i vitelli sfoderati e il camoscio

sono trattati con conce morbide, soffici ma resistenti. La scarpa icona di questo marchio — nato nel 1917 a Parma dal fortunato incontro tra il proprietario di una conceria nell’East End londinese, John Richardson Barrett, e una storica bottega emiliana di calzature, la «Zanlari e Tanzi» — per la prossima p-e diventa Riviera: mocassino flessibile, con la tomaia arricchita da fibbie o anelli ferma fiocco e la suola quasi piatta.

IL MARCHIO HA SCELTO UN FIL ROUGE DI POCHE,CHIARE, PAROLE: «LEGGEREZZA» E (FINALMENTE) «RITORNO ALL’ARIA APERTA»

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Briglia 1949

Mancava qualcosa ma ora c'è: Upcycled_, ovvero sostenibile

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i sono tessuti bellissimi che vengono però abbandonati, gettati via dopo una sola stagione. Briglia 1949, azienda campana di pantaloni dallo spirito sartoriale, presenta la sua linea Upcycled_ i cui capi sono confezionati con materiali riportati a nuova vita, jersey sorprendenti, cotoni morbidi. I pantaloni (quelli Upcycled_ sono di ispirazione militare o si rifanno al mondo della working class) hanno un numero di serie, che è garanzia di quantità

Pantaloni classici che fanno parte della collezione continuativa del brand.

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limitata, e un proprio QR code per la tracciabilità. A Pitti presentano anche diversi altri modelli come Oxford e Basilea, pantaloni e shorts in nylon tecnico, o i Cortina con le zip. Infine, c'è anche la conferma della collezione Genderless: pantaloni per tutti, per lei o per lui, a prescindere dal genere, con vestibilità morbide e contemporanee (ad esempio nelle proposte a colori forti come il fucsia, il viola o il senape).

GENDERLESS: VESTIBILITÀ MORBIDE E CONTEMPORANEE E, ANCHE PER QUESTO, SENZA LIMITI DI GENERE

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Filippo De Laurentiis

Mano artigiana per maglie, polo e T-shirt estive

Lavorazioni colorate per maglie e polo. Anche in seta e lino per esaltare l’aspetto naturale (a destra).

L

a maglia estiva, da uomo: deve essere morbida, piacevole da indossare (con o senza giacca sopra) in ogni momento della giornata, come una «coccola da concedersi». Filippo De Laurentiis, marchio di maglieria di lusso nato a Pescara nel 2013 (molto legato al suo territorio abruzzese, ma con un’anima internazionale: esporta in tutto il mondo), declina la maglia in quattro linee diverse: Skyline, Satori, Club e Lido. Skyline vuol dire linee pulite e colori neutri,

cotone ritorto e lino per polo oversize e felpe. Satori ha un’anima zen, rilassata: i capi hanno gli scolli ampi e sono di seta o lino. Club, invece, è una collezione di polo e maglie bowling arricchite da trecce, nido d’ape e costa inglese. Infine Lido ha una vocazione assolutamente estiva: alcuni capi sono in spugna, tinta unita o fantasia. Comuni denominatori? L’artigianalità e il made in Italy.

LE STORIE DELLE QUATTRO COLLEZIONI SONO RACCONTATE ATTRAVERSO POESIE TRASCRITTE NEI PENDENTI DI OGNI MAGLIA

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Fiorio Milano

Appare e scompare (il motivo su) il costume fantasma

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ravatte sartoriali e i cosiddetti soft accessories: pochette, sciarpe da uomo... Questo è Fiorio Milano, marchio del 1946. Come ogni estate però il brand arricchisce la sua proposta con una collezione mare e il suo costume Ghost, presentato a Pitti, ne è il protagonista. Un buon mix fra sorpresa e grande artigianalità dato che, una volta bagnato, svela un delicato disegno ton sur ton che scompare quando è asciutto. E la proposta estiva

All’apparenza tinta unita, questo speciale costume a contatto con l’acqua rivela disegni, tono su tono, che una volta asciutto scompaiono nuovamente. A fianco: soft accessories.

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continua con i teli da mare, le camicie in lino, in tanti colori oppure che riprendono le fantasie dei costumi, le borse, alle quali si possono abbinare le pochette, i giubbini e i cappelli da basket. La cravatta (da 70 anni ancora oggi cucita a mano) resta comunque il «primo amore» anche durante la bella stagione: il colori sono vivaci, quasi tridimensionali, con una preferenza per tessuti opachi e rustici come cotone e lino.

NEI BOXER MARE DEL BRAND C'È L’ECCELLENZA SARTORIALE: LA CURA PRODUTTIVA ARTIGIANALE E L’ATTENZIONE PER I DETTAGLI

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Impulso

Un po’ città e un po’ mare: i bermuda vanno ovunque

Abbinamenti: sopra e a destra, felpe con cappuccio coordinate con bermuda in cotone con trattamento tie-dye.

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a voglia di stare in vacanza, di respirare il mare e di portare, perché no, un po’ di quel profumo di salsedine anche in città. S’ispira a questa leggera disposizione d’animo la nuova collezione di Impulso, uno dei brand dello storico Maglificio Liliana di Moncalieri, Brescia (fondato nel 1969). Si parte dai colori, intanto quelli forti, vitaminici, e poi si conferma la tendenza del tie-dye, la tecnica di decolorazione del tessuto tanto cara ai surfisti anni Ottanta. I più arditi osano

con il completo felpa e pantaloncini in spugna (i materiali spaziano da quelli tecnici alle fibre naturali, con un occhio al cotone organico), gli altri li alternano, anche per andare al lavoro in città. Sempre per l’ufficio le camicie «over» con i tasconi hanno preso definitivamente il posto dei vecchi capispalla strutturati di una volta. Per sedersi alla scrivania pensando già alla spiaggia che verrà.

TOTAL LOOK IN TESSUTO SPUGNA, TINTURE TIE-DYE, TAGLI AMPI E VOLUMI MORBIDI. CAPPUCCI IMMANCABILI

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Incotex Blue Division

Un nuovo brand combinazione di saperi e maestria

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l jeans può essere un capo sartoriale? Sì, ma ci vogliono creatività, innovazione e competenza. Il denim si unisce all’artigianalità grazie a Incotex Blue Division, brand nato da un incontro fra Incotex (marchio di pantaloni di lusso che ha origine a Venezia negli anni Cinquanta) e Giada Spa, azienda leader nella produzione di denim pregiato. Nascono così modelli cinquetasche «facili», ma tagliati alla perfezione, realizzati in 30 diversi tessuti e ben

Denim versione sartoriale soprattutto nei particolari (foto a destra). In occasione di Pitti, Incotex Blue Division propone a Firenze un progetto d’artista sul tema Denim: a new Renaissance realizzato dall’illustratore Pierluigi Longo (presso Rinascente, piazza della Repubblica).

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45 lavaggi. Le linee presentate a Pitti sono tre: Couture, Lab e Superior. La prima è la quintessenza della sartorialità applicata al jeans: ci sono le pieghe anteriori, le tasche all’americana e una particolare costruzione in vita. Lab invece è più «sperimentale»: i pantaloni sono realizzati in tessuti sostenibili con trattamenti a impatto zero. E infine c’è Superior: il comfort è assoluto, grazie ai tessuti morbidi e stretch.

TRE LINEE INEDITE E INNOVATIVE PER ESPRIMERE L'ANIMA DEL MARCHIO: LA COUTURE, LA LAB E LA SUPERIOR

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Latorre

Otto capi impeccabili in una capsule made in Italy

Sopra, la sahariana con coulisse in vita, tasche a toppa con soffietto superiore e bottoni in corno biondo. A destra, la giacca doppiopetto in lino e lana sfoderata.

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a giacca è appariscente nella sua semplicità: doppiopetto, si fa notare perché è in lino e lana candidi. Fa parte di Vent de Sirocco, capsule firmata Latorre, sartoria fondata nel 1965 a Locorotondo, borgo nel cuore della Valle d’Itria in Puglia. Questa collezione, a metà fra lo stile coloniale e i ragazzi che popolano South Beach a Miami, è realizzata in tessuti e colori naturali e comprende anche una fresca overshirt, una sahariana in cotone con

coulisse in vita, un trench anch’esso doppiopetto, e un parka in cotone organico con le tasche a toppa. Altro must di stagione? Il gilet: è in cotone e lino, ha la fibbia posteriore e le tasche a toppa col soffietto. E poi ci sono i pantaloni gessati a vita alta e i bermuda, ma in versione esploratore-chic: vita alta e doppia pinces, con il taschino sul davanti.

VENT DE SIROCCO: COLONIALE NELLO STILE, NATURALE NEI TESSUTI E NEI COLORI, DI PRODUZIONE ARTIGIANALE

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Lorenzoni

Proposte tra tradizione e modernità. Ecco la versatilità

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ome un elegante Tadzio, uscito dalla penna di Thomas Mann, l’uomo vestito Lorenzoni è più raffinato che mai, anche se non mancano (non possono mancare) modernità nei tagli e nella ricerca, che è alla base dei tessuti utilizzati. La protagonista della collezione è la maglieria: ci sono nuove scollature, il ritorno del gilet, le polo in maglia con i bottoni e le texture originali. Come i tricot, che sono arricchiti da lavorazioni jacquard e particolari punti maglia.

Polo in maglia di cotone da abbinare a piacere e completi camicia più short, oppure felpa più pantaloni in techno interlock tra le proposte del marchio.

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Probabilmente i capi più rappresentativi sono quelli a righe multicolore con intrecci a traforo e speciali inserti di filato di spugna di cotone. E poi c’è la tuta, per la quale è stato scelto un materiale chiamato interlock; quindi un capo molto moderno ma dall'aspetto vintage. Ultima proposta del brand sono i set coordinati «camicia più short», vero total look.

LA NOVITÀ: CAPI A RIGHE MULTICOLOR ALL OVER CON TRAME E INTRECCI A TRAFORO EFFETTO CROCHET, E INSERTI IN SPUGNA

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North Sails

La partnership che dà vita a una collezione all’avanguardia

A destra: Marin Padded Shirt Jacket, ossia la giacca-camicia in tessuto stretch riciclato a due strati.

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l primo ama l’oceano, le sfide sportive (e non) e le persone che vogliono superare i propri limiti; il secondo è appassionato di automobili veloci, cerca l’innovazione, ma non abbandona mai il suo Dna fatto di lusso made in Italy. Il primo è North Sails con le sue origini legate all'ecosistema dei mari, e il secondo è Maserati, insieme per la collezione North Sails X Maserati SS23. Punti in comune: voglia di avventura e grande artigianalità, coadiuvata

però sempre dalla tecnologia. Nascono allora nuovi capi come la Marin Padded Shirt Jacket, una giacca-camicia in tessuto stretch riciclato a due strati, anti vento e impermeabile, con imbottitura di Thermore® Ecodown, materiale che utilizza bottiglie in plastica rinate a nuova vita; o la Felpa Half Zip, in poliestere riciclato, con un motivo grafico Maserati sulla schiena.

NORTH SAILS E MASERATI: UN LEGAME, E UNA COLLEZIONE, FONDATO SU INNOVAZIONE E PROIEZIONE VERSO IL FUTURO

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Paul&Shark

Sail the City Typhoon Jacket (sotto): capospalla dalla vocazione sportiva ma per utilizzo quotidiano. In basso a destra: Pull 1983, capo d’archivio Eighties.

Mettiamo in circolo elementi recuperati e reinventati

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idea è semplice ma, in un momento in cui impera l’abbigliamento usa e getta, rivoluzionaria: indossare i capi il più possibile per farli diventare sempre più belli (e inquinare meno non buttandoli ogni stagione). Da sempre Paul&Shark è un marchio che s’impegna nella sostenibilità (in particolare dell’ambiente marino) e lo fa in molti modi diversi, anche con la Sail The City Typhoon Jacket: la giacca è realizzata in tessuto Typhoon Save

the Sea, anti acqua e anti vento, ed è decorata con vele in disuso, recuperate e ripensate. E poi ci sono i capi in lino, naturale ed etico (per coltivarlo servono scarsa acqua e pochi agenti chimici); il Pull 1983, un capo d’archivio che rinasce a nuova vita (maglia anni Ottanta, over size), e la linea Fisherman che porta il mare in città grazie a capi ibridi come la giacca con le maniche in maglia.

UPCYCLING: DARE UNA NUOVA VITA A UN MATERIALE RISPETTO A QUELLO PER CUI ERA STATO PENSATO IN ORIGINE

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Richard J. Brown

Per il denim: una realtà giovane dal ricco patrimonio artigianale

La collezione estiva si declina nei vari temi: Rising Sun (la camicia a destra), Copper (i jeans in alto), Icon, Luxury, Island Paradise, Urban e Travel.

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i sono il Singapore e il Bali con le particolari tasche America (sono quelle davanti, in cui si infilano i pollici); c'è il Caprera, con pinces e laccetti; e poi i cargo pants Malindi con la coulisse. Sono alcuni dei modelli di cinquetasche «cuciti a mano in Italia» − come recita il loro logo − da Richard J. Brown, marchio giovane, nato nel 2007, di jeans e pantaloni artigianali. Alcuni modelli sono già famosi, come il Copper con la cimosa in rame (il bordo lungo la cucitura interna della

gamba che diventa visibile una volta risvoltato). Vale per tutti i capi la grande attenzione agli accessori: le salpe colorate in denim, camoscio o canvas con il logo termosaldato e bottoni snodati o smaltati in colori combinati o a contrasto. E poi c’è l’anima ecologica del marchio: è nella capsule collection «Richard J. Brown-Italian Luxury Denim with a green Soul», realizzata in denim di cotone, italiano oppure giapponese, sottoposto a tintura biologica.

IL BRAND A DIFESA DELL’AMBIENTE. ECCO LA SUA PRIMA CAPSULE COLLECTION «WITH A GREEN SOUL»

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Roy Roger’s

La stessa anima denim da 70 anni ma continuano a sperimentare

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ono stati i primi a fare i jeans in Italia. Quando ancora il denim era considerato solo un tessuto da lavoro, Francesco e Giuliana Bacci hanno confezionato il loro primo Roy Roger’s. Era il 1952. La nuova collezione racconta proprio l’evoluzione dei blue jeans attraverso la riproduzione dei loro cinque modelli più famosi. Si «datano» a partire dalla salpa sul retro: anni 1952, 1960, 1970, 1980 e 1990. Modelli, vestibilità, rivetti,

I primi jeans del marchio, quelli del 1952. Nella proposta per la p-e 2023: T-shirt, camicie, giacche e accessori completano i look e rafforzano l’immaginario di quegli anni. Roy Roger's è stato il primo marchio a produrre jeans dedicati alle donne.

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bottoni e zip sono fedeli in colori e materiali ai capi originali; persino i lavaggi, dai più scuri ai più chiari, ripercorrono la storia del jeans. La collezione sarà accompagnata, a Pitti, da Roy Roger’s 70th Anniversary, mini film in quattro minuti diretto da Bruce Weber − il celeberrimo fotografo della gioventù Wasp − che celebra i 70 anni del marchio.

IL MINI MOVIE VIENE PRESENTATO CON UN EVENTO DEDICATO A PALAZZO VECCHIO E PROIETTATO SULL'ARCO DI PIAZZA DELLA REPUBBLICA IN OMAGGIO A FIRENZE

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Sun68

Immancabile il «tocco» fluo, da sempre un distintivo

Sulle polo (sopra) la palette si fa decisa: blu royal, giallo sole, rosso fuoco e verde garden. Forte impatto visivo costruito sulla vivacità dei colori anche per le sneakers (a destra).

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ll’inizio fu la polo: era il 2005 e SUN68 presentava la sua prima linea di maglieria leggera con l’inconfondibile logo del triangolo e della «x». Da allora siamo arrivati al total look, con 16 negozi monomarca e più di duemila multibrand in Italia ed Europa. A Pitti, Sun68 presenta tutte le sue nuove collezioni, a partire da Everydaylife: capi pensati per l’attività sportiva che diventano abbigliamento anche formale. E poi ci sono la sezione Heritage, dai

colori classici e i tessuti come il jersey e il lino; e New Hamptons con le maglie sottili e le polo impeccabili. Proprio la polo resta il capo più celebre di SUN68: per la p-e 2023 i modelli sono ben 30. Il logo di Sun68 occhieggia un po’ ovunque, anche sulle sneakers: all’inizio i modelli erano sei, oggi sono infiniti, in tantissimi colori, non solo estivi.

IL BRAND NASCE DA UNA MATRICE CASUALWEAR CUI AGGIUNGE ATTENZIONE AI DETTAGLI E ALLA RICERCA DEI MATERIALI

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Xacus I colori caratterizzano la collezione, in sintonia con i materiali (cotoni, lino, viscosa, tencel).

Autenticità, responsabilità, rispetto e attenzione

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robabilmente Xacus (marchio nato nel 1956 a San Vito di Leguzzano, Vicenza, per iniziativa di Alberto Xoccato e di un gruppo di sarte esperte) la camicia ideale l’ha cucita proprio per la bella stagione 2023: la sua ultima collezione, infatti, è un estratto di storia e di modernità, unite per capi molto classici (la camicia forse è il più essenziale fra i capi maschili) e innovativi allo stesso tempo. A partire dalla Seersucker Active: tecnologica (è in cotone anti batterico, anti piega

e termoregolatore) e tradizionale (in tessuti in tinto filo e stampati) in uno; per poi continuare con la Wrinkle Free, la blusa che non fa pieghe grazie a mix di filati pregiati e tecnici contemporaneamente. E poi ci sono l’eterno lino, il denim, il cotone seersucker e il gabardine in tanti toni per camicie comode, scivolate, da portare nelle sere d’estate.

LA PASSIONE DEL MARCHIO PER IL BEN FATTO È UN'EREDITÀ DELLA TRADIZIONE MANIFATTURIERA TESSILE DEL DISTRETTO VICENTINO © RIPRODUZIONE RISERVATA

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L ’ U LT I M A P A R O L A

di Jordan Bowen e Luca Marchetto / JordanLuca

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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June 2022

HOT NEW TRENDS IN MEN’S STYLE – SPOTTED AT ITALY’S MAIN FASHION TRADE EVENT

Pitti Immagine Uomo 102 Spring/summer 2023 Preview Ever-changing form and content COPY: VERONICA RUSSO TRANSLATIONS: CHRIS THOMPSON, NICHOLAS NEIGER

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ALESSANDRO GHERARDI

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How the “beautiful shirt” almost becomes a second skin

Vegas, Sydney, Dubai and Detroit. These are the virtual stops in the new collection by Antony Morato (which is celebrating its first 15 years with a party at Pitti), mega-cities to lose yourself in and enjoy all the exciting sensations travel brings. This urban magnetism is reflected in the clothing – pop colours, natural fabrics, floral prints and patterns, all given a modern remix in a sort of melting pot of styles. There are also many references to the urban fashions of the 1980s and 90s. Brash prints first of all, then clean, slightly squared lines and slick materials. Another new arrival for the season is the reinterpretation of their Timeless garments – suits, polos, trousers and knitwear all exert a totally new allure.

ANTONY MORATO

G9 Harrington jacket: design creates a new personality The G9 Harrington bomber jacket is one of those undisputed icons of the male wardrobe - created by Baracuta, a brand founded in Manchester, England, in 1937, and worn by Steve McQueen, Elvis Presley and James Dean, to name but a few of the jacket’s famous fans. Now the G9 has been revamped and given a twofold presence, becoming on the one hand a varsity jacket, similar to a classic button blazer combined with a shirt collar, and on the other the Aviator jacket, a suede flying jacket. Not forgetting all the other items in summer colours recalling the English flower garden aesthetic – from turquoise to yellow, intense red and Tudor Rose, the quintessential

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The effortless cool of a classic moccasin

Against the background of settings from Anthony Mingella’s film The talented Mr Ripley, a desire for lightness, sun and seaside holidays –a need to escape has inspired Barrett’s new collection. In the moccasins, that light-hearted adventurer look is conjured up by details like the antique brass accessories. These shoes also feature destructured designs and special leathers – lined calfskin and suede are treated with gentle tanning processes making them soft yet hardwearing. This brand was founded in 1917 in Parma following a fortuitous encounter between the owner of a tannery in London’s East End, John Richardson Barrett, and Zanlari e Tanzi, a renowned shoe manufacturer in Italy’s Emilia region. For the next S/S its iconic shoe takes the form of the Riviera, a flexible moccasin whose upper is embellished with buckles or tassel rings. The sole is almost flat.

BRIGLIA 1949

New destinations for this brand’s next journey

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Something was missing, now it’s here: Upcycled_ & sustainable

Four very different cities, but all worth including in your bucket list of places to visit at least once in your life: Las

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BARRETT

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BARACUTA

«The most beautiful shirt? It’s always gonna be the next one»; thus, riffing on Enzo Ferrari’s famous aphorism, speaks shirtmaker Alessandro Gherardi, who has been plying his trade for 45 years. The s/s 2023 collection already displays some exciting new arrivals. Summer designs are always more daring, when the classic shirt can be replaced with something more unusual yet still elegant. Linen plays the starring role, noble and natural, in large check madras fabric bearing exclusive prints. Seersucker is also a light, easy-towear cloth, and the use of alternating tighter and looser warps gives the cloth a slightly puckered look. No modern collection can be complete without technical materials like those in the Atlantic line. A must-have for next summer, Casual is a capsule with ten models with overshirts, polos, bowling shirts and button downs, all given special treatments.

symbol of the nation itself. The fabrics range from Baracuta Cloth, the most recognisable, providing matchless protection from rain and wind, to Cable Knit cotton polo for garments with a more sporty appeal.

Often, beautiful fabrics are quickly discarded, thrown away after only

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one season. Briglia 1949, a company based in Italy’s Campania region that makes trousers with a sartorial spirit, presents its Upcycled_ line of garments, made using recovered fabrics, surprising Jerseys and soft cottons. The trousers (the Upcycled_ models draw inspiration from military clothing or evoke working class styles) are all numbered, ensuring the authenticity of the limited run, and bear a QR code to enable traceability. At Pitti the brand is also presenting other models like the Oxford and Basilea, trousers and shorts in technical nylon and the Cortina models with zips. Finally, there is also a Genderless collection – trousers for everyone, regardless of gender, providing a soft, contemporary fit and feel (also note the vibrant colours like fuchsia, violet or mustard).

FILIPPO DE LAURENTIIS

- pag 185

An artisanal touch for summer knitwear, polos and T-shirts

The summer sweater for men should be a self-indulgent treat, soft, pleasant to wear with or without a jacket at any time of day. Luxury knitwear brand Filippo De Laurentiis was founded in Pescara in 2013, and the brand enjoys close links to its native Abruzzo region while retaining an international outlook as it exports throughout the world. It offers four knitwear lines, Skyline, Satori, Club and Lido. Skyline presents clean lines and neutral colours, twisted cotton and linen for oversize polos and sweats. Satori has

a chilled-out, Zen spirit, with silk or linen garments featuring generous collars. Club is a collection of polo and bowling shirts enhanced by cable knits, honeycomb and English rib. Lastly, Lido means total summertime – some garments are in towelling, single colour or patterned – all boasting artisanal production and Italian quality and flair.

FIORIO MILANO

- pag 186

Now you see it, now you don’t: a swimming costume and its ghost pattern Handmade ties and the so-called “soft accessories”: pochettes, men’s footwear…This is Fiorio Milano, a brand founded in 1946. Every summer the brand expands its range with a beachwear collection and this year’s centrepiece, the Ghost swimming costume, is being presented at Pitti. A mix of great craftsmanship and the element of surprise, given that, once wet, the costume reveals a delicate two-tone design that disappears again when dry. The summer range continues with beach towels, linen shirts in many colours as well as some that reprise the patterns of the costumes, bags that can be matched with pochettes, jackets and basketball caps. The ties (still sewn by hand after 70 years) remain the “first love” even during the summer season: the colours are lively, almost three-dimensional, and there is a preference for opaque and raw fabrics like cotton and linen. - pag 187

IMPULSO

Part city, part beach: Bermudas to go anywhere The longing to be on holiday, breathing in the sea air and maybe bringing some of that seaside flavour to the city too. This mood is the inspiration for the new collection by Impulso, a brand by the historic

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Maglificio Liliana di Moncalieri, founded in 1969 in Brescia. It begins with the colours that are strong and bold, and then confirms the trend for tie-dyes, the colouring technique loved by 1980s surfers. The boldest look is the matching terry sweatshirt and shorts suit (the materials range from technical fabrics to natural fibres, with an eye to organic cotton), while others alternative, including looks for working in the city. Also for the office is the “over”shirt with big pockets that has taken the place of the old structured jackets of times past. Just right for sitting at the desk and thinking of the beach.

INCOTEX BLUE DIVISION

- pag 188

A new brand combining knowledge with craftsmanship

Can jeans really be couture? Yes, but they need creativity, innovation and skill. Denim and craftsmanship are being combined at Incotex Blue Division, a brand born from the collaboration between Incotex (the luxury trouser brand that originated in Venice in the 1950s) and Giada Spa, the leading producer of premium denim. This partnership has given life to the “easy” five-pocket pieces, tailored to perfection, created in 30 different fabrics and with 45 different washes. Three lines are being presented at Pitti: Couture, Lab and Superior. The first is the quintessence of jeans couture: there are front creases, slant pockets and a particular construction at the waist. Lab is more experimental: trousers are produced from sustainable fabric using zero-impact treatments. And Finally, Superior stands for absolute comfort, thanks to soft, stretch fabrics.

III


LATORRE

- pag 189

Eight impeccable pieces for a “Made in Italy” capsule collection

is enriched with jacquard work and particular stitching. Probably the most representative items are those with multi-coloured stripes, open weaving and special cotton terry yarn inserts. And then there’s the tracksuit, in a fabric called interlock, resulting in a modern garment that has a vintage feel. The latest offering from the brand is the matching set of “shirt plus shorts”, a real total look.

LORENZONI

- pag 192

Recovering things to reinvent them – before putting them back into circulation

New partnership breeds cutting-edge collection The former love the ocean, sporting (and other) challenges and people that want to venture beyond their limits; the latter are passionate about fast cars and innovation but never deny their DNA, which is pure “made in Italy” luxury. The former are called North Sails and the latter Maserati, and they have come together for the North Sails X Maserati SS23 collection. Common ground: a desire for adventure and great craftsmanship, but always assisted by technology. This is what brought into being new garments like the Marin Padded Shirt Jacket in double-layered recycled stretch fabric that is windproof and waterproof with Thermore® Ecodown insulation, a material that uses second-life plastic bottles, or the Half Zip Hoodie in recycled polyester with a Maserati

- pag 190

Between tradition and modernity: making way for versatility Just like an elegant Tadzio, straight from the pen of Thomas Mann, the man who wears Lorenzoni is more refined than ever, even though there is no lack (nor could there be) of modernity in the cuts and the research that is at the heart of the selected fabrics. The centrepiece of the collection is the knitwear: there are new necklines, a return of the gilet, knitted polos with buttons and original textures. Just like the tricot, which

IV

PAUL&SHARK

- pag 191

NORTH SAILS

The jacket is striking in its simplicity: double-breasted, it really stands out in white linen and wool. This is just one part of the Vent de Sirocco capsule collection by Latorre, a tailoring house founded in 1965 in Locorotondo, a village in the heart of Puglia’s Itria Valley. This collection, halfway between colonial style and the look worn by kids on Miami’s South Beach, is created in natural colours and fabrics and also includes a fresh overshirt, a cotton safari shirt with drawstring waist, and an organic cotton parker with patch pockets. Another must for the season? The gilet: this is in cotton and linen and has gusseted patch pockets and a buckle at the rear. And then there are the pinstriped, high-waisted trousers and Bermudas with a touch of explorer chic: high waist, double pleats with a small pocket on the front.

graphic motif on the back. Style, yes, but with one eye on the environment, in particular marine areas.

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The idea is simple but – at a time when throwaway clothing rules supreme – also revolutionary: wearing garments as much as possible to make them more and more beautiful (and polluting less by not throwing them away after every season). The Paul&Shark brand has long been committed to sustainability (in particular around marine environments) and it manifests this in many different ways, also with the Sail The City Typhoon Jacket. The jacket is made with windproof, waterproof Typhoon Save the Sea fabric and is decorated with used, retrieved and repurposed sailcloth. And then there are garments in linen too, natural and ethical (it is grown using little water and few chemical agents); the 1983 Sweater (the oversize 80s-style sweater) is an archive garment that has been given new life and the Fisherman line brings the sea to the city thanks to hybrid garments like the jacket with knitted sleeves.


RICHARD J. BROWN

- pag 193

A young name in denim, with a rich handicraft legacy

There are the Singapore and the Bali model, with their particular slant pockets (the front ones, where you can insert your thumbs); there is the Caprera, that comes with pleats and laces, and then the Malindi, cargo pants with a drawstring. There are some five-pocket models “sewn by hand in Italy” as the logo says, at Richard. J. Brown, a relatively young brand created in 2007, making jeans and handcrafted trousers. Some models are already famous, like the Copper, with the copper selvedge (the edge along the internal leg stitching that becomes visible when turned up). The great focus on accessories applies to all the garments; the rear brand patch is in coloured denim, suede or canvas with a heat-sealed logo and there are jointed or enamelled buttons in matching or contrasting colours. And then there’s the brand’s ecofriendly soul: the capsule collection “Richard J. Brown-Italian Luxury Denim with a green Soul”, created in Italian and Japanese organic cotton denim and dyed using organic products.

ROY ROGER’S

The same 1970s denim spirit, and still experimenting

through the reproduction of their five most famous models. They are “dated” on the rear brand label tag, with the years 1952, 1960, 1970, 1980 and 1990. The models, wearability, rivets, buttons and zips are faithful to the original garments’ colours and materials. Even the rinses, from the darkest to the lightest, retrace the history of jeans. The collection will be accompanied at Pitti, by Roy Roger’s 70th Anniversary, a four-minute mini film directed by celebrated photographer Bruce Weber, to commemorate 70 years of the brand.

particularly on the sneakers: initially there were six models, now there are an infinite number, in a variety of colours and not just for the summer.

XACUS

- pag 196

Authenticity, sustainability, respect and attention

- pag 195

SUN68

A touch of fluo, always on hand for distinction In the beginning, there was the polo shirt: it was 2005 and SUN68 presented its first line of light knitwear with the unmistakeable logo of the triangle and the X. Since then we have seen the total look with 16 monobrand stores and more than two thousand multibrand stores in Italy and Europe. At Pitti, SUN68 presents all of its new collections, beginning with Everydaylife: garments designed for sports activities that can also turn into formalwear. And then there are the Heritage sections, from classic colours and textures like jersey and linen, and New Hamptons with the subtle woven fabrics and impeccable polos. Indeed, the polo remains the most celebrated SUN68 garment: 30 models are available in the ss 2023 collection. The SUN68 logo crops up everywhere,

- pag 194

They were the first to make jeans in Italy. When denim was still considered a work fabric, Francesco and Giuliana Bacci packaged their first Roy Roger’s. It was 1952. The new collection tells the story of the evolution of blue jeans

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Most likely Xacus, the brand founded in 1956 in San Vito di Leguzzano (Vicenza) by Alberto Xoccato and a group of expert tailors. created the ideal shirt precisely for the summer of 2023: indeed, its latest collection is a summary of history and modernity, brought together for classic garments (the shirt being perhaps the most essential item in the menswear range) that are innovative at the same time. Beginning with the Seersucker Active, which is both technological (in anti-bacterial, anti-crease and thermo-regulating cotton) and traditional (in yarn-died and tinted fabrics) and continuing with the Wrinkle Free, the blouse that doesn’t crease thanks to the combination of premium yarns and contemporary techniques. And then there’s the eternal linen, the denim, the seersucker cotton and gabardine in many tones – perfect for comfortable, loose-fitting shirts for summer evenings.

V


VI

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barrett.it

Milano via Gesù 9 tel. +39 0276005050



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